You are on page 1of 47

STORIA DEL TEATRO: Tragedia

A teatro, in una tragedia, veniva rappresentato il MITO DRAMMATIZZATO, vicende


rappresentate in un angolo di leggenda lontane dal tempo: dei, eroi, re e principi.
I cicli più importanti che venivano rappresentati erano: il CICLIO TROIANO e TEBANO.
La contemporaneità era esclusa tranne nel V secolo dove viene rappresentato un avvenimento
storico: 494 = guerre persiane/rivolta ionica.
I PERSIANI RADONO AL SUOLO LA CITTA’ DI MILETO, DA QUESTO EVENTO FU
PROIBITO RAPPRESENTARE EVENTI STORICI.
490 = BATTAGLIA DI MARATONA (avvenne nell'ambito della prima guerra persiana e
vide contrapposte le forze della polis di Atene, appoggiate da quelle di Platea e comandate dal
polemarco Callimaco, a quelle dell'impero persiano, comandate dai generali Dati e
Artaferne).
480 = BATTAGLIA DI SALAMINA (si svolse in piena seconda guerra persiana, e vide
contrapposti la lega panellenica, comandata da Temistocle ed Euribiade, e l'impero
achemenide, comandato invece da Serse I di Persia); IMPOSTATA LA PRIMA TRAGEDIA
DI ESCHILO
479 = BATTAGLIA DI PLATEA (fu la battaglia terrestre decisiva della seconda guerra
persiana tra Sparta, Atene, Corinto e Megara, e l'impero persiano di Serse I.
431 A.C. = SCOPPIA LA GUERRA TRA SPARTA E ATENE, GUERRA DEL
PELOPONNESO CON LA VITTORIA DI SPARTA (DA QUESTO MOMENTO MUORE
LA TRAGEDIA GRECA (421-405) CON LA MORTE DI SOFOCLE E EURIPIDE 456,
DECLINO DAL PUNTO DI VISTA CULTURALE.
ATENE DAL IV SECOLO IN POI NON SARA’ PIU’ LA STESSA.

AVVENIMENTI STORICI:
● RIVOLUZIONE IONICA;
● GUERRE PERSIANE;
● VITTORIA DI ATENE E ASCESA DELLA POLIS;
● 431 a. C. GUERRA DEL PELOPONNESO E VITTORIA DI SPARTA;
● DECLINO DI ATENE;
● ALESSANDRO MAGNO;
● 338 A.C. BATTAGLIA DI CHERONEA, I MACEDONI SCONFIGGONO ATENE;
● 323 MORTE DI ALESSANDRO MAGNO E INIZIO DEL PERIODO
ELLENISTICO;
Ad Atene confluivano stranieri da tutte le parti del mondo. Per organizzare le rappresentazioni
teatrali servivano dei contributi economici sostanziosi.
535-33 = TESPI vince alle GRANDI DIONISIE; PISISTRATO aveva dato un impulso alle
attività culturali.
508 = furono istituiti gli AGONI DI DITIRAMBICI; DA QUESTO MOMENTO
PRENDERA’ IL VIA LA TRAGEDIA;
486 = istituzione degli AGONI COMICI;
GRANDI DIONISIE = cadevano fra marzo e aprile, il 10, e si protraevano per 5 giorni; l’8 del
mese si aveva il PROAGONE.
Questi festival erano dedicati al Dio Dioniso poiché egli era più di un semplice dio del vino: era un
dio della fertilità e della vegetazione, le cui incarnazioni animali erano il toro e il capro; i suoi
simboli, l’edera lussureggiante e il fallo. Il suo rituale era generalmente eseguito da donne:
attraverso la danza e il vino, poteva produrre uno stato di estasi, colmando di gioia le sue fedeli che
si sentivano possedute dal dio. Nel concetto greco di questa divinità c’era anche però qualcosa di
ferocemente macabro. Dioniso era il dio che faceva appello piuttosto che alle passioni che
all’intelletto, alla gioia e al terrore piuttosto che alla ragione, un dio al quale potevano appartenere
sia la commedia che la tragedia.
Il 10 cominciava il festival, si portava la statua di Dioniso all’interno del teatro.
1° giorno = AGONI DITIRANBICI;
2°-3°-4° giorno = avveniva la rappresentazione delle TRAGEDIE = ogni autore tragico metteva in
scena delle TRETRAGIA, delle opere tragiche più una SATIRESCA.
DRAMMA SATIRESCO = da satiro (esuberanza sessuale) = SILENO, capo dei satiri;
LENEE (così chiamate da uno dei nomi dati alle donne adoratrici del dio), = si rappresenta
soprattutto la COMMEDIA; queste feste si chiamavano anche ‘grandi dionisie’ o
semplicemente Dionisie;
5 giorno = rappresentazione opere comiche, 5 autori comici si sfidavano con le loro commedie
al festival;
Durante la processione, all’interno dello spazio teatrale si portava una cassa di legno visibile a tutti,
quella cassa conteneva il tesoro della LEGA DELIO ATTICA che ogni cittadino di Atene versava
ogni anno. Quindi quella cassa era il simbolo della potenza di Atene.
Durante il festival sfilavano anche gli orfani dei genitori caduti in guerra.
In occasione delle DIONISIE cittadine furono dapprima istituiti ufficialmente gli AGONI
TRAGICI.
Nel V secolo, nel periodo di maggior splendore, agli agoni tragici concorrevano tre tragediografi
(ognuno dei quali portava in scena tre tragedie o un dramma satiresco); agli agoni comici invece
erano 5 i commediografi in gara, ognuno con una commedia.
Un’altra importante occasione erano le LENEE, una festa Dionisiaca che aveva luogo in inverno
(tra gennaio e febbraio) nel mese di Gentilione.
Negli agoni Lenaici la commedia assumeva un ruolo più importante rispetto a quello riservatole agli
agoni dionisiaci:
● Non era contemplato lo svolgimento di agoni Ditirambici;
● Era drasticamente ridotto il numero delle tragedie rappresentate (4 in confronto alle 9
tragedie e i 3 drammi satireschi delle dionisie);
● Si privilegia la componente comica.
COMPONENTI DELL’EDIFICIO TEATRALE:
● FORMA SEMI-CIRCOLARE;
● IL TEATRO, ALL’INIZIO, ERA IN LEGNO, QUINDI MOBILE. SOLO
SUCCESSIVAMENTE IN PIETRA E STABILE.
● I CORRIDOI, ESODOI, DOVE IL PUBBLICO POTEVA ENTRARE;
● IL PALCO ERA IL LOGLION;
● IL CORO STAVA SULL’ORCHESTRA;
● NON ERA PRESENTE LA SCENOGRAFIA COME OGGI; IN QUEL PERIODO LA
SCENOGRAFIA ERA AMOVIBILE, IN LEGNO, E CON SCARSA FORMA
ARTISTICA;

MACCHINE:
MECCANE’-GRU = serviva per sollevare gli attori in determinati contesti teatrali, come
l’interpretazione degli dei.
LANCHITEMA = piattaforma ruotante collegata in fondo alla piazzata scenica all’interno
dell’edificio ed esposta agli spettatori.
Nella tragedia non era mai rappresentata la morte in scena.
3° MACCHINA DI SCENA: BRONTEION = BRONTOS (DAL GRECO) = era funzionale nel
creare suoni artificiali;

In alcune tragedie e in alcune commedie venivano impiegati anche dei carri. La presenza dei
carri comportava che fossero scenicamente attivi anche i cavalli.

MASCHERE E COSTUMI:
Eredità del rituale Dionisiaco era prassi l’utilizzo della MASCHERA che assumeva una
funzione pratica: grazie ad essa uno stesso attore poteva svolgere più ruoli e ciò consentiva ai
drammaturghi di rispettare la regola in base alla quale gli attori non potevano superare le tre
unità nella messa in scena tragica, e quattro nella commedia, sia in ruoli maschili che
femminili.
A teatro tutti gli attori erano uomini.
Utilizzavano il CHITONE (toga), il MATION (mantello) e il CLAMIDE (mantello più
leggero).
Le donne utilizzavano il PEPLO.
● Gli attori tragici si individuavano grazie ai loro CALZARI chiamati COTURNO (sandalo
a mezza tibia che dà il nome alle COTURNATE).
● BASTONI
● GHIRLANDE (evidenziavano i ruoli)
● SCETTRI
● PARRUCCHE (normalmente gli eroi utilizzavano le parrucche bionde per
evidenziare la giovinezza)
● GRANDI IMBOTTITURE (grandi pance, grande deretano e grandi falli), accentuati
in commedie e drammi satireschi;
● gli dei Greci venivano riconosciuti grazie a dei tratti distintivi del loro abbigliamento:
se un attore entrava in scena portando CADUCEO PETASO e calzari alti, veniva
immediatamente riconosciuto come Ermes; se invece indossava pelle di leone e
portava una clava, era chiaro che si trattasse di Eracle.

I TESTI PER LA SCENA TEATRALE:


I testi teatrali attici tramandati in forma di libri destinati alla lettura, ma composti in vista della loro
messa in scena in un determinato contesto teatrale, erano testi POLISCENICI.
Il drammaturgo antico comunicava con il pubblico non solo attraverso il linguaggio verbale, ma anche
attraverso il linguaggio della scena, della maschera, del costume, dei gesti, della musica e della danza.
LE FESTE = ANTESTERIE (celebrate verso la fine di febbraio) = nel mese di Antesterione;
duravano 3 giorni:
1° giorno: l’apertura delle giare, veniva bevuto il vino della vendemmia precedente. C’erano
momenti di baldoria dove i partecipanti intonavano delle forme poetiche e c’era l’assegnazione del
premio in vino;
2° giorno: il giorno dei boccali, si celebrava il matrimonio simbolico fra Dioniso e la figlia
dell’Arconte;
3° giorno: si lasciava il posto al dio Ermes, dio dell’Ade, e si faceva cuocere in una pentola una
minestra di farro per buon auspicio per il Dio per una buona vita o rinascita.
Questa rinascita iniziava con le AGONI.
Agli AGONI TEATRALI partecipavano:
● 75 COREGHI = 15 per ogni drammaturgo;
● 240 COREGHI COMICI;
● 15 ATTORI TRAGICI;
● 40 ATTORI COMICI = 4 per ciascuno dei 10 che mettevano in scena le commedie;
partecipavano sia alle Dionisie che alle Lenee;
370 unità in cui tutti dovevano essere educati, abbigliati e studiare le parti con un meccanismo
perfettamente oliato.
Erano presenti varie consuetudini riguardanti età, nazionalità e nascita dei partecipanti per
poter aderire. Infatti, non solo esistevano gare differenti per fanciulli e adulti, ma in origine le
gare avevano carattere locale, erano cioè riservate ai soli cittadini della città o dello stato
dove si trovava la sede delle gare;
In Grecia il teatro era di grande interesse per la Polis e durante le feste in onore di Dioniso gli
autori erano tenuti a gareggiare nei cosiddetti “agoni tragici” durante le Dionisie e negli “agoni
comici” durante le Lenee.
1° rappresentante del genere tragico:
● TESPI = 1° vincitore delle Dionisie del 533, CONSIDERATO L’INVENTORE DELLA
TRAGEDIA GRECA VISTO CHE, PRIMA DI LUI, LA TRAGEDIA GRECA ERA
RAPPRESENTATA SOLO DA CORI LIRICI;
● ARIONE DI METINNA = apprezzato compositore di DITIRAMBI (forma di lirica
corale greca) e tragedie;
● PRATINA = contribuì allo sviluppo di tragedie;
● CHERILO = aveva portato a nuova evoluzione la tragedia;
● FRINICIO = ha lasciato la presa di Mileto, 494, e le Fenice, 466.
● ESCHILO = abbiamo solo dei frammenti.

L’EVENTO TEATRALE:
Nell’ODEON, si svolgeva la cerimonia del ‘PROAGONE’: a turno i tragediografi in gara,
accompagnati dagli autori, riassumevano, al numeroso pubblico presente, le trame delle tragedie che
sarebbero state rappresentate il giorno dopo. Alle Dionisie erano presenti stranieri giunti da ogni parte
della Grecia; alle Lenee il pubblico invece era formato da chi viveva principalmente ad Atene, cittadini,
schiavi etc.
Gli spettatori di cui non è possibile determinare un numero con certezza, diecimila unità circa,
trovavano posto in base ad una disposizione che rifletteva gerarchicamente le varie realtà della Polis.
Il primo di questi eventi eccezionali che misero a rumore il mondo politico ateniese e di conseguenza la
Polis intera, si verificò verso la fine del 423, poche settimane prima della rappresentazione delle Vespe:
un’abile mossa politica, Cleone ottenne che fosse intentato un processo per malversazione contro lo
stratega Lachete, promotore della tregua annuale stipulata tra Atene e Sparta. Il verdetto della giuria
poteva essere influenzato dagli spettatori in quanto esprimevano le loro preferenze attraverso gli
applausi, fiochi.
Un cattivo piazzamento per un drammaturgo non avrebbe solo significato subire beffe da parte degli
avversari e perdita di stima da parte di tanti cittadini ma avrebbe anche significato restare escluso dalla
partecipazione agli agoni Dionisiaci dell’anno successivo.

