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Introduzione
1
In Toffetti, Sergio e Vaccino, Roberto (a cura di), Shakespeare e il cinema, Torino, Assessorato
per la Cultura della città di Torino 1979, p. 46. Zeffirelli ha diretto La Bisbetica domata
(USA/Italia 1966), Romeo e Giulietta (Italia/GB 1968) e Hamlet (USA 1990).
2
Henry V (Enrico V, GB 1989), Much Ado about Nothing (Molto rumore per nulla, GB/USA
1993), In the bleak midwinter (Nel bel mezzo di un gelido inverno, GB 1995), Hamlet (id.,
USA/GB 1996), Love’s Labour’s Lost (Pene d’amor perdute, USA/GB 1999); ha poi interpretato
Iago in Othello di Oliver Parker (id., GB 1995).
3
Ferlazzo-Natoli, Lisa (a cura di), Kenneth Branagh, Roma, Dino Audino 1994, p. 15. Riportato in
Imperiali, Isabella (a cura di), Shakespeare al cinema, Roma, Bulzoni Editore 2000, p. 31.
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4
Vedi Davies, Anthony e Wells, Stanley (a cura di), Shakespeare and the Moving Image. The
Plays on Film and Television, Cambridge, Cambridge University Press 1994, p. 2.
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5
Kott, Jan, Shakespeare nostro contemporaneo, Milano, Feltrinelli 2002 (1961), pp. 240-241 (trad.
it. di Vera Petrelli).
6
Davies-Wells (a cura di), Shakespeare and the Moving Image, cit., p. 1.
7
Davies, Anthony, Filming Shakespeare’s Plays. The adaptations of Laurence Olivier, Orson
Welles, Peter Brook and Akira Kurosawa, Cambridge, Cambridge University Press 1988, p. 186.
8
Vedi Agostino Lombardo, Shakespeare e il Novecento, in Lombardo, Agostino (a cura di),
Shakespeare e il Novecento, Roma, Bulzoni Editore 2002, pp. 13-28.
9
Vedi il giudizio che ne dà Voltaire in Lettres philosophiques (1734), lettera 18.
9
Shakespeare sono gli autori fondamentali per la concezione del genio che ha
il Romanticismo. Questa consacrazione è continuata per tutto il ‘900,
quando, peraltro, la conoscenza di quest’autore è divenuta sempre più sottile
e sfaccettata. Sono state ribadite l’origine e l’appartenenza al teatro delle sue
opere, e si è prestata attenzione alle differenze tra uno Shakespeare recitato e
uno Shakespeare letto. Centinaia di nuovi studi aggiungono ogni anno
qualche dettaglio alla nostra comprensione. Indubbiamente, i film hanno
contribuito profondamente alla sua penetrazione nella cultura
contemporanea e continueranno a farlo in futuro. La sua presenza è così
imponente che, allo stato attuale delle cose, ci si deve preoccupare,
eventualmente, della salvaguardia di altri autori, ma certo non di
Shakespeare.
(un Richard III integrale durerebbe circa quattro ore), sia per mettere in
evidenza quello che preme al regista. Dietro ogni film, c’è uno
sceneggiatore che riscrive il dramma e c’è un addetto al montaggio che alla
fine può modificare ulteriormente la sceneggiatura con le sue sforbiciate.
D’altronde non siamo affatto certi che i drammi di Shakespeare siano mai
stati rappresentati nella forma in cui appaiono oggi nelle edizioni critiche,
poiché essi subivano ogni volta dei nuovi interventi in relazione al pubblico
e agli attori.
Nei primi anni del secolo si pensava che il cinema fosse solo “teatro
filmato”. Col proseguire del tempo si sono individuate differenze,
somiglianze e rotture tra le due forme artistiche. La differenza fondamentale
consiste nel fatto che il teatro è basato soprattutto sulla parola, il cinema
sull’immagine in movimento. Lo spazio del teatro è bidimensionale, il
cinema simula la tridimensionalità. Il regista di un film shakespeariano si
deve confrontare con questi ed altri problemi e deve saper “tradurre” il
linguaggio teatrale in quello cinematografico, scegliendo le inquadrature, il
tipo di montaggio e così via11. Cambia anche la recitazione degli attori,
perché la cinepresa predilige gesti più misurati e poco enfatici.
