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IL «MIRACOLO ROMANO»
Da un piccolo villaggio di pastori e contadini ad un impero che domina per otto secoli su
gran parte dell’Europa occidentale e dell’Oriente.
- popoli transalpini (che si sono presentati a seguito di ondate di popoli indoeuropei che hanno
sommerso gran parte dell’Europa, l’Iran e l’india):
i Veneti;
alcune popolazioni celtiche (che si stabiliscono tra il VI-V secolo;
gli Umbri, che furono un tempo il popolo più esteso dell’Italia centrale;
sullo stesso litorale Adriatico, i Piceni che si stabiliscono vicino ad Ancona;
a sud (sopra il Lazio) Sabini e Sanniti, Dauni, Peuceti, Iapigi e Messapi intorno a Taranto;
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Nome dato ad un gruppo di popolazioni, come gli Entri, Coni, Morgeti e Itali che, secondo una generalizzazione
alquanto esagerata di Dionigi di Alicarnasso, erano tutti di origine Greca (teoria panpelasgica).
ancora, ma sull’altro versante, Lucani e Brutii;
in Italia centrale, invece, il popolo indoeuropeo più importante era quello dei Latini, stabilitisi
tra il Tevere e i Monti Albani;
a nord dei Latini, tra la valle dell’Arno e l’Appennino, nella cosiddetta Etruria, gli Etruschi,
che hanno però origine ignota (tra l’ VIII e il VII secolo i Greci li chiamavano Tyrrhenoi, i Romani
Tusci o Etrusci) e che avevano colonizzato anche alcune zone del nord della penisola, tra cui Felsina
(Bologna), Melpum (Milano) e altre nel sud come Volturnum (Capua) e Pompei, dove si trovano
alcune iscrizioni.
LE LINGUE PARLATE
Regna anche una varietà di lingue, anche se alcune mostrano affinità. È stata confermata dai
linguisti anche l’esistenza di una lingua unica indoeuropea e molto arcaica. Di questa ci sono
alcune parole che hanno conservato la loro origine indoeuropea, e che designano soprattutto nomi
della vita religiosa, della vita costituzionale e familiare (es. rex, flamen, pater, mater).
Oltre al latino, si parlavano altre lingue indoeuropee come il falisco, il veneto, l’umbro e
l’osco (utilizzato da tutti i popoli dell’italia del sud-ovest). Non indoeuropee erano invece il ligure,
il messapico e lo iapigio (che hanno invece affinità con l’illirico).
LA CULTURA ETRUSCA
È una civiltà urbana, che rispetto dunque ai villaggi delle altre popolazioni possiede città con
tanto di mura, costruzioni in pietra, e una federazione di dodici città-stato governate da magistrati
(o eventualmente da un dittatore [mastarna] che agiva allo stesso modo di quello romano).
Inizialmente il popolo era governato dai re, che avevano come simboli i fasci e delle insegne
(la corona d’oro e lo scettro sormontato dall’acquila). La società era patrizia e quasi feudale, da
una parte c’erano infatti dei principes, cioè dei notabili, che detennero il potere finché la plebe non
prese il sopravvento e si affermò con forza, dall’altra c’era anche un’immensa classe servile (gli
schiavi potevano diventare liberti e a quel punto legarsi anche ad una clientela).
Erano materialmente e tecnicamente evoluti, perché praticavano il drenaggio dei suoli ed
erano assai esperti nella scienza idraulica, attraverso la quale irrigavano i campi da coltivare.
L’artigianato era molto praticato, non solo veniva lavorata la ceramica, ma si estraevano anche da
giacimenti e miniere lo stagno, il rame e il ferro (per esempio dell’isola d’Elba) a fini commerciali.
Per quanto riguarda la cultura, la religione era rivelata attraverso libri sacri di profeti, che
davano precetti su come interpretare fulmini e tuoni, su come vivere in città tra gli uomini, su
come analizzare le viscere delle vittime sacrificali, o sulle conoscenze necessarie per la discesa
degli uomini nell’aldilà, che per gli Etruschi era diviso tra un Paradiso ed un Inferno (secondo
influenze orientali e greche) governato da bestie feroci, mezze animali e mezze uomini, spesso
irose, ma che potevano essere placate tramite il sangue di combattenti (da ciò, secondo alcuni
storici, il munus gladiatorium). Vi era anche un pantheon di divinità assimilabili a quelle greche.
L’arte è un altro elemento importante per quanto riguarda gli etruschi, i quali si fecero
influenzare soprattutto dall’arte greca. Tratto distintivo di ogni città etrusca erano le necropoli,
dove si possono notare alcuni elementi stilistici greci, nonché grande ricchezza dei corredi. Si
occuparono anche dell’urbanistica, costruendo strade o ponti, ed edifici templari.
La lingua etrusca non è considerata una lingua indoeuropea, ma si cercano affinità con il
basco, il caucasico o dialetti preellenici, anche perché spesso si incontrano prestiti greci e italici
negli unici documenti che ci sono rimasti, ovvero epigrafi che sono però solo brevi epitaffi
(recentemente sono state scoperte alcune iscrizioni bilingui, in etrusco e punico, a Pirgi). Gli
Etruschi hanno permesso ai popoli della penisola ad imparare a leggere.
I SETTE RE DI ROMA
La monarchia romana sarebbe durata, secondo Fabio Pittore, sette generazioni di 35 anni
ciascuna, ovvero 245 anni divisi in 7 re, a partire dallo stesso Romolo. In realtà anche tutto questo è
stato costruito dai Romani stessi e dalla lunga tradizione storiografica posteriore; elaborati infatti
sono i giochi di dualismo tra «il buono e il cattivo», Romolo e Remo, uno prescelto e l’altro
respinto, l’associazione di Romolo e Tito Tazio che segnano i buoni rapporti tra la civiltà dei
Romani e quella dei Sabini, la successione Romolo/Numa Pompilio, fondatori rispettivamente
della politica e degli aspetti religione. Questi dualismi sono inoltre prefigurazione della diarchia
consolare repubblicana, nonché della divisione tra patrizi e plebei.
I re furono:
- Romolo, romano, fondatore politico;
- Numa Pompilio, sabino, fondatore della religione;
- Tullio Ostilio, romano, fondatore della potenza guerriera;
- Anco Marcio, sabino, che permise la prosperità economica e si preoccupò dei cambiamenti
sociali2;
- Tarquinio Prisco, etrusco;
- Servio Tullio, etrusco;
- Tarquinio il Superbo, etrusco.
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Nota l’alternanza, nei primi quattro re, di sovrano romano e sovrano sabino.
VI SECOLO A.C.
LA ROMA ETRUSCA
Gli ultimi tre re della monarchia di Roma furono tutti etruschi, in quanto la città rimase in
mano al popolo etrusco per parecchi anni.
Gli Etruschi arrivarono vicino al Tevere nel VII secolo, e ciò è documentato dall’esistenza di
un Vicus Tuscus alle pendici del Palatino. La loro presenza è dunque certa, a differenza dei tre re
(anche i nomi non sono altrettanto costruiti come le figure).
Il vero cambiamento però fu nella organizzazione della città e dei suoi quadri amministrativi e
nelle sue istituzioni politiche e sociali; tali cambiamenti furono favoriti dalle famose (ne parla Livio
così come Dionigi di Alicarnasso) riforme di Servio Tullio, che organizzò politica ed esercito su
base timocratica (il più conosciuto tra i sovrani etruschi, proprio per questo motivo: secondo
alcuni era un ex servo, secondo altri, come l’imperatore etruscologo Claudio, era un condottiero
forse etrusco chiamato Ma starna, cioè dittatore, che si sarebbe reso signore di Roma dopo aver
eliminato il partito dei Tarquini).
1)Quadri amministrativi
I cittadini furono distribuiti in curie e tribù, non più etniche ma territoriali (cioè dipendevano
dalla zona in cui uno viveva): tutti erano domiciliati in una certa zona ed erano obbligati a
rimanervi, nonché a pagare delle tasse ( conseguente scomparsa del sistema curiato)
2)Organizzazione sociale
Con il sistema gentilizio le tribù erano divise in 10 curie, quindi c’erano 30 curie, ognuna con
un nome diverso secondo il sistema numerico organizzato da Varrone, che per alcuni rimane un
uomo «ossessionato dalle cifre».
Con Servio Tullio, al sistema curiato se ne sostituisce uno CENSITARIO che era basato sul
domicilio e sulla ricchezza, stabilita attraverso un census (censimento dei cittadini romani liberi e
dei loro rispettivi beni) dal quale derivava una classifica sociale ed una conseguente distribuzione
dei diritti politici in base alla ricchezza. Si esprimeva politicamente attraverso i comizi centuriati,
e in una nuova organizzazione dell’esercito.
La classifica sociale stabilisce 5 classi di cittadini in base alla quantità di assi posseduti (tale
classifica non corrisponde, in realtà, alla ricchezza reale dei cittadini romani dell’epoca, ma
equivale semplicemente ad un valore limite entro il quale rientrava il cittadino con i suoi beni).
Questo sistema ricorda molto quello di Clistene di Atene.
3)Organizzazione dell’esercito
L’esercito romano era formato dagli stessi cittadini che avevano (come ricorda Livio) diritti e
doveri non solo civili, ma anche militari: per questo dovevano praticare la militia, cioè il servizio
militare.
Ciascuna delle cinque classi di cittadini fu divisa in centurie (gruppi di 100 uomini), delle
quali una metà doveva essere di juniores, cioè l’effettivo dell’esercito, mentre l’altra metà
comprendeva i seniores, ovvero le riserve. Armamento e vettovagliamento era a carico del
cittadino stesso, e questo significò che i meno abbienti (capite censi, cioè quelli che non
possedevano altro che la propria testa) non potevano combattere, così come gli schiavi, i liberti e i
cittadini privati dei loro diritti civili.
La classe sociale che possedeva più centurie, dunque più combattenti, era la prima, che ne
aveva 98 (18 cavalieri + 80 fanti).
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Piano piano i templi si moltiplicarono: sorsero per esempio quello di Cerere e di Libero e Libera tra il 496 e il 493 a.C.
4)Organizzazione politica
La centuria era non solo unità di combattimento, ma anche unità di voto. Questo faceva sì
che la prima classe detenesse la maggioranza dei voti, per questo i comizi centuriati sono
dominati dai più ricchi, tuttavia vi erano alcuni aspetti che attenuavano tutto ciò:
*l’esistenza del patriziato, cioè di una nobiltà ereditaria che viveva circondata da clienti
protetti da un padrone in cambio della fides;
**la potenza della monarchia etrusca, che impediva che fossero prese delle decisioni come
durante la repubblica perché il re aveva comunque l’ultima parola su tutto, o spesso i comizi erano
convocati solo per acclamare progetti regi, riuniti in armi al suono della tromba (questa
accentuazione militare dipende essenzialmente dall’ultima parte della monarchia, che risultò
infatti abbastanza violenta).
**Componenti italiche
- Corrente indigena-mediterranea dominata dalle divinità telluriche della fecondità, sia
femminili che maschili; Quirino si dice dominasse prima i colles sabini del mons chiamato in
seguito Quirinale; sul Campidoglio, invece, c’era Saturno 4, al quale era anticamente consacrata
tutta l’Italia, anticamente chiamata, appunto, Saturnia.
- Corrente indoeuropea che ha posto (secondo Dumézil) alla testa del mondo divino dell’antica
Roma la triade arcaica Giove-Marte-Quirino (il cui culto era collocato sul Quirinale), dove Giove è
divinità del cielo luminoso, Marte quella combattente e dei guerrieri, e Quirino dio della pace e
della prosperità.
**Componenti etrusche
Agli Etruschi si deve l’istituzione di un culto pubblico, basato su:
1) la fecondità (verso le greggi, la famiglia e soprattutto la terra) stimolata dai riti dei Pallia (in
onore di Pales, divinità pastorale) e dei Lupercalia (in onore di Fauno, divinità pastorale) e i
Saturnalia che inaugura il «ciclo cerealicolo»;
2) la vittoria che si ricercava attraverso le danze dei Salii, le corse dei cavalli e la purificazione
delle armi e delle trombe di guerra , mentre in ottobre era segnata la chiusura della stagione di
guerra attraverso nuovi sacrifici lustrali;
3) la morte, per la quale si celebravano riti in onore dei defunti nel mese di febbraio, che era
anche quello delle purificazioni.
Per quanto riguarda la religione privata, essa si organizza intorno ai Lari, ai Penati e a Genio.
**Componenti greche
A partire dal VII-VI secolo sono penetrate a Roma influenze greche (difficilmente distinguibili
da quelle etrusche) come il culto di Minerva e dei Dioscuri dal Lazio, e di Cerere dalla Sicilia.
Ci fu inoltre una spiritualizzazione dei riti e del pensiero determinata dal pitagorismo,
tanto che la religione romana di quest’epoca risulta assai diversa da quella del VI-V secolo.
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Nella mitologia, era stato detronizzato dal figlio Giove: trasposizione mitologica dell’avvento dei popoli indoeuropei.
delle cariche gerarchiche più importanti è quella del pontifex maximus, che dirige il collegio dei
pontefici e che diverrà poi il più alto responsabile della religione romana.
A fianco dei pontefici operano inoltre due collegi: le Vestali e gli auguri, che osservavano e
interpretavano il cielo; e gli aruspici, introdotti dagli Etruschi, erano specializzati
nell’interpretazione dei fulmini e nell’epatoscopia, ovvero l’esame delle viscere (del fegato) delle
vittime sacrificali.
C’erano inoltre il collegio degli epuloni, incaricati dei banchetti sacri, e il collegio «degli
uomini incaricati per i sacrifici».
V e IV SECOLO A.C.
DUE SECOLI OSCURI
I due secoli che seguono la cacciata dei Tarquini sono oscuri, e questo non dipende solo dalla
penuria di fonti (letterarie e archeologiche), ma anche dall’«orgoglio nobiliare» delle gentes che
hanno voluto riscrivere la storia per darsi dei famosi antenati.
La nascita della Repubblica è avvenuta, nonostante tutto, con l’istituzione del consolato e in
seguito alle prime lotte con i popoli del Lazio: tra il 450 e il 390 Roma rimarrà in cerca di un
equilibrio, che troverà solo dopo l’organizzazione delle sue istituzioni politiche e
nell’organizzazione sociale, con la formazione di una nuova «nobiltà».
FASTI CONSULARES
Intorno al 296 a.C. i pontefici iniziarono a redigere delle registrazioni pubbliche di cronaca
annuale, gli Annales, con la lista dei magistrati eponimi che servirono come date. Per il periodo
precedente i pontefici si inventarono di sana pianta una lista che conteneva «pseudo-antenati» dei
grandi personaggi del tempo. Livio, infatti, racconta la storia della Roma delle origini in maniera
incoerente proprio per questo: la storia degli inizi della Repubblica è stata dunque falsificata dai
personaggi influenti dell’epoca, che volevano vedere il loro nome associato a quello dell’avvento
della libertas repubblicana.
**Guerre
Legate a conflitti di frontiera (il territorio romano si estendeva in quel periodo ancora solo
fino a 5 o 6 miglia dalla città), dovuti al fatto che si erano posti problemi di frontiera con tutte le
città latine vicine, ma anche con gli Etruschi e con i Sabini.
- guerra con i Latini, vittoria romana che comporta la stipula di un trattato di alleanza;
- guerra contro i Volsci, con l’aiuto dei Latini e degli Ernici, incuneati tra Equi e Volsci;
- guerra contro i Sabini, le cui incursioni sul suolo romano si erano moltiplicate.
Roma, difendendosi, comincia a stabilire la sua autorità sul Mediterraneo.
**Difficoltà interne
L’espulsione dei Tarquini era stata in parte dovuta all’opera di famiglie patrizie ostili ai
tiranni etruschi, che invece erano appoggiati dalla plebe. Per questo motivo si era ritenuto che le
prime magistrature, in seguito all’instaurazione del nuovo regnum, fossero state ricoperte solo da
patrizi, mentre invece recenti scoperte hanno portato alla luce notizie sul fatto che la plebe si
impose fin da subito (sin dal 509!) come forza politica, ma solo in seguito a molteplici lotte.
***I patrizi: questi ricchi si erano costituiti nella nobiltà senatoria, costituita dalle famiglie
discendenti dei patres, e si assicuravano a titolo ereditario alcuni monopoli, soprattutto religiosi.
***I plebei: erano un gruppo che non apparteneva all’elite senatoria. Parte di questo gruppo,
chi non era né patrizio né cliente di un patrizio, ma anzi piccolo proprietario, artigiano o
commerciante, si trovò di fronte ad alcune difficoltà, come cattivi raccolti, carestie, debiti,
rallentamento dell’attività economica.
**Contenuti principali
- La società romana si fonda sulla famiglia e la proprietà, e la protezione di questi diritti è
garantita; viene stabilito che dopo un certo periodo la possessio può diventare proprietas;
- Trattandosi di una società primitiva, che vive di agricoltura e allevamento, sono stabiliti i
principali delitti: il furto, il danneggiamento del raccolto, la falsa testimonianza; è organizzata la
tutela dell’ordine ereditario;
- Nella famiglia, il pater familias non ha più potere decisionale su tutta la gens ma solo sulla
famiglia (moglie e figli), ed è ridotto il suo potere; per quanto riguarda i figli, il padre può venderli,
ma solo per tre volte, dopo le quali il figlio è «emancipato», cioè libero;
- La giustizia è resa accessibile per tutti. Nelle dispute, la parte lesa e quella colpevole sono
obbligate a trovare un compromesso. Se l’accordo non è possibile, si può ricorrere alla legge del
taglione. Il ricorso alla pena di morte, invece, è reso più difficile, e la pena deve essere
autorizzata dai comizi centuriati, assemblea sovrana del popolo ( abolizione della giurisdizione
criminale del console, che mantiene invece potere coercitivo, amministrativo e poliziesco);
- Si stabilisce una differenza tra ricchi e poveri, non tra patrizi e plebei;
- È vietato il matrimonio tra patrizi e plebei5 (nelle ultime due tavole).
LE LEGGI VALERIAE-HORATIAE
Nel 449 divennero consoli L. Valerio e M. Orazio che, secondo la tradizione, fecero votare tre
leggi con le quali la costituzione romana divenne patrizio-plebea, poiché tali leggi ufficializzano
le conquiste della plebe:
Quello che ancora non venne regolato era l’accesso della plebe al consolato: nulla lo
impedisce e nulla lo autorizza. Se da una parte il patriziato, fondandosi sulle tradizioni del mos
maiorum («diritto atavico», cioè degli antenati), vuole mantenere il suo monopolio, dall’altra la
plebe si mobilita sempre più per spezzare tale monopolio.
Intanto i patrizi tentano un espediente: alle rivendicazioni della plebe che voleva rivestire il
consolato rispondono con l’istituzione dei tribuni militari, dotati di imperium consolare ma che alla
fine del loro mandato non ricevevano gli stessi privilegi del console (che aveva diritto al titolo
consolare, ad un posto d’onore in Senato, alla toga bordata di porpora e al diritto di esporre le
immagini dei propri antenati).
Secondo alcuni storici l’istituzione del tribunato militare è dovuta soprattutto ad esigenze
militari, in quanto Roma doveva ormai condurre troppe guerre e su molti fronti.
- Contro Veio
La guerra era scoppiata a causa di Fidene, che Veio teneva per controllare la via Salaria e il
commercio del grano tra la Campania e l’Etruria. Roma volle impadronirsi di questo importante
luogo di transito: viene dunque conquistata Fidene e in seguito, dopo un assedio di dieci anni,
anche Veio.
- Le invasioni galliche
Nella prima metà del IV secolo abbiamo la seconda ondata delle invasioni celtiche, che
costituisce un fenomeno storico di grande importanza politica e psicologica. La civiltà dei Galli è
nazionale e conquistatrice, animata da un contadiname attirato dai terreni della penisola, dal sole
delle regioni meridionali e dalla fama delle loro ricchezze. Spinti forse da altri popoli
intraprendono tre spedizioni verso l’Italia:
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Questa legge sarà considerata «inumana» da Cicerone; la disposizione sarà abolita già nel 445 dalla Lex Canuleia.
1)Sconfitta degli Etruschi a Chiusi, presa di Roma; si accampano nel Foro, ma non riescono
a prendere il Campidoglio; si ritirano minacciati dai Veneti e dalle popolazioni alpine;
2)Presa di Felsina (alla quale danno il nome di Bononia), raggiungono il Lazio ma si ritirano
di fronte ai Romani;
3)Roma viene nuovamente minacciata, ma è salvata dal dittatore Lucio Furio;
successivamente graverà una nuova minaccia, ma stavolta Roma è padrona di tutto il Lazio e della
Campania, e impone ai Galli una pace di 30anni.