ESCHILO: biografia, scritti e testi del 10° secolo:


Eschilo nasce nel 525 a Erensi (borgo di Atene) e muore nel 456 a Gela.
Nel 484 ottiene la sua 1° vittoria alle Dionisie.
Scrisse 70-90 drammi che furono messi in scena.
I testi degli autori importanti, come Eschilo, venivano ricopiati, corretti e catalogati nelle
biblioteche come Alessandria; ricopiati prima in MAIUSCOLO e poi in MINUSCOLO.
Di Eschilo ci vengono riportati ad oggi solo 7 tragedie tra cui una commedia (10°-16° secolo d.
c.)
Le opere INTERE pervenute ad oggi:
● 472 = vengono messi in scena ‘I PERSIANI’;
● 467 = ‘I 7 CONTRO TEBE’ (riferita alla famiglia di Edipo), Eteocle e Polinice, i figli di
Edipo e Giocasta, saranno i protagonisti;
● 463 = ‘LE SUPPLICI’;
● 458 = ‘L’ORESTEA’, di cui fanno parte ‘L’AGAMENNONE’, ‘LE COEFORE’ e ‘LE
EUMENIDI’;
● ‘PROMETEO’ = MOLTI DUBITANO CHE SIA STATO SCRITTO DA ESCHILO,
SIA PER COME E’ DESCRITTO ZEUS SIA PER RAGIONI DI CARATTERE
METRICO E LATINO; (la tragedia si concluse in modo brutto, nel testo, Prometeo sa
che Zeus sarà ucciso da un suo figlio e non volendoglielo dire Zeus lo fa sprofondare in un
burrone causandone la morte.
Eschilo aveva introdotto delle innovazioni nella tragedia:
● Il passaggio dal 1° al 2° attore;
● Il coro, figura centrale e riflette i valori della collettività di cui l’attore si fa portavoce;
● Molto spesso il coro entra in collisione con l’eroe;
inoltre, Eschilo aveva molto rispetto per gli Dei e questo si riversava nelle sue opere; onora la
patria e si fa portavoce di un’ideologia poetica arcaica e metteva l’accento sulla centralità
dell’individuo molto spesso solo.
ESCHILO: la lingua
Eschilo aveva un linguaggio esuberante con parole inventate da lui, aveva uno stile
PARATATTICO e un carattere ASINDETTICO.

SOFOCLE: biografia, opere, poetica e lingua


Sofocle nasce nel 496 e morì nel 405 alla veneranda età di 90 anni.
Sofocle si differenzia dagli altri autori poiché fu l’unico ad avere delle cariche pubbliche e, subito
dopo il 413 dopo la sconfitta di Atene, fu custode della Delia-Attica.
Egli scrisse all’incirca 100 opere ma siamo carenti circa la cronologia delle sue opere.
I drammi superstiti che ci sono pervenuti sono:

● L’AIACE;
● L’ANTIGONE;
● ELETTRA-sorella di Oreste;
● EDIPO RE;
● EDIPO A COLONO-rappresentata nel 401;
● FILOTTETE-arciere, senza il suo aiuto Troia non sarebbe stata presa, l’unica data certa è il 409;
● TRACHINIE-indica le donne che formano il coro;
● L’interesse maggiore era il ‘CICLO TROIANO’;

Il fattore rivoluzionario di Sofocle avvenne nel 450 con lo sviluppo della filosofia sofistica e con la critica
individuale. Nelle sue tragedie mette in scena i protagonisti che hanno dei dubbi e che a causa dei dubbi che
essi si pongono vanno incontro a conseguenze terribili (es. Edipo).
Di conseguenza diventa protagonista assoluta la RESIS, cioè il monologo; il protagonista si interroga e fa
uso della ragione, c’è un rapporto tra l’uomo e la divinità che viene messo in discussione, poiché il
protagonista dialoga con la divinità e il rapporto comincia ad incrinarsi (es. Aiace, Edipo, Antigone).
Un altro fattore importante è l’AMOBEO, Sofocle porta gli attori da 2 a 3, i coretti da 12 a 15 e il 3° attore
era quasi sempre presente nella scena.
La SCENOGRAFIA, Sofocle la portò ad una dignità artistica importante;
la LINGUA, Sofocle dà mostra di usare l’IPOTASSI, metrica caratterizzata da ritmi e metri in misura
maggiore (es. Aiace).

EURIPIDE: biografia, opere, poetica

Nasce nel 480 a. c. (anno della battaglia di Salamina) e morirà nel 406 in Macedonia, a Pella.
Diversamente da Eschilo e Sofocle, di Euripide abbiamo diversi aneddoti le cui fonti provengono dal
MARMON PARUM.
Ebbe una vita anonima contenuta nei codici medievali.
Era ritenuto un misogino, ateo e fu accusato di empietà da Cleone.
Partecipa alla vita culturale ed entrò in contatto con artisti e intellettuali dell’epoca; scrisse fra i 90 e 100
drammi (tragedie) ma ce ne sono pervenute all’incirca 78 tra cui una (IL RESO) definita SEMI-
EURIPIDEA:

● ALCESTI;
● MEDEA;
● BACCANTI;
● EUBA;
● LE TROIANE;
● ELETTRA;
● ANDROMEDA;
● IPPOLITO;
● FEDRA;
● ELENA;
● ORESTE;
● EFIGENIA IN AULIDE;
● EFIGENIA IN TAURIDE;
● ERACLE SFURENS;
● GLI ERACLIDI;
● LE SUPPLICI;
● LO IONE;

Euripide, nonostante non abbia ricevuto sempre dei riconoscimenti in Grecia, a Roma fu molto
apprezzato; questo perché Euripide mette in evidenza dei fattori che gli altri tralasciavano:

● CONIFONIA DI TONI E SFACETTATURA DEL REALE;


● MINIMIZZA GLI EROI E GLI INDIVIDUI;
● DIVENTANO PROTAGONISTI PERSONE APPARTENENTI A CETI PIU’ BASSI
(vecchi, schiavi, contadini etc.);
● L’UOMO VIENE DIPINTO CON DUBBI, INCERTEZZE CHE NON RIESCE A
DOMINARE;
● IL PROLOGO È PRIVO DI PROBLEMI
● È PRESENTE UNA SITUAZIONE DILEMMATICA (il protagonista si trova in pericolo
con conseguente crisi);
● SONO PRESENTI PERIPEZIE CHE RENDONO COMPLETA LA TRAMA;
● INTERVENTO DEGLI DEI (deus ex machina);
● LA TRAGEDIA FINISCE IN MODO POSITIVO;
Euripide fu inventore di una PARODIA TRAGICA, sfrutta il DITIRAMBO e, per avere successo, riduce
la centralità del coro che assume carattere autonomo; si dà quindi più spazio alla musicalità che è vista
come un qualcosa di distaccato; egli incrementa anche i campi di ASSOLO.
Per quanto riguarda la LINGUA, Sofocle utilizza dei colloquialismi più frequentemente degli altri e utilizza
un’alternanza di IPOTASSI e PARATASSI; appare anche una forte elaborazione retorica: METAFORA,
SIMILITUDINI, ANTITESI, OSSIMORI, SINESTESIE (es. ho visto il rumore).
Euripide, nelle sue opere, tende a descrivere la donna come non umana, che perde questa
caratteristica e si trasforma.

OPERE DI ESCHILO: descrizione


‘I PERSIANI’ = La tragedia è ambientata a Susa, la residenza del re di Persia, dove
Atossa, madre del regnante Serse, ed i dignitari di corte attendono con ansia l'esito della
battaglia di Salamina (480 a.C.). In un'atmosfera cupa e colma di presagi funesti, la regina
racconta un sogno angoscioso fatto quella notte. Non appena la regina finisce di narrare del
sogno, arriva un messaggero, che porta l'annuncio della totale disfatta dei Persiani. La
battaglia viene raccontata accuratamente, dapprima con la descrizione delle flotte, poi con
l'analisi delle fasi dello scontro e infine con il quadro desolante delle navi distrutte in mare e
dei soldati superstiti privi di aiuto. Lamenti e pianti riempiono la scena fino alla comparsa del
defunto padre di Serse, Dario, marito di Atossa. Lo spettro dà una spiegazione etica alla
disfatta militare, giudicandola la giusta punizione per la hýbris (tracotanza) di cui si è
macchiato il figlio, nell'aver osato cercare di conquistare il Mar Egeo con la sua flotta. Arriva
infine il diretto interessato, lo stesso re Serse, sconfitto e distrutto, che unisce il proprio
lamento di disperazione a quello del coro, in un canto luttuoso che chiude la tragedia.

‘I 7 CONTRO TEBE’ = Eteocle e Polinice, figli di Edipo, si erano accordati per spartirsi il
potere sulla città di Tebe; avrebbero regnato un anno a testa, alternandosi sul trono. Eteocle
tuttavia allo scadere del proprio anno non aveva voluto lasciare il proprio posto, così Polinice,
con l'appoggio del re di Argo Adrasto, aveva dichiarato guerra al proprio fratello ed alla
propria patria. All'inizio del dramma, Eteocle appare impegnato a rincuorare la popolazione
preoccupata per l'imminente arrivo dell'esercito nemico. Giunge un messaggero, che informa
che gli uomini di Polinice sono nei pressi della città, ed hanno deciso di presidiare le sette
porte della città di Tebe con sette dei loro più forti guerrieri. È quindi necessario che Eteocle
scelga a sua volta sette guerrieri da contrapporre a quelli nemici, ognuno a difendere una
porta. Ricevuta la notizia, il coro di giovani tebane reagisce con paura, ma Eteocle le
rimprovera aspramente per questo. Torna il messaggero e riferisce che i sette guerrieri
nemici, tirando a sorte, hanno deciso a quale porta essere assegnati. Eteocle viene informato
sul nome e le caratteristiche principali di ognuno, e ad essi contrappone un proprio guerriero.
Quando il messaggero nomina il settimo guerriero, che è il fratello Polinice, Eteocle capisce di
essere predestinato allo scontro con lui, e che probabilmente nessuno dei due ne uscirà vivo.
Tuttavia, non si tira indietro, nonostante i tentativi del coro di dissuaderlo. Le giovani donne
del coro, in attesa di notizie sull'esito della battaglia, intonano un canto pieno di paura, al
termine del quale arriva il messaggero. Questi informa che sei delle sette porte di Tebe hanno
tenuto, dunque l'attacco è stato respinto. Alla settima porta però i due fratelli Eteocle e
Polinice si sono dati la morte l'un l'altro, com'era timore di tutti. Di fronte a questa notizia, la
felicità per la battaglia vinta passa in secondo piano: vengono portati in scena i cadaveri dei
due fratelli, ed il coro piange la loro triste sorte. Qui con ogni probabilità terminava l'opera
scritta da Eschilo. In un'ultima scena (aggiunta probabilmente dopo la morte dell'autore)
entrano in scena le sorelle di Eteocle e Polinice, Antigone e Ismene, ed un araldo. Quest'ultimo
annuncia che il nuovo re di Tebe, Creonte, ha deciso di dare sepoltura al corpo di Eteocle, ma,
per spregio, non a quello di Polinice. Antigone, sentita la notizia, sfidando le parole dell'araldo
dichiara che farà di tutto perché anche l'altro fratello abbia degna sepoltura.

‘LE SUPPLICI’ = Danao ed Egitto erano due fratelli gemelli che condividevano la
sovranità sul regno d'Egitto. Il primo aveva avuto cinquanta figlie, il secondo altrettanti figli.
Egitto aveva tentato di imporre il matrimonio tra i propri figli e le figlie di Danao (chiamate
collettivamente Danaidi), ma un oracolo aveva predetto a Danao che un suo nipote l'avrebbe
ucciso; per questo il re aveva vietato alle figlie di sposarsi e, alla richiesta di matrimonio dei
cugini, queste si erano rifiutate ed erano fuggite ad Argo, in Grecia. La tragedia prende avvio
quando le Danaidi, appena sbarcate in terra greca, vengono esortate da Danao a raggiungere
il recinto sacro, dove i supplici hanno per antica consuetudine un diritto di asilo inviolabile.
Esse raccontano la loro storia a Pelasgo, re di Argo, ma quest'ultimo è restio ad aiutarle, per il
timore di una guerra contro l'Egitto. Infine, il re promette di portare la questione di fronte
all'assemblea cittadina; dal canto loro, le Danaidi affermano che, se non verranno accolte, si
impiccheranno nel recinto sacro. Pelasgo dunque si reca con Danao all'assemblea, e poco dopo
torna con buone notizie: si è deciso di accogliere la supplica delle ragazze. Queste allora
intonano un canto di gratitudine, ma ben presto arriva un'amara sorpresa: gli egizi sono
appena sbarcati presso Argo, e vogliono rapire le Danaidi. Arriva l'araldo egizio con i suoi
armigeri per portarle via, ma l'intervento di Pelasgo glielo impedisce. L'araldo se ne va
urlando minacce: la guerra tra Argo e l'Egitto è ormai inevitabile. Le Danaidi vengono allora
accompagnate da Danao e da alcune ancelle dentro le mura della città.

