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Domande & Risposte di Goenka

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Indice
Introduzione................................................................................................................................ 3
Altre pratiche...............................................................................................................................4
Amore..........................................................................................................................................5
Ānāpāna...................................................................................................................................... 6
Bambini.......................................................................................................................................8
Buddhismo.................................................................................................................................. 9
Causalità e destino.................................................................................................................... 12
Compassione............................................................................................................................. 14
Concentrazione..........................................................................................................................15
Condizionamento...................................................................................................................... 16
Desiderio e attaccamento.......................................................................................................... 18
Dolore........................................................................................................................................21
Equanimità................................................................................................................................ 22
I corsi di Vipassana................................................................................................................... 23
Il servizio...................................................................................................................................26
Illuminazione............................................................................................................................ 29
Inferno e paradiso......................................................................................................................31
Insegnamento............................................................................................................................ 32
Io............................................................................................................................................... 38
Maestri spirituali....................................................................................................................... 41
Malattie..................................................................................................................................... 42
Mente........................................................................................................................................ 43
Moralità.....................................................................................................................................45
Psicologia.................................................................................................................................. 49
Reazione....................................................................................................................................50
Saggezza....................................................................................................................................51
Sensazioni................................................................................................................................. 52
Società.......................................................................................................................................55
Sofferenza................................................................................................................................. 60
Tecnica...................................................................................................................................... 62
U Ba Khin................................................................................................................................. 67
Verità.........................................................................................................................................70
Vita quotidiana..........................................................................................................................72

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Introduzione
Da quando Goenka ha iniziato ad insegnare Vipassana, nel 1969, gli sono state
poste migliaia di domande dagli studenti di Vipassana e da altre persone in tutto il
mondo.
Poiché tali questioni riguardano uno spettro veramente ampio che va dalla
meditazione Vipassana, al Dhamma, alla sua applicazione nella vita quotidiana, ecc.,
queste domande e le relative risposte sono state classificate in varie categorie a
seconda del tema che toccano.

Bisogna tuttavia ricordare che la risposta chiave di Goenka è sempre: "Dovete


sperimentare la verità da voi stessi, solo allora diventa verità per voi, altrimenti è
solamente la verità di qualcun altro". Egli sottolinea sempre che le risposte possono
venire solo da una continua e corretta pratica di Vipassana.

Queste domande e risposte hanno lo scopo di servire da guida ed ispirazione per gli
studenti di Vipassana e di incoraggiare i non studenti ad intraprendere un corso di
Vipassana.

Aggiornamento: 18/02/2006

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Altre pratiche
D. Io pratico lo yoga. Come lo posso integrare con Vipassana?

R. Qui, durante un corso, lo yoga non è permesso perché disturberebbe gli altri,
attirandone l’attenzione. Ma dopo il vostro ritorno a casa, potete praticare sia
Vipassana che lo yoga - cioè gli esercizi fisici delle posture yogiche e il controllo del
respiro. Lo yoga è molto benefico per la salute fisica: potete combinarlo con
Vipassana. Per esempio assumere una posizione e poi osservare le sensazioni
fisiche; questo darà maggiore beneficio che la sola pratica dello yoga. Ma le tecniche
di meditazione dello yoga che utilizzano i mantra e le visualizzazioni sono
completamente all’opposto di Vipassana. Non mescolatele con questa tecnica.

D. E circa i diversi esercizi respiratori dello yoga?

R. Sono utili come esercizi fisici, ma non mescolate queste tecniche con ānāpāna. In
ānāpāna dovete osservare il respiro naturale così com’è, senza controllarlo. Praticate
il controllo del respiro come un esercizio fisico e praticate ānāpāna per la
meditazione.

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Amore
D. Lei parla di “essere sopraffatti” dalla negatività. Cosa pensa del caso contrario,
cioè di “essere sopraffatti” dalla positività, per esempio dall’amore?

R. Quella che voi definite “positività” è la natura reale della mente. Quando la mente
è libera dal condizionamento, è sempre piena d’amore - amore puro - e ci si sente in
pace e felici. Se si rimuove la negatività, allora rimane la positività, rimane la
purezza. Che tutto il mondo possa essere sommerso da questa positività!

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Ānāpāna
D. Mentre si pratica la consapevolezza del respiro, è consentito contare i respiri o
dire “dentro” mentre si inspira e “fuori” mentre si espira?

R. No, non ci deve essere una continua verbalizzazione. Se ogni volta aggiungete
una parola alla consapevolezza della respirazione, gradualmente la parola diventerà
predominante e vi dimenticherete completamente del respiro. Direte “dentro” o “fuori”
non facendo più attenzione all’atto dell’inspirare o dell’espirare. La parola diventerà
un mantra. Concentratevi soltanto sul respiro, il semplice respiro, nient’altro che il
respiro.

D. Perché insegna agli studenti a praticare ānāpāna-sati concentrandosi sulle narici


e non sull’addome?

R. Perché per noi ānāpāna sati viene utilizzato come preparazione per la pratica di
Vipassana, e in questo tipo di Vipassana è necessaria una concentrazione
particolarmente forte. Più l’area di attenzione è limitata, più forte sarà la
concentrazione. Per sviluppare la concentrazione a un tale grado, l’addome è troppo
grande. L’area più adatta è quella delle narici. Ecco perché il Buddha ci ha
consigliato di lavorare su questa zona.

D. Lei ha parlato di metodi per calmare l’agitazione quando si è troppo agitati per
meditare, e ha detto “fate la respirazione pesante”. Vorrei sapere quanto pesante e
quanto a lungo.

R. Dovete decidere voi. A volte la mente è così grossolana che per quanto pesante vi
sembri la respirazione, è sempre troppo sottile per la mente; allora dovete renderla
leggermente più pesante. Ma se diventa tanto pesante da disturbare i vostri vicini, è
ovvio che non potete lavorare a quel livello.

D. Quando dice di respirare allo scopo di concentrarsi, si tratta veramente di


concentrarsi nella zona sotto le narici e sopra il labbro superiore?

R. Quando siete agitati e dovete tornare alla respirazione, non è necessario sentire
alcuna sensazione lì, nella zona delle narici; respirate soltanto. Siate consapevoli del
respiro che entra, esce, entra, esce. Poiché la mente è così agitata, ha bisogno di un
oggetto grossolano; non può funzionare con le sensazioni sottili. Quindi respirate un
po’ più forte. La mente è conscia del respiro, respiro, respiro; poi arriva ad una certa
sottigliezza e comincia a sentire di nuovo le sensazioni.

D. Può parlare ancora della respirazione leggera mentre si percorre tutto il corpo?

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R. La respirazione diviene naturalmente leggera quando la mente si concentra. Il
respiro diventa sempre più corto e sempre più sottile. Fate in modo che rimanga
leggero. Quando siete concentrati, il metabolismo del corpo rallenta; non avete
bisogno di molto ossigeno; così, la natura vi aiuta rendendo il respiro leggero. Poi, di
nuovo, verrà un respiro profondo quando avrete bisogno di più ossigeno; poi ancora
il respiro breve. Tutto ciò è naturale: lasciate che succeda.

D. Un paio di giorni fa, facendo ānāpāna ho avuto vibrazioni attraverso tutto il corpo,
consapevolezza in tutto il corpo. Mi sembra di poter essere più equanime in questo
modo.

R. Qualsiasi esperienza abbiate, dovete essere equanimi. A volte succede che


sentiate tutto il corpo, la sua totalità. Allora non dovete nemmeno spostare
l’attenzione su e giù, sentirete sensazioni nell’intero corpo. Potete restare così due,
tre o cinque minuti, poi dovrete ricominciare a spostare l’attenzione. Non potete stare
così molto a lungo, perché altrimenti, senza saperlo, perdete il contatto con certe
parti del corpo. Così invece, potete osservare la totalità del corpo ed essere
equanimi. Cominciate a muovervi e siate equanimi. Equanimi in ogni esperienza.

D. Stavo per chiedere se potevo fare ānāpāna per avere quest’esperienza, per avere
la totalità.

R. No. Ānāpāna dovrebbe essere praticata solo quando trovate che la vostra mente
sta diventando agitata, o molto torpida, molto pigra, non per ottenere un particolare
tipo di esperienza. Non siate mai ansiosi di avere delle esperienze. Qualsiasi
esperienza abbiate avuto recentemente, potreste non averla affatto ora; potreste non
ottenerla più per giorni e giorni. Se cominciate a desiderarla, non state facendo
Vipassana. Qualunque esperienza arrivi strada facendo, accettatela restando
equanimi. Quando se n’è andata, se n’è andata. Ānāpāna dovrebbe essere fatto
soltanto per acuire sempre più la mente.

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Bambini
D. Qual è la sua opinione circa l’insegnamento del Dhamma ai bambini?

R. Il momento migliore per questo è prima della nascita. Durante la gravidanza la


madre dovrebbe praticare Vipassana, così che anche il bambino la riceva e nasca un
bambino di Dhamma. Ma se già avete dei figli, potete ancora dividere il Dhamma con
essi. Per esempio, alla fine della vostra pratica di Vipassana, avete imparato la
tecnica di metta bhāvanā, di dividere la vostra pace ed armonia con gli altri. Se i
vostri bambini sono molto giovani, dirigete la vostra metta verso di loro dopo ogni
meditazione e quando andate a dormire, in tal modo anch’essi beneficeranno della
vostra pratica del Dhamma. E quando saranno più grandi, spiegate un po’ il Dhamma
in modo che possano capirlo e accettarlo. Se possono capire un po’ di più, allora
insegnate loro a praticare ānāpāna per pochi minuti. Non fate pressioni sui bambini
in alcun modo. Lasciateli solo sedere con voi, osservare il loro respiro per pochi
minuti e poi andare a giocare. La meditazione sarà come un gioco per loro, saranno
contenti di farla. Ma la cosa più importante è che dovete vivere una vita sana nel
Dhamma, dovete essere un buon esempio per i vostri bambini. Nella vostra casa
deve esserci un’atmosfera pacifica e armoniosa che li aiuterà a crescere in modo
sano e felice. É la cosa migliore che potete fare per i vostri bambini.

D. Prevede di condurre un corso di Vipassana esclusivamente a beneficio degli


adolescenti?

R. Certamente, se ne sente un gran bisogno. Desideriamo fortemente che la nuova


generazione cresca col Dhamma. Il Dhamma fa bene a tutti, giovani o vecchi. Ma io
do più importanza alla nuova generazione perché solo così il Dhamma continuerà a
diffondersi, a passare di generazione in generazione. Quando ho iniziato era difficile,
perché i giovani indiani che partecipavano erano pochissimi. Ma ora questi sono
sempre più numerosi, e faremo dei corsi apposta con degli appositi discorsi.

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Buddhismo
D. Occorre essere buddhisti per imparare questa tecnica?

R. La tecnica e l’insegnamento sono universali perché universale è la sofferenza. Si


può appartenere a qualsiasi setta, a qualsiasi tradizione, professare qualsiasi
religione o filosofia, ma come si può fare obiezione a sīla, moralità, a vivere una vita
morale, senza danneggiare se stessi? E come si può fare obiezione a samādhi, e
cioè a imparare la padronanza sulla mente, utilizzando un oggetto così universale
come il proprio respiro? E come si può fare obiezione a paññā, cioè lo sviluppo della
saggezza, attraverso la comprensione delle universali realtà della natura, con lo
scopo di eliminare tutte le negatività e impurità mentali?
Non ci può essere alcuna obiezione motivata dall’appartenenza a una determinata
comunità, paese, colore, setta, religione, tradizione. La parte pratica
dell’insegnamento è accettabile da tutti perché è universale. Ed è l’applicazione
pratica di questa tecnica di meditazione Vipassana, cuore dell’insegnamento del
Buddha, che porta benefici reali nella vita.

D. U Ba Khin usava definirsi buddhista? E come potete chiamare universale il suo


insegnamento senza dargli una connotazione religiosa?

R. Per lui era molto chiaro il significato della parola “buddhista” ed era evidente che
ne era molto soddisfatto e orgoglioso, ma il suo insegnamento testimoniava che egli
non era lì per convertire delle persone da una religione istituzionale a un’altra. Una
delle qualità che più contribuì ad avvicinarmi al mio maestro è stata proprio
l’interpretazione non settaria del suo insegnamento del Dhamma. L’insegnamento
del Buddha è così universale che persone appartenenti a differenti sette, religioni e
comunità possono seguirlo e beneficiarne. Mai U Ba Khin fu interessato a convertire
le persone alla religione formale organizzata del Buddhismo. Naturalmente era
buddhista dalla nascita e orgoglioso di esserlo. Ma per lui l’essenza del Buddhismo
era il Dhamma, la legge universale della natura, e un vero buddhista era colui che
praticava il Dhamma, e cioè viveva in conformità a queste leggi universali. Era
interessato ad aiutare la gente a stabilizzarsi in sīla, moralità, in samādhi,
concentrazione, e in paññā, saggezza; a mostrare alla gente come convertirsi dalla
sofferenza alla felicità. Se mai qualcuno, che si era sottoposto a questa conversione
dalla negatività alla positività, voleva chiamarsi buddhista, Sayagyi ne era contento;
ma la cosa importante era il cambiamento avvenuto nella vita di quella persona, non
il cambiamento del nome. Egli spesso ammoniva gli entusiasti che volevano
convertire altri al Buddhismo dicendo: “La sola maniera di convertire gente è
stabilizzarsi nel Dhamma, e cioè in sīla, samādhi e paññā e di aiutare gli altri a
stabilizzarsi. Quando voi stessi non siete ben consolidati in sīla, samādhi e paññā,
che senso ha cercare di convertire altri? Potete chiamarvi buddhisti, ma se non

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praticate sīla, moralità, samādhi, concentrazione della mente, e paññā, saggezza,
non siete buddhisti. Invece, qualcuno che pratica queste cose e non si definisce
buddhista, è un vero seguace degli insegnamenti del Buddha, con qualsiasi nome si
voglia chiamare.
Un episodio mostra questa attitudine non settaria. Capitò quando un cristiano
convinto partecipò a un corso sotto la sua guida. All’inizio del corso, quando venne
chiesto allo studente di impegnarsi ad osservare l’insegnamento e per la durata del
corso a prendere rifugio in Buddha, e cioè a dare completa fiducia a questo
insegnamento, questa persona si spaventò credendo che le venisse chiesto di
convertirsi dal Cristianesimo al Buddhismo. Di fronte a U Ba Khin disse che poteva
prendere rifugio in Gesù Cristo ma non in Buddha. “Molto bene - egli replicò
sorridendo - prendi rifugio in Gesù Cristo, ma con la convinzione che stai prendendo
rifugio nelle qualità di Gesù Cristo, in modo da essere capace poi di sviluppare quelle
qualità in te stesso”. E così quella persona inizio a lavorare e alla fine del corso
comprese che la sua iniziale obiezione era inutile e la paura di conversione priva di
fondamento.

D. Voi fate riferimento al Buddha. Insegnate quindi il buddhismo?

R. Non mi occupo di “ismi”. Insegno Dhamma, e cioè quello che ha insegnato il


Buddha. Egli non ha mai insegnato un “ismo” o una dottrina settaria. Ha insegnato
qualcosa da cui chiunque, quale che sia la sua provenienza, può trarre beneficio:
un’arte di vivere. Rimanere nell’ignoranza è dannoso per tutti: sviluppare la saggezza
e un bene per tutti. Cosi, chiunque può praticare questa tecnica e trarne beneficio.
Un cristiano diventerà un buon cristiano, un ebreo diventerà un buon ebreo, un
musulmano un buon musulmano, un indù un buon indù, un buddista un buon
buddista. Ognuno deve diventare un buon essere umano, altrimenti non potrà mai
essere un buon cristiano, un buon ebreo, un buon musulmano, un buon indù, un
buon buddista. Come diventare buoni esseri umani: questa è la cosa più importante.

D. Lei insegna il buddismo?

R. L’autentico insegnamento del Buddha non è nient’altro che la legge della natura.
Lo stesso Buddha affermò che, indipendentemente dalla presenza o meno di un
Buddha nel mondo, la legge di natura è sempre quella. Chi nutre bramosia ed
avversione nella propria mente, non può fare a meno di essere infelice. Per liberarvi
dall’infelicità, dovete sbarazzarvi di bramosia ed avversione. Si tratta semplicemente
della legge naturale, che vale in qualsiasi cultura. A questi corsi di meditazione di
Vipassana vengono ora anche persone appartenenti a religioni o sette totalmente
opposte al buddismo. Ad esempio, per 25 secoli la comunità giainista dell’India ha
insegnato che la via indicata dal Buddha è errata. Ora accade che i loro capi, i loro
monaci e le loro monache vengono a studiare questo insegnamento. Lo stesso
succede con gli induisti. Io sono nato in una famiglia induista di stretta osservanza fin

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da bambini ci insegnano che se si sta percorrendo un viottolo molto stretto, ed arriva
un elefante infuriato che sta per stritolarci, e da un lato c’è la porta spalancata di un
tempio buddhista e dall’altra la porta spalancata di un tempio giainista, è meglio farsi
schiacciare dall’elefante che infilare queste porte. Ora invece c’è un’infinità di questi
induisti che vengono ai corsi di meditazione. Una volta che ci si è impossessati della
pratica, si vede che non è nient’altro che legge di natura. La legge di natura non
discrimina tra un cristiano o un induista. Se metterete la mano sul fuoco, vi brucerete.
È così ovvio. E il Dhamma è questo. Le mie non sono credenze buddhiste. Io credo
unicamente nel Dhamma.

D. Voi insegnate Mahayana o Hinayana?

R. Nessuno dei due. La parola yana di fatto significa “veicolo che vi porterà alla meta
finale”, ma oggi gli si dà erroneamente una connotazione settaria. Il Buddha non ha
mai insegnato qualcosa di settario. Ha insegnato il Dhamma, che è universale. È
questa universalità che mi ha attratto verso l’insegnamento del Buddha, ed è da esso
che ho tratto giovamento. Quindi è questo Dhamma universale che offro a tutti con
tutto il mio amore e la mia compassione. Per me, il Dhamma non è né Mahayana né
Hinayana, né alcuna setta.

D. Tuttavia, è indubbiamente più difficile per gli occidentali accettare alcune delle
tradizionali credenze buddhiste, come quella della reincarnazione. Questo fatto non
influisce sulla loro meditazione?

R. Non è importante credere nella reincarnazione, anche se, progredendo in


Vipassana, riuscirete a comprendere più chiaramente questi concetti. Per me, in ogni
caso, la vita presente è molto più importante di quella futura. Perché preoccuparsi di
una vita futura? Qualsiasi cosa facciate per migliorare la vostra vita attuale,
migliorerà automaticamente quella futura. Ma se quello che fate in vista della vita
futura non giova a quella presente, per me non serve a niente.

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Causalità e destino
D. Che cos’è il destino?

R. La vita di ciascuno di noi è un flusso che scorre. A seconda dei nostri karma del
passato, il flusso della nostra vita va in una determinata direzione - verso la felicità o
l’infelicità, dipende dai casi. La causa è rappresentata dai nostri karma, nessun altro
è in grado di influenzare tutto ciò. Ora, tutto ciò che avete fatto in passato è andato, e
non potete più farci nulla. Ma oggi voi siete padroni di voi stessi e con la vostra
pratica attuale potete cambiare l’intero flusso. Quindi il destino può essere cambiato,
perché voi siete padroni di voi stessi, del vostro presente.

