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Indice
Introduzione................................................................................................................................ 3
Altre pratiche...............................................................................................................................4
Amore..........................................................................................................................................5
Ānāpāna...................................................................................................................................... 6
Bambini.......................................................................................................................................8
Buddhismo.................................................................................................................................. 9
Causalità e destino.................................................................................................................... 12
Compassione............................................................................................................................. 14
Concentrazione..........................................................................................................................15
Condizionamento...................................................................................................................... 16
Desiderio e attaccamento.......................................................................................................... 18
Dolore........................................................................................................................................21
Equanimità................................................................................................................................ 22
I corsi di Vipassana................................................................................................................... 23
Il servizio...................................................................................................................................26
Illuminazione............................................................................................................................ 29
Inferno e paradiso......................................................................................................................31
Insegnamento............................................................................................................................ 32
Io............................................................................................................................................... 38
Maestri spirituali....................................................................................................................... 41
Malattie..................................................................................................................................... 42
Mente........................................................................................................................................ 43
Moralità.....................................................................................................................................45
Psicologia.................................................................................................................................. 49
Reazione....................................................................................................................................50
Saggezza....................................................................................................................................51
Sensazioni................................................................................................................................. 52
Società.......................................................................................................................................55
Sofferenza................................................................................................................................. 60
Tecnica...................................................................................................................................... 62
U Ba Khin................................................................................................................................. 67
Verità.........................................................................................................................................70
Vita quotidiana..........................................................................................................................72
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Introduzione
Da quando Goenka ha iniziato ad insegnare Vipassana, nel 1969, gli sono state
poste migliaia di domande dagli studenti di Vipassana e da altre persone in tutto il
mondo.
Poiché tali questioni riguardano uno spettro veramente ampio che va dalla
meditazione Vipassana, al Dhamma, alla sua applicazione nella vita quotidiana, ecc.,
queste domande e le relative risposte sono state classificate in varie categorie a
seconda del tema che toccano.
Queste domande e risposte hanno lo scopo di servire da guida ed ispirazione per gli
studenti di Vipassana e di incoraggiare i non studenti ad intraprendere un corso di
Vipassana.
Aggiornamento: 18/02/2006
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Altre pratiche
D. Io pratico lo yoga. Come lo posso integrare con Vipassana?
R. Qui, durante un corso, lo yoga non è permesso perché disturberebbe gli altri,
attirandone l’attenzione. Ma dopo il vostro ritorno a casa, potete praticare sia
Vipassana che lo yoga - cioè gli esercizi fisici delle posture yogiche e il controllo del
respiro. Lo yoga è molto benefico per la salute fisica: potete combinarlo con
Vipassana. Per esempio assumere una posizione e poi osservare le sensazioni
fisiche; questo darà maggiore beneficio che la sola pratica dello yoga. Ma le tecniche
di meditazione dello yoga che utilizzano i mantra e le visualizzazioni sono
completamente all’opposto di Vipassana. Non mescolatele con questa tecnica.
R. Sono utili come esercizi fisici, ma non mescolate queste tecniche con ānāpāna. In
ānāpāna dovete osservare il respiro naturale così com’è, senza controllarlo. Praticate
il controllo del respiro come un esercizio fisico e praticate ānāpāna per la
meditazione.
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Amore
D. Lei parla di “essere sopraffatti” dalla negatività. Cosa pensa del caso contrario,
cioè di “essere sopraffatti” dalla positività, per esempio dall’amore?
R. Quella che voi definite “positività” è la natura reale della mente. Quando la mente
è libera dal condizionamento, è sempre piena d’amore - amore puro - e ci si sente in
pace e felici. Se si rimuove la negatività, allora rimane la positività, rimane la
purezza. Che tutto il mondo possa essere sommerso da questa positività!
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Ānāpāna
D. Mentre si pratica la consapevolezza del respiro, è consentito contare i respiri o
dire “dentro” mentre si inspira e “fuori” mentre si espira?
R. No, non ci deve essere una continua verbalizzazione. Se ogni volta aggiungete
una parola alla consapevolezza della respirazione, gradualmente la parola diventerà
predominante e vi dimenticherete completamente del respiro. Direte “dentro” o “fuori”
non facendo più attenzione all’atto dell’inspirare o dell’espirare. La parola diventerà
un mantra. Concentratevi soltanto sul respiro, il semplice respiro, nient’altro che il
respiro.
R. Perché per noi ānāpāna sati viene utilizzato come preparazione per la pratica di
Vipassana, e in questo tipo di Vipassana è necessaria una concentrazione
particolarmente forte. Più l’area di attenzione è limitata, più forte sarà la
concentrazione. Per sviluppare la concentrazione a un tale grado, l’addome è troppo
grande. L’area più adatta è quella delle narici. Ecco perché il Buddha ci ha
consigliato di lavorare su questa zona.
D. Lei ha parlato di metodi per calmare l’agitazione quando si è troppo agitati per
meditare, e ha detto “fate la respirazione pesante”. Vorrei sapere quanto pesante e
quanto a lungo.
R. Dovete decidere voi. A volte la mente è così grossolana che per quanto pesante vi
sembri la respirazione, è sempre troppo sottile per la mente; allora dovete renderla
leggermente più pesante. Ma se diventa tanto pesante da disturbare i vostri vicini, è
ovvio che non potete lavorare a quel livello.
R. Quando siete agitati e dovete tornare alla respirazione, non è necessario sentire
alcuna sensazione lì, nella zona delle narici; respirate soltanto. Siate consapevoli del
respiro che entra, esce, entra, esce. Poiché la mente è così agitata, ha bisogno di un
oggetto grossolano; non può funzionare con le sensazioni sottili. Quindi respirate un
po’ più forte. La mente è conscia del respiro, respiro, respiro; poi arriva ad una certa
sottigliezza e comincia a sentire di nuovo le sensazioni.
D. Può parlare ancora della respirazione leggera mentre si percorre tutto il corpo?
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R. La respirazione diviene naturalmente leggera quando la mente si concentra. Il
respiro diventa sempre più corto e sempre più sottile. Fate in modo che rimanga
leggero. Quando siete concentrati, il metabolismo del corpo rallenta; non avete
bisogno di molto ossigeno; così, la natura vi aiuta rendendo il respiro leggero. Poi, di
nuovo, verrà un respiro profondo quando avrete bisogno di più ossigeno; poi ancora
il respiro breve. Tutto ciò è naturale: lasciate che succeda.
D. Un paio di giorni fa, facendo ānāpāna ho avuto vibrazioni attraverso tutto il corpo,
consapevolezza in tutto il corpo. Mi sembra di poter essere più equanime in questo
modo.
D. Stavo per chiedere se potevo fare ānāpāna per avere quest’esperienza, per avere
la totalità.
R. No. Ānāpāna dovrebbe essere praticata solo quando trovate che la vostra mente
sta diventando agitata, o molto torpida, molto pigra, non per ottenere un particolare
tipo di esperienza. Non siate mai ansiosi di avere delle esperienze. Qualsiasi
esperienza abbiate avuto recentemente, potreste non averla affatto ora; potreste non
ottenerla più per giorni e giorni. Se cominciate a desiderarla, non state facendo
Vipassana. Qualunque esperienza arrivi strada facendo, accettatela restando
equanimi. Quando se n’è andata, se n’è andata. Ānāpāna dovrebbe essere fatto
soltanto per acuire sempre più la mente.
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Bambini
D. Qual è la sua opinione circa l’insegnamento del Dhamma ai bambini?
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Buddhismo
D. Occorre essere buddhisti per imparare questa tecnica?
R. Per lui era molto chiaro il significato della parola “buddhista” ed era evidente che
ne era molto soddisfatto e orgoglioso, ma il suo insegnamento testimoniava che egli
non era lì per convertire delle persone da una religione istituzionale a un’altra. Una
delle qualità che più contribuì ad avvicinarmi al mio maestro è stata proprio
l’interpretazione non settaria del suo insegnamento del Dhamma. L’insegnamento
del Buddha è così universale che persone appartenenti a differenti sette, religioni e
comunità possono seguirlo e beneficiarne. Mai U Ba Khin fu interessato a convertire
le persone alla religione formale organizzata del Buddhismo. Naturalmente era
buddhista dalla nascita e orgoglioso di esserlo. Ma per lui l’essenza del Buddhismo
era il Dhamma, la legge universale della natura, e un vero buddhista era colui che
praticava il Dhamma, e cioè viveva in conformità a queste leggi universali. Era
interessato ad aiutare la gente a stabilizzarsi in sīla, moralità, in samādhi,
concentrazione, e in paññā, saggezza; a mostrare alla gente come convertirsi dalla
sofferenza alla felicità. Se mai qualcuno, che si era sottoposto a questa conversione
dalla negatività alla positività, voleva chiamarsi buddhista, Sayagyi ne era contento;
ma la cosa importante era il cambiamento avvenuto nella vita di quella persona, non
il cambiamento del nome. Egli spesso ammoniva gli entusiasti che volevano
convertire altri al Buddhismo dicendo: “La sola maniera di convertire gente è
stabilizzarsi nel Dhamma, e cioè in sīla, samādhi e paññā e di aiutare gli altri a
stabilizzarsi. Quando voi stessi non siete ben consolidati in sīla, samādhi e paññā,
che senso ha cercare di convertire altri? Potete chiamarvi buddhisti, ma se non
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praticate sīla, moralità, samādhi, concentrazione della mente, e paññā, saggezza,
non siete buddhisti. Invece, qualcuno che pratica queste cose e non si definisce
buddhista, è un vero seguace degli insegnamenti del Buddha, con qualsiasi nome si
voglia chiamare.
Un episodio mostra questa attitudine non settaria. Capitò quando un cristiano
convinto partecipò a un corso sotto la sua guida. All’inizio del corso, quando venne
chiesto allo studente di impegnarsi ad osservare l’insegnamento e per la durata del
corso a prendere rifugio in Buddha, e cioè a dare completa fiducia a questo
insegnamento, questa persona si spaventò credendo che le venisse chiesto di
convertirsi dal Cristianesimo al Buddhismo. Di fronte a U Ba Khin disse che poteva
prendere rifugio in Gesù Cristo ma non in Buddha. “Molto bene - egli replicò
sorridendo - prendi rifugio in Gesù Cristo, ma con la convinzione che stai prendendo
rifugio nelle qualità di Gesù Cristo, in modo da essere capace poi di sviluppare quelle
qualità in te stesso”. E così quella persona inizio a lavorare e alla fine del corso
comprese che la sua iniziale obiezione era inutile e la paura di conversione priva di
fondamento.
R. L’autentico insegnamento del Buddha non è nient’altro che la legge della natura.
Lo stesso Buddha affermò che, indipendentemente dalla presenza o meno di un
Buddha nel mondo, la legge di natura è sempre quella. Chi nutre bramosia ed
avversione nella propria mente, non può fare a meno di essere infelice. Per liberarvi
dall’infelicità, dovete sbarazzarvi di bramosia ed avversione. Si tratta semplicemente
della legge naturale, che vale in qualsiasi cultura. A questi corsi di meditazione di
Vipassana vengono ora anche persone appartenenti a religioni o sette totalmente
opposte al buddismo. Ad esempio, per 25 secoli la comunità giainista dell’India ha
insegnato che la via indicata dal Buddha è errata. Ora accade che i loro capi, i loro
monaci e le loro monache vengono a studiare questo insegnamento. Lo stesso
succede con gli induisti. Io sono nato in una famiglia induista di stretta osservanza fin
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da bambini ci insegnano che se si sta percorrendo un viottolo molto stretto, ed arriva
un elefante infuriato che sta per stritolarci, e da un lato c’è la porta spalancata di un
tempio buddhista e dall’altra la porta spalancata di un tempio giainista, è meglio farsi
schiacciare dall’elefante che infilare queste porte. Ora invece c’è un’infinità di questi
induisti che vengono ai corsi di meditazione. Una volta che ci si è impossessati della
pratica, si vede che non è nient’altro che legge di natura. La legge di natura non
discrimina tra un cristiano o un induista. Se metterete la mano sul fuoco, vi brucerete.