‘L’ORESTEA’ (l’Agamennone-le Coefore-le Eumenidi) = Le tragedie che la compongono


rappresentano un'unica storia suddivisa in tre episodi, le cui radici affondano nella tradizione
mitica dell'antica Grecia: l'assassinio di Agamennone da parte della moglie Clitennestra, la
vendetta del loro figlio Oreste che uccide la madre, la persecuzione del matricida da parte
delle Erinni e la sua assoluzione finale ad opera del tribunale dell'Areopago.
L’AGAMENNONE: l’esercito Greco si prepara alla partenza, per partire ci vuole il vento ma
per una maledizione lanciata dalla dea Artemide c’è bonaccia.
Un sacerdote di Apollo dice che serve un sacrificio per poter far ripartire il vento. Nessuno di
loro vuole sacrificarsi così Efigenia, figlia di Agamennone, si sacrifica per l causa facendo così
scatenare una tempesta.
LE COEFORE: donne del coro che portano dei doni al defunto Agamennone e sperano nella
giustizia. Oreste, figlio di Agamennone, arriva e con uno stratagemma entra a palazzo e
uccide la madre.
LE EUMENIDI = Braccato dalle Erinni per il matricidio, Oreste è nel tempio di Apollo, dove
chiede aiuto al dio. Quest'ultimo, promettendogli la sua protezione, lo invia ad Atene, presso il
tempio della dea Atena, dove forse troverà la soluzione ai suoi problemi. Appare poi il
fantasma di Clitennestra, che aizza le Erinni a perseguitare il figlio per il suo orribile delitto,
lamentandosi del fatto che nessun altro dio si levi in sua difesa. Appare Atena, la quale, dopo
essersi informata presso Oreste e le Erinni su ciò che è accaduto, si offre come giudice in un
regolare processo. Il caso verrà sottoposto ad una giuria ateniese di dodici membri, presieduta
dalla stessa Atena. Le Erinni saranno l'accusa, Apollo la difesa. Alla fine, il conteggio dei voti
è pari: sei per la condanna e sei per l'assoluzione. Oreste viene dunque assolto, poiché il
presidente della giuria, Atena, è a lui favorevole.

OPERE DI SOFOCLE: descrizione


L’AIACE = Il Pelide Achille è morto. I due Atridi, Agamennone e Menelao, capi dell'esercito
greco, affidano le armi del defunto eroe a Ulisse. Qualcuno però non è d'accordo: in quanto
amico del Pelide, Aiace Telamonio, re di Salamina, è convinto che gli spettassero di diritto,
anche perché era il più simile al defunto Achille in forza e valore combattivo di tutto il
restante esercito greco.
Il dramma si apre con la collera di quest'ultimo, accecato da Atena. Credendo di infierire sui
suoi compagni, Aiace massacra i buoi e i montoni degli Achei. La dea esorta Ulisse ad
approfittare della situazione per consumare la sua vendetta, ma Ulisse rifiuta, non volendo
infierire, e approfittandone per dar voce al pensiero sofocleo riguardo alla condizione
dell'uomo e alla sua sorte effimera. Tornato in sé, e pieno di vergogna, Aiace decide di
riscattare il suo onore e la reputazione della sua famiglia con il suicidio, che gli avrebbe
garantito la gloria imperitura dopo la morte. Tecmessa, la sua compagna, tenta di
dissuaderlo. L'eroe finge di acconsentire e si ritira in un bosco presso la riva del mare.
Teucro, fratello di Aiace, lontano dall'accampamento per una missione di guerra, tenta di
impedire la sua morte: ha saputo da un oracolo che se il fratello fosse rimasto chiuso nella sua
casa sarebbe scampato alla collera degli dei. Tuttavia, il messaggero da lui inviato arriva
troppo tardi: Aiace, in solitudine, si dà la morte con la spada di Ettore, che il troiano gli aveva
dato in dono dopo il loro duello narrato nell'Iliade e interrotto dal calare della sera. Il
dramma si chiude con la scoperta di Aiace morto e la disputa tra Teucro, Menelao e
Agamennone. Il re Atride rifiuta che gli venga data sepoltura; Teucro al contrario vuole
onorare il fratello. Determinante è l'intervento di Ulisse: nonostante la disputa avuta con
Aiace, consiglia Agamennone di lasciare che Teucro renda l'ultimo omaggio al defunto.

L’ANTIGONE = L'opera racconta la storia di Antigone, che decide di dare sepoltura al


cadavere del fratello Polinice contro la volontà del nuovo re di Tebe, Creonte. Scoperta,
Antigone viene condannata dal re a vivere il resto dei suoi giorni imprigionata in una grotta.
In seguito alle profezie dell'indovino Tiresia e alle suppliche del coro, Creonte decide infine di
liberarla, ma troppo tardi, perché Antigone nel frattempo si è suicidata impiccandosi. Questo
porta al suicidio il figlio di Creonte, Emone (promesso sposo di Antigone), e poi la moglie di
Creonte, Euridice, lasciando Creonte solo a maledire la propria stoltezza.

ELETTRA = Oreste, figlio di Agamennone, torna dopo molti anni a Micene, in compagnia di
Pilade e del Pedagogo. Egli, su ordine di Apollo, deve vendicare la morte del padre, ucciso
dalla moglie Clitennestra e dal suo amante Egisto per usurparne il trono. Da bambino Oreste,
che correva il rischio di essere anch'egli ucciso in quanto erede al trono, era stato salvato dalla
sorella Elettra. Questa infatti l'aveva affidato ad un uomo focese, che lo aveva tenuto lontano
dagli intrighi di palazzo. Da quel giorno Elettra, che provava un odio profondo (e ricambiato)
verso i due assassini, era vissuta nella speranza che Oreste un giorno potesse tornare a
vendicare il padre. Oreste dunque torna a Micene all'insaputa di tutti, e organizza un
tranello: diffonde la falsa notizia della propria morte, che gli permette di constatare la gioia (e
quindi la malvagità) della madre Clitennestra. Elettra, al contrario, è disperata (dimostrando
quindi il suo immutato affetto per il fratello), ma si fa coraggio e decide che sarà lei a
vendicare il padre. Ottenuta la prova della fedeltà della sorella, Oreste le rivela la propria
identità, ed insieme i due organizzano un piano per attuare la loro vendetta. Oreste penetra
nel palazzo e uccide senza pietà la madre supplicante, poi incontra Egisto. Lo trascina fuori
scena per ucciderlo, e proprio su questa immagine si chiude la tragedia.
EDIPO RE = A Tebe infuria la peste e Edipo ha inviato Creonte, fratello di Giocasta, a Delfi
per interrogare l’oracolo. Creonte torna quindi a Tebe recando con sé notizie funeste:
l’assassinio di Laio vive ancora tra le mura della città. Edipo, che non è a conoscenza delle
circostanze della morte di Laio, chiede delucidazioni a Creonte che racconta di come il
precedente sovrano fosse stato attaccato da un gruppo di briganti sulla strada per Tebe.
Edipo ordina che il responsabile venga trovato e bandito da Tebe e chiede a Tiresia, vecchio
indovino cieco, di svelare l’identità del colpevole. Tiresia, tuttavia, si rifiuta, sostenendo che il
suo vaticino potrebbe portare conseguenze ancora più funeste. Edipo e Tiresia si scontrano
verbalmente con toni molto accesi finché l’indovino non riferisce che proprio Edipo è
l’assassino che si sta cercando. Edipo non crede a una parola di quanto detto da Tiresia e
comincia a sospettare che Creonte voglia prendere il suo posto sul trono e abbia preso accordi
con l’indovino per scacciarlo da Tebe. Edipo si confronta allora con Creonte, il quale sostiene
si difende rivendicando di non avere nessun interesse a tradire il re. I due uomini vengono
quindi raggiunti da Giocasta che, per placare Edipo, gli assicura che spesso gli indovini danno
responsi sbagliati. A testimonianza di ciò riferisce che a Laio era stato predetto di morire per
mano di suo figlio, mentre, come gli ha già spiegato Creonte, erano stati dei furfanti. Giocasta
aggiunge però dei particolari sulla strada in cui si trovava Laio e Edipo, che riconosce quel
punto come il luogo dove ha ucciso un uomo e ritrova nella profezia raccontata da Giocasta
echi di quella che gli era stata fatta a Corinto, decide di approfondire le indagini.
Edipo racconta così a Giocasta del pronostico ricevuto in gioventù e delle circostanze in cui ha
ucciso un uomo mentre si recava a Tebe. Nel frattempo, arriva un ambasciatore di Corinto
che informa Edipo della morte di Polibio e di essere quindi, per eredità, il nuovo re di
Corinto. Edipo però ricorda bene che la profezia non riguardava solo l’uccisione del padre ma
anche l’incesto con la madre, chiede così all’ambasciatore cosa ne sia stato di lei.
L’ambasciatore però non è uomo qualsiasi, ma proprio quel pastore che tanti anni prima
aveva affidato il figlio di Laio a Polibio: assicura così a Edipo che Peribea non è la sua madre
naturale. Quando l’ambasciatore riferisce che il neonato gli è stato affidato dal servo di Laio,
Edipo fa chiamare il vecchio servitore che ancora vive a Tebe. Giocasta, che ha compreso
l’inganno del destino che beffardo si è preso gioco di loro, cerca di convincere Edipo ad
abbandonare l’esigenza di colmare lacune del passato. Ma le sue suppliche restano
inascoltate, allora Giocasta si allontana e, sconvolta dalla scoperta, decide di porre fine alla
sua vita. Il servo di Laio, a colloquio con Edipo, riconosce l’ambasciatore come il pastore a cui
ha affidato il neonato ma si mostra reticente a voler proseguire il racconto. Incalzato da Edipo
rivela infine che Laio gli aveva affidato il neonato acciocché lo uccidesse, ma mosso da pietà il
servo aveva affidato il bambino al pastore. Edipo si rende così conto di essere lui il figlio di
entrambe le profezie, di aver ucciso sua padre e aver giaciuto con sua madre così come il
destino aveva decretato dovesse compiersi. Esce quindi di scena disperato. Scopriamo quindi
che Edipo, dopo aver trovato la madre, Giocasta, morta impiccata, ha usato le fibbie del
vestito di lei per accecarsi. Edipo supplica quindi Creonte, destinato a diventare il nuovo
reggente, di esiliarlo da Tebe, in quanto per colpa sua l’ordine naturale è stato sovvertito e la
peste ne è la conseguenza. Saluta quindi le figlie, Antigone e Ismene, destinate anch’esse alla
sventura in quanto nate da un’unione aborrita dagli dei e dagli uomini.
EDIPO A COLONO = Edipo, ormai mendico e cieco, nel suo vagabondare insieme alla figlia
Antigone, arriva a Colono, un sobborgo nei pressi di Atene, in obbedienza ad un'antica
profezia che diceva che lì sarebbero terminati i suoi giorni. Gli abitanti del luogo, conosciuta
la sua identità, vorrebbero allontanarlo, ma il re di Atene, Teseo, gli accorda ospitalità e
protezione. A questo punto Edipo rivela a Teseo che quando i Tebani diverranno nemici degli
Ateniesi, la sua tomba preserverà i confini dell'Attica. L'altra figlia Ismene li raggiunge,
portando la notizia dello scontro fra i fratelli Eteocle e Polinice, anch'essi figli di Edipo.
Secondo un oracolo, la vittoria sarebbe arrisa a quello dei fratelli che fosse riuscito ad
assicurarsi l'appoggio paterno. Arriva anche Creonte, re di Tebe, per convincere Edipo a
tornare in patria, ma, visto il rifiuto di quest'ultimo, Creonte prende in ostaggio le figlie, che
vengono però messe in salvo da Teseo. Giunge poi Polinice, nel tentativo di ingraziarsi le
simpatie del padre, ma viene scacciato da Edipo. Infine, si manifestano una serie di prodigi
divini, che fanno capire ad Edipo che la sua fine è vicina. Egli viene accompagnato da Teseo in
un boschetto sacro alle Eumenidi, e lì sparisce per volontà degli dei, dopo aver predetto al re
di Atene lunga prosperità per la sua città. Antigone e Ismene vorrebbero correre a vedere il
luogo in cui il loro padre ora riposa, ma Teseo le ferma: a nessuno è lecito accostarsi a quel
luogo. Le due sorelle si preparano allora a fare rientro a Tebe.