D. Esistono avvenimenti fortuiti, eventi accidentali senza una causa?

R. Nulla avviene senza una causa. È impossibile. Talvolta i nostri sensi limitati e il
nostro intelletto non la possono discernere con chiarezza, ma questo non significa
che non ci sia.

D. Voi affermate che ogni cosa nella vita è predeterminata?

R. Certamente le nostre azioni passate daranno dei frutti, buoni o cattivi. Sono esse
a determinare il tipo di vita che conduciamo, la situazione generale in cui ci troviamo.
Ma ciò non significa che qualsiasi cosa ci accada sia predestinata, stabilita dalle
nostre azioni passate, e che non possa accadere nient’altro. Non è così. Le nostre
azioni passate influenzano il corso della nostra vita dirigendola verso esperienze
piacevoli o spiacevoli. Ma le azioni presenti sono ugualmente importanti. La natura ci
ha dato la capacità di essere padroni delle nostre azioni presenti: con tale
padronanza possiamo cambiare il nostro futuro.

D. Ma certamente anche le azioni degli altri ci influenzano.

R. Naturalmente. Siamo influenzati da chi ci circonda e dall’ambiente, così come noi


li influenziamo. Se ad esempio la maggioranza è favorevole alla violenza, allora
possono avvenire guerre e distruzioni, provocando immani sofferenze. Ma se la
gente incomincia a purificare la mente, allora non può esserci violenza. La radice del
problema è nella mente di ogni essere umano, e dato che la società è composta di
individui, se ogni persona inizia a cambiare, cambierà anche la società e guerre e
distruzioni diventeranno eventi rari.

D. Come possiamo aiutarci l’un l’altro se ognuno di noi deve confrontarsi con i
risultati delle proprie azioni?

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R. Le nostre azioni mentali influenzano gli altri. Se nella mente non generiamo altro
che negatività, tale negatività ha un effetto pericoloso su quelli che entrano in
contatto con noi. Se colmiamo la mente di positività e benevolenza verso gli altri,
questo avrà un effetto benefico su coloro che ci circondano. Non potete controllare le
azioni, il kamma degli altri, ma potete diventare padroni di voi stessi per esercitare un
influsso positivo su coloro che vi stanno intorno.

D. Perché essere ricchi è un buon karma? Se è così significa forse che la maggior
parte di coloro che vivono in Occidente hanno un buon karma e la maggior parte di
coloro che vivono nel Terzo mondo hanno un cattivo karma?

R. La ricchezza da sola non è un buon karma. Se diventate ricchi ma restate infelici,


qual è l’utilità della vostra ricchezza? Essere ricchi e anche felici, realmente felici:
questo è un buon karma. La cosa più importante è essere felici, ricchi o no.

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Compassione
D. Cos’è la vera compassione?

R. É il desiderio di servire la gente, di aiutarla ad uscire dalla sofferenza. Ma deve


essere fatto senza attaccamento. Se iniziate a piangere sulla sofferenza degli altri, vi
rendete solo infelici. Non è questo il sentiero del Dhamma. Se avete vera
compassione, allora con tutto l’amore cercate di aiutare gli altri al massimo delle
vostre capacità. Se fallite, sorridete e cercate un altro modo per aiutare. Lavorate
senza preoccuparvi dei risultati del vostro servizio. Questa è la vera compassione,
che proviene da una mente equilibrata.

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Concentrazione
D. Perché la pratica di samādhi non è sufficiente per la liberazione?

R. Perché la purezza mentale sviluppata con samādhi è raggiunta principalmente per


mezzo della soppressione, non dell’eliminazione del condizionamento. È proprio
come se qualcuno pulisse una cisterna di acqua fangosa aggiungendo una sostanza
che faccia precipitare la soluzione, per esempio l’allume. L’allume fa sì che le
particelle di fango sospese nell’acqua precipitino sul fondo della cisterna, lasciando
l’acqua cristallina. Allo stesso modo samādhi rende cristallini i livelli superiori della
mente, ma nell’inconscio resta un deposito di impurità. Per raggiungere la
liberazione, queste impurità latenti devono essere rimosse. E per rimuovere le
impurità dalla profondità della mente si deve praticare Vipassana.

D. Inoltre questa tecnica di spostare l’attenzione in su e in giù attraverso tutto il corpo


sembra facilitare lo sviluppo di un fortissimo samādhi (capacità di concentrazione).

R. È vero. A questo proposito c’è una storia... (ridendo), “io sono bravo a raccontare
le storie”. Un tale, esercitando certi suoi poteri era riuscito a catturare uno spirito, o
genio. Lo spirito gli disse: “Ti servirò e ti procurerò tutto quello che mi chiederai, ma
devi tenermi occupato; appena avrò terminato un compito dovrai procurarmene un
altro, altrimenti ti divorerò”. Allora l’uomo chiese allo spirito di fargli avere un grande
palazzo, e fu subito esaudito. L’uomo continuò a chiedere questo e quello, fino a che
ebbe tutto ciò che desiderava; ma ancora si sentì costretto a dare qualche
incombenza allo spirito per non essere divorato. Alla fine l’uomo prese una canna di
bambù e disse allo spirito: “Benissimo, adesso tu salirai e scenderai da questa canna
in continuazione senza mai smettere” (ride). È così anche per questa nostra mente
che vuole fare sempre tante cose. Questa è la ragione per cui la teniamo occupata a
salire e scendere all’interno della struttura del nostro corpo.

D. In qual modo l’equanimità si rapporta al samādhi (concentrazione non dualistica)?

R. Ci può essere samādhi senza equanimità. Anche sulla base dell’attaccamento si


può divenire completamente concentrati. Ma quel genere di samādhi non è il “giusto
samādhi”, è il samādhi con una base di impurità. Ma se il samādhi è accompagnato
dall’equanimità, allora dà risultati meravigliosi, perché la mente è pura e concentrata,
è potente e piena di purezza. Non può far nulla che danneggi voi o gli altri. Ma se è
potente ma impuro, allora danneggerà gli altri e danneggerà voi stessi.

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Condizionamento
D. Voi parlate del condizionamento. Questo tipo di esercizio non è anch’esso una
forma di condizionamento della mente, anche se positivo?

R. Al contrario, è un processo di decondizionamento. Invece di imporre qualcosa alla


mente, automaticamente rimuove le qualità non benefiche, cosicché rimangono solo
quelle positive e benefiche. Eliminando la negatività, esso scopre la positività, che è
la natura fondamentale di una mente pura.

D. Ma il fatto che per un determinato periodo di tempo si debba sedere in una certa
posizione e dirigere l’attenzione in un certo modo, non è una forma di
condizionamento?

R. Se fate questo come un gioco o come un rito meccanico, allora indubbiamente


condizionate la mente. Ma sarebbe un uso sbagliato di Vipassana, mentre quando la
tecnica viene praticata in modo corretto vi rende capaci di sperimentare direttamente
la verità, da soli. E da questa esperienza si sviluppa naturalmente la comprensione,
che distrugge tutti i condizionamenti precedenti.

D. Nelle istruzioni che ci dà riguardo alla meditazione, Lei parla spesso di


consapevolezza indiscriminata, tuttavia mi pare che il fatto di spostare l’attenzione
dell’alto in basso e viceversa attraverso tutto il corpo, comporti una scelta deliberata.

R. In questa tecnica, ciò che sfugge ad ogni controllo della volontà, sono le
sensazioni. Noi non cerchiamo di creare sensazioni per poi osservarle. La nostra è
una osservazione spontanea di qualunque sensazione si manifesti. Abbiamo soltanto
scelto il campo della nostra consapevolezza che è il corpo; ma le sensazioni
rimangono spontanee. Spostiamo la nostra attenzione in maniera ordinata lungo tutto
il corpo semplicemente per essere certi di osservarlo nella sua totalità. In realtà vi
sono sensazioni in ogni più piccola parte del corpo e la mente inconscia reagisce a
queste sensazioni. Se non vi spostate seguendo un certo ordine, tralascerete molte
parti del corpo e non le osserverete affatto. Se invece procedete sistematicamente
dalla testa ai piedi e dai piedi alla testa, nessuna parte verrà trascurata. Viceversa,
se vi spostate dal punto in cui percepite una forte sensazione ad un altro punto in cui
è presente una forte sensazione, molte parti del corpo vi risulteranno insensibili e
non percepirete mai alcuna sensazione. Se ignorate le sensazioni di alcune parti del
vostro corpo, significa che non state penetrando verso un livello più sottile e che non
state lavorando per dissolvere l’illusione della solidità che è l’illusione stessa dell’“io”.
Se ci si muove sistematicamente attraverso ogni parte del corpo, diventa più facile
raggiungere lo stadio in cui tutto si dissolve. Questa è la ragione per cui pratichiamo
in questo modo.

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D. Alcuni tipi di condizionamenti mentali non sono forse positivi? Perché cercare di
sradicarli?

R. I condizionamenti positivi ci motivano a lavorare per la liberazione dalla


sofferenza. Ma quando quello scopo è ottenuto, tutti i condizionamenti devono
essere lasciati indietro, positivi e negativi. É come usare una zattera per attraversare
un fiume. Una volta che il fiume è stato attraversato, non si continua il viaggio
portando la zattera sulla testa. La zattera è servita allo scopo. Ora non ce ne è più
necessità e deve essere lasciata da parte. Allo stesso modo, chi è completamente
liberato non ha bisogno di condizionamenti. Una persona è liberata non a causa di
condizionamenti positivi, ma a causa della purezza della mente.

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Desiderio e attaccamento
D. Faccio un po’ di confusione sulla differenza che c’è tra il desiderare qualcosa con
bramosia e il volere qualcosa di cui si ha bisogno. Non riesco ad immaginare come
non si possano volere delle cose. Questo potrà rendermi infelice, ma mi sarà da
guida in alcune mie scelte.

R. Il solo modo di capire se si desidera con bramosia o se semplicemente si


desiderano le cose di cui si ha bisogno è di vedere cosa succede quando esse non si
ottengono. Se il mancato ottenimento vi rende infelici, significa che in voi c’era della
bramosia. Si trattava di un desiderio mentale più che della necessità del corpo. E
poiché il desiderio mentale non si realizza, vi agitate. Non lasciate che vi renda
infelici; allora non vi sarà bramosia. Supponiamo che abbiate bisogno di qualcosa e
che cerchiate di ottenerlo. Non riuscite ad ottenerlo e tuttavia rimanete sereni. Avete
fatto del vostro meglio, si tratta di riprovare. Ma perché perdere l’equilibrio mentale?
Perché diventare infelici?

D. Ci possono essere bramosie ed avversioni benefiche, per esempio combattere


contro l’ingiustizia, bramare la libertà, temere i malanni fisici?

R. Avversione e bramosia non possono essere mai benefiche. Vi renderanno sempre


tesi e infelici. Se agite avendo nella mente bramosia ed avversione, sia pure spinti da
uno scopo encomiabile, il mezzo usato per raggiungerlo non è sano. Certo dovete
agire per proteggervi dai pericoli. Potete farlo sopraffatti dalla paura, ma in questo
modo sviluppate un complesso di paure che alla lunga saranno dannose. Oppure,
avendo odio nella mente, potete avere successo combattendo contro l’ingiustizia, ma
quell’odio diventerà un complesso mentale dannoso. Dovete combattere contro
l’ingiustizia, dovete proteggervi dai pericoli, ma potete farlo con una mente
equilibrata, senza tensioni. E potete lavorare in modo equilibrato per raggiungere
qualcosa di buono, per amore degli altri. Una mente equilibrata è sempre utile e darà
i risultati migliori.

D. Cosa c’è di sbagliato nel desiderare cose materiali per assicurarsi una vita più
confortevole?

R. Se è un’esigenza reale, non c’è nulla di sbagliato, purché lo facciate con il dovuto
distacco. Per esempio, se avete sete e desiderate dell’acqua, non c’è nulla di
dannoso in questo. Avete bisogno di acqua e quindi fate in modo di ottenerla e di
placare la vostra sete. Ma se questo diventa un’ossessione, non potrà aiutarvi: anzi,
vi farà del male. Dovete lavorare per ottenere ciò di cui avete necessità. Se non
riuscite a ottenere qualcosa, ebbene dovete sorridere, e tentare ancora, in modo
diverso. Se ci riuscite, rallegratevi di ciò che avete ottenuto, ma senza attaccamento.

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D. Allora lei non sostiene che non si debbano volere le cose?

R. Ma no, come sarebbe possibile? Si può volere, purché questo volere non si
trasformi in bramosia. E la linea divisoria è così sottile che non ci si accorge quando
questo accade. Perciò occorre continuare ad esaminarsi: se il mio desiderio non si
realizza e divento infelice, allora significa certamente che il desiderio si è tramutato in
bramosia.

D. Che cosa potete dire circa la pianificazione del futuro? Si potrebbe chiamare
attaccamento?

R. Ancora una volta, dipende da quanto siete attaccati ai vostri piani. Ognuno deve
provvedere al proprio futuro. Se i vostri progetti non hanno successo e iniziate a
lamentarvi: questa è la prova che contavate troppo su di essi. ma se non avete
successo e riuscite ugualmente a sorridere pensando “Ho fatto del mio meglio. In
che cosa ho fallito? Proverò ancora!”, allora state lavorando in modo distaccato e
restate felici.

D. Come può funzionare il mondo senza attaccamento? Se i genitori sono distaccati,


allora non si prenderanno certamente cura dei figli. Come è possibile amare ed
essere coinvolti nella vita senza attaccamento?

R. Distacco non significa indifferenza; è corretto chiamarlo “santa indifferenza”.


Come genitori, dovete assumere la responsabilità di prendervi cura dei vostri figli con
tutto l’amore possibile, ma senza attaccamento. Dovete fare il vostro dovere per
amore. Supponete di avere cura di un malato e che, nonostante le vostre attenzioni,
questi non si ristabilisca. Non iniziate a lamentarvi, sarebbe inutile. Con mente
equilibrata, cercate di trovare un altro modo di aiutarlo. Questa è la santa
indifferenza: né inazione né reazione, ma un’azione concreta e positiva con una
mente equilibrata.

D. Compiere un’azione giusta è una forma di attaccamento?

R. No, è semplicemente fare del proprio meglio, comprendendo che i risultati sono al
di là del nostro controllo. Fate il vostro lavoro e lasciate i risultati alla natura, a
Dhamma: “Ciò che deve accadere, accadrà”.

D. Allora dobbiamo essere disposti a commettere degli errori?

R. Se commettete un errore, accettatelo e cercate di non ripeterlo la prossima volta.


Se vi capita di sbagliare ancora, sorridete di nuovo e cercate una via diversa. Se

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potete sorridere di fronte al fallimento, non c’è attaccamento, ma se il fallimento vi
deprime e il successo vi esalta, c’è senz’altro attaccamento.

D. Allora l’azione corretta è solo lo sforzo di fare, non il risultato?

R. Esatto. Il risultato sarà automaticamente buono se la nostra azione è buona. Il


Dhamma se ne prenderà cura. Non abbiamo il potere di scegliere il risultato ma
possiamo scegliere la nostra azione. Fate semplicemente il meglio che potete.

D. Mi succede, quando sto meditando, che sorga in me l’attaccamento; allora penso:


“non dovrei avere attaccamento”. E così mi agito molto perché provo questo
attaccamento. Mi chiedo come posso essere equanime al riguardo.

R. Non agitatevi per l’attaccamento. Semplicemente accettate il fatto: “Toh! Provo


attaccamento!”. E questo è tutto. Così ne uscirete. Ugualmente, quando la mente
vaga, accettate il fatto semplicemente: “Guarda, la mente si è distratta”. Non create
tensione per questo. Altrimenti andate a un altro estremo. Dopodiché, proverete
avversione verso l’attaccamento. Accettatelo. “Ora la mente prova attaccamento!”; e
c’è consapevolezza di sensazioni e anicca. Questo è sufficiente.

D. È l’attaccamento che genera i saṅkhāra, o la reazione all’attaccamento?

R. Entrambi. La reazione all’attaccamento genererà un più profondo saṅkhāra.


L’attaccamento è saṅkhāra: voi cominciate a reagire ad esso e generate un più
profondo saṅkhāra.

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Dolore
D. Permettere a noi stessi di provare deliberatamente dolore fisico, può sembrare
masochismo.

R. Lo sarebbe se vi si chiedesse di sperimentare solo dolore. Ma, al contrario, vi si


chiede di osservare il dolore oggettivamente. Quando osservate senza reagire,
automaticamente la mente inizia a penetrare al di là della realtà apparente del dolore
fino alla sua natura sottile, che è niente altro che vibrazioni che nascono e
spariscono ad ogni momento. E quando sperimentate tale sottile realtà, il dolore non
può vincervi. Siete voi i padroni di voi stessi, siete liberi dal dolore.

D. Ma certamente il dolore può essere un segnale che c’è deficienza di sangue in


qualche parte del corpo. É saggio ignorare tale segnale?

R. Ebbene, abbiamo scoperto che questo esercizio non causa danni, se lo facesse
non ve lo raccomanderemmo. Migliaia di persone hanno praticato questa tecnica.
Non conosco neanche un solo caso in cui qualcuno che stava praticando
correttamente si sia fatto del male. L’esperienza comune è che il corpo diventa docile
e flessibile. Il dolore se ne va via quando imparate ad affrontarlo con una mente
equilibrata.

D. Posso ottenere lo stesso beneficio dalla pratica anche se non provo dolore?

R. Se siete consapevoli ed equilibrati, allora - dolore o non dolore- state certamente


avanzando. Non è che dobbiate sentire dolore per fare progressi sul sentiero. Se non
c’è dolore, accettate il fatto che non c’è dolore. Dovete solo osservare ciò che c’è.

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Equanimità
D. Se dobbiamo solo accettare e osservare le cose come vengono, come può
esserci progresso?

R. Il progresso si misura sullo sviluppo dell’equanimità. Non avete altra scelta reale
se non l’equanimità, perché non potete cambiare le sensazioni, non potete creare le
sensazioni. Qualsiasi cosa sorge, sorge. Può essere gradevole o sgradevole, di
questo o di quel tipo, ma se mantenete l’equanimità, state certamente avanzando sul
sentiero. State rompendo le vecchie abitudini mentali alla reazione.

D. Questo accade nella meditazione, ma come lo riferite alla vita?

R. Quando nella vita quotidiana nasce un problema, prendetevi qualche momento


per osservare le vostre sensazioni con una mente equilibrata. Quando la mente è
calma ed equilibrata, qualsiasi decisione prendiate sarà quella buona. Quando la
mente è disturbata, la decisione che prendete sarà una reazione. Dovete imparare a
cambiare il modello della vita da reazioni negative ad azioni positive.

D. Dite che abbiamo i nostri panni sporchi e abbiamo anche il sapone per lavarli.
Oggi mi sento come se fossi rimasto pressoché senza sapone! Questa mattina la
mia pratica è stata molto forte, ma nel pomeriggio ho iniziato a sentirmi realmente
disperato e arrabbiato, e a pensare: ”Oh, qual è l’utilità!”. Era come se quando la
meditazione era forte, un nemico interno - l’ego forse - lottasse con quella forza e mi
mettesse fuori combattimento. E inoltre sentivo che non avevo la forza per
combatterlo. C’è un modo per mettersi da parte così da non dover combattere tanto
duramente, qualche modo intelligente per farlo?