Queste battaglie vittoriose per i Romani ebbero come effetti negativi la distruzione di
monumenti e archivi (ricordiamo l’incendio gallico del 390), ma come effetti positivi riuscirono a
rafforzare il morale dei Romani e a radicare nella loro memoria il ricordo del tumultus gallicus, orde
di barbari che combattevano contro tutte le regole stabilite.
- In Campania
Roma fu spinta ad intervenire in Campania dopo aver intimidito la città di Tuscolo, alla
quale aveva imposto un foedus aequum (un trattato di alleanza paritario).
- Guerre sannitiche
Padrona del Lazio, Roma si trovò di fronte ai Sanniti, contro i quali nel 341 (e non nel 343,
come riporta la tradizione) iniziò la prima delle tre guerre, che non furono segnate solo da vittorie,
ma anche da gravi sconfitte per i Romani (nella seconda, per esempio, due legioni romane sconfitte
furono obbligate a passare sotto il giogo nemico Disastro delle Forche Caudine, 321 a.C.).
Per quanto riguarda l’ultimo punto: i Cartaginesi erano da tempo in contatto con gli
Etruschi per via del commercio (vedi tavolette di Pirgi, con iscrizioni bilingui puniche ed
etrusche), in particolare erano legati alla città di Cere (di cui Pirgi era il porto). Roma si alleò con
Cere e concluse un trattato con Cartagine (il primo secondo Diodoro Siculo, Livio conferma;
Polibio, invece, data il primo trattato nel 509 a.C.), secondo il quale venivano delimitate le zone
commerciali: Roma poteva commerciare nella Sicilia cartaginese, e non poteva invece in Sardegna
e in Africa (tranne che a Cartagine).
IL COMPROMESSO LICINIO-SESTIO
La situazione politica era alquanto ingarbugliata, e fu aggravata dall’azione di due tribuni
della plebe, Caio Licinio e Lucio Sestio, rieletti per dieci anni consecutivi, che seminavano
l’anarchia boicottando le elezioni e paralizzando l’azione dei consoli con il loro potere di veto. Il
Senato fu allora costretto in più occasioni a fare appello ad un dittatore per migliorare la
situazione. In seguito, accettò le famose leges Liciniae Sestiae del 367 a.C., che risolsero:
- il problema dei debiti con una legislazione contro l’usura e una riduzione dei debiti in corso;
- la questione agraria limitando l’estensione del possesso dei terreni dell’ager publicus (suolo
conquistato e diventato proprietà del popolo romano);
- il problema dell’accesso al consolato, punto fondamentale della riforma: fu ristabilito il
consolato, ma uno dei due consoli poteva essere plebeo.
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Fu il fondatore della gens Claudia e il primo a dare alla sua famiglia quel prestigio che ancora la contraddistingueva in
età imperiale.
Dittatura – NON ELETTIVA E NON ANNUALE
Magistratura eccezionale per la sua limitazione temporale. Il dittatore viene eletto dai
consoli su decisione del Senato in un periodo di crisi dello Stato, ed ha funzione civile
(per i compiti militari è assistito da un comandante della cavalleria scelto da lui).
Possiede, per breve tempo, l’imperium dei due consoli, ma il suo potere non annulla
quello delle altre magistrature, che egli però assoggetta alla sua autorità.
Censura
I censori sono 2, rappresentano la più alta autorità morale dello stato e vengono eletti
ogni 5 anni per rimanere in carica 18 mesi. Sono necessariamente ex consoli, ma non
hanno imperium. Si occupano del census dei cittadini e dei loro beni; redigono l’album
senatorium con relativo diritto di escludere per infamia; gestiscono inoltre il patrimonio
pubblico, e in particolare la locazione dell’ager publicus, l’appalto delle rendite
pubbliche, la costruzione e la manutenzione degli edifici, etc.
Pretura
Il pretore è unico, incaricato della giurisdizione civile (pretore urbano); è affiancato
però da un collega, il pretore peregrino, che si occupa delle liti giudiziarie tra cittadini
romani e peregrini, oppure tra peregrini residenti a Roma.
Edilità
All’inizio gli edili erano plebei, poi sono stati solo patrizi, e poi sono tornati ad essere
anche plebei. Non hanno imperium. Si occupano dell’approvvigionamento della città,
dell’attività di polizia nei mercati, del mantenimento dell’ordine pubblico nella città,
dell’organizzazione dei giochi pubblici.
Tribunato
È una magistratura tutta plebea, molto particolare. Il tribuno deve essere di origine
necessariamente plebea, e dispone di una potestà inviolabile e superiore, ha ius
intercessionis che gli permette di intercedere qualsiasi decisione degli altri magistrati, ius
auxilii che gli permette di aiutare qualsiasi cittadino che si ponga sotto la sua
protezione.
LE ASSEMBLEE POPOLARI
Sono assemblee che raggruppano tutto il populus, ovvero il corpo civico.
- Assemblea curiata
È un vestigio dell’epoca regia, e si riunisce ormai solo per atti formali. Le curie furono presto
sostituite da 30 littori (accompagnatori con una fascia).
- Assemblea centuriata
È la più importante. Rappresenta il popolo diviso in cinque classi di 193 centurie, ciascuna
delle quali costituisce una unità di voto. La prima classe, composta dai cittadini più ricchi, con le
sue 98 centurie, detiene la maggioranza assoluta. Questo privilegio è reso ancora più forte dal fatto
che durante le votazioni, inizialmente erano le centurie dei cavalieri a votare per prime, ma poi, in
una fase successiva, la centuria che sarebbe stata chiamata a votare per prima era estratta tra le
centurie della prima classe. Il voto della prima centuria determinava poi quello delle centurie
successive.
I comizi centuriati eleggevano: magistrati curuli, capi militari, censori; votavano le leggi
importanti come quelle costituzionali, dichiaravano la guerra, etc.
- Assemblea tributa
Riformata da Appio Claudio Cieco nel 312, rappresenta il popolo diviso in tribù non più
territoriali ma personali, e che ormai raccolgono anche gli humiles, ovvero i più poveri (operai e
proletari).
I comizi tributi eleggono i magistrati inferiori e votano i plebisciti, cioè le decisioni prese dai
concilia plebis.
- Concilia plebis
Sono le assemblee della sola plebe che si riuniscono convocate da un tribuno.
IL SENATO
Rappresenta l’assemblea maggiore, e secondo quanto affermò Cicerone nella pro Sestio, «i
nostri antenati fecero del Senato il custode della repubblica».
Era composto da 300 membri, sottoposto al controllo dei censori, che redigevano ogni cinque
anni un nuovo album senatorium, che conteneva la lista dei suoi componenti. I membri di questa
assemblea, chiamati seniores o patres, erano tutti ex magistrati reclutati tra i rappresentanti della
nobilitas (quest’ultima annovera sempre più personaggi aperti verso il mondo esterno italico e
extra-italico).
Il Senato dava il suo parere su ogni questione che gli era sottoposta. Controllava l’attività dei
magistrati, si occupava anche del controllo finanziario, degli affari internazionali,
dell’amministrazione in generale e della giustizia. Regolava, insomma, la politica di Roma.
Il primo a parlare durante l’assemblea era il princeps senatus, patrizio e di rango censorio.
Espresso il suo parere, la sua sententia, tutti procedevano al voto. La decisione era il
senatoconsultum, ed esprimeva l’autorità suprema (l’auctoritas), che vincolava i magistrati.
III SECOLO A.C.
LA ROMA DEL III SECOLO
La città moltiplica i contatti con il mondo greco dell’Italia meridionale determinando una
ellenizzazione sia nell’ambito artistico che religioso, e un coinvolgimento sempre più attivo nella
politica del mediterraneo.
**Economia
Prevale un’economia rurale (di tipo agricolo-pastorale) di sussistenza come in tutte le
società antiche. Molto importante è la nascita di uno stato romano-campano, se si considera la
ricchezza agricola e arbustiva della Campania. Nel Lazio, invece, si pratica soprattutto
l’allevamento di transumanza (in inverno il pascolo viene portato in pianura; in estate invece in
montagna). Sembra prevalere la media e piccola proprietà contadina.
Il grande avvenimento del III secolo, però, in campo economico è la comparsa della
monetazione romana7, la cui nascita attesta lo sviluppo economico di Roma e il nuovo
orientamento della sua economia. All’inizio della guerra contro Pirro si comincia a produrre
moneta, nello specifico la moneta di bronzo (quella in argento si conierà solo nel 269), che si
misurava in assi (asse = unità monetaria). In rapporto con questa creazione dobbiamo porre
l’istituzione dei triumviri monetales, cioè un collegio incaricato della coniazione (aveva sede sul
Campidoglio).
**Società
È in particolare l’alta società romana che sin dal IV secolo aveva iniziato a conoscere delle
significative trasformazioni, sia con la formazione di una nuova «nobiltà», sia con il progressivo
ingresso nella classe dirigente di nuovi personaggi, che mostrano una italicizzazione della nobilitas.
La classe dirigente, dunque, è ora più dinamica, e questo grazie soprattutto all’apporto dei
Campani, che giocheranno un ruolo fondamentale nella politica romana del Mediterraneo e
dell’Italia del sud, tanto che si è affermato che «le prime guerre puniche sono state un loro
affare».
**Esercito
Ha sempre un ruolo determinante nella politica espansionistica della Roma repubblicana: è
rimasto ancora censitario, nazionale e non permanente. A differenza degli eserciti greci, i Romani
non impiegavano truppe di mercenari. Solo alla fine del III secolo avrà l’opportunità di sfruttare
truppe di «alleati», forniti dalle città italiche sottomesse o vicine.
La militia, cioè il servizio militare, continua ad essere un diritto-dovere del cittadino romano,
che durante il periodo delle campagne militari (quindi quello della bella stagione, da marzo a
ottobre) mette insieme le sue forze e la sua armatura per combattere per la salute dello stato.
Solitamente l’esercito era formato da quattro legioni composte da 3000 fanti e 300 cavalieri.
Le truppe erano divise in due armate consolari.
Agli inizi del III secolo Roma ancora non possedeva una flotta.
Polibio riconobbe all’esercito romano due primati: la virtus dei soldati, e soprattutto il loro
addestramento intensivo.
**Italia centrale
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La prima moneta, infatti, fu coniata in Asia minore nel VII secolo a.C.
- La Sabina (sempre indipendente, ma zona di transito per soldati e mercanti romani) fu
devastata fino all’Adriatico dal console Curio Dentato nel 290. La regione fu annessa, le città
sabine ricevettero dei precetti che le amministravano; i territori confiscati furono colonizzati.
- I Galli Senoni avevano attaccato Arretium e furono bloccati; questo comportò l’annessione
di gran parte dell’ager gallicus.
- In Etruria, dove le città erano preda di scontri intestini tra aristocratici (sostenuti dai
romani) e democratici; i loro territori sono a poco a poco perduti e le città etrusche vengono ridotte
a città federate (foederatae, cioè legate a Roma da un trattato).
Il territorio romano, dunque, si estende.
**Italia meridionale
Nella prima metà del III secolo l’ellenizzazione romana della religione procede in altre tre
direzioni:
- introduzione di una nuova divinità su indicazioni dei Libri Sibillini: si tratta del dio
Asclepio/Esculapio, che sostituisce l’Apollo medicus latino;
- introduzione di un rito funerario di origine etrusca (e che si era radicato anche in Magna
Grecia): si tratta del munus, combattimento sanguinoso (sarebbe infatti l’antesignano del munus
gladiatorium) che si doveva svolgere sopra la sepoltura del defunto, e con il sangue versato dello
sconfitto il corpo del defunto si rinvigoriva. Il primo fu organizzato a Roma nel Foro Boario, e vi
presero parte tre coppie di combattenti;
- influenza del pitagorismo e dell’orfismo. Quest’ultima è una corrente di pensiero che si
esprimeva in raccolte (su tavolette di legno dette «orfiche») di versi sacri, oracoli o preghiere
attribuiti a Orfeo, una sorta di «passaporto per l’aldilà» che aiutava i defunti a compiere il viaggio
nell’Ade, proprio come aveva fatto Orfeo per cercare di salvare la sua amata.
**La guerra
Dall’episodio di Messina comincia una lunga guerra di 23 anni, segnata da scontri incerti sul
mare in Sicilia (attorno a Messina, Agrigento e Mylae, cioè Milazzo, dove Roma vinse nel 260 per la
prima volta grazie all’invenzione dei rostri) e poi in Africa, con il fallimento della spedizione
condotta da Attilio Regolo contro il parere di tutti i senatori. Altro scontro marittimo avvenne
nelle acque del tirreno dove, dopo una sconfitta, i Romani ricostruirono velocemente la loro flotta
navale e ottennero la vittoria delle isole Egadi imponendo la pace nel 241 a.C.
8
Provincia romana fino al 42 a.C. Zona della pianura padana dal fiume Oglio alle Alpi piemontesi: praticamente
comprendeva l’odierna regione delle Marche, l’Emilia-Romagna, gran parte del Piemonte, della Lombardia e del
Trentino.
9
Si trova in Spagna, sulla costa tirrenica (Spagna Citeriore), proprio di fronte alle isole Baleari, nonché a nord di
Cartagena.
- Claudio Marcello, dopo tre anni di assedio, espugnò Siracusa. Vi fu un enorme saccheggio
e alcune morti, tra cui quella di Archimede, che era impegnato – durante la guerra – a risolvere un
problema di geometria;
- Marco Valerio Levino, invece, prese Agrigento e poi restituì la pace alla Sicilia.
II SECOLO A.C.
LA SECONDA GUERRA DI MACEDONIA13 (200-196 a.C.)
13
Il regno di Macedonia si estendeva in Grecia, sopra la regione della Tessaglia.
Durante la seconda guerra punica Roma aveva stretto buoni rapporti con la città di Pergamo
(per citare, una ambasciata romana era andata a cercare la famosa pietra nera di Pessinunte) e con
la città di Rodi, importante piazza commerciale.
Ma la capitale, che non aveva dimenticato la guerra contro Pirro, decise di attaccare Filippo V
per cacciarlo dalla Grecia (la motivazione romana era dunque quella di garantire l’integrità della
penisola italica), ma per ottenere tale obiettivo si comportò in maniera alquanto aggressiva; Roma
vinse nella battaglia di Cinocefale14 nel 197, dalla quale non trasse alcun vantaggio territoriale.
I Greci, alla fine della battaglia, ottengono una serie di esenzioni (ma non la libertà, eleutheria,
completa): lo statuto della Grecia fu quello di uno stato cliente, cioè un protettorato con dei
vantaggi per Roma, e agirà come baluardo e barriera (stato cuscinetto, postazione avanzata, centro
di spionaggio).
IMPERIALISMO COSCIENTE
Dal 148 al 133 a.C. abbiamo tutta una serie di avvenimenti che ci mostrano come
l’imperialismo non sia più un concetto estraneo al popolo romano, ma anzi gli interventi nelle
varie parti dell’Europa e dell’Oriente furono moltiplicati, e portarono numerosi risultati.
14
Si trova in Grecia, nella regione della Tessaglia.
15
Corrisponde alla fascia costiera orientale Adriatica (Croazia, Bosnia, Monte Negro, Albania, etc…).
16
Altra regione storica della Grecia, a sud-est.
17
Arcipelago di isole disposte a cerchio (ecco perché Cicladi) intorno a Delo; si trovano a sud-est della Grecia, e sono 20.
Uno stratego acheo, approfittando del fatto che Roma era impegnata altrove (in Spagna e in
Africa), essendo a capo del partito antiromano, diede via al conflitto promettendo alla plebe
l’abolizione dei debiti, e fece votare la guerra contro Sparta, cioè contro Roma.
Da parte della capitale furono inviate in Grecia due legioni agli ordini di Lucio Mummio, e
le operazioni militari furono rapide. L’ultimo atto si recitò a Corinto, quando nel settembre del
146 Mummio si impadronì della città e ubbidendo all’ordine formale del Senato di «distruggere
Corinto» la abbandonò al suo esercito: gli abitanti furono massacrati o venduti come schiavi; la
città saccheggiata e incendiata; il suolo fu votato agli dei inferi; capolavori artistici furono portati
via o distrutti e dispersi. Polibio accorse sul campo e vide i soldati calpestare quadri o giocarvi a
dadi sopra.
Come hanno rivelato gli scavi archeologici – e come sarà anche per Cartagine – la distruzione
della città non fu totale, tuttavia il sacco di Corinto segna la fine della Grecia indipendente: anche
questa zona, infatti, diventa provincia romana con il nome di Acaia.
18
Anno del tribunato di Tiberio Gracco.
-GUERRA GIUGURTINA
Per vendicare i negotiatores italici, messi a morte dal re Giugurta, re della Numidia, Roma
intraprese una guerra condotta prima da Cecilio Metello assistito da Gaio Mario, poi da Gaio
Mario assistito da Silla, che ebbe la meglio nel 105 a.C. quando, grazie al tradimento del re Bocco
di Mauretania che pur essendo suocero di Giugurta lo consegnò ai Romani, Roma vinse la guerra.
Tuttavia la Numidia non fu annessa, ma vi si stabilirono numerosi uomini d’affari. La
Mauretania, invece, divenne regno protetto; all’altra estremità dell’Africa, invece, si stabilì una
guarnigione. Tutto ciò permetteva a Roma il controllo del commercio africano.
19
Zona nordorientale dell’Asia minore, nell’attuale Turchia.
un esodo rurale e una proletarizzazione della popolazione urbana) o a cambiare le pratiche
colturali, diversificando le produzioni e piantando viti e olivi anziché grano, ma con pesanti costi;
- evoluzione dell’economia di scambio, che mostra una Roma ormai, nel II secolo, aperta
all’esterno anche attraverso l’attività degli uomini d’affari, che si trovano ormai in tutto il
Mediterraneo e si raggruppano in società per azioni nelle mani di pubblicani, che spremono i
provinciali Romani e Italici si lanciano ora in grandi imprese commerciali ( nel 218 fu emanata
una lex Claudia che doveva impedire ai Senatori di intraprendere attività commerciali a scopo di
lucro, ma questa impossibilità fu aggirata facendo ricorso a prestanomi).
3)Ascesa dell’ordine equestre, costituitosi nel III secolo. Tra la nobilitas senatoria tradizionale
e i proletari si inserisce una categoria di cittadini privilegiati (e non una classe media, che a Roma
non esisteva) dal fatto che lo Stato gli conferiva il cavallo pubblico. Questi erano spesso o figli di
senatori o ricchi proprietari fondiari o pubblicani.
L’ordo equestre si poneva tra la nobiltà e la plebe, ed aveva come base economica quella delle
proprietà fondiarie. Nel II secolo, questi cavalieri, che nell’assemblea centuriata hanno un ruolo
fondamentale per l’elezione dei magistrati, aspirano a svolgere un ruolo più importante nella vita
sociale e giudiziaria, dove i tribunali sono controllati solo dai senatori (questo era in contrasto con i
loro interessi, perché nel 149 una legge Calpurnia aveva istituito le quaestiones perpetuae, dei
tribunali permanenti che avevano il compito di giudicare i promagistrati con i quali i cavalieri
avevano a che fare con gi affari commerciali e finanziari nelle province).
4)Aumenta il rischio dei conflitti politici, perché se da una parte la classe senatoria detiene
il monopolio delle funzioni maggiori (il Senato e le magistrature) nonché ricchezze fondiarie (ma
ha smesso di essere un gruppo omogeneo, dall’altra vi è (insieme a patrizi e plebei) anche un
gruppo di nobiles comprendenti i magistrati superiori e i loro discendenti. Sono dunque le
stesse gentes che si accaparrano le magistrature superiori; tuttavia, di fronte ai senatori e alle
ambizioni dei cavalieri questo gruppo dirigente appare bloccato e nel momento in cui si formano
nuove ricchezze, queste non sono del tutto nelle sue mani.
5)Formazione di una infima plebs, a causa della disparità crescente di rendite. Si trattava di
un proletariato libero costituito da esclusi dal mondo rurale, piccoli bottegai (tabernarii), disoccupati
cronici o vittime della concorrenza della manodopera servile. Sono una classe pericolosa, pronta a
costituire un esercito delle sommosse.
6)Ascesa dei liberti che diventano un gruppo sociale sempre più attivo nella vita economica
(in seguito lo saranno anche in quella politica). Erano schiavi (spesso ben dotati e astuti) divenuti
liberi, ma con diritti politici ridotti. Restano al servizio del loro padrone diventano clienti.
conseguente avvento delle clientele, gruppi molto importanti di sostenitori dei capi
politici: quando, per esempio, Gaio Gracco scese nel Foro, era accompagnato da 3000 amici, ossia
clienti.
