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La nullità del contratto

ottobre 2017

La concezione di nullità, così come


la conosciamo, è frutto di un
evoluzione legislativa e dottrinale.
Il codice del 1865 conosceva solo
ipotesi di nullità tassative. A
fondamento di questa scelta c'è la
concezione volontaristica del
contratto: l'atto di autonomia si
manifesta con il consenso che, a
sua volta, esprime la volontà
sovrana del contraente. Il nostro
codice si ispirava al Code Napoléon
francese che prevedeva solo nullità
assolute, cioè nullità previste da
espressa previsione di legge. Si è
posto nel nostro ordinamento il
problema di individuare una nullità
virtuale, a fianco di quella testuale,
ogni qual volta la violazione
consisteva nella mancanza di una
delle condizioni previste dalle legge
per la validità di un contratto.
Il modello di riferimento è stato
individuato nel codice tedesco. Il
legislatore del 1942 ha
abbandonato il principio di
"tipicità". Con l’avvento dei regimi
totalitari, la dottrina si è distaccata
dalla concezione volontaristica
ricercando l'essenza del contratto
nell’autoregolamento: il contrasto
del contratto con i valori
dell'ordinamento comporta nullità.

La nullità per espressa previsione


non ha attratto particolare
attenzione della dottrina perché si
è posta in linea di continuità con il
passato. Il co.1, invece, ha
suscitato reazioni varie in dottrina
e giurisprudenza. La Suprema
Corte già nel 1946 ha affermato
che se una norma stabilisce per la
sua violazione sanzioni pecuniarie
e disciplinari, si deve escludere la
nullità. Da qui deduciamo una
concezione di nullità intesa come
rimedio residuale.

La dottrina più recente tratta la


nullità come istituto di diritto
positivo capace di adattarsi qualora
si renda necessario per la natura
degli interessi coinvolti: es. nullità
relativa (art. 1421), nullità parziali
(art. 1419), conversione del
contratto nullo (art. 1424).

Quella della nullità è una delle


diverse forme di anomalie cd.
genetiche, ovvero di patologie che
si presentano nella fase di
conclusione del contratto, poichè
riguardano la formazione dello
stesso.
In particolare, la nullità appartiene
alla specie delle invalidità ed
accanto ad essa ne fanno parte
anche l’annullabilità e la
rescissione che possiamo quindi
considerare come figure affini che
hanno in comune un’unica matrice.
All’opposto, riconosciamo delle
forme di anomalie sopravvenute
qualora queste insorgano
successivamente alla stipulazione
del contratto e riguardino
l’attuazione dello stesso
(risoluzione e autotutela).