È così ovvio. E il Dhamma è questo. Le mie non sono credenze buddhiste. Io credo
unicamente nel Dhamma.
R. Nessuno dei due. La parola yana di fatto significa “veicolo che vi porterà alla meta
finale”, ma oggi gli si dà erroneamente una connotazione settaria. Il Buddha non ha
mai insegnato qualcosa di settario. Ha insegnato il Dhamma, che è universale. È
questa universalità che mi ha attratto verso l’insegnamento del Buddha, ed è da esso
che ho tratto giovamento. Quindi è questo Dhamma universale che offro a tutti con
tutto il mio amore e la mia compassione. Per me, il Dhamma non è né Mahayana né
Hinayana, né alcuna setta.
D. Tuttavia, è indubbiamente più difficile per gli occidentali accettare alcune delle
tradizionali credenze buddhiste, come quella della reincarnazione. Questo fatto non
influisce sulla loro meditazione?
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Causalità e destino
D. Che cos’è il destino?
R. La vita di ciascuno di noi è un flusso che scorre. A seconda dei nostri karma del
passato, il flusso della nostra vita va in una determinata direzione - verso la felicità o
l’infelicità, dipende dai casi. La causa è rappresentata dai nostri karma, nessun altro
è in grado di influenzare tutto ciò. Ora, tutto ciò che avete fatto in passato è andato, e
non potete più farci nulla. Ma oggi voi siete padroni di voi stessi e con la vostra
pratica attuale potete cambiare l’intero flusso. Quindi il destino può essere cambiato,
perché voi siete padroni di voi stessi, del vostro presente.
R. Nulla avviene senza una causa. È impossibile. Talvolta i nostri sensi limitati e il
nostro intelletto non la possono discernere con chiarezza, ma questo non significa
che non ci sia.
R. Certamente le nostre azioni passate daranno dei frutti, buoni o cattivi. Sono esse
a determinare il tipo di vita che conduciamo, la situazione generale in cui ci troviamo.
Ma ciò non significa che qualsiasi cosa ci accada sia predestinata, stabilita dalle
nostre azioni passate, e che non possa accadere nient’altro. Non è così. Le nostre
azioni passate influenzano il corso della nostra vita dirigendola verso esperienze
piacevoli o spiacevoli. Ma le azioni presenti sono ugualmente importanti. La natura ci
ha dato la capacità di essere padroni delle nostre azioni presenti: con tale
padronanza possiamo cambiare il nostro futuro.
D. Come possiamo aiutarci l’un l’altro se ognuno di noi deve confrontarsi con i
risultati delle proprie azioni?
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R. Le nostre azioni mentali influenzano gli altri. Se nella mente non generiamo altro
che negatività, tale negatività ha un effetto pericoloso su quelli che entrano in
contatto con noi. Se colmiamo la mente di positività e benevolenza verso gli altri,
questo avrà un effetto benefico su coloro che ci circondano. Non potete controllare le
azioni, il kamma degli altri, ma potete diventare padroni di voi stessi per esercitare un
influsso positivo su coloro che vi stanno intorno.
D. Perché essere ricchi è un buon karma? Se è così significa forse che la maggior
parte di coloro che vivono in Occidente hanno un buon karma e la maggior parte di
coloro che vivono nel Terzo mondo hanno un cattivo karma?
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Compassione
D. Cos’è la vera compassione?
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Concentrazione
D. Perché la pratica di samādhi non è sufficiente per la liberazione?
R. È vero. A questo proposito c’è una storia... (ridendo), “io sono bravo a raccontare
le storie”. Un tale, esercitando certi suoi poteri era riuscito a catturare uno spirito, o
genio. Lo spirito gli disse: “Ti servirò e ti procurerò tutto quello che mi chiederai, ma
devi tenermi occupato; appena avrò terminato un compito dovrai procurarmene un
altro, altrimenti ti divorerò”. Allora l’uomo chiese allo spirito di fargli avere un grande
palazzo, e fu subito esaudito. L’uomo continuò a chiedere questo e quello, fino a che
ebbe tutto ciò che desiderava; ma ancora si sentì costretto a dare qualche
incombenza allo spirito per non essere divorato. Alla fine l’uomo prese una canna di
bambù e disse allo spirito: “Benissimo, adesso tu salirai e scenderai da questa canna
in continuazione senza mai smettere” (ride). È così anche per questa nostra mente
che vuole fare sempre tante cose. Questa è la ragione per cui la teniamo occupata a
salire e scendere all’interno della struttura del nostro corpo.
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Condizionamento
D. Voi parlate del condizionamento. Questo tipo di esercizio non è anch’esso una
forma di condizionamento della mente, anche se positivo?
D. Ma il fatto che per un determinato periodo di tempo si debba sedere in una certa
posizione e dirigere l’attenzione in un certo modo, non è una forma di
condizionamento?
R. In questa tecnica, ciò che sfugge ad ogni controllo della volontà, sono le
sensazioni. Noi non cerchiamo di creare sensazioni per poi osservarle. La nostra è
una osservazione spontanea di qualunque sensazione si manifesti. Abbiamo soltanto
scelto il campo della nostra consapevolezza che è il corpo; ma le sensazioni
rimangono spontanee. Spostiamo la nostra attenzione in maniera ordinata lungo tutto
il corpo semplicemente per essere certi di osservarlo nella sua totalità. In realtà vi
sono sensazioni in ogni più piccola parte del corpo e la mente inconscia reagisce a
queste sensazioni. Se non vi spostate seguendo un certo ordine, tralascerete molte
parti del corpo e non le osserverete affatto. Se invece procedete sistematicamente
dalla testa ai piedi e dai piedi alla testa, nessuna parte verrà trascurata. Viceversa,
se vi spostate dal punto in cui percepite una forte sensazione ad un altro punto in cui
è presente una forte sensazione, molte parti del corpo vi risulteranno insensibili e
non percepirete mai alcuna sensazione. Se ignorate le sensazioni di alcune parti del
vostro corpo, significa che non state penetrando verso un livello più sottile e che non
state lavorando per dissolvere l’illusione della solidità che è l’illusione stessa dell’“io”.
Se ci si muove sistematicamente attraverso ogni parte del corpo, diventa più facile
raggiungere lo stadio in cui tutto si dissolve. Questa è la ragione per cui pratichiamo
in questo modo.
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D. Alcuni tipi di condizionamenti mentali non sono forse positivi? Perché cercare di
sradicarli?
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Desiderio e attaccamento
D. Faccio un po’ di confusione sulla differenza che c’è tra il desiderare qualcosa con
bramosia e il volere qualcosa di cui si ha bisogno. Non riesco ad immaginare come
non si possano volere delle cose. Questo potrà rendermi infelice, ma mi sarà da
guida in alcune mie scelte.
D. Cosa c’è di sbagliato nel desiderare cose materiali per assicurarsi una vita più
confortevole?
R. Se è un’esigenza reale, non c’è nulla di sbagliato, purché lo facciate con il dovuto
distacco. Per esempio, se avete sete e desiderate dell’acqua, non c’è nulla di
dannoso in questo. Avete bisogno di acqua e quindi fate in modo di ottenerla e di
placare la vostra sete. Ma se questo diventa un’ossessione, non potrà aiutarvi: anzi,
vi farà del male. Dovete lavorare per ottenere ciò di cui avete necessità. Se non
riuscite a ottenere qualcosa, ebbene dovete sorridere, e tentare ancora, in modo
diverso. Se ci riuscite, rallegratevi di ciò che avete ottenuto, ma senza attaccamento.
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D. Allora lei non sostiene che non si debbano volere le cose?
R. Ma no, come sarebbe possibile? Si può volere, purché questo volere non si
trasformi in bramosia. E la linea divisoria è così sottile che non ci si accorge quando
questo accade. Perciò occorre continuare ad esaminarsi: se il mio desiderio non si
realizza e divento infelice, allora significa certamente che il desiderio si è tramutato in
bramosia.
D. Che cosa potete dire circa la pianificazione del futuro? Si potrebbe chiamare
attaccamento?
R. Ancora una volta, dipende da quanto siete attaccati ai vostri piani. Ognuno deve
provvedere al proprio futuro. Se i vostri progetti non hanno successo e iniziate a
lamentarvi: questa è la prova che contavate troppo su di essi. ma se non avete
successo e riuscite ugualmente a sorridere pensando “Ho fatto del mio meglio. In
che cosa ho fallito? Proverò ancora!”, allora state lavorando in modo distaccato e
restate felici.
R. No, è semplicemente fare del proprio meglio, comprendendo che i risultati sono al
di là del nostro controllo. Fate il vostro lavoro e lasciate i risultati alla natura, a
Dhamma: “Ciò che deve accadere, accadrà”.
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potete sorridere di fronte al fallimento, non c’è attaccamento, ma se il fallimento vi
deprime e il successo vi esalta, c’è senz’altro attaccamento.
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Dolore
D. Permettere a noi stessi di provare deliberatamente dolore fisico, può sembrare
masochismo.
R. Ebbene, abbiamo scoperto che questo esercizio non causa danni, se lo facesse
non ve lo raccomanderemmo. Migliaia di persone hanno praticato questa tecnica.
Non conosco neanche un solo caso in cui qualcuno che stava praticando
correttamente si sia fatto del male. L’esperienza comune è che il corpo diventa docile
e flessibile. Il dolore se ne va via quando imparate ad affrontarlo con una mente
equilibrata.
D. Posso ottenere lo stesso beneficio dalla pratica anche se non provo dolore?
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Equanimità
D. Se dobbiamo solo accettare e osservare le cose come vengono, come può
esserci progresso?
R. Il progresso si misura sullo sviluppo dell’equanimità. Non avete altra scelta reale
se non l’equanimità, perché non potete cambiare le sensazioni, non potete creare le
sensazioni. Qualsiasi cosa sorge, sorge. Può essere gradevole o sgradevole, di
questo o di quel tipo, ma se mantenete l’equanimità, state certamente avanzando sul
sentiero. State rompendo le vecchie abitudini mentali alla reazione.
D. Dite che abbiamo i nostri panni sporchi e abbiamo anche il sapone per lavarli.
Oggi mi sento come se fossi rimasto pressoché senza sapone! Questa mattina la
mia pratica è stata molto forte, ma nel pomeriggio ho iniziato a sentirmi realmente
disperato e arrabbiato, e a pensare: ”Oh, qual è l’utilità!”. Era come se quando la
meditazione era forte, un nemico interno - l’ego forse - lottasse con quella forza e mi
mettesse fuori combattimento. E inoltre sentivo che non avevo la forza per
combatterlo. C’è un modo per mettersi da parte così da non dover combattere tanto
duramente, qualche modo intelligente per farlo?