FILOTTETE = Filottete è stato abbandonato, già da dieci anni, dai suoi compagni in viaggio
per la guerra contro Troia, sull'isola di Lemno, a causa di una ferita infetta e puzzolente
provocatagli da una vipera. Un oracolo, però, solo ora svela ai Greci che senza l'arco di
Filottete Troia non cadrà mai. Questi incaricano allora Odisseo e Neottolemo (figlio di
Achille) di andare sull'isola e recuperare ad ogni costo l'arco di Filottete. Odisseo, che in
questa tragedia è presentato come un eroe meschino e crudele, ha un piano diabolico:
Neottolemo dovrà fingere di avere litigato con i capi greci (in particolare con Odisseo, a cui
sarebbero state affidate le armi del padre di Neottolemo contro la volontà di quest'ultimo) e
cercare di accattivarsi la fiducia di Filottete, facendosi consegnare l'arco, che altrimenti
sarebbe stato preso con la forza da lui. L'inganno riesce, grazie anche alla comparsa di un
marinaio greco che si finge mercante e annuncia l'arrivo di Odisseo, e Filottete consegna il suo
arco all'amico Neottolemo, che a sua volta lo consegna ad Odisseo. All'ultimo momento, però,
Neottolemo si pente e riprende l'arco a Odisseo e lo riconsegna a Filottete. Odisseo si infuria e
solo l'intervento di Eracle ex machina appiana i dissapori e convince Filottete ad imbarcarsi
per Troia.

LE TRACHINIE = La scena è ambientata a Trachis (da cui il titolo della tragedia, che indica
le donne che formano il coro), la cittadina della Tessaglia dove dimora Eracle insieme alla
moglie Deianira e ai figli, ospiti presso il re Ceice. In realtà, Eracle è impegnato nel
compimento delle sue fatiche e manca da casa da molto tempo. Deianira, preoccupata per la
lunga assenza del marito, invia il figlio Illo a cercarlo. Poco dopo la partenza del giovane,
però, giunge un messaggero che annuncia il ritorno di Eracle, confermato dall'arrivo
dell'araldo ufficiale Lica, che rassicura sulla salvezza del signore, momentaneamente fermo
fuori città per onorare gli dei con dei sacrifici, e introduce un gruppo di prigioniere di guerra
dell'Ecalia. Tra le prigioniere c'è anche la bellissima figlia del re di Ecalia Eurito, Iole.
Deianira, impietosita alla vista della giovane, decide di accoglierla a palazzo. Il messaggero
però rivela a Deianira che non solo Eracle si era invaghito di Iole, ma anche che aveva
espugnato Ecalia soltanto per averla, e ora intende introdurla in casa come concubina.
Deianira non prova rancore né per il marito, che ha ceduto alla bellezza giovanile di Iole, né
per Iole stessa, perché costretta a seguire Eracle, ma è ferita e desiderosa di riconquistare
l'amore di Eracle. Decide così di mandare a Eracle una tunica trattata col sangue del centauro
Nesso, il quale in gioventù aveva tentato di sedurla e che il suo novello sposo Eracle aveva
ucciso. Morendo Nesso le aveva detto che il sangue avrebbe sortito l'effetto di filtro d'amore,
garantendole l'amore di Eracle per sempre. Dopo la partenza di Lica, però, Deianira ha un
cattivo presagio. Ha visto infatti il bioccolo di lana con cui aveva tinto del filtro la tunica
inviata a Eracle polverizzarsi una volta esposto al sole. Solo tardi Deianira si accorge
dell'inganno: i presagi vengono confermati poco dopo con l'arrivo di Illo, che, inveendo contro
la madre, racconta come Eracle, indossata la tunica, si fosse avvicinato alla pira dei sacrifici e
improvvisamente il sangue avvelenato si era rappreso per il calore e la tunica si era attaccata
alla pelle, che si staccava a brandelli; per la rabbia Eracle aveva scagliato Lica contro una
scogliera, uccidendolo. In preda al dolore, Deianira si uccide. Poco dopo giunge Eracle,
trasportato su una lettiga, con l'intenzione di vendicarsi sulla moglie, pensando che avesse
tentato di ucciderlo intenzionalmente. A Eracle è però negata la vendetta e non gli rimane che
predisporre la sua morte: ordina al figlio di farsi portare su una collina e di costruire lì un
rogo. Dopodiché vi si fa porre sopra, facendo promettere al figlio che sposerà Iole.

OPERE DI EURIPIDE: descrizione


ALCESTI = Nel prologo il dio Apollo narra di essere stato condannato da Zeus a servire come
schiavo nella casa di Admeto, re di Fere in Tessaglia, per espiare la colpa di aver ucciso i
Ciclopi come vendetta consequenziale all'uccisione del figlio Asclepio per mano di Zeus stesso.
Grazie alla sua benevola accoglienza, Apollo nutriva per Admeto un grande rispetto, tanto da
esser riuscito ad ottenere dalle Moire che l'amico potesse sfuggire alla morte, a condizione che
qualcuno si sacrificasse per lui. Nessuno, tuttavia, era disposto a farlo, né gli amici, né gli
anziani genitori: solo l'amata sposa Alcesti si era detta pronta. Quando sulla scena arriva
Thanatos, la Morte, Apollo tenta inutilmente di evitare la morte della donna e si allontana,
lasciando la casa immersa in un silenzio angoscioso. Con l'ingresso del coro dei cittadini di
Fere si apre la tragedia vera e propria. Mentre i coreuti piangono per la sorte della regina,
una serva esce dal palazzo e annuncia che Alcesti è ormai pronta a morire, anche se vinta
dalla commozione per la sorte della sua famiglia. Grazie all'aiuto di Admeto e dei figli, appare
direttamente sulla scena per pronunciare le sue ultime parole: saluta la luce del sole,
compiange sé stessa, accusa i suoceri, che egoisticamente non hanno voluto sacrificarsi, e
consola il marito. Dopo essersi fatta promettere dal marito di non essere sostituita da un'altra
donna, Alcesti muore. Dopo i tristi commenti del figlioletto, di Admeto e del Coro, arriva sulla
scena Eracle, intento in una delle dodici fatiche, per chiedere ospitalità. Admeto lo accoglie
con generosità, pur non nascondendogli la propria afflizione, tanto da essere costretto a
spiegargliene il motivo. Racconta all'eroe che è morta una donna che viveva nella casa, ma
non era consanguinea, così da non metterlo a disagio, pur nascondendo in qualche modo la
verità dei fatti. Prima dei funerali sopraggiunge Ferete, padre di Admeto, per portare in dono
una veste funebre: il re lo respinge stizzito, accusandolo di essere il colpevole della morte della
moglie, ma si sente accusare di essere solo un codardo. A questo punto, il Coro esce di scena
(espediente prima di allora usato solo da Eschilo nell'Orestea), e si conclude la sezione più
propriamente "tragica" dell'opera; in quella successiva il dramma si risolve positivamente.
Entra in scena un servo che si lamenta del comportamento di Eracle, il quale, senza riguardo
per la situazione, si è perfino ubriacato. Anche se gli era stato ordinato di non farlo, lo schiavo
decide di rivelare a Eracle la verità: la donna "non consanguinea" morta, in realtà, è la
moglie di Admeto. L'eroe, fortemente pentito, decide così di andare all'Ade per riportarla in
vita. Dopo il terzo stasimo, contenente un elogio di Admeto e Alcesti, Eracle ritorna con una
donna velata, fingendo di averla "vinta" a dei giochi pubblici, per mettere alla prova la sua
fedeltà. Admeto, inizialmente, ha quasi orrore a toccarla, convinto che sia un'altra, e
acconsente a guardarla solo per compiacere il suo ospite. Tolto il velo, si scopre che la donna è
Alcesti, ora restituita all'affetto dei suoi cari. Eracle spiega che non le è consentito parlare per
tre giorni, il tempo necessario per essere "sconsacrata" agli inferi.
MEDEA = Dopo aver aiutato il marito Giasone e gli Argonauti a conquistare il vello d’oro,
Medea si è trasferita a vivere a Corinto, insieme al consorte ed ai due figli, abbandonando il
padre per seguire il marito. Dopo alcuni anni però Giasone decide di ripudiare Medea per
sposare Glauce, la figlia di Creonte, re di Corinto. Questo infatti gli darebbe diritto di
successione al trono.

La donna si lamenta col coro delle donne corinzie in modo disperato e furioso, scagliando
maledizioni sulla casa reale, tanto che il re Creonte, sospettando una possibile vendetta, le
intima di lasciare la città. Nascondendo con abilità i propri sentimenti, però, Medea resta
ancora un giorno, che le servirà per attuare il proprio piano. Giasone si reca da Medea, che
gli rinfaccia tutta la sua ipocrisia e la mancanza di coraggio, ma Giasone sa opporre solo
banali ragioni di convenienza. Di fronte all'indifferenza del marito, la donna attua la sua
vendetta.

