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A R T E
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Cage (1912-1992), compositore outsider molto interessato a ciò che riusciamo ad ascoltare, oltre le
convenzioni che vincolano l’idea di “composizione musicale”. Il suo celebre brano 4’33” è, in fondo,
il manifesto dell’ascolto possibile. Come certi dipinti di Pollock, anche 4’33” riguarda l’uso delle
nostre facoltà. È come se questo brano ci invitasse ad ascoltare tutto il mondo circostante, rumori
compresi, ponendo in questo modo una domanda sui limiti e sui confini percettivi in modo analogo
all’arte visiva che Cage, d’altra parte, frequentava volentieri (Duchamp, Tobey,
Rauschenberg). Non era certo isolato nel suo tentativo di cambiare il volto della musica: accanto
a lui c’erano artisti come Merce Cunningham, Morton Feldman – leggenda vuole che si siano
conosciuti a un concerto di musica di Anton Webern – , Earl Brown, Christian Wolff e altri.
Sappiamo che Pollock frequentava l’ambiente dei pittori, ma che tra la pittura e la musica in
America esisteva da diversi anni un dialogo fitto e insistente, che sfocerà nelle partiture grafiche di
alcuni compositori (Cage, Feldman, Brown). A proposito di un compositore come Earl Brown, per
esempio, Emanuele Arciuli scrive: “Anche Brown, come Feldman, fu ispirato dalle arti visive, in
particolare dai mobiles di Calder, che gli suggerirono una formula compositiva aperta, nella quale
cioé le scelte dell’interprete valgono a disporre liberamente nello spazio acustico gli oggetti-suono
predisposti dall’autore”. Quest’idea sfocerà nel radicale December 1952, il cui “grafismo puro” sfida
ogni convenzione sia per l’interprete che per l’ascoltatore. A proposito di Number 29, una delle
opere più importanti del periodo astratto di Pollock, O’Hara osserva: “Più di ogni altra opera di
Pollock, indica un’estetica nuova e ancora imponderabile. Indica il mondo che sta cercando un
giovane sperimentalista come Allan Kaprow, che ha scritto di Pollock in un modo diverso dal mio;
ed è il mondo in cui le ultime opere di Robert Rauschenberg possono trovare la loro consolazione
emotiva. Altri dipinti di Pollock contengono il tempo, la nostra epoca e preziosi elementi di epoche
passate, ma il Number 29 è un’opera del futuro, un’opera in attesa” [3].
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divenne l’equivalente sonoro del dipingere un paio di baffi sulla Gioconda o di esporre un orinale
come una scultura”[4].
Forse la pittura poteva fare a meno di atti polemici e di provocazioni, dato che il suo gesto
iconoclasta era più evidente? Questo è quanto, almeno, sembra pensare il critico d’arte Harold
Rosenberg che coniò il fortunato termine di “action painting”. Le accensioni di colore di De
Kooning o gli impasti violenti di Franz Kline parlavano agli occhi con un’eloquenza che non
sembrava ammettere repliche. Cage è stato, forse, il musicista che è riuscito meglio di altri a
riprodurre uno shock analogo in campo musicale, anche se Alex Ross osserva che la sua arte non
aveva la violenza di certe sonate di Pierre Boulez. Bisogna anche aggiungere, comunque, che la
violenza avanguardista del giovane Boulez si è presto diluita nel ritorno ad armonie più gradevoli
(Debussy) e che il percorso creativo di Cage rimane più prolifico e generoso, quanto a repertorio, di
quello del compositore francese.
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Coltrane, Cecil Taylor, Ornette Coleman. Non escluderei, inoltre, certe composizioni per pianoforte
di Earl Brown che possiedono il vantaggio di suggerire lo spazio tra le linee (visive, sonore) meglio,
forse, che in un brano jazz. Difficile, d’altra parte, non pensare anche a Feldman e alla sua
concezione visiva della partitura musicale così vicina ad un’altra idea dello spazio, in piena
consonanza d’intenti con Pollock e, più in generale, con i pittori astratti americani. A questo
proposito, suonano convincenti le osservazioni di Emanuele Arciuli a proposito della musica di
Feldman: “È come se questa musica cancellasse ogni traccia del proprio passato. Nella musica
intesa non più come struttura ma come processo- e in questo possiamo considerare Feldman un
minimalista- l’ascolto dev’essere compenetrazione nell’oggetto sonoro, per cui l’ascoltatore perde
coscienza del brano come di un tutto articolato in parti, e diviene egli stesso parte del percorso;
chiunque abbia familiarità con la musica di Feldman converrà che non vi è altra maniera di
ascoltarla”. Si può dire qualcosa di diverso a proposito di una tela di Pollock? Il disorientamento è
identico, forse soltanto l’effetto emotivo appare diverso. Ma questa apertura dei confini che
accomuna pittori e musicisti, nei primi anni Cinquanta, non era soltanto euforia e liberazione.
Secondo Frank O’Hara, grande frequentatore di gallerie d’arte e musei oltre che poeta, c’era anche
inquietudine e angoscia. Non stentiamo a credergli, ancora oggi.