R. Mantenere l’equanimità, ecco la via più intelligente! Quello che avete sperimentato
è assai naturale. Quando vi sembrava che la meditazione andasse per il meglio, la
mente era equilibrata e penetrava in profondità nell’inconscio. Come risultato di tale
operazione in profondità, è stata scossa una reazione passata che è venuta alla
superficie della mente e nella seduta seguente vi siete ritrovati di fronte a quella
burrasca di negatività. In una tale situazione l’equanimità è essenziale, perché
altrimenti la negatività vi vincerebbe e non potreste lavorare. Se l’equanimità sembra
debole, iniziate a praticare la consapevolezza del respiro. Quando viene una grossa
burrasca, dovete gettare l’ancora e aspettare che passi. Il respiro è la vostra ancora.
Lavorate con esso e la burrasca passerà. É bene che questa negatività sia venuta
alla superficie, perché ora avete l’opportunità di eliminarla. Se mantenete
l’equanimità, essa se ne andrà via facilmente.
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I corsi di Vipassana
D. Può spiegare come e perché i corsi sono stati strutturati in questa maniera?
R. Perché questo è il modo per raggiungere buoni risultati. Ci sono diverse scuole
che non danno molta importanza alla disciplina, alla continuità della pratica,
all’osservazione del silenzio e ad altre regole e i risultati sono differenti. È come
probabilmente voleva il Buddha, che suggeriva di lavorare molto seriamente e nello
stesso tempo anche continuamente. È questo che si intende per disciplina.
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Questo richiede tempo. È la ragione per cui abbiamo fissato dieci giorni come tempo
minimo per imparare questa tecnica.
In un primo tempo sembra impossibile trovare 10 giorni liberi. Ma, una volta
completato il corso, le persone dicono che quelli sono stati i 10 giorni più importanti
della loro vita, perché ne hanno capito il valore.
D. C’è bisogno di fare qualche speciale preparazione per fare questo corso?
R. È certo che se poteste fermarvi per un periodo più lungo sarebbe ancor meglio!
Ma dieci giorni sono il tempo minimo che consente di comprendere lo schema della
tecnica.
D. Perché dobbiamo rimanere per dieci giorni nel luogo in cui si tiene il corso?
R. Perché siete qui per compiere un’operazione alla mente. Così come le operazioni
chirurgiche devono essere fatte in ospedale, in sale operatorie protette da fonti di
infezioni, così qui, dentro i confini del luogo dove si tiene il corso, l’operazione sulla
vostra mente può essere compiuta senza essere disturbati da influenze esterne.
Quando il corso finisce, anche l’operazione è finita e voi siete pronti a rientrare in
contatto con il mondo.
D. Perché U Ba Khin ha insistito così tanto sulla continuità della pratica, strutturando
i corsi con un programma così pesante?
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suggerito ai propri studenti di restare il maggior tempo possibile con questa
consapevolezza. Proprio in accordo con i suggerimenti del Buddha.
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Il servizio
D. Quali sono le doti che prende in considerazione quando nomina i suoi assistenti
nell’insegnamento e i consiglieri per l’Associazione e i Centri?
R. C’è un lungo elenco di requisiti che considero riservati. Vorrei però dire qualcosa
in merito ciò che rende una persona non idonea alla funzione di assistente o
consigliere. Se qualcuno smania di diventare maestro, consigliere, segretario,
responsabile dei corsi, ci tiene ad avere una posizione, un incarico, un’autorità,
questa persona non è adatta a lavorare per il Dhamma.
Se invece l’intenzione è: “voglio servire, non importa in quale ruolo. Se mi
chiederanno di fare il guardiano, farò il guardiano; se mi diranno di pulire le latrine,
pulirò le latrine” e poi lo si fa veramente, quella persona ha i requisiti necessari. Se
poi acquisisce le altre qualità necessarie, può raggiungere il più alto incarico. Si
serve nel Dhamma non per accrescere l’ego, ma per dissolverlo.
R. Quando vi succede di trovarvi in conflitto con gli altri, quando tra voi sorge un
contrasto, ritiratevi dal servizio; non servite più. Quando siete in una situazione in cui
non vi riesce di mantenere la mente calma e silenziosa, piena di amore e
compassione per gli altri, ma vi accorgete invece che, per una ragione o per l’altra,
nella mente entrano delle negatività, dite a voi stessi: “Non sono in condizioni di
servire ora; non è il momento giusto; è meglio che mi metta a meditare”. Ritiratevi
dunque dal servizio, sedetevi e meditate. Non è possibile servire gli altri quando si è
in preda alle negatività, perché in quel caso si trasmettono agli altri le proprie
vibrazioni negative. Direte: “Ma non è colpa mia, è colpa dell’altro”. Qualunque sia la
causa apparente, è colpa vostra se avete iniziato a generare delle negatività.
Siate comprensivi; ed anche se ritenete che qualcuno di quelli che lavorano con voi
abbia torto, fateglielo notare con molta gentilezza ed umiltà: “A me pare che questo
non sia giusto, che non sia Dhamma”, Nel caso in cui l’altro non capisca, lasciate
passare un po’ di tempo, e poi cercate nuovamente di spiegargli la cosa, con
semplicità e garbo. Anche se l’altro non sarà d’accordo, voi gli avrete esposto le
vostre ragioni ed il vostro modo di vedere senza perdere la vostra obiettività e la
vostra calma.
Io direi che se per due volte gli avete parlato, e la cosa non funziona, potete fermarvi
lì. In rarissimi casi potrete tentare per la terza volta, ma non oltre, mai! Altrimenti per
quanto giusta possa essere la vostra opinione, vorrebbe dire che vi siete attaccati
eccessivamente ad essa. È sbagliato volere che le cose accadano secondo il vostro
punto di vista, in conformità alle vostre idee. Quando il vostro fratello, la vostra
sorella ha sbagliato, potete farglielo notare una, due, tre volte al massimo. Se questo
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risulta inutile, non denigratelo, avvertitelo ancora amichevolmente: “Bene, questo è
ciò che io penso. Forse quelli che hanno più esperienza te lo potranno spiegare
meglio”.
Parlate sempre in primo luogo con la persona con cui vi trovate in contrasto, prima di
sottoporre il caso a qualcun altro. Soltanto in seguito informatene chi ha più
esperienza - studenti anziani, l’assistente o, in qualche raro caso, il Maestro. La cosa
va prima chiarita con la persona interessata, dopo di che potete rivolgervi agli altri.
Così non fate cattivo uso della parola. Se invece criticate l’altro alle sue spalle, venite
meno al precetto, e sbagliate.
Ma se tutti i vostri passi falliscono, e la persona non si ravvede, non abbiate
avversione, ma solo compassione verso di lei.
Dovete esaminarvi bene ogni volta che desiderate che venga fatta una cosa che
ritenete molto giusta, e che invece non viene fatta. In quel caso, diventate agitati? Se
così è, significa che il vostro io è forte, che predomina l’attaccamento all’io ed alle
vostre idee - e ciò non è Dhamma. Cercate di modificare voi stessi prima di voler
riformare gli altri.
R. Si tratta sempre di servire. Non c’è differenza tra il farlo come servitore, o come
membro dell’organizzazione, o come insegnante – e cioè in qualità di assistente, di
assistente anziano, di assistente per bambini, di sostituto del maestro, o di maestro.
L’unica motivazione dovrebbe essere quella di servire gli altri senza attendersi nulla
in cambio. È assolutamente da escludere un qualsiasi vantaggio finanziario: sarebbe
in completa opposizione al Dhamma. Non si può commercializzare il Dhamma, se
non lo si vuole degradare e rovinare. Ma anche l’aspettarsi un privilegio o una
considerazione qualsiasi da parte degli altri è una cosa che non è ammessa. Si serve
senza aspettarsi nulla dagli altri.
Si ha già una ricompensa sufficiente quando si vede il beneficio che la gente trae da
questa tecnica. Persone che vengono al corso con aria triste e melanconica, dopo
dieci giorni mostrano dei visi lieti e radiosi. Voi, dal canto vostro, siete felici di aver
servito bene e che i risultati siano stati così buoni. In seguito, continuate a rallegrarvi
ogni qualvolta incontrate le stesse persone, o ricevete le loro lettere, e constatate
che continuano a procedere con successo sul sentiero. Questa è la vostra
ricompensa, la vostra bellissima ricompensa.
Anche i parami che costruite in voi stessi, i meriti che acquistate, sono altrettante
ricompense. Non aspettatevi assolutamente altro dagli studenti che servite.
E nel corso del servizio, sia che siate dei servitori, o degli insegnanti, o degli
organizzatori del corso, dovreste provare un sentimento di gratitudine. Non
aspettatevi affatto che la gente vi si mostri riconoscente. Ma voi, invece, dovreste
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provare gratitudine, gratitudine e grande venerazione e devozione verso l’Illuminato.
L’Illuminato si è prodigato molto per noi. Egli ha continuato a sviluppare i suoi parami
per un’infinità di secoli, con grandissimo impegno, fino a raggiungere il punto in cui
poté scoprire questa tecnica meravigliosa che era ormai perduta per l’umanità. Come
avrebbe potuto giungere fino a noi se egli non l’avesse scoperta? Dobbiamo sentirci
grati perché se egli, dopo aver raggiunto l’illuminazione e la liberazione, non avesse
insegnato, noi non avremmo saputo di questa tecnica. Egli invece, con infinita
compassione, continuò a trasmetterla per tutta la sua vita. È inevitabile che la nostra
gratitudine verso l’Illuminato sia senza confini.
Poi la tecnica è stata tramandata di generazione in generazione, da maestro a
discepolo, a partire dal Buddha fino a Sayagyi U Ba Khin – anche a loro va la nostra
riconoscenza, perché furono essi a conservarla nella sua purezza originaria. Essa si
era diffusa in diversi paesi, dove andò perduta, ed anche in India se ne persero le
tracce. Ma ci sentiamo grati a quei pochi birmani che la conservarono, perché senza
di essi noi oggi non l’avremmo.
Perciò il sentimento di riconoscenza rappresenta un importante segno di progresso
da parte di un meditatore. Servite dunque in maniera disinteressata e coltivate lo
spirito di gratitudine.
È anche necessario che tra di voi servitori, o assistenti, o addetti all’organizzazione,
non si creino sentimenti egoistici. Nessuno deve gloriarsi perché presta la sua opera
come servitore. Il modo in cui servite non ha importanza, il vostro scopo è quello di
servire gli altri e basta.
È chiaro che dovete nutrire buoni sentimenti gli uni verso gli altri. Se tra di voi non c’è
benevolenza, date un cattivo esempio, e vuol dire che non avete capito il Dhamma.
Perciò non sottovalutate mai questo punto. E il vostro obiettivo sia quello di lavorare
tutti insieme per servire l’umanità, per aiutare persone che soffrono. Ecco tutto.
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Illuminazione
D. Dobbiamo credere che lo scopo finale è l’illuminazione?
R. Dai cambiamenti che intervengono nella loro vita. Chi ha realmente sperimentato
il nibbāna, diventa una persona nobile, santa con una mente pura. Non trasgredisce
più i cinque precetti di base in nessun modo e invece di nascondere un errore, lo
ammette apertamente e cerca fortemente di non ripeterlo. L’attaccamento a riti e
cerimonie se ne va via, perché questi vengono riconosciuti come forme esteriori,
vuote, senza un’esperienza reale. Ha una fiducia inamovibile nel sentiero che lo
conduce alla liberazione, non continua a cercare altre strade. E, infine, in lui
l’illusione dell’ego sarà frantumata. Se qualcuno afferma di avere sperimentato il
nibbāna, ma la sua mente rimane impura come prima, così come le sue azioni
rimangono non salutari, allora c’è qualcosa di sbagliato. Il suo stile di vita deve
mostrare se una persona ha realmente sperimentato il nibbāna.