Innanzitutto, ottiene dal re di Atene Egeo (di passaggio per Corinto) la promessa di ospitarla
nella propria città, offrendo di mettere al suo servizio le proprie arti magiche per dargli un
figlio, poi, fingendosi rassegnata, manda in dono alla futura sposa di Giasone una ghirlanda e
una veste avvelenata. La ragazza, indossatele, muore tra atroci tormenti poiché viene bruciata
da un rivolo di fuoco che scendeva dalla ghirlanda e scarnificata dalla veste stessa e la stessa
sorte tocca a Creonte, accorso per aiutarla. Tale scena è raccontata da un messaggero. A quel
punto Giasone accorre per salvare almeno la sua prole, ma appare Medea sul carro alato del
dio Sole, che gli mostra i cadaveri dei figli che ella, pur straziata nel cuore, ha ucciso,
privando così Giasone di una discendenza. Alla fine, la donna vola verso Atene lasciando il
marito a maledirla, distrutto dal dolore.
BACCANTI = Dioniso è giunto – come egli stesso dice nel prologo – a Tebe per dimostrare la
sua divinità alle sorelle della madre Semele, le quali negano che egli sia figlio di Zeus. Per
punizione il dio le ha invasate insieme a tutte le altre donne di Tebe che ora stanno
baccheggiando sul monte Citerone. Anche il vecchio re Cadmo – che ha ceduto il potere al
nipote Penteo – e il vecchissimo sacerdote Tiresia si stanno avviando, in abito da baccanti, alla
celebrazione del rito orgiastico in onore del nuovo dio. Penteo intende opporsi alla follia
generale e ordina alle guardie di catturare e di portargli dinanzi quello straniero, distruttore
della società civile, che diffonde riti osceni. Lo straniero non si oppone e si lascia arrestare.
Condotto davanti a Penteo ne ascolta con calma le infuriate accuse e accetta di buon grado di
lasciarsi chiudere in carcere, dicendosi sicuro che Dioniso (ma è ovviamente il dio stesso che
sta parlando in sembianze umane) lo libererà facilmente. Ecco, infatti, subito dopo, che la
terra trema, crolla la reggia di Penteo, un fulmine di Zeus fiammeggia sopra la tomba di
Semele e il dio ricompare in scena fra le baccanti prostrate. Rientra in scena Penteo, più
furente che mai, ordina alle guardie di catturare e porre in ceppi tutte le baccanti. Il dio, con
sottile e feroce astuzia, inizia ora a tessere il piano della sua perfida vendetta. Convince,
infatti, Penteo – a poco a poco preso dalla leggera follia ispiratagli dal dio – a seguirlo sul
Citerone, dopo essersi travestito da baccante, per vedere egli stesso le baccanti. Penteo si
lascia persuadere e segue il dio. Questi, giunto sul monte, lo fa salire su un alto pino che ha
con estrema facilità piegato egli stesso sino a terra per consentire a Penteo di montarvi a
cavalcioni. Un simile atto di forza sovrumana dovrebbe rivelare a Penteo la vera identità e la
vera natura dello straniero, ma il re di Tebe non avverte nulla e, quindi, cade
irreparabilmente nella terribile trappola. Infatti, non appena il pino si è risollevato in alto,
lasciato andare lentamente da Dioniso per non disarcionare Penteo, il dio lancia un grido alle
baccanti rivelando loro la presenza di Penteo, profanatore dei sacri riti. Le baccanti si
scagliano, guidate da Agave, la madre di Penteo, contro il misero re di Tebe. Tutte, infatti, in
preda all’invasamento divino non lo riconoscono e lo scambiano per un leone, facendone
orrido scempio. Ancora in preda alla furia bacchica, Agave ricompare in scena reggendo fra
le mani il capo di Penteo che ancora crede una testa di leone. Gradualmente riprende
coscienza e alla fine ha la tragica consapevolezza di quanto la follia bacchica l’ha spinta a
compiere. Mentre Agave e Cadmo piangono, sia la morte di Penteo che la rovina della loro
casa, ricompare Dioniso, questa volta in tutta la sua maestà divina. Il dio spiega di aver
architettato il tutto per punire chi non credeva nella sua natura divina e condanna Cadmo e
Agave ad essere esiliati in terre lontane.
ECUBA = La scena si svolge nel Chersoneso tracico, dove la flotta di greci che ha espugnato
Troia si è accampata, bloccata da venti contrari che le impediscono il rientro. Ecuba, in
qualità di regina di Troia, è prigioniera di guerra. Per garantire il ritorno in patria dei greci
vincitori, il fantasma di Achille richiede il sacrificio sulla propria tomba di Polissena, figlia di
Ecuba. Questi eventi sono narrati nel prologo dal fantasma di Polidoro, il più giovane dei figli
di Ecuba, che era stato mandato in protezione con una ricca dote presso il re tracio
Polimestore, il quale lo aveva invece ucciso per impadronirsi delle sue ricchezze. Ecuba è
all'oscuro della morte di Polidoro e della richiesta di sacrificio di Polissena. Nel pieno della
notte esce turbata dalla tenda di Agamennone, vittima di un oscuro presagio che le fa temere
per la sorte dei figli. Sopraggiunge un coro di prigioniere troiane che la informa della
richiesta del fantasma di Achille, accolta dai greci per volere di Odisseo. Ecuba è disperata.
Sopraggiunge Polissena che, alla notizia della sua futura sorte, si dispera per la madre ma
coraggiosamente accetta il suo destino, preferendo essere scannata piuttosto che vivere come
una schiava senza dignità. Ulisse giunge ed invano Ecuba lo prega di lasciare vivere la figlia o
di ucciderla insieme a lei. Polissena, coraggiosa e forte, viene portata via mentre Ecuba si
accascia disperata al suolo. Giunge l'araldo Taltibio a documentare la morte della giovane,
chiedendo ad Ecuba di darle degna sepoltura. Ecuba incarica un'ancella di colmare una
brocca di acqua di mare, necessaria per la salma di Polissena, ma questa giunge col cadavere
coperto del figlio Polidoro, ripescato nelle acque dove l'uccisore Polimestore lo aveva gettato.
Inizia così la follia di Ecuba, disperata per la perdita dei figli. Medita vendetta quando
sopraggiunge Agamennone, al quale Ecuba racconta del perfido Polimestore che ha infranto il
sacro vincolo dell'ospitalità e disonorato il cadavere gettandolo in mare. Agamennone,
impietosito da Ecuba e sdegnato dalla perfidia e dalla bramosia di Polimestore, accetta
l'invito della donna a non opporsi al suo piano di vendetta. Ecuba convoca Polimestore nella
tenda di Agamennone, con la scusa di dover rivelare a lui e ai suoi figli dove si nasconde il
tesoro dei Priamidi. La segretezza della rivelazione impone a Polimestore l'obbligo di
allontanare i servi e di restare solo con la donna, la quale incalza con interrogativi sulla salute
del figlio, ai quali Polimestore risponde con menzogne. Entrate nella tenda le prigioniere
Troiane immobilizzano l'assassino ed Ecuba, resa cieca dalla collera, con dei sassi uccide i due
figli del re Tracio, poi gli si scaglia contro e lo acceca compiendo così la sua vendetta. Uscito
dolorante per la ferita dalla tenda, Polimestore chiede vendetta al sopraggiunto Agamennone,
che ha udito le grida di dolore del re tracio. Agamennone lo interroga sul suo comportamento,
per il quale Polimestore si giustifica dicendo di essere stato costretto ad uccidere Polidoro per
impedirgli di ricostruire Troia. Anche Ecuba espone le ragioni del suo gesto, mostrando
disprezzo e risentimento nei confronti delle giustificazioni di Polimestore. Agamennone,
sentite le due parti, non condanna Ecuba, e Polimestore si infuria, inveendo contro i due e
predicendo loro due sorti terribili. Ecuba sarà trasformata in cagna mentre Agamennone
vedrà Cassandra uccisa dalla moglie Clitennestra ed anche lui verrà da lei ucciso con un colpo
di scure. Sdegnato dalle funeste profezie, Agamennone abbandona Polimestore su un'isola
deserta dove rimane fino alla fine dei suoi giorni. Altre fonti raccontano di come Ecuba
infuriata per la morte di suo figlio Polidoro ucciso da Polimestore uccise i suoi due figli
lapidandoli e poi lo stesso Polimestore, tagliandogli la testa ed immergendo la tenda del suo
sangue.
LE TROIANE = La città di Troia, dopo una lunga guerra, è infine caduta. Gli uomini troiani
sono stati uccisi, mentre le donne devono essere assegnate come schiave ai vincitori.
Cassandra viene data ad Agamennone, Andromaca a Neottolemo ed Ecuba ad Odisseo.
Cassandra predice le disgrazie che attenderanno lei stessa e il suo nuovo padrone una volta
tornati in Grecia, ed il lungo viaggio che Odisseo dovrà subire prima di rivedere Itaca.
Andromaca subisce una sorte terribile, poiché i Greci decidono di far precipitare dalle mura
di Troia Astianatte, il figlio che la donna aveva avuto da Ettore, per evitare che un giorno il
bambino possa vendicare il padre e porre fine alla stirpe troiana. Successivamente Ecuba ed
Elena si sfidano in una sorta di agone giudiziario, per stabilire le responsabilità dello scoppio
della guerra. Elena si difende ricordando il giudizio di Paride e l'intervento di Afrodite, ma
Ecuba svela infine la colpevole responsabilità della donna, fuggita con Paride perché attratta
dal lusso e dall'adulterio. Alla fine, il corpicino di Astianatte viene riconsegnato ad Ecuba per
il rito funebre, Troia viene data alle fiamme, e le prigioniere vengono portate via mentre
salutano per l'ultima volta la loro città.
ELETTRA = Egisto, ha dato in sposa Elettra ad un contadino, perché non vuole che i figli che
partorirà in futuro possano legittimamente pretendere il trono di cui si è impadronito.
Tuttavia, il contadino è di animo nobile, e rispetta i figli di colui che era stato il suo re;
rispetta la donna di condizione superiore alla sua e il diritto di Oreste ad ereditare il trono e a
decidere le sorti della sorella. Oreste, bambino di dieci anni ma erede del regno, era scampato
alla furia di Egisto e portato in salvo a Creta presso il re Strofio, antico alleato di Atreo.
ANDROMEDA = Andromeda era figlia di Cefeo e Cassiopea, sovrani di un territorio
denominato Etiopia. Cassiopea aveva affermato che sua figlia era più bella delle Nereidi, e
queste, offese, si erano rivolte a Poseidone perché punisse la superbia della donna. Il dio del
mare aveva allora mandato un enorme mostro marino a devastare le coste. Da un oracolo il re
Cefeo aveva saputo che l'unico modo di placare l'ira del mostro era sacrificare la figlia
Andromeda, e aveva quindi deciso, spinto dai suoi sudditi, di legarla ad una roccia di fronte al
mare perché il mostro la divorasse. L'opera cominciava dunque con Andromeda (già legata
alla roccia di fronte al mare) che, insieme al coro di coetanee, si lamentava della sua triste
sorte, mentre la ninfa Eco ripeteva i suoi lamenti. Appariva Perseo, in volo coi suoi calzari
alati, che portava con sé la testa di Medusa da poco uccisa. Nel vedere Andromeda legata,
l'eroe se ne innamorava; si rivolgeva dunque al padre Cefeo, ottenendo la promessa di poterla
sposare se fosse riuscito a salvarla. Appariva quindi un messaggero, che raccontava la lotta
tra Perseo ed il mostro, conclusosi con la vittoria del primo. Perseo otteneva dunque il diritto
di sposare la ragazza, ma a quel punto Cefeo e Cassiopea si mostravano assai dubbiosi, poiché
l'eroe era coraggioso ma privo di ricchezze, e poiché egli intendeva portare la ragazza con sé
nella città greca di Argo. Avveniva dunque un drammatico confronto tra il re e l'eroe, e forse
un altro, analogo, tra Cassiopea ed Andromeda. È possibile che intervenisse anche Fineo, zio
di Andromeda e suo pretendente. Di fronte al rifiuto di Perseo di rinunciare alla ragazza,
Cefeo cercava allora di uccidere l'eroe ordendo un complotto (di cui purtroppo nulla
sappiamo) contro di lui. Tale complotto veniva però sventato, e nel finale appariva ex
machina la dea Atena, che probabilmente benediceva l'unione tra i due giovani, ed
annunciava che i protagonisti della vicenda sarebbero stati tutti immortalati in cielo.
IPPOLITO = Ippolito, figlio di Teseo, re di Atene, e della regina delle Amazzoni, è un giovane
che si dedica esclusivamente alla caccia e al culto di Artemide, trascurando completamente
tutto ciò che riguarda la vita comunitaria e la sessualità, andando anzi orgoglioso della
propria verginità. Per tale motivo Afrodite decide di punirlo suscitando in Fedra (seconda
moglie di Teseo e quindi matrigna di Ippolito) una insana passione per il giovane. Questo
sentimento fa apparire Fedra sconvolta e malata agli occhi degli altri. Dietro le insistenze
della Nutrice perché riveli la causa del suo malessere, Fedra è costretta a rivelare il suo
segreto. La Nutrice, tentando in buona fede di aiutare Fedra, lo rivela a Ippolito,
imponendogli il giuramento di non farne parola con nessuno. La reazione del giovane è
rabbiosa e offensiva, al punto che Fedra, sentendosi umiliata, decide di darsi la morte. Prima
di impiccarsi lascia, per salvare il suo onore, un biglietto in cui accusa Ippolito di averla
violentata. Quando Teseo, tornato da fuori città, scopre il cadavere della moglie e il biglietto,
invocando Poseidone lancia un anatema mortale nei confronti di Ippolito. Il giovane dice al re
di non avere alcuna responsabilità, ma non può raccontare l'intera storia perché vincolato dal
giuramento fatto alla Nutrice. Teseo non gli crede e lo bandisce da Atene. Mentre Ippolito sta
lasciando la città su un carro con i suoi compagni, la maledizione puntualmente si compie: un
toro mostruoso uscito dal mare fa imbizzarrire i cavalli, che fanno schiantare il carro contro
le rocce. Ippolito viene riportato agonizzante a Trezene, dove appare Artemide ex machina.