L'annullabilità è una forma meno


grave di invalidità rispetto alla
nullità, grazie alla quale si
permette al contraente di
impugnare il negozio giuridico
viziato per la violazione di norme
poste per la sua tutela, e di farne
cessare l'efficacia.
È l’ipotesi in cui l’atto di autonomia
privata è considerato idoneo a
realizzare gli interessi perseguiti,
però i relativi effetti sono precari,
potendo venire meno a seguito
della sentenza di annullamento su
iniziativa di una delle parti.
La contrarietà del negozio
all’ordinamento non coinvolge
valori fondamentali ed è per questo
che il venir meno dell’efficacia
dell’atto invalido è rimesso
all’iniziativa del titolare
dell’interesse tutelato.
A differenza della nullità, le cause
di annullabilità sono
tassativamente previste dalla
legge, manca quindi una previsione
di annullabilità virtuale.
Nello specifico, esistono tre
categorie di cause di annullabilità.
In primo luogo, il comma primo
dell’art 1425 cc recita: “Il contratto
è annullabile se una delle parti era
legalmente incapace di
contrattare”. L’articolo si riferisce
all’incapacità legale rendendo
quindi annullabili gli atti compiuti
da minori e da interdetti nei limiti
del 427 cc; così come rende
annullabili, ad esempio, anche gli
atti di straordinaria
amministrazione compiuti dal
minore emancipato e
dall’inabilitato senza l’assistenza
del curatore.
Diversa è l’ipotesi dell’incapacità
naturale a cui si riferisce il secondo
comma dell’art 1425 cc, dove si
legge:“E' parimenti annullabile,
quando ricorrono le condizioni
stabilite dall'articolo 428, il
contratto stipulato da persona
incapace d'intendere o di volere”.
In questo caso, l’annullamento
dell’atto può essere pronunciato
solo quando, per il pregiudizio che
sia derivato o possa derivare alla
persona incapace di intendere o di
volere, risulta la mala fede
dell’altro contraente, nel senso che
quest’ultimo fosse stato
consapevole dell’incapacità altrui.
Secondo l’art 1427 cc “Il
contraente, il cui consenso fu dato
per errore, estorto con violenza, o
carpito con dolo, può chiedere
l'annullamento del contratto”: ci
troviamo qui nelle ipotesi in cui la
libertà di autodeterminazione di
una delle parti è stata violata,
incidendo sulla formazione della
volontà del contraente alcuni
fattori che ne hanno distorto
l’elaborazione. I vizi del consenso
appartengono quindi alle cause
generali di annullabilità, poichè
ineriscono alla struttura del
negozio giuridico.
Anche la rescissione è una forma di
invalidità che attiene alla
formazione dell’atto. Gli articoli di
riferimento sono il 1447 e il 1448
cc.
Art. 1447: “Il contratto con cui una
parte ha assunto obbligazioni a
condizioni inique, per la necessità,
nota alla controparte, di salvare sé
o altri dal pericolo attuale di un
danno grave alla persona , può
essere rescisso sulla domanda
della parte che si è obbligata.
Il giudice nel pronunciare la
rescissione, può, secondo le
circostanze, assegnare un equo
compenso all'altra parte per l'opera
prestata.”
Art. 1448: “Se vi è sproporzione tra
la prestazione di una parte e quella
dell'altra, e la sproporzione è
dipesa dallo stato di bisogno di una
parte, del quale l'altra ha
approfittato per trarne vantaggio,
la parte danneggiata può
domandare la rescissione del
contratto.
L'azione non è ammissibile se la
lesione non eccede la metà del
valore che la prestazione eseguita
o promessa dalla parte
danneggiata aveva al tempo del
contratto.
La lesione deve perdurare fino al
tempo in cui la domanda è
proposta.
Non possono essere rescissi per
causa di lesione i contratti
aleatori.”

Il fondamento della rescissione


risiede in uno squilibrio genetico
del rapporto sinallagmatico per cui,
una parte, in presenza di
determinate circostanze, è indotta
a stipulare un contratto a
condizioni inique. Queste
circostanze esterne all’atto
impediscono la libera
determinazione di una delle parti,
costringendola ad accettare forme
svantaggiose. Quello che si
produce è quindi un difetto della
causa per lo squilibrio tra le parti.
Tuttavia, è da precisare che lo stato
soggettivo della parte danneggiata
non è indotto dalla controparte, la
quale non fa altro che approfittare
delle circostanze stesse. La tutela è
in questo caso rimessa all’iniziativa
delle parti (azione di rescissione).

Ritornando al tema della nullità - e


partendo dall’attuale dato
normativo - risulta di fondamentale
importanza la disciplina contenuta
nel Capo XI del IV libro del nostro
codice civile. In particolare,
l’articolo 1418 cc, rubricato cause
di nullità del contratto, recita:

“Il contratto nullo quando è


contrario a norme imperative, salvo
che la legge disponga
diversamente.
Producono nullità del contratto la
mancanza di uno dei requisiti
indicati dall’articolo 1325, l’illiceità
della causa, l’illiceità dei motivi nel
caso indicato dall’articolo 1345 e la
mancanza nell’oggetto dei requisiti
stabiliti dall’articolo 1346.
Il contratto è altresì nullo negli altri
casi stabiliti dalla legge.”