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Per un’introduzione alle problematiche delle relazioni tra teatro e cinema vedi Grande, Maurizio,
Montaggio dello sguardo e della visione, in Quaresima, Leonardo (a cura di), Il cinema e la altre
arti, Venezia, La Biennale di Venezia/Marsilio 1996, pp. 135-143, e Deriu, Fabrizio, Lo schermo e
la scena, Venezia, Marsilio 1999.
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Vedi a riguardo l’ancora fondamentale Churchill, George B., Richard the Third referred to
Shakespeare, Palaestra X, Berlin, Mayer und Muller 1900.
11
13
Nel 1979 l’Università de L’Aquila organizzò un seminario su questo tema. Vedi Potter, Jeremy,
Good King Richard? An account of Richard III and his reputation, London, Constable 1983, p.
244.
14
Vedi la sezione Ricardian Fiction: Trash and Treasures di Roxane C. Murph sul sito
www.r3.org/fiction/roses/murph.html.
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15
In un’intervista raccolta da Jinx Falkenberg il 3-12-1955 per il programma radiofonico “Tex &
Jinx”, sul sito www.r3.org/onstage/friend2.html.
16
La strana guerra dei fratelli J., Milano, Mondadori 1991 (ed. or. 1981), pp. 4 e 6 (traduzione di
Cecilia Veronese).
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Domani nella battaglia pensa a me, Torino, Einaudi 1998 (ed. or. 1994), tradotto da Glauco
Felici. Il verso (V.iii.135 e 163) è ripetuto dai fantasmi che maledicono Riccardo la notte prima di
Bosworth Field.
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Una delle gag più riuscite di In the bleak midwinter di Kenneth Branagh è
quella in cui un aspirante attore non riesce a non ingobbirsi ridicolmente per
interpretare Riccardo durante un provino. “A horse! A horse! My kingdom
for a horse!” esclama James Mason/Norman Maine in A Star Is Born (È
nata una stella di George Cukor, USA 1954) e in Being John Malkovich
(Essere John Malkovich di Spike Jonze, USA 1999) il protagonista è
interrotto da una visita mentre recita “Was ever woman in this humour
woo’d? was ever woman in this humour won?” (I.ii.232-233). In Sin
noticias de Dios (Nessuna notizia da Dio di Agustin Diaz Yanez, Spagna
2001) “Now is the winter of our discontent” è usata ad un certo punto come
parola d’ordine. Nel film di Peter Jackson The Lord of the Rings: The Two
Towers (Il Signore degli anelli: Le due torri, USA 2002), il personaggio del
consigliere fraudolento Grima Vermilinguo è caratterizzato con un aspetto
riccardiano e corteggia la bella Eowyn davanti al cadavere del cugino di
lei18.
Richard III ha ispirato anche un poema sinfonico composto da Bedřich
Smetana nel 1858, e un’opera lirica (1883) del francese Gervais Bernard
Gaston Salvayre.
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In The Two Towers ritroviamo, non a caso, Ian McKellen nella parte di Gandalf e il compositore
delle musiche Howard Shore, già collaboratore di Pacino in Looking for Richard.
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Capitolo I
William Shakespeare
4
Su Seneca e sui rapporti tra Seneca e Richard III vedi Bacquet, Paul, Les pièces historiques de
Shakespeare 1: la première tétralogie et le Roi Jean, Paris, Presses Universitaires de France 1978,
pp. 153-172.
5
Vedi Ribner, Irving, The English History Play in the age of Shakespeare, Princeton, Princeton
University Press 1957, p. 68.
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I. 2. I drammi storici
Il Richard III appartiene al genere più in voga nel ventennio 1580-1600: il
dramma storico (history play). Per dramma storico si intendono opere che
abbiano come soggetto la storia d’Inghilterra, specialmente quella degli
ultimi due secoli (Macbeth e King Lear, per esempio, rientrano nelle
tragedie). Il dramma storico è stato attentamente studiato e su di esso, e della
parte che vi ha William Shakespeare, esiste una folta bibliografia. Questioni
come il senso della storia per Shakespeare, le sue inclinazioni politiche, se
sia possibile considerarlo uno storiografo, la sua aderenza all’ideologia
Tudor sono argomenti molto delicati e dibattuti, ma che non possono essere
affrontati in questa sede8. Per non allontanarci troppo dal nostro discorso,
basti qui una succinta, per quanto incompleta, presentazione.
Si usa far risalire la nascita dei drammi storici al clima di euforia nazionale
successivo alla sconfitta dell’Invincibile Armata (1588) e al programma di
autocelebrazione previsto da Elisabetta I, alla volontà del cittadino di
assistere alle imprese dei propri sovrani, al desiderio collettivo di
rappresentare il trionfo della dinastia Tudor. In realtà le cose sono più
6
Vedi Melchiori, op. cit., pp. 6-14.