20
A partire dal II secolo queste aristocrazie municipali costituiranno i domi nobiles, così come li definisce Sallustio.
LA CRISI GRACCANA (133 e 125-121 a.C.)
L’opposizione si scatenò anche tra i suoi stessi amici. Nel 122 egli non fu allora rieletto per
l’anno successivo, come avrebbe voluto. Il Senato, allora, fece ricorso ad un senatusconsultum
ultimum che imponeva ai magistrati di tentare il possibile per la salvezza dello Stato: Gaio Gracco
fu allora massacrato con 3000 dei suoi seguaci.
I SECOLO A.C.
LE GUERRE SERVILI
L’importazione massiccia degli schiavi e le dure condizioni in cui essi lavoravano o venivano
trattati (nel sud Italia i loro padroni erano particolarmente feroci), portarono a numerose guerre
servili di relativa gravità:
-in Campania, nel 103, scoppiò una nuova rivolta di schiavi nata inizialmente come capriccio
di un cavaliere romano che si era innamorato di una schiava. I disordini raggiunsero anche la
Sicilia, dove presero parte anche i Romani che, dopo una serie di sconfitte, nel 101 il console in
carica riuscì ad avere la meglio.
-in Italia scoppia l’ultima e la più famosa rivolta di schiavi: siamo nel 73, e l’insurrezione è
dominata dalla personalità di Spartaco, uno schiavo più greco che barbaro. La rivolta ebbe inizio
con l’occupazione del cratere del Vesuvio e con una vittoria sul pretore incaricato di far
sloggiare gli insorti. I rivoltosi costituirono due gruppi, uno guidato da Spartaco. Tutta l’Italia del
sud fu saccheggiata, ma a differenza delle insurrezioni siciliane non si cercò di dar vita ad uno
Stato servile, quanto invece di riportare gli schiavi nelle loro terre di origine.
Due consoli furono inviati contro gli insorti. Spartaco iniziò allora una marcia verso nord
(forse per valicare le Alpi e ricondurre in patria gli schiavi della Gallia); sconfisse a Modena il
governatore della Gallia Cisalpina e, mutata tattica, ritornò verso la Lucania, forse per prendere
la via del mare. Roma, spaventata, diede a Licinio Crasso un comando straordinario (e sei
legioni). Pur bloccato, riuscì a sfuggire. Fu poi con l’aiuto di Pompeo che Crasso poté farcela a
sopraffare i rivoltosi. Spartaco fu ucciso, e 6000 schiavi crocifissi lungo la Via Appia (tra Capua e
Roma).
**Misticismo dionisiaco
In seguito al periodo delle conquiste si ebbe una profonda ellenizzazione anche in campo
filosofico, religioso e morale. Nel corso del III secolo le divinità e i culti greci erano già penetrati a
Roma, e la seconda guerra punica aveva dato origine ad una sorta di reazione nazionale che si
manifestò nel famoso scandalo dei Baccanali: a seguito di denunce nate da un episodio che chiamava
in causa i misteri bacchici, il Senato fece indagare, arrestare e condannare a morte più di 7.000
persone soprattutto in Italia meridionale, ma anche a Roma e in Etruria.
Alla stessa corrente mistica si ricollega lo sviluppo dell’orfismo e del pitagorismo, dottrina di
purezza associata a pratiche ascetiche.
**Stoicismo ed epicureismo
Lo stoicismo fu animato da Panezio di Rodi, che contro il degrado dei costumi predicò la
pratica della virtù o piuttosto delle quattro virtù cardinali: la conoscenza, la giustizia, il controllo di
sé e il coraggio. È il tipo di filosofia che meglio si adatta allo spirito del civis romano.
L’epicureismo, invece, conoscerà il suo vero successo nel II e nel I secolo a.C. con Lucrezio.
**Rivoluzione morale
Una evoluzione importante dei costumi si ebbe a partire dal II secolo, per questo autori come
Polibio, Sallustio, Seneca, Diodoro Siculo, per non parlare di Catone, fecero a gara a denunciare il
crescere del desiderio del piacere che corrompeva l’animo del civis e contemporaneamente la
salute dello Stato romano.
Già Catone, durante la sua censura, aveva emesso il divieto del lusso delle donne, e una
legge in seguito molto derisa aveva impedito di ingrassare le pernici. Ma sarà senz’altro Sallustio
che identificherà, nelle sue opere monografiche, le ragioni morali del declino della Repubblica nel
De coniuratione Catilinae. Ha saputo descrivere la fine della Repubblica romana essendo uno dei
suoi osservatori.
Dopo il disastro di Orange nel 105 una colazione composta da plebe e cavalieri determinò la
sua rielezione come console bis nel momento in cui Mario era impegnato in Africa contro Giugurta.
Quando rientrò a Roma scelse come giorno della sua entrata in carica come console lo stesso del
suo trionfo, cosicché senza deporre le insegne trionfali si recò in Senato indossando ancora il
mantello di porpora degli imperatores vittoriosi.
Si fece eleggere console ogni anno fino al 100 a.C. Mai le istituzioni repubblicane erano
state tanto irrise. Tuttavia Mario non era un uomo di Stato: egli non utilizzò il suo esercito per le
sue ambizioni, piuttosto si lasciò usare dai capi politici del tempo che seppero coinvolgerlo nei
conflitti e nella guerra civile.
**Proscrizione dell’82
Non avendo ottenuto dai senatori l’autorizzazione legale per procedere ad una «epurazione»
del Senato, Silla si prese la responsabilità su di sé: fece allora affiggere la proscrizione di 80 senatori
(tutti magistrati o ex magistrati mariani) e 440 cavalieri, inventando così un nuovo sistema di
epurazione, una «purga controllata» destinata ad evitare massacri più ingenti.
Dopo aver celebrato un fastoso trionfo si circondò di 24 littori (il doppio di quanti ne avevano
i consoli), mentre la propaganda lo presentava come il capo benedetto dagli dei, particolarmente
caro a Venere, che gli permetteva di essere un eterno vincitore. I Greci lo chiamavano Epaphroditos,
cioè «protetto da Afrodite-Venere», cosa che i Latini traducevano con Felix, ossia «fortunato». Era
la prima volta che un imperator utilizzava le divinità per la propria ambizione personale.
Stanco, malato, riteneva di aver compiuto quanto avrebbe dovuto per lo Stato, e prese allora
la decisione di ritirarsi a vita privata per alcuni nell’80, nel 79 per altri. Abbandonò la sua carica di
dittatore e si occupò della stesura delle sue memorie. Morì nel 78 a.C.
Per alcuni storici la sua decisione potrebbe essere stata presa in seguito ad un rafforzamento
delle forze popolari. Per i «democratici», cioè i populares, Silla fu il tiranno per eccellenza, rispetto
invece a Cesare, che volle essere opposto alla crudeltà del primo. Tuttavia lo storico non può
tralasciare le trasformazioni che Silla seppe portare allo Stato, non solo dal punto di vista politico,
ma anche per quanto riguarda il rinnovamento urbano, per esempio, sia a Roma che in molte città
italiche.
Dopo di lui si impose Pompeo.
-Contro Lepido
Definito «una vera canaglia», Lepido non aveva potuto accedere ad un secondo consolato, e
decise allora di sollevare l’Etruria e la Cisalpina. Pompeo riuscì a neutralizzarlo.
-Contro Sertorio
Sertorio era un eccellente ufficiale originario della Sabina, era un popolare, e aveva saputo
conquistare il cuore e l’animo degli Spagnoli durante il suo governo. Sognò di restaurare a Roma
uno stato democratico partendo dalla Spagna. Tenne testa a Metello e a Pompeo inviati in Spagna
contro di lui. Roma si trovò minacciata, e decise allora di conferire a Pompeo un imperium infinitum
maius. Egli riuscì ad annientare Sertorio, che venne assassinato da uno dei suoi luogotenenti.
-Contro Spartaco
Pompeo si affrettò a dar man forte a Crasso, che disperava di vincere. La vittoria fu ottenuta,
e Pompeo rientrò a Roma pieno di gloria e divorato dall’ambizione. Un’ambizione che inizia a
spaventare il Senato, contro il quale si formerà un’alleanza tra Pompeo e Crasso, che troverà in
seguito il suo campo di azione in Oriente.
**Imprese in Oriente
In quel momento Roma si trovava di fronte a molteplici pericoli: dalle scorribande dei pirati
nel mediterraneo alle incursioni dei barbari, fino ai nuovi intrighi di Mitridate in Asia.
Pompeo assunse allora l’incarico della guerra contro i pirati, facendosi concedere (con
l’appoggio del giovane senatore Gaio Giulio Cesare) poteri eccezionali: per tre anni ricevette il
comando supremo su tutti i mari e le coste, dal Bosforo fino alle colonne d’Ercole (lo stretto di
Gibilterra). Mai un imperator aveva racchiuso in sé così tanti poteri, e questo era un ulteriore segno
del degrado delle istituzioni repubblicane.
Nel corso di una campagna-lampo di 3 mesi Pompeo distrusse la pirateria in tutto il
Mediterraneo. Sulla scia di questo successo si lanciò in una campagna contro Mitridate, forte
della lex Manilia, propagandata da Cicerone nella De imperio Cn. Pompei, dove l’oratore cercava di
convincere il popolo ad accettare il decreto che avrebbe permesso a Pompeo di avere grandi poteri
e ricchezze da sfruttare nella sua guerra. L’imperium che gli veniva concesso era di nuovo
illimitato. Questo «costruttore di impero» organizzava l’Oriente in province circondate da regni
protetti e da una corona di stati devoti a Roma.
A Roma vi tornò solo dopo aver sconfitto quattordici nazioni.
IL PRIMO TRIUMVIRATO
Mentre Pompeo combatteva in Oriente, Roma attraversava le rivalità tra i populares e gli
optimates oltre che le rivalità tra Cesare e Crasso, nonché la congiura di Catilina ai danni del
console Cicerone, nel 63 a.C. Quest’ultimo dovette condannare a morte i congiurati e esiliare
Catilina, e per questi motivi sarà poi esiliato a sua volta.
Nel 60 a.C. Cesare ritornò dalla Spagna e cercò di ottenere il consolato per l’anno
successivo. Nello stesso momento, probabilmente in quell’estate, concluse un patto segreto con
Pompeo e Crasso che, mentre lui, sebbene di origine patrizia, disponeva dell’appoggio dei
populares, avevano rispettivamente il prestigio militare e il denaro. Questo accordo ha preso il
nome di primo triumvirato, e fu ufficializzato solamente nel 56 a Lucca.
Previde ed ebbe come conseguenze:
- una nuova legge agraria che permise la spartizione dell’ager publicus tra i veterani di guerra;
- il consolato di Crasso e Pompeo nel 55, grazie al sostegno dei soldati di Cesare.
Di fatto a Roma regnava l’anarchia, e le cose si complicarono maggiormente quando Crasso
morì nel disastro della battaglia di Carre (53 a.C.) durante la quale le legioni romane erano state
annientate dal popolo dei Parti, impadronitisi delle loro insegne.
Infatti la rottura avvenne nel 50, ma fu solo quando Cesare passò il Rubicone 21, nel 49 a.C.,
che ebbe inizio la guerra civile.
21
Il fiume che oggi si trova nella Romagna, segnava storicamente il confine tra l’Italia e la Gallia Cisalpina: attraversarlo
con le proprie truppe significava dunque marciare armati sul suolo sacro.
Mentre Cesare si impadroniva di Roma, Pompeo e i suoi abbandonarono l’Italia con
l’intenzione di raggiungere l’Asia. Vinto in Grecia a Farsalo, nel 48, Pompeo raggiunse l’Egitto
dove fu assassinato.
DITTATURA DI CESARE
Gaio Giulio Cesare apparteneva ad una famiglia patrizia che era stata alleata con Mario.
Sposò inoltre Cornelia, la figlia di Cinna. In questo modo egli strinse da subito forti legami con i
populares, e ad assai presto si manifestò anche la sua ambizione. Un’ambizione priva di scrupoli
che lo fece nominare a soli 17 anni flamine di Giove e a 38 – età abbastanza giovane – eleggere
pontefice massimo. È poi da ricordare la sua orazione funebre (pronunciata quando era questore)
per la morte della vedova di Mario, sua zia Giulia, durante la quale egli affermò che la gens
Iulia discendeva direttamente da Venere.
Non sappiamo se veramente Cesare avesse o no un piano politico per tutto ciò che fece, ma
di sicuro possiamo affermare che si seppe ben adattare agli avvenimenti che lo coinvolsero. Fino al
49 il suo principale obiettivo fu quello di conservare la pace civile (per questo si accordò con
Crasso e Pompeo), ma durante gli stessi anni conquistò la Gallia e con questa anche gloria e
indipendenza economica. Inoltre, la sua conquista delle Gallie ebbe il merito di aver riequilibrato
l’impero territoriale verso occidente.
Passato il Rubiconde, mentre Pompeo scappa dall’Italia, egli rafforza qui le sue posizioni,
promettendo alla plebe una distribuzione di denaro e procedendo ad una di grano. Farà inoltre
votare una lex che concedeva la cittadinanza romana a tutti i cittadini liberi della Gallia
Cisalpina, creando così l’Italia romana dalle Alpi fino allo stretto di Messina.
Dopo la morte di Pompeo, invece, renderà l’Egitto un protettorato di Roma, e aggiungerà
all’impero la provincia dell’Africa nova, cioè il regno di Numidia annesso dopo la battaglia di
Tapso (che consisté in una campagna contro i Pompeiani in Africa, nel 46 a.C., dove sconfisse
Catone iunior, cioè l’Uticense, il pronipote di Cato maior, un forte anticesariano che si suicidò ad
Utica, la capitale della provincia, per salvaguardare la libertas repubblicana).
Dal 46 al 44 a.C. era signore di Roma, e fu aureolato del prestigio delle sue vittorie,
accumulando onori, e nel frattempo completa i suoi poteri: nel 46, infatti, gli viene attribuita la
dittatura per dieci anni, ma nel 44, invece, un senatoconsulto lo proclama dittatore a vita.
Le monete lo raffiguravano con una effigie (privilegio regale), il giuramento di fedeltà era
fatto in suo nome (privilegio riservato solo a Giove), la sua statua era esposta in Campidoglio
insieme con quella dei sette re, e lui, nominato anche parens patriae, si presenta come un nuovo
Romolo.
**Morte di Cesare
Nel 44 Cesare aveva 57 anni, e sembrava invulnerabile sia per la propria reputazione, sia
perché è in possesso pieno delle sue capacità militari, politiche e intellettuali. I suoi partigiani gli
erano tutti fedeli e aveva previsto una campagna contro il popolo dei Parti, e già 16 legioni erano
stanziate in Epiro e in Macedonia. Sembra avere un’inviolabilità morale.
Ma nel 45 già era nata l’idea di liberarsi di lui, anche perché si temeva la campagna partica,
e anche alcuni dei cesariani erano passati dalla parte dei congiurati che si raggrupparono intorno
all’idea di libertas per giustificare il loro gesto, che si compì il 15 marzo del 44, giorno delle Idi,
in Campo Marzio, nella curia del Teatro di Pompeo, in cui si sarebbe svolta l’ultima assemblea del
Senato in cui sarebbero state prese le ultime misure per iniziare la campagna partica. Un gruppo di
congiurati, guidati da Cassio e Bruto (suo figlio adottivo) lo uccise con 25 coltellate.
Nonostante la sua morte avrebbe aperto un nuovo, lungo periodo di guerre civili (che
sarebbero durate per 13 anni), Cesare aveva posto già le basi per il futuro principato di Augusto, e
Svetonio non si sbagliò inserendolo nelle sue Vite dei dodici Cesari come il fondatore del regime.
22
Nell’Epiro (zona a sua volta confinante a nord con la Macedonia, e che si trova nell’Illiria, odierni Balcani).
23
Sud-ovest della Francia, al confine con i Pirenei.
24
Corrisponde alle zone della Gallia oltre le Alpi (detta anche Transalpina o semplicemente Gallia).
Lepido Africa;
Antonio Gallia;
Ottavio Spagna, Sicilia e Sardegna.
Furono poi divisi anche i compiti:
Antonio aveva il compito di raccogliere uomini a sufficienza per una nuova guerra contro
i Parti: di fatto gli venne assegnato di occuparsi dell’Oriente;
Ottavio si sarebbe occupato invece dei problemi che Sesto Pompeo, figlio di Pompeo
Magno, stava creando occupando la Sicilia, e poi avrebbe proceduto con le distribuzioni di terre
per i veterani della battaglia di Filippi: di fatto Ottavio doveva badare all’Occidente, avendo il
vantaggio di rimanere a Roma;
Lepido da questo momento si ritira in Africa e non intervenendo che assai poco
successivamente, perde tutti i suoi poteri di triumviro: di fatto la scena politica rimase da questo
momento nelle mani di Ottavio e di Marco Antonio.
Antonio, in Oriente, dovette raccogliere denaro per la successiva spedizione contro i Parti.
Dopo un soggiorno ad Alessandria (sul quale si è molto scritto a causa dei suoi rapporti con
Cleopatra) intraprese la guerra, che si risolse tuttavia con un insuccesso. Nonostante ciò, Antonio
celebrò il trionfo ad Alessandria, e questo scandalizzò i Romani per i quali era inconcepibile
celebrare un trionfo al di fuori di Roma.
È a questo punto che le fonti antiche, dalla parte di Ottavio, presentano Antonio come lo
zimbello di Cleopatra, che avrebbe voluto spartire l’impero territoriale romano con i figli di lei e
magari spostare la capitale da Roma ad Alessandria.
**Nell’ambito sociale
In questo periodo tutte le classi sociali sono state toccate da profonde trasformazioni:
-per quanto riguarda le classi dirigenti, i «nuovi senatori» provenienti da municipi dell’Italia o
dalle province occidentali cominciarono ad occupare posizioni di rilievo (i consoli sotto Ottaviano
saranno tutti italici, e anche Agrippa, suo braccio destro, non è di Roma);
-per quanto riguarda l’ordine equestre, in costante ascesa dall’età di Pompeo e Cesare, hanno
guadagnato molto dalle proscrizioni, e tra tutti si ricorda il ruolo che avrà Mecenate durante il
periodo del principato augusteo (era un grande aristocratico etrusco che non volle mai rinunciare
alla sua appartenenza all’ordine equestre, proprio perché questa era molto vantaggiosa anche se
non gli permetteva di accedere alla classe senatoria);
-per quanto riguarda le classi inferiori, i liberti occupano posizioni sempre più privilegiate
nella vita economica e sociale (si potrebbe ricordare che il padre di Orazio, infatti, era un liberto).
Naturalmente, tutti coloro che beneficiarono di una promozione sociale erano appassionati
sostenitori del princeps.
**Nell’ambito culturale
Nascono o si sviluppano orientamenti che contrastano con gli antichi valori repubblicani:
-crisi dell’oratoria: ormai sono scomparsi Ortensio Ortalo e Cicerone e l’eloquenza politica
perde il suo valore in Senato, dove è sempre e solo il princeps ad orientare l’assemblea ( rifugio
nella storia, nella scienza e nell’erudizione: Sallustio, Cornelio Nepote, Varrone);
-nuovi intellettuali italici celebrano il nuovo potere: sono giovani brillanti provenienti da
tutta Italia e sono pronti ad utilizzare le loro opere per promuovere il principato augusteo
(pensiamo a Virgilio da Mantova, Orazio da Venosa, Ovidio da Sulmona o Properzio dall’Umbria,
Livio da Padova) e si raccolgono tutti intorno alla figura di Mecenate, amico di Ottavio;
-diffusione dell’epicureismo politico e colto (nella buona società), affiancato da uno più
popolare;
-si sviluppano idee di pace, portata da un «salvatore», e naturalmente si tratta di Ottavio (
l’idea della guerra civile è oggetto di orrore, e ben presto il concetto diverrà un tabù, esattamente
com’era accaduto per la monarchia);
-per quanto riguarda la religione, Cesare aveva già beneficiato di una divinizzazione ufficiale
votata dal Senato nel 44, per il suo funerale: egli è conosciuto come il divus Iulius e fu ammesso tra
le divinità dell’Olimpo. Ottavio, dal canto suo, non trascurerà niente per apparire protetto dagli
dei25: sacralizzò infatti i suoi poteri, e tramite questi la sua persona.
Ottavio seppe dare l’immagine di sé come del salvatore dello Stato, liberato una volta per
tutte, tramite le sue vittorie in Occidente e poi in Oriente, dallo spettro delle guerre civili. Era il
nuovo salvatore, era il restauratore della Repubblica e dei valori tradizionali, che erano stati minati
dai miraggi orientali del «nuovo Dioniso» (com’era presentato dalla propaganda Antonio).