R. Mantenere l’equanimità, ecco la via più intelligente! Quello che avete sperimentato
è assai naturale. Quando vi sembrava che la meditazione andasse per il meglio, la
mente era equilibrata e penetrava in profondità nell’inconscio. Come risultato di tale
operazione in profondità, è stata scossa una reazione passata che è venuta alla
superficie della mente e nella seduta seguente vi siete ritrovati di fronte a quella
burrasca di negatività. In una tale situazione l’equanimità è essenziale, perché
altrimenti la negatività vi vincerebbe e non potreste lavorare. Se l’equanimità sembra
debole, iniziate a praticare la consapevolezza del respiro. Quando viene una grossa
burrasca, dovete gettare l’ancora e aspettare che passi. Il respiro è la vostra ancora.
Lavorate con esso e la burrasca passerà. É bene che questa negatività sia venuta
alla superficie, perché ora avete l’opportunità di eliminarla. Se mantenete
l’equanimità, essa se ne andrà via facilmente.

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I corsi di Vipassana
D. Può spiegare come e perché i corsi sono stati strutturati in questa maniera?

R. Perché questo è il modo per raggiungere buoni risultati. Ci sono diverse scuole
che non danno molta importanza alla disciplina, alla continuità della pratica,
all’osservazione del silenzio e ad altre regole e i risultati sono differenti. È come
probabilmente voleva il Buddha, che suggeriva di lavorare molto seriamente e nello
stesso tempo anche continuamente. È questo che si intende per disciplina.

D. Che cosa direbbe ad un professionista molto occupato il quale asserisce di non


poter trovare 10 giorni per fare un corso di Vipassana?

R. Anche per me questo ha rappresentato un problema. Ero un industriale così pieno


di impegni. Dedicare 10 giorni ad un corso era impensabile per me. Ero una persona
molto collerica ed egocentrica, ostile verso gli altri, e mi ritenevo molto saggio ed
intelligente per il fatto che, pur così giovane, avevo un sacco di quattrini. L’ “io” era
fortissimo in me. A livello intellettuale avevo cominciato a rendermi conto che questo
“io” così forte mi rendeva infelice, ma non sapevo cosa fare. Provai parecchie cose.
Per anni mi dedicai ai canti devozionali, ma senza alcun risultato. Mi sforzai di capire
tutte le scritture. Avevo letto quanto fossero dannose le attività negative della mente
e quanto benefiche quelle positive, e continuai a riflettere su questo. Ma come era
accaduto per i canti e le pratiche devozionali, provavo sollievo per un certo tempo,
ma poi ricadevo nella stessa infelicità.
Poi venne il contatto con una persona saggia, Sayagyi U Ba Khin, che divenne il mio
maestro. Egli mi disse: “Tutte queste pratiche sono giochi che si svolgono al livello
conscio della mente, quello superficiale, mentre il meccanismo di abitudini mentali
che crea l’infelicità si trova alla radice della mente”. La radice della mente è
l’inconscio. Questo è cieco e non accetta i messaggi che gli vengono dall’intelletto,
ma reagisce invece ciecamente. Ogni qualvolta prova qualcosa di piacevole reagisce
con forte desiderio ed attaccamento, quando sente qualcosa di spiacevole reagisce
con avversione ed odio. E questo schema di comportamento, situato nella profondità
della mente, che provoca la sofferenza. Se non si cambia questo schema di
comportamento, qualsiasi cosa si faccia alla superficie della mente ha carattere
provvisorio e non serve a granché.
Se la radice è malata, l’intera pianta è malata. Occorre un’operazione chirurgica della
mente, e per quella ci vuole una guida esperta, un atmosfera adatta ed un po’ di
tempo. Non ci si può semplicemente sedere, meditare e pensare di penetrare
immediatamente in profondità, non è possibile.
Si deve procedere strato dopo strato, gradualmente, per raggiungere il punto in cui la
mente inconscia reagisce ciecamente, secondo un automatismo divenuto abituale.

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Questo richiede tempo. È la ragione per cui abbiamo fissato dieci giorni come tempo
minimo per imparare questa tecnica.
In un primo tempo sembra impossibile trovare 10 giorni liberi. Ma, una volta
completato il corso, le persone dicono che quelli sono stati i 10 giorni più importanti
della loro vita, perché ne hanno capito il valore.

D. C’è bisogno di fare qualche speciale preparazione per fare questo corso?

R. Questa è la preparazione: incominciate da dove siete ora. E i 10 giorni del corso


saranno la preparazione per l’intera vita.

D. Perché è necessario un corso di dieci giorni per apprendere questa tecnica?

R. È certo che se poteste fermarvi per un periodo più lungo sarebbe ancor meglio!
Ma dieci giorni sono il tempo minimo che consente di comprendere lo schema della
tecnica.

D. I corsi di meditazione Vipassana ora durano generalmente dieci giorni, ma si tratta


di uno sviluppo recente. È vero che fu U Ba Khin a introdurre questa pratica?

R. Per quanto mi risulta, fu il maestro U Ba Khin ad incominciare a lavorare con


queste sessioni di dieci giorni: Poi U Ba Khin ne fece una regola. Egli disse che non
si può assimilare correttamente la pratica in meno di dieci giorni. Se si ha la
possibilità di fare dei corsi più lunghi, tanto meglio; ma dieci giorni rappresentano il
minimo.

D. Perché dobbiamo rimanere per dieci giorni nel luogo in cui si tiene il corso?

R. Perché siete qui per compiere un’operazione alla mente. Così come le operazioni
chirurgiche devono essere fatte in ospedale, in sale operatorie protette da fonti di
infezioni, così qui, dentro i confini del luogo dove si tiene il corso, l’operazione sulla
vostra mente può essere compiuta senza essere disturbati da influenze esterne.
Quando il corso finisce, anche l’operazione è finita e voi siete pronti a rientrare in
contatto con il mondo.

D. Perché U Ba Khin ha insistito così tanto sulla continuità della pratica, strutturando
i corsi con un programma così pesante?

R. Perché il Buddha lo ha voluto. Secondo il Buddha sampajañña, la consapevolezza


delle sensazioni con la comprensione di anicca, la consapevolezza deve essere
mantenuta costantemente, continuamente, giorno e notte. E il periodo dei corsi è
solo di 10 giorni, quindi un brevissimo periodo, perciò proprio per il loro bene ha

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suggerito ai propri studenti di restare il maggior tempo possibile con questa
consapevolezza. Proprio in accordo con i suggerimenti del Buddha.

D. Quando gli studenti arrivano ai corsi, domandate loro addirittura di depositare i


loro romanzi fino al momento della partenza. Qual’è la ragione di questa regola?

R. Perché quando si legge un romanzo intriso di passione o di paura, ne nascono


delle vibrazioni del medesimo genere. Tutto ciò che viene generato dalla vostra
mente entra anche in contatto con gli oggetti inanimati, che ne sono impregnati; e
quegli oggetti rimangono lì, nello spazio in cui voi state cercando di purificare la
vostra mente. Non si tratta di una vuota credenza, è qualcosa di molto scientifico. Più
tardi, a mano a mano che progredite su questo sentiero, potrete iniziare a percepire
non solo le vibrazioni degli esseri umani o delle altre creature, ma anche le vibrazioni
degli oggetti inanimati che vi circondano.

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Il servizio
D. Quali sono le doti che prende in considerazione quando nomina i suoi assistenti
nell’insegnamento e i consiglieri per l’Associazione e i Centri?

R. C’è un lungo elenco di requisiti che considero riservati. Vorrei però dire qualcosa
in merito ciò che rende una persona non idonea alla funzione di assistente o
consigliere. Se qualcuno smania di diventare maestro, consigliere, segretario,
responsabile dei corsi, ci tiene ad avere una posizione, un incarico, un’autorità,
questa persona non è adatta a lavorare per il Dhamma.
Se invece l’intenzione è: “voglio servire, non importa in quale ruolo. Se mi
chiederanno di fare il guardiano, farò il guardiano; se mi diranno di pulire le latrine,
pulirò le latrine” e poi lo si fa veramente, quella persona ha i requisiti necessari. Se
poi acquisisce le altre qualità necessarie, può raggiungere il più alto incarico. Si
serve nel Dhamma non per accrescere l’ego, ma per dissolverlo.

D. Cosa dobbiamo fare quando, prestando servizio nel Dhamma, entriamo in


conflitto con un altro servitore del Dhamma?

R. Quando vi succede di trovarvi in conflitto con gli altri, quando tra voi sorge un
contrasto, ritiratevi dal servizio; non servite più. Quando siete in una situazione in cui
non vi riesce di mantenere la mente calma e silenziosa, piena di amore e
compassione per gli altri, ma vi accorgete invece che, per una ragione o per l’altra,
nella mente entrano delle negatività, dite a voi stessi: “Non sono in condizioni di
servire ora; non è il momento giusto; è meglio che mi metta a meditare”. Ritiratevi
dunque dal servizio, sedetevi e meditate. Non è possibile servire gli altri quando si è
in preda alle negatività, perché in quel caso si trasmettono agli altri le proprie
vibrazioni negative. Direte: “Ma non è colpa mia, è colpa dell’altro”. Qualunque sia la
causa apparente, è colpa vostra se avete iniziato a generare delle negatività.
Siate comprensivi; ed anche se ritenete che qualcuno di quelli che lavorano con voi
abbia torto, fateglielo notare con molta gentilezza ed umiltà: “A me pare che questo
non sia giusto, che non sia Dhamma”, Nel caso in cui l’altro non capisca, lasciate
passare un po’ di tempo, e poi cercate nuovamente di spiegargli la cosa, con
semplicità e garbo. Anche se l’altro non sarà d’accordo, voi gli avrete esposto le
vostre ragioni ed il vostro modo di vedere senza perdere la vostra obiettività e la
vostra calma.
Io direi che se per due volte gli avete parlato, e la cosa non funziona, potete fermarvi
lì. In rarissimi casi potrete tentare per la terza volta, ma non oltre, mai! Altrimenti per
quanto giusta possa essere la vostra opinione, vorrebbe dire che vi siete attaccati
eccessivamente ad essa. È sbagliato volere che le cose accadano secondo il vostro
punto di vista, in conformità alle vostre idee. Quando il vostro fratello, la vostra
sorella ha sbagliato, potete farglielo notare una, due, tre volte al massimo. Se questo

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risulta inutile, non denigratelo, avvertitelo ancora amichevolmente: “Bene, questo è
ciò che io penso. Forse quelli che hanno più esperienza te lo potranno spiegare
meglio”.
Parlate sempre in primo luogo con la persona con cui vi trovate in contrasto, prima di
sottoporre il caso a qualcun altro. Soltanto in seguito informatene chi ha più
esperienza - studenti anziani, l’assistente o, in qualche raro caso, il Maestro. La cosa
va prima chiarita con la persona interessata, dopo di che potete rivolgervi agli altri.
Così non fate cattivo uso della parola. Se invece criticate l’altro alle sue spalle, venite
meno al precetto, e sbagliate.
Ma se tutti i vostri passi falliscono, e la persona non si ravvede, non abbiate
avversione, ma solo compassione verso di lei.
Dovete esaminarvi bene ogni volta che desiderate che venga fatta una cosa che
ritenete molto giusta, e che invece non viene fatta. In quel caso, diventate agitati? Se
così è, significa che il vostro io è forte, che predomina l’attaccamento all’io ed alle
vostre idee - e ciò non è Dhamma. Cercate di modificare voi stessi prima di voler
riformare gli altri.

D. In ogni assemblea annuale lei ha spiegato i doveri e le responsabilità degli


assistenti, dei servitori del Dhamma e dei membri dell’associazione. Abbia la cortesia
di spiegarci ancora una volta il rapporto che c’è tra queste funzioni, in modo che le
persone che le svolgono lo facciano in modo adeguato.

R. Si tratta sempre di servire. Non c’è differenza tra il farlo come servitore, o come
membro dell’organizzazione, o come insegnante – e cioè in qualità di assistente, di
assistente anziano, di assistente per bambini, di sostituto del maestro, o di maestro.
L’unica motivazione dovrebbe essere quella di servire gli altri senza attendersi nulla
in cambio. È assolutamente da escludere un qualsiasi vantaggio finanziario: sarebbe
in completa opposizione al Dhamma. Non si può commercializzare il Dhamma, se
non lo si vuole degradare e rovinare. Ma anche l’aspettarsi un privilegio o una
considerazione qualsiasi da parte degli altri è una cosa che non è ammessa. Si serve
senza aspettarsi nulla dagli altri.
Si ha già una ricompensa sufficiente quando si vede il beneficio che la gente trae da
questa tecnica. Persone che vengono al corso con aria triste e melanconica, dopo
dieci giorni mostrano dei visi lieti e radiosi. Voi, dal canto vostro, siete felici di aver
servito bene e che i risultati siano stati così buoni. In seguito, continuate a rallegrarvi
ogni qualvolta incontrate le stesse persone, o ricevete le loro lettere, e constatate
che continuano a procedere con successo sul sentiero. Questa è la vostra
ricompensa, la vostra bellissima ricompensa.
Anche i parami che costruite in voi stessi, i meriti che acquistate, sono altrettante
ricompense. Non aspettatevi assolutamente altro dagli studenti che servite.
E nel corso del servizio, sia che siate dei servitori, o degli insegnanti, o degli
organizzatori del corso, dovreste provare un sentimento di gratitudine. Non
aspettatevi affatto che la gente vi si mostri riconoscente. Ma voi, invece, dovreste

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provare gratitudine, gratitudine e grande venerazione e devozione verso l’Illuminato.
L’Illuminato si è prodigato molto per noi. Egli ha continuato a sviluppare i suoi parami
per un’infinità di secoli, con grandissimo impegno, fino a raggiungere il punto in cui
poté scoprire questa tecnica meravigliosa che era ormai perduta per l’umanità. Come
avrebbe potuto giungere fino a noi se egli non l’avesse scoperta? Dobbiamo sentirci
grati perché se egli, dopo aver raggiunto l’illuminazione e la liberazione, non avesse
insegnato, noi non avremmo saputo di questa tecnica. Egli invece, con infinita
compassione, continuò a trasmetterla per tutta la sua vita. È inevitabile che la nostra
gratitudine verso l’Illuminato sia senza confini.
Poi la tecnica è stata tramandata di generazione in generazione, da maestro a
discepolo, a partire dal Buddha fino a Sayagyi U Ba Khin – anche a loro va la nostra
riconoscenza, perché furono essi a conservarla nella sua purezza originaria. Essa si
era diffusa in diversi paesi, dove andò perduta, ed anche in India se ne persero le
tracce. Ma ci sentiamo grati a quei pochi birmani che la conservarono, perché senza
di essi noi oggi non l’avremmo.
Perciò il sentimento di riconoscenza rappresenta un importante segno di progresso
da parte di un meditatore. Servite dunque in maniera disinteressata e coltivate lo
spirito di gratitudine.
È anche necessario che tra di voi servitori, o assistenti, o addetti all’organizzazione,
non si creino sentimenti egoistici. Nessuno deve gloriarsi perché presta la sua opera
come servitore. Il modo in cui servite non ha importanza, il vostro scopo è quello di
servire gli altri e basta.
È chiaro che dovete nutrire buoni sentimenti gli uni verso gli altri. Se tra di voi non c’è
benevolenza, date un cattivo esempio, e vuol dire che non avete capito il Dhamma.
Perciò non sottovalutate mai questo punto. E il vostro obiettivo sia quello di lavorare
tutti insieme per servire l’umanità, per aiutare persone che soffrono. Ecco tutto.

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Illuminazione
D. Dobbiamo credere che lo scopo finale è l’illuminazione?

R. L’illuminazione non è qualcosa che avviene ad un dato momento. Si diventa


illuminati passo dopo passo. Sviluppando la vostra visione profonda, procedendo su
questa via, voi conseguirete l’illuminazione.

D. Vorreste dire che Vipassana è il solo modo per raggiungere l’illuminazione?

R. L’illuminazione si raggiunge esaminando se stessi ed eliminando i


condizionamenti. E fare questo è Vipassana, non importa con quale nome la
chiamiate. Alcune persone non hanno mai sentito parlare di Vipassana, e tuttavia il
processo ha iniziato ad operare spontaneamente in esse. Ciò sembra essere
accaduto nel caso di diversi santi dell’India, a giudicare dalle loro parole. Ma poiché
essi non appresero il procedimento con gradualità, non furono capaci di spiegarlo
con chiarezza agli altri. Qui avete l’opportunità di apprendere passo per passo il
metodo che vi condurrà all’illuminazione.

D. Un maestro come riconosce che un allievo ha sperimentato il nibbāna?

R. Ci sono vari modi per verificare quando qualcuno sta effettivamente


sperimentando il nibbāna. Per questo un maestro deve ricevere una formazione
appropriata.

D. Come possono i meditanti riconoscerlo da soli?

R. Dai cambiamenti che intervengono nella loro vita. Chi ha realmente sperimentato
il nibbāna, diventa una persona nobile, santa con una mente pura. Non trasgredisce
più i cinque precetti di base in nessun modo e invece di nascondere un errore, lo
ammette apertamente e cerca fortemente di non ripeterlo. L’attaccamento a riti e
cerimonie se ne va via, perché questi vengono riconosciuti come forme esteriori,
vuote, senza un’esperienza reale. Ha una fiducia inamovibile nel sentiero che lo
conduce alla liberazione, non continua a cercare altre strade. E, infine, in lui
l’illusione dell’ego sarà frantumata. Se qualcuno afferma di avere sperimentato il
nibbāna, ma la sua mente rimane impura come prima, così come le sue azioni
rimangono non salutari, allora c’è qualcosa di sbagliato. Il suo stile di vita deve
mostrare se una persona ha realmente sperimentato il nibbāna.
Non è appropriato per un maestro rilasciare “certificati” agli studenti - per annunciare
che hanno conseguito il nibbāna Diventerebbe una competizione che accresce l’ego
sia per l’insegnante che per gli studenti. Gli studenti cercherebbero solo di ottenere
un certificato e più certificati un maestro rilascia, più alta è la sua reputazione.

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L’esperienza del nibbāna diventa secondaria, il certificato acquista un’importanza
primaria e tutto diventa un gioco folle. Il puro Dhamma ha il solo scopo di aiutare la
gente, e il migliore aiuto è vedere che uno studente ha realmente sperimentato il
nibbāna e si è liberato. Lo scopo del maestro e dell’insegnamento è di aiutare la
gente genuinamente e non di pubblicizzare il suo ego. Non è un gioco.

D. Va bene desiderare l’illuminazione?

R. Non va bene. Non otterrete mai l’illuminazione se la desiderate. L’illuminazione


semplicemente avviene. Se voi la desiderate, correte nella direzione opposta. Uno
non può desiderare un particolare risultato. Il risultato viene naturalmente. Se voi
cominciate a dire, “devo ottenere il nibbāna, io devo ottenere nibbāna”, voi state
correndo nella direzione opposta al nibbāna. Il nibbāna è uno stato libero da
attaccamento, e voi lo volete raggiungere con l’attaccamento – ciò non è possibile.

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Inferno e paradiso
D. Cosa dice dell’inferno e del paradiso?

