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HEVELIUS
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1 COLLEGAMENTI: GENERALITÀ 13
2 UNIONI CHIODATE 21
2.1 Giunto elementare: tensioni nominali 23
2.2 Giunzione di un tirante di lamiera 28
Esempio N. 1: Calcolo del giunto chiodato, con doppio
coprigiunto, di un tirante formato da un largo piatto 34
2.3 Giunto sollecitato da forza eccentrica 36
Esempio N. 2: Calcolo della giunzione, con doppio
coprigiunto, di un ferro piatto a sbalzo, sollecitato da
momento flettente e taglio 40
2.4 Giunto sollecitato da momento e taglio 44
Esempio N. 3: Calcolo di un giunto a flangia, che unisce
una mensola IPE ad un montante 48
Esempio N. 4: Calcolo di un giunto a flangia, sollecitato
da momento flettente, momento torcente e taglio 51
2.5 Chiodature correnti nelle travi composte 52
Esempio N. 5: Calcolo di una trave composta a doppio T,
in acciaio, ottenuta mediante lamiere e cantonali 60
3 UNIONI BULLONATE 67
5 UNIONI SALDATE 93
5.1 Generalità 93
5.2 Prescrizioni regolamentari 102
5.3 Classificazione delle saldature 105
5.4 Verifiche di resistenza 107
Bibliografia 261
δ spostamento
δi ente spostamento legato alla direzione i
ε deformazione
εR deformazione a rottura
εs deformazione al limite elastico = σs / E
λ lunghezza di ancoraggio di un tirafondo oppure snellezza di un’asta
µ coefficiente di attrito
νf coefficiente di sicurezza contro lo slittamento
ρx raggio d’inerzia rispetto all’asse x
ρy raggio d’inerzia rispetto all’asse y
σ tensione normale
σadm tensione normale ammissibile dell’acciaio
σb,adm tensione normale ammissibile relativa a un chiodo o a un bullone
σcam tensione normale ammissibile di un conglomerato cementizio
σc,max tensione normale massima nel calcestruzzo
σid tensione ideale
σrif tensione di rifollamento
σrif,adm tensione ammissibile di rifollamento
σs tensione normale a limite elastico (ritenuta coincidente con quella
di snervamento nel diagramma σ ε di Prandtl)
σ⊥ σ// tensioni normali in un cordone di saldatura, riferite alla sezione
di gola ribaltata
τ tensione tangenziale
τadm tensione tangenziale ammissibile dell’acciaio
τb tensione tangenziale in un bullone (τbo quando è orizzontale e τbv
quando è verticale)
τb,adm tensione tangenziale ammissibile in un chiodo o in un bullone
τ⊥ τ// tensioni tangenziali in un cordone di saldatura, riferite alla sezione
di gola ribaltata
ϕ rotazione
φ diametro di un tondo, tirafondo o chiodo
χ curvatura
ω area della sezione retta di un chiodo
ωb area della sezione retta del gambo di un bullone (parte non
filettata)
ωres sezione resistente, relativa alla parte filettata di un bullone
A area della sezione retta di un’asta
B larghezza dell’ala di una sezione a doppio T
E modulo di Young
F forza
i
F forza esterna nodale agente in direzione i
Ff forza trasmissibile per attrito
Ff,red forza trasmissibile per attrito in un giunto i cui bulloni sono anche
sollecitati a trazione
G modulo di elasticità tangenziale oppure baricentro (di una figura o
di una chiodatura o di una bullonatura)
H altezza complessiva di una sezione a doppio T
IG momento di inerzia polare di una chiodatura o di una bullonatura,
rispetto al punto G.
Ix momento di inerzia assiale di una sezione o di una chiodatura o di
una bullonatura, rispetto all’asse x
M momento flettente
Mmax momento flettente massimo
MRS momento flettente all’estremo R dell’asta RS
Ms coppia di serraggio di un bullone (nelle unioni ad attrito)
N sforzo normale
Nb sforzo di trazione nel gambo di un bullone (nelle unioni ad attrito)
oppure sforzo di trazione in un tirafondo
Np sforzo normale di completa plasticizzazione di una sezione (sforzo
normale plastico)
O componente orizzontale di una forza
P forza
Q risultante di un carico distribuito
R risultante oppure reazione vincolare (RA = reazione del vincolo A;
R1 = risultante degli sforzi di trazione nella prima fila di chiodi;
ecc.)
Rbk resistenza caratteristica cubica, a 28 gg. di maturazione, di un cls.
Sx momento statico, rispetto all’asse x
T taglio
TRS taglio all’estremo R dell’asta RS
V componente verticale di una forza
Wx modulo di resistenza elastico = Ix / ymax
Wp modulo di resistenza polare di una chiodatura = Ip / rmax
X, Y, Z iperstatiche
1. COLLEGAMENTI: GENERALITÀ
Fig. 1.1
Fig. 1.2
1 Con la sigla UNI si intende l’Ente Nazionale Italiano di Unificazione, che ha come scopo quello di elabo-
rare norme relative alla produzione industriale, gli strumenti, le condizioni di lavoro e di prova.
Fig. 1.3
Fig. 1.4
struzzo, ad esempio quando occorre rinforzare una trave o un pilastro in c.a. (che
presenta armatura insufficiente) con piatti metallici incollati. Eccellenti risultati
vengono forniti dall’ancoraggio chimico di perni metallici nel calcestruzzo o in
parti di materiale lapideo: col trapano viene praticato nel cls. un foro, di diametro
leggermente più grande di quello del perno, nel quale s’inserisce una fiala di
vetro contenente i due componenti dell’adesivo (separati da un diaframma pre-
sente nella fialetta); allorché viene avvitato il perno, l’ampolla si rompe, i due
componenti dell’adesivo si mescolano tra loro (grazie anche al movimento rota-
torio dovuto all’avvitamento del perno) e riempiono lo spazio esistente tra il
perno e la superficie del foro. Il risultato conclusivo è rappresentato dalla forte
aderenza finale tra il perno d’acciaio e il suo involucro.
In Fig. 1.5 è riportato un ultimo esempio di collegamenti. Tale esempio
mostra come i collegamenti consentono di abbinare i profilati, prodotti dall’in-
dustria siderurgica, per formare delle strutture, più o meno complesse.
Fig. 1.5
2. UNIONI CHIODATE
Fig. 2.1
1 Riscaldando un ferro, esso cambia di colore all’aumentare della temperatura e, quindi, può essere utile
conoscere tale colorazione:
Rosso nascente visibile nell’oscurità 500° C Arancione cupo 1100° C
Rosso cupo 700° C Arancione vivo 1200°C
Rosso ciliegia 800 ÷ 900° C Bianco 1300 ÷ 1400°C
Rosso ciliegia vivo 1000° C Bianco abbagliante 1500°C
Nel calcolo si prescinde dalla resistenza del giunto per attrito, in quanto
l’entità della presollecitazione nei chiodi è difficilmente valutabile con esat-
tezza. Inoltre, nelle ipotesi di calcolo comunemente adottate, si trascurano le
sollecitazioni provocate dall’inflessione del gambo del chiodo. I chiodi quindi
si considerano sollecitati a taglio e/o a trazione.
Le trazioni nei chiodi andrebbero evitate (perché si sommerebbero a quelle
dovute al raffreddamento) o, almeno, contenute il più possibile (non a caso la
normativa fissa una tensione ammissibile, a trazione, di appena 500 kg/cm2).
Ovviamente, tale problema non sussiste per i bulloni (si ricorda che tutto
quanto diremo per il calcolo delle unioni chiodate vale anche per quelle bullo-
nate).
Le chiodature a caldo sono praticamente scomparse dalla carpenteria me-
tallica. Le rivettature (o chiodature a freddo) vengono ancora utilizzate, anche
se stanno per essere soppiantate da sistemi d’unione meno costosi e più legge-
ri, anche se bisogna ricordare che una struttura rivettata è più facilmente ispe-
zionabile, dà speranza di arrestare la propagazione di una fessura e, soprattut-
to, le rivettature possono slittare un pochino e ridistribuire i carichi, evitando
concentrazioni di sforzo.
In Fig. 2.2 sono riportati solo alcuni dei tipi di chiodi esistenti (generalmen-
te usati, nei lavori di carpenteria, sono quelli a testa tonda stretta, più semplici
da montare perché non richiedono smussature dei fori, ma una semplice sbava-
tura degli orli).
Fig. 2.2
Fig. 2.3
D 16 21 26 30 35 40
R 20 26 32 40 40 50
testa svasata
t 5 6.2 9 11.8 15.5 17.5
D 16 21 25 31 33.5 38
testa rasa
h 4 5.2 7.8 10.5 14 16
Tabella 2.1
Fig. 2.5
Fig. 2.6
Fig. 2.7
Nel caso in cui la giunzione sia realizzata per sovrapposizione o con copri-
giunto semplice, ogni chiodo sarà sollecitato alla recisione in una sola sezione.
Nel terzo caso, invece, ogni chiodo presenterà due sezioni che resistono
alla recisione; inoltre non sono presenti le eccentricità di tiro che nascono per
i primi due casi, ragion per cui quest’ultimo giunto è senz’altro da preferire
agli altri due.
Come già detto in precedenza si trascurano le forze d’attrito presenti (dovu-
te, come si ricorderà, al raffreddamento dei chiodi), l’inflessione del gambo e
si considerano i chiodi sollecitati solo a taglio.
Se l’unione è realizzata tramite un solo chiodo e P è la forza applicata, per
il taglio (T) del chiodo risulterà T = P se il chiodo è sollecitato in una sola
sezione mentre si avrà T = P/2 se sollecitato in due sezioni.
In entrambi i casi nasceranno delle distribuzioni di tensione di non sempli-
ce formulazione analitica a causa del numero e della complessità dei parametri
in gioco (geometria, stati piani, ecc.). In particolare, la Fig. 2.8 mostra l’anda-
mento delle tensioni di contatto tra foro e chiodo (le distribuzioni costanti di
tensioni sono quelle nominali, che si adottano convenzionalmente nei calcoli,
e sono raffrontate con le distribuzioni effettive).
La Fig. 2.9 mostra l’andamento delle tensioni nella sezione dei ferri inde-
bolita dalla presenza dei fori (in Fig. 2.9a vi è la distribuzione effettiva mentre
in Fig. 2.9b quella da noi adottata). È chiaro che siffatti stati tensionali rendono
senz’altro poco agevole un calcolo rigoroso. Si possono però conseguire note-
voli semplificazioni analizzando il comportamento elasto-plastico del giunto
elementare, nell’ipotesi di comportamento duttile del materiale, tale da poter
assumere per esso il diagramma tensioni-deformazioni bilatero.
In tale ipotesi, infatti, quando in un punto si raggiunge il limite di snerva-
mento, la tensione resterà costante al crescere dei carichi, mentre aumenteran-
σy σrif = N
o o td
N d t N
2N 2N
N t N
X X
σy σrif = N
o td
N d t N t
t σ N t d N
y
X X
Fig. 2.8
σm σ
σmax
b
d
b
d
σmin
a) b)
Fig. 2.9
a) b)
Fig. 2.10
soggetti alla recisione in una o due sezioni (in due sezioni nel caso di doppio
coprigiunto).
Resta ancora da risolvere il problema della ripartizione della forza P tra i
chiodi, che risulta essere un problema staticamente indeterminato.
Analizziamo il caso limite che si ottiene considerando i ferri perfettamente
rigidi e i chiodi elastici (si potrebbe immaginare, per avere un’idea dell’ipotesi
fatta, che le lamiere siano d’acciaio e i chiodi di gomma, v. Fig. 2.11).
L’applicazione di una forza P produrrà una traslazione δ uguale per tutti gli
n chiodi, data l’infinita rigidità dei ferri piatti.
Trovandoci in campo elastico lineare è possibile scrivere, per ogni chiodo,
la relazione:
Pbi = Ci δ (2.2.1)
dove Pbi è l’aliquota di forza P che compete all’i-esimo chiodo e Ci la rigidezza
dell’i-esimo chiodo.
Scrivendo l’equazione di equilibrio alla traslazione secondo la direzione
dello sforzo:
n
P = ∑i=1
P bi (2.2.2)
∑i=1
Ci (2.2.4)
δ
δ
γ
δ δ
a) b)
Fig. 2.11
∑
t di
t di ω bi (2.2.11)
i=1
La pressione sul contorno del foro, riferita alla proiezione diametrale della super-
ficie cilindrica del chiodo o del bullone, deve risultare:
σrif ≤ 2 σadm
Per chiodi e bulloni impegnati simmetricamente in due o tre sezioni la σrif può
essere maggiorata del 15%.
La vigente normativa propone (nel prospetto 7-II, facente parte del punto
4.2) la seguente espressione di σrif:
σ rif ≤ α fd
dove:
α = a/d e comunque non superiore a 2.5;
fd = la resistenza di calcolo del materiale costituente gli elementi del giunto;
a, d = definiti limitati al punto 7.2.4 (vedi oltre).
Si deve, infine verificare che il ferro piatto sia ancora in grado di assorbire
con sicurezza lo sforzo di trazione nonostante l’indebolimento avutosi con la
foratura, praticata per effettuare la chiodatura.
Per indebolire il meno possibile le lamiere si disporranno i chiodi in file
successive crescenti in modo da realizzare progressive crescenti riduzioni del-
lo sforzo normale di trazione, procedendo verso le sezioni dove i fori aumenta-
no (Fig. 2.12).
Fig.2.12
Fig. 2.13
Riguardo alla scelta dei chiodi e delle distanze tra loro e dai bordi delle
lamiere, si riportano i punti 7.2.3. e 7.2.4. della normativa attuale (Fig. 2.14).
dove:
p è la distanza tra centro e centro di chiodi contigui;
a è la distanza dal centro di un chiodo al margine degli elementi da collegare ad esso
più vicino nella direzione dello sforzo;
a1 è la distanza come la precedente, a, ma ortogonale alla direzione dello sforzo;
t1 è il minore degli spessori degli elementi collegati
Quando si tratti di opere non esposte alle intemperie, le due ultime limitazioni
possono essere sostituite dalle seguenti:
a/ t 1
≤ 12
a 1 /t1
Deroghe eventuali alle prescrizioni di cui al presente punto 7.2.4. debbono essere
comprovate da adeguate giustificazioni teoriche e sperimentali.
a1 1 3 5
P
p
2 4 6
a1
a p p
a p
3≥ ≥ 1.5 10 ≥ ≥3
d d
Fig. 2.14
P P
P P
P
a) b) c) d)
2P P P
P
Fig. 2.15
Le indicazioni fornite in merito alla disposizione e alla scelta dei chiodi, de-
sunte da formulazioni teoriche e soprattutto da risultati sperimentali, hanno lo
scopo di evitare l’insorgere di dannosi fenomeni secondari oltre che facilitare il
montaggio. In Fig. 2.16 sono rappresentati 6 bulloni, ma si ricorda che tutto
quanto detto per il calcolo delle chiodature vale anche per le bullonature normali
(non per quelle con bulloni A.R., che formano unioni ad attrito).
Fig. 2.16
Per ciò che riguarda l’interasse p, infatti, esso va posto maggiore di 3d per
garantire uno spazio minimo di manovra degli utensili, e minore di 10d per
evitare rigonfiamenti tra le lamiere, che potrebbero facilitarne l’ossidazione.
Le limitazioni sul rapporto a/t1 preservano dal rigonfiamento oltre che dalla
instabilità delle lamiere nel caso di compressione (e ciò giustifica il valore più
piccolo). Infine il minimo 2d per a esclude la possibilità di rottura del giunto
illustrata in Fig. 2.15d.
L’Eurocodice 3, per il posizionamento dei fori per bulloni e chiodi, propone
distanze ed interassi anche più piccoli di quelli fissati dalla normativa italiana
a patto che sia adeguatamente ridotta la resistenza a rifollamento. Visto che la
normativa vigente consente deroghe alle prescrizioni di cui al punto 7.2.4. (pur-
ché comprovate da adeguate giustificazioni teoriche e sperimentali), qualora
fosse necessario ridurre gli interassi e le distanze dai margini, è opportuno
riferirsi a quanto suggerito dal suddetto Eurocodice 3 (si veda, in particolare, il
punto 6.5, intitolato Collegamenti con bulloni, chiodi o perni). È, però, oppor-
tuno cercare di non derogare dalle prescrizioni regolamentari italiane, non
foss’altro che per facilitare l’installazione dei bulloni o dei chiodi.
È utile a questo punto un esempio numerico.
ESEMPIO N. 1
sezioni:
P P = 22 t
cm
Fig. 2.17
P 22 000
τb = = = 1190.48 kg/cm 2 (e1.a)
n 2 ω b 6 × 2 × 1.54
dove n = 6 è il numero dei chiodi che resistono a P e 2 - a denominatore della
(e1.a) - è il numero delle sezioni resistenti alla recisione per ogni chiodo.
La pressione esercitata dal gambo del chiodo su mezza parete interna del
foro vale:
P 22 000
σ rif = = = 2619.05 kg/ cm 2
ndt 6 × 1.4 × 1
Risulta: τb < τb,adm = 1200 kg/cm2 e σrif < 2 σadm = 3200 kg/cm2.
Infine dobbiamo effettuare tre semplici verifiche a sforzo normale (nelle
sezioni 1, 2 e 3 di Fig. 2.17) per accertarci che il ferro piatto, nonostante l’inde-
bolimento provocato dai fori, sia ancora in grado di resistere allo sforzo di
trazione P:
22 000
σ1 = = 1506.85 kg/ cm 2
16 × 1 − 1.4 × 1
5 22 000
σ2 = = 1388.89 kg/ cm 2
6 16 × 1 − 2 × 1.4 × 1
3 22 000
σ3 = = 932.20 kg/ cm 2
6 16 × 1 − 3 × 1.4 × 1
e O
C2 C1 F
V
Fig. 2.18
Le due forze O e V (o, ciò che è lo stesso, la loro risultante F) applicate nel
baricentro G della chiodatura, sollecitano alla recisione in due sezioni ogni
chiodo. Conseguentemente nascerà in ognuna delle due sezioni citate, del sin-
golo chiodo, una tensione tangenziale τbF2.
O2 + V 2 F
τ bF = = (2.3.2)
2 n ωb 2 × 9 × ωb
(il pedice F aggiunto al simbolo τb, sta, appunto, a ricordare che la tensione
tangenziale in parola è dovuta alla forza F).
Sempre nell’ipotesi di lamiere rigide, il momento M tende a far ruotare il
ferro piatto rispetto ai coprigiunti intorno al baricentro G della chiodatura, sol-
lecitando ogni chiodo alla recisione in due sezioni.
In ogni sezione soggetta alla recisone, provocata dal momento, nascerà una
forza FMi = τbMiωb, riguardante l’i-esimo chiodo, proporzionale alla distanza ri
dal baricentro della chiodatura al baricentro del generico i-esimo chiodo (allo
scopo di avere una simbologia chiara, alla notazione τb si è aggiunto il depo-
nente Mi, ottenendo τbMi, a ricordare che la tensione tangenziale di cui ci stia-
mo occupando riguarda l’i-esimo chiodo ed è dovuta al momento M).
Scrivendo l’equazione d’equilibrio alla rotazione intorno al baricentro del-
la chiodatura, si ha:
n
∑2F
i=1
Mi ri = M (2.3.3)
cioé
n
∑2τ
i=1
bMi ωb ri = M (2.3.4)
2 Allo stesso risultato si perviene ricercando le due tensioni tangenziali: τbv prodotta dalla componente
verticale V di F e τbO prodotta dalla componente orizzontale O di F e sommando vettorialmente, ottenen-
do:
τ bF = τ 2bV + τ 2bO
τ bMi = τ1 r i (2.3.5)
∑2τ
i=1
1 ri ωb ri = M (2.3.6)
cioè:
n
2 τ1 ∑
i=1
ω b ri = M
2
(2.3.7)
dove
n
∑ i=1
ω b r 2i
T i = k o ω bi δ i = k o ω bi r i ϕ (2.3.11)
dove le rigidezze dei singoli chiodi sono state poste proporzionali alle aree,
presunte diverse tra loro, per trattare del caso più generale.