La dea espone a Teseo la verità sui fatti, dimostrando quindi l'innocenza di Ippolito. Il re si
rivolge allora al figlio, ottenendone in punto di morte il perdono.
FEDRA = Non si conosce letteratura precedente alla tragedia euripidea sul mito di Fedra,
mentre sono meglio noti nella mitologia altri illustri componenti della sua famiglia: il padre
Minosse, re di Creta, la madre Pasifae, la sorella Arianna. Fa parte di una famiglia di maghe,
discendenti della stirpe del Sole (sua zia è Circe, sua cugina Medea), ma Euripide non fa
alcuna allusione al suo possibile retroterra sinistro, facendone una donna onesta e virtuosa.
Fedra è scossa da forti tensioni contrapposte: da una parte vi sono i doveri di fedeltà nei
confronti della famiglia, dall'altra la pulsione irresistibile per Ippolito che Afrodite ha
scatenato in lei. È una donna dilaniata, sconvolta, dominata da una forza oscura che la fa
apparire delirante e fuori di sé. Tutto questo rende Fedra uno dei più grandi personaggi
tragici, perché, pur non avendo alcuna colpa (è stata la volontà quasi capricciosa di una dea
ad accendere la passione per il figliastro), in lei vive un continuo conflitto tra ragione e
passione.
ELENA = Elena, la donna a causa della quale scoppiò la guerra di Troia, in realtà non è mai
andata in quella città. La dea Era aveva infatti creato “un fantasma dotato di respiro, fatto
con un pezzo di cielo, […] un vuoto miraggio” in tutto simile ad Elena. Il fantasma era andato
con Paride a Troia, all'insaputa di tutti, mentre la vera Elena era stata nascosta da Ermes in
Egitto, ospite del re Proteo. Alla morte di Proteo, il figlio Teoclimeno insidia Elena, che rifiuta
le sue profferte, anche perché la sorella di Teoclimeno, la sacerdotessa Teonoe (capace di
vedere il futuro), le ha predetto che rivedrà il marito Menelao. Elena sta pensando alla sua
triste sorte, quando vede arrivare il messaggero greco Teucro. Questi informa Elena che le
navi con cui Menelao tornava da Troia verso casa sono state colpite da una tempesta, e che
Menelao stesso è morto. Nel frattempo, Menelao è naufragato proprio in Egitto, insieme ad
Elena (il fantasma) e all'equipaggio, ed è andato in cerca di aiuto lasciando gli altri accampati
in una grotta. Menelao arriva al palazzo di Teoclimeno, dove una vecchia serva cerca di
cacciarlo; poco dopo il greco incontra Elena, ed è incredulo, perché credeva che Elena fosse
insieme al suo equipaggio. Arriva un messaggero, che informa Menelao che Elena (il
fantasma) è scomparsa. Allora Menelao finalmente capisce quello che è successo, mentre la
vera Elena gli racconta di non essere mai stata a Troia. A quel punto i due si recano da
Teonoe, che grazie ai suoi poteri è l'unica che sappia che Menelao è in Egitto, e la supplicano
di non rivelare questo segreto. La sacerdotessa si mostra solidale coi due. Resta però il
problema di come fuggire, non avendo più una nave. I due decidono che Elena dirà a
Teoclimeno di aver saputo che Menelao è morto, e di essere quindi finalmente disposta a
risposarsi, purché il re le consenta di fare un rito in memoria del marito morto, una breve
cerimonia che va fatta su una nave in mare aperto. Menelao si presenta al palazzo di
Teoclimeno fingendosi un messaggero, e porta la notizia della morte di Menelao stesso. Elena
allora chiede e ottiene dal re egiziano una nave con equipaggio per compiere il rito, dicendogli
che in Grecia è questo il modo di onorare chi muore in mare. Elena e Menelao, con
l'equipaggio dato loro da Teoclimeno, mettono in mare la nave, ma appena prima che salpino,
arrivano gli uomini di Menelao. Con la scusa di prendere parte al rito, salgono tutti sulla
nave, tra la perplessità degli uomini di Teoclimeno. Appena la nave raggiunge il largo,
Menelao e i suoi uomini sopraffanno l'equipaggio e scappano verso la Grecia. Questi fatti
vengono narrati a Teoclimeno da un messaggero. Fuori di sé dalla rabbia, il re vorrebbe
allora uccidere la sorella Teonoe, che si è resa complice della fuga, ma viene trattenuto da una
schiava. Appaiono infine i Dioscuri ex machina che placano l'ira del re.
ORESTE = Ad Argo, davanti alla reggia degli Atridi, Oreste ed Elettra, dopo aver ucciso la
madre Clitemnestra, attendono la risoluzione del processo intentato contro di loro dagli
Argivi. I fratelli confidano tuttavia nell'appoggio e nell'aiuto di Menelao, là giunto con Elena.
In realtà le loro speranze sono mal riposte, poiché il re, debole e vile, non osa opporsi a
Tindaro, padre di Clitemnestra. I due giovani vengono così condannati a suicidarsi, ma,
prima di darsi la morte, decidono, con l'aiuto dell'amico Pilade, di vendicarsi su Menelao
uccidendo Elena (che però, come annuncia un servo, improvvisamente è scomparsa) e
prendendo in ostaggio Ermione, la figlia dell'Atride. Menelao, per punire gli assassini, assedia
la reggia in cui si sono rinchiusi. Oreste, dopo aver cercato un compromesso con Menelao,
inaspettatamente dà fuoco al palazzo. La vicenda giunge così a un punto tale di complessità
che lo scioglimento finale può giungere solo grazie al deus ex machina, in questo caso Apollo,
che annuncia l'assunzione al cielo di Elena e impone le nozze di Oreste con Ermione e di
Pilade con Elettra.
IFIGENIA IN AULIDE = La scena è ambientata nell'accampamento greco, in Aulide, sulla
costa della Beozia, dove le barche dirette verso Troia sono bloccate a causa di una bonaccia.
Nel prologo si racconta che l'indovino Calcante ha affermato che solo sacrificando alla dea
Artemide una figlia di Agamennone, Ifigenia, i venti torneranno a spirare. Ifigenia però non è
con loro, è rimasta a casa, così Agamennone, persuaso da Odisseo, le scrive una lettera in cui
le prospetta un matrimonio con Achille, chiedendole quindi di raggiungerli in Aulide. In
seguito, pentito di questo inganno, cerca di avvertire la figlia di non mettersi in viaggio
scrivendole un altro messaggio.
Il secondo messaggio viene intercettato da Menelao, che lo toglie di mano al vecchio che lo
portava con sé e rimprovera aspramente Agamennone per il suo tentativo di tradimento.
Arrivano quindi in Aulide Ifigenia e la madre Clitennestra, con il piccolo Oreste, per le nozze.
A quel punto viene a galla la verità, sicché le due donne si ribellano furiosamente:
Clitennestra biasimando aspramente il marito, Ifigenia chiedendo pietà con parole toccanti.
Anche Achille, nello scoprire che il suo nome era stato usato per un atto tanto infame,
minaccia vendetta. Però Ifigenia, nel vedere l'importanza che la spedizione ricopre per tutti i
greci, cambia atteggiamento e offre la propria vita, calmando la madre e respingendo l'aiuto
di Achille. Al momento del sacrificio, però, la ragazza scompare ed al suo posto la dea
Artemide invia una cerva, tra lo stupore e la felicità dei presenti, che in tal modo capiscono
che la ragazza è stata salvata dagli dei ed ora dimora presso di loro. Il vento torna a spirare e
la flotta può finalmente salpare verso Troia.
IFIGENIA IN TAURIDE = Ifigenia scampò per poco ad essere immolata dal padre
Agamennone come vittima sacrificale, la dea Artemide intervenne sostituendola con un cervo,
e portando la principessa a Tauride. Divenuta sacerdotessa al tempio di Artemide di Tauride,
si trovò a dover forzatamente svolgere il crudo compito di eseguire il sacrificio rituale di ogni
straniero che sbarcasse sull'isola.
Nel frattempo, il fratello Oreste, aiutato da Pilade e dalla sorella Elettra, ha ucciso
Clitennestra, sua madre, per vendicare l'uccisione del padre Agamennone. Tormentato dalle
Erinni, Oreste è spesso preda di attacchi di follia. Incaricato da Apollo di rubare una statua
sacra di Artemide da portare ad Atene per essere liberato dal tormento, si reca con Pilade a
Tauride, non sapendo della presenza della sorella, ma viene catturato insieme all'amico, e
portato al tempio per essere ucciso, come di consueto.
Ifigenia e Oreste si riconoscono, e architettano la fuga, portando con sé la statua di Artemide.
Atena compare nel finale per dare alcune istruzioni ai tre.
ERACLE SFURENS = Eracle, impegnato nella sua ultima fatica con Cerbero, è assente da
casa e Lico ne approfitta per usurpare il trono di Tebe. A nulla valgono i lamenti dei Tebani,
interpretati dal coro, perché l'usurpatore minaccia di togliere la vita a Megara, moglie di
Eracle, e ai suoi figli, nonché al vecchio padre Anfitrione: la scena si svolge intorno all'altare
di Zeus dove la famiglia dell'eroe implora per la salvezza. Quando ogni speranza sembra
perduta ed i bambini sono già vestiti con i paramenti funebri, giunge Eracle che ha portato
Teseo fuori dagli inferi nel corso della lotta contro il cane infernale: accecato dall'ira, uccide
Lico. Ma Era, nemica giurata di Eracle, invia Iris, la sua messaggera, e Lissa, la
personificazione della Rabbia, con uno scopo: fare impazzire Eracle per costringerlo ad
uccidere i suoi stessi figli. Lissa tenta di convincere Iris dell'ingiustizia che compirebbe
nell'indurre l'eroe alla follia, ma la volontà di Era non può essere disattesa. Un messo giunge
in scena per raccontare dell'eccidio compiuto da Eracle: credendo i suoi figli la progenie di
Euristeo, che gli aveva imposto le fatiche, li uccide senza pietà insieme alla moglie Megara.
Atena giunge in tempo per salvare solo Anfitrione, fermando Eracle con un masso lanciatogli
in petto: successivamente viene legato e, al suo risveglio, si ritrova incatenato alle colonne del
suo palazzo, in preda all'amnesia. Anfitrione gli mostra i cadaveri dei familiari e gli svela che
è lui stesso l'artefice dello scempio: Eracle, in preda allo sconforto, medita il suicidio. A
salvarlo dal suo intento sarà Teseo, giunto a Tebe dopo essere venuto a conoscenza delle
minacce di Lico nei confronti di Megara e dei figli dell'amico: Eracle accetta la richiesta di
purificazione di Teseo, convincendosi che la sua più grande prova sarà proprio la
sopportazione della vita con la cognizione del misfatto compiuto.
GLI ERACLIDI = Nell'attica Maratona, presso l'altare consacrato a Zeus, i figli di Eracle (gli
Eraclidi) hanno trovato rifugio dalla persecuzione del re Euristeo. Demofonte, re di Atene,
rifiuta di consegnare i supplici all'araldo argivo venuto a riprenderli, e si dichiara disposto
anche alla guerra pur di non abbandonare chi gli ha chiesto protezione. Si va quindi allo
scontro armato, ma un oracolo impone il sacrificio di una nobile vergine per conseguire la
vittoria. Demofonte a questo punto è incerto sul da farsi, ma Macaria, una delle figlie di
Eracle, offre spontaneamente la propria vita per i fratelli. In tal modo la battaglia è vinta, e lo
stesso Euristeo viene catturato e condotto ad Atene. Alcmena, la madre adottiva di Eracle,
ottiene che Euristeo sia punito con la morte, nonostante l'opposizione dei cittadini. Prima di
morire Euristeo, per ricambiare l'intervento degli Ateniesi in suo favore, fa dono alla città di
un oracolo secondo il quale il suo cadavere, se sepolto presso il santuario di Atena Pallade,
sarà garanzia di eterna protezione.
LE SUPPLICI = Un gruppo di donne di Argo si riunisce presso l'altare di Demetra ad Eleusi:
sono le madri dei guerrieri argivi morti nel fallito assalto a Tebe (quello raccontato da Eschilo
nei Sette contro Tebe), per supplicare gli ateniesi di aiutarle a dare degna sepoltura ai figli. I
tebani, infatti, negano la restituzione dei cadaveri. Il re Teseo decide di aiutarle, sicché si
rivolge all'araldo tebano, ingaggiando con lui un intenso dialogo nel quale il re difende i valori
di democrazia, libertà, uguaglianza di Atene, contrapposti alla tirannide di Tebe. La guerra
tra le due poleis diventa così inevitabile, e si conclude con la vittoria di Atene e la conseguente
restituzione dei cadaveri. Il re di Argo Adrasto, che accompagna le madri, si incarica di
celebrare i caduti con un discorso. Durante il rito funebre, Evadne, moglie del caduto
Capaneo, si getta da una roccia sul rogo dove veniva cremato il marito, in un atto di estrema
dedizione coniugale. Alla fine, appare ex machina la dea Atena, che fa giurare ad Adrasto
eterna riconoscenza di Argo verso Atene, predicendo inoltre la prossima caduta di Tebe.
LO IONE = Creusa, moglie del re di Atene Xuto, aveva avuto dal dio Apollo un figlio,
chiamato Ione. Il marito era ignaro di tutto ciò, e proprio per questo motivo dopo il parto
Creusa aveva lasciato il bimbo in una grotta, destinato alla morte. Tuttavia, su ordine di
Apollo, il dio Ermes aveva preso Ione e l'aveva portato presso l'oracolo di Delfi, a fare da
servitore. Anni dopo, Creusa e Xuto si recano proprio a Delfi per sapere come mai non
riescono ad avere figli. Qui Creusa e Ione si incontrano e parlano, ma non si riconoscono.
L'oracolo predice a Xuto che la prima persona che incontrerà uscendo dal tempio sarà un suo
figlio. All'uscita, Xuto si imbatte in Ione e, credendolo il frutto di una sua avventura passata,
lo convince a seguirlo ad Atene per diventare erede al trono. Creusa non accetta la scelta del
marito, poiché avrebbe voluto sul trono un proprio figlio, così progetta di uccidere Ione. Il
piano fallisce e solo l'intervento della Pizia permette il riconoscimento fra madre e figlio.
Infine, appare la dea Atena, ex machina, che suggerisce una soluzione: tenere Ione come erede
al trono, lasciando credere a Xuto che si tratti di suo figlio.