R. Tutti gli inferni e tutti i paradisi sono contenuti all’interno del nostro corpo. Quando
vi sentite infelici vi trovate nel regno dell’inferno, quando siete felici vuol dire che
state planando sui piani celestiali dei deva o di Brahmā. Tutti questi mondi sono
dentro di voi.

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Insegnamento
D. In poche parole cosa si impara da un corso di Vipassana?

R. Insegno un modo di vivere, un codice di condotta, un’arte di vivere. Il fine è quello


di imparare a vivere in modo pacifico ed armonioso, a vivere moralmente, a vivere
con il controllo sulla propria mente, a vivere con lo spirito pieno di buone qualità
come amore, compassione, buona volontà.

D. Come insegnante personalmente formato da U Ba Khin può dirci quali sono le


linee principali dell’insegnamento di U Ba Khin?

R. Sono le stesse di quelle che sto insegnando, è lo stesso insegnamento che il


Buddha ha impartito. Non c’è nessun cambiamento nell’insegnamento di base, e cioè
ognuno deve cominciare con sīla, poi deve sviluppare samādhi, con la
consapevolezza del respiro naturale, del respiro puro, così come viene, senza
aggiungere nulla, poi cominciare ad acquisire paññā, la saggezza, osservando le
sensazioni del corpo equanimemente e senza reagire, in modo che non venga
generata nessun’altra impurità e condizionamento, dando la possibilità ai vecchi
condizionamenti di venire in superficie e di essere sradicati. Questo è ciò che ha
insegnato U Ba Khin, è ciò che il Buddha ha insegnato.

D. Qual è la caratteristica fondamentale che distingue la meditazione Vipassana così


come insegnata da U Ba Khin?

R. Tutta l’importanza viene data a bhāvanā mayā paññā, perché in cinta mayā
paññā e in suta mayā paññā una persona può purificare la mente, ma soltanto fino
ad un certo grado. È solo bhāvanā mayā paññā che può portare ad un livello più
profondo della mente, e quindi purificarla. Allora i saṅkhāra profondamente radicati,
che secondo il Buddha sono chiamati anusaya kilesa e cioè quei condizionamenti,
quella sofferenza profondamente addormentata all’interno di noi stessi, vengono
sradicati e la persona è completamente liberata. Ciò può essere fatto solo con
bhāvanā mayā paññā, e si acquista bhāvanā mayā paññā solo con la saggezza che
deriva dall’esperienza diretta, cioè quella a livello delle sensazioni nel corpo.

D. Quale tipo di Vipassana ha imparato U Ba Khin? E quali cambiamenti (se sono


stati fatti) ha egli introdotto nel suo insegnamento?

R. Nessun cambiamento, l’insegnamento che egli ha ricevuto lo ha passato alla


generazione seguente. Nessun cambiamento nella tecnica è stato fatto da alcuno in
questa tradizione.

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D. Pensa che U Ba Khin abbia insegnato esattamente ciò che Buddha ha insegnato?
Ha egli adattato l’insegnamento del Buddha ai tempi moderni? E se così è stato
come e cosa ha cambiato dall’insegnamento originale?

R. Non c’è stato nessun cambiamento, ma il modo di presentare l’insegnamento del


Buddha è stato certamente reso da U Ba Khin più adatto alle persone dei tempi
moderni e specialmente di quelli che venivano dall’occidente, in modo che agli
stranieri non Buddhisti che venivano da lui, con una certa mentalità
nell’apprendimento della materia, egli ha presentato l’insegnamento in maniera che
lo potessero comprendere. Perciò il modo di presentare è stato elaborato in modo
che potesse essere più gradito alle persone che venivano ad imparare, ma la pratica
effettiva, la vera pratica, non è stata cambiata per niente.

D. In che modo U Ba Khin ha formato alcuni suoi discepoli perché diventassero


insegnanti e continuassero il suo insegnamento? E se lo ha fatto con quali criteri ha
scelto i suoi studenti, in modo che diventassero insegnanti? Quali sono i più
importanti requisiti perché l’insegnamento di U Ba Khin venga trasmesso e
continuato nella sua forma pura?

R. Questo dovreste chiederlo direttamente a U Ba Khin, ma certamente ha


selezionato e formato alcuni dei suoi studenti in modo che diventassero insegnanti.
In effetti sei di questi studenti furono selezionati e fu dato loro il permesso di
insegnare e condurre dei corsi alla sua presenza. I criteri con cui poter riconoscere
che in effetti un insegnante segue l’insegnamento del proprio maestro è quello di non
far diventare l’insegnamento un affare, un mezzo di sostentamento, ma insegnarlo
gratuitamente. Inoltre deve sicuramente avere delle qualità di amore e di
compassione verso gli altri in modo da poter insegnare il Dhamma e poter essere lui
stesso un buon meditatore.

D. Lei segue nei suoi insegnamenti la stessa via di U Ba Khin o ha introdotto qualche
cambiamento? E se è così, un cambiamento può essere un arricchimento
dell’insegnamento di U Ba Khin oppure diventare la possibilità di creare confusione?

R. Nessun cambiamento, non è possibile fare nessun cambiamento


nell’insegnamento del Buddha. Si può fare qualche cambiamento solo diventando un
super Buddha. Tutti coloro che sono al di sotto dello stato del Buddha, del
raggiungimento dello stato del Buddha non dovrebbero fare nessun cambiamento.
Per voler rendere più chiaro l’insegnamento non bisogna correggere l’essenza; il
modo di insegnare naturalmente può cambiare: U Ba Khin che ha dovuto insegnare
a degli studenti moderni, ha spiegato in maniera più scientifica, in modo che le
persone occidentali lo potessero comprendere. Allo stesso modo io quando sono
venuto in India ho dovuto affrontare un numero molto alto di persone che
appartengono a differenti sette. Essendo io stesso originario dell’India, conosco i

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fondamenti di tutta la religiosità del popolo indiano e della spiritualità che è sorta in
India prima del Buddha durante e dopo il Buddha. Perciò quando ho che fare con
qualche persona di questa estrazione devo comprendere ciò che c’è dietro a questa
persona e spiegare le cose in modo che essa possa comprendere meglio
l’insegnamento del Buddha; questo non vuole dire cambiare la tecnica. È solamente
spiegare le cose alla gente in modo che possano comprendere l’insegnamento del
Buddha senza pericolo di confusione.

D. Insegnando il Dhamma, trova che gli studenti orientali asiatici siano diversi dagli
occidentali? Lei non modifica mai l’insegnamento per adattarlo alle varie culture?

R. L’insegnamento di base è sempre lo stesso, e così pure la tecnica di meditazione.


Ma quando insegno agli indiani, non ho bisogno di insistere su Sīla (moralità). Non è
che la gente in India sia irreprensibile dal punto di vista morale, ma perlomeno
capisce Sīla e le dà molta importanza. E neppure occorre che io spenda molte parole
per scoraggiare la libertà sessuale o la droga. In occidente, invece, devo dare
maggiore rilievo a questi problemi. Gli indiani hanno più difficoltà per le loro
convinzioni filosofiche, specialmente per quanto riguarda l’ “anima”. Una setta crede
che l’anima abbia le dimensioni di un pollice, l’altra di un seme di cachi. E qui in India
c’è una enorme quantità di dei di tutti i generi, che hanno due mani o quattro mani,
questa forma o quel colore. Agli indiani dico che si può benissimo credere in questo
o quel dio, o in un certo tipo di anima, ma questo non elimina la necessità di
purificare la propria mente. Altrimenti si continua ad essere infelici.

D. Qual è l’origine di questa tecnica di far scorrere l’attenzione?

R. L’origine è il Buddha! Non vi è nessun’altra origine. Nel Sutta del Satipaṭṭhāna (i


quattro fondamenti della consapevolezza) troviamo le parole:
“Sabbakāyapaṭisaṃvedī assasissāmī’ti sikkhati, sabbakāyapaṭisaṃvedī
passasissāmī’ti sikkhati” (Percependo l’intero corpo io inspirerò, percependo l’intero
corpo io espirerò). In una sola respirazione - inspirazione ed espirazione - si
dovrebbe imparare a sentire il corpo intero. Sono forse stato io a chiamarlo “scorrere
rapidamente”, ma l’insegnamento è quello del Buddha.
Tutta la tecnica del Buddha ha lo scopo di farvi passare dal livello superficiale della
realtà a quello più profondo. Le verità apparenti sono sempre facilmente percepibili e
solide, e sono impastate di illusione e di falso. Lo scopo della meditazione Vipassana
è di andare al di là di ciò che è superficiale, fino a giungere alla verità ultima. La
verità ultima è che mente e corpo non sono che vibrazioni; ed è precisamente ciò
che voi giungete ad osservare praticando questa tecnica.

D. Esistono altre tecniche di meditazione. Vi sono altri metodi che possono portare
alla realizzazione di questa verità ultima?

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R. Il punto di partenza della meditazione può essere diverso. Potrebbero esservi
delle persone che non possono iniziare con la respirazione perché essa per loro è un
oggetto troppo sottile; questi potrebbero cominciare con un oggetto più facilmente
percepibile. Ma noi crediamo che alla fine tutti devono confluire nella stessa via,
quella in cui si sperimentano sensazioni in tutto il corpo. È necessario che vi sia
“sampajāna” (perfetta comprensione) e per avere “sampajāna”, occorre percepire le
sensazioni nell’intero corpo.

D. In questa pratica meditativa non si dà molto importanza a cittānupassanā


(osservazione della mente) o a dhammānupassanā (osservazione dei contenuti
mentali). C’è una ragione per questo?

R. Il Buddha non insegna mai ad osservare i pensieri. Nel discorso di Satipaṭṭhāna,


alla sezione che tratta di cittānupassanā, il Buddha dice: “Qui il monaco, osservando
la propria mente alterata dal desiderio, si rende conto che è una mente alterata dal
desiderio...” Non è importante definire il tipo del desiderio. Se si osserva il pensiero,
ci si ritrova invischiati nei suoi contenuti. Occorre invece semplicemente notare che
nella mente è sorto un desiderio, e nello stesso tempo continuare a percepire il
sorgere e lo svanire delle sensazioni nel corpo. Se si è equanimi nei confronti delle
sensazioni, si è pure equanimi nei confronti del desiderio; in quel modo, strato dopo
strato, quel particolare saṅkhāra (reazione mentale) verrà automaticamente
eliminato.

D. Mi pare che qui Lei si riferisca ad un livello mentale molto profondo, a quello
subcosciente.

R. Sì. È per agire su quella parte della mente che il Buddha ha elaborato questa
tecnica. Egli aveva dapprima provato gli otto jhāna (livelli di assorbimento) che
avevano purificato la sua mente, ma non le profondità della mente. In fondo ad essa
giacevano quelle che il Buddha chiamò “le impurità assopite“, e cioè le radici delle
impurità che ancora rimanevano conficcate nella mente. Egli comprese che queste si
potevano estirpare soltanto con la pratica di Vipassana, cioè attraverso la
consapevolezza delle sensazioni.
Dovete rendervi conto che quella che voi chiamate mente inconscia è in realtà
ininterrottamente conscia: conscia ogni attimo delle sensazioni del corpo. Se ad
esempio, state dormendo profondamente, ed una zanzara vi punge, la vostra mente
inconscia lo sa e voi reagite, pur continuando a dormire. Molte volte durante l’intera
notte, continuerete a grattarvi, senza che la vostra mente conscia se ne renda
minimamente conto. Succede lo stesso durante il giorno. Se rimanete seduti a lungo
e incominciate a sentirvi a disagio, iniziate ad agitarvi ed a cambiare posizione:
queste sono tutte reazioni della mente inconscia. Buddha scoprì appunto che la
mente inconscia è costantemente in contatto con le sensazioni del corpo. Di
conseguenza, se vogliamo purificare la parte inconscia della nostra mente, è con

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queste sensazioni che dobbiamo lavorare. Se non si tiene conto delle sensazioni
fisiche, allora si è in contatto soltanto con la superficie della mente. Questa verrà
purificata, e si tratta di un indubbio vantaggio, ma le complessità latenti nella parte
più profonda della mente, i forti condizionamenti del passato, quelli, rimarranno
inalterati.

D. La nostra è l’unica tradizione di Dhamma puro?

R. Dovete capire cos’è il puro Dhamma. È la legge di natura, la verità relativa alla
mente ed alla materia, al modo in cui queste interagiscono e si influenzano
reciprocamente. È l’esperienza reale dell’intero fenomeno fisico-psichico, non
qualcosa di puramente intellettuale, che non serve a niente. Il Buddha voleva che il
Dhamma fosse sperimentato.
L’esperienza della verità, il giungere alla radice della mente, avviene per tutti allo
stesso modo. Si parte dalla superficie della mente e si va sempre più in profondità.
La parte superficiale della mente, quella che il Buddha chiamava paritta citta e che gli
occidentali chiamano mente conscia, rappresenta una minima parte della mente. Ma
penetrando sempre più in profondità, si raggiunge la radice del problema. Si riesce a
capire come funziona il meccanismo della reazione. In Pali esiste un temine nati, che
significa tendenza. In conseguenza della tendenza che si manifesta in noi, si instaura
una reazione che continua nel tempo. Se la tendenza è quella alla rabbia, si continua
a generare rabbia per ore di seguito. E il condizionamento di rabbia che già esiste in
noi si rafforza sempre più. Lo stesso accade per qualsiasi altra passione. I
condizionamenti diventano sempre più potenti.
Ora, ognuno di noi è responsabile dei condizionamenti che crea. Essi non sono il
risultato di potenze esterne. Sono la conseguenza della nostra ignoranza.
Ma con Vipassana uno si rende conto. “Guarda un po’ che gioco sto giocando. Mi sto
facendo del male. Divento prigioniero del mio schema di comportamento”. Allora si
comincia ad osservare, a vedere come nasce la tendenza, come si instaura la
reazione e come si continua a reagire. Allora si smetterà di reagire, si interromperà la
sequenza, e ci si libererà dal condizionamento. Verrà poi il momento in cui neanche
la tendenza si manifesterà più.
Può forse esserci qualcos’altro nel puro Dhamma? Si può mascherare il problema
stendendo uno spesso strato sulla mente. Quando la mente si riempie di negatività,
si può deviare l’attenzione recitando delle parole, dei mantra, ed ecco che la mente si
calma. Ricoprendola di uno strato di qualcos’altro, la rabbia viene dimenticata.
Ma tutto ciò riguarda soltanto la superficie della mente. Giù nel profondo la tendenza
continua ad esistere, il condizionamento rimane inalterato: come cambiare questo
condizionamento, se non arrivando a quella profondità? Vipassana è la via che
conduce a quel livello, lì dov’è possibile osservare la realtà così com’è. Inutile voler
cambiare la realtà, il cambiamento avviene da solo. È sufficiente osservarla,
continuare semplicemente ad osservarla, e l’abitudine a reagire verrà

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automaticamente eliminata. Allora si è fuori dal carcere, si è liberati dalla propria
schiavitù. E questa è l’unica via, ekāyano maggo.

D. In previsione del vasto espandersi di Vipassana e della sua importanza per


l’umanità, Le è possibile predire in che modo possiamo continuare a diffondere il
Dhamma nella sua purezza in avvenire, e anche quando Lei non ci sarà più?

R. È sufficiente che le persone responsabili della diffusione del Dhamma continuino a


rendersi conto che la purezza di questa tecnica meravigliosa è il fattore più
importante della sua efficacia. L’India perse questa tecnica straordinaria nel giro di
circa cinquecento anni; ciò avvenne per parecchie ragioni, ma la principale fu che la
gente che ricevette questa tecnica iniziò a mescolarla con le proprie credenze
religiose, con le loro dottrine filosofiche, con i loro culti. Dopo un po’ di tempo quelle
credenze e quegli elementi culturali presero il sopravvento, e Vipassana divenne
sempre meno importante, perse la sua efficacia e lentamente scomparve.
Occorre stare bene attenti che questo non avvenga. L’abbiamo già persa duemila
anni fa; ora ci è stata restituita nella sua forma autentica, e dobbiamo mantenerne la
genuinità se vogliamo che dia i suoi risultati. Le persone che praticano Vipassana
provengono da esperienze e tradizioni differenti. Non devono mai sovrapporre le loro
credenze e le loro tradizioni a questa tecnica. Se questo punto essenziale viene ben
compreso, essa continuerà ad aiutare la gente, che Goenka ci sia oppure no.

D. Perché l’insegnamento di U Ba Khin è particolarmente dedicato ai laici? Può


essere usato anche dai monaci?

R. Certamente può essere usato anche dai monaci, alcuni di questi hanno
partecipato ai suoi corsi, ma siccome c’erano tanti altri monaci che insegnavano in
Burma egli non voleva prendersi questa responsabilità. Venendo ad insegnare in
India, mi ero posto il problema se dovevo permettere ai monaci di partecipare ai miei
corsi. Sin dal primo corso mi si è posto questo problema perché un monaco famoso
dello Sri Lanka che era in quel periodo a Bombay, mi domandò di partecipare come
studente ad un corso. Allora mi rivolsi telefonicamente ad U Ba Khin chiedendogli
che cosa dovevo fare, ed egli mi disse: “Si certo devi accettare che dei monaci
partecipino al tuo corso perché attualmente in India non ci sono altri che possono
insegnare questa tecnica, perciò ai monaci non deve essere tolta questa possibilità
di poter imparare questa tecnica”. Ho quindi incominciato ad insegnare anche a loro,
non solo ad uno o due, ma a centinaia di monaci. Il risultato è lo stesso sia che uno
sia monaco oppure laico.

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Io
D. Lei parla dell’esperienza dell’Io solo in termini negativi. Non ha un lato positivo?
Non c’è un‘esperienza dell’lo che riempie la persona di gioia, di pace, di estasi?

R. Con la meditazione si scopre che tali piaceri sensoriali vanno e vengono. Se


questo Io realmente ne gioisse, se fossero “miei” piaceri, allora l’Io dovrebbe avere
qualche potere su di essi. Ma essi nascono e svaniscono al di fuori del mio controllo.
In questo caso, che cos’è l’Io?

D. Non sto parlando di piaceri sensoriali, ma di quelli a un livello molto profondo.

R. A quel livello l’Io non ha alcuna importanza. Quando si raggiunge quel livello, l’ego
si dissolve. C’è solo gioia. La questione dell’Io allora non si pone neppure.

D. D’accordo, invece di Io diciamo allora l’esperienza della persona.

R. È la sensazione stessa che sente; nessuno la sente. Le cose stanno solo


avvenendo, ecco tutto. Ora, a voi sembra che ci debba essere un Io che sente, ma
con la pratica finirete col raggiungere il livello in cui l’ego si dissolve. E a quel punto
questa domanda non avrà più ragione di essere.

D. lo sono venuto qui perché sentivo che il mio Io aveva bisogno di venire qui.

R. Sì. È vero. Per gli scopi convenzionali, non possiamo sfuggire dall’Io o dal “mio”.
Ma attaccarci ad essi, considerarli reali nel senso ultimo ci porterà solo sofferenza.

D. Perché tendo a rinforzare questo ego? Perché continuo a voler essere Io?

R. Questo è ciò che la mente è stata condizionata a fare, a causa dell’ignoranza. Ma


Vipassana può liberarvi da questo dannoso condizionamento. Invece di pensare
sempre a voi stessi, imparerete a pensare agli altri.