Le equazioni d’equilibrio alla traslazione secondo due assi ortogonali y e z
con origine in C (Fig. 2.19) forniscono:
n n
∑
i=1
T i sen α i = k 0 ϕ ∑
i=1
ω bi r i sen α i = 0
n n (2.3.12)
∑
i=1
T i cos α i = k 0 ϕ ∑
i=1
ω bi r i cos α i = 0
∑
i=1
ω bi y i = 0
n
(2.3.13)
∑
i=1
ω bi z i = 0
∑
i=1
Ti ri = M (2.3.14)
∑
i=1
ω bi r 2i
Ti M M
τ bMi = = ri = ri (2.3.16)
ω bi
n
∑
Ip
ω bi r 2i
i=1
Pi δi
ri
Ti
M C
∆ϕ
M h
αi z
t
y a)
Pi
yi αi
ri
Ti
C
αi zi z
y
b)
Fig. 2.19
M
Ti = n ri
∑ i=1
r 2i
M
τ bMi = n ri (2.3.17)
ωb ∑i=1
r 2i
ESEMPIO N. 2
650 kg
1300 kg
Fig. 2.20
M 161 850
τ bMax = = = 1032.15 kg/ cm 2
WP 156 .808
La tensione tangenziale risultante (che potrebbe anche essere trovata in ma-
niera meno precisa, per via grafica, mediante un poligono delle forze) viene
determinata sommando tutte le componenti verticali delle tensioni tangenziali,
poi tutte quelle orizzontali e applicando il teorema di Pitagora. Riferendoci
anche alla Fig. 2.21, si ha:
45°
τbV
τbMmax
τbR
Fig. 2.21
si constata:
τ bR < τ b,adm = 1200 kg/ cm 2
e, quindi, la chiodatura è verificata.
La tensione di rifollamento vale:
2 × 1083.023 × 1.54
σ rif = =
1.4 × 3
= 793.48 kg/ cm 2 < 2 σ adm = 3200 kg/ cm 2
In ultimo occorre effettuare una verifica di resistenza nella sezione a-a (Fig.
2.20), che è la maggiormente sollecitata, dove esistono le seguenti caratteristi-
che di sollecitazione:
N = 650 kg
M = 1300 × 135 - 650 × 9 = 169 650 kg×cm
T = 1300 kg
Il momento d’inerzia assiale della sezione retta del ferro piatto, tenendo
conto dell’indebolimento dovuto alla presenza dei fori (v. Fig. 2.22), vale:
3 × 183 3 × 1. 4 3
Ix = - × 3 - 2 × 3 × 1.4 × 6 2 = 1153.54 cm 4
12 12
La σmax , che si verifica ai due lembi della sezione, vale:
M 169 650
σ max = y max = × 9 = 1323.62 kg/ cm 2
Ix 1153.542
sez. a-a
Fig. 2.22
y5
27
21 y4
15 y3
9 y2
3 6 y1
x
Fig. 2.23
Il taglio sollecita ogni chiodo alla recisione in una sezione. Detto n il nume-
ro dei chiodi ed ωb la sezione di un chiodo, il taglio T provocherà in una sezio-
ne per ogni chiodo delle tensioni tangenziali verticali:
T
τ bV = (2.4.1)
n ωb
3 Flangia è un termine tecnico che deriva dall’inglese flange (bordo, costa) e sta ad indicare la piastra
provvista di fori, posta all’estremità di elementi strutturali (o di tubi) per congiungerli ad altri elementi
strutturali (o ad altri tubi).
(il deponente V è stato, appunto, posto per ricordare che la tensione tangenziale
è verticale così come per le tensioni tangenziali orizzontali aggiungiamo il depo-
nente O). Siamo, ovviamente, nell’ipotesi che gli n chiodi presentino tutti la
stessa sezione retta ωb.
Nel presupposto che la lamiera della flangia sia infinitamente rigida, il
momento flettente M tenderà a far ruotare la flangia stessa intorno al suo bordo
inferiore e, in virtù dell’ipotesi fatta, la flangia resterà piana4. Si può fare rife-
rimento alla Fig. 2.24.
F3
F2 RT
M
b F1
Rc
Fig. 2.24
∑i=1
σ bi ω b y i = M (2.4.2)
4 Per capire meglio le conseguenze che derivano dalle ipotesi semplificative poste, si possono immaginare
i chiodi di gomma e le lamiere d’acciaio, per quanto riguarda la ricerca delle sollecitazioni nella chioda-
tura; mentre s’immagineranno le lamiere di gomma e i chiodi di acciaio per la ricerca delle tensioni di
rifollamento e, in genere, di quelle alle quali bisogna fare riferimento per il dimensionamento della flan-
gia. Per il calcolo delle unioni chiodate, bullonate e saldate risulta assolutamente necessario che il proget-
tista delle strutture comprenda il comportamento del giunto, immaginandosene la deformata prodotta
dalle azioni trasmesse.
E, concepire con la fantasia qualcosa di gomma (cioè di facilmente deformabile) e qualcosa di acciaio
(cioè di difficilmente deformabile) può aiutare a creare una rappresentazione (mentale o grafica) dei
giunto deformato e, quindi, a capire come è sollecitato un organo di unione o una flangia.
∑
i=1
σ1 ω b y i = M
2
(2.4.4)
∑
i=1
ω b yi
2 (2.4.5)
Dove
n
∑
i=1
ω b yi
2
5
Detta Rt la risultante degli sforzi di trazione Fi = σbi ωb che si destano nei chiodi per effetto del momento
M, si ha che essa, evidentemente, non può da sola equilibrare il momento stesso. Perché un momento M
non può essere equilibrato da una sola forza, ma da una coppia (cioè da due forze aventi lo stesso modulo,
la stessa direzione e verso opposto, che equivalgono ad un momento equilibrante M). Il bordo inferiore
della flangia, pensando ad un adattamento plastico del materiale, quindi, eserciterà una compressione tale
da fornire una forza Rc uguale e contraria a Rt in modo che si venga a formare una coppia equilibrante del
momento M (si può fare riferimento alla Fig. 2.24).
ESEMPIO N. 3
La mensola illustrata in Fig. 2.25 (si osservi anche la Fig. 2.23) è costituita da
un IPE 200, saldato a una lamiera di cm 12 × cm 30 forata in modo da consen-
tirne l’attraversamento da parte di un certo numero (10, nella fattispecie) di
chiodi o bulloni e realizzare, così, un giunto a flangia.
Il giunto a flangia è sollecitato da:
Taglio T = 2300 kg
Momento flettente M = 2300 × 75 = 172 500 kg×cm
F = 2300 kg
75 cm
Fig. 2.25
( )
5
∑
b 2
yn − 2ωb yi −yn = 0 (e3.b)
2 i =1
( )
5
∑
b 2
yn − 2ωb yi −yn = 0 (e3.c)
2 i =2
Sostituendo i valori numerici, la (e3.c) porge la seguente equazione di se-
condo grado:
6 y 2n + 25.12 y n − 452.16 = 0
che ammette la radice positiva yn = 6.836 cm, effettivamente appartenente al-
l’intervallo ] y1, y2] .
Si può, anzi, notare che è valido il suggerimento, fornito dalla letteratura
tecnica specializzata, di ritenere, almeno in prima approssimazione, yn = h/6
(se avessimo tenuto conto di tale suggerimento avremmo subito scritto la (e3.c),
dando per probabile che l’asse neutro si collocasse, nel nostro caso, tra la pri-
ma e la seconda fila di chiodi).
Il momento d’inerzia (2.4.11) acquista l’espressione:
by 3n 5
12 × 6.836 2
In =
3 ∑
+ 2ω b ( y i − y n ) 2 =
i=2 3
+ 2 × 3.14 ×
[(9 − 6.836) 2
]
+ (15 − 6.836)2 + (21 − 6.836)2 + (27 − 6.836)2 = 5539.04 cm 4
Pertanto σmax vale:
172 500
σ bmax = × ( 27 − 6.836 ) = 627.96 kg / cm 2
5539.04
(e, ovviamente, si verifica nei due chiodi a distanza y5 = 27 cm dal bordo inferio-
re della flangia), mentre per τbV resta valido il valore (e3.a) ed è inutile applicare
la (2.4.9) perché certamente non risulta verificata.
La massima compressione, esercitata dal bordo inferiore della flangia, sul-
l’ala del montante, si ricava applicando la prima delle (2.4.12):
M 172 500
σc = yn = × 6.836 = 212.89 kg / cm 2
In 5539.04
e potrebbe servire per determinare lo spessore s della flangia, (v. Esempio n. 12).
Arrivati a questo punto si possono prendere varie decisioni: o si fa in modo
che la flangia presenti spessore tale da poterla ritenere indeformabile nei con-
fronti delle azioni ad essa non complanari o si adottano chiodi più grossi, di
diametro originario pari a 22 mm (foro pari a 23 mm e, di conseguenza, ωb = 2.32
× 3.14/4 = 4.15 cm2) o si sostituiscono i chiodi con i bulloni (che ammettono
tensioni di trazione - come vedremo più avanti - di almeno 1050 kg/cm2) o s’in-
crementano i diametri solo per i chiodi più distanti dall’asse neutro, che risultano
maggiormente sollecitati a trazione (continuando, in quest’ipotesi, a mantenere
lo spessore del piatto piuttosto forte, anche se non tale da legittimare la presun-
zione di flangia rigida), ecc. Insomma, esistono varie possibilità d’intervento per
far risultare il nostro giunto verificato, anche nell’ipotesi di flangia non indefor-
mabile, adottando, ad esempio, per i chiodi il diametro φ 22 e per lo spessore del
piatto il valore di 30 mm.
Visto che i giunti flangiati sono alquanto diffusi nella pratica tecnica e so-
vente vengono utilizzati i bulloni, e non i chiodi, si può ristudiare il giunto di
Fig. 2.23, con i bulloni al posto dei chiodi e, magari, proporzionare la flangia
con maggiore attenzione a fatti di natura estetica, ricorrendo, ad esempio, a
flange a filo o sporgenti, lo stretto indispensabile, all’intradosso.
ESEMPIO N.4
Con riferimento alle Figg. 2.26 e 2.27 eseguiamo la verifica del giunto solleci-
tato dai momenti:
Mz = 120 000 kg×cm
Mx = 100 000 kg×cm
e dal taglio Ty = 1000 kg. 0
10
F
1000 kg
120 c
m
Fig. 2.26
4
x
4 8 8 4
Fig. 2.27
Era abbastanza frequente osservare - alla fine dell’800 e nei primi decenni del
900 - travi a doppio T formate da un’anima di lamiera, da quattro cantonali ad
essa chiodati ed ali costituite ancora da lamiere, collegate ai cantonali median-
te una seconda chiodatura (v. Fig. 2.28a).
a) b)
Fig. 2.28
6 L’IPE, com’è noto, è un profilato di sezione a doppio T, inscrivibile in un rettangolo di base generalmente
pari alla metà dell’altezza e particolarmente idoneo a realizzare elementi inflessi (se si vuole ottenere un
buon sfruttamento dei materiale in campo elastico). L’HE è un doppio T inscrivibile, più o meno, in un
quadrato ed è il più adatto per realizzare pilastri (perché - presentando un’ellisse centrale d’inerzia piutto-
sto tondeggiante - i raggi d’inerzia, massimo e minimo, non sono molto diversi tra loro). Gli HE si
producono nelle serie: leggera (A), normale (B) e rinforzata (M). Gli IPE e gli HE sono prodotti fino ad
un’altezza (della sezione) di 600 mm. La serie ISE prosegue i profili della serie IPE, con aumento gradua-
le e costante delle altezze e delle larghezze (si va da 650 a 1000 mm d’altezza). I profili della serie HSE
sono di dimensioni uguali o assimilabili a quelle previste per le travi HE nella serie A, B ed M delle
Euronorme 53/62. Simile alla serie HSE è la HSL, comprendente profili di dimensioni di ingombro
uguali a quelli della serie HE/A e spessori ulteriormente alleggeriti, che consentono un migliore sfrutta-
mento del materiale. Gli HSA presentano una larghezza delle ali superiore a 300 mm e sono assimilabili
alle travi laminate della serie WF (wideflange = ali larghe). La serie HSH comprende profili inscrivibili in
quadrati e sono, pertanto, particolarmente adatti all’impiego come colonne, si producono fino a 600 mm
di altezza, con area della sezione retta fino a 712 cm2 . Potrebbero andar bene per realizzare le colonne di
edifici multipiano. Per la serie HSU, le sezioni sono iscrivibili in rettangoli di altezza pari, grosso modo,
a quattro volte la base ed altezza di anima comprese tra 1100 e 1600 mm. Possono essere presi in consi-
derazione per ponti d’acciaio. La serie HSD, infine, presenta la caratteristica di avere le due ali di larghez-
za e spessore differenti. I doppi T di questa serie sono particolarmente adatti ad essere impiegati in colla-
borazione col calcestruzzo cementizio armato (travi miste acciaio-calcestruzzo) e, su richiesta, vengono
forniti con adeguate controfrecce. Le caratteristiche geometriche e inerziali dei profili sopra sommaria-
mente descritti si attingono dai profilatari forniti dall’industria siderurgica.
Fig. 2.29
Fig. 2.30.
Nelle sezioni miste acciaio-calcestruzzo, l’impiego del cls., però, esige che
si tenga conto dei fenomeni lenti (scorrimento viscoso e ritiro), tipici di questo
materiale.
Prendiamo adesso in esame una trave formata da m strisce di lamiera, poste
l’una sull’altra e collegate tra loro, tramite una chiodatura o una bullonatura o
una saldatura. Come si vede in Fig. 2.31, le varie lamiere sono ordinatamente
numerate come s’incontrano procedendo dall’alto verso il basso e presentano
sezioni rette di forma rettangolare e di aree A1, A2, …..Am (nel caso di Fig. 2.31
è, evidentemente, m = 6). Supponiamo, per fissare le idee, che questa trave com-
posta sia semplicemente appoggiata alle estremità e soggetta a un carico unifor-
memente distribuito q. È facile, allora, tracciare i diagrammi delle caratteristiche
di sollecitazione (M e T), così come fatto in Fig. 2.31 (essendo la struttura sim-
metrica e simmetricamente caricata, è ben noto che il diagramma del momento è
simmetrico e quello del taglio è emisimmetrico, ragion per cui i due diagrammi
sono stati tracciati, per metà trave).
Prendiamo in esame il tronco di trave, di lunghezza ∆z, compreso fra le due
sezioni a e b. Sia Ma il momento flettente nella sezione a e Mb quello nella
sezione b. Ovviamente Ta e Tb saranno i tagli nelle sezioni a e b e Tm il taglio
medio nel tratto in esame (nel caso di Fig. 2.31 sarà: Tm = (Ta + Tb) / 2).
Isolato il tronco di lunghezza ∆z, riportiamo sulle facce a e b i diagrammi
delle σ agenti su queste due facce (v. Fig. 2.32). Le tensioni normali σa, agenti
sulla sezione a, sono dovute ad Ma mentre le σb, relative alla sezione b, sono
provocate da Mb. Le risultanti delle σ sollecitanti la prima lamiera, sulle due
facce a e b del concio isolato, rispettivamente valgono:
Ra1 = σa1 A1
(2.5.1)
Rb1 = σb1 A1
dove:
σa1 = tensione normale, nella sezione a e all’altezza del baricentro della pri-
ma striscia;
σb1 = tensione normale, nella sezione b e a livello del baricentro della prima
striscia;
Al = area della sezione retta della prima striscia.
È evidente che:
1) sulla superficie di contatto tra la prima e la seconda lamiera agirà una
forza di scorrimento S∆z che è risultante delle tensioni tangenziali τyz
sulla stessa superficie di contatto;
2) per l’equilibrio alla traslazione secondo l’asse della trave (nella fattispe-
cie l’asse z), del pezzo di lamiera l, di lunghezza ∆z, deve verificarsi:
S∆z = Rb1 – Ra1 (2.5.2)
Fig. 2.31
Fig. 2.32
Per l’equilibrio alla traslazione secondo z, le tre forze di cui sopra devono
farsi equilibrio e, quindi, deve valere la (2.5.2). Un analogo ragionamento si
può fare isolando il pacchetto formato dalle lamiere 1,2,.... i (i < m) tra le m
lamiere del tratto ∆z.
spetto ad x) della sezione netta dei due cantonali e della piattabanda, mentre
Tm, Ix, e ∆z hanno il significato già chiarito in precedenza. Per la verifica del
chiodo in parola si dovrà controllare che la tensione tangenziale τb nelle due
sezioni resistenti alla recisione e la σ di rifollamento σrif - pressione esercitata
dal gambo del chiodo contro mezza parete interna del foro praticato nell’ani-
ma - siano contenute nei limiti ammissibili.
b = 300 mm ∆z = 140
chiodi d1 = 14
c = 30
h/2 = 350 mm
2L ∆z
80 × 12
chiodi d1 = 17 mm
anima s = 10 mm
Fig. 2.33
Ix
∆ z = 1.57 τ b,adm d 2
T max Si
Ix (2.5.9)
∆ z = 2 σ adm s c
T max Si
Ovviamente si assumerà per ∆z il più piccolo tra i due valori forniti dalle (2.5.9).
I problemi connessi alle travi composte erano ben noti ai costruttori dei
secoli passati ed il lettore se ne renderà ben conto guardando la Fig. 2.34,
tratta da J. Leupold, Theatrum Pontificale, Leipzig, 1726, Tav. VIII (partico-
larmente bella la Fig. V, che mostra lo scorrimento tra le quattro tavole di
legno semplicemente sovrapposte l’una all’altra e degne di attenzione sono
le Figg. IX÷XIV, che mostrano vari sistemi di solidarizzazione degli ele-
menti costituenti la trave lignea composta, soggetta a carichi agenti dall’alto
verso il basso).
Naturalmente esistono numerosi altri testi antichi che mostrano brillanti
ed esteticamente valide soluzioni per formare travi composte (sia in legno
che in ferro) che si osservano ben volentieri e che possono fornire anche al
tecnico dei giorni nostri stimolanti spunti per una più valida progettazione
strutturale.
È evidente l’analogia con il calcolo delle armature a taglio (staffe e/o ferri
piegati) nella statica del cemento armato ordinario (metodo delle tensioni am-
missibili).
Anche in quel caso c’è da proporzionare un’armatura in grado di resistere a
una forza (di scorrimento) che è risultante, su un certo tratto di trave, di tensio-
ni tangenziali da taglio (sul piano neutro o su un piano sottostante al piano
neutro e ad esso parallelo).
La forza di scorrimento ha un significato fisico ben preciso: è quella forza
che tende a far scorrere il blocco compresso rispetto a quello teso (cioè una
delle forze che hanno prodotto lo scorrimento delle tavole di legno di Leu-
pold).
Lo studio della singola sezione, seppure la più sollecitata a taglio, è (nella
statica del c.a.o.) poco significativo e, pertanto, occorre prendere in esame un
elemento di trave di una certa lunghezza per individuare modelli e procedure
di calcolo.
Fig. 2.34
ESEMPIO N. 5
Fig. 2.35
+ 2 × 30 × 3 × + +
70 3 32 70 3
Ix = 1 × + 2 × 30 ×
12 12 2 2
2
+ 4 × 102 + 4 x 17.9 × − 2.41 = 344 978.27 cm 4
70
2
352
Sx = 1 × + 2 × 17, 9 × (35 − 2.41) +
2
+ 3 × 30 × (35 +1.5) = 5064.22 cm 3
2
− 4 × 1.4 × 4.2 × −
42 3 76 4.2
I' x = 344 978.27 − 4 × 1.4 × =
12 2 2
= 314 630.89 cm 4
mentre il momento statico di mezza sezione indebolita (momento statico cal-
colato, evidentemente, sempre rispetto all’asse x) vale:
76 − 4.2 4219.63
Sx ′ = 5064 − 4 × 1.4 × 4.2 × cm 3
2 2
Le tensioni massime valgono:
M max 12 160 000
σ max = y max = × 38 = 1468.64 kg/ cm 2 < σ adm
Ix′ 314 630.89
T max Sx ′ 30 400 × 4219.63
τ max = = = 407.71 kg/ cm 2 < τ adm
I x' b 314 630.89 × 1
Accertatici che la sezione composta è ben dimensionata, si può procedere
al calcolo delle due chiodature correnti.
Da questo punto in poi si può fare riferimento alla Fig. 2.33.
Determiniamo il momento statico S1 della sezione retta dell’ala (larga 30
cm e spessa 3 cm), rispetto all’asse x:
70 + 3 = 3285 cm 3
S1 = 30 × 3 ×
2 2
e il momento statico S2 - sempre rispetto ad x - dell’insieme costituito dalla
sezione retta di un’ala e dei sottostanti due cantonali:
S2 = 30 × 3 × + + 2 × 17.9 × − 2.41 =
70 3 70
2 2 2
= 4451.72 cm 3
Procediamo al calcolo della chiodatura più sollecitata: quella che unisce
all’anima l’insieme formato da una piattabanda e due angolari.
Decidiamo di utilizzare chiodi di diametro nominale pari a 16 mm e con
fori di diametro da 17 mm. Sappiamo che τb,adm = 1200 kg/cm2 e σadm = 1900
kg/cm2. Abbiamo, inoltre, già calcolato Ix ed S1, e, quindi, possiamo applicare
le (9.5.9) per determinare l’intervallo ∆z. Si ha:
344 978.27
∆z = 1.57 × 1200 × 1.72 × = 13.88 cm ≅ 14 cm
30 400 × 4451.72
344 978.27
∆z = 2 × 1900 × 1 × 1.7 × = 16.47 cm ≅ 16.5 cm
30 400 × 4451.72
344 978.27
∆z = 2 × 1900 × 1 × 1.7 × = 32.93 cm ≅ 33 cm
15200 × 4451.72
Si assumerà ∆z = 28 cm (che risulta, come si poteva facilmente prevedere,
pari al doppio dell’intervallo precedentemente trovato).