OPERE DI SENECA:
Seneca costruisce il suo linguaggio e i suoi discorsi nelle opere sulla polarità, sulla catastrofe:
MEDEA = donna, principessa, madre e maga; pensa di uccidere i figli che ha avuto con Giasone dopo
che lui l’ha tradita con un’altra donna.
FEDRA = moglie di Teseo; si innamora di Ippolito, figlio di Teseo avuto con un’altra donna, ma egli la
rifiuta e lei lo accusa di averla violentata. Teseo scaglia una maledizione contro Ippolito che viene
ucciso da un mostro marino; successivamente Fedra si suiciderà.

La tragedia muore definitivamente con la morte di Euripide (406-405) e Sofocle.


Era un fenomeno artistico e culturale democratico e, con la sconfitta di Atene, Sparta lo perderà.
Con la morte di Alessandro Magno (323 a.c.) nasce il Periodo ELLENISTICO, cioè la perdita
dell’innovazione.

DRAMMA SATIRESCO:
La nostra conoscenza del dramma satiresco – ‘’tragedia scherzosa’’, è ancora più esigua degli altri due generi
appena trattati.
L’unica opera conservata per intero è il CICLOPE di Euripide, anche se ignoriamo la datazione di
quest’opera si pensa possa appartenere all’ultima fase della carriera di Euripide (V secolo).
Il CICLOPE, sul piano strutturale, non si discosta dalla struttura tipica della tragedia: anche se con
dimensioni inferiori (709 versi) rispetto alle altre tragedie, l’opera presenta sempre:
● PROLOGO;
● PARODO;
● EPISODI, parti recitate;
● STASINI, parti cantate;
● ESODO, esito positivo;
L’esodo è accompagnato da un CORO, formato da satiri, e da 3 attori necessari a impersonare i ruoli di
SILENO (vecchio padre dei satiri), ODISSEO e di POLIFEMO.
I protagonisti del dramma satiresco sono i satiri e tutti i devoti al loro Dio;
i protagonisti si distinguevano poiché avevano quasi sempre un FALLO ERETTO, una CODA DI
CAVALLO e una BARBA SCURA.
Le prerogative di questi personaggi, che contraddistinguono il dramma satiresco sono:
● ISTINTI SESSUALI;
● BERE;
● MANGIARE;

Gli autori che hanno tentato di ripercorrere le orme di Euripide e Sofocle sono:
● ASTIDAMANTE, con l’AIACE FURIOSO, (aveva una propria definita personalità, sviluppa
tendenze e gusti innovativi- prima metà del IV secolo), (DRAMMA SATIRESCO POST-
CLASSICO)
● CHEREMONE, con il CENTAURO;
● MOSCHIONE, con TEMISTOCLE;
● LICOFRONE, con CASSANDRA;
Le ambientazioni nei drammi satireschi di solito sono:
● GROTTE;
● CAMPAGNA;

‘CICLOPE’, EURIPIDE: trama


È una parodia dell'episodio del ciclope Polifemo.
Quando Odisseo arriva al paese dei Ciclopi, la Sicilia, incontra Sileno (capo di un gruppo di
satiri che sono stati catturati e resi schiavi dal ciclope), e gli offre di scambiare il proprio vino
con del cibo. Essendo un servo di Dioniso, Sileno non sa resistere alla tentazione di farsi dare
il vino, ma lo scambia con cibo non suo, bensì del ciclope. Quest'ultimo poco dopo arriva, e
Sileno per giustificare la mancanza del cibo accusa Odisseo di averlo sottratto di nascosto ed
inoltre di averlo preso con la forza: ne nasce una discussione, ma il ciclope, poco interessato
alla diatriba, porta Odisseo e alcuni uomini del suo equipaggio nella sua grotta, e divora
alcuni di loro. Per liberarsi, Odisseo idea un piano: offrirà il vino al ciclope per farlo
ubriacare, e poi lo accecherà con un palo di legno. Il ciclope e Sileno si ubriacano insieme,
tanto che il primo comincia a chiamare il secondo Ganimede (il coppiere degli dei) e lo invita
nella sua grotta, probabilmente con qualche intenzione sessuale. A quel punto Odisseo decide
di mettere in atto il suo piano. I satiri all'inizio si offrono di dare il proprio aiuto, ma quando
arriva il momento si defilano con una serie di scuse assurde. Odisseo allora chiede ai satiri un
incitamento per l'impresa che a quel punto compie con i suoi compagni e acceca il ciclope.
Odisseo in precedenza aveva detto al ciclope di chiamarsi Nessuno, così quando il ciclope
accecato urla di dolore, e il coro di satiri gli chiede (non per aiutarlo, ma per prenderlo in
giro) chi sia stato a ferirlo, la risposta è la famosa "Nessuno mi ha accecato", che scatena la
derisione da parte dei satiri. Nel frattempo, Odisseo e il suo equipaggio scappano sulla nave.

COMMENTO DELL’OPERA:
il ciclope presentato nell'opera è assai diverso dal suo modello;
Il ciclope di Euripide è più civilizzato, al contrario del Ciclope de ‘L’Odissea’ e, pur vivendo
ai margini della società, non ha nulla di bestiale. Vuole che i satiri gli puliscano bene la grotta,
e mentre le sue greggi pascolano nei campi, lui se ne va a caccia, non per procurarsi il cibo,
ma solo per divertimento. Mangia carne umana, è vero, ma desidera che sia cotta a puntino.
Insomma, non rappresenta più la selvaggia bestialità del ciclope dell’Odissea, ma una sua
forma più moderna e più cittadina, al punto che i satiri restano, in quest'opera, le uniche
creature veramente legate alla natura.

CICLOPE = 700 versi;


I tre attori principali sono quindi: ULISSE, SILENO E CICLOPE;
Il 1° elemento = preponderanza dell’elemento Dionisiaco;
il 2° elemento = Polifemo fa 3 domande ad Ulisse per sapere da dove essi sono arrivati; questa
domanda viene fatta sempre e in questo caso a scopo di commedia;
il 3° elemento = in quest’opera Euripide cita le Troiane;
ELEMENTI DI ROTTURA =
● Polifemo in questo dramma non conosce il frutto della vita;
● Polifemo al contrario dell’Odissea cucina la carne che mangia, sia essa di animale o di
uomo;
● Polifemo si rivolge ad Ulisse come se lui fosse più furbo di lui e usa le armi della
parola e del razionalismo contro di lui;
● Polifemo si sostituisce al Dio degli Olimpi;

DI ESCHILO E SOFOCLE CI SONO PERVENUTI DUE GRANDI DRAMMI


SATIRESCHI:
● ‘I PESCATORI CON LA RETE’;
● ‘I SEGUGI o CERCATORI DI TRACCE’;
Questi drammi sono stati selezionati nel tempo;
i ‘pescatori con la rete’ (Danae e Perseo) sono l’unico dramma corposo e che hanno un contesto
Elegiaco.
OPERA: i pescatori con la rete (Eschilo)
L’opera si apre con alcuni pescatori di Serifo, capeggiati da Ditti e aiutati dal coro dei satiri,
che si accingono a tirar su le reti che sono rimaste impigliate in qualcosa di grande e pesante
e, pensando di aver preso un grande pesce, ringraziano Poseidone del dono ricevuto. Grande
il loro stupore quando nella rete trovano l'arca dove sono stati rinchiusi Danae e Perseo.
Sileno cerca di sedurre una disperata Danae mostrandole come il bambino rida alla vista dei
suoi attributi di satiro.
Purtroppo, ci sono stati pervenuti pochi frammenti dell’opera, di conseguenza non possiamo
stabilire la trama intera.

OPERA: i cercatori di tracce (Sofocle)


Il dio Apollo con un bando si rivolge agli dei e ai mortali: poiché le sue vacche sono state
rubate, chiunque gliele riporterà e scoprirà il ladro, riceverà una lauta ricompensa. Sileno ed
i satiri si fanno avanti, offrendosi di condurre a termine l'impresa. Il dio offre loro, oltre ad
un gruzzolo di quattrini, anche la libertà per i satiri. Questi individuano subito alcune orme
sul terreno e cominciano a seguirle, ma ad un certo punto le orme si confondono, si
ingarbugliano e tornano indietro. I satiri restano incerti, quando all'improvviso si sente
nell'aria un suono di lira. Sileno, spaventato, si defila, mentre i satiri seguono il suono,
arrivando davanti ad una grotta dove la ninfa Cillene, sia pure seccata per i modi bruschi e
rumorosi dei satiri, li accoglie. Ella spiega la provenienza del misterioso suono: appena sei
giorni prima è nato Ermes, figlio di Zeus e della Pleiade Maia, che in sei giorni è diventato
grande e grosso, ed ha tratto da un animale morto uno strumento nuovo, che ora suona con
grande gioia. I satiri a questo punto si convincono che Ermes sia anche il ladro delle vacche
di Apollo, ma Cillene, indignata, respinge le accuse. Qui termina la parte del dramma a noi
nota.
Grazie ai pochissimi frammenti rimasti della parte finale del dramma, e per analogia con
l’Inno ad Ermes, si ritiene che la vicenda proseguisse all'incirca nel seguente modo: i satiri,
forse insieme a Sileno, riuscivano a liberare le vacche (o comunque informavano Apollo della
loro ubicazione), reclamando quindi la ricompensa. Il dio concedeva loro quanto promesso
(denaro e libertà), trovando così anche l'occasione per una riconciliazione col fratello Ermes,
sancita con il dono della lira allo stesso Apollo.

IL DRAMMA SATIRESCO POST-CLASSICO:


Il dramma satiresco post-classico evidenzia numerose e significative innovazioni.
Il recupero di quella che doveva essere la sua posizione originaria al tempo della sua introduzione
ad Atene che testimonia una maggiore autonomia del dramma satiresco, seguita dalla riproposizione
di una ‘vecchia’ tragedia e dalla gara di tre tragediografi, ciascuno dei quali concorreva con 3 nuove
opere.

ORIGINE ED ETIMOLOGIA DELLA FELLATIO:


Entro certi limiti la pratica del sesso orale era generalmente accettata in quelle culture in cui la
balneazione (terme, bagni pubblici) era un costume sociale diffuso. Nella Grecia antica, nella quale
l'omosessualità era tollerata e il ruolo della donna nella società generalmente non era di spicco, la
persona che eseguiva il sesso orale era considerata attiva e quella che lo riceveva era considerata
passiva.
Nell'antica Roma pagana il sesso orale era generalmente visto in un'ottica di sottomissione e
controllo, evidenziata da due parole latine che descrivono l'atto: irrumare (penetrare oralmente) e
fellare (succhiare). "Eseguire" qualsiasi pratica di sesso orale era considerato un atto passivo,
ovvero riflesso di un'attività "sottomettente", mentre "ricevere" il sesso orale era considerato un atto
attivo, ovvero riflesso di un'attività "controllante".
In questa logica eseguire la fellatio e il cunnilingus era considerato deplorevole per un uomo: in
particolare era considerata un'aberrazione per un uomo essere penetrato o controllato da un'altra
persona di classe sociale inferiore. Questa stessa logica però permetteva a un uomo di ricevere la
fellatio da una donna o da un altro uomo di una classe sociale inferiore come uno schiavo o un
debitore, perché avrebbe espresso la sottomissione della persona di classe inferiore di cui avrebbe
diretto le azioni. Il sesso orale tra membri di classi sociali basse era considerato un atteggiamento
ancor più vizioso.

LA COMMEDIA GRECA:
La Commedia nasce all’inizio del V secolo (470-80) fino al II secolo.
Le commedie che ci sono pervenute sono circa 2000 Dionisie e Lenee ma sono pochissime quelle intere. Ci
sono pervenute 11 commedie di Aristofane e 1 di Menandro;
Secondo Aristotele erano i Dori a rivendicare la paternità della commedia. Un’altra fonte, sempre di
Aristofane, dagli Attici; anche la commedia come la tragedia non poteva esistere senza le istituzioni
democratiche.
La commedia nasce da un elemento Dorico, con il coro, e con l’elemento della recitazione.
Sarebbe dunque da mettere in relazione con il termine antico ‘’komes’’, il corteo formato da quanti, dopo
aver partecipato al simposio rituale, andavano in giro per le vie della città intonando canti scurrili e facendo
baldoria.
Deikeliktai = attori comici che, in rappresentazioni che si tenevano a Sparta, interpretavano un ruolo
preso dalla vita quotidiana o episodi comici nei quali il ruolo del protagonista era svolto dai ladri di
frutta;
IL COSTUME:
Il costume era caratterizzato da pancioni, grandi deretani e falli; elementi che ritroveremo anche nella
commedia Attica.
Non erano contemplate le FALLOFORIE in occasione delle Ancesterie, la più antica delle feste
Dionisiache Ateniesi.
2000 commedie furono rappresentate agli agoni comici Lenaici e Dionisiaci (tra il 486 e il II-I
secolo) e di queste si è conservato pochissimo.