D. Come succede questo?

R. Il primo passo è riconoscere quanto si sia egoisti ed egocentrici. A meno che non
si comprenda questa verità, non si può emergere dalla pazzia dell’amore di sé. Man
mano che proseguirete nella pratica, vi accorgerete che anche il vostro amore per gli
altri è nei fatti un amore egoistico. Capirete di amare qualcuno perché vi aspettate
qualcosa da lui, vi aspettate che si comporti in un modo che vi piace: nel momento in
cui questo qualcuno inizia a comportarsi in modo diverso, il vostro amore sparisce.
Così vi domanderete se amate questa persona o voi stessi. La risposta vi diventerà

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chiara, ma non cercandola a livello intellettuale, bensì con la pratica di Vipassana. E
una volta che avrete fatto questa esperienza diretta, potrete iniziare a emergere dal
vostro egoismo, imparando a sviluppare un amore reale per gli altri, un amore
altruistico, a senso unico: dare senza aspettarsi niente in cambio.

D. Trova che gli occidentali siano più attaccati al concetto dell’“io” di quanto lo siano
gli indiani?

R. Se per “io” si intende l’anima, gli indiani hanno più difficoltà con questo problema.
Ma quando si parla dell’Ego, è la stessa cosa dappertutto. A Burma, in India o in
America, la gente impazzisce per il proprio “Io”. Per questo la tecnica di meditazione
è così importante, perché ha lo scopo di dissolvere l’“io”.

D. Non capisco bene chi sta osservando e chi o cosa è osservato.

R. Nessuna risposta intellettuale vi può soddisfare. Dovete investigare da soli. Che


cos’è questo “io” che sta facendo tutto questo? Chi è questo “io”? Continuate a
esplorare, ad analizzare. Vedete se viene fuori un qualche “io”; se è così osservatelo.
Se non viene fuori niente, allora accettate: “Questo “io” è un’illusione”.

D. Mi accorgo di essere molto propenso a sminuire gli altri. Qual’è il modo migliore
per affrontare questo problema?

R. La meditazione. Se l’ego è forte, si cerca di sminuire gli altri, di abbassare la loro


importanza e accrescere la propria. La meditazione dissolve naturalmente l’ego. E
quando esso si dissolve, non è più possibile fare qualcosa che offenda l’altro.
Lavorate e il problema si risolverà automaticamente.

D. È possibile far musica, danzare o creare artisticamente senza essere incentrati


sul proprio io? Ci si può davvero esprimere artisticamente con una mente
equilibrata?

R. Una mente equilibrata è indispensabile. Ma è sbagliato aspettarsi di essere


totalmente liberi dall’io, di raggiungere lo stadio in cui l’io è completamente dissolto.
È una cosa che richiede molto tempo. L’ego comincia a sciogliersi alla radice quando
si raggiunge lo stato di anāgāmī, e quando si diventa un arahant l’ego non c’è più.
Ma un comune meditatore di Vipassana deve rendersi conto come prima cosa se
questo processo di dissoluzione dell’ego è iniziato o no.
Anche se ha iniziato ad assottigliarsi, però l’ego è pur sempre presente. Ma una
persona che operi in qualsiasi campo artistico, se medita bene con Vipassana, si
accorgerà che in lei avviene un grande cambiamento.

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Che si tratti di pittura, o di poesia, o di letteratura, o anche di danza, l’arte non verrà
più usata per suscitare passione, o rabbia, o odio nella mente altrui – questo non
sarà più possibile.
Con la pratica di Vipassana, si migliorerà la qualità della propria arte. Il suo effetto
sarà quello di arrecare pace ed armonia. Occorre verificare se questo avviene. Ma è
inutile puntare su uno stato di completa assenza dell’io.

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Maestri spirituali
D. Tanti maestri spirituali che sono venuti in occidente nei decenni passati sono stati
screditati, o sono stati coinvolti in scandali. Secondo Lei, perché questo accade così
frequentemente?

R. Un maestro che viene in occidente attirato dalla prospettiva di ricchezze materiali,


non ha niente a che fare col Dhamma. Si può mantenere la purezza del Dhamma e
della tecnica di meditazione, unicamente se il maestro non si aspetta niente in
cambio, neanche fama o posizione sociale privilegiata. Se la sua mente smania per
queste cose, un maestro non è degno di essere tale. Se si tratta di un monaco, egli
deve elemosinare il suo cibo; se invece è un laico, deve possedere un altro mezzo
per guadagnarsi da vivere, perché l’insegnamento del Dhamma non può essere un
mezzo di sostentamento.
Per molti maestri che vivono in occidente, un altro problema è rappresentato dalla
grande libertà sessuale che vi è diffusa. Ma quale maestro di Vipassana può anche
solo concepire l’idea di nutrire una passione nei confronti di qualche suo studente di
sesso opposto? Per Lui tutte le meditatrici sono delle figlie, e tutti i meditatori sono
dei figli. Chiunque riceveva il Dhamma dal Buddha, diventava suo figlio. Insegnare il
Dhamma significa conferire alle persone una nuova vita, una nuova nascita, e quelle
persone diventano perciò altrettanti figli. Io non posso capire come un maestro possa
intrattenere rapporti sessuali con un suo studente. È una cosa assolutamente da
evitare, altrimenti non si può trasmettere il Dhamma genuino.

D. U Ba Khin divenne completamente illuminato? Potete descrivere quello che ha


raggiunto in meditazione?

R. Oh no, nessuno dovrebbe parlare di quello che altre persone hanno raggiunto in
meditazione. In Dhamma se continuate a giudicare gli altri (come è il mio maestro,
dove è arrivato il mio maestro), allora uno non può imparare nulla. Una cosa è chiara
che l’insegnante sa qualche cosa in più dello studente, ed è per questo che è capace
di insegnare. E se avete rispetto per l’insegnante, allora prendete tutto quello che vi
può dare, invece di stare lì a giudicarlo, il che non ha alcun significato. Perché se
qualcuno dicesse “io sono un arahant” lo studente può anche non crederlo, e allora si
creerebbe uno spiacevole e dannoso saṅkhāra dello studente verso l’insegnante. Se
invece qualcuno dice “no io non sono un arahant” allora lo studente potrebbe dire
“come, se il mio insegnante non è diventato un arahant come posso io diventarlo”.
Perciò dare qualificazioni dell’insegnante non è appropriato in questo cammino.

41
Malattie
D. Questa tecnica guarisce malattie fisiche?

R. Sì, come risultato secondario. Molti disturbi psicosomatici spariscono


spontaneamente allorché le tensioni mentali si dissolvono. Se la mente è turbata, le
malattie sono portate a svilupparsi. Quando la mente diviene calma e pura,
scompaiono automaticamente. Ma se vi prefiggete come scopo la cura di un
malessere fisico invece della purificazione della mente, non raggiungerete né l’uno
né l’altro risultato. Ho appurato che chi segue il corso con lo scopo di curare una
malattia fisica fissa l’attenzione solo su questo per tutto il periodo del corso: “Oggi va
meglio? No, non va meglio... Oggi sto migliorando? No, niente miglioramento”. E tutti
i dieci giorni se ne vanno in questo modo. Ma se l’intenzione è semplicemente quella
di purificare la mente, allora molti malanni scompariranno automaticamente, come
risultato della meditazione.

D. Questa tecnica può curare il corpo fisico?

R. Si, come conseguenza. Lo scopo principale della tecnica è di guarire la mente.


Molte malattie sono psicosomatiche; quando la mente diventa pura e sana,
automaticamente queste vengono guarite. E anche se c’è una malattia fisica, se la
vostra mente è equanime, il processo di guarigione viene aiutato.

D. Ho notato di avere sensazioni grossolane nelle zone dove c’è stata una malattia
nel mio corpo.

R. Questi sono i vostri punti deboli, e tutti i saṅkhāra si manifestano lì. Se siete
equanimi, passano. In questo modo purificate la vostra mente e, nel processo, anche
questa parte del corpo si purifica e la malattia se ne va. Ma lo scopo non dovrebbe
essere quello di curare le malattie; lo scopo dovrebbe essere quello di purificare la
mente. La guarigione fisica dovrebbe essere considerata soltanto una conseguenza.

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Mente
D. Quando parlate di “mente“, non sono sicuro di cosa volete intendere. Mi è
impossibile localizzare la mente.

R. È ovunque, in ogni atomo. Ovunque sentite qualcosa, là c’è la mente. La mente


sente.

D. Dicendo mente allora non volete indicare il cervello?

R. Oh no, no. Qui in Occidente si pensa che la mente sia solo nella testa. È un
concetto sbagliato.

D. La mente è in tutto il corpo?

R. Sì, tutto il corpo contiene la mente, tutto il corpo!

D. Perché è importante purificare la mente?

R. La purezza è molto importante, perché ciò che accade durante i ritiri di


meditazione è nientemeno che una operazione chirurgica praticata sulla mente.
Quando venite operati in qualche parte del corpo, andate in sala operatoria; questa
viene mantenuta completamente asettica, viene eliminata ogni contaminazione,
perché c’è una ferita aperta, e la sporcizia può infettarla. Accade lo stesso nella sala
operatoria della mente. Se essa non è stata disinfettata, può danneggiare lo
studente.
Per cui è importantissimo mantenere la purezza.

D. Lei tratta l’emozione che sorge allo stesso modo dei pensieri?

R. Sì, sì! Ogni emozione non è altro che qualcosa che avete profondamente
represso nel passato. Con questa tecnica, tutte le cose represse devono venire alla
superficie. Quando l’emozione viene in superficie, accettate semplicemente il fatto
che l’emozione è venuta su. Non mettetela in relazione con qualche altro oggetto,
non rapportatela a questo o a quello, non entrate in dettagli. L’emozione è
l’emozione. Accettate l’emozione astratta. E insieme a questa, che sensazione avete
avuto? Dovete provare una sensazione nel corpo. Continuate ad osservare la
sensazione: anicca - anicca - anicca. Le sensazioni sono anicca. Quest’emozione è
anch’essa anicca. Vediamo quanto dura... sta passando...; avete tagliato le radici
dell’emozione. Ma se entrate nei dettagli dell’emozione, comincerete a rotolarvici e
allora si moltiplicherà e di nuovo verrà repressa. Perciò non entrate nei dettagli:

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accettate l’emozione come semplice emozione e continuate ad osservare la
sensazione.

D. Possiamo imparare dalle emozioni: la rabbia, la tristezza possono rappresentare


un insegnamento per noi. Mi sembra che le emozioni abbiano una loro validità.
Come si possono conciliare con Vipassana?

R. Per se stesse, le emozioni non rendono infelici. Se imparate come osservare le


vostre emozioni, vi liberate dalla sofferenza. Allora sì che imparate qualcosa dalle
emozioni. Ma se vi lasciate sopraffare dalle emozioni, allora siete degli infelici.
Questo è quanto insegna Vipassana: quando sopravvengono le emozioni,
osservatele obiettivamente: questa è un’emozione - è rabbia, e tristezza, è questo e
quell’altro - e allora vediamo un po’ quali sono le sensazioni che percepisco nel mio
corpo. C’è una sensazione nel mio corpo - questa sensazione è impermanente -
voglio vedere quanto dura. Ed in questo modo vi ritrovate liberi da quell’emozione.

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Moralità
D. È un’azione sbagliata fare del male a un altro accidentalmente?

R. No. Ci deve essere l’intenzione di fare il male ad un essere particolare e si deve


riuscire a provocare un danno; solo allora un’azione negativa è completa. Sīla non
dovrebbe essere portato all’estremo, il che non è né pratico né benefico. D’altra
parte, è ugualmente pericoloso essere così sventati nelle azioni da far male agli altri
e poi scusarsi per il fatto che non se ne aveva l’intenzione. Dhamma ci insegna a
essere consapevoli.

D. Qual è la differenza tra comportamento sessuale corretto e comportamento


sbagliato? È una questione di volontà?

R. No. Il sesso ha un suo posto nella vita di un laico. Non deve essere forzatamente
soppresso, perché l’astinenza forzata produce tensioni che a loro volta creano altri
problemi, altre difficoltà. Tuttavia, chi dà libero sfogo alle urgenze sessuali e si
permette di avere relazioni sessuali con chiunque, ogniqualvolta nasce una
passione, non potrà mai liberare la sua mente dalle passioni. Evitando questi due
estremi ugualmente pericolosi, Dhamma offre una via di mezzo, una sana
espressione della sessualità che permette lo sviluppo spirituale, e cioè una relazione
sessuale tra un uomo e una donna che si sono impegnati l’uno con l’altro. E se
entrambi i partner sono meditatori di Vipassana, quando la passione sorge, entrambi
la osservano. Questo non è né repressione né licenza. Per mezzo dell’osservazione
è possibile liberarsi facilmente dalla passione. A volte una coppia avrà ancora dei
rapporti sessuali, ma gradualmente raggiungerà lo stadio in cui il sesso non ha più
alcun significato. Questo è lo stadio dell’astinenza reale, naturale, in cui la mente non
è neppure sfiorata dall’idea della passione. Questa astinenza dà una gioia che va
oltre ogni soddisfazione sessuale. Ci si sente sempre contenti, armoniosi. Si deve
imparare a sperimentare questa autentica felicità.

D. In Occidente molti pensano che i rapporti sessuali tra due adulti consenzienti sono
leciti.

R. Questa opinione è molto lontana dal Dhamma. Chi ha rapporti sessuali con una
persona, e poi con un’altra e poi con un’altra ancora, moltiplica la sua passione e la
sua infelicità. Bisogna essere impegnati con una sola persona o scegliere il celibato.

D. Cosa pensa dell’uso di droghe per sperimentare altri stati di coscienza e di realtà
diverse?

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R. Alcuni studenti mi hanno riferito che con l’uso di droghe psichedeliche sono
passati attraverso esperienze simili a quelle che hanno incontrato con la
meditazione. Sia che questo sia o non sia vero, avere un’esperienza indotta da una
droga è una forma di dipendenza da un agente esterno. Il Dhamma, invece, vi
insegna a diventare padroni di voi stessi così da poter sperimentare la realtà a vostro
piacimento, ogni volta che lo desiderate. Un’altra differenza molto importante è che
l’uso di droghe fa perdere a molti l’equilibrio mentale e li danneggia, mentre
l’esperienza della verità fatta con la pratica di Dhamma rende i meditatori più
equilibrati, senza arrecare danno a se stessi o ad altri.

D. Il quinto precetto significa astenersi da sostanze intossicanti o astenersi dal


diventare intossicato? Dopo tutto, bere con moderazione, senza ubriacarsi, non mi
sembra particolarmente dannoso. Oppure afferma che bere anche un solo bicchiere
di alcol significa contravvenire a sīla?

R. Bevendo anche solo una piccola quantità, alla lunga si sviluppa un desiderio per
l’alcol. La gente non se ne accorge, ma fa il primo passo verso la dipendenza, che è
certamente dannosa per tutti. Ogni dipendenza inizia da un solo bicchiere. Perché
fare il primo passo verso la sofferenza? Chi pratica seriamente la meditazione e un
giorno beve un bicchiere di vino senza pensarci o per convenienza sociale, quel
giorno scoprirà che la sua meditazione è debole. Il Dhamma non va d’accordo con
l’uso di sostanze intossicanti. Chi desidera veramente svilupparsi in Dhamma, deve
rimanere libero da tutte le sostanze intossicanti. Questa è l’esperienza di migliaia di
meditatori. I due precetti concernenti il comportamento sessuale scorretto e l’uso di
sostanze intossicanti devono essere ben compresi dagli occidentali.

D. La gente spesso dice: “Se ti fa sentir bene, deve essere giusto”.

R. Perché non vede la realtà. Quando fate un’azione con avversione,


automaticamente diventate consapevoli del turbamento mentale che questa provoca.
Quando però fate un’azione spinti dalla bramosia, essa sembra piacevole al livello
superficiale della mente, ma c’è agitazione a un livello più profondo. Vi sembra di star
bene solo per ignoranza. Quando comprendete che con tali azioni vi fate del male,
naturalmente non le fate più.

D. Mangiare carne è contravvenire a sīla?

R. No, a meno che chi compie quest’atto non abbia lui stesso ucciso l’animale. Se
una persona trova della carne preparata per lei, e la gradisce come qualsiasi altro
cibo, non c’è trasgressione. Ma, certamente, mangiando carne, si incoraggia
indirettamente qualcun altro a trasgredire il precetto uccidendo. Mangiare carne, poi,
è dannoso anche a un livello più sottile. Ad ogni istante gli animali generano
bramosia e avversione, sono incapaci di osservarsi e di purificarsi la mente. Ogni

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fibra del loro corpo è permeata di bramosia e avversione. Questo è il messaggio che
le persone ricevono allorché non mangiano dei cibi vegetariani. Un meditatore cerca
di sradicare bramosia e avversione, e quindi troverà utile evitare tali cibi.

D. Se capita che il proprio lavoro abbia un effetto negativo, se ciò che si fa può
essere usato in modo negativo, è questo un mezzo improprio di sussistenza?

R. Dipende dalle intenzioni. Se a una persona interessa solo accumulare denaro, e


quindi pensa: “Non mi importa che gli altri siano danneggiati, purché faccia soldi”,
questo è un modo sbagliato di guadagnarsi da vivere. Ma se ha l’intenzione di essere
utile alla società e, nonostante questo, qualcuno è danneggiato, non può essere
biasimata per questo.

D. Per un meditatore è accettabile arricchirsi?

R. Se praticate Dhamma, siete felici anche se non vi arricchite. Ma se vi arricchite e


non praticate Dhamma restate infelici. Dhamma è più importante. Chi vive nel
mondo, deve sostenersi, deve guadagnarsi da vivere onestamente, con il duro
lavoro, e non c’è niente di sbagliato in questo: ma fatelo con Dhamma.

D. Avevo un lavoro che riguardava un certo prodotto, una macchina da presa. La


ditta costruiva un prodotto che veniva usato per osservare le esplosioni atomiche e
rilevare i dati... Quando mi chiesero di lavorare a questo prodotto, pensai che in
qualche modo non era giusto. Era veramente così?

R. Si, se vi sembra che una certa cosa venga usata solo per danneggiare gli altri,
allora certamente non dovreste prendervi parte. Ma quella stessa macchina da presa
può essere usata a fin di bene, per del lavoro corretto. Se può essere usata in
entrambi i modi, allora non avete alcuna responsabilità. Fate che le persone che la
usano lo facciano per scopi positivi, non negativi. Finché la vostra intenzione è giusta
e siete certi che quello che state facendo può essere anche usato a fin di bene, non
c’è nulla di sbagliato. Tuttavia, se qualcosa viene usata solo per un cattivo scopo -
come una bomba atomica che è usata solo per distruggere e nient’altro - e voi
partecipate alla sua costruzione, allora non è bene.

D. Lei stesso ha detto che la gente può avere meravigliose esperienze durante la
meditazione pur senza osservare i precetti. Non le sembra dogmatico e categorico
sottolineare cosi fortemente la condotta morale?