Non è appropriato per un maestro rilasciare “certificati” agli studenti - per annunciare
che hanno conseguito il nibbāna Diventerebbe una competizione che accresce l’ego
sia per l’insegnante che per gli studenti. Gli studenti cercherebbero solo di ottenere
un certificato e più certificati un maestro rilascia, più alta è la sua reputazione.
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L’esperienza del nibbāna diventa secondaria, il certificato acquista un’importanza
primaria e tutto diventa un gioco folle. Il puro Dhamma ha il solo scopo di aiutare la
gente, e il migliore aiuto è vedere che uno studente ha realmente sperimentato il
nibbāna e si è liberato. Lo scopo del maestro e dell’insegnamento è di aiutare la
gente genuinamente e non di pubblicizzare il suo ego. Non è un gioco.
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Inferno e paradiso
D. Cosa dice dell’inferno e del paradiso?
R. Tutti gli inferni e tutti i paradisi sono contenuti all’interno del nostro corpo. Quando
vi sentite infelici vi trovate nel regno dell’inferno, quando siete felici vuol dire che
state planando sui piani celestiali dei deva o di Brahmā. Tutti questi mondi sono
dentro di voi.
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Insegnamento
D. In poche parole cosa si impara da un corso di Vipassana?
R. Tutta l’importanza viene data a bhāvanā mayā paññā, perché in cinta mayā
paññā e in suta mayā paññā una persona può purificare la mente, ma soltanto fino
ad un certo grado. È solo bhāvanā mayā paññā che può portare ad un livello più
profondo della mente, e quindi purificarla. Allora i saṅkhāra profondamente radicati,
che secondo il Buddha sono chiamati anusaya kilesa e cioè quei condizionamenti,
quella sofferenza profondamente addormentata all’interno di noi stessi, vengono
sradicati e la persona è completamente liberata. Ciò può essere fatto solo con
bhāvanā mayā paññā, e si acquista bhāvanā mayā paññā solo con la saggezza che
deriva dall’esperienza diretta, cioè quella a livello delle sensazioni nel corpo.
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D. Pensa che U Ba Khin abbia insegnato esattamente ciò che Buddha ha insegnato?
Ha egli adattato l’insegnamento del Buddha ai tempi moderni? E se così è stato
come e cosa ha cambiato dall’insegnamento originale?
D. Lei segue nei suoi insegnamenti la stessa via di U Ba Khin o ha introdotto qualche
cambiamento? E se è così, un cambiamento può essere un arricchimento
dell’insegnamento di U Ba Khin oppure diventare la possibilità di creare confusione?
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fondamenti di tutta la religiosità del popolo indiano e della spiritualità che è sorta in
India prima del Buddha durante e dopo il Buddha. Perciò quando ho che fare con
qualche persona di questa estrazione devo comprendere ciò che c’è dietro a questa
persona e spiegare le cose in modo che essa possa comprendere meglio
l’insegnamento del Buddha; questo non vuole dire cambiare la tecnica. È solamente
spiegare le cose alla gente in modo che possano comprendere l’insegnamento del
Buddha senza pericolo di confusione.
D. Insegnando il Dhamma, trova che gli studenti orientali asiatici siano diversi dagli
occidentali? Lei non modifica mai l’insegnamento per adattarlo alle varie culture?
D. Esistono altre tecniche di meditazione. Vi sono altri metodi che possono portare
alla realizzazione di questa verità ultima?
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R. Il punto di partenza della meditazione può essere diverso. Potrebbero esservi
delle persone che non possono iniziare con la respirazione perché essa per loro è un
oggetto troppo sottile; questi potrebbero cominciare con un oggetto più facilmente
percepibile. Ma noi crediamo che alla fine tutti devono confluire nella stessa via,
quella in cui si sperimentano sensazioni in tutto il corpo. È necessario che vi sia
“sampajāna” (perfetta comprensione) e per avere “sampajāna”, occorre percepire le
sensazioni nell’intero corpo.
D. Mi pare che qui Lei si riferisca ad un livello mentale molto profondo, a quello
subcosciente.
R. Sì. È per agire su quella parte della mente che il Buddha ha elaborato questa
tecnica. Egli aveva dapprima provato gli otto jhāna (livelli di assorbimento) che
avevano purificato la sua mente, ma non le profondità della mente. In fondo ad essa
giacevano quelle che il Buddha chiamò “le impurità assopite“, e cioè le radici delle
impurità che ancora rimanevano conficcate nella mente. Egli comprese che queste si
potevano estirpare soltanto con la pratica di Vipassana, cioè attraverso la
consapevolezza delle sensazioni.
Dovete rendervi conto che quella che voi chiamate mente inconscia è in realtà
ininterrottamente conscia: conscia ogni attimo delle sensazioni del corpo. Se ad
esempio, state dormendo profondamente, ed una zanzara vi punge, la vostra mente
inconscia lo sa e voi reagite, pur continuando a dormire. Molte volte durante l’intera
notte, continuerete a grattarvi, senza che la vostra mente conscia se ne renda
minimamente conto. Succede lo stesso durante il giorno. Se rimanete seduti a lungo
e incominciate a sentirvi a disagio, iniziate ad agitarvi ed a cambiare posizione:
queste sono tutte reazioni della mente inconscia. Buddha scoprì appunto che la
mente inconscia è costantemente in contatto con le sensazioni del corpo. Di
conseguenza, se vogliamo purificare la parte inconscia della nostra mente, è con
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queste sensazioni che dobbiamo lavorare. Se non si tiene conto delle sensazioni
fisiche, allora si è in contatto soltanto con la superficie della mente. Questa verrà
purificata, e si tratta di un indubbio vantaggio, ma le complessità latenti nella parte
più profonda della mente, i forti condizionamenti del passato, quelli, rimarranno
inalterati.
R. Dovete capire cos’è il puro Dhamma. È la legge di natura, la verità relativa alla
mente ed alla materia, al modo in cui queste interagiscono e si influenzano
reciprocamente. È l’esperienza reale dell’intero fenomeno fisico-psichico, non
qualcosa di puramente intellettuale, che non serve a niente. Il Buddha voleva che il
Dhamma fosse sperimentato.
L’esperienza della verità, il giungere alla radice della mente, avviene per tutti allo
stesso modo. Si parte dalla superficie della mente e si va sempre più in profondità.
La parte superficiale della mente, quella che il Buddha chiamava paritta citta e che gli
occidentali chiamano mente conscia, rappresenta una minima parte della mente. Ma
penetrando sempre più in profondità, si raggiunge la radice del problema. Si riesce a
capire come funziona il meccanismo della reazione. In Pali esiste un temine nati, che
significa tendenza. In conseguenza della tendenza che si manifesta in noi, si instaura
una reazione che continua nel tempo. Se la tendenza è quella alla rabbia, si continua
a generare rabbia per ore di seguito. E il condizionamento di rabbia che già esiste in
noi si rafforza sempre più. Lo stesso accade per qualsiasi altra passione. I
condizionamenti diventano sempre più potenti.
Ora, ognuno di noi è responsabile dei condizionamenti che crea. Essi non sono il
risultato di potenze esterne. Sono la conseguenza della nostra ignoranza.
Ma con Vipassana uno si rende conto. “Guarda un po’ che gioco sto giocando. Mi sto
facendo del male. Divento prigioniero del mio schema di comportamento”. Allora si
comincia ad osservare, a vedere come nasce la tendenza, come si instaura la
reazione e come si continua a reagire. Allora si smetterà di reagire, si interromperà la
sequenza, e ci si libererà dal condizionamento. Verrà poi il momento in cui neanche
la tendenza si manifesterà più.
Può forse esserci qualcos’altro nel puro Dhamma? Si può mascherare il problema
stendendo uno spesso strato sulla mente. Quando la mente si riempie di negatività,
si può deviare l’attenzione recitando delle parole, dei mantra, ed ecco che la mente si
calma. Ricoprendola di uno strato di qualcos’altro, la rabbia viene dimenticata.
Ma tutto ciò riguarda soltanto la superficie della mente. Giù nel profondo la tendenza
continua ad esistere, il condizionamento rimane inalterato: come cambiare questo
condizionamento, se non arrivando a quella profondità? Vipassana è la via che
conduce a quel livello, lì dov’è possibile osservare la realtà così com’è. Inutile voler
cambiare la realtà, il cambiamento avviene da solo. È sufficiente osservarla,
continuare semplicemente ad osservarla, e l’abitudine a reagire verrà
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automaticamente eliminata. Allora si è fuori dal carcere, si è liberati dalla propria
schiavitù. E questa è l’unica via, ekāyano maggo.
R. Certamente può essere usato anche dai monaci, alcuni di questi hanno
partecipato ai suoi corsi, ma siccome c’erano tanti altri monaci che insegnavano in
Burma egli non voleva prendersi questa responsabilità. Venendo ad insegnare in
India, mi ero posto il problema se dovevo permettere ai monaci di partecipare ai miei
corsi. Sin dal primo corso mi si è posto questo problema perché un monaco famoso
dello Sri Lanka che era in quel periodo a Bombay, mi domandò di partecipare come
studente ad un corso. Allora mi rivolsi telefonicamente ad U Ba Khin chiedendogli
che cosa dovevo fare, ed egli mi disse: “Si certo devi accettare che dei monaci
partecipino al tuo corso perché attualmente in India non ci sono altri che possono
insegnare questa tecnica, perciò ai monaci non deve essere tolta questa possibilità
di poter imparare questa tecnica”. Ho quindi incominciato ad insegnare anche a loro,
non solo ad uno o due, ma a centinaia di monaci. Il risultato è lo stesso sia che uno
sia monaco oppure laico.
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Io
D. Lei parla dell’esperienza dell’Io solo in termini negativi. Non ha un lato positivo?
Non c’è un‘esperienza dell’lo che riempie la persona di gioia, di pace, di estasi?
R. A quel livello l’Io non ha alcuna importanza. Quando si raggiunge quel livello, l’ego
si dissolve. C’è solo gioia. La questione dell’Io allora non si pone neppure.
D. lo sono venuto qui perché sentivo che il mio Io aveva bisogno di venire qui.
R. Sì. È vero. Per gli scopi convenzionali, non possiamo sfuggire dall’Io o dal “mio”.
Ma attaccarci ad essi, considerarli reali nel senso ultimo ci porterà solo sofferenza.
D. Perché tendo a rinforzare questo ego? Perché continuo a voler essere Io?
R. Il primo passo è riconoscere quanto si sia egoisti ed egocentrici. A meno che non
si comprenda questa verità, non si può emergere dalla pazzia dell’amore di sé. Man
mano che proseguirete nella pratica, vi accorgerete che anche il vostro amore per gli
altri è nei fatti un amore egoistico. Capirete di amare qualcuno perché vi aspettate
qualcosa da lui, vi aspettate che si comporti in un modo che vi piace: nel momento in
cui questo qualcuno inizia a comportarsi in modo diverso, il vostro amore sparisce.
Così vi domanderete se amate questa persona o voi stessi. La risposta vi diventerà
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chiara, ma non cercandola a livello intellettuale, bensì con la pratica di Vipassana. E
una volta che avrete fatto questa esperienza diretta, potrete iniziare a emergere dal
vostro egoismo, imparando a sviluppare un amore reale per gli altri, un amore
altruistico, a senso unico: dare senza aspettarsi niente in cambio.