Dobbiamo adesso occuparci della chiodatura che unisce un’ala ai due can-
tonali. È preferibile assumere, per questa chiodatura, gli interassi ∆z prima
stabiliti, allo scopo di avere i chiodi della seconda chiodatura ordinatamente
sfalsati rispetto a quelli della prima chiodatura (testé definita). Insomma ci
preoccupiamo di un fatto estetico: di avere i chiodi delle due unioni correnti gli
uni sfalsati rispetto agli altri (come si può osservare in Fig. 2.33), ma anche di
un fatto statico.
Fissato, allora, ∆z = 14 cm per i tratti estremi di trave (lunghi 4 m ciascuno)
∆ z T m S1 14 × 30 400 × 3285
d1 = = = 1.46 cm
1.57 τ b,adm I x 1.57 × 1200 × 344 978.27
∆ z T m S1 14 × 30 400 × 3285
d1 = = = 1.07 cm
2 τ adm s I x 2 × 1900 × 1 × 344 978.27
3. UNIONI BULLONATE
I collegamenti bullonati, come già detto nel Capitolo 1, hanno quasi totalmen-
te soppiantato quelli chiodati, perché consentono una maggiore razionalizza-
zione del lavoro, dovuta alla facilità e velocità sia del montaggio sia dello
smontaggio, ove mai, nel tempo, la struttura dovesse essere modificata per
rispondere a nuove esigenze distributive o dovesse essere trasportata in altro
luogo. Rispetto alla chiodatura, la bullonatura è caratterizzata da assenza di
rumori nel montaggio, garantisce (nel caso di bulloni AR precaricati, dove AR
sta per Alta Resistenza) un’assoluta impermeabilità all’acqua e offre una mag-
giore resistenza agli sforzi statici e alla fatica.
La tendenza, nelle moderne costruzioni metalliche, è quella di realizzare
quanti più collegamenti saldati è possibile in officina (dove esistono attrezza-
ture e condizioni di lavoro ottimali) per, poi, limitarsi in cantiere a semplici
operazioni di montaggio, affidabili - come nel caso dei collegamenti bullonati
- anche a personale senza particolare specializzazione.
In alcuni casi, inoltre, i bulloni funzionano meglio dei chiodi. Ricordiamo,
ad esempio, che nei chiodi, col raffreddamento, si destano tensioni interne,
tanto più forti quanto più i chiodi stessi sono lunghi. Allorquando si devono
collegare pezzi di notevole spessore (4-5 volte il diametro dei chiodi) è prefe-
ribile utilizzare i bulloni anziché chiodi.
Secondo la letteratura tecnica, il bullone (dal latino bulla = sigillo) è defini-
bile come quell’organo di collegamento mobile, costituito da un perno filettato
(vite), sormontato da una testa generalmente esagonale, cui si avvita un dado
(madrevite), anch’esso per lo più di forma esagonale, che blocca la parte da
serrare.
Un altro elemento importante del bullone (bolt, in inglese) è la rosetta (o
rondella), che può avere funzione d’appoggio o di sicurezza. Essa può essere
inserita per aumentare la superficie d’appoggio del dado (nut), in maniera da
ripartire la forza di serraggio su un’area maggiore. Ma le rosette - che la Norma-
tiva, al punto 7.3.1., impone di usare sempre - servono anche quando i dadi devo-
no essere avvitati per aderire a superfici non perfettamente livellate o quando è
consistente il gioco foro-bullone. Le rosette di sicurezza (le cosiddette rosette
elastiche) appartengono ai dispositivi atti ad impedire l’allentamento delle viti.
Un bullone, ricapitolando, è costituito da tre parti fondamentali:
a) la vite,
b) il dado,
c) la rondella.
Si può fare riferimento alla Fig. 3.1.
bullone in opera
lunghezza
filettatura
Fig. 3.1
Fig. 3.2
Le parti filettate della vite e della madrevite sono dette filettatura o impa-
natura (nella vite, com’è noto, la filettatura è esterna, mentre nella madrevite è
interna).
Le viti, in base al profilo, si dicono triangolari, trapezie, quadre, semicircolari,
ecc; quelle utilizzate nella carpenteria metallica sono le triangolari e le trapezie.
In Fig. 3.3 sono indicate le parti caratteristiche di una vite: la cresta o verti-
ce (sommità del filetto), il fondo (superficie di fondo del filetto), i fianchi (le
Fig. 3.3
I diametri che interessano, nella parte filettata del bullone, sono i tre se-
guenti:
1) il diametro esterno o diametro nominale d;
2) il diametro medio dm;
3) il diametro del nocciolo dn,
Nella bulloneria normalmente impiegata nelle costruzioni metalliche è:
dm = d - 0.64952 p
dn = d - 1.22687 p (3.1)
dove p è il passo della filettatura. Le (3.1) sono rigorosamente valide per filet-
tature metriche ISO a profilo triangolare a passo grosso.
Secondo la UNI 4534/64 come sezione resistente della parte filettata è da
prendersi quella circolare di diametro pari alla media aritmetica tra il diametro
del nocciolo dn e quello medio dm. Cioè, la sezione resistente scaturisce dalla
seguente relazione:
π dm + dn
2
ω res = (3.2)
4 2
La (3.2), tenendo conto delle (3.1), porge:
ωres = 0.19635 (2 d - 1.87639 p)2 (3.3)
La (3.3) mostra con chiarezza che più piccolo è il passo e più grande è ωres.
1
Tutti possiamo fare una semplice esperienza, con uno spillo o con un ago d’acciaio. Afferrandolo con una
pinza, possiamo esporlo, tenendolo in verticale, alla fiamma del fornello della cucina. Riscaldandolo al
color rosso e facendolo raffreddare lentamente, notiamo che l’ago di acciaio può essere facilmente piega-
to (è diventato meno resistente, ma molto più duttile). Questo trattamento si chiama ricottura e può
servire ad eliminare completamente tensioni interne, eventualmente presenti nel pezzo d’acciaio.
Riscaldando il nostro elemento d’acciaio fino al color rosso, ma raffreddandolo rapidamente (immergen-
dolo subito in un bicchiere d’acqua) il nostro spillo diventerà più resistente, ma più fragile (se proviamo
a piegarlo si spezzerà). In questo modo avremo effettuato - come il lettore già sa - un trattamento di
tempra. Dal punto di vista fisico la tempra consiste nel fissare, tramite il brusco raffreddamento, la strut-
tura molecolare che l’acciaio presenta alle alte temperature.
Per attenuare la fragilità dell’acciaio provocato dalla tempra dobbiamo prendere il nostro spillo temprato,
pulirlo accuratamente con carta smerigliata a grana fine, rimetterlo sul fornello e riscaldarlo moderata-
mente (fino a quando assume una coloritura blu) e, infine, lasciarlo raffreddare lentamente. Avremo, così,
effettuato un trattamento termico che si chiama rinvenimento e, alla fine, il nostro spillo si presenterà non
solo resistente, ma anche elastico (un po’ meno duro, ma più plastico e non più fragile). Il processo
complessivo di tempra e rinvenimento si chiama bonifica. Tale trattamento - effettuato con mezzi tecno-
logici e perizia certamente maggiori di quelli da noi adottati con un ago, una pinza e il fornello di cucina
- viene operato sui bulloni.
In realtà chi leggerà questa nota tra qualche decennio è probabile che l’accolga con un sorrisetto di
compatimento, visti i progressi rapidissimi della metallurgia. Già oggi i metalli si possono fabbricare
dentro tubi di plasma (ottenendo leghe chimicamente impossibili, con grani finissimi), per temprarli si
adoperano gas superfreddi e per renderli più resistenti vengono sottoposti a docce di atomi. Circa undici
anni fa 130 industrie tedesche fondarono un centro sperimentale (l’Iwt di Brema) che è passato immedia-
tamente all’avanguardia mondiale, nel settore della metallurgia. E’ facilmente prevedibile che le tecniche
già messe a punto (spray compacting, trattamenti al nitruro di titanio, tecnologia del plasma, Cvd, ecc.),
che oggi trovano applicazioni particolari (in ortopedia: articolazioni artificiali, viti in trazione per femori
e antenne paraboliche dei radiotelescopi, che altro non sono che specchi lucidissimi) possano trovare
larghi impieghi nella carpenteria metallica (e ciò sicuramente accadrà quando i costi delle nuove tecnolo-
gie si abbatteranno).
d p ωres ωb ωres
(in mm) (in mm) (in cm2) (in cm2) ωb
4 0.7 0.0878 0.126 0.697
5 0.8 0.142 0.196 0.722
6 1 0.201 0.283 0.712
7 1 0.288 0.385 0.75
8 1.25 0.366 0.503 0.728
8 1 0.392 0.503 0.779
9 1.25 0.481 0.636 0.756
9 1 0.51 0.636 0.802
10 1.5 0.58 0.785 0.738
10 1.25 0.612 0.785 0.779
10 1 0.645 0.785 0.821
12 1.75 0.843 1.131 0.745
12 1.5 0.881 1.131 0.779
12 1.25 0.921 1.131 0.814
14 2 1.154 1.539 0.75
14 1.5 1.245 1.539 0.809
16 2 1.567 2.011 0.779
16 1.5 1.672 2.011 0.832
18 2.5 1.925 2.545 0.756
18 1.5 2.162 2.545 0.85
20 2.5 2.448 3.142 0.779
20 1.5 2.715 3.142 0.864
22 2.5 3.034 3.801 0.798
22 1.5 3.33 3.801 0.876
24 3 3.525 4.524 0.779
24 2 3.844 4.524 0.85
27 3 4.594 5.725 0.802
27 2 4.957 5.725 0.866
30 3.5 5.606 7.069 0.793
30 2 6.212 7.069 0.879
33 3.5 6.935 8.553 0.811
33 2 7.608 8.553 0.889
36 4 8.167 10.179 0.802
36 3 8.649 10.179 0.85
39 4 9.757 11.946 0.817
39 3 10.284 11.946 0.861
42 4.5 11.209 13.854 0.809
42 3 12.06 13.854 0.87
45 4.5 13.06 15.904 0.821
45 3 13.977 15.904 0.879
48 5 14.731 18.096 0.814
48 3 16.036 18.096 0.886
52 5 17.578 21.237 0.828
52 3 19 21.237 0.895
56 5.5 20.3 24.63 0.824
60 5.5 23.62 28.274 0.835
64 6 26.76 32.17 0.832
68 6 30.553 36.317 0.841
Tabella 3.1
Prove a trazione
Classe Carico unitario Carico unitario Allungamento Impiego
della vite di rottura di snervamento (%)
(in kg/mm2) (in kg/mm2)
La tabella 3.2 può essere integrata dalla seguente tabella 3.3, tratta dell’Eu-
rocodice 3.
Classe dei bulloni 4.6 4.8 5.6 5.8 6.8 8.8 10.9
fyb (N/mm2) 240 320 300 400 480 640 900
fub (N/mm2) 400 400 500 500 600 800 1000
Per quanto riguarda l’interasse dei bulloni e le distanze dai margini vale
quanto già detto per i chiodi.
Di norma si impiegano bulloni dei seguenti diametri:
d = 12; 14; 16; 18; 20; 22; 24; 27; 30 mm.
Si è già detto che i fori devono consentire un certo gioco con il bullone ed,
in particolare, il diametro dei fori deve essere pari a quello dei bulloni maggio-
rato di 1 mm fino al diametro di 20 mm e di 1.5 mm per bulloni di diametro
maggiore di 20 mm. Tutto ciò quando è ammissibile un assestamento sotto
carico (altrimenti la maggiorazione suddetta sarà di 0.25 e 0.5 mm). È oppor-
tuno, adesso, riportare integralmente i punti 2.5. e 2.6. del Regolamento, in
merito ai materiali, ed i punti 7.3.1., 7.3.2. e 7.3.3., in merito alle regole di
progettazione e di esecuzione delle unioni con bulloni normali:
2.5. BULLONI.
I bulloni normali (conformi per le caratteristiche dimensionali alle UNI 5727-88,
UNI 5592-68 e UNI 5591-65) e quelli ad alta resistenza (conformi alle caratteri-
stiche cui al prospetto 4-II) devono appartenere alle sottoindicate classi delle
8.8-10.9
Viti UNI 5712 - (giu. ’75)
secondo UNI EN 20898/1 (dic. ’91)
8-10
Dadi UNI 5713 - (giu. ’75)
secondo UNI 3740/4ª (ott. ’85)
7.3.1. Bulloni.
La lunghezza del tratto non filettato del gambo del bullone deve essere in gene-
rale maggiore di quella delle parti da serrare e si deve sempre far uso di rosette.
E’ tollerato tuttavia che non più di mezza spira del filetto rimanga compresa nel
foro. Qualora resti compreso nel foro un tratto filettato se ne dovrà tenere ade-
guato conto nelle verifiche di resistenza.
In presenza di vibrazioni o inversioni di sforzo, si devono impiegare controdadi
oppure rosette elastiche, tali da impedire l’allentamento del dado. Per bulloni
con viti 8.8 e 10.9 è sufficiente l’adeguato serraggio.
7.3.2. Diametri normali.
Di regola si devono impiegare bulloni dei seguenti diametri:
d = 12, 14, 16, 18, 20, 22, 24, 27 mm.
I fori devono avere diametro uguale a quello del bullone maggiorato di 1 mm
fino al diametro 20 mm e di 1.5 mm oltre il diametro 20 mm, quando è ammissi-
bile un assestamento sotto carico del giunto.
Quando tale assestamento non è ammesso, il giuoco complessivo tra diametro del
bullone e diametro del foro non dovrà superare 0.3 mm, ivi comprese le tolleranze.
Nei disegni si devono contraddistinguere con apposite convenzioni i bulloni dei
vari diametri e devono esser precisati i giuochi foro-bullone.
7.3.3. Interasse dei bulloni e distanza dai margini.
Vale quanto specificato al punto 7.2.4. (per i chiodi, N.d.A.).
Sollecitazione
Elemento Taglio Trazione (*)
Composta
(kg/cm2) (kg/cm2)
Chiodi normali 1200 500
4.6 1050 1050
2 2
Bulloni 5.6 1500 1500 τb σb
+ ≤ 1
con 6.6 1700 1700 τ b,adm σ b,adm
viti di
classe 8.8 1900 2800
10.9 2200 3900
(*) In assenza di apprezzabili flessioni parassite e di fenomeni di fatica nei bulloni le tensioni ammissibili
a trazione per viti 4.6, 5.6, 6.6 sono elevate rispettivamente a 1400, 1800 e 2000 kg/cm2.
Tutte le normative che si sono succedute in Italia dal ’72 all’85 imponeva-
no la verifica dei bulloni in base a quanto contenuto nel vecchio prospetto 3-II,
che si è prima riportato (e che, poi, altro non è che il criterio di resistenza di
Gough e Polland con tensioni ammissibili minori di quelle riportate nella nor-
mativa attuale):
Riportiamo integralmente il punto 4.2. della normativa vigente (D. Min.
LL.PP. 9 gennaio 1996: Norme tecniche per il calcolo, l’esecuzione ed il col-
laudo delle strutture in cemento armato, normale e precompresso e per le strut-
ture metalliche, pubblicate sul supplemento ordinario alla “Gazzetta Ufficia-
le” n. 29 del 5 febbraio 1996 - Serie generale):
PROSPETTO 7-II
Stato di tensione
Classe ft fy fk,N fd,N fd,V
Vite [N/mm2] [N/mm2] [N/mm2] [N/mm2] [N/mm2]
fk,N = è assunto pari al minore dei due valori fk,N = 0. 7ft (fk,N = 0.6 ft per viti di
classe 6.8) fk,N = fy essendo ft ed fy le tensioni di rottura e di snervamento
secondo UNI 3740.
fd,N = fk,N resistenza di calcolo a trazione
fd,V = fk,N = resistenza di calcolo a taglio
Ai fini del calcolo della σb la sezione resistente è quella della vite; ai fini del
calcolo della τb la sezione resistente è quella della vite o quella totale del gambo
a seconda che il piano di taglio interessi o non interessi la parte filettata.
Nel caso di presenza contemporanea di sforzi normali e di taglio deve risultare:
2 2
τb σb
+ ≤1
fd , V fd , N
La pressione sul contorno del foro σrif , alla proiezione diametrale della superfi-
cie cilindrica del chiodo e del bullone, deve risultare:
σrif ≤ α fd
essendo:
α = a/d e comunque da assumersi non superiore a 2.5;
fd la resistenza di calcolo del materiale costituente gli elementi del giunto (vedi
4.1.1.1.)
a e d definiti limitati al punto 7.2.4.
[d è il diametro del chiodo e a la distanza dal centro del chiodo al margine degli
elementi collegati nella direzione dello sforzo, N.d.A.].
I bulloni di ogni classe devono essere convenientemente serrati.
Fig. 3.4
Fig. 3.5
Diametro CLASSI
della Passo
vite (mm) 4A 4D - 4S 5D - 5S 6D 8G 10O-10K 12O-12K
(mm) Carico totale di rottura (in t)
4 0.7 0.295 0.345 0.43 0.52 0.69 0.865 1.04
5 0.8 0.475 0.56 0.7 0.84 1.12 1.4 1.68
6 1 0.675 0.79 0.99 1.19 1.585 1.98 2.375
7 1 0.97 1.14 1.425 1.71 2.28 2.85 3.42
8 1.25 1.225 1.445 1.805 2.165 2.89 3.61 4.33
8 1 1.32 1.55 1.94 2.33 3.105 3.88 4.655
9 1.25 1.62 1.905 2.38 2.835 3.81 4.76 5.71
9 1 1.72 2.025 2.53 3.036 4.05 5.06 6.07
10 1.5 1.95 2.29 2.865 3.44 4.585 5.73 6.875
10 1.25 2.06 2.425 3.03 3.635 4.85 6.06 7.27
10 1 2.175 2.56 3.2 3.84 5.12 6.4 7.68
12 1.75 2.83 3.33 4.16 4.99 6.655 8.32 9.985
12 1.5 2.965 3.49 4.36 5.23 6.975 8.72 10.465
12 1.25 3.105 3.65 4.565 5.48 7.305 9.13 10.955
14 2 3.875 4.56 5.7 6.84 9.12 11.4 13.68
14 1.5 4.18 4.92 6.15 7.38 9.84 12.3 14.76
16 2 5.27 6.2 7.75 9.3 12.4 15.5 18.6
16 1.5 5.645 6.604 8.3 9.96 13.28 16.6 19.92
18 2.5 6.46 7.6 9.5 11.4 15.2 19 22.8
18 1.5 7.31 8.6 10.75 12.9 17.2 21.5 25.8
20 2.5 8.23 9.68 12.1 14.52 19.36 24.2 29.04
20 1.5 9.18 10.8 13.5 16.2 21.6 27 32.4
22 2.5 10.32 12.04 15.05 18.06 24.08 30.1 36.12
22 1.5 11.25 13.24 16.55 19.86 26.48 33.1 39.72
24 3 11.87 13.96 17.45 20.94 27.92 34.9 41.88
24 2 12.99 15.28 19.1 22.92 30.56 38.2 45.84
27 3 16.76 18.2 22.75 27.3 36.4 45.5 54.6
27 2 18.87 19.72 24.65 29.58 39.44 49.3 59.86
30 3.5 21.01 22.2 27.75 33.3 44.4 55.5 66.6
30 2 23.39 24.72 30.9 37.08 49.44 61.8 74.16
Tabella 3.4
Non siamo, però, convinti che tale criterio possa essere condiviso da tutti,
contenendo delle lievi approssimazioni a vantaggio di statica; assumendo, per
il nostro bullone, la tensione ammissibile di 2800 kg/cm2 e la sezione resisten-
te di 2.715 cm2, si avrebbe uno sforzo ammissibile di 7.6 t, che accetteremmo
ugualmente, comportando un coefficiente pari a circa 2.8 (senz’altro soddisfa-
cente perché non molto lontano dal coefficiente di sicurezza 3, da noi scelto,
rispetto alla rottura).
Naturalmente, anche il coefficiente di sicurezza 3, rispetto alla rottura, può,
in qualche caso, essere rivisto. Quando, ad esempio, c’è il rischio di un formi-
dabile effetto leva, con tiro eccentrico, o fenomeni di fatica non ci scandalizze-
remmo se il progettista delle strutture volesse elevare il suddetto coefficiente
di sicurezza. D’altronde il tecnico si assume la responsabilità della sicurezza
strutturale ed è giusto che operi le sue scelte, improntate alla prudenza, al ri-
spetto delle norme, ispirate dalla propria sensibilità statica e dall’esperienza e
che non comportino oneri economici eccessivi e inutili per il committente.
La tabella 3.4 può essere utile per stabilire delle equivalenze tra bulloni. Ad
esempio, un bullone φ 27, passo 3 mm e classe 4A (carico di rottura pari a
16.76 t) è sostituibile con un bullone φ 18, passo 1.5 mm e classe 8G (carico di
rottura pari a 17.2 t).