R. Ho visto, sulla base dell’esperienza di molti studenti, che chi non dà importanza a
sīla non può fare progressi sul sentiero. Queste persone possono frequentare i corsi
per anni e avere meravigliose esperienze di meditazione, ma senza che nella loro
vita ci siano cambiamenti. Restano agitati e infelici perché stanno solo giocando con

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Vipassana, così come hanno giocato con altri metodi. Persone così sono dei veri
perdenti. Quelli che vogliono davvero servirsi di Dhamma per cambiare la propria vita
in meglio, debbono praticare sīla il più attentamente possibile.

D. A volte mi sento in colpa per ciò che ho fatto.

R. Sentirvi in colpa non vi aiuterà, vi causerà solo danno. La colpa non ha posto nel
sentiero di Dhamma. Se vi accorgete di avere agito in modo errato, accettate
semplicemente il fatto senza cercare di giustificarlo o di nasconderlo. Potete anche
andare da qualcuno in cui avete fiducia e dirgli: “Ho fatto questo errore, ma in futuro
starò attento a non ripeterlo”. E poi meditate, e scoprirete di poter superare tutte le
difficoltà.

48
Psicologia
D. Sia Vipassana sia la psicologia occidentale studiano la mente e la natura umana.
Si possono usare queste discipline come forme complementari di investigazione del
sé?

R. Possono essere complementari in una primissima fase. Ma andando avanti,


Vipassana porta a tali profondità che... Non sono qui a criticare ciò che avete
realizzato in Occidente, ma tutta questa psicologia o psicoterapia occidentale è
ancora ad un livello molto superficiale. Per cui il combinarla con Vipassana sarebbe
pericoloso ad uno stadio più approfondito.

D. In che modo paragonerebbe la psicoanalisi e Vipassana?

R. Nella psicoanalisi cercate di richiamare alla coscienza gli avvenimenti passati che
hanno una forte influenza nel condizionare la mente. Vipassana, d’altra parte,
conduce il meditatore ai livelli più profondi della mente dove, di fatto, inizia il
condizionamento. Ogni episodio che si può cercare di ricordare in psicoanalisi ha
anche registrato una sensazione a livello fisico. Osservando le sensazioni fisiche in
tutto il corpo con equanimità, il meditatore permette ad innumerevoli strati di
condizionamento di sorgere e andarsene. Egli si confronta con le radici del
condizionamento e può liberarsi da esso rapidamente e facilmente.

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Reazione
D. Non è forse innaturale non reagire mai?

R. È ciò che sembra a coloro che hanno esperienza solo degli errati schemi abituali
di una mente impura. Ma è naturale per una mente pura rimanere distaccata, piena
d’amore, compassione, benevolenza, gioia ed equanimità. Dovete imparare a
sperimentarlo.

D. Come possiamo essere coinvolti nella vita senza reagire?

R. Invece di reagire, imparate ad agire, ad agire con una mente equilibrata. Il


meditatore di Vipassana non diventa inattivo come un vegetale. Impara ad agire
positivamente Quando sarete in grado di cambiare gli schemi abituali da reazione ad
azione, allora avrete ottenuto qualcosa di grande valore. E Vipassana porta a questo
cambiamento.

D. Lei allena la mente a non reagire nel modo che le è abituale a qualsiasi
sensazione possa sorgere?

R. Esattamente. Qualsiasi avvenimento esterno genererà sensazioni nel corpo e voi


avrete allenato la mente a rimanere equanime nei confronti delle sensazioni. In
questa maniera voi agite alle radici, rendete sane le radici della vostra mente. E se le
radici sono sane, anche l’albero lo sarà, inevitabilmente. Non avete alcuna ragione di
preoccuparvi. È proprio così che la cosa funziona.

D. Se non reagiamo alle situazioni nella vita siamo realmente vivi?

R. Questa è una buona domanda, che continua ad essere posta durante i corsi. La
gente ha difficoltà a comprendere il significato di mente equanime ed equilibrata.
Molte volte vi sono delle incomprensioni sul suo significato, perché la confondono
con indifferenza o inattività. In effetti è proprio il contrario. Vipassana vi farà fare una
vita piena di azione, rendendovi liberi dalle reazioni. La gente ora sta vivendo una
vita piena di reazioni, ogni momento continuiamo a reagire o con bramosia o
avversione alle differenti situazioni. La mente in questo modo diventa instabile e
piena di negatività, vi danneggiate e danneggiate gli altri.
Ma se di fronte alle situazioni, si rimane equilibrati ed equanimi, anche solo per
qualche momento, e poi si prende qualche decisione, allora quella decisione basata
su un momento equilibrato della mente sarà sicuramente giusta.
La vostra diventerà così una vita piena di azioni positive, non di azioni reattive.

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Saggezza
D. Perché non viviamo in pace?

R. Perché ci manca la saggezza. Una vita senza saggezza è una vita di illusioni, uno
stato di agitazione e di sofferenza. La nostra prima responsabilità è di vivere una vita
sana, armoniosa, buona per noi e per tutti gli altri. Per fare ciò dobbiamo imparare ad
usare le nostre facoltà di auto-osservazione, di osservazione della verità.

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Sensazioni
D. Come possiamo capire che non stiamo creando delle sensazioni?

R. Potete fare una prova. Se siete in dubbio che le sensazioni che provate siano
reali, potete darvi due o tre ordini, autosuggestioni. Se vedete che le sensazioni
cambiano a vostro comando, allora sapete che non sono reali. In quel caso dovete
gettare via tutta quanta l’esperienza e ricominciare osservando il respiro per un po’.
Ma se trovate che non potete controllare le sensazioni, che esse non cambiano a
vostro piacimento, allora dovete gettare via i dubbi e accettare che l’esperienza è
reale.

D. Se queste sensazioni sono reali, perché non le proviamo nella vita ordinaria?

R. Lo fate a livello inconscio. La mente conscia è inconsapevole, ma in ogni


momento la mente inconscia percepisce le sensazioni del corpo e reagisce ad esse.
Questo processo avviene ventiquattro ore al giorno. Praticando però Vipassana,
abbattete le barriere tra il conscio e l’inconscio. Diventate consapevoli di ogni cosa
che accade all’interno della vostra struttura fisica e mentale, di ogni cosa che
sperimentate.

D. Dobbiamo cercare di identificare quale sensazione è associata con una certa


reazione?

R. Sarebbe un perdita inutile di energia. Sarebbe come se qualcuno, lavando un


vestito sporco, si fermasse per cercare ciò che ha causato ogni macchia su di esso.
Questo non lo aiuterebbe nel lavoro, che é solo quello di pulire il vestito. Per questo
scopo la cosa importante è di avere un pezzo di sapone da bucato e di usarlo in
modo appropriato. Se si lava il vestito correttamente, tutto lo sporco viene rimosso.
Allo stesso modo avete ricevuto il sapone di Vipassana, ora usatelo per rimuovere
tutte le impurità della mente. Se ricercate la causa di alcune particolari sensazioni,
state facendo un gioco intellettuale e vi dimenticate di anicca e di anattā. Questa
intellettualizzazione non può aiutarvi a uscire dalla sofferenza.

D. Perché sperimentiamo sensazioni spiacevoli quando iniziamo a praticare


Vipassana e perché le sensazioni piacevoli arrivano successivamente?

R. Vipassana lavora sradicando dapprima le impurità più grossolane. Quando pulite


un pavimento, dapprima scopate insieme tutta la spazzatura e i pezzi di sporco e ad
ogni spazzata seguente raccogliete polvere sempre più fine. Così nella pratica di
Vipassana: dapprima sono sradicate le impurità mentali più grossolane e le più sottili
rimangono, apparendo come sensazioni piacevoli. Ma c’è il pericolo di sviluppare

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desiderio per queste sensazioni piacevoli. Quindi dovete stare attenti a non prendere
una esperienza sensibile piacevole come meta finale. Dovete continuare ad
osservare ogni sensazione oggettivamente per sradicare tutte le reazioni
condizionate.

D. Pensavo che fosse meglio che le sensazioni fossero grossolane, perché questo
significava che un vecchio saṅkhāra era riemerso.

R. Non necessariamente. Certe impurità appaiono come sensazioni molto sottili.


Perché desiderare ardentemente sensazioni grossolane? Qualsiasi cosa appaia,
grossolana o sottile, il vostro lavoro è di osservarla.

D. In questo periodo, sto esaminando il mio corpo parte per parte e sto pensando al
“libero flusso”. Come accadrà?

R. Se verrà, verrà. Non potete crearlo. Finché ci sono sensazioni grossolane nelle
diverse parti del corpo, continuate ad osservarle. Poi, con la comprensione di anicca,
verrà il tempo in cui si dissolveranno e voi sentirete un tipo uniforme di sensazioni
sottili, come vibrazioni; e allora sentirete come un fluire di queste vibrazioni. Accade
naturalmente.

D. Se stiamo sedendo, ma non siamo in grado di provare una sensazione, c’è


ugualmente beneficio nella pratica?

R. Se sedete e osservate la respirazione, vi calmerete e la mente si concentrerà, ma


se non provate sensazioni, il processo di pulizia non può operare ai livelli più
profondi. Nelle profondità della mente, le reazioni avvengono con le sensazioni, che
costantemente si succedono.

D. Dobbiamo osservare la sensazione collegata a una particolare emozione?

R. Osservate qualsiasi sensazione sorga. Non potete scoprire quale sensazione sia
collegata con quell’emozione, per cui non cercate di farlo, questo significa indulgere
in uno sforzo inutile. Nel momento in cui nella mente c’è un’emozione, qualsiasi
sensazione sperimentiate fisicamente ha una relazione con quell’emozione.
Osservate la sensazione e capite che “Queste sensazioni sono anicca. Anche questa
emozione è anicca. Vediamo un po’ quanto dura”. Scoprirete di aver tagliato le radici
dell’emozione, ed essa se ne va.

D. Vorrebbe dire che l’emozione e la sensazione sono la stessa cosa?

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R. Sono le due facce della stessa moneta. L’emozione è mentale e la sensazione è
fisica, ma sono in relazione. Di fatto ogni emozione, qualsiasi cosa sorga nella
mente, suscita una sensazione nel corpo. É una legge di natura.

D. Mi chiedo se possiamo trattare i pensieri ossessivi allo stesso modo in cui


trattiamo il dolore fisico?

R. Registrate solo il fatto che c’è un pensiero ossessivo o un’emozione nella mente.
É qualcosa che era stato profondamente soppresso e che ora appare a livello
conscio. Non scendete in dettagli. Accettate solo l’emozione come emozione. E
assieme ad essa, che tipo di sensazione sentite? Non ci può essere un’emozione
senza una sensazione a livello fisico. Iniziate ad osservare quella sensazione.

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Società
D. Questo insegnamento è chiamato “un’arte di vivere”. La meditazione può essere
usata come strumento per creare una società migliore?

R. L’intero insegnamento del Buddha è un’arte di vivere. Se si conduce una vita di


sīla, di moralità, già questo di per sé è un’arte di vivere. Vivere una vita di moralità,
avendo però molte negatività sopite nella mente, rende la vita molto infelice. Perciò è
necessario saper controllare la mente, purificare la mente. Fare questo con una base
morale molto forte rende la vita molto pacifica, molto felice ed armoniosa. E quando
si comincia a vivere una vita pacifica ed armoniosa, naturalmente si genera anche
pace ed armonia per gli altri. Allo stesso modo chi vive una vita piena di negatività
non può fare altro che creare tensione nella propria mente, e quindi creare tensione
per gli altri. È per questa ragione che U Ba Khin usava chiamare l’insegnamento del
Buddha una “arte di vivere” e cioè un metodo di vita, un codice di condotta. Per mia
stessa esperienza ho verificato come era grande la tensione dentro di me. Mi sentivo
infelice, rendendo infelici anche tutti coloro che vivevano intorno a me. Dopo aver
percorso questa strada, ne ho beneficiato cominciando a vivere una vita migliore,
benefica per me stesso ma anche e soprattutto per la mia famiglia, per i miei amici,
per la società. Se l’individuo comincia a cambiare, allora c’è un effetto benefico per la
società, ma se l’individuo rimane pieno di negatività allora la società ne dovrà
soffrire.

D. La meditazione è sempre stata considerata come un ritirarsi dalla società. Perché


U Ba Khin ha dato così tanta importanza all’aspetto sociale della meditazione? E in
particolare come laico, pensa che il coinvolgimento nella società, invece
dell’isolamento, sia veramente un aiuto per il progresso della meditazione?

R. Voi vi isolate dagli altri e rivolgete la vostra attenzione all’interno solo per poter
guadagnare purezza di mente, e quindi poter recuperare un po’ di energia positiva,
ma poi questa energia deve essere estrinsecata. Così come uno che deve fare un
gran salto, di solito fa alcuni passi indietro per poter prendere la rincorsa e fare un
gran salto. Così anche voi, quando meditate, vi ritirate dentro voi stessi per poter fare
un gran salto nella società, in modo da poterla servire. Così il Buddha lasciò la vita di
laico per sei anni interi per poter acquisire la conoscenza e la forza per raggiungere
l’illuminazione. Solo per sei anni, poi per i rimanenti 45 anni della sua vita fu coinvolto
nella società, insegnò nella società, servì la società giorno e notte. Così chi impara a
meditare non lo fa per fuggire via dalla società, ma per potersi impegnare meglio
nella società.

D. Vipassana gioca un ruolo importante nel cambiamento sociale. Dal 1969 Lei porta
avanti il lavoro di diffusione di Vipassana. E tuttavia continuano ad aumentare

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pregiudizi di casta, pregiudizi religiosi e nazionalismi, con ogni genere di amare
conseguenze. Secondo Lei, cosa potrebbe eliminare questi mali?

R. Vi è una sola via d’uscita, ekāyano maggo, un solo percorso. Si tratta di cambiare
l’individuo. Se si vuole cambiare la società bisogna cambiare l’individuo. La società
non è altro che una massa di individui. È l’uomo che è importante, più di tutto il resto.
E l’uomo non è altro che un insieme di mente e materia, e tra le due prevale la
mente.
Occorre perciò far capire alla gente che la mente ha un’importanza unica e che per
eliminare tutta la sofferenza che risulta dai pregiudizi di casta, di religione e di
nazionalità, ogni individuo deve cambiare il modello di comportamento della propria
mente. Bisogna mostrare alle persone quanta negatività tutto ciò provoca in ognuna
di esse.
Quando si impara Vipassana e ci si guarda dentro, si capisce che ogni volta che
generiamo odio, facciamo del male a noi stessi. Prima ancora di nuocere ad un’altra
persona, abbiamo già cominciato a soffrire.
A nessuno piace soffrire. Ma non ci si rende conto che ogni volta che si genera
negatività nella propria mente, si danneggia se stessi, che la prima vittima di quella
negatività siamo noi. Il primo bersaglio che si colpisce non sono gli altri, ma noi
stessi. Man mano che la gente si renderà conto di questo, cercherà di liberarsi da
questi condizionamenti. Ma ci vuol tempo.
Qui in India, dove vivono tanti milioni di persone, non ci si può aspettare che
venticinque o ventisei anni bastino a cambiare il paese. Tuttavia io ho speranza,
perché si è dato inizio a qualcosa. Il Dhamma, questa splendida, universale legge di
natura, è andato smarrito per ben duemila anni. Fortunatamente, i paesi vicini
l’hanno preservato di generazione in generazione nella sua purezza originaria, anche
se tra un ristretto numero di persone. E noi ora l’abbiamo recuperato nella sua forma
pura.
Io sono convinto che i risultati che già si sono manifestati avranno ben presto un
impatto sulla società. Se un’intera giungla si è disseccata, per vederla rinverdire
occorre che ogni singolo albero ridiventi verde. Bisogna perciò annaffiare le radici di
ogni albero. Quando ogni albero avrà riacquistato salute l’intera giungla sarà
risanata. Se gli individui ridiventeranno sani, la società sarà sana. Il compito di
Vipassana è questo. Ci vorrà tempo, inevitabilmente. Ma ho la grande speranza che i
risultati che si manifestano cambieranno la società.

D. Se dobbiamo semplicemente accettare tutto come viene ed osservarlo, come


avviene il progresso? Se vediamo che qualcosa può essere fatto in modo migliore...

R. Il progresso deve essere misurato col metro dell’equanimità. Se siete equanimi o


no - questo è tutto. Non potete far altro, perché non potete cambiare il modello delle
sensazioni. Quello che viene, viene. Forse piacevole, forse spiacevole, forse di un
tipo, forse di un altro, se siete equanimi, siete perfettamente sul sentiero.

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D. Questo riguarda l’osservazione delle mie sensazioni, ma io stavo parlando di
qualcosa più rapportato alla vita.

R. Nella vita di tutti i giorni quello che dovete fare è: rimanere equilibrati ogni volta
che, anche per pochi momenti, si crea una situazione. Osservate le vostre
sensazioni anche per poco. Quando la mente è equilibrata, allora prendete una
decisione comprendendo la situazione. Qualunque decisione prendiate, sarà una
decisione buona e sana, perché la vostra base sarà buona, perché la mente è
divenuta calma, equilibrata. Quando la vostra mente non è equilibrata, qualunque sia
la vostra decisione, si tratterà di una reazione, non di un’azione.

D. Quindi se non siamo in collera o critici, ma vediamo che qualcosa dovrebbe


essere fatto diversamente, possiamo andare avanti ed esprimerci?

R. Sì, dovete agire. La vita è per l’azione, non potete diventare inattivi. Ma l’azione
deve essere fatta con la mente equilibrata. Quindi prima di agire, è meglio calmare la
mente. Questa tecnica di meditazione vi aiuterà a farlo. In pochi attimi diverrete calmi
e quindi potrete agire.

D. Non è egoistico dimenticare il mondo e limitarsi a starsene seduti a meditare tutto


il giorno?

R. Lo sarebbe se fosse fine a se stesso, ma è un mezzo per raggiungere un fine che


non è affatto egoistico: una mente sana. Quando il vostro corpo è malato, andate in
ospedale per recuperare la salute. Non rimanete là per tutta la vita, ma
semplicemente per recuperare la salute, di cui poi farete uso nella vita ordinaria. Allo
stesso modo, frequentate un corso di meditazione per ottenere la salute mentale che
utilizzerete nella vita di tutti i giorni per il bene vostro e degli altri.

D. Sono d’accordo che questa meditazione aiuterà me, ma come può risolvere i
problemi della società?

R. La società è costituita da individui. Vogliamo risolvere i problemi della società ma


non vogliamo risolvere i problemi dell’individuo. Vogliamo pace nel mondo, e non
facciamo nulla per la pace individuale. Se ognuno sperimenterà pace e armonia,
allora anche la società comincerà a sperimentare pace e armonia.

D. Se non si è in collera o critici, ma si nota che qualcosa può essere fatto in modo
diverso, e migliore, allora si può andare avanti ed esprimersi in merito?

R. Si, dovete agire. La vita è fatta per l’azione, non dovete diventare inattivi. Ma
l’azione deve essere compiuta con una mente equilibrata.

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D. A quale scopo cercare pace dentro di noi quando non c’è pace nel mondo?

R. Il mondo sarà in pace solo quando la gente sarà in pace e felice. Il cambiamento
deve partire a livello individuale. Se la foresta si inaridisse e voi voleste ridarle vita,
dovreste innaffiare ogni albero. Se volete un mondo di pace, dovete imparare a
essere in pace con voi stessi. Solo allora potrete portare la pace nel mondo.

D. Sofferenza, guerra e conflitto sono vecchi come il mondo. Veramente crede in un


mondo di pace?