• Nullità contrattuale per


contrarietà a norme imperative.
{1°comma}
La nozione di nullità del contratto è
offerta dall’articolo 1418 del codice
civile.
Il primo comma della suddetta
norma definisce nullo il contratto il
quale sia contrario a norme
imperative, salvo che la legge
disponga diversamente. Si
rinviene, qui, la prima ipotesi di
nullità contrattuale, alla quale si
correla la difficoltà data dalla
precisa individuazione del carattere
imperativo di una norma.
“Le norme contenenti un divieto
possono essere considerate
imperative soltanto se dirette alla
tutela di un interesse pubblico
generale, la quale è ravvisabile se
il divieto ha carattere assoluto,
senza possibilità di esenzione dalla
sua osservanza per alcuni
destinatari della norma”. È questa
una qualificazione di norma
imperativa offerta dalla
giurisprudenza (82/6601),
giurisprudenza la quale su questa
ipotesi di nullità contrattuale ha
avuto occasione di soffermarsi di
recente; il riferimento è alla
sentenza della prima sezione civile
della Corte di Cassazione del
13/07/2017 n°17352. Nel caso di
specie, dovendo la Corte
pronunciarsi circa la validità di un
contratto di mutuo fondiario,
messa in discussione dal
superamento del limite di
finanziabilità imposto dall’articolo
38 del TUB, intese definire
quest’ultimo una norma
imperativa: “il fine della previsione
dettata in materia di credito
fondiario a proposito del limite
massimo di concedibilità del
finanziamento risponde a una
necessità di analitica
regolamentazione dettata da
obiettivi economici generali”
citando i Supremi Giudici, i quali, in
considerazione degli interessi
economici nazionali pubblici
perseguitati dalla disposizione del
TUB, considerano nullo il contratto
alla loro attenzione sottoposto. Il
ricorso fu proposto dalla Banca
Mediocredito Trentino Alto Adige
S.p.a. contro una S.r.l. in fallimento.
Secondo i fatti di causa, il Tribunale
di Venezia aveva rigettato
l’opposizione allo stato passivo
della S.r.l. proposta da
Mediocredito Trentino Alto Adige
S.p.a., la quale vantava il diritto di
creditore privilegiato in forza di un
contratto di finanziamento
ipotecario, ritenendo che vi fosse
stata la suddetta violazione dell’art
38 del TUB con conseguente nullità
dell’intero contratto. Alcuni tra i
dieci motivi di ricorso per
Cassazione proposti dalla Banca
avverso la sentenza del Tribunale
riguardano da vicino la disciplina
della nullità contrattuale.
Innanzitutto con il primo motivo la
Banca censurava la decisione del
Tribunale per aver ritenuto nullo il
contratto di mutuo per contrarietà
alla norma di natura imperativa,
sostenendo che la norma si limita a
dettare prescrizioni di
comportamento per finalità
prudenziali, per cui la sua
eventuale violazione non incide
sulla validità del contratto ma
comporta unicamente la
comminazione di una sanzione di
natura amministrativa. Con il
settimo motivo di ricorso la Banca
denuncia la violazione e falsa
applicazione dell’art 1419 cc,
sostenendo che la eventuale nullità
si manifesterebbe riguardo alla sola
parte del credito eccedente il limite
di vigilanza, non andando ad
inficiare la validità del contratto per
l’intero credito. Con l'ottavo motivo
la Banca deduce insufficiente o
contraddittoria motivazione
relativamente alla ritenuta
essenzialità della stipula del
contratto in forma fondiaria. Con il
nono e decimo motivo si duole che
sia stata ignorata la richiesta di
conversione del contratto ove
ritenuto nullo.
Art 117, comma 8: "La Banca d’Italia può prescrivere che
determinati contratti, individuati attraverso una particolare
denominazione o sulla base di specifici criteri qualificativi,
abbiano un contenuto tipico determinato. I contratti difformi
sono nulli. Resta ferma la responsabilità della banca o
dell’intermediario finanziario per la violazione delle prescrizioni
della Banca d’Italia.”
La corte dichiara detti motivi
infondati, ponendosi in contrasto
con i precedenti orientamenti
giurisprudenziali (Cass. 9219/95),
ritenendo che il superamento del
limite di finanziabilità possa essere
determinativo della nullità del
contratto.
Seguendo l'orientamento della
Cass. 9219/95 l'art 38 TUB è norma
sì imperativa ma di condotta, non
di validità, prevista a tutela del
sistema bancario per evitare che la
banca finanziatrice si esponga oltre
un certo limite di ragionevolezza;
perciò la sua violazione comporta
solo la comminazione delle sanzioni
previste dall'ordinamento bancario.
La nullità del contratto
travolgerebbe la garanzia
ipotecaria ad esso connessa,
pregiudicando il valore della
stabilità patrimoniale della banca.