1
Si ricorda che, sotto l’azione di una forza orizzontale F, è vinta la resistenza di attrito fra il corpo in figura
e il piano orizzontale sul quale è poggiato, quando la stessa forza F raggiunge il valore:
Flim = tanϕ N = µ N
dove:
N = valore della forza verticale (agente insieme ad F) che preme il corpo sul piano di appoggio;
ϕ = angolo rappresentativo della resistenza di attrito tra i due elementi (corpo e piano di appoggio);
µ = tanϕ = coefficiente di attrito, dipendente dai due
materiali a contatto, (quelli di cui sono formati il cor-
po e il piano orizzontale); ad esempio, il coefficiente
di attrito tra muratura e terreno sabbioso è µ = 0.6 (ϕ
= 31°), mentre tra muratura e argilla umida è µ = 0.3
(ϕ = 17°), ecc.
Ovviamente quando la forza F supera anche di po-
chissimo il valore Flim il corpo slitta sul suo piano di
appoggio. Nel fenomeno ha certamente importanza
µ, ma influisce anche N.
Lasciando costante µ, più cresce N e più, evidente-
mente, deve aumentare d’intensità Flim, per vincere
l’attrito corpo-piano scabro.
Stabilito un certo coefficiente di sicurezza νf, la forza trasmissibile per attrito, dal corpo al piano sul quale
è poggiato, diventa Ff = Flim / νf.
La formula della normativa:
µ
Ff = Nb
νf
(contenuta nel punto 3.4. della stessa normativa e precedentemente riportata) è facilmente comprensibile
alla luce di quanto detto poc’anzi.
Si comprende, cioè, che la forza trasmissibile per attrito dipende sì dal trattamento superficiale che hanno
subito i pezzi di acciaio posti a contatto (che condiziona µ, esaltando o non esaltando l’attrito), ma anche
- e soprattutto - dallo sforzo di pretensione Nb impresso al bullone, che pressa gli elementi a contatto,
l’uno contro l’altro.
Più il bullone è serrato più i due pezzi a contatto sono spinti l’uno contro l’altro, e più grande sarà la forza
trasmissibile per attrito.
È ovvio altresì che deve essere introdotto un coefficiente di sicurezza νf, per porre rimedio ad una serie di
incertezze che si possono avere. La normativa fa dipendere νf dalla condizione di carico: I o II.
2
L’Eurocodice 3 suggerisce di assumere per il coefficiente di attrito µ i seguenti valori:
µ= 0.50 per superfici sabbiate meccanicamente o a graniglia, esenti da incrostazioni di ruggine o da
vaiolature; superfici sabbiate meccanicamente o a graniglia e metallizzate a spruzzo con
alluminio superfici sabbiate meccanicamente o a graniglia e metallizzate a spruzzo con
una vernice a base di zinco certificata per assicurare un coefficiente di attrito non infe-
riore a 0.5.
µ = 0.40 per superfici sabbiate meccanicamente o a graniglia e verniciate con silicato di zinco alcalino
applicando uno spessore dello strato di 50-80 µ m.
µ = 0.30 per superfici pulite mediante spazzolatura o alla fiamma, esenti da incrostazioni di ruggine.
µ = 0.20 per superfici non trattate.
spetto 3-III ci sono i valori della forza normale Nb e della coppia di serraggio
Ms per i vari tipi di bulloni; relativamente ai bulloni di classe 8.8 e 10.9, che
sono quelli adoperati per unioni ad attrito, si riportano i valori che Ff assume al
variare dei parametri che la definiscono, nel prospetto 3-IV
PROSPETTO 3-III
Ms Nb Ms Nb Ms Nb Ms Nb Ms Nb
12 84.3 3.4 1.4 4.9 1.9 5.5 2.3 9.4 3.9 12.7 5.3
14 115 5.3 1.9 7.3 2.9 8.7 3.1 14.8 5.3 20.4 7.3
16 157 8.3 2.6 11.2 3.5 13.8 4.3 23.4 7.3 31.7 9.9
18 192 11.5 3.2 15.5 4.3 18.7 5.2 32 8.9 43.6 12.1
20 245 16.4 4.1 22 5.5 26.8 6.7 45.6 11.4 62 15.5
22 303 22.4 5.1 29.9 6.8 36.1 8.2 61.6 14 84 19.1
24 353 28.3 5.9 37.9 7.9 46.1 9.6 78.7 16.4 107 22.3
27 459 41.6 7.7 55.6 10.3 67.5 12.5 115 21.3 156.6 29
dove fkn, può attingersi dalla tabella 3.2 e ωres dalla tabella 3.1 (ovviamente fkn
è, come già in precedenza definita, la resistenza caratteristica del bullone a
trazione e ωres è l’area resistente del bullone, tenuto conto dell’indebolimento
rappresentato dalla filettatura).
Le stesse norme C.N.R. 10011-85 prevedono (sempre al punto 4.1.1) che la
coppia di serraggio Ms, necessaria ad indurre la forza normale Nb (data dalla
(4.1)), risulta, per filettatura a passo grosso:
Ms = 0.2 Nb d (4.2)
(espressione identica a quella fornita dalla vigente normativa italiana).
PROSPETTO 3-IV
d ωres
Ns (n - m) Nb (kN)
(mm) (mm2)
4.6 5.6 6.6 8.8 10.9 4.6 5.6 6.6 8.8
12 84.3 38.84 48.56 58.27 90.64 113.30 16.19 20.23 24.28 37.77
14 115.4 62.04 77.55 93.06 144.76 180.95 22.16 27.70 33.23 51.70
16 156.7 96.28 120.35 144.41 224.64 280.81 30.09 37.61 45.13 70.20
18 192.5 133.06 166.32 199.58 310.46 388.08 36.96 46.20 55.44 86.24
20 244.8 188.01 235.01 282.01 438.68 548.35 47.00 58.75 70.50 109.67
22 303.4 256.31 320.39 384.47 598.06 747.58 58.25 72.82 87.38 135.92
24 352.5 324.86 406.08 487.30 758.02 947.52 67.68 84.60 101.52 157.92
27 459.4 473.20 595.38 714.46 1111.38 1389.23 87.63 110.26 132.31 205.81
30 560.6 645.81 807.26 968.72 1506.89 1883.62 107.63 134.54 161.45 251.15
Per verificare l’efficienza dei giunti serrati, il controllo della coppia torcente
applicata può essere effettuato in uno dei seguenti modi:
a) si misura con chiave dinamometrica la coppia richiesta per far ruotare
ulteriormente di 10° il dado;
b) dopo aver marcato dado e bullone per identificare la loro posizione relativa,
il dado deve essere prima allentato con una rotazione almeno pari a 60° e
poi riserrato, controllando se l’applicazione della coppia prescritta riporta
il dado nella posizione originale.
Se in un giunto anche un solo bullone non risponde alle prescrizioni circa il
serraggio, tutti i bulloni del giunto devono essere controllati.
P/2
P
P/2
P P
Fig. 4.1
ESEMPIO N. 6
t
28
F=
0.65
6 cm
3 3
s1 = 2 cm
Fig. 4.2
Per quanto non sia assolutamente necessario - nei giunti ad attrito verificare
i bulloni a taglio, noi lo facciamo ugualmente per accertarci che il giunto possa
funzionare anche a taglio. Il lettore che volesse effettuare altre verifiche di
giunti ad attrito, potrebbe, allora, rinunciare alle verifiche a taglio. Ciò è evi-
dente perché, con l’utilizzo di bulloni AR precaricati, la trasmissione degli
sforzi, dall’uno all’altro degli elementi collegati, avviene sfruttando l’attrito e
non già sforzi di taglio negli organi d’unione.
L’impiego di bulloni AR dovrebbe, infatti, presupporre la condizione che i
giunti non scorrano. Diciamo, allora, che nel caso del presente esempio, vo-
gliamo accertarci che il giunto funzioni anche a taglio, nella malaugurata ipo-
tesi che l’attrito venga meno (perché, potremmo immaginare, c’è stata qualche
3
Il rettangolo di lamiera posto tra i due profilati a U (ma anche quelli posti come coprigiunto) è detto fazzo-
letto. Soprattutto per le sagome dei ferri del c.a. troviamo questi nomi curiosi (cavallo, molla, pipetta, ecc.);
ma anche nelle costruzioni di acciaio. Gli esempi potrebbero essere tantissimi. Come si poteva chiamare
quel pilastrino di mattoni, inserito in una muratura per poggiarvi sopra una trave, se non cuscino. L’asta
verticale posta al centro di una capriata, fra le testate dei due puntoni, effettivamente ha una certa ieraticità,
sembra tendere verso il cielo e non poteva che chiamarsi monaco (gli inglesi, guarda caso, lo chiamano
vescovo). Un arnese formato da una traversa e quattro gambe è detta capra; e, poi, abbiamo l’incastro a coda
di rondine, il muro a scarpa, la trave a ginocchio, ecc.
negligenza nella preparazione delle superfici a contatto e/o nel serraggio dei
bulloni). Va anche detto, però, che se venisse raggiunto il carico di scorrimento
- e, quindi, fosse vinta la resistenza d’attrito (attrito di primo distacco) e si
verificasse uno scorrimento relativo tra le parti connesse - ancora si avrebbe
che il carico è sopportato, in parte non trascurabile, dalla resistenza di attrito
ancora esistente. Pertanto intendiamo essere veramente molto prudenti ad ac-
certarci che il giunto funzioni bene sia a taglio sia ad attrito.
La tensione tangenziale in ognuna delle due sezioni resistenti al taglio nel
singolo bullone e la tensione di rifollamento valgono:
F 28 000
τb = = = 1741.29 kg/ cm 2 < τ adm = 2200 kg/ cm 2
n m ω b 4 × 2 × 2.01
F 28 000
σ rif = = = 3365.44 kg/ cm 2 < 2.5 σ adm = 6000 kg/ cm 2
n m t d 4 × 2 × 0.65 × 1.6
Ovviamente si è immaginato che tutti i bulloni siano sollecitati, a taglio,
ognuno in due sezioni del gambo.
Nella sezione del tirante indebolita dal foro la tensione normale vale:
28 000
σ= = 2314.05 kg/ cm 2 < σ adm = 2400 kg/ cm 2
2 × (7.09 − 1.6 × 0.65 )
Si è verificata, tra le quattro sezioni parimenti indebolite dai fori per il pas-
saggio dei bulloni, quella soggetta allo sforzo normale maggiore.
Dalla verifica di resistenza per attrito scaturisce:
µ Nb 1
Ff = = × 0.45 × 9 900 × 2 × 4 = 28512 kg > 28000 kg
νf 1.25
con Nb = 9.9 t preso dal prospetto 3-III riportato in precedenza.
Lo spessore della lamiera costituente il fazzoletto dev’essere non minore di:
28 000
s1 = = 1.94 cm ≅ 2 cm
2400 × 6
A questo punto il giunto ad attrito è completamente definito: può funziona-
re bene anche a prescindere dall’attrito (cosicché, se nella pratica esecuzione
del giunto, si realizzasse un’unione a taglio, anziché ad attrito, l’unione fun-
zionerebbe altrettanto bene).
ESEMPIO N. 7
Così come risulta dalla Fig. 4.3, il giunto a doppia flangia è sollecitato da un
momento e da un taglio rispettivamente pari a:
M = 700 × 120 = 84000 kg × cm
T = 700 kg
M M
105.2 mm
35
x
Fig. 4.3
(1.154 è l’area del gambo, in cm2, del bullone φ 14, soggetto alla recisione; in
altre parole: si è ritenuta soggetta a taglio la sezione del gambo, mentre, prima,
si è considerata soggetta a trazione la sezione più debole del bullone: quella in
corrispondenza della filettatura).
La verifica di resistenza, nell’ipotesi di unione a taglio, fornisce:
(e7.a)
N 3119.54 × 1.15
× 8280 × 1 −
0.5
F f,red = F f 1 − = 2× +
Nb 1.25 7300
1039.97 × 1.15
× 7300 × 1 −
0.5
+2× = 7839.94 kg
1.25 7300
così come disegnato in Fig. 4.3, seppure con qualche lieve generosità nel di-
mensionamento. Non è affatto infrequente - nella pratica professionale - che,
una volta definito un giunto (bullonato o saldato), il progettista senta l’esigen-
za di reiterare il calcolo, al fine di apportare qualche miglioria.
Indubbiamente, quest’esigenza di migliorare un giunto è più probabile che
accada se ci poniamo pure l’obiettivo di definire collegamenti che siano grade-
voli anche sotto il profilo estetico (chi l’ha detto che un giunto non possa anche
essere piacevole a guardarsi? che s’inserisca bene nel complesso dell’opera?).
Inviteremmo, pertanto, lo studioso lettore a riorganizzare il giunto di Fig. 4.3
(le flangie potrebbero essere di spessore più contenuto e ridisegnate, i bulloni
di diametro più piccolo, ecc.).
5. UNIONI SALDATE
5.1. Generalità
1
Per saldabilità si intende l’attitudine di un metallo a lasciarsi saldare. Gli acciai comuni - con un contenu-
to di carbonio fino allo 0.25% ed anche oltre, fino allo 0.35% - presentano un’accettabile saldabilità; più
è bassa la percentuale di carbonio, più la saldatura è facile ad effettuarsi, praticamente con ogni procedi-
mento di saldatura. Altri metalli e/o leghe (alluminio, rame, ecc.) pure sono saldabili, ma non in maniera
semplice come per un acciaio dolce. Forse è opportuno ricordare che gli acciai, in funzione della percen-
tuale di carbonio si classificano in:
acciai extra-dolci C < 0.15 %
acciai dolci C = 0.15 - 0.25 %
acciai semi-duri C = 0.25 - 0.5 %
acciai duri C = 0.5 - 0.75 %
acciai extra-duri C > 0.75 %
2
La temperatura di 3100 - 3500° C si verifica fra il dardo e il fiocco della fiamma, mentre all’imboccatura
del cannello è di circa 300° C (la qual cosa evita la fusione dei cannello stesso, in mano all’operatore).
elettrodo
cordone pinza
di saldatura porta elettrodo
manico
isolante
pezzi da saldare
(materiale di base)
generatore
Fig. 5.1
3
E’ opportuno dire, solo per memoria, che con cannello ossiacetilenico od ossipropanico vengono sovente
eseguiti tagli di acciaio (si tratta di sistemi che rientrano nel cosiddetto taglio con mezzi termici, essendo-
ci anche il taglio con mezzi meccanici).
Il cannello - al fine di effettuare detti tagli - può essere fatto avanzare automaticamente con opportuna
velocità ed anche, se lo si desidera, con prefissata inclinazione, in maniera tale che il piano del taglio
risulti obliquo, rispetto alla superficie del pezzo, effettuando, così, particolari preparazioni per successive
saldature. Quando l’ossitaglio è, per certi tipi d’acciaio, impossibile, il taglio stesso può essere effettuato
con gas ionizzati (si parla, allora, di taglio al plasma); con quest’ultimo sistema si riescono ad ottenere
altissime temperature. Se l’ossitaglio non è automatico, ma a mano, e i pezzi tagliati devono essere
successivamente saldati, è necessaria una successiva ripassatura alla smerigliatrice, onde regolarizzare
l’asperità del taglio.
In conclusione, vorremmo far notare che anche le operazioni di taglio di profilati o di lamiere (così com’è
stato per le forature, dei pezzi, necessari al passaggio dei chiodi o dei bulloni) vanno effettuati in maniera
opportuna, tale da ottenere risultati staticamente ed esteticamente validi. E ciò, in parole povere, si può
ottenere affidando tali operazioni a maestranze qualificate.
E’ vietato l’uso della fiamma per l’esecuzione di fori per chiodi e bulloni.
Questo sistema nato alla fine dell’Ottocento (1885, sistema Bernardos) con
l’utilizzo di elettrodi di carbone, fu prima migliorato con elettrodi metallici
non rivestiti (nel 1891 in Danimarca, sistema Kjelberg) e, poi, con elettrodi
rivestiti (in Russia, sistema Slavianoff).
L’arco elettrico, oltre ad essere una notevole sorgente termica, è anche una
rilevante fonte luminosa. La forte luminosità, evidentemente, è qualcosa da
cui l’operatore deve proteggersi. Fissando, direttamente e da vicino, l’arco, è
pressoché inevitabile l’insorgere di una fastidiosa congiuntivite. Si rende, quindi
necessario l’uso di schermi o occhiali con vetri colorati (generalmente verde
scuro o blu) in grado di filtrare le radiazioni infrarosse e ultraviolette nocive4.
Tra i diversi procedimenti ad arco ricordiamo quelli:
- ad arco con elettrodo rivestito,
- ad arco sommerso,
- ad arco con elettrodo infusibile in atmosfera inerte (TIG = Tungsten Inert
Gas),
- a filo continuo (in atmosfera inerte MIG e attiva MAG).
Il procedimento ad arco con elettrodi rivestiti è di gran lunga il più comune,
grazie alla semplicità e versatilità d’impiego che lo rende insostituibile per
saldature in opera o di tracciato irregolare o poco accessibili. Il materiale di
apporto, contenuto nell’anima dell’elettrodo, fonde con continuità nell’arco
elettrico insieme ad una zona prossima del metallo base, formando insieme, il
cordone di saldatura. Il rivestimento dell’elettrodo ha almeno due funzioni;
fondendo (subito dopo - essendo quasi refrattario - che s’è fusa l’anima metal-
lica dell’elettrodo) forma un’atmosfera di gas protettiva del bagno di fusione
dal contatto con l’aria (contatto dannoso in quanto l’ossigeno, molto solubile
nel ferro fuso, tende a separarsene durante il raffreddamento generando così
inclusioni non metalliche o soffiature) e forma poi uno strato sottile sul cordo-
ne che ne rallenta il raffreddamento, attenuando così gli effetti del ciclo termi-
co cui è stato sottoposto il materiale (v. Fig. 5.2).
Il diametro degli elettrodi varia da 2.5 mm a 5 mm, mentre la lunghezza
varia da 35 cm a 45 cm (in funzione del diametro). Il rivestimento dell’elettro-
do (acido o basico) s’interrompe a circa 2 cm in uno degli estremi, in maniera
tale che l’elettrodo stesso possa essere afferrato con la pinza della saldatrice.
4
Fissando con lo sguardo l’arco elettrico o ricevendone semplicemente i raggi riflessi, dopo qualche ora, si
avverte un forte bruciore agli occhi e la sgradevole sensazione di averci la sabbia dentro. Generalmente
tali sintomi spariscono nell’arco di una giornata di sofferenze, senza lasciare alcuna conseguenza sulla
vista e bastano a scoraggiare chiunque a ripetere l’esperienza. Oltre a proteggere gli occhi, l’operaio
saldatore deve preservarsi anche la pelle, specialmente del viso, dagli effetti dei raggi che si sprigionano
dall’arco elettrico, che possono provocare fastidiosi eritemi. L’operaio saldatore si protegge il viso con
uno schermo dotato di una finestrella con vetro colorato inattinico, non lavora a dorso nudo, circonda il
posto di lavoro con paraventi leggeri ed espone cartelli invitanti a non guardare l’arco.
rivestimento dell’elettrodo
Fig. 5.2
5
Gli elettrodi vengono contraddistinti da un simbolo alquanto complesso, ma che ha un preciso significato.
Riportiamo il seguente passo dell’articolo di Mario Costa, ripreso dal n.5/1970 della rivista Costruzioni
metalliche: A titolo di esempio il simbolo completo di un elettrodo secondo le norme citate (UNI 5132,
N.d.R.) può essere il seguente:
E 44 L 4 B 2 0 R11 (UNI 5132) del quale lettere e numeri hanno un preciso significato:
E = simbolo parziale per gli elettrodi
44 = resistenza a trazione (minima garantita)
L = tipo di applicazione (lamiere e profilati in questo caso. Per i tubi in particolare, viene usato il
simbolo T e per le lamiere sottili il simbolo S).
4 = classe di qualità (in questo caso si tratta di elettrodi di elevatissima qualità, con valori garantiti di
allungamento e resilienza molto alti e studiati in modo da essere particolarmente resistenti alla criccabilità
a caldo. Prima di questa classe figurano: la 0, senza garanzie e le 1,2,3 con garanzie via via più accen-
tuate).
B = tipo di rivestimento (basico nell’esempio. Può essere anche: 0 = ossidante; A = acido; R = rutilio; C
= cellulosico; ecc.).
2 = posizione di saldatura (tutte, esclusa la verticale discendente. E’ preceduta dalla 1, valida per tutte le
posizioni e seguita dalla 3 e 4 per posizioni particolari).
0 = condizioni di alimentazione elettrica (corrente continua in questo caso. I numeri successivi, fino a 9,
sono adottati per alimentazione sia in c.c. che in c. a. (corrente alternata, N.d.A.) a seconda della polarità
e della tensione minima).