25
Per un atto di pietas votò un tempio a Marte Vendicatore (della morte di Cesare) in seguito alla battaglia di Filippi del
42 a.C. e dopo la vittoria contro Sesto Pompeo, invece, ne votò uno ad Apollo, suo protettore accreditato, sul Palatino.
La battaglia di Azio era destinata a diventare come la manifestazione dell’epifania del
Principe che gli dei avevano spedito sulla terra per ridare a Roma la pace e la serenità. Gli elogi nei
confronti di Augusto vincitore di Azio si sprecano, durante il principato, e uno tra tutti coloro che
lo proclamano tale è Properzio, nel IV libro delle sue Elegie politiche.
Nel 30 a.C. Ottavio prepara l’invasione dell’Egitto: due eserciti (uno guidato ad ovest da
Cornelio Gallo e l’altro ad est guidato dallo stesso Ottavio) per sconfiggere una volta per tutte
Marco Antonio e Cleopatra. Quest’ultima prova a conservare il suo trono negoziando con
Ottavio, che brama invece il tesoro dei Tolomei.
Malgrado un successo iniziale, Marco Antonio è tradito e battuto. Crede che la regina sia
morta e si pugnala. Ottavio intanto guadagna tempo, tratta con la regina e recupera il tesoro dei
Tolomei. Qualche giorno dopo anche Cleopatra, non volendo apparire nel trionfo di Ottavio, si
suicida. Verranno poi uccisi il figlio di Cleopatra e Marco Antonio come quello di Cesare e
Cleopatra.
L’Egitto è ridotto a provincia romana con uno statuto particolare, in quanto sarà Cornelio
Gallo, un cavaliere, a prenderne il comando come primo governatore, e ne farà divieto ai
senatori di entrarvi senza autorizzazione.
**In Oriente
-le città che si erano dichiarate contro Antonio ricevono dei privilegi, quelle che erano state
saccheggiate da Ottavio si vedono rimettere i loro debiti, ma dappertutto conservano il loro statuto
di autonomia;
-alcuni sovrani furono messi a morte, ma i più passarono alla svelta dalla parte di Ottavio per
poter essere perdonati e, come Erode, si sottomisero a lui giurando fedeltà.
**In Occidente
Ottavio ritorna a Roma nel 29 a.C.
In precedenza sappiamo che il Senato e il popolo romano gli avevano giurato fedeltà
dandogli il comando della battaglia. Egli celebrò allora il trionfo di Azio, per la vittoria
dell’Illiria e dell’Egitto. Dedica il tempio del divus Iulius nel Foro nel luogo preciso in cui il corpo
del dittatore era stato bruciato nel marzo del 44 a.C. Viene aperta la Curia Iulia. Nella sala di
riunione del Senato, invece, venne posta una statua della Vittoria che equivalere a perpetuare il
ricordo della battaglia di Azio e del suo vincitore.
Per la terza volta nella sua storia, Roma era in pace, una pace che doveva ad Ottaviano.
IL MIRACOLO DI AZIO
Subito dopo la battaglia Ottavio fece erigere due trofei: l’uno al tempio del dio Apollo che si
trovava proprio di fronte al campo di battaglia, sul golfo di Ambracia; l’altro, invece, elevato a
Marte, Nettuno ed Apollo, nel luogo stesso dell’accampamento. Naturalmente Ottavio voleva
mostrare chiaramente la vittoria terra e per mare.
Da questo momento in poi cominciarono a nascere soprattutto elementi di leggenda legati a
questa grande battaglia, leggenda che si appoggiava sia su misure politico-religiose che su una
mirabile propaganda letteraria ed artistica.
**Misure politico-religiose
Fu opportuno ringraziare la divinità protettrice di Ottaviano, cioè Apollo: per questo fu presa
la decisione di costruire un tempio per Apollo sul Palatino. Di fronte ad Azio, invece, viene
fondata la città greca e libera di Nicopolis, cioè «città della Vittoria».
**Propaganda letteraria-artistica
Virgilio, Orazio e Properzio cantano la vittoria di Azio come un’impresa di Ottavio, e dai loro
versi si sviluppano il tema della vittoria totale per terra e per mare, Ottavio viene visto come erede
degno di suo padre e il salvatore della patria; in questa vittoria è stato favorito dagli dei, e dalla
natura. Viene inoltre tracciato un parallelo tra la battaglia di Azio e quella di Salamina insistendo
sulla difesa dell’ellenismo di fronte alla barbarie egiziana.
Per quanto riguarda l’arte, il tema della vittoria allude costantemente ad Azio.
**I problemi
-estensione: Roma non è più contenuta, ma è diventata una città aperta;
-approvvigionamento: non era molto adeguato (lo aveva dimostrato la guerra contro Sesto
Pompeo);
-pericoli sulla sicurezza: incendi e inondazioni (piene del Tevere) poco tenute a bada così come
l’insicurezza e le manifestazioni popolari;
-manutenzione degli edifici antichi: bisogna infatti ripararli senza sosta;
-circolazione assai scomoda: Roma non era infatti mai stata soggetta ad un piano urbanistico
ben preciso, ma si costruiva dove si poteva. Ora mancava spazio e il Foro era diventato troppo
piccolo.
Ma più che alla sua economia, l’Italia deve il suo rinnovamento al suo personale politico,
dovuto innanzitutto alla scomparsa dell’antica nobilitas e alla crescita dei nuovi nobili romani,
nonché all’apparizione di numerosi Italici che si raggruppano intorno alla figura di Ottavio .
Questi ultimi sono spesso ricchi e costituiscono i più ferventi sostenitori del principato.
**Le origini
-MODELLO ELLENISTICO: nel bacino orientale del Mediterraneo Roma aveva incontrato le
monarchie nate dal regno di Alessandro Magno; i loro abitanti erano convinti della necessità che
un sovrano assoluto governasse la loro terra, e piano piano anche i cittadini romani si abituarono
all’idea di monarchia, un’idea tutto sommato «moderna». E poi, gli imperatores rimanevano
affascinati dalla figura di Alessandro Magno: per esempio, Augusto, quando fu condotto ad
Alessandria espose pubblicamente la salma del grande re deponendo su di essa una corona d’oro e
fiori in segno di venerazione. Quando invece gli fu chiesto se avesse voluto vedere anche la tomba
dei Tolomei, egli rispose che «aveva voluto vedere un re, non dei morti» (di questo ne parla
Svetonio). Fu inoltre sul modello della tomba di Alessandro che poi Augusto, al suo ritorno a
Roma, intraprese la costruzione del suo mausoleo.
-DISCREDITO DELLE ISTITUZIONI ANTICHE: dalla morte di Cicerone nessuno si infervora più per
restaurare seriamente le basi della Repubblica romana, e dopo la quasi totale sparizione dell’antica
nobilitas senatoria nessuno, a parte Ottavio (paradossalmente), pretende di difendere l’antico
valore della libertas.
-EVOLUZIONE DELLA MENTALITÀ: prendendo confidenza con l’idea della monarchia, ci si mette
anche in testa che i vincitori devono il loro successo alla loro fortuna, dono degli dei. Questi ultimi
vengono pregati anche privatamente per la saluta di un solo imperator, come se la salute dello Stato
potesse dipendere da un solo uomo. Inoltre, se un tempo la fortuna di ogni cittadino tutti la
dovevano trovare nella vita pubblica, ormai ognuno la cerca al di fuori del Foro, nella pace dei
campi o nell’abbandono del suo destino a quello di un comandante militare.
Dal 27 al 23 a.C. Augusto non chiederà che di esercitare il consolato, che gli permette di
esercitare una sorta di tutorato su Roma, sull’Italia e sugli altri magistrati.
26
A partire da Scipione l’Africano, vincitore della seconda guerra punica, questi valori rappresentavano le quattro virtù
ideali dell’uomo romano.
magistrati, diritto di convocare il Senato, diritto di porre leggi, ius auxilii), ma il suo potere si
estende non solo a Roma ma anche per tutto l’impero territoriale romano;
-elezione come Pontifex Maximus alla morte di Lepido, viene inoltre salutato «padre della
patria» dal senato e dal popolo romano, che lo inquadrano ormai come un «patrono» su scala
imperiale.
Le istituzioni della Repubblica, tra cui non solo il Senato e le magistrature, ma anche i comizi,
continuano ad esistere, e Augusto è un semplice cittadino, tuttavia tutte le decisioni da prendere
sono subordinate alla sua ultima parola. Egli lascia funzionare tutto, ma se qualcosa non va è la
sua sola parola ad essere legge.
AUGUSTO
Era nato il 23 settembre del 63 a.C. a Roma.
Il padre (Gaio Ottavio) era un homo novus; la madre, Atia, era nipote di Cesare, che molto
presto si interessò al bambino e lo introdusse alla vita romana, vegliando anche sulla sua
educazione.
Nel 45 a.C. Ottavio combatte al fianco dello zio contro i Pompeiani in Spagna. Senza
informarlo Cesare lo adotterà facendolo suo erede. Nel 44, invece, si trovava ad Apollonia (in
Epiro) per studiare e per preparare una campagna contro i Parti, quando venne a sapere della
morte del dittatore e soprattutto di essere stato adottato, e di essere l’unico erede. Con un passo
dell’Iliade dice alla madre di voler vendicare la morte di Cesare: «che io muoia subito, hanno
ucciso il mio amico ed io non ero là per difenderlo».
Ottavio, partito per vendicarsi del padre adottivo, stabilirà a Roma un regime che durerà per
5 secoli e che segnò da vicino la storia degli uomini dopo di lui.
**La sua famiglia
Aveva fatto sposare, nel 40, sua sorella Ottavia a Marco Antonio, per concludere il trattato
di pace di Brindisi.
Degna di nota è soprattutto la sua lunga passione per la terza moglie Livia, una donna
appartenente per nascita e matrimonio alla più alta aristocrazia repubblicana (la gens Claudia)
aveva poi divorziato, sebbene incinta, per sposare Augusto che si era appena separato da
Scribonia. Tutto ciò fu uno scandalo. Caligola la definì un «Ulisse in sottana», per mettere in
evidenza la sua astuzia e il fatto di aver giocato un ruolo politico alquanto importante («come
doveva fare una donna»).
I COLLABORATORI DI AUGUSTO
Tra i suoi collaboratori emergono due figure fondamentali, che sono Agrippa e Mecenate. Un
passo celebre di Cassio Dione presenta i due dopo Azio che si domandano «che cosa fare?»:
ristabilire la Repubblica?, dice Agrippa; o «una monarchia senza il nome», come raccomanda
Mecenate? Dietro questo dialogo fittizio (ma non necessariamente falso!) si profilano l’influenza di
questi due consiglieri, nonché i loro contrasti (qui forse troppo accentuati). La loro fedeltà ad
Augusto, comunque, fu assoluta.
**Mecenate
Etrusco, appartenente all’ordine equestre, che non desiderò mai lasciare; gran signore, ricco,
discepolo di Epicureo, dai gusti raffinati; protettore dei poeti Virgilio, Properzio e Orazio.
Era innanzitutto un diplomatico (negozia il trattato di Brindisi) e una sorta di ministro
dell’interno, capace di sventare cospirazioni e assicurare l’ordine.
**Agrippa
Per molto tempo la sua azione è stata considerata solo quella di un soldato. Un lavoro recente
ha invece arricchito la sua personalità.
Egli era già con Ottaviano quando il futuro imperatore seppe, ad Apollonia, della morte del
dittatore suo padre adottivo. Fedele, abile stratega, grande costruttore (durante la sua censura),
benefattore, ottimo amministratore, fu anche autore di una autobiografia e di opere tecniche.
Rude soldato dai talenti molteplici, insomma, mette tutta la sua energia nell’esaltare la
grandezza di Roma e dell’Impero, del Principe e della dinastia.
Era stato rivestito della potestà tribunizia e dell’imperium proconsolare. Divenne inoltre
correggente di Augusto, ossia suo collega.
GERARCHIA IMPERIALE
Oltre che creatore di un nuovo regime, Augusto volle anche riformare la società romana in
base ai principi della sua ideologia (ritorno alla morale antica, rafforzamento della coesione sociale,
etc). Una serie di leggi, dunque, stigmatizzò il celibato, l’adulterio delle donne e diede dei
privilegi ai padri di famiglia.
Sul piano giuridico, invece, la società era formata da:
-due ordines che erano quello equestre e quello senatorio;
-cittadini romani di Roma e dell’Italia e delle province;
-i Latini;
-i Latini iuniani, cioè schiavi liberati al di fuori delle misure prese da Augusto;
-i peregrini, ovvero gli stranieri;
-i dediticii, cioè uomini liberi che non possono però diventare cittadini;
-schiavi.
Augusto concentrò la sua attenzione principalmente su i due ordines.
I membri del Senato, che sotto Augusto era solo un’assemblea, portavano sulla tunica (al di
sotto della toga) una larga banda di porpora, cioè il laticlavio. Dopo la morte di Cesare era successo
che da una parte il numero dei senatori era aumentato; dall’altra i figli dei senatori e i figli dei
cavalieri usurpavano il laticlavio per ostentare le loro ambizioni. Augusto reagì allora:
-diminuendo il numero dei senatori in Senato;
-vietando di portare il laticlavio ai figli dei cavalieri, mentre i figli dei senatori possono
portarlo, in quanto evidentemente agli occhi di Augusto essere figli di senatori significava essere
predestinati a diventare senatori a propria volta, tuttavia benché membri dell’ordine senatorio, i
figli dei senatori rimangono dei giovani cavalieri che portano il laticlavio;
-istituendo l’angusticlavio, una banda più stretta, per i giovani cavalieri;
-fissando un nuovo censo senatorio: ora è necessario, per i figli dei senatori, un milione di
sesterzi per aspirare alla questura. Questo ha però due conseguenze significative:
se si è già senatori ma non ci si trova al di sotto del censo o si rinuncia alla qualità di
senatore oppure il Principe può colmare il deficit;
la creazione di un censo differente e più elevato stabilisce una nuova barriera tra
senatori e cavalieri, e i discendenti dell’ordine senatorio tendono a formare un gruppo sociale
ben definito.
-fissando uno ius honorum: per chi è figlio di un senatore e vuole entrare in senato, bisogna
che egli possegga, oltre al nuovo censo, anche il «diritto di presentarsi candidato alla prima
magistratura», che si andrà a sommare alla rispettabilità del nome di famiglia;
L’ammissione al senato avviene ancora, come sotto la Repubblica, a partire dalla questura,
ma è l’imperatore che decide. La riforma di Augusto nei confronti del Senato mira allora a voler
creare le migliori condizioni possibili per assolvere alla sua funzione tradizionale e a confermare il
suo primato nella gerarchia sociale.
Erano fissate due sedute al mese in una data fissa e durante i senatusconsulta c’era necessità di
raggiungere un quorum.
Se da una parte il Senato continua ad essere un organo sociale nobile e rispettato da tutti,
dall’altra perde sempre più la sua importanza e dal punto di vista decisionale e da quello politico.
A più riprese, infatti, egli ha necessità di appoggiarsi all’aiuto di Augusto; ha perduto il controllo
in politica estera, in quella militare e in una parte della politica fiscale molto importante.
I senatori, inoltre, oscillano tra la sottomissione al Principe e la sterile organizzazione di
complotti maldestri. Tuttavia rimane ancora il simbolo della res publica.
L’AMMINISTRAZIONE DELL’IMPERO
Il successo di una «monarchia mascherata» come quella di Augusto sta nell’aver saputo
amministrare correttamente gli immensi territori dell’impero. E il desiderio comune di pace, la
riorganizzazione degli ordini senatorio ed equestre, il senso dello Stato e del dovere che
impregnava il mos maiorum hanno facilitato questa impresa augustea.
**Roma
-Organizzazione amministrativa
Sebbene la popolazione abbia continuato a crescere, le sue strutture amministrative rimasero
arcaiche per lungo tempo, così Augusto le modificò profondamente:
1) nel 7 a.C. divide il territorio urbano in circoscrizioni (regiones) che hanno a capo un
magistrato tratto a sorte trai pretori, i tribuni della plebe e gli edili;
2) divide le circoscrizioni in quartieri (vici), a capo dei quali sta un vicomagister, spesso un
liberto, incaricato di funzioni religiose e amministrative;
3) l’insieme dell’amministrazione della città è affidato invece ad un praefectus urbi, un
senatore coadiuvato anche da altri senatori che vigilano su acquedotti, sulle opere e i luoghi
pubblici, gli edifici sacri, sul letto e le rive del Tevere (questa antica istituzione dell’epoca
repubblicana viene resa permanente proprio da Augusto);
4) sono costituite coorti di vigili per lottare su incendi e assicurare la polizia notturna.
**L’Italia
Gli uomini liberi che si trovano sul suolo italico, sono tutti cittadini romani che non pagano
imposta fondiaria; i suoi municipi sono autonomi, sebbene teoricamente il territorio italiano
rimanga sotto il controllo del Senato.
Augusto divise l’Italia il 11 regioni, anche perché ognuno potesse votare nel suo luogo
d’origine.
L’organizzazione generale dell’impero che segue può sembrare estremamente rigida, in
realtà era flessibile e capace di adattarsi a variabili realtà. Lo statuto amministrativo di una
provincia, insomma, non è mai definitivo, quindi una provincia può diventare senatoria o
imperiale.
-L’Egitto
Il suo statuto è particolare. Legalmente è annesso all’impero del popolo romano, tuttavia è
trattato come proprietà personale dell’imperatore, che continua a regnarvi secondo gli stessi
principi dei precedenti Lagidi (altro nome dei Tolomei). L’imperatore è qui rappresentato da un
praefectus d’Egitto.
**Restaurazione
Per ridare splendore ai sacerdozi ne assume su di sé i fondamentali; diventa il restauratore
dei templi, e ridà vita ad alcuni riti caduti in desuetudine.
**Rinnovamento
Associa alle sue varie riforme le divinità che si accordano con esse:
-culto di Opi e di Cerere alle distribuzioni frumentarie;
-culto dei Dioscuri con l’età della giovinezza.
Attribuisce inoltre un’importanza singolare ad alcune divinità come Venere, Apollo, Marte e
Vesta. Ma il rinnovamento più grande arriva con l’istituzione del culto imperiale.
-origine ellenistica e orientaleggiante: nel mondo ellenistico, infatti, molti re, uomini, eroi politici
importanti avevano ricevuto onori divini (uno fra tutti Alessandro Magno), e siccome colui che
propose il nome Augustus (Lucio Munazio Planco) era appena tornato dalla corte di Alessandria, si
sono potuti rinvenire proprio in quella zona i prodromi del culto imperiale;
-origini romane e nazionali: probabilmente fu il secolo degli imperatores che avrebbe ispirato il
culto imperiale, basti pensare che Cesare era stato il primo ad essere divinizzato proprio perché
ritenuto un valoroso generale che si era particolarmente mostrato agli occhi di tutto il potere
romano, e che Augusto risultava quindi «figlio del divinizzato», e attraverso di lui discendeva da
Venere;
-origini indigene: in particolare si pensa siano state origini iberiche, tutt’al più che nel corso
della straordinaria seduta in Senato del 27 a.C., un tribuno della plebe si votò ad Augusto alla
maniera degli Iberi esortando anche i suoi compagni a fare lo stesso. Fu inoltre proprio nella
penisola iberica che fu innalzato il primo altare monumentale in onore di Augusto.
1)Il primo ad essere preso in considerazione fu suo nipote (figlio della sorella Ottavia),
Marcus Claudius Marcellus, che fu iniziato alla carriera politica abbastanza velocemente, e fatto
sposare alla figlia di Augusto, Giulia. Tuttavia egli morì, e le sue ceneri furono custodite nel
mausoleo dello zio in Campo Marzio.
2)Augusto accelerò allora la carriera del figliastro Tiberio (Titus Claudius Nero), nato lo stesso
anno di Marcellus, ma quando quest’ultimo morì, non fu Tiberio ad essere preso in considerazione
per il potere, anzi Agrippa, che già era stato promosso correggente del princeps ed era inoltre
sposato con la figlia di Augusto, Giulia.
3)Dal matrimonio tra Agrippa e Giulia nacquero due figli, Gaius Caesar e Lucius Caesar, che
furono adottati da Augusto, cosicché potessero succedere e al loro padre adottivo e al loro padre
naturale. Agrippa muore.
4)Tiberio fu allora obbligato da Augusto a lasciare la moglie Vipsania (figlia di Agrippa) per
sposare Giulia. Onori e incarichi si accumulano su di lui, ma quando riceve la potestà tribunizia
decide di ritirarsi spontaneamente in esilio per cinque anni a Rodi, dove trascorrerà una vita da
comune privato.