È vero che la violazione del limite


di finanziabilità non rientra nelle
ipotesi di cui all'art 117 comma 8
del TUB, non essendo l'indicazione
del minimo finanziabile contenuto
tipico del contratto di credito
fondiario ex art38 TUB ma rientra
nell'art 1418 cc: pur non essendo
contenuto tipico è comunque
elemento essenziale affinché il
contratto di mutuo fondiario possa
qualificarsi come tale. Partendo da
questo assunto, la Corte critica
l'utilizzazione, da parte delle
precedenti posizioni
giurisprudenziali, del discrimine
regole di validità/regole di
comportamento con lo scopo di far
salva la validità contrattuale
nonostante il contrasto con le
norme citate. Tale classificazione
delle norme giuridiche, infatti, non
viene considerata idonea:
- nè nella premessa in quanto il
limite di finanziabilità imposto
dall'art 117,8 del TUB risulta essere
finanziato alla tutela di obiettivi
economici generali;
- nè tantomeno nella conclusione
perchè non può punirsi solo con
sanzioni amministrative la
responsabilità in cui si incorre
inficiando la struttura intrinseca del
contratto.
Tra l'altro il fine di tutelare il valore
della stabilità patrimoniale della
singola banca non può pregiudicare
interessi economici nazionali e
pubblici.
Se poi si considera la materia
concorsuale: con la crisi
dell'impresa finanziaria l'interesse
del cliente recede dinanzi
all'interesse della massa creditoria,
quest'ultimo ispirato alla par
condicio creditorum. L'art 2741 cc
verrebbe violato se nel caso di
specie non si considerasse nullo il
contratto perché si manterrebbe
intatta una causa di prelazione resa
illegittima dalla violazione di un
precetto normativo, ancora una
volta la sanzione amministrativa
non risultando idonea.
Considerati questi motivi, si
rigettano il primo, il settimo e
l'ottavo motivo: il mancato rispetto
del limite di finanziabilità ai sensi
dell'art 38 TUB e della delibera del
CICR determina la nullità del
contratto di mutuo fondiario, salva
la possibilità di CONVERSIONE di
questo in un ordinario contratto di
finanziamento ipotecario.
Per questo viene accolto il nono
motivo di ricorso, escludendosi la
praticabilità del frazionamento del
contratto, se considerato nullo solo
parzialmente, per le difficoltà
pratico-giuridiche che ciò
comporterebbe.