R11 = rendimento (uguale o maggiore del 110%).
Si tratta perciò, nell’esempio, di un elettrodo particolarmente adatto per costruzioni impegnative e sog-
gette ad azioni dinamiche ...
a) b)
Fig. 5.3
a) b)
Fig. 5.4
ve accenno va fatto alle cosiddette cricche, che sono incrinature, originate per
strappo, del materiale base e/o del materiale d’apporto che rappresentano in-
dubbiamente il difetto più grave che un giunto saldato possa presentare.
Nella letteratura tecnica specializzata si parla di cricche a freddo e di cric-
che a caldo. Le cricche a caldo (v. Fig. 5.5) sono così chiamate perché si for-
mano durante la solidificazione della saldatura.
cricche a caldo
Fig. 5.5
cricche a freddo
Fig. 5.6
6
Le norme CNR 10011/85 parlano della qualificazione professionale degli operai addetti alle saldature ed
è forse, opportuno riportare integralmente il punto 9.10.4.l. di dette norme:
9.10.4.1. Sia in officina sia in cantiere, le saldature da effettuare con elettrodi rivestiti devono essere
eseguite da operai che abbiano superato le prove di qualifica indicate nella UNI 4634 per la classe
relativa al tipo di elettrodo ed alle posizioni di saldatura previste. Nel caso di costruzioni tubolari si farà
riferimento anche alla UNI 4633 per quanto riguarda i giunti di testa.
Le saldature da effettuare con altri procedimenti devono essere eseguite da operai sufficientemente adde-
strati all’uso delle apparecchiature relative ed al rispetto delle condizioni operative stabilite in sede di
approvazione del procedimento.
dalla ditta esecutrice, alla posizione di esecuzione delle saldature e secondo che
siano state eseguite in officina o al montaggio.
Per i giunti a croce o a T, a completa penetrazione nel caso di spessori t > 30
mm, l’esame radiografico o con ultrasuoni atto ad accertare gli eventuali difetti
interni verrà integrato con opportuno esame magnetoscopico sui lembi esterni
delle saldature al fine di rilevare la presenza o meno di cricche da strappo.
Nel caso di giunto a croce sollecitato normalmente alla lamiera compresa fra le
due saldature, dovrà essere previamente accertato, mediante ultrasuoni, che detta
lamiera nella zona interessata dal giunto sia esente da sfogliature o segregazio-
ni accentuate.
I giunti con cordoni d’angolo, effettuati con elettrodi aventi caratteristiche di
qualità 2, 3 o 4 UNI 5132 (ottobre 1974) o con gli altri procedimenti indicati al
punto 2.4.1., devono essere considerati come appartenenti ad una unica classe
caratterizzata da una ragionevole assenza di difetti interni e da assenza di incri-
nature interne o di cricche da strappo sui lembi dei cordoni. Il loro controllo
verrà di regola effettuato mediante sistemi magnetici; la sua estensione verrà
stabilita dal direttore dei lavori, sentito eventualmente il progettista e in base ai
fattori esecutivi già precisati per gli altri giunti.
Fig. 5.7
d’angolo aT
per
aL sovrapposizione
a doppio
coprigiunto
Fig. 5.8
Fig. 5.9
del pezzo saldato ricavata normalmente all’asse predetto (cioè quella del mate-
riale base più il materiale d’apporto).
Fig. 1-II
Per trazioni o compressioni normali all’asse del cordone la tensione nella sal-
datura non deve superare 0,85 fd per giunti testa a testa di II classe e fd per gli
altri giunti.
Per sollecitazioni composte deve risultare:
fd (I classe)
σ id = σ 2⊥ + σ // − σ ⊥ σ // + 3 τ 2 =
2
Fig. 2-II
Della tensione totale agente sulla sezione di gola, ribaltata su uno dei piani
d’attacco, si considerano le componenti: normale σ⊥ (trasversale) o tangenziale
a’ a’
a
a
a’ a’
a’ a’
a
a
a’ a’
Fig. 5.10
Tabella 5.1
Fig. 5.11
sezione resistente
M 3M
σ⊥ = = A = 2ah
W ah 2
T 2ah 2
τ // = W=
2ah 6
sezione resistente
M
σ⊥ ≅ A = 2al
lah
F
τ⊥ = W ≅ lah
2al
Scheda 2 - flessione e taglio: cordoni frontali trasversali
F Mt
F1 = −
2 b
F Mt
F2 = +
2 b
F2
τ // =
la
Scheda 3 - taglio e torsione: cordoni frontali
Fd
τ // =
alH
T
τ⊥ =
2al
Mt
τ // =
alH
Scheda 5 - torsione
Fsinα
σ⊥ =
2 la
F cos α
τ // =
2 la
F
τ // =
Σla
Scheda 7 - trazione: cordoni laterali
F
σ⊥ =
Σla
Fig. 5.12
ESEMPIO N. 8
Fig. 5.13
cordone B
50°
27 mm
14 14
cordone A
24 mm 3
Fig. 5.14
Fig. 5.15
19.13 1.4 3
I x = 0.85 × + 2 × 27.2 × +
12 12
2
+ 2 × 27.2 × 1.4 ×
26.2 1.4
+ = 15009.91 cm 4
2 2
Il modulo di resistenza dei cordoni A è:
Ix 15009.91
WxA = = = 1035.17 cm 3
y maxA 14.5
ESEMPIO N. 9
Nmax Nmax
14 16
λ = 22 cm
Nmax Nmax
Fig. 5.16
cordone
a
a’
Fig. 5.17
fornisce:
λ = 21.546 cm ≅ 22 cm
E così il giunto saldato potrebbe presentarsi come riportato in Fig. 5.16.
Ovviamente, per realizzare il nostro collegamento saldato, ci sono numero-
se possibilità. Si potrebbero sagomare i coprigiunti in varie fogge; ad esempio
come fatto in Fig. 5.18.
In tale ipotesi la lunghezza di uno dei quattro cordoni d’angolo, da ciascuna
parte dell’interruzione, è pari a 14 cm.
Si può, allora, trovare la larghezza minima delle sezioni di gola risolvendo
la seguente equazione di primo grado:
N max
4 × 14 × a − 2 × 4 × a =
0.85 σ adm
la quale fornisce:
51 200
a= = 0.874 cm
48 × 0.85 × 1600
Fig. 5.18
ESEMPIO N. 10
HE240B
HE160B
Fig. 5.19
M
Dalla formula: σ max =
Wx
ponendo σmax = σadm, si può ricavare il massimo momento (Mmax) che HE 160 B
può, con sicurezza, assorbire7:
7
Il momento che si ricava ponendo σmax = σadm può, in perfetta analogia con quanto si fa nella statica del
cemento armato ordinario, essere chiamato momento resistente della sezione e può definirsi come il
massimo momento che la sezione può sopportare senza che venga ad essere superato - nel materiale di
cui la sezione stessa è formata - il valore ammissibile della tensione (e cioè il valore σadm). È ovvio, allora,
che, se la sezione è soggetta ad un momento flettente pari al momento resistente della sezione si registrerà
σmax = σadm. Tale momento resistente sarà denotato, nel testo, con la notazione Mmax.
In base a quanto appena detto la sezione risulta verificata quando è soggetta a un momento flettente non
maggiore di Mmax, cioè per M ≤ Mmax..
T Sx '
τ max = (e10.a)
Ix s
(s è lo spessore dell’anima, mentre gli altri simboli che compaiono nella (e10.a)
sono di ben noto significato).
Ponendo, nella (e10.a), τmax = τadm = σadm/ 3 si può ricavare il taglio massi-
mo che l’HE 160 B è in grado di sopportare:
8
Per M = Mmax e T = Tmax, nei punti di attacco ala-anima, considerando la presenza dei raccordi si hanno le
seguenti tensioni:
590 900
σ = × (8 − 1.3) = 1588.696 kg / cm 2
2494
12 355.79 × 1.3 × (8 − 1.3 / 2)
τ = = 199.475 kg / cm 2
2494 × (0.8 + 1.5 × 2)
E pertanto la verifica di sicurezza fornisce:
sezioni risultano, nella stessa Fig. 5.20, ribaltate sul piano della giunzione).
Fig. 5.20
l1 a 3 l a3 l2 a
Ix = 2 + 2 l1 ad 2 + 4 2 + 4l 2 ad12 + 2 3 =
12 12 12
16 × 1.5 3
2 × 1.5 3
1.5 × 10 3
= + 2 × 16 × 1.5 × 8.752 + + 4 × 2 × 1.5 × 5.952 + =
6 3 6
= 4361.08 cm 4
Il taglio Tmax fa destare, nelle sezioni di gola ribaltate, una distribuzione
costante di tensioni tangenziali τ, che valgano:
T 12 355.79
τ = max = = 137.29 kg/ cm 2 (e10.b)
As 90
Le τ date dalla (e.10.b) sono τ⊥, per i cordoni A e C mentre sono τ//, per i
cordoni B.
Il momento Mmax fa nascere, nei vari cordoni di saldatura, delle tensioni
normali:
M max
σ⊥ = y
Ix
Vediamo, adesso, in dettaglio le tensioni che insorgono nei cordoni A, B e
C effettuando le necessarie verifiche.
- cordoni A:
M max 590 900
σ⊥ = y max = × 9.5 = 1287.19 kg/ cm 2
Ix 4361.08
τ ⊥ = 137.29 kg/ cm 2
(l’HE 160 B è alto - ed anche largo - 16 cm, per cui si ha ymax = 16/2 + a = 8 +
1.5 = 9.5 cm).
I cordoni A sono verificati perché si ha:
τ ⊥ + σ ⊥ = 1424.48 kg/ cm 2 < 0.85 σ adm = 1615 kg/ cm 2
τ ⊥ = 137.29 kg/ cm 2 < 0.7 σ adm = 1330 kg/ cm 2
σ ⊥ = 1287.19 kg/ cm 2 < 0.7 σ adm = 1330 kg/ cm 2
- cordoni B: è superflua la loro verifica essendo meno sollecitati dei prece-
denti (A) pur presentando lo stesso spessore di questi.
- cordoni C:
Si ha:
M max l 3 590 900
σ⊥ = = × 5 = 677.47 kg/ cm 2
Ix 2 4361. 08
τ // = 137.29 kg/ cm 2
I cordoni C sono anch’essi verificati perché risulta:
Fig. 5.21
9
A proposito del succedersi di emanazioni di norme, è opportuno ricordare come il nostro Paese è condanna-
to a passare da un eccesso all’altro. Le norme tecniche del ’39 (R. Decreto Legge 16 novembre 1939 -
XVIII, n. 2228, Suppl. Ord. alla Gazzetta Ufficiale n. 92 del 18 aprile 1940) sono rimaste in vigore fino al
1972.
Il primo regolamento di norme tecniche italiane fu del gennaio 1907.
Alla fine degli anni ’60 e all’inizio degli anni ’70, i tecnici operativi chiedevano in coro l’emanazione di
nuove norme tecniche, al passo coi tempi (giacché, effettivamente, quelle del ’39 risultavano oramai stantie,
lacunose e del tutto inadeguate alla mutata realtà tecnica di quegli anni).
Nel 1972 venne emanato un nuovo regolamento, accolto con un sospiro di sollievo. Si trattava effettivamen-
te, di buone norme, che potevano aver bisogno solo di qualche correttivo.
Purtroppo c’era un inghippo: l’art. 21 della legge 5 novembre 1971, n. 1086, tuttora in vigore testualmente
recita: Il Ministro per i lavori pubblici, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici e il Consiglio naziona-
le delle ricerche, emanerà entro sei mesi dalla pubblicazione della presente legge e, successivamente, ogni
biennio, le norme tecniche alle quali dovranno uniformarsi le costruzioni di cui alla presente legge. Quindi,
anche se si individuassero eccellenti norme tecniche, in grado di durare un ventennio, il Ministro dei LL.PP.
dovrebbe emanare nuove norme ogni due anni, se volesse rispettare la suddetta legge dello Stato.
Perciò abbiamo avuto, dal ’72 ad oggi, la seguente raffica di Norme tecniche per il calcolo, l’esecuzione e il
collaudo delle opere in cemento armato, normale e precompresso e per le strutture metalliche:
1) D.M. 30 maggio 1972, pubblicato sul Suppl. Ord. alla Gazzetta Ufficiale n. 190 del 22/7/1972;
2) D.M. 16 giugno 1976, pubblicato sul Suppl. Ord. alla Gazzetta Ufficiale n. 214 del 14/8/1976;
3) D.M. 26 marzo 1980, pubblicato sul Suppl. Ord. alla Gazzetta Ufficiale n. 176 del 28/6/1980;
4) D.M. 1 aprile 1983, pubblicato sul Suppl. Ord. alla Gazzetta Ufficiale”n. 224 del 17/8/1983;
5) D.M. 27 luglio 1985, pubblicato sul Suppl. Ord. alla Gazzetta Ufficiale n. 113 del 17/5/1986;
6) D.M. 14 febbraio 1992, pubblicato sul Suppl. Ord. alla Gazzetta Ufficiale n. 65 del 18/3/1992;
7) D.M. 9 gennaio 1996, pubblicato sul Suppl. Ord. alla Gazzetta Ufficiale n. 29 del 5/2/1996.
E non siamo nemmeno certi di averle elencate tutte! Siamo, allora, passati da una normativa (quella del ’39),
che è durata oltre 30 anni, a normative che si susseguono, mediamente, ogni 3 anni (e meno male che vari
Ministri dei lavori pubblici non hanno preso alla lettera i dettami del richiamato art. 21 della Legge 1086/71,
altrimenti avremmo avuto dodici normative, anziché sette).
∑ Ri yi
12 050 × 29 + 8186.28 × 19.7 + 5526.78 × 13.3 +1662.19 × 4
d2 = i=1
4 = =
∑
27 426.12
Ri
i=1
= 21.545 cm
Attesa l’ipotesi che la lamiera della flangia sia indeformabile (anche fuori
del proprio piano), si può sostenere che Mmax è equilibrato dalla coppia R d2,
esercitando il bordo della flangia dove è segnato l’asse x una compressione
sull’estradosso del traverso (ovviamente lungo lo spigolo della flangia c’è da
ipotizzare un fenomeno di adattamento plastico del materiale).
Come controllo dei calcoli effettuati deve risultare:
R d2 = Mmax
Si ha:
27 426.12 × 21.545 = 590 895.75 kg × cm
con uno scarto di appena 4.25 kg × cm, dovuto agli inevitabili (e piccoli) errori
di arrotondamento e di troncamento delle cifre decimali.
Per proporzionare la flangia si può ritenere che la parte di essa compresa tra
l’asse x e l’ala dell’HE 160 B (pilastro) funzioni a mensola. Ovviamente l’estre-
mo libero di detta mensola coinciderà col bordo della flangia dove è stato se-
gnato l’asse x (e dove si può ritenere applicata la forza R esercitata dal bordo
della lamiera della flangia sull’estradosso del traverso). Una certa generosità
nel dimensionamento della lamiera della flangia è opportuna, perché bisogna
essere coerenti con l’ipotesi fatta di lamiera infinitamente rigida.
Il momento nella sezione d’incastro della mensola in questione è pari a:
33 − 16
M = 27 426.12 × = 233122.02 kg × cm
2
Grazie all’inserimento di una costola verticale saldata sia alla lamiera della
flangia che all’ala dell’HE 160 B (v. Fig. 5.22), la sezione d’incastro oggetto
della nostra verifica si presenta come mostrato in Fig. 5.23 (la costola di irrigi-
dimento risulta complanare all’anima dell’HE 160 B).
Per tale sezione, con ovvio significato dei simboli, si ha:
A = 24 × 2 +11 × 2 = 70 cm 2
Sx ′ = 24 × 2 × 14 + 2 × 11 /2 = 793 cm
2 3
Sx ′ 793
yG = = = 11.33cm
A 70
23 113
I x 0 = 24 × + 24 × 2 × (3.67 − 1)2 + 2 × +
12 12
+2 × 11 × (11.3 − 11 / 2) = 1320.1cm 4
2
I xo 1320.1
W xo = = = 116.51 cm 3
y G 11.33
M 233 122.02
σ max = = = 2000.8 kg/ cm 2
W xo 116 .51
che certamente non è molto più grande dell’ammissibile (σadm = 1900 kg/cm2).
flangia
costola
verticale
montante HE 160 B
Fig. 5.22
24 cm
2
3.67
2
x
11.33 cm 11
x’
2
Fig. 5.23
Nelle illustrazioni si è fatto uso dei simboli grafici UNI relativi alla rap-
presentazione schematica e convenzionale delle saldature e delle bullonature
nei disegni tecnici; in particolare, la lettera maiuscola E, posta affianco del
simbolo rappresentativo dei cordoni convessi d’angolo, in Fig. 5.21, sta a si-
gnificare che la saldatura stessa è all’arco voltaico; mentre, nella stessa figura,
quella sorta di bandierina situata vicino ad ogni bullone indica che i bulloni
sono sistemati al montaggio (la bandierina - che può essere inserita anche vici-
no al simbolo rappresentante la saldatura - sta a significare, cioè, che il colle-
gamento è da eseguirsi durante la messa in opera).
Per il calcolo della flangia - in alternativa al procedimento seguito, indub-
biamente cautelativo - si potrebbe fare riferimento all’esempio n. 11, relativo
al calcolo della piastra di base nel collegamento colonna-fondazione.
ESEMPIO N. 11
150 mm
180 mm
25
8,5 mm
Fig. 5.24
12 12
= 2162 .76 cm 4
12 12
+ 2 × 0.85 × 18 × ( 9 − 6.23 ) = 1626.44 cm 4
2
6.23 11.77 cm
8.35
α
r = 14.43 cm
15 cm
G x
7.5
0.85
τ⊥M τ
18 cm
0.85 τ//M
Fig. 5.25
o
(e11.b)
τM
⊥ = τ sin α = 847.13 × sin 54.65 = 690.96 kg / cm
2
T 7000
τ T⊥ = = = 161.48 kg / cm 2 (e11.c)
A 43.35
Le due τ⊥ date dalla seconda delle (e11.b) e dalla (e11.c) possono essere
sommate:
τ⊥ = τM ⊥ + τ ⊥ = 690.96 + 161.48 = 852.44 kg / cm
T 2
(e11.d)
La τ⊥ data dalla (e11.c) può essere sommata vettorialmente alla τ// data dal-
la prima delle (e11.b) ottenendo la τR risultante nel punto P:
τR = 852.44 2 + 490.112 =
= 983.29 kg / cm 2 < 0.85 σ adm = 1360 kg / cm 2
7000
τ // = = 549.02 kg / cm 2 < 0.85 σ adm
0.85 × 15
268975
τ // = = 1109.15 kg / cm 2 < 0.85 σ adm
0.85 × 18 × 15.85
Sia con l’uno sia con l’altro modo di procedere il giunto saldato risulta
verificato.
Entrambi i metodi, come già detto, possono essere utilizzati nella pratica tecni-
ca. Il primo metodo è noto come dello J polare e il secondo delle due forze.
L’esempio numerico appena svolto serve anche a mostrare al lettore come,
in molti casi della pratica tecnica, il progettista abbia di fronte a se varie possi-
bilità di condurre la verifica di un giunto saldato. Non solo accade spesso che
bisogna scegliere fra varie, possibili soluzioni tecniche per realizzare un colle-
gamento, ma si deve optare fra questo o quel modo di procedere nei calcoli.
6. COLLEGAMENTO PILASTRO-FONDAZIONE
6.1. Generalità
pilastro
nervature
lastra
plinto
in c.a.
a) b)
piastra di base
colonna incernierata colonna incastrata
alla base alla base
Fig. 6.1
Fig. 6.2
1
Nella pratica tecnica, sovente, si vedono controdadi più bassi dei dadi. Volendo dare credito agli esperti
(POMINI, Costruzione di macchine), ciò non è corretto perché, dopo il serraggio, il dado reagisce sul
controdado, che si trova, così, a sopportare le reazioni delle parti unite e del dado.
Fig. 6.3
N M N 6 e
σ max = + = 1 + (6.2.2)
A Wx b H H
Fig. 6.4
σf/n
σmax
yn
y
b
x
h
H
Fig. 6.5
R bk − 150
τ adm = α 4 + (6.4.1)
75
dove, com’è noto, α assume il valore 1.5 se il tirafondo presenta una superficie
laterale liscia e 3 se presenta una superficie provvista di risalti o asperità (che
potrebbero essere, ad arte, create da noi; immaginiamo, ad esempio, di avvol-
gere ad elica, intorno al tirafondo, un tondino di piccolo diametro, ben fissato
con un sufficiente numero di punti di saldatura al tirafondo stesso oppure ado-
perando dei tondi ad aderenza migliorata).
In altre parole, nulla di veramente nuovo c’è da dire rispetto a quanto già
studiato, nella statica del c.a.o., a proposito della determinazione delle lun-
ghezze d’ancoraggio dei ferri d’armatura.