R. Anche se sono in pochi ad uscire dalla sofferenza, va bene. Quando ci sono


tenebre ovunque, e una lampada ha iniziato a fare luce, va bene. Poi una lampada
diventa dieci lampade, o venti, e qui e là l’oscurità scompare. Non si può garantire
che l’intero mondo diverrà pacifico, ma quanta pace fate in voi stessi, tanto state
aiutando a portare pace nel mondo.

D. Dall’esperienza di U Ba Khin e dalla sua personale esperienza, entrambi come


laici, che suggerimenti potete dare alle persone che vivono nella società per poter
fare il migliore uso della loro vita e vivere felicemente?

R. Vipassana serve proprio a questo scopo. Serve ad imparare a vivere in maniera


equilibrata e felice. Coloro che lasciano le responsabilità di laico, come i monaci, non
devono fare altro che meditare. Ma voi, come laici, avete delle responsabilità, dovete
meditare e fare l’uso migliore di questa meditazione nella vostra vita quotidiana, per
adempiere a tutte le responsabilità verso i membri della vostra famiglia, verso i vostri
amici, verso i membri della società e verso i membri della comunità. E Vipassana
serve proprio ad aiutare voi in modo che possiate aiutare gli altri, per il vostro bene e
per il bene degli altri.

D. Molti episodi della vita di U Ba Khin dimostrano il suo coinvolgimento nel lavoro
del governo. Può descrivere quali erano le sue opinioni, le sue sensazioni verso
l’impegno sociale e la sua attitudine verso questo lavoro, il suo lavoro?

R. Ebbene come laico, uno deve vivere una vita con delle responsabilità sociali,
come monaco uno non ha delle responsabilità sociali perché è tutto dedicato alla
meditazione. Ma come capo-famiglia, come laico uno deve avere queste
responsabilità. E così U Ba Khin come responsabile del governo voleva che tutti i
suoi dipendenti lavorassero con integrità morale, con disciplina, con onestà, e
sviluppassero efficienza nel loro lavoro, in modo da poter avere buoni risultati. È per
questo obbiettivo che egli dedicava molto del suo tempo a migliorare
l’amministrazione. Ottimo obbiettivo per un laico.

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D. Qual è il suo messaggio all’India ed al mondo nel contesto attuale?

R. Utilizzate questo meraviglioso Dhamma. Sforzatevi di capire cos’è. Non


scambiatelo per una spiritualità indù, o buddista, o giainista. Esso non ha niente a
che fare con queste religioni, è completamente sganciato da esse. È un modo di
vivere, che ci permette di capire la legge naturale, l’universale legge di natura.
Ecco cos’è il Dhamma. La capacità di vedere come mente e corpo interagiscono, di
rendersi conto delle correnti, dei flussi sotterranei, che continuamente si intersecano
all’interno di noi stessi; e del fatto che, immersi come siano nell’ignoranza,
continuiamo a reagire in un modo che ci procura grande sofferenza. Quando si inizia
ad osservare tutto questo, si vede che risponde ad una legge di natura applicabile a
tutti. Se si mette la mano sul fuoco, la si brucia. Poiché non ci piace scottarci,
teniamo la mano lontana dal fuoco. Reagire in modo sbagliato significa bruciarsi,
farsi del male.
Fate esperienza di tutto questo. Non serve lanciare semplicemente dei messaggi.
Fate fare l’esperienza alla gente. Le persone devono capire sempre più la
concretezza del Dhamma, devono rendersi conto che il Dhamma è qualcosa che va
sperimentato direttamente, che non basta conoscerlo a livello intellettuale o emotivo.
E per farne l’esperienza, questa è una tecnica eccezionale, che conduce alla
profondità della mente dove mente e corpo interagiscono e dove ci si può liberare
dall’abitudine a reagire che ci danneggia così fortemente. Solo così si può rendere la
mente sempre più pura, in modo da vivere una vita più felice ed armoniosa.

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Sofferenza
D. Rimanere felici e in pace anche quando ci si confronta con la sofferenza altrui non
è forse pura insensibilità?

R. Essere sensibili alle sofferenze degli altri non significa che si debba diventare
tristi. Al contrario, dovete rimanere calmi ed equilibrati così da poter alleviare le
sofferenze altrui. Se anche voi diventate tristi, accrescete l’infelicità attorno a voi; non
aiutate gli altri e non aiutate voi stessi.

D. Qual è secondo lei lo scopo della vita?

R. Uscire dall’infelicità. Gli esseri umani hanno la meravigliosa capacità di scavare a


fondo dentro di sé, di osservare la realtà e uscire dalla sofferenza. Non usare questa
capacità significa sprecare la propria vita. Utilizzatela per vivere una vita sana e
felice.

D. La sofferenza non è forse una parte naturale della vita? Perché dobbiamo cercare
di sfuggirle?

R. Siamo ormai così invischiati nella sofferenza che esserne esenti ci sembra
innaturale. Ma quando sperimenterete la reale felicità della purezza mentale, allora vi
renderete conto che questo è uno stato naturale della mente.

D. L’esperienza della sofferenza può nobilitare una persona e aiutarla a fortificare il


carattere?

R. Sì. Questa tecnica infatti utilizza deliberatamente la sofferenza come uno


strumento per rendere nobile una persona. Ma ciò accadrà solo se questa persona
imparerà a osservare oggettivamente la sofferenza. Se rimane attaccata alla sua
sofferenza, l’esperienza non la nobiliterà ed essa rimarrà sempre infelice.

D. Mi domando se ci sono delle persone che provocano la nostra sofferenza.

R. Nessuno vi causa sofferenza. La sofferenza nasce dentro di voi, allorché generate


tensioni nella mente. Sapendo come evitarlo diventa facile rimanere in pace e felici in
ogni situazione.

D. E quando qualcuno ci fa del male?

R. Non dovete permettere che qualcuno vi faccia del male. Ogni volta che qualcuno
fa qualcosa di sbagliato, fa male agli altri e nello stesso tempo a se stesso. Se gli

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permettete di fare del male, lo incoraggiate a farlo. Dovete usare tutta la vostra forza
per fermarlo, ma solo con benevolenza, con compassione e simpatia per quella
persona. Se agite con odio o ira, allora aggravate la situazione. Ma voi non potete
avere benevolenza per una persona a meno che la vostra mente non sia calma e in
pace. Una volta che avrete appreso con la pratica a sviluppare la pace dentro di voi,
il problema potrà essere risolto.

D. Posso capire come la meditazione sia in grado di aiutare persone infelici,


disadattate, ma per chi si sente soddisfatto della sua vita, che è già felice?

R. Chi è soddisfatto dai piaceri superficiali della vita ignora i turbamenti profondi della
mente. Si illude di essere una persona felice, ma i suoi piaceri non sono duraturi e le
tensioni generate nell’inconscio si accresceranno, per apparire prima o poi al livello
mentale conscio. Quando accade ciò, questa persona cosiddetta felice diventa triste.
E allora, perché non iniziare a lavorare qui e ora per evitare una simile situazione?

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Tecnica
D. Perché insiste nel seguire un ordine nell’osservazione delle sensazioni in differenti
pari del corpo invece di lasciare la mente osservare qualunque cosa accada nel
corpo?

R. Perché in tale modo occorre parecchio più tempo, molto più tempo. Nella nostra
esperienza abbiamo verificato che coloro che lavorano metodicamente, seguendo un
ordine preciso, più velocemente avranno la possibilità di aprire il loro corpo. Coloro
che osservano solo le sensazioni che di quando in quando appaiono in differenti parti
del corpo, generalmente osservano solo le sensazioni forti, perché le sensazioni forti
sono predominanti. Poiché la tendenza della mente é proprio quella di osservare solo
là dove compaiono le grosse sensazioni, in questo modo si impiega molto tempo, a
volte anni, per poter raggiungere lo stato del bhaṅga e cioè della dissoluzione
dell’intera solidità del corpo.

D. Perché U Ba Khin ha posto così tanta enfasi sulla comprensione di anicca?

R. Perché questo è ciò che il Buddha vuole. Egli ha insegnato che si sviluppa la
propria saggezza, la propria bhāvanā mayā paññā con l’osservazione delle
sensazioni e con la comprensione di anicca, della loro impermanenza. Solo questa
esperienza, questa comprensione dell’impermanenza, può condurre la persona a
comprendere la vera realtà della sofferenza, e questo a sua volta la conduce alla
comprensione dell’inesistenza del proprio io, a capire che non c’è un io, nessun io.

D. Lei pensa che rallentando il ritmo delle proprie attività, ad esempio, camminando
o mangiando lentamente, è più facile percepire queste sensazioni fisiche?

R. Forse all’inizio. Ma ho visto gente che ha cominciato camminando lentamente, e


dopo dieci anni sta ancora praticando la camminata lenta. Pensiamo che una volta
che si è in grado di percepire le sensazioni fisiche, non ci sia più ragione di
camminare lentamente. Camminate in modo naturale e mangiate in modo naturale,
rimanendo però consapevoli delle sensazioni che si manifestano nel vostro corpo.
Succede lo stesso con il respiro: se qualcuno non riesce a percepire il respiro
naturale, gli si dice di provare a respirare un po’ più forte per alcune volte. Ma se
questa persona continua a respirare forte, non va avanti nella pratica. Lo stesso si
può dire per il camminare e mangiare lentamente.

D. Cosa pensa della pratica di prendere nota dei pensieri o di classificarli?

R. Noi non ci pronunciamo contro altre tecniche, ma il nostro metodo non ammette
né verbalizzazioni, né visualizzazioni. Può andar bene, se si vuole calmare la mente,

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ripetere alcune parole una o due volte. Ma se si continua a ripeterle, esse diventano
un mantra. Infatti se si continua a ripetere “prurito, prurito, prurito”, oppure: “calore,
calore, calore”, si genera una particolare vibrazione, in quanto ogni parola che viene
pronunciata, anche solo mentalmente, genera una vibrazione indotta e dalla quale
l’intero vostro essere può venire sopraffatto. Il Buddha ci insegna ad osservare
unicamente le vibrazioni naturali; questa è la ragione per cui in questa tecnica non
c’è posto per le verbalizzazioni. Questa tecnica ha per scopo la disintegrazione della
verità apparente, mentre con la visualizzazione voi create appunto una verità
apparente ed immaginaria che vi complica inutilmente la vita.

D. Perché dobbiamo far scorrere la nostra attenzione lungo il corpo seguendo un


ordine preciso?

R. Perché state lavorando per esplorare la completa realtà della mente e della
materia. Per far questo dovete sviluppare la capacità di sentire ciò che accade in
ogni parte del corpo, nessuna parte dovrebbe rimanere insensibile. Dovete anche
sviluppare la capacità di osservare tutta la gamma delle sensazioni. Ecco come il
Buddha descrisse la pratica: “In ogni luogo dentro i limiti del corpo si sperimentano
sensazioni, dovunque ci sia vita nel corpo”. Se permettete all’attenzione di muoversi
a caso da una parte a un’altra, da una sensazione ad un’altra, naturalmente sarà
sempre attratta da quelle zone in cui ci sono sensazioni più forti. La vostra
osservazione rimarrà parziale, incompleta, superficiale. Quindi è essenziale muovere
sempre l’attenzione con ordine.

D. Non è possibile praticare Vipassana osservando una delle sei porte dei sensi, per
esempio, osservando il contatto dell’occhio con la visione e dell’orecchio con il
suono?

R. Certamente. Ma anche questa osservazione deve comportare la consapevolezza


della sensazione. Ogni volta che avviene un contatto in una delle sei basi sensorie -
occhio, orecchio, naso, lingua, corpo, mente - si produce una sensazione. Se ne
rimanete inconsapevoli, perdete di vista il punto in cui inizia la reazione. Nel caso
della maggior parte dei sensi, il contatto può essere solo intermittente. A volte le
vostre orecchie possono udire un suono, a volte no. Tuttavia, ai livelli più profondi c’è
in ogni momento un contatto tra mente e materia, che continuamente dà origine a
sensazioni. Per questa ragione, osservare le sensazioni è la via più accessibile e
vivida per sperimentare il fatto dell’impermanenza. Dovete padroneggiare questo
prima di tentare di osservare le altre porte dei sensi.

D. Questo pomeriggio ho cercato una nuova posizione in cui fosse facile sedersi a
lungo senza muoversi, mantenendo la schiena diritta, ma non ho potuto provare
molte sensazioni. Mi chiedo se le sensazioni verranno o se devo ritornare alla
vecchia posizione.

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R. Non cercate di creare sensazioni scegliendo deliberatamente una posizione
scomoda. Se quello fosse il modo giusto per praticare, vi chiederemmo di sedere su
un letto di chiodi! Tali estremi non aiutano. Scegliete una posizione confortevole in
cui il corpo sia diritto e lasciate che le sensazioni vengano naturalmente. Non cercate
di crearle per forza, permettete loro solo di apparire. Verranno, perché esse ci sono.
Forse stavate aspettando una sensazione del tipo che avete già sentito, ma ci
potrebbe essere qualcos’altro.

D. Per sedermi uso due posizioni: una è relativamente comoda per un’ora, con poco
dolore, l’altra diventa molto dolorosa entro quarantacinque minuti. Per lavorare con
questo metodo, quale delle due raccomanda?

R. Non invitate il dolore. Se potete sedere comodamente, fatelo. Altrimenti tanto


varrebbe raccogliere delle spine e sedercisi sopra! Sedete comodamente: se deve
sorgere un saṅkhāra, sorgerà in un altro modo. Perché sforzarsi senza necessità?

D. Possiamo parlare ad altri della meditazione?

R. Certamente. Non ci sono segreti in Dhamma. Potete parlare a chiunque di ciò che
avete fatto qui. Ma guidare la gente nella pratica è una cosa totalmente diversa, che
non dovrebbe essere fatta a questo livello. Aspettate finché sarete saldamente
stabiliti nella pratica e formati a guidare gli altri. Se qualcuno a cui parlate di
Vipassana è interessato a praticarla, dite a quella persona di venire a un corso.
Almeno la prima esperienza di Vipassana deve essere fatta in un corso organizzato
di dieci giorni, sotto la guida di un maestro qualificato. Dopo questa esperienza si
può praticare da soli.

D. Ho notato che molto spesso durante la pratica, ci sono brani di conversazione che
scorrono nella mia mente - parole o suoni o musica. Tuttavia, sento ugualmente le
sensazioni.

R. È come se ci fossero due menti - una mente con le sensazioni e un’altra che
chiacchiera mentre fa qualcos’altro.
Non ha importanza. Non cercate di reprimere quello che avviene nella mente:
pensieri, fantasie - non importa cosa - bensì cominciate a dare maggiore importanza
alle sensazioni. Lasciate che tutti questi pensieri siano come una musica di
sottofondo; in seguito svaniranno automaticamente. Ma se date loro importanza, sia
che vogliate sbarazzarvene e cerchiate di spingerli fuori, sia che cominciate ad
interessarvene, allora diventeranno così predominanti che le sensazioni svaniranno.
Date sempre importanza alla sensazione contemporaneamente alla comprensione di
anicca e lasciate pure che ci sia qualunque pensiero.

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D. La loro presenza significa che non c’è equanimità?

R. No, tutti quei pensieri non vi danneggeranno. Formeranno dei saṅkhāra, ma


saranno dei saṅkhāra simili ad una linea tracciata nell’acqua. Non andranno mai in
profondità, perché voi siete consapevoli delle sensazioni e di anicca.
D. Vorrebbe, per favore, parlare un po’ più estesamente del “percorso”? Non sono
sicuro di come funziona.
R. Quando ci sono sensazioni veramente sottili di tipo uniforme in tutto il corpo, e voi
spostate la vostra attenzione, sentite come se qualcosa cadesse giù. In realtà la
vostra mente si sta muovendo così rapidamente che sembra che ci sia un flusso
verso il basso, perché non c’è alcuna ostruzione sul cammino, nessuna sensazione
grossolana, nessun’area insensibile. Lo chiamiamo “percorso”; sentire l’intero corpo.

D. Quanto tempo pressappoco è necessario per andare dall’alto in basso del corpo?

R. Se non c’è blocco, nemmeno il più piccolo blocco in nessuna parte, allora occorre
una respirazione dalla testa ai piedi e una respirazione dai piedi alla testa. Ma se ci
sono blocchi, anche minimi, possono richiedersi alcune respirazioni. Perciò lasciate
che tutto avvenga naturalmente. Non potete forzare.

D. Trovo che avvenga naturalmente, a volte, l’intero “percorso” in su o in giù con una
respirazione, ed anche essere ovunque contemporaneamente. Tuttavia c’è sempre
la presenza di qualche sensazione grossolana.

R. Occupatevi delle sensazioni grossolane separatamente. A volte, quando c’è il


“percorso” nell’intero corpo, sebbene ci sia una sensazione grossolana, il flusso ci
passa sopra o ci passa attraverso e voi sentite un libero fluire ovunque. Ma anche
quando ciò succede, tornate indietro nella zona in cui avete la sensazione
grossolana e osservate con anicca. Dato che il flusso è passato attraverso questa
sensazione, essa si è disintegrata in una certa misura; non è così solida. Ma voi
disintegratela del tutto, osservando con anicca per alcuni minuti ogni ciclo. Passerà
al momento giusto.

D. A proposito dell’agitazione, lei ha detto che posso fare “percorsi rapidi”

R. A volte lo potete fare, sì. Quando vi accorgete che la mente vaga troppo di qua e
di là, se non basta lavorare con la respirazione e con le estremità, allora andate dalla
testa ai piedi molto rapidamente. Forse ci sarà una sensazione molto chiara o perfino
nessuna sensazione, non importa; ripetetevi: anicca - anicca - anicca. Dieci o
quindici minuti di movimento rapido e la mente deve stabilizzarsi un po’; a quel punto
potete lavorare meglio. Circa quindici minuti dovrebbero bastare, perché se lavorate
così per molto tempo, questo anicca - anicca - anicca diventerà un mantra e quindi si
tratterà di una tecnica completamente differente.

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D. Quando faccio pratica a casa, c’è molta agitazione, tanto da dovermi alzare e
dover camminare molto velocemente.

R. Nulla di male. Anche quando camminate siate consapevoli della respirazione


mentre camminate. Poi, meditate mentre camminate, camminate alla svelta,
camminate normalmente. Quando c’è bisogno di un oggetto grossolano; camminare
è un oggetto grossolano. Siate presenti al camminare e alla respirazione.

D. Ha detto qualcosa circa “le estremità”.

R. Sì. Quando sperimentate una grossa agitazione limitatevi ad osservare la


respirazione: dimenticate l’intero scopo e occupatevi solo delle estremità. Sentite
semplicemente qualsiasi sensazione proviate nelle palme delle mani, nelle dita, nelle
piante dei piedi, nelle dita dei piedi. State lì per due o tre minuti con anicca. Vi
aiuterà.

D. Circa la meditazione sulle estremità: per quanto tempo?

R. Non troppo. Un massimo di due, tre, cinque minuti, non di più. Altrimenti, se ci
restate troppo a lungo, le altre parti del corpo potrebbero diventare insensibili. Usate
questo sistema per cinque minuti, poi tornate alla respirazione; di nuovo per cinque
minuti sulle estremità, poi ancora la respirazione; quindi fate un giro di tutto il corpo.
In questo modo: continuate a cambiare.