Questa pronuncia della Suprema


Corte di Cassazione rilascia una
testimonianza circa la concretezza,
nel nostro ordinamento giuridico,
del principio di conservazione
dell'attività giuridica, quale
esplicazione del favore
dell'ordinamento per l'operosità nei
rapporti economico-sociali. È
questo un criterio di
interpretazione dei contratti,
sancito dall'articolo 1367 cc, per il
quale nel dubbio, il contratto o le
singole clausole devono
interpretarsi nel senso in cui
possono avere qualche effetto,
anziché in quello secondo cui non
ne avrebbero alcuno. Con
riferimento ai negozi nulli questo
principio assume tre distinte
esplicazioni, da intendersi quali veri
e propri rimedi alla nullità
contrattuale:
- Innanzitutto la conversione del
contratto nullo, della quale la
sentenza appena analizzata offre
un esempio. Il parametro
normativo è dato dall'articolo 1424
cc: il contratto nullo può produrre
gli effetto di un contratto diverso,
del quale contenga i requisiti di
sostanza e di forma, qualora, avuto
riguardo allo scopo perseguito dalle
parti, debba ritenersi che esse lo
avrebbero voluto se avessero
conosciuto la nullità. La
conversione è un'operazione
giuridica che si svolge senza
intervento sul negozio: il contratto
produce senz'altro effetti più
limitati in forza della legge e non
per opera delle parti. La sentenza
che nel dichiarare la nullità del
contratto originario ne determina la
conversione rimane una sentenza
meramente dichiarativa. Certo è
nel potere delle parti modificare il
contenuto del contratto concluso
ampliandone o amputandone la
portata: ma in tal caso si ha non
conversione ma rinnovazione del
negozio. Diversa della conversione
sostanziale, della quale si è detto,
è la conversione formale, la quale
non è una vera e propria
conversione in quanto non tocca lo
scopo pratico originario dei
contraenti. Il suo presupposto è che
il medesimo negozio è suscettibile
di essere compiuto in più forme,
per cui, risultando carente una,
rimane l'altra.
- Nullità parziale, a cui pur si
accenna nella sovracitata
sentenza. Quando ad essere nulla
sia una singola clausola del
contratto, il quale, depurato da
quest'ultima, attui un assetto di
interessi congruenti con la causa
concreta sì da realizzare un
risultato oggettivamente
ragguagliabile a quello
programmato con il contratto,
allora è possibile escludere la
nullità dell'intero contratto,
sostituendo di diritto le clausole
con norme imperative.
Ciò ai sensi del principio di
integrazione del contratto di cui
all'articolo 1374 cc.
- Contratto plurilaterale: quando, in
questa fattispecie contrattuale, la
nullità colpisca il vincolo di una sola
delle parti, ciò non importa nullità
del contratto, salvo che la
partecipazione di essa debba,
secondo le circostanze,
considerarsi essenziale. Pertanto
anche qui si testimonia un
tentativo di far salva l'efficacia
dell'atto contrattuale.

• Ulteriori ipotesi di nullità.


{2°comma}
L’articolo 1418 cc prosegue
nell’individuazione di ulteriori
cause di nullità del contratto, cui
accenna al secondo comma.
Innanzitutto si ha riguardo alla
nullità per mancanza di uno dei
requisiti indicati dall’articolo 1325
cc, il quale recita: “I requisiti del
contratto sono:

1)l’accordo delle parti;


2) la
causa;
3)
l’oggetto;
4) la
forma, quando risulta che è
prescritta
dalla
legge sotto pena di nullità.

Il primo dei requisiti citati attiene


all’accordo delle parti; potrebbe
ritenersi che esso manchi quando
il contratto sia stato concluso da
persona incapace di intendere e di
volere seppur non interdetta.
Ebbene, la giurisprudenza (79-
4824) ha ritenuto opportuno
considerare un contratto siffatto,
quando integri gli estremi del
delitto di circonvenzione di
incapace , affetto da nullità ai sensi
dell’articolo 1418 cc e non
semplicemente annullabile entro
cinque anni per l’articolo 428cc. La
nullità cui si accenna è però ancora
una volta da intendersi quale
determinata dal contrasto con
norma imperativa: è ravvisabile,
infatti, una violazione di
disposizioni di ordine pubblico in
ragione delle esigenze di interesse
collettivo sottese alla tutela penale,
trascendenti quelle di mera
salvaguardia patrimoniale dei
singoli contraenti, perseguite dalla
disciplina sull’annullabilità dei
contratti ( si veda anche 2016-
7785).