Detto Nb lo sforzo di trazione nel tirafondo - di diametro φ - che s’intende
assicurare al basamento di conglomerato cementizio armato, la lunghezza d’an-
coraggio λ dev’essere almeno pari a:
Nb
λ = (6.4.2)
τ adm φ π
con τadm ovviamente, data dalla (6.4.1).
Nb
tirafondo
P
s
ø
rosetta d
Fig. 6.6
6pβ pξ
s = d = d (6.4.6)
σ adm σ adm
α ξ α ξ
Tabella 6.1
Fig. 6.7
Fig. 6.8
ESEMPIO N. 12
Fig. 6.9
Si rimanda alla Fig. 6.9 per attingere ulteriori informazioni utili ad effettua-
re il calcolo. Tale calcolo di verifica è lo stesso della sezione pressoinflessa in
c.a. (si è preferito, per una maggiore chiarezza d’esposizione, ridisegnare, in
Fig. 6.10, la sezione oggetto della nostra verifica, con relativo diagramma del-
le tensioni normali).
Nel caso in esame l’eccentricità (e) è pari a:
M 492 000
e = = = 28.52 cm
N 17 250
che certamente è maggiore del raggio del nocciolo della sezione di contatto
piastra-plinto (w = 60/6 = 10 cm) e corrisponde a un caso, come si usa dire, di
forte eccentricità. Il centro di pressione X, addirittura, cade fuori della sezione
da verificare e, quindi, a maggior ragione è fuori del nocciolo centrale d’iner-
zia della sezione stessa, che, com’è noto, si parzializzerà; risulterà, cioè, in
parte tesa e in parte compressa (e dovrebbe essere superfluo precisare che le
trazioni saranno assorbite dai due tirafondi che capitano in zona tesa, come si
può vedere in Fig. 6.10).
Fig. 6.10
N
σ cmax = =
b yn h − yn
− n Af
2 yn
17 250
= =
17.55 31 − 17.55
38 × − 15 × 11.45 ×
2 17.55
= 85.394 kg/cm ≈ σ cam = 85 kg/cm 2
2
Inoltre si ha:
h − yn 31 − 17.55
σ f = n σ cmax = 15 × 85.394 ×
yn 17.55
= 981.02 kg/cm 2 < σ bam = 1400 kg/cm 2
Fig. 6.11
N b2 2833.79
λ= = = 42.044 cm
τ dam φ π 1.5 × 5.3 × 2.7 × 3.14
(pensando che la rosetta sia formata da acciaio con tensione ammissibile pari a
1900 kg/cm2).
La rosetta, in conclusione, dovrebbe essere di spessore pari a s = 10 mm e il
tirafondo si presenterebbe come disegnato in Fig. 6.12.
λ = 420 mm
s = 10 mm
ø = 27 mm
d = 70 mm
Fig. 6.12
I xo 4274.05
W xo = = = 464.57 cm 3
y max 9.2
q = 611 kg/cm
Mmax M
10.5 17 cm 10.5
Fig. 6.13
6 M max 6 × 33 681.37
s = = = 3.26 cm
b σ adm 10 × 1900
l2 l 2
σ b + (σ max − σ ) b l
d1 = 2 2 3 =
R1
36.75 × 38 × 10 2 /2 + (85.39 − 36.75) × 38 × 10 2 /3
= =
23207.36
= 5.66 cm
La risultante degli sforzi di trazione nei due tirafondi è R2=2Nb =11 223.78 kg.
Ricordiamo che lo spessore della lamiera di base è stato già prima definito (s =
3 cm). Occorre adesso fissare l’altezza e lo spessore delle nervature di irrigidi-
mento, determinare le caratteristiche geometriche e inerziali delle sezioni d’in-
castro di dette due mensole e, infine, procedere alle verifiche (ovviamente pren-
deremo in esame la mensola più sollecitata, estendendo anche all’altra menso-
la i risultati che troveremo per quella più sollecitata). Si ha:
R1 d1 = 23 207.36 × 5.66 = 131 440.73 kg×cm
R2 d2 = 11 233.78 × 5 = 56 168.75 kg×cm
Quindi la mensola più sollecitata è la ABCD, situata dalla parte delle com-
pressioni (e a questa mensola faremo riferimento nel proseguimento dei calcoli).
La sezione d’incastro della mensola ABCD è disegnata in Fig. 6.14. Per
tale sezione si ha:
A = 38 × 3 + 2 × 1 × 12 = 138 cm 2
152 12 2
Sx = 38 × − (38 − 2 × 1) × = 1683 cm 3
2 2
Sx 1683
yG = = = 12.19 cm e H − y G = 2.80 cm
A 138
153 12 3
I x = 38 × − (38 − 2 × 1) × = 22 014 cm 4
3 3
I xo = I x − A y G = 22 014 − 138 × 12.19 = 1490.91 cm
2 2 4
I x 1490.91
W xo = = = 122.26 cm 3
yG 12.19
M max R1 d1 131440.73
σ max = = = = 1075.13 kg/cm 2
W xo W xo 122.26
La σmax è risultata considerevolmente inferiore all’ammissibile (σadm = 1900
kg/cm2), ma bisogna ancora vedere quanto vale la tensione tangenziale massi-
ma dovuta al taglio R1.
Fig. 6.14
dove:
T = taglio sollecitante la sezione d’incastro della mensola = R1 = 23 207.36 kg;
Sx0 = momento statico, rispetto all’asse x0, di una delle due parti in cui lo stesso
asse divide la sezione = 2 s y/2 = 148.72 cm3;
Ix0 = momento d’inerzia, rispetto all’asse x0, dell’intera sezione = 1490.91 cm4
b = lunghezza della corda = 2s = 2 cm.
Sostituendo i valori numerici testé elencati si ottiene:
23 207.36 × 148.72
τ max = = 1157.46 kg/cm 2
1490.91 × 2
Non resta, a questo punto, che disegnare il collegamento definito3.
È opportuno far presente che è necessario, nell’ipotesi che il giunto di base
non sia accessibile per manutenzione, evitare infiltrazioni d’acqua fra pilastro
e cls., zona particolarmente esposta al pericolo di corrosione del metallo. Sarà
allora il caso di ricorrere a un’efficace guarnizione, ad esempio tramite masti-
ce plastico.
In Fig. 6.15 è proposta una visione assonometrica del giunto di base.
Fig. 6.15
3 Il lettore che desiderasse degli esempi di come va disegnata una carpenteria metallica potrebbe consultare
la seguente opera: Particolari costruttivi di strutture in acciaio, edito dalla CISIA - Centro Italiano Svi-
luppo Impieghi Acciaio, Gennaio 1984, che si sviluppa in 5 volumi: Vol. I: Edilizia Civile, Vol. II: Ponti,
Vol. III: Edilizia Industriale, Vol. IV: Trasporti - Stoccaggio, Vol. V: Strutture Spaziali.
Accade, però, che in alcune situazioni particolari (ad esempio: nei ponti, nelle
travature di grossa luce che devono liberamente variare di lunghezza per effetto di
variazioni termiche, ecc.) diventa importante realizzare condizioni di vincolo il
più vicino possibile a quelle ipotizzate negli schemi statici assunti per il calcolo.
Il più classico esempio è quello dell’appoggio su rulli, posto all’estremità
di una trave (o di una capriata), allo scopo di realizzare un carrello. È interes-
sante notare che formalmente questo dispositivo può ricordare il simbolo col
quale viene indicato il carrello (v. Fig. 7.1, dove è rappresentato un classico
appoggio mobile per ponte di acciaio).
Fig. 7.1
Quanto appena detto non vale, evidentemente, solo per le strutture metalli-
che; anche per le travi in c.a.p. non poche volte c’è il problema di realizzare
appoggi fissi (in grado di reagire anche con forze orizzontali) e appoggi scor-
revoli (carrelli), quasi sempre allo scopo di consentire le variazioni di lunghez-
za conseguenti a variazioni termiche. È noto, infatti, che l’impedire ad una
trave di allungarsi ed accorciarsi liberamente per effetto di un + o - ∆t, fa
insorgere uno sforzo normale indesiderato, che potrebbe anche far superare il
valore ammissibile delle tensioni (se la trave fosse molto lunga e il salto termi-
co molto forte).
Per ottenere l’appoggio scorrevole, nelle travi in c.a.p., frequentemente si
crea un cuscino d’appoggio, formato da strati alternati di neoprene (che è una
gomma artificiale piuttosto dura) e lamierino metallico.
Se viene ben dimensionato lo spessore di detto cuscino, si realizza una con-
dizione di vincolo praticamente assimilabile al carrello.
Evidentemente anche per le travi d’acciaio potrebbe adottarsi questa solu-
zione (anche se, come vedremo, esistono possibilità migliori).
Nelle travi da ponte, in acciaio, in c.a.p., in sistema misto acciaio-calcestruzzo
sovente si vedono realizzate condizioni di vincolo che non lasciano dubbi su
quale sia stato lo schema statico che il progettista ha adottato per il calcolo.
Il lettore che volesse saperne di più sugli appoggi di neoprene può fare
riferimento alla circolare C.N.R.-UNI (Consiglio Nazionale delle Ricerche -
Fig 5.6
Stati limite 2 b t ≥ 1.4 F/fd
t a ≥ F/fd
Fig. 5.7
La tensione sul contorno del foro, riferita alla proiezione diametrale della su-
perficie cilindrica interessata dall’area predetta deve essere tale da rispettare la
limitazione seguente:
Stati limite σrif ≤ 1.35 fd
Tensioni ammissibili σrif ≤ 1.35 σadm
r 0.18 E P
σl =
r b
0.2 E P
σl =
r 2 r b
0.24 E P
σl =
n r b
r
r1
0.06 E 2 P ( r2 − r1 )
2
Contatto
σp =3
r2
puntuale
r 12 r 22
r 0.06 E 2 P
σp = 3
r2
Fig. 7.2
Fig. 7.3
1 Il fatto che si sia consigliato un testo risalente a 70 anni fa non deve meravigliare perché alla fine
dell’Ottocento e all’inizio del Novecento abbastanza diffuse erano le costruzioni metalliche che pre-
sentavano collegamenti articolati (alcuni dei quali, particolarmente interessanti - come, ad esempio, le
cerniere degli archi della vecchia stazione di Milano - sono illustrati nel libro di Masi appena citato).
Naturalmente, il linguaggio architettonico odierno ci porterà a progettare soluzioni diverse, ancorché
ispirate agli stessi criteri statici.
Fig. 7.4
8. L’EFFETTO LEVA
a z
s1
a
d
a)
s
b)
a
s1
a
c)
Fig. 8.1
sarà assorbita metà da un bullone e metà dall’altro, come mostrato in Fig. 8.1c.
Per la verifica delle flange occorrerà fare riferimento al momento Nb a = F a / 2.
Se s’immaginano i piatti indeformabili, si ricavano gli esatti sforzi di tra-
zione nei due bulloni (F/2) e il momento flettente che appena si è detto, che
serve ad effettuare la verifica dei piatti.
Immaginiamo, adesso, di modificare lo spessore s dei piatti, lasciando inal-
terato tutto il resto: il diametro d dei bulloni, lo sforzo normale F sollecitante il
tirante, le quote a e c (Fig. 8.2a).
c
a
z
s1 a)
a
d
c
b)
sezione ➁ c
sezione ① a
s1 c)
a
c
Fig. 8.2
2 Nb – 2 Q – F = 0 (8.1)
da cui:
Nb = F/2 + Q (8.2)
Cioè si registra - rispetto al caso precedentemente esaminato, in cui era Nb =
F/2 - un incremento delle trazioni negli organi d’unione (ed ecco abbiamo sem-
pre raccomandato, nei capitoli precedenti, di stabilire con una certa generosità lo
spessore delle flange, specialmente quando si verifica la bullonatura con l’ipote-
si semplificativa iniziale di flange indeformabili).
Per la verifica della flangia occorre fare riferimento ai momenti:
M1 = Nb a – Q (a + c1)
(8.3)
M2 = Q c1
M1 si verifica nella sezione À, a filo tirante e M2 sull’asse del bullone (se-
zione Á), da considerarsi, ovviamente, al netto del foro.
Al ridursi di s oppure al crescere di d (potremmo dire, allora, al crescere del
rapporto d/s, ammettendo che possano, contemporaneamente, ridursi s e incre-
mentarsi d) si perviene alla situazione illustrata in Fig. 8.3a. In questo caso,
applicando le forze F, non c’è distacco delle flange fino alle rondelle sottostan-
ti i dadi e le teste dei bulloni. C’è, invece, una deformazione flessionale (che
ricorda quella di una trave perfettamente incastrata alle due estremità) nella
zona, dei piatti, delimitata dai due bulloni. Se il rapporto d/s fosse grande, le
forze di contatto Q si avvicinerebbero parecchio agli assi dei bulloni, fino a
quando il rapporto d/s non diventa talmente grande che le forze Q si portano
sugli assi dei bulloni e la porzione di flangia compresa tra i due bulloni si
comporta come una trave (o, per meglio dire, una piastra) perfettamente inca-
strata alle estremità. Ovviamente, al ridursi del rapporto d/s, le forze di contat-
to Q si allontanano dagli assi dei bulloni fino a passare al caso di Fig. 8.2 e, poi,
ad uscire di scena (caso di Fig. 8.1).
Ritornando all’esame del caso illustrato in Fig. 8.3, certamente si può affer-
mare che le due forze Q presentano, adesso, una distanza c, minore rispetto al
caso di Fig. 8.2. Le relazioni (8.2) e (8.3) restano valide (non consideriamo il
caso, poco realistico, di rapporti d/s altissimi e bulloni fortemente precaricati).
Le prove sperimentali effettuate hanno evidenziato che il comportamento
dei giunti di cui ci stiamo occupando è condizionato dai rapporti d/s e a/d.
Nella pratica tecnica i casi limite non sono mai raggiunti perché è buona
norma - alla quale è doveroso e utile uniformarsi - che il rapporto d/s non
scenda mai al di sotto dell’unità e il rapporto a/d a 1.5 (anche per non rendere
problematiche le operazioni di serraggio dei bulloni). Per non dire che, non di
rado, le flange si irrobustiscono con piatti di rinforzo (il che ci autorizza a
c
a
s1 z
a)
a
d
c
b)
c1
a
s1 c)
a
c1
Fig. 8.3
Fig. 8.4
sopportare carichi maggiori, rispetto a quelli che hanno mandato in crisi gli
organi di unione).
Tabella 8.1
1 Per eventuali approfondimenti si può consultare l’Eurocodice N. 3 (interessa il punto 6.5.9. e l’allegato J)
e il libro di Ballio e Mazzolani più volte citato (in particolare andrebbero consultate le sezioni 7.3.4 Giunti
flangiati simmetrici e 7.3.5 Giunti flangiati eccentrici, pagg. 308÷321).
9. LE TRAVATURE RETICOLARI
9.1 Generalità
Le travature reticolari sono strutture costituite da aste collegate tra loro tramite
nodi cerniera. Esistono, però, anche travature reticolari con nodi incastro, il
cui calcolo non si differenzia da quello dei telai (purché si utilizzi un metodo di
risoluzione – come quello matriciale – che non pone ipotesi semplificative
iniziali sulla deformabilità a sforzo normale delle aste).
Esistono travature reticolari piane e spaziali. Quando tutti i nodi sono situa-
ti nel piano della struttura (quello sul quale giacciono gli assi delle varie aste)
ed anche i carichi agiscono in tale piano, siamo nel caso di travature reticolari
piane.
Esempi di travature reticolari non mancano nella storia dell’Architettura.
La capriata della basilica di S. Paolo fuori le Mura, a Roma (che non è, a
rigore, una vera e propria struttura tralicciata – per la presenza di maglie non
triangolari – ma che, tuttavia, è un significativo esempio) è una delle poche
strutture lignee, poste a copertura delle basiliche paleocristiane, giunta sin quasi
ai nostri giorni e risale all’anno 816 (la basilica fu ricostruita interamente, nel
secolo scorso, dopo essere stata distrutta da un incendio). In Fig. 9.1 è rappre-
sentata la basilica di S. Agnese (Roma).
Fig. 9.1
Fig. 9.2
Fig. 9.3
Fig. 9.4
Solo nella prima metà del XIX secolo si registra un accoppiamento legno-
ghisa nella costruzione di strutture tralicciate (Fig. 9.5) e, infine, verso la metà
dell’800, nasce la travatura reticolare completamente metallica.
Sistemazione dell’appoggio
con scatola di ghisa con scatola di lamiera
Fig. 9.5
Fig. 9.6
1
Il lettore che volesse prendere visione del metodo può consultare il paragrafo 305, pagg. 535 ÷ 542 del
testo: Odone Belluzzi, Scienza delle Costruzioni, vol. I, Ed. Zanichelli, 1970. Oggi, effettivamente, il
cremoniano è superato, come tanti altri metodi di calcolo usati una volta (il metodo di Engesser, per la
risoluzione delle travi Vierendeel, il metodo di Cross, per la risoluzione dei telai, il diagramma di Williot,
per la risoluzione delle travature reticolari a nodi incastro, ecc.). Chi avesse la curiosita di scoprire qualis
trumenti teorici abbia usato Eiffel, per calcolare la sua celebre torre, andrà a studiare il cremoniano (ed
anche il metodo grafico di Culmann, sempre per la risoluzione delle travature reticolari).
AD, detta monaco (o ometto) passando, così, allo schema di Fig. 9.7c, che
consente di raggiungere agevolmente luci di 8÷10 m.
Al fine di creare un vincolo intermedio anche ai puntoni – riducendone la
lunghezza libera d’inflessione – si introducono le due aste DE e DF (dette
saette o contraffissi, v. Fig. 9.7d) ottenendo uno schema statico di capriata
(forse impropriamente detta alla Palladio) che consente sia una migliore di-
stribuzione dei carichi sui puntoni stessi, sia di coprire luci più grosse (10÷12
m senza difficoltà).
a)
b)
c)
d)
Fig. 9.7
che fuori di dubbio sono le più comuni, pur essendoci anche travature reticolari
in legno (che potrebbero essere realizzate, ad esempio, per esigenze di restauro
monumentale) o, più raramente, in c.a. (le capriate della chiesa gotica di Santa
Chiara, a Napoli, distrutta dal bombardamento aereo del 4 agosto 1943, rappre-
sentano un esempio – alquanto criticato – di utilizzo del c.a. in luogo del legno).
inglese Polonceau
Fig. 9.8
Neville Warren
Mohnié Howe
Fink Long
Fig. 9.9
capriata inglese
Fig. 9.10
Le aste delle travature reticolari con nodi cerniera, quando i carichi agiscono
ai nodi, sono sollecitate a solo sforzo normale o sono scariche, se si trascura il
peso proprio della struttura. Altrimenti c’è anche momento flettente e taglio nel-
le aste non verticali e nessuna asta potrà mai essere scarica (va detto, però, che le
caratteristiche di sollecitazione dovute al peso proprio sono, nelle travature reti-
colari di acciaio, effettivamente molto modeste e perciò è lecito trascurarle).
Quando i carichi sono applicati sulle aste, ovviamente, sono generalmente
presenti le tre caratteristiche di sollecitazione (N, M e T) ed il calcolo della
struttura non differisce da quello dei telai. Per le travature reticolari corretta-
mente caricate si possono eliminare molte direzioni libere di spostamento (quelle
rotatorie) interessando conoscere solo gli spostamenti orizzontali e verticali
dei nodi (e, quindi, delle estremità delle aste) e si può condurre – come vedre-
mo – un calcolo semplificato della struttura. D’altro canto basta osservare che,
se le aste sono esclusivamente sollecitate a sforzo normale, interessa conosce-
re le loro variazioni di lunghezza (per risalire agli sforzi normali) e, quindi, gli
spostamenti suddetti e non le rotazioni (che potrebbero pure essere determina-
te una volta noti gli spostamenti alle estremità di ogni asta).
Si è detto poc’anzi che esistono travature reticolari con nodi cerniera e con
nodi incastro. Se volessimo essere estremamente rigorosi dovremmo esprime-
re forti perplessità sull’esistenza delle travature reticolari con nodi cerniera,
visto che è praticamente impossibile eseguire, nella realtà, la cerniera teorica,
cioè l’articolazione perfetta (senza attrito) delle aste tra loro.
Nella pratica tecnica si tende, poi, a semplificare al massimo l’esecuzione
delle travature reticolari, realizzando, ad esempio, le aste che presentano gli
assi sulla stessa retta (correnti o catene di capriate) tramite profilati unici (ad
esempio una coppia di angolari) evitando di giuntare tra loro le aste coassiali.
Nonostante le constatazioni testé fatte si continua, nella pratica tecnica, ad
assumere come schema statico quello con nodi cerniera, cercando, nel realiz-
zare la travatura, di avvicinarsi quanto più è possibile al modello teorico.