5)In sprezzo di ogni regola, Gaius Caesar fu designato console per cinque anni più tardi, e i
cavalieri lo proclamarono «Principe della gioventù». Tre anni dopo anche suo fratello Lucius
ricevette gli stessi onori. I due fratelli fecero insieme apprendistato al governo, ma morirono ben
presto entrambi nella loro prima missione ufficiale.
6)Restavano allora due persone, in seno alla famiglia imperiale, che avrebbero potuto
prendere il posto di Augusto: Tiberio e Agrippa Postumo (figlio di Agrippa e di Giulia). Entrambi
furono adottati dall’imperatore, che domandò a sua volta a Tiberio di adottare il figlio di Druso e
della sorella Ottavia (dunque suo nipote), Germanico.
Tiberio fu allora investito ancora una volta della potestà tribunizia. Per via del suo carattere,
invece, Agrippa Postumo fu ripudiato da Augusto ed esiliato su un’isola. L’ordine successorio,
dunque, si faceva più chiaro: prima Tiberio, e poi Germanico.
Nel 13 d.C. Tiberio ricevette i poteri di Augusto, che morrà l’anno successivo, il 14 d.C.
I SECOLO D.C.
LA DINASTIA DEI GIULIO-CLAUDII
Nessuno col tempo mette in discussione il regime del Principato, anzi lo si sperimenta, lo si
modifica e lo si adatta. Nessuno propone la restaurazione della Repubblica, neppure coloro che
spesso vi fanno riferimento. Il governo di uno solo, come sosterrà Tacito, è riconosciuto come
necessario per mantenere la pace e non ritornare alle guerre civili.
Sotto la dinastia dei Giulio-Claudii entrano in gioco numerosi elementi, come la personalità
del Principe, il peso dei suoi congiunti, i suoi rapporti con il Senato (che molto spesso hanno
determinato anche l’immagine che ci è stata data del regno), le relazioni con gli eserciti, il modo di
essere un sovrano accettato dalla plebe, l’interesse per amministrazione e province. Inoltre,
dominerà profondamente il ricordo di Augusto.
La dinastia comprese:
-Tiberio;
-Caligola;
-Claudio;
-Nerone.
**Ritratto
La storiografia senatoria ce lo presenta come un cattivo principe, alle volte un tiranno, che
avrebbe dato al Principato una forma autocratica. Numerosi studi hanno ridimensionato queste
considerazioni.
In tutti i campi, prima di salire al potere, egli ha già dimostrato il suo valore. È uno degli
uomini più adatti per prendere il posto di Augusto; in più è colto, un buon oratore, un fine
ellenista, appassionato di astrologia, e non manca di intelligenza come di carattere.
Paradossalmente, nonostante fosse repubblicano di convinzione, ligio al dovere civile, non
suscitò molta simpatia nei confronti del Senato, ma anche verso il popolo.
Timido, maldestro, ferito dall’essere stato l’eterno secondo alla successione, insofferente
agli obblighi della vita pubblica che la sua funzione comportava, divenne misantropo, brusco e
sospettoso.
-dal 15 al 23 d.C.
Si instaura un regime piuttosto «liberale». Non mancano le difficoltà, in Africa come in
Gallia si riscontrano alcune rivolte. Viene condotta una spedizione in Germania da Germanico,
suo figlio adottivo. Si riscontrano difficoltà famigliari sia per il carattere di Livia sia per le
rivalità tra Tiberio e Germanico. Quando quest’ultimo morirà (nel 19) l’opinione pubblica
sospettò che una persona vicina a Tiberio lo avesse avvelenato per riservare la successione a suo
figlio Druso, ma anche quest’ultimo morirà, e l’imperatore ne rimase alquanto addolorato.
-dal 23 al 31 d.C.
Questo periodo è dominato dalla personalità di Seiano, che diventa il personaggio più
importante del regime dopo Tiberio; la morte del figlio dell’imperatore gli fece probabilmente
sperare di essere nominato come suo successore, tanto più che Seiano chiese di sposare la vedova
di Druso, ma l’imperatore glielo impedì. Per essere poi ancora più libero a Roma con molta
probabilità consiglia all’imperatore di ritirarsi in Campania. Tiberio si rinchiude in una villa a
Capri, da dove non si allontanerà mai più.
Nel 30 Tiberio e Seiano vengono designati consoli per l’anno successivo (cosa eccezionale!).
Non sappiamo con certezza se Tiberio cercò di prevenire le ambizioni di Seiano, o se tentasse di
contrastare la sua figura, legata a gruppi che contrastavano le truppe di Germanico, tuttavia
accadde che Seiano fu arrestato e giustiziato, e i suoi partigiani e i suoi figli messi a morte.
-dal 31 al 37 d.C.
Tiberio continua a governare da Capri con la stessa attenzione maniacale. Suscitò dei
processi di lesa maestà che permettevano di far giudicare dal Senato i sospetti, magari facendo
confiscare i loro beni, punirli con la morte o con l’esilio.
Arrestò, prima di morire per malattia, una nuova crisi finanziaria. Nel 37, deceduto, non si
sapeva chi lo avrebbe sostituito, poiché non aveva preparato un successore. Esitava – sembra – tra
suo nipote e suo pronipote (figlio del figlio di suo fratello) Gaius Iulius Caesar, soprannominato
Caligola. Secondo una diceria sarebbe stato quest’ultimo ad aver dato il colpo di grazia
all’imperatore morente.
**Ritratto
Nipote di Tiberio e zio di Caligola, nonché fratello cadetto di Germanico.
La sua carriera era stata molto lenta, e tutti lo consideravano un po’ nello stesso modo in cui
ne parlava la madre, che affermava fosse «Una caricatura d’uomo, un aborto semplicemente
abbozzato dalla natura». Effettivamente balbettava e non era solido sulle gambe. In più, tutti
dubitavano della sua intelligenza.
Restò cavaliere finché Caligola non se lo affiancò come collega al consolato. Ma, più che altro,
Claudio visse in disparte, studiando filologia e storia: scrisse una storia di Roma, una dell’Etruria e
una di Cartagine (le ultime due in greco).
Fu ridicolizzato assai dagli antichi, in particolare da Seneca che fece della sua apoteosi una
trasformazione in zucca (Apokolokyntosis del divino Claudio); costantemente lo si presentò come un
ubriacone, come lo zimbello dei pretoriani, delle sue mogli (ne ebbe quattro, due delle quali assai
tristemente famose, Messalina per le sue tresche oscene, Agrippina perché madre del futuro
Nerone) e dei liberti.
Attualmente è stato rivalutato per la qualità della sua azione sia interna che esterna:
-trasformò l’amministrazione centrale dell’Impero in una grande cancelleria;
-intraprese ogni tipo di lavoro e costruzione pubblica;
-si occupò della giustizia;
-riprese la politica augustea;
-mise un interesse particolare per l’approvvigionamento di Roma;
-fondò numerose colonie;
-assunse la censura e la esercitò con scrupolo.
Nel complesso, nonostante fosse uno spirito tradizionalista la sua opera fu innovatrice e
rivoluzionaria.
Durante il suo ultimo anno di regno, il 68 d.C., ci furono contatti tra Vindice e altri
governatori come Galba per rovesciare l’impero. Galba ottenne l’appoggio del legato Otone e del
questore Cecina. Anche i pretoriani di Roma si dichiararono dalla parte di Galba e dunque contro
Nerone, il quale sarà dichiarato nemico pubblico dal Senato. Crollo del regime.
Abbandonato da tutti, Nerone si suicida aiutato da una schiava che gli darà il colpo di grazia
mentre stanno per arrestarlo. Le sue ultime parole, si dice siano state: «Quale artista muore con
me!». Aveva poco più di 30anni, e la sua morte diede origine ad un periodo di guerre civili.
**La dinastia
Ad eccezione di Tiberio, tutti i Giulio-Claudii sono di sangue dei Giulivi, stirpe che si
estingue con Nerone. L’eredità dinastica fungeva assai da carisma.
Tiberio ostentò a più riprese la sua fedeltà nei confronti di Augusto, a cominciare da quando
in Senato, prima di essere eletto imperatore con tutti i poteri del compito, rimandò le cariche
all’assemblea per poi vedersele ridare immediatamente.
Caligola, Claudio e Nerone, invece, fondano la loro legittimità attraverso la parentela con
Antonia, figlia di Ottavia e Marco Antonio.
-Caligola: molto semplicemente, le relazioni tra questo e il Senato furono inizialmente buone,
successivamente cattive. Egli comunque non sconvolse la composizione dell’assemblea facendovi
entrare alcuni cavalieri italici, anzi molti storici lo considerano come il vero creatore dell’ordo
senatorius per eccellenza.
-Nerone: anche per quanto riguarda questo imperatore, le sue relazioni con il Senato
seguirono la linea positiva inizialmente e quella negativa successivamente. La linea negativa fu
imboccata a partire da quando l’assemblea rinunciò di accettare la riforma fiscale del nuovo
imperatore nel 58 d.C. Nel 62, invece, si svolse il primo processo di lesa maestà al regno. Da allora
l’autorità dei patres si indebolisce, poiché Nerone mette in disparte o elimina le grandi dinastie
senatorie.
**Le opposizioni
Dal regno di Augusto a quello di Nerone le opposizioni presentano delle caratteristiche
identiche: innanzitutto non provengono dal popolo di Roma, che è indifferente alle questioni
politiche se non in alcune rare occasioni, a teatro o al circo (applaudiva, per esempio, gli attori
detestati da Caligola), in cui reclama pane o l’alto costo dei viveri.
Opposizioni permanenti, invece, sono percettibili in due gruppi:
-i provinciali: nell’insieme le rivolte che si presentarono nelle varie parti dell’impero sono
poco numerose e molto locali, e la differenza dei disagi fu sempre differente; inoltre, mai questi
problemi hanno effettivamente preoccupato le autorità o il regime.
-l’aristocrazia: è tra le grandi famiglie senatorie27 che l’opposizione è più vivace, ma più che
trattarsi di una intolleranza al sistema, ci si scaglia sulle figure degli imperatori, contro i quali
27
Alcune di esse: gli Iunii Silani, i Silii, gli Scribonii Libones, i Calpurnii Pisones, gli Anii.
nascono complotti o congiure che trovano nello stoicismo non un’argomentazione politica
(poiché infatti questa filosofia esaltava la monarchia), ma un’etica. Comunque sia non si può
parlare di una vera e propria opposizione, perché anche i complotti e le congiure risultano assai
sterili al fine di mutare la situazione. Com’è già stato detto, non si mette in discussione il sistema in
quanto tale, ma le persone che governano.
-L’apoteosi: dopo Augusto, è il solo Claudio ad accedere al rango delle divinità. Gli onori che
Tiberio aveva affidato ad Augusto, dunque, servirono come modello per i successori che avrebbero
ricevuto l’apoteosi.
Questo rituale fu inaugurato proprio per Augusto, e raggiungerà la sua perfezione nella
seconda metà del II secolo. Il corpo (più tardi rimpiazzato da un simulacro di cera) era posto sopra
una pira eretta nel Campo Marzio, intorno alla quale la società sfilava. Un’aquila fuggiva dalla
pira, portando l’anima del Principe. Quando il corpo è completamente bruciato venivano raccolte
le ossa (Livia le raccoglierà ad Augusto) per metterle nella tomba.
Alla fine del rito, si poteva onorare l’essere umano sia come divinità che come morto, anche
se a Roma questo faceva divertire alcuni spiriti scettici, come Vespasiano, che prima di morire
avrebbe detto «Sento di diventar divino».
-Tempio del Divino Augusto: fu eretto nel Foro, ed aveva dei sacerdoti che gli erano stati votati,
nonché un collegio (sodales augustales) che raccoglie membri delle famiglie senatorie e di quella
imperiale.
-Sviluppo del culto domestico di Augusto: nasce innanzitutto nella famiglia imperiale, e Livia ne
è la sacerdotessa. Ad ogni morte di un componente della famiglia imperiale, poi, si nota una
fiammata del culto imperiale, in particolare alla morte di Germanico e a quella della sorella di
Caligola, Drusilla, divinizzata.
-Tiberio: rifiutò sempre qualsiasi onore divino che gli fu proposto; tuttavia, dall’uccisione di
Seiano, si delinea un cambiamento: sulle monete e sulle iscrizioni ufficiali la Provvidentia
divinizzata è associata all’imperatore che, reprimendo il movimento di Seiano, ha messo d’accordo
il mondo e la volontà divina.
-Caligola: il suo breve regno pone un problema non risolto: per alcuni, infatti, egli fu il primo
a voler imporre una concezione teocratica e teologica del potere (sarebbe apparso abbigliato alla
maniera di Bacco o di Apollo o di Giove); per altri, invece, sarebbe stato semplicemente l’oggetto
di critiche maldicenti e calunniose. In nessun caso, comunque, avrebbe tentato di instaurare un
dispotismo alla maniera orientale o di imporre la sua adorazione da vivo ai Romani.
-Nerone: egli sembrava indifferente alla religione tradizionale. In compenso era molto
superstizioso: consultava gli astrologi, non esitava a ricorrere alla magia, si volse verso i culti
orientali e utilizzò il culto imperiale come uno strumento di potere assoluto (la voce stessa
dell’imperatore era ritenuta divina). Fu associato soprattutto ad Apollo fin dai primi mesi del suo
regno.
LA «RIVOLUZIONE SPIRITUALE»
Così un grandissimo storico italiano, Santo Mazzarino, mettendo in parallelo il «vangelo
secondo Augusto» e il vangelo di Gesù sottolinea la nascita di due fedi simultaneamente e di
un’era nuova in data di nascita dei loro fondatori. Probabilmente ci sono motivi significativi per
ritenere che i due culti furono concorrenti: incontestabilmente, infatti, ci furono conflitti.
**Gesù
I Sadducei avrebbero cercato di farlo condannare come zelota, cioè come un agitatore, dando
immediatamente una dimensione politica alle sue imprese messianiche. Fu condotto – dall’autorità
romana – un processo contro di lui, che sarebbe stato condannato alla crocifissione e denigrato con
il titulus affissogli sulla croce, «INRI» (Iesus Nazarenus Rex Iudeorum).
Gesù aveva affermato senza posa che il suo regno era nei cieli e che bisognava rendere a
Cesare quel che era suo, cioè pagare l’imposta. Per tutto ciò apparve come fautore di disordini.
**I cristiani
I cristiani riuscirono da subito ad estendere i loro proselitismi alle comunità giudaiche della
diaspora, e poi ai pagani (aspetto che si può schematizzare attraverso il conflitto tra Pietro e Paolo).
La loro non era semplice strategia, ma convinzione profonda quella che il regno divino dovesse
ancora presentarsi e sarebbe stato contrassegnato dal ritorno di Gesù e dalla resurrezione dei
morti.
Differenziandosi col tempo le comunità cristiane si separarono lentamente dalle colonie
giudaiche, tra cui la più importante quella di Roma. Questa rottura con il giudaismo porta al fatto
che i cristiani non ebbero più gli stessi privilegi dei giudei, e la loro religione assume carattere
illecito, illegale, anche perché monoteista e poiché rifiutava ogni forma di culto imperiale.
**Amministrazione centrale
Tiberio:
-sparisce il Consiglio del Principe, che viene rimpiazzato da un collegio di comites, più
informale e più efficace;
-sorvegliò con cura il funzionamento degli uffici (pose dei consolari alla testa di alcuni di
essi e moltiplicò i posti dei tecnici).
**Amministrazione provinciale
Durante i Giulio-Claudii si constata anche un miglioramento dell’amministrazione
provinciale; i loro governatori erano controllati da assemblee provinciali.
28
Oggi si è concordi nel ritenere che Svetonio si dovesse riferire all’agitazione scatenata dalla predicazione del
cristianesimo nella colonia giudaica a Roma.
Tiberio:
-vegliò che l’amministrazione fosse equa e parecchi governatori furono per questo
condannati per gli affari di concussione e di abuso di potere;
-conservava per molto tempo i governatori da lui apprezzati;
-aiuti finanziari ai provinciali.
Claudio, nato a Lione, non poteva certo trascurare le province, ma questo portò anche a
critiche negative nei suoi confronti, tanto che fu accusato di «voler mettere in toga tutti i Greci, gli
Spagnoli, i Galli e i Britanni». La sua politica comportò quattro punti principali:
-fondazione di nuove colonie e municipi (per riallacciarsi alla politica di Cesare e Augusto);
-generosa politica di naturalizzazione (diritti di cittadinanza, richieste dei diritto di entrare
in Senato, etc);
-rafforzamento dei poteri dei procuratori imperiali 29 (sia nelle province senatorie che in
quelle imperiali);
-politica di grandi lavori (strade, acquedotti).
In meno di sei mesi riesce ad alienarsi tutti quelli che in quel periodo contavano a Roma,
dai pretoriani al Senato, fino al popolo romano che rimpiangeva Nerone. Anche per l’esercito gli
mancò abilità, e peraltro, avendo inviato l’unica legione a lui fedele in Pannonia 31, non ebbe nessun
soccorso quando il legato di Germania inferiore, Aulo Vitellio Germanico, venne proclamato
imperatore dalle sue truppe nel gennaio del 69. La sua unica risposta fu quella di adottare uno dei
Pisoni per farlo suo successore, ma i pretoriani da parte loro uccisero sia lui che Pisone, e
proclamarono imperatore Otone: ne rimanevano due, cioè uno di troppo.
29
Sono i legali dell’impero.
30
È la parte della Spagna subito sotto la Francia, nella zona dei monti Pirenei.
31
Una zona dell’Europa centro-orientale, compresa tra il Danubio e il fiume Sava, che scorre tra la Croazia e la Slovenia.
Patrizio anch’egli, ma di famiglia più recente di quella di Galba, era stato marito di Poppea
prima di Nerone, che lo aveva per questo fatto inviare in Lusitania 32 come governatore di
provincia.
Il Senato gli conferì la potestà tribunizia, il nome di Augusto e tutti gli onori di principe. Ebbe
anche il sostegno delle legioni, del popolo e quello dei pretoriani, grazie ad un donativum.
Beneficiava inoltre di straordinaria popolarità.
Tuttavia le truppe di Aulo Vitellio invasero l’Italia, e ad esse Otone non poté opporre che un
contingente militare assai inferiore. Nell’attesa delle legioni che dovevano arrivare dal Danubio,
Otone viene battuto vicino a Cremona. Il giorno seguente alla sua sconfitta si uccide. Siamo
nell’aprile del 69 d.C.
**Lo scontro
Le truppe di Vespasiano entrano in Italia dal nord nell’autunno del 69; le forze di Vitellio,
invece, sono schierate a Cremona.
1)Le Spagne, le Gallie, la Britannia si uniscono a Vespasiano;
2)Vitellio cerca di negoziare comprendendo di non poterlo superare;
3)I pretoriani e il popolo di Roma, fino allo strato più basso, si oppone all’accordo;
4)Roma diventa allora il campo di battaglia tra le due parti:
-le truppe di Vespasiano si trincerano sul Campidoglio, che fu poi bruciato;
-il prefetto della città viene linciato dalla folla;
-Domiziano, uno dei figli di Vespasiano, riesce a fuggire;
-l’esercito del Danubio, giunto a Roma, assale la città;
5)Viene ucciso Vitellio;
6)Il Senato riconosce Vespasiano come imperatore, ma egli attese che la pace si fosse
ristabilita prima di entrare a Roma. Si trovava ancora ad Alessandria.
32
Provincia iberica che comprendeva l’odierno Portogallo e parte dell’altopiano interno della Spagna.
-l’imperatore non era a Roma;
-il santuario più sacro della città era in rovina (il Campidoglio, poiché era stato bruciato);
-la guerra giudaica ristagnava;
2)situazione esterna
-alcune delle province si agitavano;
-popoli in rivolta;
-stringimento di accordi con i barbari da parte di alcuni popoli;
-ovunque conflitti;
-eserciti vittoriosi, ma assai divisi.
In realtà i mali erano minori di quanto si credesse. In due anni, Vespasiano riuscì a ristabilire
completamente la situazione.
33
Regione dei Sabini, comprendeva l’attuale Umbria, parte del Lazio e dell’Abruzzo.