D. Trova che gli occidentali siano più attaccati al concetto dell’“io” di quanto lo siano
gli indiani?
R. Se per “io” si intende l’anima, gli indiani hanno più difficoltà con questo problema.
Ma quando si parla dell’Ego, è la stessa cosa dappertutto. A Burma, in India o in
America, la gente impazzisce per il proprio “Io”. Per questo la tecnica di meditazione
è così importante, perché ha lo scopo di dissolvere l’“io”.
D. Mi accorgo di essere molto propenso a sminuire gli altri. Qual’è il modo migliore
per affrontare questo problema?
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Che si tratti di pittura, o di poesia, o di letteratura, o anche di danza, l’arte non verrà
più usata per suscitare passione, o rabbia, o odio nella mente altrui – questo non
sarà più possibile.
Con la pratica di Vipassana, si migliorerà la qualità della propria arte. Il suo effetto
sarà quello di arrecare pace ed armonia. Occorre verificare se questo avviene. Ma è
inutile puntare su uno stato di completa assenza dell’io.
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Maestri spirituali
D. Tanti maestri spirituali che sono venuti in occidente nei decenni passati sono stati
screditati, o sono stati coinvolti in scandali. Secondo Lei, perché questo accade così
frequentemente?
R. Oh no, nessuno dovrebbe parlare di quello che altre persone hanno raggiunto in
meditazione. In Dhamma se continuate a giudicare gli altri (come è il mio maestro,
dove è arrivato il mio maestro), allora uno non può imparare nulla. Una cosa è chiara
che l’insegnante sa qualche cosa in più dello studente, ed è per questo che è capace
di insegnare. E se avete rispetto per l’insegnante, allora prendete tutto quello che vi
può dare, invece di stare lì a giudicarlo, il che non ha alcun significato. Perché se
qualcuno dicesse “io sono un arahant” lo studente può anche non crederlo, e allora si
creerebbe uno spiacevole e dannoso saṅkhāra dello studente verso l’insegnante. Se
invece qualcuno dice “no io non sono un arahant” allora lo studente potrebbe dire
“come, se il mio insegnante non è diventato un arahant come posso io diventarlo”.
Perciò dare qualificazioni dell’insegnante non è appropriato in questo cammino.
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Malattie
D. Questa tecnica guarisce malattie fisiche?
D. Ho notato di avere sensazioni grossolane nelle zone dove c’è stata una malattia
nel mio corpo.
R. Questi sono i vostri punti deboli, e tutti i saṅkhāra si manifestano lì. Se siete
equanimi, passano. In questo modo purificate la vostra mente e, nel processo, anche
questa parte del corpo si purifica e la malattia se ne va. Ma lo scopo non dovrebbe
essere quello di curare le malattie; lo scopo dovrebbe essere quello di purificare la
mente. La guarigione fisica dovrebbe essere considerata soltanto una conseguenza.
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Mente
D. Quando parlate di “mente“, non sono sicuro di cosa volete intendere. Mi è
impossibile localizzare la mente.
R. Oh no, no. Qui in Occidente si pensa che la mente sia solo nella testa. È un
concetto sbagliato.
D. Lei tratta l’emozione che sorge allo stesso modo dei pensieri?
R. Sì, sì! Ogni emozione non è altro che qualcosa che avete profondamente
represso nel passato. Con questa tecnica, tutte le cose represse devono venire alla
superficie. Quando l’emozione viene in superficie, accettate semplicemente il fatto
che l’emozione è venuta su. Non mettetela in relazione con qualche altro oggetto,
non rapportatela a questo o a quello, non entrate in dettagli. L’emozione è
l’emozione. Accettate l’emozione astratta. E insieme a questa, che sensazione avete
avuto? Dovete provare una sensazione nel corpo. Continuate ad osservare la
sensazione: anicca - anicca - anicca. Le sensazioni sono anicca. Quest’emozione è
anch’essa anicca. Vediamo quanto dura... sta passando...; avete tagliato le radici
dell’emozione. Ma se entrate nei dettagli dell’emozione, comincerete a rotolarvici e
allora si moltiplicherà e di nuovo verrà repressa. Perciò non entrate nei dettagli:
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accettate l’emozione come semplice emozione e continuate ad osservare la
sensazione.
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Moralità
D. È un’azione sbagliata fare del male a un altro accidentalmente?
R. No. Il sesso ha un suo posto nella vita di un laico. Non deve essere forzatamente
soppresso, perché l’astinenza forzata produce tensioni che a loro volta creano altri
problemi, altre difficoltà. Tuttavia, chi dà libero sfogo alle urgenze sessuali e si
permette di avere relazioni sessuali con chiunque, ogniqualvolta nasce una
passione, non potrà mai liberare la sua mente dalle passioni. Evitando questi due
estremi ugualmente pericolosi, Dhamma offre una via di mezzo, una sana
espressione della sessualità che permette lo sviluppo spirituale, e cioè una relazione
sessuale tra un uomo e una donna che si sono impegnati l’uno con l’altro. E se
entrambi i partner sono meditatori di Vipassana, quando la passione sorge, entrambi
la osservano. Questo non è né repressione né licenza. Per mezzo dell’osservazione
è possibile liberarsi facilmente dalla passione. A volte una coppia avrà ancora dei
rapporti sessuali, ma gradualmente raggiungerà lo stadio in cui il sesso non ha più
alcun significato. Questo è lo stadio dell’astinenza reale, naturale, in cui la mente non
è neppure sfiorata dall’idea della passione. Questa astinenza dà una gioia che va
oltre ogni soddisfazione sessuale. Ci si sente sempre contenti, armoniosi. Si deve
imparare a sperimentare questa autentica felicità.
D. In Occidente molti pensano che i rapporti sessuali tra due adulti consenzienti sono
leciti.
R. Questa opinione è molto lontana dal Dhamma. Chi ha rapporti sessuali con una
persona, e poi con un’altra e poi con un’altra ancora, moltiplica la sua passione e la
sua infelicità. Bisogna essere impegnati con una sola persona o scegliere il celibato.
D. Cosa pensa dell’uso di droghe per sperimentare altri stati di coscienza e di realtà
diverse?
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R. Alcuni studenti mi hanno riferito che con l’uso di droghe psichedeliche sono
passati attraverso esperienze simili a quelle che hanno incontrato con la
meditazione. Sia che questo sia o non sia vero, avere un’esperienza indotta da una
droga è una forma di dipendenza da un agente esterno. Il Dhamma, invece, vi
insegna a diventare padroni di voi stessi così da poter sperimentare la realtà a vostro
piacimento, ogni volta che lo desiderate. Un’altra differenza molto importante è che
l’uso di droghe fa perdere a molti l’equilibrio mentale e li danneggia, mentre
l’esperienza della verità fatta con la pratica di Dhamma rende i meditatori più
equilibrati, senza arrecare danno a se stessi o ad altri.
R. Bevendo anche solo una piccola quantità, alla lunga si sviluppa un desiderio per
l’alcol. La gente non se ne accorge, ma fa il primo passo verso la dipendenza, che è
certamente dannosa per tutti. Ogni dipendenza inizia da un solo bicchiere. Perché
fare il primo passo verso la sofferenza? Chi pratica seriamente la meditazione e un
giorno beve un bicchiere di vino senza pensarci o per convenienza sociale, quel
giorno scoprirà che la sua meditazione è debole. Il Dhamma non va d’accordo con
l’uso di sostanze intossicanti. Chi desidera veramente svilupparsi in Dhamma, deve
rimanere libero da tutte le sostanze intossicanti. Questa è l’esperienza di migliaia di
meditatori. I due precetti concernenti il comportamento sessuale scorretto e l’uso di
sostanze intossicanti devono essere ben compresi dagli occidentali.
R. No, a meno che chi compie quest’atto non abbia lui stesso ucciso l’animale. Se
una persona trova della carne preparata per lei, e la gradisce come qualsiasi altro
cibo, non c’è trasgressione. Ma, certamente, mangiando carne, si incoraggia
indirettamente qualcun altro a trasgredire il precetto uccidendo. Mangiare carne, poi,
è dannoso anche a un livello più sottile. Ad ogni istante gli animali generano
bramosia e avversione, sono incapaci di osservarsi e di purificarsi la mente. Ogni
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fibra del loro corpo è permeata di bramosia e avversione. Questo è il messaggio che
le persone ricevono allorché non mangiano dei cibi vegetariani. Un meditatore cerca
di sradicare bramosia e avversione, e quindi troverà utile evitare tali cibi.
D. Se capita che il proprio lavoro abbia un effetto negativo, se ciò che si fa può
essere usato in modo negativo, è questo un mezzo improprio di sussistenza?
R. Si, se vi sembra che una certa cosa venga usata solo per danneggiare gli altri,
allora certamente non dovreste prendervi parte. Ma quella stessa macchina da presa
può essere usata a fin di bene, per del lavoro corretto. Se può essere usata in
entrambi i modi, allora non avete alcuna responsabilità. Fate che le persone che la
usano lo facciano per scopi positivi, non negativi. Finché la vostra intenzione è giusta
e siete certi che quello che state facendo può essere anche usato a fin di bene, non
c’è nulla di sbagliato. Tuttavia, se qualcosa viene usata solo per un cattivo scopo -
come una bomba atomica che è usata solo per distruggere e nient’altro - e voi
partecipate alla sua costruzione, allora non è bene.
D. Lei stesso ha detto che la gente può avere meravigliose esperienze durante la
meditazione pur senza osservare i precetti. Non le sembra dogmatico e categorico
sottolineare cosi fortemente la condotta morale?
R. Ho visto, sulla base dell’esperienza di molti studenti, che chi non dà importanza a
sīla non può fare progressi sul sentiero. Queste persone possono frequentare i corsi
per anni e avere meravigliose esperienze di meditazione, ma senza che nella loro
vita ci siano cambiamenti. Restano agitati e infelici perché stanno solo giocando con
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Vipassana, così come hanno giocato con altri metodi. Persone così sono dei veri
perdenti. Quelli che vogliono davvero servirsi di Dhamma per cambiare la propria vita
in meglio, debbono praticare sīla il più attentamente possibile.
R. Sentirvi in colpa non vi aiuterà, vi causerà solo danno. La colpa non ha posto nel
sentiero di Dhamma. Se vi accorgete di avere agito in modo errato, accettate
semplicemente il fatto senza cercare di giustificarlo o di nasconderlo. Potete anche
andare da qualcuno in cui avete fiducia e dirgli: “Ho fatto questo errore, ma in futuro
starò attento a non ripeterlo”. E poi meditate, e scoprirete di poter superare tutte le
difficoltà.
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Psicologia
D. Sia Vipassana sia la psicologia occidentale studiano la mente e la natura umana.
Si possono usare queste discipline come forme complementari di investigazione del
sé?
R. Nella psicoanalisi cercate di richiamare alla coscienza gli avvenimenti passati che
hanno una forte influenza nel condizionare la mente. Vipassana, d’altra parte,
conduce il meditatore ai livelli più profondi della mente dove, di fatto, inizia il
condizionamento. Ogni episodio che si può cercare di ricordare in psicoanalisi ha
anche registrato una sensazione a livello fisico. Osservando le sensazioni fisiche in
tutto il corpo con equanimità, il meditatore permette ad innumerevoli strati di
condizionamento di sorgere e andarsene. Egli si confronta con le radici del
condizionamento e può liberarsi da esso rapidamente e facilmente.