In pratica – per non allontanarsi troppo dal modello teorico con nodi cernie-
ra – si adottano almeno i due seguenti accorgimenti:
1) gli assi baricentrici delle varie aste (che sono le rette d’azione dei vari sfor-
zi) si fanno concorrere in uno stesso punto, che è il nodo teorico (ovviamen-
te è anche necessario che gli assi restino contenuti nel piano della struttura);
2) i baricentri delle varie sezioni dei chiodi o dei bulloni (che servono a realiz-
zare i giunti nodali) devono cadere sugli assi delle aste collegate.
È quanto prescrive il punto 7.6.4 della vigente normativa:
Gli assi dei collegamenti (chiodati, bullonati o saldati) sono chiamati assi
di truschinaggio. Sarebbe opportuno che sia gli assi baricentrici delle aste, sia
gli assi di truschinaggio confluissero nei punti in cui sono state immaginate le
cerniere. La prescrizione regolamentare appena riportata lascia chiaramente
intendere che ci si può accontentare che confluiscano in un punto o i soli assi
baricentrici delle aste o i soli assi di truschinaggio.
Il problema dei nodi cerniera esiste, ovviamente, anche per le travature re-
ticolari spaziali; il giunto nodale deve fare in modo che tutti gli assi delle aste
collegate convergano in un punto (il nodo teorico, che dev’essere il sostegno
della stella di rette alla quale appartengono gli assi baricentrici delle aste con-
correnti nel nodo). A un buon giunto sono richieste caratteristiche di affidabili-
tà (deve poter resistere a sforzi anche notevoli) e di leggerezza, deve poter
accogliere aste provenienti da quante più direzioni è possibile, deve, soprattut-
to, garantire un montaggio semplice, veloce e preciso (e un altrettanto agevole
smontaggio, nell’ipotesi che intervenute nuove esigenze di natura funzionale
richiedano delle modificazioni e/o degli ampliamenti della struttura).
Esistono numerosissimi brevetti di sistemi costruttivi di travature reticolari
spaziali che comprendono, ovviamente, la giunzione dei vari elementi nell’as-
semblaggio della struttura; tra i più noti ci sono i sistemi: Mero-Tectovis, Uni-
2
strut, Space-Deck, Oktaplate, Triodetic, Vestrut, ecc .
Il sistema più noto e senz’altro il più utilizzato in Italia è il sistema Mero–
Tectovis; le aste sono tubolari e provviste di perni filettati alle estremità, i nodi
sono quasi sferici e muniti di 18 fori filettati a madrevite, per le aste. Il montag-
gio non richiede mano d’opera specializzata e può essere effettuato anche da
2
Una pubblicazione che raccoglie numerosi brevetti di sistemi spaziali è la seguente: Particolari costruttivi di
strutture in acciaio, Vol. V – Strutture Spaziali (a cura di Armando Melchiorre), CISIA (Centro Italiano
Sviluppo Impieghi Acciaio), Edizione maggio 1981. Consultando tale pubblicazione, il lettore si formerà
una sua opinione, individuerà il sistema a suo giudizio più flessibile (che, cioè, consente di creare il
maggior numero di geometrie) e/o che garantisce risultati migliori sotto il profilo estetico.
un solo operatore.
In Fig. 9.11 è riportato, a titolo di esempio, il sistema spaziale Stewarts and
Lloyds, sviluppato dalla Tubes Division della British Steel Corporation (col
nome Nodus Jointing System).
bullone centrale
calotta superiore
calotta inferiore con
guarnizione alloggiamenti a 45°
asta elemento di connessione
orizz
onta
le
ata
inclin
asta
collegamento
rondella a forchetta
dado
coppiglia
spinotto
Fig. 9.11
Fig. 9.12
Fig. 9.13
a)
b)
Fig. 9.14
Fig. 9.15
Fi − ∑
r
i
F (r) = 0 (9.2.1)
dove:
i
F è la forza esterna nodale agente in direzione i (potrebbe, evidentemente,
dove p, come già detto, sono le direzioni libere di spostamento (e, ovviamente δ ,
1
esclusivamente uno sforzo normale (di compressione) che vale λEA/l. Pertanto i
due nodi d’estremità dell’asta (r) reagiranno con due forze d’intensita λEA/l
aventi l’asse dell’asta come retta d’azione e orientate in maniera tale da mante-
nere la deformazione (cioè rivolte verso l’interno, come mostrato in Fig. 9.16).
Scomponendo ognuna delle due forze suddette nelle due direzioni (orizzon-
tale e verticale) segnate in corrispondenza dei loro punti di applicazione, si ha:
EA 2 EA
k11 ( r ) = λ k12( r ) = λµ
l l (9.2.10)
E A E A
k13( r ) = − λ2 k14( r ) = − λµ
l l
I due ultimi termini di rigidezza presentano il segno meno perché il loro verso
è contrario a quello positivo assunto, rispettivamente, per le direzioni 3 e 4.
Analogamente si costruiscono le altre tre colonne di K(r) (chi lo volesse fare
può riferirsi alla Fig. 9.16) e si perviene cosi alla matrice di rigidezza dell’asta
(r) direttamente nel riferimento globale:
EA 2 EA EA 2 EA
λ λµ − λ − λµ
l l l l
EA EA 2 EA EA 2
λµ µ − λµ − µ
K(r ) = l l l l
EA 2 EA EA 2 EA
− λ − λµ λ λ µ (9.2.11)
l l l l
EA EA 2 EA EA 2
− λµ − µ λµ µ
l l l l
o se si preferisce:
λ2 λµ − λ2 − λ µ
EA λµ µ 2 −λ µ −µ 2
K(r ) =
l − λ2 − λ µ λ2 λµ (9.2.12)
−λ µ −µ 2
λµ µ2
Oppure, individuando la sottomatrice 2 × 2
E A λ2 λ µ
Λ = (9.2.13)
l λ µ µ2
a)
cos α = λ
cos β = µ
EA EA
l l
b) c)
EA EA EA EA
l l l l
d) e)
EA EA
l l
Fig. 9.16
si ha
Λ −Λ
K(r ) = (9.2.14)
−Λ Λ
È chiaro, allora, quale può essere un iter da seguire per risolvere una generica
travatura reticolare: costruire il sistema d’equazioni (9.2.7), risolverlo determi-
nando gli spostamenti nodali δ e, tramite le (9.2.8), risalire alle F( r ) note le quali
j i
∆ l = δ 1 λ + δ 2 µ − δ 3 λ − δ 4 µ = λ ( δ1 − δ 3) + µ ( δ 2 − δ 4 ) (9.2.15)
se si vogliono assumere positivi gli accorciamenti e negativi gli allungamenti,
oppure:
∆ l = λ (δ 3 − δ1) + µ (δ 4 − δ 2 ) (9.2.16)
se si vogliono assumere - come faremo - positivi gli allungamenti e negativi gli
accorciamenti.
Nota la variazione di lunghezza dell’asta (r) si risale facilmente allo sforzo
normale presente nella stessa asta (r)
E A (r)
N (r) = ∆l ( r ) (9.2.17)
l (r)
dove ci siamo attenuti alla convenzione secondo la quale quando un termine
reca al piede il numero r posto tra parentesi si intende riferito all’asta (r) (quin-
di A(r) è l’area della sezione retta dell’asta (r), l(r) è la lunghezza dell’asta (r),
∆l(r) è la variazione di lunghezza dell’asta (r), mentre si è pensato che tutte le
aste siano costituite dallo stesso materiale, altrimenti è opportuno, nella (9.2.17),
tenere E(r)).
Se per calcolare ∆l(r) si farà uso della (9.2.16), si avrà Ν(r) positivo se di
trazione e negativo se di compressione (e a questa convenzione, come già det-
to, ci atterremo).
Il procedimento illustrato si presta bene ad essere tradotto in un program-
ma, che consenta il calcolo automatico delle travature reticolari piane (isosta-
tiche o iperstatiche che siano).
Qui di seguito è riportato un esempio di programma in BASIC che consen-
te di affidare al computer la risoluzione di una generica travatura reticolare
piana:
CLS
INPUT “numero dei nodi (compresi quelli vincolati a terra) =”; NN
INPUT “numero delle aste =”; AT
INPUT “grado di molteplicità (complessivo) dei vincoli esterni =”; MV
N = 2 * NN - MV: M = N + 1
DIM R(M, M), N(NN, 10), AT(AT, 10), G$(NN)
FOR i = 1 TO NN
PRINT “NODO”; i
INPUT “ascissa =”; N(i, 1)
INPUT “ordinata =”; N(i, 2)
INPUT “direzione orizzontale =”; N(i, 3)
INPUT “direzione verticale =”; N(i, 4)
NEXT i
INPUT “le aste sono formate tutte dello stesso materiale ? —> (s/n)”; A$
IF A$ <> “s” THEN GOTO 170
INPUT “modulo di Young =”; EY
170 : INPUT “le aste presentano tutte la stessa sezione retta ? —> (s/n)”; B$
IF B$ <> “s” THEN GOTO 200
INPUT “area della sezione retta dell’asta =”; SR
200 : FOR i = 1 TO AT
PRINT “ASTA”; i
INPUT “incidenza =”; AT(i, 1)
IF B$ <> “s” THEN GOTO 250
AT(i, 3) = SR: GOTO 260
250 : INPUT “area della sezione retta =”; AT(i, 3)
260 : IF A$ <> “s” THEN GOTO 280
AT(i, 4) = EY: GOTO 290
280 : INPUT “modulo di Young =”; AT(i, 4)
290 : AT(i, 5) = INT(AT(i, 1) / 1000): AT(i, 6) = INT(AT(i, 1) - AT(i, 5) * 1000)
AT(i, 2) = SQR((N(AT(i, 6), 1) - N(AT(i, 5), 1)) ^ 2 + (N(AT(i, 6), 2) - N(AT(i, 5),
2)) ^ 2)
AT(i, 7) = (N(AT(i, 6), 1) - N(AT(i, 5), 1)) / AT(i, 2)
AT(i, 8) = (N(AT(i, 6), 2) - N(AT(i, 5), 2)) / AT(i, 2)
LQ = AT(i, 4) * AT(i, 3) * AT(i, 7) ^ 2 / AT(i, 2)
R(N(AT(i, 5), 3), N(AT(i, 5), 3)) = R(N(AT(i, 5), 3), N(AT(i, 5), 3)) + LQ
R(N(AT(i, 6), 3), N(AT(i, 6), 3)) = R(N(AT(i, 6), 3), N(AT(i, 6), 3)) + LQ
R(N(AT(i, 5), 3), N(AT(i, 6), 3)) = R(N(AT(i, 5), 3), N(AT(i, 6), 3)) - LQ
R(N(AT(i, 6), 3), N(AT(i, 5), 3)) = R(N(AT(i, 6), 3), N(AT(i, 5), 3)) - LQ
LM = AT(i, 4) * AT(i, 3) * AT(i, 7) * AT(i, 8) / AT(i, 2)
R(N(AT(i, 5), 3), N(AT(i, 5), 4)) = R(N(AT(i, 5), 3), N(AT(i, 5), 4)) + LM
R(N(AT(i, 5), 4), N(AT(i, 5), 3)) = R(N(AT(i, 5), 4), N(AT(i, 5), 3)) + LM
R(N(AT(i, 6), 3), N(AT(i, 6), 4)) = R(N(AT(i, 6), 3), N(AT(i, 6), 4)) + LM
R(N(AT(i, 6), 4), N(AT(i, 6), 3)) = R(N(AT(i, 6), 4), N(AT(i, 6), 3)) + LM
R(N(AT(i, 5), 3), N(AT(i, 6), 4)) = R(N(AT(i, 5), 3), N(AT(i, 6), 4)) - LM
R(N(AT(i, 5), 4), N(AT(i, 6), 3)) = R(N(AT(i, 5), 4), N(AT(i, 6), 3)) - LM
R(N(AT(i, 6), 3), N(AT(i, 5), 4)) = R(N(AT(i, 6), 3), N(AT(i, 5), 4)) - LM
R(N(AT(i, 6), 4), N(AT(i, 5), 3)) = R(N(AT(i, 6), 4), N(AT(i, 5), 3)) - LM
MQ = AT(i, 4) * AT(i, 3) * AT(i, 8) ^ 2 / AT(i, 2)
R(N(AT(i, 5), 4), N(AT(i, 5), 4)) = R(N(AT(i, 5), 4), N(AT(i, 5), 4)) + MQ
R(N(AT(i, 6), 4), N(AT(i, 6), 4)) = R(N(AT(i, 6), 4), N(AT(i, 6), 4)) + MQ
R(N(AT(i, 5), 4), N(AT(i, 6), 4)) = R(N(AT(i, 5), 4), N(AT(i, 6), 4)) - MQ
R(N(AT(i, 6), 4), N(AT(i, 5), 4)) = R(N(AT(i, 6), 4), N(AT(i, 5), 4)) - MQ
NEXT i
530 : INPUT “nodo caricato =”; NC
IF NC = 0 THEN GOTO 590
INPUT “forza orizzontale =”; N(NC, 5): R(N(NC, 3), M) = R(N(NC, 3), M) +
N(NC, 5)
INPUT “forza verticale =”; N(NC, 6): R(N(NC, 4), M) = R(N(NC, 4), M) + N(NC,
6)
GOTO 530
‘a questo punto del programma inizia la risoluzione del sistema di equazioni
590 : FOR i = 1 TO N
c = i: A = ABS(R(i, i))
FOR t = i + 1 TO N
B = ABS(R(t, i))
IF B > A THEN
A = B: c = t
END IF
NEXT t
q=i+1
FOR R = 1 TO M
R(M, R) = R(c, R): R(c, R) = R(i, R): R(i, R) = R(M, R)
NEXT R
FOR t = q TO N
FOR z = 1 TO M
IF R(i, i) = 0 THEN
PRINT “SISTEMA IMPOSSIBILE”
STOP
END IF
R(M, z) = -R(t, i) / R(i, i) * R(i, z) + R(t, z)
NEXT z
FOR z = 1 TO M
R(t, z) = R(M, z)
NEXT z: NEXT t: NEXT i
FOR i = 1 TO M
R(M, i) = 0
NEXT i
FOR j = 1 TO N: u = N + 1 - j
FOR i = 1 TO N: k = N + 1 - i
R(M, M) = R(M, M) + R(M, k) * R(u, k)
NEXT i
R(M, u) = (R(u, M) - R(M, M)) / R(u, u): R(M, M) = 0
NEXT j
‘ a questo punto del programma termina la risoluzione del sistema di equazioni
INPUT “vuoi la stampa dei dati iniziali ? —> (s/n)”; H$
IF H$ <> “s” THEN GOTO 890
GOSUB 1300
890 : LPRINT : LPRINT : LPRINT TAB(10); “- SPOSTAMENTI DEI NODI -”:
LPRINT
FOR i = 1 TO N
LPRINT TAB(5); “spostamento nodale in direzione”; i; “=”; R(M, i)
NEXT i
FOR i = 1 TO NN
IF N(i, 3) = 0 THEN N(i, 7) = 0 ELSE N(i, 7) = R(M, N(i, 3))
IF N(i, 4) = 0 THEN N(i, 8) = 0 ELSE N(i, 8) = R(M, N(i, 4))
NEXT i
FOR i = 1 TO AT
AT(i, 9) = AT(i, 7) * (N(AT(i, 6), 7) - N(AT(i, 5), 7)) + AT(i, 8) * (N(AT(i, 6), 8) -
N(AT(i, 5), 8))
AT(i, 10) = AT(i, 4) * AT(i, 3) * AT(i, 9) / AT(i, 2)
NEXT i
FOR i = 1 TO NN
IF N(i, 3) <> 0 THEN GOTO 1100
FOR k = 1 TO AT
IF AT(k, 5) <> i AND AT(k, 6) <> i THEN GOTO 1080
TA = AT(k, 10) * ABS(AT(k, 7))
IF AT(k, 5) = i AND N(AT(k, 6), 1) <= N(AT(k, 5), 1) OR AT(k, 6) = i AND
N(AT(k, 6), 1) >= N(AT(k, 5), 1) THEN N(i, 9) = N(i, 9) + TA ELSE N(i, 9) = N(i,
9) - TA
1080 : NEXT k
N(i, 9) = N(i, 9) - N(i, 5)
1100 : IF N(i, 4) <> 0 THEN GOTO 1170
FOR k = 1 TO AT
IF AT(k, 5) <> i AND AT(k, 6) <> i THEN GOTO 1150
TA = AT(k, 10) * ABS(AT(k, 8))
IF AT(k, 5) = i AND N(AT(k, 6), 2) <= N(AT(k, 5), 2) OR AT(k, 6) = i AND
N(AT(k, 6), 2) >= N(AT(k, 5), 2) THEN N(i, 10) = N(i, 10) + TA ELSE N(i, 10) =
N(i, 10) - TA
1150 : NEXT k
N(i, 10) = N(i, 10) - N(i, 6)
1170 : NEXT i
LPRINT : LPRINT : LPRINT TAB(10); “ - SFORZI NORMALI NELLE ASTE - “:
LPRINT
FOR i = 1 TO AT
IF AT(i, 10) = 0 THEN
cc$ = “asta scarica”
GOTO 1200
END IF
IF AT(i, 10) < 0 THEN cc$ = “compressione” ELSE cc$ = “trazione”
1200 : LPRINT TAB(5); “sforzo normale nell’asta”; i; “=”; AT(i, 10); “(“; cc$; “)”
NEXT i
LPRINT : LPRINT : LPRINT TAB(5); “ - REAZIONI VINCOLARI - “: LPRINT
FOR i = 1 TO NN
IF N(i, 3) <> 0 THEN GOTO 1260
conterrà i dati dell’i-esimo nodo, per i = 1, 2, .... NN) nel seguente ordine:
a
1 colonna: ascissa;
a
2 colonna: ordinata;
a
3 colonna: direzione libera orizzontale presente al nodo (0 se non c’è);
a
4 colonna: direzione libera verticale presente al nodo (anche qui 0 se non c’è);
a
5 colonna: componente orizzontale della forza nodale;
a
6 colonna: componente verticale della forza nodale;
a
7 colonna: spostamento orizzontale del nodo, resterà nullo se N (1, 3) = 0, cioè
se la direzione orizzontale nodale è vincolata, altrimenti questa casella sarà
riempita quando, risolto il sistema di equazione (9.2.7), saranno noti i δ ;
i
a
8 colonna : spostamento verticale del nodo (casella che sarà riempita con ana-
loghe modalità a quelle dette per il termine precedente);
a
9 colonna: reazione orizzontale del nodo (casella che sarà riempita se il nodo è
vincolato a terra, se cioè il nodo è impedito di spostarsi secondo x e pertanto
è N (1, 3) = 0; se invece, il nodo è libero resterà N (1, 9) = 0;
a
10 colonna: reazione verticale del nodo (casella riempita con modalità analoghe
a quelle dette per la reazione orizzontale).
La matrice AT contiene i dati delle aste e presenta anch’essa 10 colonne e
tante righe quante sono le aste (si è scelto - come è possibile fare - lo stesso
nome AT sia per denotare la variabile che contiene il numero delle aste che per
denotare la matrice, di AT righe, che contiene i dati delle aste). Nell’istruzione
DIMENSION, della sesta riga, si può controllare quanto sopra detto.
Anche in questo caso i dati sono sistemati riga per riga; i dati dell’r-esima asta,
in altre parole, occuperanno l’r-esima riga (r = 1, 2, .... AT) della matrice AT (di AT
righe 10 colonne) e ciò nel seguente modo:
a
1 colonna: incidenza;
a
2 colonna: l(r) lunghezza dell’asta;
a
3 colonna: area della sua sezione retta;
a
4 colonna: modulo di Young dei materiale di cui è formata l’asta;
a
5 colonna: numero che contrassegna il nodo iniziale;
a
6 colonna: numero che contrassegna il nodo terminale;
7 colonna: λ (r) = cos α (r);
a
casella potrà essere riempita solo dopo che è stato risolto il sistema di equa-
zione (9.2.7));
10 colonna: sforzo normale nell’asta (conoscibile solo dopo che è noto ∆l(r)).
a
l (r) = ( x 2 − x1 )2 + (y 2 − y1)2
x 2 − x1
λ (r) =
l (r)
(9.2.18)
y −y
µ (r) = 2 1
l( r )
travature reticolari
Fig. 9.17
Per impedire che nascano coppie indesiderate (alle estremità delle aste) è
necessario che gli assi delle aste - che sono le rette d’azione degli sforzi nor-
mali - giacciano su uno stesso piano. Per ottenere ciò è necessario che le sezio-
ni rette delle aste siano simmetriche rispetto a tale piano di sollecitazione. Quin-
di, per realizzare le aste, vanno preferibilmente utilizzati profilati di sezione
come quelle riportate in Fig. 9.18.
In Fig. 9.19 sono riportati alcuni esempi di nodi di travature reticolari rea-
lizzate utilizzando, esclusivamente o prevalentemente, i profili di Fig. 9.18
(vedremo più avanti che i profili a doppio T sono, per lo più, utilizzati per
realizzare travature reticolari fortemente sollecitate).