Segue la causa del contratto: la


causa del contratto deve essere
verificata in concreto, e, se difetta,
il contratto può essere dichiarato
nullo, nonostante sia inquadrabile
in uno dei tipi previsti dalla legge.
Bisogna porre l’attenzione al reale
assetto di interessi che il contratto
è diretto a realizzare, cioè alla
concreta modificazione che
produce nella sfera giuridica dei
contraenti. Ove tale modificazione
manchi, infatti, il contratto sarà
nullo per mancanza di causa. Si
guardi a un caso giurisprudenziale:
alla sentenza n°17234 emessa il
13/07/2017 dalla terza sezione
della Cassazione civile, la quale
sancisce che “il contratto stipulato
tra privati per il mantenimento di
un familiare bisognoso di
prestazioni assistenziali presso una
struttura residenziale adeguata
(nella specie, per il pagamento
della retta per la degenza di
un’anziana non autosufficiente),
non è nullo per difetto di causa,
non essendo diretto all’erogazione,
in forma esclusiva o prevalente, di
prestazioni sanitarie da ritenere a
carico del servizio sanitario
nazionale e, pertanto, oggetto di
un negozio privo di concreta
funzione economica”. Meno
recente è un’altra pronuncia
giurisprudenziale sul punto
(87/6492) per la quale: “è nullo per
mancanza di causa il contratto a
prestazioni corrispettive nel quale
non vi sia un’equivalenza, almeno
approssimativa o tendenziale, delle
prestazioni”, come quando una
delle parti si obblighi a una
prestazione senza che, in cambio,
le venga attribuito nulla di più di
quanto già le spetti per legge. Ma
le ipotesi appena citate, inerenti, lo
si ripete, la nullità del contratto per
mancanza della causa, sono da
distinguersi da quelle in cui la
nullità sia data dall’illiceità della
causa pur richiamata dall’articolo
1418 cc e più specificamente
anche dall’articolo 1343 cc.
Quest’ultimo considera illecita la
causa del contratto la quale sia
contraria a norme imperative,
all’ordine pubblico e al buon
costume, essendo poi altresì illecita
la causa quando il contratto
costituisce il mezzo per eludere
l’applicazione di una norma
imperativa, ai sensi del successivo
articolo 1344. Prospettive di
concretizzazione di questa norma
sono date , a titolo esemplificativo,
dalla vendita del diritto di
abitazione, effettuata per eludere
le norme della locazione o ancora
dai plurimi contratti di lavoro a
tempo determinato con un solo
lavoratore, stipulati per evitare di
stipulare un unico contratto a
tempo indeterminato (Cass.
62/2015).

L’articolo 1325, nell’elencare i


requisiti del contratto, ne cita poi
l’oggetto, che certa dottrina tiene a
distinguere dall’oggetto
dell’obbligazione, quale risultato
utile che soddisfa il creditore, e
oggetto della prestazione, come
comportamento strumentale del
debitore. L’oggetto contrattuale
può influenzare la validità del
contratto sotto molteplici aspetti.
La sua mancanza, innanzitutto,
cagiona la nullità dell’atto
contrattuale; ma è anche la
difformità rispetto all’articolo 1346
ad avere delle conseguenze.
“L’oggetto del contratto deve
essere lecito, possibile,
determinato o determinabile” a
voler citare l’ultima disposizione
elencata che rispetto alla casistica
giurisprudenziale offre molteplici
spunti di riflessione. Con la
sentenza 81/4221 una violazione
ne fu riscontrata in un contratto di
compravendita animale, a causa
della malattia infettiva da cui
l’animale era affetto, tale da
determinare la mancanza dei
requisiti di cui al 1346. Ancora si
rinviene nullità contrattuale per
illiceità dell’oggetto di un contratto
d’appalto diretto alla costruzione di
un immobile senza concessione
edilizia. In senso positivo però la
sentenza n°2665 del 1987, che
intende escludere che la
fideiussione prestata in favore di un
istituto di credito per tutti i debiti
che insorgano a carico di un terzo
da operazioni bancarie in corso o
anche future (c.d. fideiussione
omnibus) possa comportare
indeterminatezza dell’oggetto.
Quest’ultimo resta infatti
identificabile per relationem, alla
stregua di parametri oggettivi
offerti dal contratto, senza che
rilevi la mancata previsione di un
limite massimo per la
responsabilità del fideiussore.
Lo studio della nullità contrattuale
non può non tener conto dei dati
giurisprudenziali di origine
comunitaria. A tal riguardo, è
interessante l’analisi della sentenza
n°278 emessa nel 20/07/2017
dalla VI sezione della Corte di
Giustizia UE.