DOMIZIANO, ULTIMO DEI FLAVII
Il secondo figlio di Vespasiano, al contrario del fratello, trascorse un’infanzia triste ed ebbe
educazione trascurata. Nel 69 si era salvato dalle guerre civili grazie al suo sangue freddo e alla
sua astuzia, e per tutto il tempo che Tito e Vespasiano rimasero lontani da Roma rappresentò la
famiglia imperiale. Era, come il fratello, Cesare e Principe della Gioventù; gli fu affidata la
pretura con l’imperium consolare. Rivestendo questi poteri avrebbe voluto dirigere lo Stato, ma
proprio per prevenire le sue ambizioni gli fu innanzitutto affiancato un mentore in cui
Vespasiano riponeva totale fiducia (Licinio Muciano). Questo avvenimento fu per Domiziano il
primo oltraggio nei suoi confronti. Il suo comportamento confusionario e vendicativo riuscì ad
irritare suo padre. Nonostante ciò, il suo nome accompagna quello del Vespasiano e di Tito sui
monumenti, e per molte volte egli ricopre il consolato con il padre durante il regno di quest’ultimo.
Malgrado questi onori, Domiziano considerava la condotta dei suoi congiunti come
ingiusta verso di lui. Sebbene associato al potere era stato lasciato in disparte e fu persino
coinvolto, durante il regno di Tito, in complotti tesi a sollevare gli eserciti contro l’imperatore.
-Campo istituzionale
Conservò l’entourage di suo padre e adottò per molto tempo lo stesso atteggiamento dei
suoi predecessori anche verso il Senato.
-Attività edilizie
Proseguì e portò a termine alcuni dei lavori:
-l’anfiteatro flavio (il Colosseo), che egli completò con una scuola di gladiatori;
-le terme di Tito;
-il tempio del Divo Vespasiano, ai piedi del Campidoglio;
-restaurò il Campidoglio e il quartiere del Campo Marzio, che erano stati danneggiati
dall’incendio delle guerre civili;
-intraprese la costruzione dell’arco di Tito;
-fece costruire anche una Domus Flavia sul Palatino, un palazzo imperiale che riuniva per la
prima volta residenza privata e ufficiale dell’imperatore.
LA VITA MUNICIPALE
Tra i criteri che distinguevano i barbari dagli altri uomini c’era la città: vivere in città si
meritava, e più che una tappa che permetteva di raggiungere un tipo di civilizzazione superiore,
l’ambiente cittadino era un punto di arrivo, il risultato di una vera conversione ad un altro modo
di vivere.
In Occidente, ad eccezione di alcune città d’origine greca o punica, la vita municipale ha
inizio con Roma, mentre ad Oriente è anteriore all’arrivo di Roma, quindi ricca di tradizioni e più
intensa e più varia.
L’impero restò per molto tempo un tessuto di città particolari e multiformi che non si
conosceva completamente.
STATUTI DI CITTÀ
Si distinguono tre tipi giuridici di città:
**I MUNICIPI
Un municipio è una città che succede ad una comunità di peregrini preesistenti, e a cui
Roma accorda o il diritto romano o quello latino. Quest’ultima distinzione deriva dalle condizioni
storiche in cui questo diritto è stato accordato (in un primo tempo, infatti, Roma accordava il
diritto romano anche ai municipi situati nelle province, mentre in un secondo momento – non si sa
se a partire da Claudio o da Vespasiano – furono creati solo municipi di diritto latino, anche se i
primi non sparirono).
Nei municipi a diritto latino le cariche municipali danno accesso alla cittadinanza romana.
Questo ha come conseguenza che in questi municipi si hanno due tipi di abitanti:
-quelli che, oltre alla cittadinanza del loro municipio, hanno anche quella romana
(conquistata o attraverso il loro mandato come magistrati, oppure individualmente per un favore
dell’imperatore);
-quelli che, pur rimanendo con la cittadinanza della loro piccola città, beneficiano di alcuni
vantaggi del diritto latino (di cui però non conosciamo tutti gli aspetti).
**Le COLONIE
A differenza del municipio, la colonia è una nuova città fondata con l’apporto di coloni che
vengono portati su terre prese a città o a popoli vinti. Questa creazione è fatta per lo più ex nihilo, e
la colonia adotta il diritto romano nella sua interezza.
Spesso le città sono anche divise in circoscrizioni, e i loro nomi variano a seconda della
provincia in cui si trovano, senza che si sappia sempre benissimo a quali realtà corrispondono: ci
sono, infatti, per esempio, i vici, i castella o gli oppia in Occidente.
Esistono inoltre delle circoscrizioni giudiziarie stabili che raggruppano una serie di città,
come i conventus, che sono estesi – sotto i Flavii – a tutta la penisola iberica.
L’Egitto, inoltre, non conosce assolutamente il regime di città.
CONSEGUENZE DEGLI STATUTI DI CITTÀ
Si stabiliscono delle vere e proprie gerarchie e delle emulazioni tra città:
-le città peregrine aspireranno al diritto latino e a diventare municipi;
-i municipi aspireranno al diritto romano delle colonie.
ISTITUZIONI MUNICIPALI
Prima di parlare delle istituzioni municipali dobbiamo precisare che le città peregrine
conservano i loro magistrati e le loro leggi specifiche: Atene, per esempio, ha mantenuto le sue
istituzioni, i suoi arconti, il suo calendario e le sue feste, anche se le sue magistrature militari sono
scomparse o si sono trasformate (lo stratego degli opliti, per esempio, ora si occupa
dell’approvvigionamento del grano).
Le città indigene, come quelle occidentali, sono, invece, trascinate verso il modello del
municipio o della colonia e, in questi ultimi due casi, le istituzioni sono ricalcate su quelle di
Roma: il corpo civico, il populus, si definisce come una respublica; è ripartito in curie che riuniscono
i comizi, i quali eleggono poi i magistrati della città. Per aiutare questi, esiste un senato locale,
L’ORDINE DEI DECURIONI. La sua grandezza varia in dipendenza dell’importanza della città, ed è
composto da ex magistrati e da notabili ricchi del posto che hanno il carico di tutti i servizi
municipali: sono i decurioni a decidere con un decreto se bisogna inviare una ambasceria, erigere
una statua o costruire un punto, organizzare uno spettacolo, distruggere un edificio pubblico, etc.
Questi notabili ricchi locali, che si legano tra di loro continuamente attraverso matrimoni,
per mantenere il loro monopolio, hanno qualità che non si fondano solo sulla ricchezza, e
costituiscono un vivaio da dove l’imperatore attinge nuovi membri dell’ordine equestre.
L’unica cosa che mancava ai provinciali era il potere supremo, che avranno solo nel secolo
successivo.
II SECOLO D.C.
LA DINASTIA DEGLI «ANTONINI»
Si usa chiamare gli imperatori successivi a Domiziano, che furono tutti «italo-provinciali»,
con un nome creato a partire dal quarto imperatore della dinastia. Quest’ultima ebbe un prologo
(Nerva) e quattro atti (Traiano, Adriano, Antonino, Marco Aurelio), seguiti da un epilogo tragico
(Commodo).
Si può inoltre distinguere gli Antonimi secondo la dinastia spagnola (che comprende Nerva,
Traiano e Adriano) e la dinastia narbonense (che comprende Antonino, Marco Aurelio e Commodo).
Tuttavia, un ammutinamento dei pretoriani, che umiliò l’imperatore nel suo palazzo, svelò
una debolezza, quella della successione e una minaccia, cioè l’atteggiamento dell’esercito. Nerva si
liberò dell’una e dell’altra annunciando che avrebbe adottato il legato di Germania Superiore
Traiano. Su richiesta di Nerva, quest’ultimo rimase sul Reno. Nerva, invece, morì nel 98. Era stato
un imperatore provvisorio, ma perspicace, accorto e realista. Costretto dalle circostanze, aveva
sostituito l’adozione alla filiazione naturale (com’era accaduto sotto i Flavii) e aveva preferito un
uomo scelto per i suoi meriti anziché un parente (ne avrebbe avuti). Questo a meno che la storia
dell’adozione non sia supposta, e che non siano stati in realtà un gruppo di militari e alcuni
Spagnoli ad imporre Traiano.
34
Un’iscrizione proclamò che egli aveva restaurato la libertas il giorno stesso del suo avvento.
Per la prima volta un uomo delle province era imperatore. La sua carriera si era svolta
interamente sotto i Flavii, e fu contrassegnata da una notevole predilezione per i posti militari,
cosicché egli rimase per dieci anni tribuno di legione al posto dell’anno abituale.
Traiano si era dimostrato leale in ogni occasione con gli imperatori regnanti e si era
guadagnato grande fama come comandante di esercito. La sua vita, insomma, fu segnata dai campi
militari, ma oltre ad essere soldato fu bravo anche come amministratore.
Condusse sempre una vita abbastanza semplice, lontana da ogni magnificenza: la sua entrata
nell’Urbe avvenne molto semplicemente a piedi, senza protezione e in mezzo alla folla festante.
Aveva modi cordiali, decideva con chiarezza e rapidamente; era ubbidiente nei confronti dei
senatori e dei magistrati, cortese verso i suoi sudditi. A più di 60anni percorse l’Eufrate a nuoto.
Accettò di essere chiamato Optimum, titolo che condivideva con Giove. Pur essendo di
costumi semplici, dunque, Traiano aveva un’idea altissima della sua funzione.
-Guerre daciche
Le cause sono abbastanza oscure, ma già a partire dal regno di Domiziano sappiamo che il
pericolo dacico esisteva: la paura dei barbari, l’insicurezza che si respirava, e anche la gloria
militare sarebbero stati i motivi principali a spingere ad una spedizione.
-Guerra d’Arabia
Il regno dei Nabatei, un popolo commerciante dell’Arabia antica, minacciava le relazioni
tra l’Egitto e la Giudea; faceva anche pagare una forte tassa ai mercanti romani che volevano
recarsi nella zona del Mar Rosso. Il motivo della spedizione è strategico (sopprimere il corridoio
di Gaza), ma anche politico ed economico.
-Guerre partiche
Per gli antichi si trattava di ambizioni personali di Traiano, che voleva cercare di eguagliare
le imprese di Marco Antonio e di Cesare; ma ci sono anche considerazioni strategiche da fare:
l’intenzione di aggiustare le frontiere per meglio proteggere la Siria. Oltre a ciò, ragioni
economiche dovute al controllo delle vie commerciali.
-Ideologia: portata avanti in opere come il Panegirico di Plinio il Giovane (che sostiene che «per
la prima volta [comprendo] che il Principe non è al di sopra delle leggi, ma che le leggi sono al di
sopra del Principe»), un discorso di ringraziamento, e come i Discorsi sulla regalità di Dione Di
Prusa (detto Crisostomo, «Bocca d’oro»). Questi testi fissano i grandi tratti del principe ideale, che
per Plinio governa in accordo con il partito senatorio ed è stato scelto dalla provvidenza divina,
dunque agisce in armonia con la divinità suprema. Egli governa su uomini liberi, non su schiavi. E
l’amministrazione degli affari dello Stato deve essere portata avanti da amici e da nobili. Con
Traiano, insomma, l’imperatore è l’agente di Giove sulla terra, investito del suo potere e
incaricato di governare su tutti gli uomini in suo nome.
-L’amministrazione: grande importanza degli amici dell’imperatore (tra cui troviamo gli
Spagnoli, gli intellettuali e i tecnici) e del Consiglio che hanno in comune la competenza
amministrativa e la fedeltà nei confronti del sovrano. L’apparato amministrativo viene inoltre
perfezionato a vantaggio dei cavalieri, tanto che i grandi uffici centrali sono diretti dai cavalieri.
-Le finanze: la situazione tesa che aveva dominato il periodo di Domiziano prosegue
malgrado l’apporto del bottino delle guerre daciche e delle miniere d’oro di questo paese.
All’inizio del suo regno, Traiano pratica una politica popolare di assoluzione degli arretrati e di
rifiuto dell’aurum coronarium (che le province offrivano sempre ad un nuovo imperatore), ma le
costruzioni, l’aumento del numero dei funzionari, le spedizioni militari e i soldati costano
parecchio.
Nel complesso poche sono le novità rispetto al regno di Domiziano (tranne l’istituzione della
dogana e la riscossione del ventesimo dell’eredità dei funzionari amministrativi). Solo sviluppi,
ritocchi e sistemazioni.
Egli, che preparava le sue campagne militari con minuzia e precisione, si dimenticò,
paradossalmente, di pensare ad un suo successore.
-Autoritarismo più marcato: il suo regno si caratterizza con una certa concentrazione del potere
nelle sue mani (anche se egli non è stato autore delle messe a morte dei quattro consolari fedeli di
Traiano).
35
La sua infatuazione per essi si concretizza con la sollecitazione del culto di un certo Antinoo, un giovane schiavo del
suo entourage che era annegato nel Nilo ed era diventato un dio al quale l’imperatore incoraggiò che si credesse.
assicurarsi delle condizioni dei limites, delle loro riorganizzazioni;
assicurarsi del morale delle truppe, della loro lealtà e disciplina (che sotto il
regno di Adriano diventa una «astrazione personificata» di cui si alimenta il culto),
nonché della loro competenza;
assicurarsi dell’atteggiamento dei provinciali;
poter dare sussidi alle province che ne avessero avuto bisogno.
-Cambiamento di strategia: le conquiste di Traiano erano troppo estese per essere trattenute
con successo, anche perché evidentemente non c’erano riserve di uomini a sufficienza. Adriano,
allora, in Oriente terminò la ritirata iniziata da Traiano; altrove proseguì una politica di
consolidamento in quanto l’impero doveva essere molto pronto a difendersi.
-Una legislazione imponente: in particolare egli si occupò del campo privato, ma la sua attività
legislativa abbracciava tutti i settori (per i militari, i criminali, gli schiavi, ma fissò anche le regole
per portare la toga).
-La successione: Adriano organizzò la sua successione in maniera assai curiosa, tanto che da
sempre suscita curiosità e l’ingegnosità degli eruditi: adottò suo nipote acquisito Antonino, che
dovette poi adottare un bambino di 7 anni, Vero, e un giovane uomo di 17, il futuro Marco
Aurelio. Dal 138, sempre più ammalato, abbandonò l’incarico del potere a colui che lo avrebbe
dovuto rimpiazzare.
-Guerra contro i Parti: il re del popolo dei Parti scatenò una doppia offensiva, prima in
Armenia e poi in Siria. Le legioni romane furono battute. La replica fu consequenziale: Lucio
Vero spedì alcune nuove legioni, che mise alla guida di generali di valore come Avidio Cassio. In
questo modo, l’Armenia fu riconquistata e i Parti cacciati dalla Siria. Nel 166 è conclusa una pace
con i Parti che ebbe come conseguenze:
***un grande comando militare in Egitto è affidato ad Avidio Cassio;
36
Tra maestro e allievo si sviluppò una lunga corrispondenza, che ci è giunta. Lo scolaro era di rara serietà, e a 14 anni
optò per lo stoicismo: tutta la sua vita rimane fedele a questa morale. Praticherà esercizi e riflessioni che metterà poi per
iscritto nei Pensieri, scritti in greco, che sono l’ultimo esempio dello stoicismo antico.
***dall’Oriente viene portata in Occidente la peste dall’esercito.
Lo stesso anno Marco Aurelio spedisce alcune legioni nel nord dell’Italia, dove si
presentava un nuovo pericolo, sul Danubio, questa volta. L’imperatore annunciò che sia lui che
Lucio Vero avrebbero dovuto lasciare la capitale.
-Guerre danubiane: mal conosciute, trovano la loro origine nei lenti movimenti dei popoli
germanici. Per ragioni di sovrappopolazione i Germani di Scandinavia si erano messi in marcia
verso il sud, premendo sui Germani dell’Europa orientale e centrale. Ai loro occhi, una sola
soluzione: rifugiarsi nell’impero romano con le buone o con le cattive. Ne seguirono parecchie
guerre – «fluttuanti» secondo gli storici – che si possono raggruppare in due serie (167-175 e 177-
180) separate da un periodo di calma precaria (tra il 175 e il 177).
167 – La peste sta devastando Roma. I Longobardi invadono la Pannonia e il Norico; gli
Iazigi attaccano le miniere d’oro in Dacia. La situazione viene fortunatamente ristabilita.
169 – Muore Lucio Vero. Marco Aurelio fa ritorno nella capitale per celebrare i
funerali e l’apoteosi. In autunno, però, egli è nuovamente sul Danubio. I Romani
organizzano un’importante offensiva sul Danubio, ma si rivela un disastro: l’Italia
del nord è completamente occupata dai Quadi e dai Marcomanni. Ben assecondato da
eccellenti generali, tuttavia, Marco Aurelio respinge gli invasori.
Marco Aurelio sembra determinato a creare nuove province ma viene a sapere che
Avidio Cassio si è proclamato imperatore e le province d’Oriente sono passate dalla
sua parte.
-La direzione degli affari si ispira alla condotta di Antonino; intrattiene buoni rapporti con il
Senato; assistiamo alla continua ascesa dei funzionari equestri; conferma del Consiglio
imperiale; Marco Aurelio lavora anche per risolvere i problemi fiscali con numerosi tentativi;
promuove spesso uomini di talento ma di modesta origine sociale o provinciale (come Pertinace
o Pescennio Nigro); estende la legislazione imperiale (durante il regno abbiamo più di 300 testi
di legge, e più della metà riguarda donne, bambini e schiavi).
-L’avvento di Avidio Cassio37, che si fece proclamare imperatore usurpando il potere, avvenne a
causa del fatto che l’imperatore gli aveva affidato un comando superiore nelle province orientali.
L’esercito, comunque, restò leale, e non ci fu guerra civile.
-I martiri cristiani: i regni precedenti ne avevano conosciuti alcuni, ma non ebbero la stessa
fama delle vittime sotto Marco Aurelio. Da Traiano e Adriano, la politica nei confronti dei Cristiani
non era cambiata: in teoria il governatore deve condannare ogni cristiano denunciato in modo
anonimo, che persista nella sua fede; in pratica, siccome l’iniziativa non viene mai dal potere
pubblico, non ci fu né persecuzione generale né ricerca sistematica dei Cristiani. L’imperatore,
tuttavia, non provava alcuna simpatia per i Cristiani, esattamente come la maggior parte degli
intellettuali dell’epoca.
37
Proclamatosi imperatore nel 175 d.C. poiché era giunta in Oriente la falsa notizia della morte di Marco Aurelio, Avidio
Cassio fu ucciso nello stesso anno dopo essere stato proclamato nemico pubblico dal Senato romano.
lascia governare a suo nome, per dedicarsi invece ad una vita completamente dissoluta, cioè piena
di vizi.
182-185 – GOVERNO DEL PREFETTO DEL PRETORIO TIGIDIO PERENNE. Quest’ultimo era
assai competente sul piano militare: sorvegliò con attenzione le frontiere, ma intraprese una
politica fin troppo personale favorendo i cavalieri contro i senatori e avrebbe tentato perfino di
elevare suo figlio alla porpora. Viene massacrato dai soldati.
190-192 – Complotti vari, veri o falsi, omicidi, amanti (in particolare Marcia), e intrighi
formano la trama politica di questi anni. Commodo mostra i segni di una follia mistica: pretende
di essere Ercole, rifonda la città di Roma che perde il suo nome e diventa una colonia commodiana;
chiama le flotte, le legioni, la città di Cartagine e i mesi dell’anno con epiteti che si attribuisce,
come Exsuperatorius («colui che domina su tutti»), titolo che denota un’influenza dell’astrologia
orientale e della riflessione teologica greca.
Mise a morte diverse personalità. Tre di queste future vittime, tra cui la sua amante Marcia,
superarono in velocità Commodo, lo avvelenarono e lo strangolarono il 31 dicembre del 192.
**Pertinace
Era originario della Liguria, figlio di un liberto; aveva condotto la carriera equestre prima di
essere ammesso al Senato sotto Marco Aurelio, ed era poi arrivato al vertice della carriera
senatoria, la praefectura urbi.
Preoccupato delle finanze, attento alla situazione economica quanto alle incursioni
barbariche, era determinato ad applicare misure in grado di restaurare la potenza dello Stato.
Ma per fare ciò doveva riprendere il controllo dei pretoriani: una parte di questi ultimi, infatti,
invade un giorno la reggia imperiale, e nonostante il suo coraggio, Pertinace fu assassinato.
**M. Didius Iulianus: l’impero al miglior offerente
Questa rivolta non aveva alcuna pretesa politica: non sapendo peraltro che fare del loro
crimine, e siccome l’Impero non poteva rimanere senza imperatore, i pretoriani lo misero all’asta al
miglior offerente. Tra due contendenti fu il ricchissimo senatore M. Didius Iulianus a prevalere.
Milanese di origine, aveva compiuto una carriera senatoria esemplare, che era poi culminata con il
proconsolato d’Africa. Possedeva esperienza e relazioni, ma accolto con freddezza dal Senato,
insultato dal popolo, non poteva contare a Roma che sui pretoriani.
Viene a sapere che due sollevazioni militari avevano avuto luogo in Pannonia 38 e in Siria39, e
che rispettivamente Settimio Severo e Pescennio Nigro erano stati proclamati imperatori. Il Senato
li dichiarò allora nemici pubblici.