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Reazione
D. Non è forse innaturale non reagire mai?
R. È ciò che sembra a coloro che hanno esperienza solo degli errati schemi abituali
di una mente impura. Ma è naturale per una mente pura rimanere distaccata, piena
d’amore, compassione, benevolenza, gioia ed equanimità. Dovete imparare a
sperimentarlo.
D. Lei allena la mente a non reagire nel modo che le è abituale a qualsiasi
sensazione possa sorgere?
R. Questa è una buona domanda, che continua ad essere posta durante i corsi. La
gente ha difficoltà a comprendere il significato di mente equanime ed equilibrata.
Molte volte vi sono delle incomprensioni sul suo significato, perché la confondono
con indifferenza o inattività. In effetti è proprio il contrario. Vipassana vi farà fare una
vita piena di azione, rendendovi liberi dalle reazioni. La gente ora sta vivendo una
vita piena di reazioni, ogni momento continuiamo a reagire o con bramosia o
avversione alle differenti situazioni. La mente in questo modo diventa instabile e
piena di negatività, vi danneggiate e danneggiate gli altri.
Ma se di fronte alle situazioni, si rimane equilibrati ed equanimi, anche solo per
qualche momento, e poi si prende qualche decisione, allora quella decisione basata
su un momento equilibrato della mente sarà sicuramente giusta.
La vostra diventerà così una vita piena di azioni positive, non di azioni reattive.
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Saggezza
D. Perché non viviamo in pace?
R. Perché ci manca la saggezza. Una vita senza saggezza è una vita di illusioni, uno
stato di agitazione e di sofferenza. La nostra prima responsabilità è di vivere una vita
sana, armoniosa, buona per noi e per tutti gli altri. Per fare ciò dobbiamo imparare ad
usare le nostre facoltà di auto-osservazione, di osservazione della verità.
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Sensazioni
D. Come possiamo capire che non stiamo creando delle sensazioni?
R. Potete fare una prova. Se siete in dubbio che le sensazioni che provate siano
reali, potete darvi due o tre ordini, autosuggestioni. Se vedete che le sensazioni
cambiano a vostro comando, allora sapete che non sono reali. In quel caso dovete
gettare via tutta quanta l’esperienza e ricominciare osservando il respiro per un po’.
Ma se trovate che non potete controllare le sensazioni, che esse non cambiano a
vostro piacimento, allora dovete gettare via i dubbi e accettare che l’esperienza è
reale.
D. Se queste sensazioni sono reali, perché non le proviamo nella vita ordinaria?
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desiderio per queste sensazioni piacevoli. Quindi dovete stare attenti a non prendere
una esperienza sensibile piacevole come meta finale. Dovete continuare ad
osservare ogni sensazione oggettivamente per sradicare tutte le reazioni
condizionate.
D. Pensavo che fosse meglio che le sensazioni fossero grossolane, perché questo
significava che un vecchio saṅkhāra era riemerso.
D. In questo periodo, sto esaminando il mio corpo parte per parte e sto pensando al
“libero flusso”. Come accadrà?
R. Se verrà, verrà. Non potete crearlo. Finché ci sono sensazioni grossolane nelle
diverse parti del corpo, continuate ad osservarle. Poi, con la comprensione di anicca,
verrà il tempo in cui si dissolveranno e voi sentirete un tipo uniforme di sensazioni
sottili, come vibrazioni; e allora sentirete come un fluire di queste vibrazioni. Accade
naturalmente.
R. Osservate qualsiasi sensazione sorga. Non potete scoprire quale sensazione sia
collegata con quell’emozione, per cui non cercate di farlo, questo significa indulgere
in uno sforzo inutile. Nel momento in cui nella mente c’è un’emozione, qualsiasi
sensazione sperimentiate fisicamente ha una relazione con quell’emozione.
Osservate la sensazione e capite che “Queste sensazioni sono anicca. Anche questa
emozione è anicca. Vediamo un po’ quanto dura”. Scoprirete di aver tagliato le radici
dell’emozione, ed essa se ne va.
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R. Sono le due facce della stessa moneta. L’emozione è mentale e la sensazione è
fisica, ma sono in relazione. Di fatto ogni emozione, qualsiasi cosa sorga nella
mente, suscita una sensazione nel corpo. É una legge di natura.
R. Registrate solo il fatto che c’è un pensiero ossessivo o un’emozione nella mente.
É qualcosa che era stato profondamente soppresso e che ora appare a livello
conscio. Non scendete in dettagli. Accettate solo l’emozione come emozione. E
assieme ad essa, che tipo di sensazione sentite? Non ci può essere un’emozione
senza una sensazione a livello fisico. Iniziate ad osservare quella sensazione.
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Società
D. Questo insegnamento è chiamato “un’arte di vivere”. La meditazione può essere
usata come strumento per creare una società migliore?
R. Voi vi isolate dagli altri e rivolgete la vostra attenzione all’interno solo per poter
guadagnare purezza di mente, e quindi poter recuperare un po’ di energia positiva,
ma poi questa energia deve essere estrinsecata. Così come uno che deve fare un
gran salto, di solito fa alcuni passi indietro per poter prendere la rincorsa e fare un
gran salto. Così anche voi, quando meditate, vi ritirate dentro voi stessi per poter fare
un gran salto nella società, in modo da poterla servire. Così il Buddha lasciò la vita di
laico per sei anni interi per poter acquisire la conoscenza e la forza per raggiungere
l’illuminazione. Solo per sei anni, poi per i rimanenti 45 anni della sua vita fu coinvolto
nella società, insegnò nella società, servì la società giorno e notte. Così chi impara a
meditare non lo fa per fuggire via dalla società, ma per potersi impegnare meglio
nella società.
D. Vipassana gioca un ruolo importante nel cambiamento sociale. Dal 1969 Lei porta
avanti il lavoro di diffusione di Vipassana. E tuttavia continuano ad aumentare
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pregiudizi di casta, pregiudizi religiosi e nazionalismi, con ogni genere di amare
conseguenze. Secondo Lei, cosa potrebbe eliminare questi mali?
R. Vi è una sola via d’uscita, ekāyano maggo, un solo percorso. Si tratta di cambiare
l’individuo. Se si vuole cambiare la società bisogna cambiare l’individuo. La società
non è altro che una massa di individui. È l’uomo che è importante, più di tutto il resto.
E l’uomo non è altro che un insieme di mente e materia, e tra le due prevale la
mente.
Occorre perciò far capire alla gente che la mente ha un’importanza unica e che per
eliminare tutta la sofferenza che risulta dai pregiudizi di casta, di religione e di
nazionalità, ogni individuo deve cambiare il modello di comportamento della propria
mente. Bisogna mostrare alle persone quanta negatività tutto ciò provoca in ognuna
di esse.
Quando si impara Vipassana e ci si guarda dentro, si capisce che ogni volta che
generiamo odio, facciamo del male a noi stessi. Prima ancora di nuocere ad un’altra
persona, abbiamo già cominciato a soffrire.
A nessuno piace soffrire. Ma non ci si rende conto che ogni volta che si genera
negatività nella propria mente, si danneggia se stessi, che la prima vittima di quella
negatività siamo noi. Il primo bersaglio che si colpisce non sono gli altri, ma noi
stessi. Man mano che la gente si renderà conto di questo, cercherà di liberarsi da
questi condizionamenti. Ma ci vuol tempo.
Qui in India, dove vivono tanti milioni di persone, non ci si può aspettare che
venticinque o ventisei anni bastino a cambiare il paese. Tuttavia io ho speranza,
perché si è dato inizio a qualcosa. Il Dhamma, questa splendida, universale legge di
natura, è andato smarrito per ben duemila anni. Fortunatamente, i paesi vicini
l’hanno preservato di generazione in generazione nella sua purezza originaria, anche
se tra un ristretto numero di persone. E noi ora l’abbiamo recuperato nella sua forma
pura.
Io sono convinto che i risultati che già si sono manifestati avranno ben presto un
impatto sulla società. Se un’intera giungla si è disseccata, per vederla rinverdire
occorre che ogni singolo albero ridiventi verde. Bisogna perciò annaffiare le radici di
ogni albero. Quando ogni albero avrà riacquistato salute l’intera giungla sarà
risanata. Se gli individui ridiventeranno sani, la società sarà sana. Il compito di
Vipassana è questo. Ci vorrà tempo, inevitabilmente. Ma ho la grande speranza che i
risultati che si manifestano cambieranno la società.
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D. Questo riguarda l’osservazione delle mie sensazioni, ma io stavo parlando di
qualcosa più rapportato alla vita.
R. Nella vita di tutti i giorni quello che dovete fare è: rimanere equilibrati ogni volta
che, anche per pochi momenti, si crea una situazione. Osservate le vostre
sensazioni anche per poco. Quando la mente è equilibrata, allora prendete una
decisione comprendendo la situazione. Qualunque decisione prendiate, sarà una
decisione buona e sana, perché la vostra base sarà buona, perché la mente è
divenuta calma, equilibrata. Quando la vostra mente non è equilibrata, qualunque sia
la vostra decisione, si tratterà di una reazione, non di un’azione.
R. Sì, dovete agire. La vita è per l’azione, non potete diventare inattivi. Ma l’azione
deve essere fatta con la mente equilibrata. Quindi prima di agire, è meglio calmare la
mente. Questa tecnica di meditazione vi aiuterà a farlo. In pochi attimi diverrete calmi
e quindi potrete agire.
D. Sono d’accordo che questa meditazione aiuterà me, ma come può risolvere i
problemi della società?
D. Se non si è in collera o critici, ma si nota che qualcosa può essere fatto in modo
diverso, e migliore, allora si può andare avanti ed esprimersi in merito?
R. Si, dovete agire. La vita è fatta per l’azione, non dovete diventare inattivi. Ma
l’azione deve essere compiuta con una mente equilibrata.
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D. A quale scopo cercare pace dentro di noi quando non c’è pace nel mondo?
R. Il mondo sarà in pace solo quando la gente sarà in pace e felice. Il cambiamento
deve partire a livello individuale. Se la foresta si inaridisse e voi voleste ridarle vita,
dovreste innaffiare ogni albero. Se volete un mondo di pace, dovete imparare a
essere in pace con voi stessi. Solo allora potrete portare la pace nel mondo.
D. Molti episodi della vita di U Ba Khin dimostrano il suo coinvolgimento nel lavoro
del governo. Può descrivere quali erano le sue opinioni, le sue sensazioni verso
l’impegno sociale e la sua attitudine verso questo lavoro, il suo lavoro?
R. Ebbene come laico, uno deve vivere una vita con delle responsabilità sociali,
come monaco uno non ha delle responsabilità sociali perché è tutto dedicato alla
meditazione. Ma come capo-famiglia, come laico uno deve avere queste
responsabilità. E così U Ba Khin come responsabile del governo voleva che tutti i
suoi dipendenti lavorassero con integrità morale, con disciplina, con onestà, e
sviluppassero efficienza nel loro lavoro, in modo da poter avere buoni risultati. È per
questo obbiettivo che egli dedicava molto del suo tempo a migliorare
l’amministrazione. Ottimo obbiettivo per un laico.
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D. Qual è il suo messaggio all’India ed al mondo nel contesto attuale?
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Sofferenza
D. Rimanere felici e in pace anche quando ci si confronta con la sofferenza altrui non
è forse pura insensibilità?
R. Essere sensibili alle sofferenze degli altri non significa che si debba diventare
tristi. Al contrario, dovete rimanere calmi ed equilibrati così da poter alleviare le
sofferenze altrui. Se anche voi diventate tristi, accrescete l’infelicità attorno a voi; non
aiutate gli altri e non aiutate voi stessi.