“Non può gravare sui terzi, vittime


di incidenti stradali, la nullità di un
contratto di assicurazione stipulato
da altri contraenti. In particolare,
nel caso in cui la nullità del
contratto di assicurazione della
responsabilità civile dipenda da
false dichiarazioni iniziali del
contraente dell’assicurazione in
merito all’identità del proprietario e
del conducente abituale del veicolo
considerato, o dalla circostanza che
la persona per conto o in nome
della quale tale contratto di
assicurazione è stato stipulato non
aveva interesse economico alla
conclusione del contratto stesso.”

Quanto sopra viene estrapolato da


una sentenza emessa nel corrente
anno dalla Corte di giustizia
dell’Unione Europea. La pronuncia
si sviluppa relativamente ad una
riflessione sorta rispetto al titolo XV
del codice di commercio
portoghese, i cui articoli 428 e 429
sanciscono che pur potendo
l’assicurazione stipularsi tanto per
conto proprio quanto per conto
altrui, la stessa sia da considerarsi
nulla:
1)quando la persona per conto o a
nome della quale è stata
sottoscritta non abbia interesse
nella cosa assicurata.
2) quando vi siano dichiarazioni
inesatte o omissioni volontarie di
fatti o circostanze noti
all’assicurato o a colui che stipula
l’assicurazione, che avrebbero
potuto influire sull’esistenza o sulle
condizioni del contratto.
L’organismo giurisdizionale
comunitario intende, quindi,
sottolineare come “il
ravvicinamento delle legislazioni
degli stati membri in materia di
assicurazione della responsabilità
civile risultante dalla circolazione di
autoveicoli, debba essere
interpretato nel senso che esso
osta a una normativa nazionale che
abbia per effetto l’opponibilità ai
terzi vittime, della nullità di un
contratto di assicurazione della
responsabilità civile auto dovuta a
false dichiarazioni iniziali del
contraente dell’assicurazione in
merito all’identità del proprietario e
del conducente abituale del veicolo
considerato”.
Per i giudici di Lussemburgo la
compagnia assicurativa non può
sottrarsi agli obblighi fissati nel
contratto nei confronti di terzi
vittime, non essendo nella
situazione contingente possibile
avvalersi di disposizioni legali o di
clausole contrattuali per negare ai
terzi il risarcimento dovuto a un
incidente provocato dal veicolo
assicurato.

Il tema della nullità delle fattispecie


contrattuali è risultato foriero di
interessanti spunti di analisi e
osservazioni provenienti
dall'ambiente dottrinale. Al
riguardo, centrale ci è risultato
l'esame di un articolo pubblicato da
Giulio Mastropasqua, docente
dell'Università degli studi di Roma
Tor Vergata , entro il quale l' Autore
si è soffermato sul binomio
imperatività/inderogabilità in
ragione dell'art. 1418,1 cc.