**Ritratto
Era nato in Tripolitania. Sia dal lato materno che da quello paterno i suoi parenti erano
notabili che si aiutavano spesso tra di loro (un cugino di suo padre, per esempio, gli fa ottenere il
laticlavio). La sua carriera politica lo porta dal Senato fino al consolato nella Pannonia Superiore.
Curiosamente, questo imperatore che farà molto per i suoi soldati non era mai stato tribuno
militare e non aveva ricevuto che tardi i primi comandi militari. Innanzitutto, infatti, fu un
amministratore energico. Conosceva bene l’impero, e aveva rapporti stretti con Pertinace.
Ricevette una formazione da giurista e da retore (parlava latino e greco oltre al punico).
Sposa in seconde nozze Giulia Domna, da cui avrà due figli: Caracalla, nato a Lione; e Geta, nato a
Roma.
Del suo carattere si distinguono: attaccamento alla famiglia, alla sua città di origine; la facilità
nel crearsi amicizie e relazioni che sapeva utilizzare bene; fiducia totale nell’astrologia, che gli
dettava spesso la sua condotta; interesse per l’antichità e per la vita intellettuale.
38
Una zona dell’Europa centro-orientale, compresa tra il Danubio e il fiume Sava, che scorre tra la Croazia e la Slovenia.
39
Si trova nel bacino orientale del Mediterraneo, proprio sotto la Turchia; confina ad est con l’Iraq e a sud con la
Giordania.
-militare, perché possedeva 9 legioni;
-economico perché aveva il sostegno dell’Egitto;
-diplomatico in quanto aveva appoggi tra i re orientali e tra i Parti.
Aveva già lanciato una sua offensiva contro i Parti ed aveva conquistato la città di Bisanzio.
Settimio Severo, circondato dai suoi marescialli, invade la città di Bisanzio e riporta due
vittorie che provocano il passaggio dalla sua parte dell’Egitto, dell’Arabia e di altre città siriache,
che verranno poi punite da Nigro.
Battuto nuovamente, Nigro ripiega su Antiochia, battuta anch’essa e poi conquistata dalle
truppe di Severo. Cerca rifugio sull’Eufrate, ma proprio qui viene catturato e ucciso. La Siria,
troppo pericolosa e ambiziosa per la scalata alla porpora, fu divisa, e Antiochia, la città di
Pescenngio Nigro, fu duramente punita.
In meno di due anni, Settimio Severo era riuscito a far tornare la pace e l’impero era di
nuovo unito.
Secondo Cassio Dione, inoltre, Severo era il più intelligente tra i pretendenti: seppe meglio
di chiunque apparire come il vendicatore di Pertinace, usare tutti i mezzi di cui disponeva,
animare un solido gruppo di amministratori e di generali.
Nel 198, cento anni dalla morte di Traiano, Severo viene nominato – esattamente come
Traiano – Parthicus Maximus. Nello stesso giorno, suo figlio Caracalla riceve il titolo di Augusto e il
cadetto Geta, invece, quello di Cesare.
-In Egitto (199-200) il suo viaggio imita per molti aspetti quello di Adriano. Severo si
comporta da turista, da religioso e ispeziona l’amministrazione. In quest’ultimo campo dà
all’Egitto un Senato municipale, che sistema ad Alessandria, così come alle altre principali città
della provincia. Permetterà per la prima volta agli egiziani di entrare in Senato a Roma.
Ritorna poi in Siria, e assumerà il consolato ordinario in coppia con il figlio Caracalla ad
Antiochia (è la prima volta che due imperatori sono consoli ordinari contemporaneamente e
fuori Roma). Passando per l’Asia minore ritorna a Roma, che aveva lasciato 5anni prima, e qui
festeggia i Decennalia (dieci anni dalla salita al trono).
-Viaggio in Africa, la cui esistenza è spesso contestata da alcuni storici. Altri, invece, prendono
la notizia come vera basandosi su monete, iscrizioni e testimonianze archeologiche, e lo collocano
nel 202. Viaggio o non viaggio, comunque sotto Settimio Severo l’organizzazione militare della
provincia d’Africa è portata alla perfezione.
-Soggiorno a Roma. Fu il più lungo periodo che Settimio Severo trascorse nella capitale, e va
dal 203 all’inizio del 208. Presiede in questo periodo i Giochi Secolari; ad essi la popolazione
giunse da tutto l’impero per celebrare la fine di un secolo e festeggiare l’inizio di un altro. Furono
Caracalla e Geta ad inaugurare il III secolo d.C.
Settimio Severo fece restaurare il Tempio della Pace e iniziò alcune costruzioni, allargando la
pianta di marmo della città; redasse un’autobiografia e risolse con l’assassinio le ambizioni del
prefetto del pretorio, suocero di Caracalla.
2)MONARCHIA EREDITARIA
Settimio Severo si era presentato come vendicatore di Pertinace, ma questo passo non era
certo sufficiente per legittimare la sua ascesa al trono. Doveva in qualche modo ricollegarsi alla
dinastia degli Antonimi, ma in che modo? Con una adozione retroattiva, dunque fittizia. Si
proclama, infatti, figlio di Marco Aurelio e fratello di Commodo. Da questo momento, allora, i
suoi ritratti assomiglieranno di più a quelli degli «antenati», e le iscrizioni faranno risalire la sua
genealogia fino a Nerva, di cui diventa discendente.
Era impensabile poi che rimanesse anche il fratello di un imperatore non divinizzato, e
anche questa lacuna fu presto colmata.
Insieme ai due figli Caracalla e Geta, Settimio Severo associa al proprio potere anche la
moglie, Giulia Domna; come imperatrice, è chiamata Felix, ma anche madre degli Augusti, madre
degli accampamenti o madre del Senato. Con i suoi due figli accompagna il marito in tutte le
spedizioni (sia in quelle in Oriente che in Britannia). Dappertutto si spandono le immagini della
famiglia imperiale e il nome della coppia e dei loro discendenti.
Sempre per quanto riguarda la famiglia, anche i due rami della famiglia di Severo (quello
africano e quello siriaco) beneficiarono dei favori imperiali (il fratello dell’imperatore realizza una
carriera che non avrebbe potuto percorrere senza queste protezioni).
Tutto ciò ha come conseguenza la modifica del culto imperiale in un senso più
assolutistico, rilanciando così una istituzione che cominciava a dare qualche segno di affanno. Il
culto degli imperatori viventi è sempre più correlato a quelli morti; Severo, invece, è assimilato
spesso a Giove (dal quel è stato investito) o a Helios, ma anche ad altre divinità. L’imperatore era
ormai chiamato dominus, e aggettivi come «sacro» o «divino» si applicano spesso a tutto ciò che
egli tocca, per esempio. Egli, e con lui la propria famiglia, appartiene al mondo degli dei.
Anche l’astrologia, della quale Severo è un adepto, si lega particolarmente alla figura
dell’imperatore, che deduce da essa molte delle sue mosse.
3)MONARCHIA ANTISENATORIA
Dai primi anni del suo regno, e soprattutto dopo le purghe che ci furono in seguito alla
sconfitta di Albino, Severo intrattiene rapporti tesi con il Senato. Quest’ultimo, inoltre, verrà molto
indebolito dall’imperatore, il quale:
-sceglie personalmente il praefectus urbi, regolamentando e limitando questa funzione,
senatoria per eccellenza;
-confisca molti dei beni dei senatori;
-sceglie di persona nuovi senatori.
Nonostante ciò, il Senato continua a godere di un enorme prestigio sociale e culturale, ma la
conferma del suo declino politico la si nota anche nella ascesa dell’ordine equestre, la cui
preponderanza è incontestabile.
C’è inoltre da sottolineare come spesso si sia creduto che Settimio Severo abbia avuto molti
riguardi verso il popolo, cosicché si è parlato anche di politica sociale e popolare: egli avrebbe infatti
molto spesso raccomandato ai funzionari di rango equestre (tra cui il prefetto del pretorio) di
ascoltare la città, i suoi bisogni, e i lamenti degli schiavi quanto quelli dei padroni.
4)MONARCHIA ASSOLUTA
A partire da Settimio Severo si svela tutto l’assolutismo intrinseco del regime imperiale
(che fino ad allora si era nascosto dietro un paravento di istituzioni e abitudini): l’orazione
dell’imperatore di fronte al Senato, è fonte del diritto, e i giuristi che circondano l’imperatore
mettono la loro scienza al servizio del potere, affermando che «ciò che piace al principe ha sempre
valore di legge», che «il principe è al di sopra di tutte le leggi».
Il numero degli uffici e degli impiegati aumenta, e l’impero inizia a burocratizzarsi. La res
privata, cioè l’amministrazione dei beni personali dell’imperatore, gonfiata dalla confisca dei beni
degli oppositori, ha raggiunto una tale estensione che è divenuta un vero e proprio ufficio,
distinto dai beni della corona, cioè il patrimonium.
**Caracalla
Caracalla40 e Geta erano nati ad un anno di distanza, e si detestavano. Al maggiore non
interessavano le cose dello spirito, ma solo la vita militare: era del resto amato dai soldati, che gli
avevano dato il suo soprannome, «Caracalla», il nome del mantello gallico che gli piaceva
indossare. Gracile, dai nervi fragili, brutale fino alla crudeltà, irascibile, detestato dai senatori e
dalla tradizione letteraria unanime, venerava Alessandro ed era un devoto della dea Serapide,
della quale si considerava vicario, e seguiva gli dei guerrieri e le cure miracolose.
**Geta
Avendo avuto una carriera più lenta del fratello, Geta è presentato dagli autori antichi come
più dolce e riflessivo. Aveva l’appoggio dei senatori, e anche sua madre Giulia Domna lo preferiva
a Caracalla.
**Giulia Domna
Bella, intelligente, ha esercitato un’influenza non trascurabile sul piano della politica
imperiale (prima di essere soppiantata da Plauziano 41). Rinunciando poi alla vita civile, Giulia
Domna si consacrò agli studi letterari, alla filosofia. Si dilettava nel suo «salotto letterario» nel
quale si riunivano medici, studiosi, giuristi e scrittori. Si circondò di orientali, spinse in alto la sua
famiglia (in particolare Giulia Mesa), e vigilò con attenzione sul destino dei suoi figli.
(Eliminato Plauziano) riprese il suo posto al fianco del marito, che accompagnò dovunque,
anche nella sua ultima missione in Britannia.
1)Opera interna
**Militare:
-reclutamento più indulgente;
-aumento del soldo;
-aumento dei vantaggi al congedo dalle battaglie.
**Amministrativo:
In generale, l’aumento del numero dei funzionari segnala la continuità della politica paterna.
**Fiscale e finanziario:
40
Il vero nome era Bassianus, ma dopo che il padre aveva annunciato la sua adozione retroattiva e si era proclamato figlio
di Marco Aurelio e fratello di Commodo, fu chiamato Marcus Aurelius Antoninus prima di essere nominato Cesare.
41
Prefetto del pretorio, aveva fatto carriera grazie alla conoscenza di Settimio Severo.
Alla morte di Settimio Severo le casse dello Stato erano sane. Ma per poter continuare a
pagare le spese militari, i principi barbari perché conservassero l’alleanza con Roma, i grandi
lavori (le terme sull’Aventino, le strade) erano necessarie altre misure, così furono aumentate
alcune imposte e fu introdotta la possibilità di prelevare l’imposta in natura o in lavoro.
Queste misure fiscali furono accompagnate da una doppia riforma finanziaria:
-svalutazione della moneta in oro;
-creazione di una nuova moneta, l’Antoninianus, un pezzo d’argento più pesante del denaro
«tradizionale», che venne svalutato: valeva nell’uso 2 denari.
**Civile:
È in campo civile che abbiamo la riforma più importante di Caracalla, cioè la cosiddetta
Constitutio Antoniniana del 212, chiamata anche «editto di Caracalla», che consisteva
nell’estensione della cittadinanza romana «a tutti i peregrini che sono sulla terra, salvo per i
dediticii».
In questo modo, tutti gli abitanti liberi del mondo romano, divenuti cittadini romani a tutti
gli effetti, potevano conservare i loro costumi, il loro diritto indigeno, per quanto desideravano.
Solo i dediticii non beneficiavano di questo vantaggio, nonostante fossero diventati anch’essi
cittadini romani.
Questa costituzione segna l’esito della politica di romanizzazione, e non imponeva in alcun
modo il diritto privato romano.
I motivi di questo editto sono stati molto discussi, e parecchie motivazioni sono da prendere
in considerazione:
-In primo luogo ragione economica e finanziaria, quella che già Cassio Dione invocava, cioè il
fatto che i peregrini divenuti cittadini romani dovevano pagare l’imposta sulla successione,
proprio quella che durante il regno di Caracalla era stata aumentata.
-In secondo luogo l’opinione di giuristi e burocrati che sostengono che un impero in cui lo
status delle persone era più uniforme alleggeriva il lavoro di uffici e tribunali.
-In terzo ed ultimo luogo motivi religiosi, perché questa costituzione favoriva l’unità
religiosa (per molti storici questa sarebbe la motivazione principale che avrebbe spinto Caracalla
all’editto).
**L’arrivo a Roma
Dopo un breve soggiorno ad Antiochia e l’uccisione di membri dell’amministrazione
collaboratori di Macrino, le principesse siriache e i loro figli raggiungono Roma. Il viaggio dura un
anno, e spesso assume l’andatura di una processione religiosa, in quanto fu trasportato anche il
simulacro di pietra nera (non volendo il giovane imperatore separarsi dal suo idolo).
Elagabalo fece il suo ingresso solenne a Roma, e sembrò aver l’unica preoccupazione di
introdurre il suo dio.
**Difficoltà
-la situazione finanziaria si deteriora;
-i Germani sono di nuovo aggressivi;
-si intravede ostilità nei confronti dell’imperatore da parte dei pretoriani, dell’esercito e
anche del Senato;
-Giulia Mamea, la zia di Elagabalo, intriga per far salire presto sul trono suo figlio Alexiano.
-dal punto di vista morale i costumi ritornano alla sobria semplicità dei regni prima di
Elagabalo. Le promozioni scandalose vengono annullate, revocate, ma numerosi altri personaggi
dell’entourage di Elagabalo rimangono in carica.
Intorno alle principesse siriache tornano i giuristi, ed è verosimilmente a loro che si deve una
politica umanitaria: limitazione dei processi di lesa maestà; miglioramento della situazione degli
schiavi; rinascita delle istituzioni alimentari, etc.
-la reazione senatoria. Secondo l’Historia Augusta Severo Alessandro avrebbe ridato potere
politico al Senato. Per molto tempo questa informazioni è stata ritenuta possibile, ma oggi è
ricordato solo un episodio in questo senso, e cioè l’istituzione – nel 222 – di un Consiglio di
Reggenza composto di (16) senatori. Ma per il resto, nella tradizione severiana si riscontrano
soprattutto riforme che rafforzano il potere dell’ordine equestre: alla testa delle province imperiali,
al posto dei senatori, sono nominati dei cavalieri.
-dal punto di vista religioso, tutti gli emblemi che Elagabalo aveva introdotto intorno al betilo 42
sono rimandati indietro. Gli dei dell’Urbe riacquistano la loro importanza e Giove Vendicatore si
insidia al posto del tempio consacrato ad Elagabalo.
È certo che Giulia Mesa incontrò cristiani di primo piano, e che Ippolito di Roma, sacerdote, le
dedicò un trattato sulla resurrezione. Al posto dell’enoteismo di Elagabalo si profila allora una
sorta di sincretismo43 religioso.
-nella politica estera appaiono nuove minacce: in Oriente i Persiani Sassanidi travolgono i Parti
per cercare di ristabilire un grande impero persiano nei suoi antichi confini. Essi si appoggiano –
da fanatici – ad un libro sacro tramite il quale volevano imporre la religione di Zoroastro, esclusiva
e intollerante. Alla loro testa stava un principe di grande valore, Artaserse, che aveva preso il
potere in Persia e da allora si sforzava di ricostruire l’antico impero achemenide.
I Persiani invasero la Mesopotamia, lanciando attacchi nelle province di Siria e in
Cappadocia. L’imperatore aveva il dovere di intervenire, ma lo fece a malincuore, dopo aver
cercato di negoziare. Severo Alessandro si trovò così ad Antiochia con una forza di spedizione
divisa in tre parti: una a nord, l’altra a sud, e nella parte centrale dell’esercito comandava
l’imperatore stesso.
Solo l’esercito a nord riuscì a portare a compimento la sua missione, anche se il trionfo fu
comunque difficile. Gli altri due, invece, ripiegarono. La propaganda imperiale, però, riportò il
fatto come se ci fosse stata una seria vittoria.
Quando l’imperatore stava preparando una nuova spedizione contro i Persiani, venne a
sapere che i Germani avevano superato Reno e Danubio e che avevano assalito alcuni campi.
Curiosamente Artaserse non ne approfittò; Severo Alessandro raggiunse Roma e partì poi per la
Germania.
Iniziano allora le operazioni contro gli Alamanni. Sono riportati inizialmente piccoli successi,
ma l’imperatore tergiversa e rifiuta di lanciare una grande spedizione. Disorientati, i soldati si
ammutinano sotto il comando di un trace, Massimino. L’imperatore non reagì, lasciandosi allora
uccidere nella sua tenda dai ribelli. Anche sua madre Giulia Mamea e i loro partigiani furono
massacrati.
Finiva così il regno dei Severi, quelli africani e poi i siriaci.
42
Pietra conica naturale.
43
Compresenza di elementi religiosi di forme religiose anche incoerenti tra di loro.
-si diffonde e si rafforza sempre più il culto per Giove Dolicheno, divinità legata soprattutto
al mondo militare che, però, dopo i Severi crolla improvvisamente (se si presta fede alle iscrizioni).
Questa oscura orientalizzazione porta a due tendenze, una delle quali che potrebbe
ricondursi alle due politiche religiose di Elagabalo e di Severo Alessandro: Elagabalo aveva
affermato la superiorità del dio Sole sulle altre divinità (enoteismo); Alessandro, invece, metteva
tutte le divinità sullo stesso piano, senza privilegiarne o escluderne altre (sincretismo).
Ma un’altra tendenza dell’orientalizzazione è l’espansione del cristianesimo. Dai tempi di
Marco Aurelio la condizione giuridica dei cristiani non si era modificata, ma Settimio Severo vietò
il proselitismo giudaico e cristiano, dando luogo, così, al primo atto giuridico direttamente
portato contro i cristiani.
Nonostante ciò, i Severi mostrarono poi una neutralità talvolta benevola verso il
cristianesimo. E le testimonianze mostrano un aumento crescente di credenti in tutte le regioni
dell’impero (anche se l’Oriente rimane la prima terra cristiana per importanza), e in tutte le classi
della società. I cristiani cominciano dunque a partecipare alla vita economica, ma anche a quella
politica, tuttavia vogliono viverla da cristiani.
44
Alcuni tra i filosofi di quest’epoca, Alessandro di Afrodisia (detto l’Esegeta), Sesto empirico (medico greco che criticò
tutte le sette filosofiche per arrivare alla filosofia dell’esperienza).
CRISI DEL 235-284 D.C.
A partire da questo anno l’impero precipita in una crisi della quale è impossibile negare la
gravità e la portata generale. La ricerca recente tende a porre dei limiti a questo crollo, e constata
l’esistenza di reazioni. La caduta, comunque, fu progressiva e lunga. Questo declino è scandito dai
vari regni imperiali.
**Decio (249-251)
Tra gli usurpatori non va però annoverato Decio, che riuscì a prendere e mantenersi il potere
per 3anni. Per far credere che a Roma andasse tutto bene fece costruire delle terme e scatenò per
superstizione una guerra contro i cristiani. Ma gli dei fecero orecchio da mercante per Decio,
infatti: la peste dilagò nell’impero e i barbari (i Goti) nei Balcani. Essi imposero una disfatta
all’esercito romano nella regione costiera del Mar Nero.
Decio morì in combattimento affrontando il nemico, e questo di sicuro gli evitò di essere
assassinato.
**Valeriano (253-260)
L’impero sprofondava letteralmente nella crisi: i barbari si facevano sempre più minacciosi, e
i regni dei vari imperatori sempre più brevi. Ma l’impero non era arrivato ancora al fondo della
rovina. Fu infatti col regno di Valeriano che fu toccato il fondo. Questo sovrano apparteneva
all’illustre aristocrazia; aveva percorso la carriera senatoria, ma tutto ciò non gl’impedì di subire le
critiche dei suoi colleghi. Egli fu più sfortunato che male intenzionato.
Gli assalti dei barbari investivano parecchi punti delle frontiere:
-i Goti attaccarono la Grecia e l’Asia;
-Franchi e Alamanni attaccarono la Gallia.