7
Sulla True Tragedie vedi Ribner, op. cit., pp. 86-89.
8
Per un approfondimento vedi, oltre al Tillyard e Kott, Watson, Donald G., Shakespeare’s early
History Plays: Politics at Play on the Elizabethan Stage, London, Macmillan 1990; Pugliatti,
Paola, Shakespeare storico, Roma, Bulzoni Editore 1993; Gabrieli, Vittorio, La storia d’Inghilterra
nel teatro di Shakespeare, Roma, Bulzoni Editore 1995.
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Tillyard, nel 1944, riteneva che Shakespeare condividesse l’ideologia politica elisabettiana e fu il
maggior sostenitore della presenza di un ordine e di un fine celebrativo nelle tetralogie. In seguito i
critici hanno iniziato a descrivere invece uno Shakespeare ambiguo e problematico, e c’è stato chi,
come Pugliatti, ha visto in Shakespeare quasi un ribelle, detrattore della monarchia e della classe
politica. Per la visione shakespeariana sulla monarchia vedi Ciocca, Rossella, Il cerchio d’oro: i re
sacri nel teatro di Shakespeare, Roma, Officina 1987; e Manheim, Michael, The Weak King
Dilemma in the Shakespearean History Play, Syracuse, Syracuse University Press 1973.
10
Vedi Melchiori, op. cit., p. 3.
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11
Ribner, op. cit., p. 10. Vedi anche pp. 13-26.
12
Pugliatti, op. cit., pp. 38-39.
13
Gabrieli, Vittorio, op. cit., p. 50.
14
Riportato e tradotto in Pugliatti, op. cit., p. 12.
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I. 3. La prima tetralogia
Nella grande edizione in-folio del 1623 curata da John Heminge e Henry
Condell, le opere di Shakespeare sono divise in tre sezioni: tragedie,
commedie e histories. Alla voce histories sono presenti dieci drammi: King
John, Richard II, Henry IV parti I e II, Henry V, Henry VI parti I, II e III,
Richard III e Henry VIII. Questa è la successione temporale dei re;
cronologicamente, invece, Shakespeare scrisse prima Henry VI I II e III15,
poi Richard III: queste quattro opere formano la prima tetralogia. Poi c’è un
dramma a solo, il King John, e a seguire una seconda tetralogia: Richard II,
Henry IV I e II, Henry V16; per concludere un’altra opera unica, Henry VIII.
I rapporti e le corrispondenze all’interno di ciascuna tetralogia e tra le due
tetralogie sono estremamente forti. Esattamente come in ogni altra opera in
quattro parti, anche qui ogni sezione rimanda strettamente alle precedenti e
alle successive ed è per questo che è necessario sottolineare l’appartenenza
del Richard III ad una tetralogia, con tutti i vincoli che ciò comporta. Questo
fatto è universalmente accettato e riconosciuto dagli studiosi, ma difficile da
cogliere in una rappresentazione a teatro o in un film in cui il Richard III è
presentato singolarmente. Purtroppo se si considera il Richard III un’opera
slegata non si capiranno molte delle implicazioni che esso nasconde e alcuni
personaggi, per esempio Clarence, saranno interpretati in maniera erronea17.
Ma d’altronde Richard III ha sempre goduto una fama maggiore delle tre
parti dell’Henry VI ed è difficile pensare di poter modificare questo
dislivello di notorietà.
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Per Giorgio Melchiori le parti II e III furono scritte prima della I.
16
L’inversione nella composizione delle tetralogie ha dato luogo a diverse teorie. Secondo Tillyard,
Shakespeare avrebbe composto i suoi drammi secondo l’ordine storico, e quindi postula l’esistenza
di una “prima” seconda tetralogia perduta. Secondo la Pugliatti, invece, proprio questa irregolarità
testimonierebbe i propositi sovversivi di Shakespeare.
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In Henry VI parte III sia Riccardo sia Clarence sono contrari alle nozze del loro fratello Edoardo
con la vedova Elisabetta, matrimonio che non offre alcun vantaggio politico; per questo Clarence
decide di ribellarsi ad Edoardo e lo tradisce alleandosi al conte di Warwick. Sia Clarence sia
Edoardo IV, inoltre, partecipano con Riccardo all’uccisione del principe di Galles, figlio di
Margherita.