Egli parte dal premettere ,


guardando al sistema generale,
che le disposizioni in tema di nullità
costituiscono un sistema
particolarmente rigido e, dunque,
nei confronti del quale la selezione
delle varie ipotesi di invalidità
appare rimessa esclusivamente alla
determinazione degli organi
legislativi. Al riguardo, anche Di
Majo nel Trattato di diritto privato,
diretto da Bessone, afferma che il
legislatore ha agito con l' intento di
non trascurare alcuna ipotesi al
fine di non consegnare niente al
caso, o meglio di non lasciare alle
mutevoli sensibilità degli interpreti
il potere di decidere la sorte dei
contratti, strumento privilegiato di
espressione dell'autonomia privata.
Segue a ritenere che il concetto di
imperatività riguarda una norma
che i privati non possono derogare,
aggiungendo come la dottrina
prevalente ritenga che il concetto
di imperatività che soggiace al
testo dell'art 1418 cc sia più
rigoroso della mera inderogabilità.
Nell'analisi della disposizione
testuale, l'A. nota come esso
escluda la nullità per alcune ipotesi
di contrarietà del contratto alla
legge, volendo così eliminare ogni
contrasto tra regola e deroga.
Infatti, l'articolo impone
all'interprete di verificare il
fondamento della norma
inderogabile, e sulla base di tale
analisi (incentrata sulla natura
dell'interesse sotteso alla
disposizione) escludere o dichiarare
la nullità del contratto ad essa
contrario.

Al riguardo, per Tommasini ("ex


multis", voce Nullità- diritto privato)
sono imperative le norme
inderogabili poste a tutela
dell'interesse pubblico.
L'A. individua tre diversi gradi di
cogenza delle norme :

MINIMA, attinente al campo delle


norme relative;

MEDIA, che apre a possibili


eccezioni (norme inderogabili);

MASSIMA, a tutela di un interesse


generale, quali le norme
imperative.

E' da aggiungere che lo stretto


nesso che pare esistere tra
imperatività e interesse generale
vacilla con l'introduzione del
concetto di "ordine pubblico di
protezione"(Mantovani). Le norme
predisposte a tutela di quest’ultimo
si collocano, tra l'altro, nell'ambito
delle norme relativamente
inderogabili dato che proteggono
l'interesse di un contraente.

Per Russo, non è affatto possibile


scindere l'ordine pubblico dal
campo d'azione delle norme
imperative, data la stretta
interdipendenza dei due ambiti. Ciò
risulta confermato dall'art. 1343 cc
che, in tema di causa illecita, cita
le norme imperative, l'ordine
pubblico e il buon costume.

E' innegabile che sul concetto di


ordine pubblico si sia a lungo
dibattuto: lo stesso Mastropasqua
lo considera pericoloso in quanto
sottopone il concetto ad esiti
variabili sulla base della diversa
sensibilità dell'interprete.

Un'interpretazione rigorosa
dell'art.1418 cc conduce a ritenere
che la nullità si determina quando il
contratto è contrario ad una norma
cogente, inderogabile dalla volontà
delle parti e dunque imperativa.
Restano, però, esclusi i casi in cui
la norma sia cedevole.

Infine, Mastropasqua si pone una


domanda a cui non segue una
chiara risposta. Alla luce delle
considerazioni fatte, a che scopo il
legislatore ha affiancato a "norme"
l'aggettivo "imperative"? La
responsabilità di determinare il
confine semantico della locuzione
grava sul singolo interprete.
Affermare l'esistenza di un
significato proprio di norma
imperativa è stata la via migliore
per contenere i casi di nullità
virtuale del contratto. Qualificare
imperativa la norma inderogabile
non sembra appagare allo stesso
modo quest'esigenza. Infatti, la
forza dell'art. 1418 sarebbe così
infinita : il contratto concluso in
violazione di norme inderogabili di
legge è nullo, salvo che la
disposizione violata non escluda la
nullità. Ciò determinerebbe
un'eccessiva compressione del
potere autonomo dei privati e
corrispettivamente la limitazione
dei traffici economico-giuridici.

Ciò che è certo è che la nullità non


può essere dichiarata per ogni
generica difformità del contratto
alla legge.

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