Valeriano inviò contro di loro il figlio, già associato al potere, che li respinse. Ma fu in Oriente
che si ebbero i più gravi danni: le truppe del re persiano Sapor si gettarono sulla provincia di
Siria almeno in tre riprese.
È certamente intorno al 260 che si ebbe la fase più tragica della crisi, durante la quale si
assommavano usurpazioni e le invasioni dei barbari (in particolare gli Alamanni che invasero la
Gallia minacciando l’Italia).
L’umiliazione suprema si consumò quando l’imperatore Valeriano fu catturato dai
Persiani e messo a morte nel 260; le sue spoglie furono esposte nelle principali città dell’Iran.
Sapor si poté vantare delle sue imprese e di questa vittoria totale sui romani nella celebre iscrizione
Res Gestae Dvi Saporis, sul modello – naturalmente – delle Res Gestae Divi Augusti.
-CRISI MILITARE
Si trattò in gran parte di una crisi militare: per la prima volta i nemici attaccarono insieme e su
più fronti contemporaneamente, con attacchi incessanti (i Germani a nord sia sul Reno che sul
Danubio, i Persiani ad est, etc); gli imperatori dovevano correre da una parte all’altra dell’impero
senza sosta; questa situazione incoraggiò poi alla rivolta anche altri popoli.
La sconfitta fece percepire anche problemi a livello della strategia militare augustea: una volta
sfondati i confini, i barbari non incontravano alcun ostacolo da superare, perché l’esercito era posto
solo sulla linea di demarcazione tra l’universo romano e quello barbaro. D’altra parte l’esercito non
disponeva di riserve di effettivi, per cause sia economiche che demografiche.
-CRISI POLITICA
Le sconfitte trascinarono con sé anche una crisi politica, così alla guerra eterna contro i barbari
si trascinò anche la guerra civile. I soldati vi intervenivano spesso, eliminando il sovrano in carica.
Il prefetto del pretorio avrebbe poi preso il suo posto, ma successivamente sarebbe stato
assassinato e il nuovo prefetto avrebbe ancora una volta preso il suo posto dopo aver fatto mettere
il nuovo imperatore a morte.
L’impero, privo di una dinastia, era diventato una monarchia assoluta «regolata
dall’assassinio». In queste condizioni, naturalmente, nessuno poteva godere della continuità
necessaria per cambiare le cose.
-CRISI ECONOMICA
La crisi economica è dovuta al fatto che per tradizione dell’antichità i popoli invasori si
abbandonavano al brigantaggio: il bottino era infatti il loro principale obiettivo, e distruggevano
quello che potevano portare con sé. Dopo essersi serviti i barbari incendiavano i raccolti, le case, e
tutto il resto.
Conseguenze di tutto ciò:
i disordini facevano rinascere brigantaggio e pirateria;
le invasioni causavano il blocco degli scambi commerciali;
alcuni settori del commercio tornarono all’economia naturale, il baratto;
sparì, a metà del secolo, l’aerarium militare da cui si attingeva il denaro da dare ai veterani
delle battaglie al momento del congedo.
-CRISI SOCIALE
Le motivazioni economiche trascinarono con loro anche una crisi sociale:
i poveri furono resi ancora più poveri dalle invasioni e dalla crescente pressione fiscale;
anche i ricchi patirono per le circostanze delle guerre, ma non tutti.
-CRISI MORALE
Era inevitabile che, in un momento così teso per il popolo romano, le sciagure che esso stava
attraversando non provocassero anche una crisi morale: gli uomini vivevano nello smarrimento,
anche perché non sapevano che cosa fare per impedire l’avvento della rovina. Le loro incertezze
furono trasportate sul piano religioso, com’è normale per lo spirito dei Romani. Ben pochi misero
in dubbio l’esistenza degli dei.
La domanda che ci si poneva era semplice «perché, o dei, ci avete abbandonato?». La risposta
era altrettanto semplice: «c’è in seno dell’impero un popolo che non onora gli dei come dovrebbe».
Questi erano, naturalmente, i cristiani. Donde si procedette a persecuzioni (soprattutto durante il
regno di Decio, durante il quale egli ordinò un sacrificio generale agli dei dello Stato). Il peggio
arrivò sotto Valeriano, che riprese le persecuzioni proibendo il culto cristiano e ordinando ai
membri della gerarchia di sacrificare agli dei. Fece giustiziare dei ribelli, e i ricchi cristiani furono
privati dei loro beni.
Nonostante la crisi in cui l’impero stava sprofondando, esso non rimase mai inattivo. Furono
soprattutto le province romane più esposte ai nemici (i più pericolosi furono sicuramente i Persiani
ad est e i Germani dall’altra parte, formati da Franchi, Alamanni e Goti). L’Egitto, invece, fu
seriamente coinvolto nella crisi solo a partire dal 260, quando le campagne si spopolarono, le terre
ai margini del deserto furono abbandonate, tuttavia anche di fronte al nemico molte cose non
cambiarono, e alcuni settori riuscirono a resistere meglio di altri.
Tra le regioni meno toccate dalla crisi, oltre all’Egitto, anche l’Africa e la Spagna.
Alcune città, invece, si cinsero di mura che comprendevano solitamente una superficie
inferiore rispetto a quella dei secoli precedenti. Si assiste inoltre ad un ritorno alla terra che poi si
manifesterà chiaramente all’inizio del secolo successivo, quando anche i potenti si stabilirono in
maniera più duratura nelle loro proprietà fondiarie.
Il cristianesimo continua a svilupparsi.
**Aureliano (270-275)
Dopo Claudio II toccò proprio ad Aureliano di ristabilire la situazione ancora una volta,
anche perché Roma continuava ad avere nemici. Sotto di lui:
-i Franchi attaccarono;
-i Goti furono sconfitti;
-la Dacia fu abbandonata.
I suoi due successi furono:
-sconfisse Zenobia di Palmira, diventando rector Orientis;
-ottenne, senza combattere, la resa dell’ultimo imperatore delle Gallie.
Tutte queste guerre, però, non gli impedirono alcune riforme:
-circondò Roma di una cinta muraria di cui si possono ancora ammirare alcuni tratti;
-si sforzò di ristabilire la situazione economica nelle province.
Dal punto di vista della religione, Aureliano fu soprattutto l’imperatore della teologia
solare, ossia volle restituire all’impero unità morale attraverso il dio Sole, proponendo ai suoi
contemporanei un quasi mono/eno-teismo, qualcosa di assai rivoluzionario per le mentalità
dell’epoca. Ma le forme del culto rimasero molto vicine al paganesimo tradizionale.
**Tacito (275-6)
Il suo breve regno fu caratterizzato, agli occhi dei contemporanei, da un’effimera
restaurazione senatoria. Questo sovrano dovette certamente affrontare molti problemi difficili,
come l’usurpazione di Floriano. Ma più gravi ancora le invasioni dei Goti (in Asia) e dei Franchi
(in Gallia).
**Probo (276-282)
Fu dunque una pesante eredità quella che toccò a Probo, il quale tuttavia riuscì a ricacciare i
Franchi e gli Alamanni dalla Gallia, Goti e Geti dalle province danubiane. Si recò in Asia e poi in
Egitto.
Durante il suo regno accadde un episodio alquanto strano per l’impero e la sua marina :
alcuni Franchi si impadronirono delle navi della marina imperiale, percorsero tutto il
Mediterraneo abbandonandosi al saccheggio, varcarono lo stretto di Gibilterra e tornarono poi
nelle loro terre percorrendo l’Atlantico.
A questi mali bisogna aggiungere anche alcune usurpazioni.
**Caro (282-3)
L’energico Probo ebbe come successore Caro, altro valoroso generale che si associò al potere i
due figli. Egli combatté contro i Persiani. Carino, uno dei due figli, fu ucciso dopo essere stato
sconfitto da Diocleziano. Si apriva a questo punto una nuova era della storia di Roma.
IV e V SECOLO
DIOCLEZIANO (dal 284 al 305 d.C.)
Nato in Illiria da umile famiglia, Diocleziano percorre la carriera militare che lo porta a
capo dei protectores di Caro; dopo l’assassinio di quest’ultimo egli era l’ultimo di una lunga serie
di usurpatori del momento, ma seppe approfittare del vuoto creato dalle distruzioni del secolo,
come anche delle prime misure di salute pubblica applicate dai suoi predecessori.
Godette di un lungo regno fatto di 20anni di potere. La sua politica fece di lui da una parte
un riformatore e creatore, dall’altra un reazionario (nel campo religioso, per esempio, egli volle
tornare ad un periodo precedente). Fu soprattutto il salvatore dell’unità dell’impero.
A questo punto Galerio organizza un incontro, nel 308, a Carnuntum, che avrebbe sancito la
«Seconda tetrarchia», che lasciava:
-in Oriente Galerio e Massimino Daia;
-in Occidente Costantino e il nuovo venuto, Licinio.
Ma Massimino e Massenzio mantennero le loro pretese, mentre un altro, Domizio
Alessandro, avanzava le sue in Africa. Si ebbero allora 7 imperatori. Figlia traviata della
Tetrarchia, questa eptarchia assomigliava tanto all’anarchia.
«Fortunatamente» alcuni decessi, il più delle volte provocati, portarono ad un chiarimento
della situazione:
-Massimiano morì per primo;
-Domizio Alessandro fu il secondo;
-Galerio per terzo.
Rimanevano allora Costantino, Massimino Daia e Licinio.
Nel 312 la vittoria (detta) di Ponte Milvio (ma di fatto conseguita a Saxa Rubra) permise a
Costantino di eliminare Massenzio, il figlio di Massimiano. Poi Costantino riuscì a liberarsi anche
di Licinio, ma solo 20anni dopo, ristabilendo così definitivamente l’unità all’impero.
1)In campo militare sviluppò il comitatus, cioè l’esercito mobile operante all’interno del
territorio, a scapito invece dell’esercito di frontiera.
2)In campo amministrativo a livello centrale era tornato ad una vera monarchia: i Cesari erano
seriamente subordinati all’Augusto, e disponevano di poteri assai ridotti; a livello regionale
Costantino apportò delle novità: i prefetti del pretorio persero le loro antiche funzioni, ma
conservarono il titolo; si infiltrarono ovunque i temuti agentes in rebus, cioè gli agenti segreti.
3)Ma Costantino deve la sua celebrità soprattutto a causa delle riforme in campo religioso. Il
primo problema che divide ancora gli storici è quello della sua conversione: sembra che all’inizio
egli fosse un adepto del dio Sole e che un’apparizione di Apollo lo avesse condotto all’enoteismo.
alla vigilia della battaglia di Ponte Milvio ebbe una seconda apparizione, stavolta cristiana, che lo
avrebbe indotto a far portare dalle sue truppe un labarum (stendardo sul quale erano stati ricamati
una chi e una rho, le prime due lettere di Christòs; la combinazione di questi simboli posti l’uno
sopra l’altro evocava i raggi del Sole; non si sa in quale momento Costantino comprese che però
Cristo non era certo una metamorfosi del dio Sole, suo antico dio).
L’imperatore si fece battezzare solo sul suo letto di morte, cosa per niente straordinaria a
quest’epoca, però a battezzarlo fu un vescovo ariano (e questo ha fatto versare fiumi di inchiostro).
Ad ogni modo, la sua conversione fu preceduta da un atteggiamento di reale simpatia per il
cristianesimo: le persecuzioni, infatti, furono abbandonate.
Nel 313 l’editto di Milano di Costantino e Licinio stabilì la «pace della Chiesa»: la libertà di
culto ai cristiani era assicurata, e i beni confiscati furono restituiti alla comunità.
4)L’imperatore ha legato il suo nome anche alla fondazione di Costantinopoli. Egli prese la
decisione di fondare questa nuova città sulla vecchia Bisanzio nel 324; la costruzione andò avanti
fino al 330, anno in cui la città fu inaugurata. La nuova città imitava in tutto e per tutto Roma:
occupava infatti sette colli, possedeva un foro, un capitolium e un Senato. Ma essa rimaneva sempre
e comunque la seconda capitale dell’impero. Alla sua testa fu nominato inizialmente un
proconsole e non un praefectus urbi.
Non bisogna fraintendere il senso profondo di questa misura: Costantino prendeva atto di
una mutazione che era avvenuta, e cioè che il centro di gravità dell’intero impero si era spostato e
continuava a spostarsi verso est su tutti i campi.
5)Egli si occupò molto presto della sua successione. Designò tre Cesari:
-Crispo;
-Costantino il Giovane;
-Licinio il Giovane.
Ad essi aggiunse, successivamente:
-Costanzo II;
-Costante;
-Dalmazio.
Celebrati i tricennalia, cioè i 30anni di regno, fece giustiziare Crispo per limitare i rischi
dell’anarchia, e portata a termine la sua opera, morì nel 337.
**Costanzo II al potere
Costanzo II è considerato il primo imperatore bizantino. Deteneva un carattere sacro che gli
discendeva dagli dal Dio dei cristiani, ed esercitava un potere assoluto e tirannico che si
manifestava in atteggiamenti ieratici (maestosi) e giustificava qualsiasi crudeltà.
Viveva in una corte popolata da eunuchi e luogo di ogni intrigo. Il Consiglio dell’imperatore
era diventato un consistorium, ossia luogo in cui i membri dovevano stare in piedi di fronte al
sovrano. Costanzo accordò il primato dell’Oriente.
Nominò due Cesari: un cugino, che fece presto giustiziare, e un altro parente, Giuliano, che
inviò in Gallia.
Allora l’impero era minacciato da due pericoli:
-la questione religiosa aveva diviso le coscienze tra Costante, il quale aveva sinceramente
appoggiato i cattolici, e Costanzo II che si era legato all’arianesimo. A questo si aggiungeva il
conflitto tra cristiani e pagani;
-la guerra era ricominciata: la Persia aveva attaccato l’Armenia, e Sapor II aveva inoltre preso
di nuovo di mira la Mesopotamia romana; contemporaneamente, i Germani investirono la Gallia, e
l’esercito subì pesanti perdite; quando Costanzo II chiese aiuto a Giuliano per respingere i
Persiani, le truppe fecero un colpo di Stato, proclamando Giuliano imperatore (suo malgrado).
Opportunamente, Costanzo II morì nel 361.
**Giuliano Cesare
Per via della situazione alquanto difficile, Costanzo II lo nominò Cesare: i pericoli erano sia
all’interno dell’impero, dove continuavano a proclamarsi usurpatori, ma anche all’esterno di esso,
dove invece Sapor II preparava le sue offensive in Mesopotamia e in Armenia. Anche in Europa
c’erano tanti popoli, così come tanti pericoli.
Giuliano partì per la Gallia, dove riportò una grande vittoria sugli Alamanni. Stabilì il
campo invernale in Germania, dove fece alcune incursioni. Lì lesse Cesare e Plutarco.
Si trovava ancora in Germania quando Costanzo II gli chiese di portargli aiuto in Oriente
contro Sapor II. L’esercito non voleva partire, e proclamò allora imperatore Giuliano. Quest’ultimo
esitava, ma poi accettò quando Costanzo II morì di malattia.
**Giuliano Augusto
Egli aveva definito la sua ideologia politica in un elogio Sulla regalità a Costanzo II. Alle virtù
di pietas, iustitia et clementia, improntate alla tradizione romana, egli aveva aggiunto anche la bontà,
dettatagli dal suo umanesimo.
-Politica religiosa
Si conosce del suo regno soprattutto la sua politica religiosa: fu adepto della teurgia e iniziato
ai misteri di Eleusi, devoto del Sole e di Cibale (alla quale dedica Alla madre degli dei). Per tutti
questi motivi, Giuliano restaurò il paganesimo con un editto, attaccando il cristianesimo: i fedeli
di questa religione furono esclusi dall’insegnamento, dalla funzione pubblica, e fu loro vietato di
celebrare funerali di giorno.
-Altre riforme
Egli promulgò anche alcune riforme di governo, tra cui (le più importanti):
la semplificazione all’estremo dell’etichetta di corte;
ridusse l’aurum coronarium.
-Guerre
Dovette affrontare il pericolo di Sapor II, che Costanzo gli aveva lasciato in eredità dopo la
sua morte. Marciò contro il re persiano, ma poi dovette battere in ritirata. Nel corso di questo
episodio fu gravemente ferito. Una leggenda alimentata dai cristiani gli attribuisce l’ultima frase
«hai vinto tu, Galileo!». Di nuovo un imperatore era morto affrontando il nemico.
**Gioviano
Lo stato maggiore designò come suo successore Gioviano, ufficiale cristiano moderato, il
quale si arrese di fronte alla Persia: abbandonò la riva sinistra del Tigri, rinunciò ad ogni influenza
sull’Armenia; annullò le misure di Giuliano contro i cristiani, poi morì.
VALENTINIANO I
Questo imperatore preferì molto ricorrere ad una divisione del territorio imperiale: egli
mantenne l’Occidente, con Milano come capitale; affidò invece l’Oriente al fratello Valente, che si
insediò a Costantinopoli. Il terzo imperatore fu invece Graziano, inviato a Treviri (egli non aveva
che otto anni, ma era stato promesso alla figlia di Costanzo II, cosicché la legittimità della dinastia
fu ancora più accentuata).
Valentiniano I, cattolico tollerante, era energico ed onesto ma anche colto e collerico (fino a
morirne). Egli si adoperò per migliorare la situazione di tutti gli strati della società:
-per accattivarsi il Senato istituì un defensor senatus, ma un affare di magia comportò una
rottura e delle esecuzioni che contribuirono a rendere ancora più tesi i rapporti;
-nei confronti della plebe Valentiniano I mostrò lo stesso tipo di interesse: moltiplicò le
distribuzioni gratuite a Roma e creò anche in questo strato sociale un defensor plebis, avvocato dei
poveri in città; tuttavia, non poté far niente contro latifondisti e contro la corruzione.
TEODOSIO FIGLIO
L’impero fu di nuovo diviso, in tre parti:
-c’era ancora Graziano, che si risiedeva a Treviri e che si vide costretto ad attaccare gli
Alamanni;
-c’era ora Valentiniano II, succeduto al padre, ed avendo solo 4 anni fu sottomesso alla tutela
di un generale barbaro che stabilì la capitale a Milano, ma esattamente come Graziano,
Valentiniano era troppo giovane;
-si impose progressivamente Teodosio Figlio, uomo di potente personalità che aveva
raggiunto il grado di capo della cavalleria e che si proclamò Augusto dopo la morte di Valente. Per
legittimare il suo potere sposò la figlia di Valentiniano I, Galla, futura madre di Galla Placidia, e si
insediò a Treviri.
Originario della Spagna, Teodosio era un buon generale e un cristiano ortodosso fervente
secondo alcuni, fanatico per altri. Egli dovette affrontare i barbari e le usurpazioni, ai quali pensò
bene di inserire anche conflitti religiosi.
Nel 395 Teodosio morì. Il cristianesimo aveva vinto, la pace regnava e l’impero era diviso.
**Usurpazioni
Un pretendente si faceva avanti in Bretagna; egli estese la sua autorità alla Gallia ed eliminò
Graziano proclamandosi Augusto senza che Teodosio potesse impedirlo. L’usurpatore sconfisse
anche, e mise in fuga, Valentiniano II, ma stavolta Teodosio reagì e riportò la vittoria.
L’editto contro il paganesimo nel 391 suscitò così tanti malcontenti che ci fu un altro
usurpatore.
**La successione
Teodosio si era associato al potere i due figli, ai quali era stato affidato e il potere occidentale
(ad Arcadio) e quello orientale (ad Onorio, sotto la tutela del generale barbaro Stilicone).
STILICONE
Flavio Stilicone, nato da una famiglia di Vandali che si era stabilita all’interno dell’impero e
convertita al cristianesimo (ma di tendenza ariana), è stato una personalità molto discussa,
presentato come un barbaro amico dei Goti o come un romano difensore di Roma. Di fatto egli
si comportò come un barbaro romanizzato. Questo è quello che ci mostra la sua carriera e la sua
relazione con il poeta Claudiano45.
Si era legato a Teodosio, di cui aveva sposato la nipote, Serena. Fu poi preposto
all’educazione di uno dei suoi due figli, Onorio, che viveva nella capitale occidentale dell’impero,
Milano. Si avvicinò ancora di più alla dinastia regnante quando diede in sposa suo figlio al giovane
imperatore. (è senza dubbio Onorio il soggetto della statua nota come il «colosso di Barletta»).
45
Originario dell’Egitto, era restato pagano benché fosse vissuto in una corte diventata interamente cristiana. Egli
abbandonò la sua lingua madre (il greco) per il latino, e per dieci anni divenne portavoce di Stilicone.