D. A volte, sento un colpo, come se una certa parte del mio corpo “saltasse”.

R. È naturale, perché ogni volta che nella vita vi è accaduto qualcosa di indesiderato,
avete reagito con una tensione, avete fatto un nodo. Avete fatto il nodo nella mente,
ma poiché la mente e il corpo hanno una stretta correlazione, avete fatto un nodo
anche nel corpo. Con questa tecnica, quando la tensione esce dalla mente, esce
anche dal corpo e quindi c’è un sussulto. Passa, se restate equanimi poi ne sarete
sollevati.
Lasciate che accada: è un bene.

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U Ba Khin
D. Vorremmo sapere qual è il ruolo storico di U Ba Khin nello sviluppo e nella
diffusione della meditazione Vipassana.

R. U Ba Khin portò avanti il lavoro di un maestro di Vipassana, e continuò questo


lavoro quando quasi 2500 anni erano passati dall’insegnamento del Buddha.
Secondo alcune predizioni del passato, il Dhamma nella forma di Vipassana, è
destinato a risorgere in questo periodo, perciò è stato al momento opportuno che U
Ba Khin arrivò sulla scena ed iniziò ad insegnare. Naturalmente era occupato con i
suoi impegni di governo e non poteva dare corsi ad un grande numero di persone,
ma un discreto numero di individui che avevano buone qualità, buoni parami,
entrarono in contatto con lui. Fu così che Vipassana ha cominciato a diffondersi.

D. Perché U Ba Khin insegnò solo a poche persone scelte, mentre lei insegna la
stessa tecnica a tutti indipendentemente dalla condizione sociale, dalla razza, ecc.?

R. U Ba Khin sentiva di avere molta responsabilità verso il suo paese e verso lo


stato, e, poiché il governo era molto inefficiente e molto corrotto, il primo ministro
volle che lui mettesse un po’ di ordine. Egli lo poté fare anche insegnando
Vipassana. Ma dovendo curare gli interessi dello stato fino all’età di 67 anni, è chiaro
che non poté trovare il tempo di condurre dei corsi per moltissime persone. Scelse
quindi di insegnare solo a determinate persone. Fece voto di insegnare la
meditazione Vipassana solamente a individui particolarmente evoluti in modo che si
stabilizzassero nel Dhamma e potessero a loro volta diffonderlo nel mondo.

D. Molti episodi della vita di U Ba Khin dimostrano il suo coinvolgimento nel lavoro
del governo. Può descrivere quali erano le sue opinioni verso l’impegno sociale e il
lavoro?

R. Ebbene, come laici, si deve vivere una vita con delle responsabilità sociali. Come
monaci non si hanno delle responsabilità sociali, perché tutto il tempo è dedicato alla
meditazione. Ma come laico, occorre affrontare queste responsabilità. E così U Ba
Khin come responsabile del governo desiderava che tutti i suoi dipendenti
lavorassero con integrità morale, con disciplina, con onestà, e fossero in grado di
sviluppare efficienza nel loro lavoro, in modo da poter ottenere buoni risultati. Per
questo obiettivo egli dedicava molto del suo tempo cercando di rendere migliore
l’amministrazione pubblica.

D. Lei ha detto che insegna meditazione per pagare il debito di gratitudine che ha
verso U Ba Khin, il suo maestro.

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R. Sì. Il mio maestro consacrò tempo ed energia in abbondanza per donarmi, con
tutto l’amore e la compassione, questo gioiello che è il Dhamma, tanto che il solo
modo per sdebitarmi è quello di usare tutte le mie energie per distribuirlo ad altri.
Beninteso, è per me una grande soddisfazione vedere gente immersa nell’infelicità
che riesce a venirne fuori. Ricevo lettere da persone che dopo aver seguito un corso,
mi scrivono per dirmi: “Sono un’altra persona”, “Ho iniziato una nuova vita”. Sapere
che i miei sforzi sono serviti, mi dà grande soddisfazione e contentezza. U Ba Khin
era solito dire: “È suonata l’ora di Vipassana!” e in un certo modo, trovandomi nelle
circostanze favorevoli, colsi l’opportunità di diffondere questo insegnamento. Io sono
semplicemente uno strumento.

D. Come ha affrontato U Ba Khin la corruzione usando la meditazione Vipassana?

R. I suoi colleghi e subordinati che erano coinvolti nella corruzione avevano la mente
piena di bramosia e di avidità. Quando si comincia a praticare Vipassana la bramosia
comincia a diminuire. Perciò dopo che avevano cominciato a praticare Vipassana
queste persone cominciarono a non voler più spremere illegalmente denaro dagli
altri. Insegnando Vipassana ai suoi colleghi U Ba Khin andò alla radice del problema,
l’avidità presente nella mente delle persone.
Inoltre non tutti erano corrotti. Ma molti di essi erano inefficienti. Le loro menti erano
appannate, e perciò erano incapaci di prendere decisioni rapide ed efficienti. Con
Vipassana, eliminando ogni tipo di impurità, la mente diventa sempre più chiara e
limpida. Si può arrivare subito alla radice dei problemi, e quindi prendere decisioni
rapide e giuste. Fu così che l’efficienza aumentò. Vipassana fu veramente utile a
sradicare la corruzione e incrementare l’efficienza nell’amministrazione.
Un aspetto importante della sua personalità che lo aiutò in questo compito era che
non si sarebbe mai spostato nemmeno di un millimetro dalla verità, qualsiasi fosse la
tentazione o la pressione.
Sapete bene che ogni funzionario del governo è soggetto alle pressioni dei suoi
superiori, che sono politici, ministri, membri dei partiti e così via. Spesso questi
superiori sono anche corrotti, perché vogliono favorire i loro amici e gli amici di
partito, e perciò convincono gli impiegati a prendere decisioni che a volte sono illegali
e improprie.
Molti funzionari soccombono a tali pressioni, ma l’integrità di U Ba Khin fu tale che
non cedette mai ad esse, come abbiamo visto negli episodi della sua vita. Qualsiasi
pressione si fosse trovato ad affrontare non esitò mai a prendere le decisioni che
riteneva giuste, anche se potevano dispiacere ai suoi superiori.
Un’altra difficoltà che un funzionario del governo affronta è la limitatezza del suo
salario. Quando è consapevole che una sua firma può far risparmiare centinaia o
migliaia di dollari a questo o a quel mercante, commerciante o industriale, un essere
umano può essere indotto a pensare in questo modo: “Questo tizio si arricchirà, a
causa di questo permesso o licenza che io posso concedergli. Perché non posso
averne una parte anch’io”? Spesso anche queste persone coinvolte nel commercio,

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negli affari, vogliono dei permessi illegali e cercano di suscitare avidità nelle menti
dei burocrati offrendo loro del denaro in grandi quantità. Non avendo mai visto nella
loro vita una tale somma di denaro, è possibile che molti cedano alla tentazione.
Ma è stato in queste occasioni che si è dimostrata la qualità cristallina di U Ba Khin.
Sottoposto a pressioni e tentazioni, egli faceva il suo dovere senza paure e senza
favoritismi.

D. Perché U Ba Khin continuò a lavorare dopo essere andato in pensione invece di


dedicarsi totalmente all’insegnamento?

R. Perché come laico doveva affrontare delle responsabilità. Quando il paese diventò
indipendente, l’efficienza dell’amministrazione era molto debole, e l’integrità morale
di molti funzionari del governo era bassa. Il suo esempio e impegno era una via, un
modo per dimostrare come Vipassana poteva aiutare l’amministrazione, aiutando
l’individuo e così aiutare intere masse della società, del governo, del paese. Perciò
penso che abbia preso una buonissima decisione, fece il meglio che poteva fare, da
una parte insegnando Vipassana, e dall’altra dimostrandone con il suo esempio i
risultati nella società.

D. Può descriverci qualche significativo e importante episodio del suo primo incontro
con U Ba Khin?

R. Un mio amico, sapendo che soffrivo di una forte e inguaribile emicrania, mi


consigliò di partecipare ad un corso di meditazione Vipassana insegnata da U Ba
Khin. Quando mi incontrai con lui, sapendo che ero un capo della comunità induista
mi rassicurò, dicendo che non lo dovevo considerare un ostacolo. “Non sono qui per
convertirti ad un’altra religione, qui ti assicurerai solo la possibilità di poter vivere una
buona vita, di guadagnare un po’ di pace mentale”. Quando gli dissi che volevo
partecipare per poter alleviare questa mia emicrania, essendo egli una persona
onesta e di principio, mi disse che venire per questa ragione era come svalutare il
Dhamma, non poteva accettarmi per questo motivo. Il Dhamma serve per uscire
dalla totalità della sofferenza. E molto amorevolmente mi disse che le eventuali
guarigioni di malattie psicosomatiche sono solo un sottoprodotto del processo di
purificazione della mente. Ciò ebbe veramente un grosso impatto nella mia mente.

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Verità
D. Molta gente crede che ci siano differenti tipi di verità, che la verità sia una
creazione umana e che non esista una verità ultima. Vipassana invece sembra
indirizzare verso una comprensione della verità come fatto assoluto. Dal punto di
vista di Vipassana, cos’è la verità?

R. Sì, in genere gli esseri umani si costruiscono una verità che concordi con le loro
idee. Gli esseri umani sono esseri intellettuali, ma l’intelletto ha i suoi limiti e varia da
persona a persona. A livello di ragione, ciò che appare logico ad una persona può
non esserlo affatto per un’altra.
Vipassana si situa al di là delle religioni, delle sette, delle credenze, dei dogmi. È
scienza pura, la scienza della mente e della materia, che scruta il modo in cui esse
interagiscono e si influenzano a vicenda. Poiché si tratta di una realtà, non è
sufficiente aderirvi con l’intelletto o con la fede: ognuno deve sperimentarla
direttamente.
È la verità la materia prima di Vipassana. Questa si basa sull’esperienza: non è un
gioco intellettuale. Ci sono livelli diversi di verità. Qualcuno può non essere in grado
di percepire, ora, una particolare verità; ma prima o poi, ognuno di noi sperimenterà
le medesime verità sottili, quelle che esistono ai livelli più profondi. Questa
esperienza non è soltanto privilegio di persone particolarmente dotate: la legge di
natura è la stessa per ognuno di noi.
Ci sono delle leggi di natura fondamentali: per esempio, il fuoco brucia. Che cos’ha a
che fare ciò con l’intelletto? È una semplice verità: se metti la tua mano nel fuoco,
essa brucia. Il fuoco brucia la mano di chiunque ve la metta, che si tratti di un
induista o di un mussulmano, di un cristiano o di un ebreo. il fuoco non fa distinzioni.
Lo stesso accade per le impurità della mente. Qualsiasi impurità mentale si manifesti
in una persona - collera, passione o paura - provoca sofferenza. La legge di natura
non favorisce l’appartenenza ad una particolare setta. Si tratta di una verità che
riguarda tutti, in qualsiasi epoca. Quando invece la mente è libera dalle impurità,
essa si riempie di amore, compassione, buona volontà. Queste qualità positive della
mente sorgono in modo del tutto naturale in una mente pura, ed arrecano pace ed
armonia. Anche qui si tratta di una legge naturale, che non fa distinzione di persona.
Una volta che sei stato scottato, è chiaro che terrai la mano lontano dal fuoco.
Analogamente, se ti rendi conto che l’impurità mentale ti rende infelice - e lo capisci
non soltanto con l’intelletto ma nel profondo di te stesso, perché sei tu che lo provi -
allora la volta dopo farai bene attenzione a non generare quell’elemento negativo. Se
generi un’impurità mentale diventi infelice: la natura incomincia a castigarti qui e ora,
non aspetta che tu muoia per portarti all’inferno. L’inferno te lo fa provare fin da
questo momento.
Ma se la tua mente è pura, e quindi piena di amore, compassione e buona volontà, la
natura incomincia a ricompensarti qui e ora. Quando la tua mente è pura, ti senti così

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in pace, così felice. Ecco cos’è Vipassana, semplicemente il seguire la legge
naturale.
È molto semplice.

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Vita quotidiana
D. Durante la vita quotidiana, se abbiamo alcuni momenti, è utile fermarsi e
osservare le sensazioni?

R. Sì. Anche ad occhi aperti, quando non avete altro da fare, dovete essere
consapevoli delle sensazioni all’interno di voi stessi.

D. Uno studente mi ha detto: “Ho difficoltà a lavorare con sampajañña quando non
sto meditando”. Potrebbe darci dei suggerimenti su come lavorare con sampajañña
al di fuori della meditazione?

R. Secondo l’insegnamento del Buddha, dev’esserci continuità nella consapevolezza


di anicca all’interno del proprio corpo, sia quando si mangia e si beve, sia quando si
cammina o si dorme, in ogni atto ed in ogni posizione. Occorre essere
ininterrottamente consapevoli di anicca. Questo vi introduce nelle profondità della
mente, e vi aiuta a sradicare le impurità che giacciono lì.
Sampajañña è certamente indispensabile durante le vostre due ore di meditazione al
mattino ed alla sera. O quando vi riposate senza far nulla, e ad occhi aperti,
osservate anicca, il sorgere e passare delle sensazioni.
Ma quando siete impegnati nelle vostre faccende quotidiane, sampajañña non è
necessario. Infatti, se metà della vostra mente si occupa delle vibrazioni, e l’altra
metà è rivolta verso l’esterno, non sarete presenti in nessuna delle due cose e non
riuscirete a fare né una né l’altra.

D. Capisco che la vera sofferenza è dentro di noi e che è dovuta al nostro


attaccamento. Ma come far capire questo ad un altro, ad una persona a cui è stato
fatto del male?

R. Il male che è stato fatto non si può distruggere, perché appartiene al passato. Ma
lei può aiutare ad interrompere il processo per cui quella persona, ripensando al
male che le è stato fatto, moltiplica la propria sofferenza. Ed è qui che interviene
Vipassana. Se lei ha personalmente praticato Vipassana, tutto ciò che lei dirà a
quella persona le farà capire - naturalmente non così chiaramente come nel caso in
cui anch’essa meditasse - che per quanto doloroso sia stato ciò che le è accaduto, il
fatto di continuare a ripensarci le fa del male. È successo? Ma ora basta, è finito.
Perché non mantenersi calmi, invece, e venirne fuori? E poi seguire un corso di dieci
giorni, in modo da eliminare tutto ciò ad un livello più profondo. Perché qualsiasi
incidente abbia avuto un forte impatto sulla mente, con la pratica di Vipassana verrà
in superficie e spingerà a reagire nello stesso modo in cui si è reagito in passato. Si
può reagire così per tutta un’ora, ma ci saranno alcuni attimi in cui si smette di farlo
e, semplicemente, si osserva. Quei pochi attimi diventeranno secondi, e poi minuti,

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fino a che giungerà il momento in cui si è in grado di rimanere equanimi nei confronti
di qualsiasi cosa sia accaduta in passato. Ciò che è accaduto è accaduto, se ne è
andato per sempre. Perché soffrire ora per qualcosa che è passato? Ma una tecnica
come questa comporta un po’ di esercizio. Perciò occorre che il terapeuta, in primo
luogo, capisca tutto questo: allora le sue parole saranno più efficaci. Poi si potrà
cercare di convincere la persona a sperimentare questa tecnica, in modo da
eliminare la sofferenza ad un livello più profondo.

D. Dopo ogni corso, per un certo periodo di tempo sono in grado di meditare con
facilità. Poi la cosa diventa sempre più difficile, tanto che non riesco neppure a far
scorrere l’attenzione attraverso il corpo. Cosa devo fare?

R. Continua a lavorare, continua a combattere la tua battaglia. Quando tu vieni a


vivere in un ambiente dedicato al Dhamma quale è questo, l’intera atmosfera è
carica di vibrazioni che sono anti-bramosia, anti-avversione, anti-ignoranza, e puoi
lavorare bene. Mentre pratichi qui, tu acquisti forza, e con quella forza puoi affrontare
il mondo esterno. Dopo tutto, è nel mondo che devi vivere, non puoi stare tutto il
tempo in un centro di meditazione. Vai all’ospedale per recuperare la salute, non per
abitarci. Quindi, recupera energia, e poi ritorna fuori.
Se trovi che, dopo aver lasciato il centro, la tua meditazione si indebolisce, cerca di
capirne la ragione. Tutta l’atmosfera che ti circonda è carica di bramosia e di
avversione; tu invece mediti, un’azione che è anti-bramosia e anti-avversione.
Diventi più debole perché l’atmosfera priva di Dhamma ti opprime; ma devi
continuare a lottare! Quando ti accorgi che sei diventato così debole da non poter
lavorare con le sensazioni del corpo, ritorna ad ānāpāna. Se non puoi neppure
sentire il respiro, respira intenzionalmente, consapevolmente. Respira un po’ più
forte, rendendo l’oggetto un po’ più percepibile. Procedendo in questa maniera, la
mente si calma, e ti troverai nella condizione di poter ricominciare a lavorare sul
corpo.

D. Abitiamo nel mezzo di una città piena di traffico, il che rende difficile la
meditazione. C’è modo di proteggere la nostra meditazione da tutto ciò che la
disturba all’esterno?

R. O cambiate la vostra abitazione e scappate via dal frastuono della collettività, o


diventate così potenti da imporre il silenzio a tutto quello che vi circonda. Nessuna
delle due cose è fattibile. Dovete vivere in società, e può darsi che dobbiate
continuare a farlo in queste condizioni. Perciò dovete rafforzarvi, ed imparare ad
ignorare tutti questi motivi di disturbo. Come un fiore di loto che cresce in uno stagno
non viene danneggiato dall’acqua, anche voi potete non essere importunati da tutto
questo frastuono, se lo ignorate. Mentre noi parliamo, un uccello fuori sta
cinguettando, ma non ci disturba perché siamo occupati a parlare. Allo stesso modo,
si è occupati a meditare. Lasciamo che i rumori ci siano: dobbiamo allenarci a vivere

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in un mondo pieno di cose che ci infastidiscono e, ciò nonostante, avere in noi pace
ed armonia.

D. Può spiegare la frase di U Ba Khin “lavora mentre lavori e gioca mentre giochi”?

R. Quando voi meditate tutta l’attenzione deve essere rivolta all’interno, ma quando
siete fuori, nella società, se rimanete mezzo dentro e mezzo fuori non riuscirete a
concludere molto. Quando dovete meditare, allora meditate, rivolgete interamente la
vostra attenzione all’interno; poi quando dovete affrontare le vostre responsabilità
nella società, dovete stare al gioco della società e allora giocate interamente. Perciò
prima che iniziate il vostro lavoro rimanete saldi dentro. Allora quando agite nella
società e fate il vostro lavoro, il vostro dovere, lo fate molto meglio. Ma se non
andate dentro di voi, allora il vostro lavoro dal di fuori non avrà molto successo.
Questi sono i due campi dove noi dobbiamo operare ed entrambi devono essere
efficienti al massimo livello. Perciò quando meditate, meditate profondamente, e
lasciate da parte tutte le responsabilità sociali, ma quando siete nel vostro mondo
sociale e dovete affrontare le responsabilità, date tutta l’importanza a queste
responsabilità e naturalmente fate uso della vostra meditazione, mentre lavorate,
come fonte d’energia. Ma non mantenete la mente divisa, metà dentro e metà fuori.

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