D. La sofferenza non è forse una parte naturale della vita? Perché dobbiamo cercare
di sfuggirle?
R. Siamo ormai così invischiati nella sofferenza che esserne esenti ci sembra
innaturale. Ma quando sperimenterete la reale felicità della purezza mentale, allora vi
renderete conto che questo è uno stato naturale della mente.
R. Non dovete permettere che qualcuno vi faccia del male. Ogni volta che qualcuno
fa qualcosa di sbagliato, fa male agli altri e nello stesso tempo a se stesso. Se gli
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permettete di fare del male, lo incoraggiate a farlo. Dovete usare tutta la vostra forza
per fermarlo, ma solo con benevolenza, con compassione e simpatia per quella
persona. Se agite con odio o ira, allora aggravate la situazione. Ma voi non potete
avere benevolenza per una persona a meno che la vostra mente non sia calma e in
pace. Una volta che avrete appreso con la pratica a sviluppare la pace dentro di voi,
il problema potrà essere risolto.
R. Chi è soddisfatto dai piaceri superficiali della vita ignora i turbamenti profondi della
mente. Si illude di essere una persona felice, ma i suoi piaceri non sono duraturi e le
tensioni generate nell’inconscio si accresceranno, per apparire prima o poi al livello
mentale conscio. Quando accade ciò, questa persona cosiddetta felice diventa triste.
E allora, perché non iniziare a lavorare qui e ora per evitare una simile situazione?
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Tecnica
D. Perché insiste nel seguire un ordine nell’osservazione delle sensazioni in differenti
pari del corpo invece di lasciare la mente osservare qualunque cosa accada nel
corpo?
R. Perché in tale modo occorre parecchio più tempo, molto più tempo. Nella nostra
esperienza abbiamo verificato che coloro che lavorano metodicamente, seguendo un
ordine preciso, più velocemente avranno la possibilità di aprire il loro corpo. Coloro
che osservano solo le sensazioni che di quando in quando appaiono in differenti parti
del corpo, generalmente osservano solo le sensazioni forti, perché le sensazioni forti
sono predominanti. Poiché la tendenza della mente é proprio quella di osservare solo
là dove compaiono le grosse sensazioni, in questo modo si impiega molto tempo, a
volte anni, per poter raggiungere lo stato del bhaṅga e cioè della dissoluzione
dell’intera solidità del corpo.
R. Perché questo è ciò che il Buddha vuole. Egli ha insegnato che si sviluppa la
propria saggezza, la propria bhāvanā mayā paññā con l’osservazione delle
sensazioni e con la comprensione di anicca, della loro impermanenza. Solo questa
esperienza, questa comprensione dell’impermanenza, può condurre la persona a
comprendere la vera realtà della sofferenza, e questo a sua volta la conduce alla
comprensione dell’inesistenza del proprio io, a capire che non c’è un io, nessun io.
D. Lei pensa che rallentando il ritmo delle proprie attività, ad esempio, camminando
o mangiando lentamente, è più facile percepire queste sensazioni fisiche?
R. Noi non ci pronunciamo contro altre tecniche, ma il nostro metodo non ammette
né verbalizzazioni, né visualizzazioni. Può andar bene, se si vuole calmare la mente,
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ripetere alcune parole una o due volte. Ma se si continua a ripeterle, esse diventano
un mantra. Infatti se si continua a ripetere “prurito, prurito, prurito”, oppure: “calore,
calore, calore”, si genera una particolare vibrazione, in quanto ogni parola che viene
pronunciata, anche solo mentalmente, genera una vibrazione indotta e dalla quale
l’intero vostro essere può venire sopraffatto. Il Buddha ci insegna ad osservare
unicamente le vibrazioni naturali; questa è la ragione per cui in questa tecnica non
c’è posto per le verbalizzazioni. Questa tecnica ha per scopo la disintegrazione della
verità apparente, mentre con la visualizzazione voi create appunto una verità
apparente ed immaginaria che vi complica inutilmente la vita.
R. Perché state lavorando per esplorare la completa realtà della mente e della
materia. Per far questo dovete sviluppare la capacità di sentire ciò che accade in
ogni parte del corpo, nessuna parte dovrebbe rimanere insensibile. Dovete anche
sviluppare la capacità di osservare tutta la gamma delle sensazioni. Ecco come il
Buddha descrisse la pratica: “In ogni luogo dentro i limiti del corpo si sperimentano
sensazioni, dovunque ci sia vita nel corpo”. Se permettete all’attenzione di muoversi
a caso da una parte a un’altra, da una sensazione ad un’altra, naturalmente sarà
sempre attratta da quelle zone in cui ci sono sensazioni più forti. La vostra
osservazione rimarrà parziale, incompleta, superficiale. Quindi è essenziale muovere
sempre l’attenzione con ordine.
D. Non è possibile praticare Vipassana osservando una delle sei porte dei sensi, per
esempio, osservando il contatto dell’occhio con la visione e dell’orecchio con il
suono?
D. Questo pomeriggio ho cercato una nuova posizione in cui fosse facile sedersi a
lungo senza muoversi, mantenendo la schiena diritta, ma non ho potuto provare
molte sensazioni. Mi chiedo se le sensazioni verranno o se devo ritornare alla
vecchia posizione.
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R. Non cercate di creare sensazioni scegliendo deliberatamente una posizione
scomoda. Se quello fosse il modo giusto per praticare, vi chiederemmo di sedere su
un letto di chiodi! Tali estremi non aiutano. Scegliete una posizione confortevole in
cui il corpo sia diritto e lasciate che le sensazioni vengano naturalmente. Non cercate
di crearle per forza, permettete loro solo di apparire. Verranno, perché esse ci sono.
Forse stavate aspettando una sensazione del tipo che avete già sentito, ma ci
potrebbe essere qualcos’altro.
D. Per sedermi uso due posizioni: una è relativamente comoda per un’ora, con poco
dolore, l’altra diventa molto dolorosa entro quarantacinque minuti. Per lavorare con
questo metodo, quale delle due raccomanda?
R. Certamente. Non ci sono segreti in Dhamma. Potete parlare a chiunque di ciò che
avete fatto qui. Ma guidare la gente nella pratica è una cosa totalmente diversa, che
non dovrebbe essere fatta a questo livello. Aspettate finché sarete saldamente
stabiliti nella pratica e formati a guidare gli altri. Se qualcuno a cui parlate di
Vipassana è interessato a praticarla, dite a quella persona di venire a un corso.
Almeno la prima esperienza di Vipassana deve essere fatta in un corso organizzato
di dieci giorni, sotto la guida di un maestro qualificato. Dopo questa esperienza si
può praticare da soli.
D. Ho notato che molto spesso durante la pratica, ci sono brani di conversazione che
scorrono nella mia mente - parole o suoni o musica. Tuttavia, sento ugualmente le
sensazioni.
R. È come se ci fossero due menti - una mente con le sensazioni e un’altra che
chiacchiera mentre fa qualcos’altro.
Non ha importanza. Non cercate di reprimere quello che avviene nella mente:
pensieri, fantasie - non importa cosa - bensì cominciate a dare maggiore importanza
alle sensazioni. Lasciate che tutti questi pensieri siano come una musica di
sottofondo; in seguito svaniranno automaticamente. Ma se date loro importanza, sia
che vogliate sbarazzarvene e cerchiate di spingerli fuori, sia che cominciate ad
interessarvene, allora diventeranno così predominanti che le sensazioni svaniranno.
Date sempre importanza alla sensazione contemporaneamente alla comprensione di
anicca e lasciate pure che ci sia qualunque pensiero.
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D. La loro presenza significa che non c’è equanimità?
D. Quanto tempo pressappoco è necessario per andare dall’alto in basso del corpo?
R. Se non c’è blocco, nemmeno il più piccolo blocco in nessuna parte, allora occorre
una respirazione dalla testa ai piedi e una respirazione dai piedi alla testa. Ma se ci
sono blocchi, anche minimi, possono richiedersi alcune respirazioni. Perciò lasciate
che tutto avvenga naturalmente. Non potete forzare.
D. Trovo che avvenga naturalmente, a volte, l’intero “percorso” in su o in giù con una
respirazione, ed anche essere ovunque contemporaneamente. Tuttavia c’è sempre
la presenza di qualche sensazione grossolana.
R. A volte lo potete fare, sì. Quando vi accorgete che la mente vaga troppo di qua e
di là, se non basta lavorare con la respirazione e con le estremità, allora andate dalla
testa ai piedi molto rapidamente. Forse ci sarà una sensazione molto chiara o perfino
nessuna sensazione, non importa; ripetetevi: anicca - anicca - anicca. Dieci o
quindici minuti di movimento rapido e la mente deve stabilizzarsi un po’; a quel punto
potete lavorare meglio. Circa quindici minuti dovrebbero bastare, perché se lavorate
così per molto tempo, questo anicca - anicca - anicca diventerà un mantra e quindi si
tratterà di una tecnica completamente differente.
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D. Quando faccio pratica a casa, c’è molta agitazione, tanto da dovermi alzare e
dover camminare molto velocemente.
R. Non troppo. Un massimo di due, tre, cinque minuti, non di più. Altrimenti, se ci
restate troppo a lungo, le altre parti del corpo potrebbero diventare insensibili. Usate
questo sistema per cinque minuti, poi tornate alla respirazione; di nuovo per cinque
minuti sulle estremità, poi ancora la respirazione; quindi fate un giro di tutto il corpo.
In questo modo: continuate a cambiare.
D. A volte, sento un colpo, come se una certa parte del mio corpo “saltasse”.
R. È naturale, perché ogni volta che nella vita vi è accaduto qualcosa di indesiderato,
avete reagito con una tensione, avete fatto un nodo. Avete fatto il nodo nella mente,
ma poiché la mente e il corpo hanno una stretta correlazione, avete fatto un nodo
anche nel corpo. Con questa tecnica, quando la tensione esce dalla mente, esce
anche dal corpo e quindi c’è un sussulto. Passa, se restate equanimi poi ne sarete
sollevati.
Lasciate che accada: è un bene.
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U Ba Khin
D. Vorremmo sapere qual è il ruolo storico di U Ba Khin nello sviluppo e nella
diffusione della meditazione Vipassana.
D. Perché U Ba Khin insegnò solo a poche persone scelte, mentre lei insegna la
stessa tecnica a tutti indipendentemente dalla condizione sociale, dalla razza, ecc.?
D. Molti episodi della vita di U Ba Khin dimostrano il suo coinvolgimento nel lavoro
del governo. Può descrivere quali erano le sue opinioni verso l’impegno sociale e il
lavoro?
R. Ebbene, come laici, si deve vivere una vita con delle responsabilità sociali. Come
monaci non si hanno delle responsabilità sociali, perché tutto il tempo è dedicato alla
meditazione. Ma come laico, occorre affrontare queste responsabilità. E così U Ba
Khin come responsabile del governo desiderava che tutti i suoi dipendenti
lavorassero con integrità morale, con disciplina, con onestà, e fossero in grado di
sviluppare efficienza nel loro lavoro, in modo da poter ottenere buoni risultati. Per
questo obiettivo egli dedicava molto del suo tempo cercando di rendere migliore
l’amministrazione pubblica.
D. Lei ha detto che insegna meditazione per pagare il debito di gratitudine che ha
verso U Ba Khin, il suo maestro.