Fig. 9.18
Fig. 9.19
Fig. 9.20
Per fare in modo che un’unione saldata risulti baricentrica si può interveni-
re - in sede di progettazione strutturale - sulla lunghezza e sullo spessore dei
cordoni di saldatura. Ad esempio, con riferimento alla Fig. 9.21a, per fare in
modo che il collegamento saldato (formato da due cordoni longitudinali di
uguale spessore) risulti baricentrico, con ovvio significato dei simboli e sem-
pre con riferimento alla Fig. 9.21a, deve aversi:
bs ys = bi yi (9.3.1)
In alcuni casi non è agevole tenere i baricentri degli elementi di connessio-
ne (chiodi o bulloni) giacenti sull’asse dell’asta. Fermo restando che se non è
possibile evitare flessioni secondarie è sempre opportuno contenerle (e ciò,
evidentemente, si ottiene posizionando i chiodi o bulloni in maniera che l’asse
di truschinaggio risulti il più vicino possibile all’asse dell’asta, per ridurre l’ec-
centricità), si dovrà, in questi casi, procedere alla verifica degli elementi di
connessione tenendo debitamente conto della non coincidenza tra l’asse del-
l’asta e quello di truschinaggio.
a)
b)
Fig. 9.21
che produrrà in ognuna delle due sezioni rette, del singolo bullone, sollecitate
alla recisione, una tensione tangenziale media pari a:
R
τb = (9.3.5)
2 ωb
Fig. 9.22
in tondo. L’esempio riportato in Fig. 9.24 vede ciascuno dei correnti formato
da due profilati a L a lati uguali mentre le aste di parete sono costituite da un
tondo di acciaio serpeggiante, sagomato - per meglio dire - in modo da costitu-
ire una triangolazione continua. Sono possibili, evidentemente, numerose va-
rianti: si può costituire, ad esempio, i correnti con profili a T o con mezzi IPE
e le aste in tondo d’acciaio, anziché continue, potrebbero essere tagliate a tron-
chi. Queste travi possono rappresentare una soluzione economicamente van-
taggiosa nel caso in cui le forze di taglio fossero di modesta entità (travi retico-
lari a sostegno di solai o di coperture poco caricate).
Fig. 9.23
cordoni
di saldatura
particolare nodo
Fig. 9.24
Fig. 9.25
Quando le aste delle travature reticolari sono costituite da due profili (ad
esempio: due C o due L) è opportuno collegarli, in alcune sezioni, con pezzi di
lamiera (se ne vedono - come mostra la Fig. 9.26 - di forma rettangolare o
quadrata o, anche, circolare e quest’ultime vengono generalmente chiamate
rosette d’imbottitura) dello stesso spessore dei fazzoletti.
Fig. 9.26
ESERCIZIO N. 13
Calcolare la copertura, formata da capriate alla Palladio (il cui schema statico
è riportato in Fig. 9.27) poste ad interasse di 3 m, a sostegno di una lamiera
2
grecata, soletta di riempimento in cls. (Rbk = 250 kg/cm ) armata con rete me-
tallica elettrosaldata, strati d’impermeabilizzazione e coppi, così come risulta
dal particolare costruttivo di Fig. 9.28.
I profilati da utilizzare nella costruzione saranno formati da acciaio tipo Fe
2
360 (σadm = 1600 kg/cm ).
Fig. 9.27
Fig. 9.28
2
I calcestruzzi leggeri sono quelli caratterizzati da un peso proprio non superiore a 1800 kg/m3. Essi posso-
no essere ottenuti o creando dei vuoti all’interno del materiale (ad esempio tramite un processo chimico
che provoca la formazione di bolle d’aria, più o meno piccole, uniformemente distribuite all’interno della
massa di cls.) o mediante l’utilizzo di inerti leggeri, che possono essere naturali (ad esempio, la pomice) o
artificiali (tra i quali molto successo ha avuto l’argilla espansa). Come inerti si è utilizzato, con esito
positivo, oltre alla pomice e all’argilla espansa: la lava, la vermiculite, la perlite, le scorie schiumose,
l’argilla schiumosa espansa, lo schisto espanso, il polistirolo espanso.
Le resistenze a compressione, trazione e taglio dei calcestruzzi leggeri risultano inferiori a quelle dei
calcestruzzi normali. Si può, anzi, sostenere che più si riduce il rapporto peso/volume, più vengono ad
essere compromesse le resistenze del cls. ottenuto. Ma, per la nostra copertura, ciò non sarebbe un proble-
ma, sia perché non ci servono resistenze particolarmente elevate, sia perché potremmo utilizzare calce-
struzzo leggero di peso specifico più elevato (1400÷1800 kg/m3), ottenuto con l’aggiunta di sabbia natura-
le, per il quale è molto semplice raggiungere la resistenza di 250 kg/cm2 (per tali cls. si potrebbe anche
arrivare a resistenze di 400 kg/cm2). I cls. leggeri hanno dato ottimi risultati come calcestruzzi isolanti.
tura, se non altro, di limitare le fessurazioni da ritiro nel cls., soprattutto nel
caso che la copertura fosse notevolmente estesa in pianta e più o meno diretta-
mente esposta all’insolazione o non perfettamente coibentata).
Conviene, innanzi tutto, acquisire i dati – riguardanti la sezione – necessari
ad effettuare le suddette verifiche a flessione.
Esaminiamo il caso in cui la sezione (Fig. 9.29) sia sollecitata da un mo-
mento flettente di segno positivo (tendente, cioè, le fibre inferiori).
Fig. 9.29
d (y n − s )
3
b y 3n
+ n d t ( y n − s) + n a t ( H − y n ) +
2 2
I ci = −
3 3
+ 2 n t ( H − s)3 + 2 n t ( H − s) H − s + s − y n
2
=
12 2
b y 3n d ( y n − s ) 2
( H − s) 2
3
H+s
+ n t d ( y n − s) + a (H − y n ) + (H − s) +2 − yn
2 2
= −
3 3 6 2
σ fi = M+
W +i
Quando sulla sezione in esame agisce un momento flettente di segno nega-
tivo (tendente, cioè, le fibre superiori) la condizione di annullamento del mo-
mento statico diviene (v. Fig. 9.30):
a 2 n t 2 n t
- y n -n a t y n - 2 yn + 2 ( H − y n − s )2 +
2 2 2
+ n d t (H − y n − s ) + n ′ A f ( H − y n − c ) = 0
dove Af è l’area di un’eventuale armatura metallica (formata dai soliti tondini
per c.a.) che potrebbe essere inserita dalla parte delle fibre tese superiori, quando
l’entità del momento flettente negativo lo giustifichi.
Fig. 9.30
( H − y n − s) +
a 2 nt 2 nt 2
− yn − n a t yn − 2 yn + 2
2 2 2
(e13.c)
+ n d t (H − y n − s) + n' A f (H − y n − c) = 0
La distanza yn coincide con la radice positiva dell’equazione di secondo
grado (e13.c). Noto yn , il momento d’inerzia dell’intera sezione parzializzata
ed omogeneizzata, scritta rispetto all’asse neutro, vale:
a y 3n ( H − s)
3
+ n a t y 2n + n d t (H − y n − s) + 2 n t
2
I ci = +
3 12
H−s
2
+ 2 n t ( H − s) − y n + n' A f (H − c) =
2
2
a y 3n ( H − s) 2 H−s
2
+ n t a y 2n + d (H − y n − s) + (H − s) +2 − y n + n' A f (H − c)
2
=
2
3 6 2
Fig. 9.31
Fig. 9.32
arcareccio e
y ion
ns
so
spe x
i
nod
nti
tira
ne
nto
pu
Fig. 9.33
arcareccio
ne
nto
pu
Fig. 9.34
q x l2 1. 5 2
Mx = = 730.67 × = 16 440.03 kg × cm
10 10
q y l2 32
My = = 1339.56 × = 120 560.31 kg × cm
10 10
Fig. 9.35
Ne deriva che possono essere utilizzati IPE 180 per realizzare gli arcarecci.
Naturalmente la lamiera grecata va fissata bene agli arcarecci e quest’ulti-
mi vanno fissati bene ai puntoni delle capriate.
Da qualche anno è invalsa l’abitudine di fissare la lamiera grecata agli arca-
recci tramite chiodi sparati. Tali chiodi di collegamento potrebbero essere cal-
colati a taglio, in base ai carichi che la lamiera grecata trasmette agli arcarecci
nella direzione della falda. La pratica di usare chiodi sparati incontra tutto il
favore delle imprese esecutrici (per la velocità di messa in opera e per l’econo-
micità); ma sarebbe da evitare (non foss’altro perché è pressoché impossibile
posizionare i chiodi con esattezza).
Arrivati a questo punto è necessario valutare i carichi agenti sui nodi della
travatura reticolare.
Trascurando il peso proprio degli arcarecci e tenendo conto della continuità
strutturale (la Fig. 9.31 aiuta a comprendere il perché del coefficiente 1.25 che
tiene conto di tale continuità) si ha:
Pa = 390 × 3.132/2 × 3.00 = 1832.22 kg ≅ 1840 kg
Pb = 390 × 3.132 × 3.00 × 1.25 = 4580.55 kg ≅ 4580 kg
Pc = 2 × Pa = 3664.44 kg ≅ 3670 kg
In Fig. 9.27 è riportato lo schema statico da calcolare, completo della nu-
merazione dei nodi, delle aste e delle direzioni libere di spostamento.
La seguente tabella raccoglie ordinatamente le coordinate dei nodi:
NODO x y
1 0.00 0.00
2 2.75 1.50
3 5.50 0.00
4 5.50 3.00
5 8.25 1.50
6 11.00 0.00
ASTA INCIDENZA
1 1002
2 1003
3 2003
4 2004
5 3004
6 3005
7 3006
8 4005
9 5006
Essendo la struttura isostatica gli sforzi normali nelle aste non dipendono
dalle aree delle loro sezioni rette e, pertanto, si può trasmettere al computer ciò
che si vuole, riguardo alle aree delle sezioni; ad esempio potrebbero essere
poste tutte unitarie. Ovviamente, si provvederà a dimensionare bene le aste
successivamente, appena noti gli sforzi normali.
I dati sopra raccolti, insieme con quelli che facilmente si evincono osser-
vando la Fig. 9.27, devono essere trasmessi al computer (utilizzando il pro-
gramma riportato) ottenendo, tra l’altro, gli sforzi normali nelle varie aste, qui
di seguito ordinatamente raccolti:
1 – 13396.6
2 + 11760.8
3 – 4782.3
4 – 8614.3
5 + 4580.0
6 – 4782.3
7 + 11760.8
8 – 8614.4
9 – 13396.6
Gli sforzi normali appena raccolti sono quelli forniti dal computer e da noi
arrotondati.
È opportuno ricordare che gli sforzi normali negativi sono di compressione
(pertanto risultano tesi la catena e il monaco e compressi i punti e le saette).
Occorre, adesso, pensare a come tecnologicamente realizzare la capriata ed
effettuare – in base agli sforzi normali testé determinati – le necessarie verifi-
che delle sezioni e dei collegamenti bullonati. Innanzi tutto, va notato che es-
sendo la struttura simmetrica e simmetricamente caricata è sufficiente definire
solo le sezioni delle aste situate da una parte dell’asse di simmetria (evidente-
mente i risultati si estenderanno all’altra metà della struttura).
È, poi, opportuno individuare qualche semplificazione costruttiva. Ad esem-
pio: ogni puntone potrà essere realizzato mediante un’unica coppia di profilati
(pensiamo a due profilati a U) ed anche la catena può essere formata da un’uni-
ca coppia di profilati continui (pensiamo a due L). In altre parole, le aste (1) e
(4) (e conseguentemente, attesa la simmetria della struttura, le aste (8) e (9))
saranno costituite da una coppia di profilati a U, continui dal nodo 1 al nodo 4.
Quindi, per dimensionare uno dei due puntoni occorre fare riferimento allo
sforzo normale massimo presente nelle aste (1) e (4); cioè a N = – 13396.6 kg.
Per quant’attiene i fazzoletti, si pensa che essi possano essere formati con
lamiere da 10 mm di spessore.
Proviamo a vedere se è possibile realizzare i puntoni tramite due profilati
ad U 100, serie normale, accoppiati (ali esterne, come riportato in Fig. 9.36) a
distanza di 10 mm.
Fig. 9.36
Fig. 9.37
1 × 10 3 166. 6
Ix = 2 × = 166. 6 cm 4 ςx = = 2.89 cm
12 20
33 13 21. 6
I y = 10 × − 10 × = 21. 6 cm 4 ςy = = 1.04 cm
12 12 20
e quindi la distanza tra le lamiere di imbottitura sarà non maggiore di 50 ςy =
52 cm.
L’esito della verifica è scontato. Infatti, si ha:
4580.03
σ = = 229.00 kg / cm 2
20
Anche qui si potrebbe pensare di ridimensionare la sezione, ma non voglia-
mo che una sezione più piccola crei problemi per quant’attiene le distanze tra
i fori dei bulloni e i margini del profilo o che si debba inserire più piastrine di
imbottitura (e, quindi, lasciamo le cose come stanno).
Note, a questo punto, le sezioni rette delle varie aste, si potrebbe far girare
nuovamente il programma, al fine di determinare gli spostamenti dei nodi, nelle
9 direzioni libere segnate.
Ciò non è assolutamente indispensabile; ma lo facciamo ugualmente un po’
per curiosità, un po’ perché è interessante conoscere gli spostamenti in direzione
4 e 9 (corrispondenti, rispettivamente, alla freccia massima e allo spostamento
orizzontale del carrello).
Buona parte delle strutture reticolari che, nella realtà, hanno creato problemi
è perché presentavano una deformabilità eccessiva, pur resistendo più o meno
egregiamente ai carichi (si imbarcavano, come si dice nel gergo tecnico, senza,
pur tuttavia, dare eccessive preoccupazioni sulle loro capacità portanti).
È opportuno controllare che gli spostamenti nodali non superino un certo
limite (la normativa vigente prescrive che, per gli arcarecci o gli elementi inflessi
dell’orditura minuta delle coperture, la freccia y, in rapporto alla luce l, deve
rispettare la limitazione y / l ≤ 1/200; ma, come già detto, anche per le travature
reticolari, piane o spaziali, occorre controllare che la deformabilità non sia ec-
cessiva).
Ovviamente, essendo la struttura isostatica, i valori degli sforzi normali
nelle aste non dipendono, come già detto, dalle sezioni delle stesse.
2
Avendo trasmesso al computer le lunghezze in cm, le aree in cm , il modulo
2
di Young in kg/cm si ha, ovviamente, che gli spostamenti sono espressi in cm.
I valori degli spostamenti nodali (arrotondati) sono:
1 0.38
2 – 0.85
3 0.32
4 – 0.88
5 0.32
6 – 0.84
7 0.26
8 – 0.85
9 0.64
NODO 1
Fig. 9.38
NODO 2
Fig. 9.39
NODO 3
Fig. 9.40
NODO 4
Fig. 9.41
NODO 6
Fig. 9.42
Fig. 9.43
lerabile un po’ di generosità nel dimensionamento, non certo dei grossi sprechi
di materiale.
Potrebbe essere interessante ristudiare la capriata pensando a collegamenti
nodali saldati. In questo modo, visto che lo spazio di manovra per la realizza-
zione delle saldature è più ridotto di quello delle bullonature, avremmo meno
problemi nel dimensionare le aste. E poi, nel caso in esame, potrebbe essere
preferibile realizzare le capriate in officina, portandole in cantiere completa-
mente finite e pronte all’assemblaggio con gli altri elementi che compongono
la copertura (le dimensioni della nostra capriata consentono un trasporto, su
camion, piuttosto agevole).
ix
h a x x
e
b iy
y
b TRAVI ISE
ix
a h x x
e
iy
y
ix
h a x x
e
(*) A = serie leggera
B = serie normale
b M = serie rinforzata iy
r ix
h a x x
e
(*) A = serie leggera
iy
B = serie normale
b M = serie rinforzata
y
r
ix
h s x x
14%
b iy
y
ix
h s x x
8%
b iy
y
ix
h s x x
8%
b iy
y
m
im
n
ix
l
45
x x
°
s
iy
m
l
in
y
(*) profili non unificati UNI
m
im
n
ix
l
45
x x
°
s
iy
m
l
in
y
(*) profili non unificati UNI
im m
l1 ix
x x
s m
l iy
in
y n
im m
l1 ix
x x
s m
l iy
in
y n
s h/2
h ix
x x
2%
iy
b
y
s y
h ix
x x
s
b iy
y
s
l1
s
l
s
l
ix
a h x x
e
iy
y
TRAVI HSA
y
b
ix
a h x x
e
iy
y
TRAVI HSA y
b
ix
a h x x
e
iy
y
TRAVI HSH y
b
ix
a h x x
e
iy
y
TRAVI HSH
b y
ix
a h x x
e
iy
y
y
b TRAVI HSU
ix
a h x x
e
iy
y
b y
TRAVI HSU
y
ix
a h x x
y
e
iy
y
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belle di chiodi, ribattini, bulloni, piastrine e rosette, include simboli per saldature,
esempi di disegno di chiodature a sovrapposizione e a coprigiunti, capriate, ecc.;
il testo è utile come guida per la migliore redazione dei disegni di una struttura in
acciaio, coi relativi particolari costruttivi).
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mento delle linee di sollecitazione, garantisce la stabilità del pronao della chiesa
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lo sui tetti, pagg. 375÷448, allo scopo di vedere come, all’inizio del secolo, veni-
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unioni chiodate e/o articolate, nonché per avere un panorama dei profilati più
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Mazzilli, L. Arcosaldatura, Ed. Hoepli, Milano, 1988 (ottimo libricino che contiene tutto
quanto un tecnico operativo, nel settore delle costruzioni in acciaio, dovrebbe
conoscere sulle saldature: principi fondamentali di elettricità, l’arco elettrico, mac-
chine elettriche per saldatura, tipi di elettrodi, norme americane AWS e interna-
zionali ISO e, persino, 20 lezioni pratiche, che vanno dall’ Accensione dell’arco –
Primi cordoni – Spegnimento dell’arco fino a Saldatura in sopratesta inclinato,
che notoriamente richiede non poca bravura; non manca una parte dedicata ai
difetti e ai controlli di saldatura; ottimo per gli operai saldatori, ma, come già
detto, anche per i tecnici che vogliono almeno porsi in grado di giudicare il lavoro
di un operaio specializzato).
Messina, C.; Paolini, L.; Sestini V. “Ponti a sospensione di funi: materiali e tecniche
costruttive nei primi esempi europei”, Costruzioni Metalliche, n. 4 – 1980 (pagg.
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costruttivi d’epoca).
Ministero dei Lavori Pubblici – Decreto Ministeriale 16 gennaio 1996, «Norme tecniche
relative ai “Criteri generali per la verifica di sicurezza delle costruzioni e dei
carichi e sovraccarichi”», Supplemento ordinario alla “Gazzetta Ufficiale” n.
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Ministero dei Lavori Pubblici – Decreto Ministeriale 16 gennaio 1996, «Norme tecniche
per le costruzioni in zone sismiche», Supplemento ordinario alla “Gazzetta Uffi-
ciale” n. 29 del 5 febbraio 1996 – Serie generale.
Ministero dei Lavori Pubblici – Decreto Ministeriale 9 gennaio 1996, «Norme tecniche
per il calcolo, l’esecuzione ed il collaudo delle strutture in cemento armato, nor-
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“Gazzetta Ufficiale” n. 29 del 5 febbraio 1996 – Serie generale.
Ministero dei Lavori Pubblici – Presidenza del Consiglio superiore – Servizio Tecnico
Centrale “Legge 14.5.1981 N. 219, art.10 – Istruzioni per l’applicazione della
normativa tecnica per la riparazione ed il rafforzamento degli edifici danneggiati
dal sisma – Edifici in c.a. ed a struttura metallica” (il punto 5. è dedicato agli
edifici a struttura metallica e, in particolare, il punto 5.3.2. al rinforzo e/o modifi-
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Mironu, Wakabayashi Strutture antisismiche, Ed. McGraw-Hill, Milano, 1989 (titolo
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Città Studi, Milano, 1995, titolo originale dell’opera: Razón y de los tipos estruc-
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ture d’acciaio, però notiamo il gruppo di pagine 57÷70 dove si parla, con estrema
chiarezza, dell’argomento che ci interessa).
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struzioni “problemi delle Costruzioni in Acciaio”, Ed. Cremonese, Roma, 1967
(interessa il Capitolo 2, pagg. 33÷59, di Silio Italico Colombini, dedicato ai colle-
gamenti chiodati o bullonati, alle saldature e ai giunti ad attrito, che l’Autore
chiama bullonature a frizione; il capitolo contiene, fra l’altro, indicazioni con-
venzionali sui chiodi e sui bulloni e un ben fatto discorso introduttivo sulle salda-
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ture metalliche – Lezioni tenute al Corso di aggiornamento per Docenti di Co-
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attrito, redatta di Vittorio Nascé, pagg. 105÷114 e la successiva sezione titolata
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