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R. Sì. Il mio maestro consacrò tempo ed energia in abbondanza per donarmi, con
tutto l’amore e la compassione, questo gioiello che è il Dhamma, tanto che il solo
modo per sdebitarmi è quello di usare tutte le mie energie per distribuirlo ad altri.
Beninteso, è per me una grande soddisfazione vedere gente immersa nell’infelicità
che riesce a venirne fuori. Ricevo lettere da persone che dopo aver seguito un corso,
mi scrivono per dirmi: “Sono un’altra persona”, “Ho iniziato una nuova vita”. Sapere
che i miei sforzi sono serviti, mi dà grande soddisfazione e contentezza. U Ba Khin
era solito dire: “È suonata l’ora di Vipassana!” e in un certo modo, trovandomi nelle
circostanze favorevoli, colsi l’opportunità di diffondere questo insegnamento. Io sono
semplicemente uno strumento.
R. I suoi colleghi e subordinati che erano coinvolti nella corruzione avevano la mente
piena di bramosia e di avidità. Quando si comincia a praticare Vipassana la bramosia
comincia a diminuire. Perciò dopo che avevano cominciato a praticare Vipassana
queste persone cominciarono a non voler più spremere illegalmente denaro dagli
altri. Insegnando Vipassana ai suoi colleghi U Ba Khin andò alla radice del problema,
l’avidità presente nella mente delle persone.
Inoltre non tutti erano corrotti. Ma molti di essi erano inefficienti. Le loro menti erano
appannate, e perciò erano incapaci di prendere decisioni rapide ed efficienti. Con
Vipassana, eliminando ogni tipo di impurità, la mente diventa sempre più chiara e
limpida. Si può arrivare subito alla radice dei problemi, e quindi prendere decisioni
rapide e giuste. Fu così che l’efficienza aumentò. Vipassana fu veramente utile a
sradicare la corruzione e incrementare l’efficienza nell’amministrazione.
Un aspetto importante della sua personalità che lo aiutò in questo compito era che
non si sarebbe mai spostato nemmeno di un millimetro dalla verità, qualsiasi fosse la
tentazione o la pressione.
Sapete bene che ogni funzionario del governo è soggetto alle pressioni dei suoi
superiori, che sono politici, ministri, membri dei partiti e così via. Spesso questi
superiori sono anche corrotti, perché vogliono favorire i loro amici e gli amici di
partito, e perciò convincono gli impiegati a prendere decisioni che a volte sono illegali
e improprie.
Molti funzionari soccombono a tali pressioni, ma l’integrità di U Ba Khin fu tale che
non cedette mai ad esse, come abbiamo visto negli episodi della sua vita. Qualsiasi
pressione si fosse trovato ad affrontare non esitò mai a prendere le decisioni che
riteneva giuste, anche se potevano dispiacere ai suoi superiori.
Un’altra difficoltà che un funzionario del governo affronta è la limitatezza del suo
salario. Quando è consapevole che una sua firma può far risparmiare centinaia o
migliaia di dollari a questo o a quel mercante, commerciante o industriale, un essere
umano può essere indotto a pensare in questo modo: “Questo tizio si arricchirà, a
causa di questo permesso o licenza che io posso concedergli. Perché non posso
averne una parte anch’io”? Spesso anche queste persone coinvolte nel commercio,
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negli affari, vogliono dei permessi illegali e cercano di suscitare avidità nelle menti
dei burocrati offrendo loro del denaro in grandi quantità. Non avendo mai visto nella
loro vita una tale somma di denaro, è possibile che molti cedano alla tentazione.
Ma è stato in queste occasioni che si è dimostrata la qualità cristallina di U Ba Khin.
Sottoposto a pressioni e tentazioni, egli faceva il suo dovere senza paure e senza
favoritismi.
R. Perché come laico doveva affrontare delle responsabilità. Quando il paese diventò
indipendente, l’efficienza dell’amministrazione era molto debole, e l’integrità morale
di molti funzionari del governo era bassa. Il suo esempio e impegno era una via, un
modo per dimostrare come Vipassana poteva aiutare l’amministrazione, aiutando
l’individuo e così aiutare intere masse della società, del governo, del paese. Perciò
penso che abbia preso una buonissima decisione, fece il meglio che poteva fare, da
una parte insegnando Vipassana, e dall’altra dimostrandone con il suo esempio i
risultati nella società.
D. Può descriverci qualche significativo e importante episodio del suo primo incontro
con U Ba Khin?
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Verità
D. Molta gente crede che ci siano differenti tipi di verità, che la verità sia una
creazione umana e che non esista una verità ultima. Vipassana invece sembra
indirizzare verso una comprensione della verità come fatto assoluto. Dal punto di
vista di Vipassana, cos’è la verità?
R. Sì, in genere gli esseri umani si costruiscono una verità che concordi con le loro
idee. Gli esseri umani sono esseri intellettuali, ma l’intelletto ha i suoi limiti e varia da
persona a persona. A livello di ragione, ciò che appare logico ad una persona può
non esserlo affatto per un’altra.
Vipassana si situa al di là delle religioni, delle sette, delle credenze, dei dogmi. È
scienza pura, la scienza della mente e della materia, che scruta il modo in cui esse
interagiscono e si influenzano a vicenda. Poiché si tratta di una realtà, non è
sufficiente aderirvi con l’intelletto o con la fede: ognuno deve sperimentarla
direttamente.
È la verità la materia prima di Vipassana. Questa si basa sull’esperienza: non è un
gioco intellettuale. Ci sono livelli diversi di verità. Qualcuno può non essere in grado
di percepire, ora, una particolare verità; ma prima o poi, ognuno di noi sperimenterà
le medesime verità sottili, quelle che esistono ai livelli più profondi. Questa
esperienza non è soltanto privilegio di persone particolarmente dotate: la legge di
natura è la stessa per ognuno di noi.
Ci sono delle leggi di natura fondamentali: per esempio, il fuoco brucia. Che cos’ha a
che fare ciò con l’intelletto? È una semplice verità: se metti la tua mano nel fuoco,
essa brucia. Il fuoco brucia la mano di chiunque ve la metta, che si tratti di un
induista o di un mussulmano, di un cristiano o di un ebreo. il fuoco non fa distinzioni.
Lo stesso accade per le impurità della mente. Qualsiasi impurità mentale si manifesti
in una persona - collera, passione o paura - provoca sofferenza. La legge di natura
non favorisce l’appartenenza ad una particolare setta. Si tratta di una verità che
riguarda tutti, in qualsiasi epoca. Quando invece la mente è libera dalle impurità,
essa si riempie di amore, compassione, buona volontà. Queste qualità positive della
mente sorgono in modo del tutto naturale in una mente pura, ed arrecano pace ed
armonia. Anche qui si tratta di una legge naturale, che non fa distinzione di persona.
Una volta che sei stato scottato, è chiaro che terrai la mano lontano dal fuoco.
Analogamente, se ti rendi conto che l’impurità mentale ti rende infelice - e lo capisci
non soltanto con l’intelletto ma nel profondo di te stesso, perché sei tu che lo provi -
allora la volta dopo farai bene attenzione a non generare quell’elemento negativo. Se
generi un’impurità mentale diventi infelice: la natura incomincia a castigarti qui e ora,
non aspetta che tu muoia per portarti all’inferno. L’inferno te lo fa provare fin da
questo momento.
Ma se la tua mente è pura, e quindi piena di amore, compassione e buona volontà, la
natura incomincia a ricompensarti qui e ora. Quando la tua mente è pura, ti senti così
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in pace, così felice. Ecco cos’è Vipassana, semplicemente il seguire la legge
naturale.
È molto semplice.
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Vita quotidiana
D. Durante la vita quotidiana, se abbiamo alcuni momenti, è utile fermarsi e
osservare le sensazioni?
R. Sì. Anche ad occhi aperti, quando non avete altro da fare, dovete essere
consapevoli delle sensazioni all’interno di voi stessi.
D. Uno studente mi ha detto: “Ho difficoltà a lavorare con sampajañña quando non
sto meditando”. Potrebbe darci dei suggerimenti su come lavorare con sampajañña
al di fuori della meditazione?
R. Il male che è stato fatto non si può distruggere, perché appartiene al passato. Ma
lei può aiutare ad interrompere il processo per cui quella persona, ripensando al
male che le è stato fatto, moltiplica la propria sofferenza. Ed è qui che interviene
Vipassana. Se lei ha personalmente praticato Vipassana, tutto ciò che lei dirà a
quella persona le farà capire - naturalmente non così chiaramente come nel caso in
cui anch’essa meditasse - che per quanto doloroso sia stato ciò che le è accaduto, il
fatto di continuare a ripensarci le fa del male. È successo? Ma ora basta, è finito.
Perché non mantenersi calmi, invece, e venirne fuori? E poi seguire un corso di dieci
giorni, in modo da eliminare tutto ciò ad un livello più profondo. Perché qualsiasi
incidente abbia avuto un forte impatto sulla mente, con la pratica di Vipassana verrà
in superficie e spingerà a reagire nello stesso modo in cui si è reagito in passato. Si
può reagire così per tutta un’ora, ma ci saranno alcuni attimi in cui si smette di farlo
e, semplicemente, si osserva. Quei pochi attimi diventeranno secondi, e poi minuti,
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fino a che giungerà il momento in cui si è in grado di rimanere equanimi nei confronti
di qualsiasi cosa sia accaduta in passato. Ciò che è accaduto è accaduto, se ne è
andato per sempre. Perché soffrire ora per qualcosa che è passato? Ma una tecnica
come questa comporta un po’ di esercizio. Perciò occorre che il terapeuta, in primo
luogo, capisca tutto questo: allora le sue parole saranno più efficaci. Poi si potrà
cercare di convincere la persona a sperimentare questa tecnica, in modo da
eliminare la sofferenza ad un livello più profondo.
D. Dopo ogni corso, per un certo periodo di tempo sono in grado di meditare con
facilità. Poi la cosa diventa sempre più difficile, tanto che non riesco neppure a far
scorrere l’attenzione attraverso il corpo. Cosa devo fare?
D. Abitiamo nel mezzo di una città piena di traffico, il che rende difficile la
meditazione. C’è modo di proteggere la nostra meditazione da tutto ciò che la
disturba all’esterno?
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in un mondo pieno di cose che ci infastidiscono e, ciò nonostante, avere in noi pace
ed armonia.
D. Può spiegare la frase di U Ba Khin “lavora mentre lavori e gioca mentre giochi”?
R. Quando voi meditate tutta l’attenzione deve essere rivolta all’interno, ma quando
siete fuori, nella società, se rimanete mezzo dentro e mezzo fuori non riuscirete a
concludere molto. Quando dovete meditare, allora meditate, rivolgete interamente la
vostra attenzione all’interno; poi quando dovete affrontare le vostre responsabilità
nella società, dovete stare al gioco della società e allora giocate interamente. Perciò
prima che iniziate il vostro lavoro rimanete saldi dentro. Allora quando agite nella
società e fate il vostro lavoro, il vostro dovere, lo fate molto meglio. Ma se non
andate dentro di voi, allora il vostro lavoro dal di fuori non avrà molto successo.
Questi sono i due campi dove noi dobbiamo operare ed entrambi devono essere
efficienti al massimo livello. Perciò quando meditate, meditate profondamente, e
lasciate da parte tutte le responsabilità sociali, ma quando siete nel vostro mondo
sociale e dovete affrontare le responsabilità, date tutta l’importanza a queste
responsabilità e naturalmente fate uso della vostra meditazione, mentre lavorate,
come fonte d’energia. Ma non mantenete la mente divisa, metà dentro e metà fuori.
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