FARSA DORICA: Epicarmo


La carriera artistica di Epicarmo avenne intorno al 480.
Di Epicarmo ci sono pervenuti circa 250 frammenti, in questi non è presente il coro ma solo la parte recitata.
Privilegiò i temi mitologici e, in particolare, la parodia di due celeberrimi eroi del mito: Eracle e Odisseo.
Commediografo Siciliano, esercitò una significativa influenza sulla commedia antica, in particolare su
Cratete di Atene.
Riprese in chiave comica ‘i Persiani’ di Eschilo ma scrisse le sue opere senza l’uso del coro.
1° ELEMENTO: PARODIA MITOLOGICA: (IV secolo)
● ODISSE O’DISERTORE;
● ODISSE O’NAUFRAGO;
● IL CICLOPE;
● LE SIRENE;
● LA SFINGE;
2° ELEMENTO: ci sono elementi della vita quotidiana e i protagonisti non sono principi o principesse;
3° ELEMENTO: ESPRESSIONI SENTENZIOSE (GNOMAI) = venivano pronunciate da persone che
non dovrebbero essere istruite ed educate, mentre invece lo sono.
I successori di Epicarmo furono FORMIDE e RINTONE; quest’ultimo porta ai massimi risultati il
rovesciamento della realtà (il prevalere del debole sul più forte; gli uomini più ricchi vengono
rappresentati come schiavi); NATURA TRANSITORIA = dopo la commedia, questi personaggi forti non
subivano ripercussioni.
Scrisse delle ILARO TRAGEDIE:
● IFIGENIA;
● MEDEA;
● ORESTE;

LA COMMEDIA ATTICA ARCAICA:


Alla fine del IV secolo e per tutto il III secolo i filologi Alessandrini dividono la Commedia Antica in 3 fasi:
1. ARCAIA = V secolo sino al 385; ‘Commedia Antica’, raggiunge il massimo splendore;
2. MESE = 385-323, si sviluppa la MESE, la ‘commedia di mezzo’;
3. COMMEDIA NUOVA = 323 in poi, si sviluppa, nell’età ellenistica, la COMMEDIA NUOVA
‘’NEA’’;
1° ARCAIA: 600 commedie (esplicite e corpose), grandi dionisie e lenee con 50 commediografi principali;
queste commedie erano di 2 tipologie:
1. DI TIPO POLITICO; si basava su riferimenti alla CONTEMPORANEITA’ e INVENTIVA
PERSONALE; gli attori si rivolevano a personaggi che stavano a teatro e quindi si esponevano.
(ONOMASTI OMODEIM = si ha un riferimento alla realtà)
2. PARODIA MITOLOGICA; si trattava di una poesia d’evasione per sollevare l’animo dei cittadini.
Il linguaggio era AISCROLOGICO (= scurrile) tutto in base ai personaggi.

PRINCIPALI ESPONENTI:
● CHIONIDE;
● CRATETE DI ATENE;
● FERECRATE;
● MAGNETE;
Grazie alle commedie di Aristofane e Menandro, conservate per intero, appare evidente quanto fossero
diverse per contenuti, lingua e struttura le commedie antiche rispetto a quelle della nuova commedia.
L’ambientazione è quella dell’età dell’oro, il linguaggio è meno aggressivo, i toni più sfumati e le oscenità
erano ridotte al nulla.
Ci fu l’esigenza di catalogare come commedia di mezzo la produzione di quei commediografi che non erano
dotati di grande personalità poetica e si trovarono ad operare nei decenni in cui si andrà maturando un tipo di
commedia che presentava contenuti e forme radicalmente differenti da quelli che avevano caratterizzato la
produzione comica di Aristofane.

CLEONE (426): Considerato un demagogo corrotto e privo di scrupoli da illustri contemporanei come lo
storico Tucidide e il commediografo Aristofane, dopo che fu attaccato dagli attori di Aristofane durante uno
spettacolo teatrale continuerà a fare lo stratega; guidò egli stesso la spedizione di Anfipoli, che lo condusse
alla morte. (Guerra del Peloponneso 431-404 a.c.).
il popolo Ateniese non veniva attaccato, venivano attaccati e criticati solo gli esponenti principali. Ci furono
degli editti che limitavano l’aggressività degli attori a teatro. Esponendo al ridicolo le personalità-guida della
polis e persino gli dei, i poeti dell’archaia esprimevano la protesta dell’uomo comune contro coloro che
ricoprivano un ruolo di rilievo nella società, concedendo ai cittadini un temporaneo sollievo dalla pressione
dell’autorità. Il commediografo dà sfogo all’aggressività repressa del cittadino su ogni genere di avversità,
superando la paura di fronte ai problemi esistenziali, al futuro incerto proprio dello stato di guerra e alle
preoccupazioni materiali.
Le commedie pervenute ci descrivono gli stessi commediografi poiché loro stessi, nelle loro opere, parlano
in 3° persona.
Aristofane morì prima del 425 e scrisse ‘LE BESTIE’ (gli animali che componevano il coro);
Alcuni commediografi della prima generazione dell’archaia furono elogiati da Aristofane e messi in luce da
lui:
● FERECRATE (437, anno in cui vinse alle grandi dionisie);
di Ferecrate ci sono pervenuti circa 300 frammenti, di lui si può notare che è assente l’inventiva
personale. Egli scrisse: ‘I MINATORI’ (contesto extra urbano, rovesciamento della realtà);
● CRATINO: 1° esponente del FILONE IMPEGNATO (civile e politico);
Egli dichiara che si fa carico di educare i cittadini a teatro. Nel 423 risponde alle accuse di
Aristofane con l’opera della ‘DAMIGIANA’ e vinse; scrisse anche: ‘DIONISIO’, ‘PLUTI’,
‘NEMESI’.
‘DAMIGIANA’ = il poeta si innamora dell’ubriachezza (personaggio) e la moglie (commedia)
vuole divorziare;
Il rivale di Aristofane invece è EUPOLI = bella città
Fu un poeta di successo; nacque nel 446 a.c. e morì nel 411 a.c. ad Atene.
Esordì nel 429 a.c. e ottenne 4 vittorie alle Dionisie e 3 alle Lenee. Di lui ci sono pervenute 17 opere
e 500 frammenti. Eupoli, nelle sue opere attaccava i personaggi politici e nel suo linguaggio
utilizzava termini ONOMASTICI.
Egli scrisse varie opere tra cui:
● ETA’ DELL’ORO, richiamava un periodo ricco e fortunato del mondo con una critica contro chi
governava;
● ADULATORI;
● TASSIARCHI, aveva come tema centrale la sfera militare-dionisiaca ed era dedicata a
FORNIONE, uno dei più grandi strateghi ateniesi;
● MARICANTE = IPERBOLE (demagogo);
● CITTA’;
● BATTEZZATORI;
● DEMI (411 a.c.) = i popoli, i protagonisti non sono i politici bensì i personaggi politici ateniesi che
ebbero gloria e fama come MILZIADE, SOLONE, ARISTIDE E PERICLE. L’obbiettivo
dell’autore è far capire che prima c’erano personaggi di grande stima, ora non più. Il motivo di
questo cambiamento di giudizio è da ricercare nella sfrenata demagogia in cui Atene era caduta
dopo la morte di Pericle, spesso ad opera di suoi successori.

ARISTOFANE (contemporaneo di Eupoli, più giovane di Cratino):


Nasce ad Atene intorno al 450 a. c. (la data non è certa); scrisse sin da giovane, all’inizio attraversò una
FASE NASCOSTA dove non scrisse per sé stesso ma per altri autori, successivamente la sua produzione
acquista forza nel 430 a. c.
Nel 1° periodo i suoi scritti comprendevano:
● ‘I BANCHETTANTI’ (427 a. c.);
● ‘I BABILONESI’ (426 a. c.);
● ‘ARCANESI’ (425 a. c.), protagonista un salsicciaio;
● ‘I CAVALIERI’ (424 a. c.), critica letteraria incentrata sulla figura di Socrate, esordì con
quest’opera alle Lenee del 424 a. c. vincendo;
● ‘LE NUVOLE’ (423 a. c.), quest’opera fu rappresentata alle Dionisie ed era incentrata sul motivo
del contrasto tra la vecchia e la nuova educazione; si classificò al terzo posto, sconfitto dalla
Damigiana di Cratino; la versione delle ‘Nuvole’ tramandata dai manoscritti non è la stessa della
commedia rappresentata nel 423, la rappresentazione dei manoscritti presenta altri sostanziali
rifacimenti rispetto alla versione originaria del 423;
● ‘VESPE’ (422 a. c.), il coro è rappresentato vespe che dovrebbero rappresentare il giudizio
popolare pronto a pungere);
● ‘LA PACE’ (421 a. c.), con questa si chiude la prima fase della commedia; la Pace venne scritta
prima che fu stipulata LA PACE DI NICIA tra Atene e Sparta. Quest’opera fu scritta in un clima di
generale euforia e di grandi speranze, solo qualche giorno prima della firma, si classificò al secondo
posto, dopo gli Adulatori di Eupoli;

Nel 2° periodo (421-414 a. c.), i suoi scritti comprendevano:


● ‘UCCELLI’ (414 a. c.), coro degli uccelli, connotazione UTOPISTICA;
● ‘TESMOFORIAZUSE’ (411 a. c.), rappresentata alle Dionisie, le donne diventano protagoniste
assolute; in questa occasione alle Lenee veniva rappresentata la Lisistrata:
Nel 411, tre anni dopo la rappresentazione degli Uccelli, ripresa ormai la guerra tra Atene e Sparta,
Aristofane compose la LISISTRATA.
Negli anni successivi al 410 a. c. la situazione militare ad Atene si fece drammatica e difficile: col
trascorrere dei mesi diventava sempre più evidente che la disfatta finale incombeva su Atene.
All’indomani della BATTAGLIA DELLE ARGINUSE (406 a. c.) fu celebrato ad Atene il processo
contro gli strateghi vittoriosi, ritenuti colpevoli perché, a causa delle cattive condizioni del mare, non
avevano prestato soccorso ai naufraghi ateniesi che con le loro navi erano colati a picco nel mare. A
ridosso di questi avvenimenti, in occasione degli agoni lenaici del 405, furono rappresentate le Rane.
Nel 415 a. c. Atene cerca di conquistare Siracusa ma viene sconfitta e ci fu un processo dove si criticarono i
comandanti di Atene per la loro incompetenza ed inefficacia.

● Durante il 2° giorno della festa di Atene (411 a.c.) Aristofane mise in scena la commedia
‘Termoforiazuse’ dove descrive l’attacco ai danni di Euripide, considerato un uomo molto misogino.
Nell’opera il protagonista è Euripide che sta cercando di difendersi dal presunto attacco o vendetta
delle donne che da lui erano state attaccate nelle sue opere. Agatone, poeta maldestro, vuole andare
all’assemblea delle donne a difendere Euripide ma non vuole essere preso di mira anche lui;
Mesiloco, parente di Euripide, va con lui all’assemblea, tutto depilato e vestito da donna e cercando
di difendere Euripide provoca il dubbio nelle donne.
Da questa commedia inizia il PERIODO FEMMINISTA di Aristofane e nel 411 a. c. scrisse la commedia
‘LISISTRATA’ = colei che scioglie gli eserciti.
Nella commedia ‘LISISTRATA’ le donne sono stufe degli uomini e vogliono far cessare la guerra, così
fanno uno sciopero sessuale per ricattarli; gli uomini sono scioccati e disorientati.
La comicità di Aristofane aveva dei dialoghi scenici BASICI ma efficaci, con i costumi e la mimica che
aiutavano l’attore ad interpretare il ruolo stabilito.
Aristofane scrisse anche, nel 405 a. c., ‘LE RANE’. In quel periodo era appena morto Euripide a Pelle, in
Macedonia, e la sua morte era stata annunciata da Sofocle (90 anni) in scena; dopo qualche mese Atene
venne completamente sconfitta.
La commedia era basata sulla critica letteraria e i protagonisti sono Eschilo da un lato ed Euripide dall’altro;
devono decidere chi riportare dall’Ade per risollevare le sorti della letteratura antica. Entrambi si criticano a
vicenda e lodano sé stessi; c’è una COMPONENTE DIONISIACA ed è presente Dioniso stesso.
Dopo 15 anni di silenzio, nel 391 a. c., venne scritta ‘ECCLESIAZUSE’ = donne in assemblea, una
commedia di Aristofane intrisa di COMUNISMO (tutti al mondo possono essere ricchi e non ci devono
essere ceti sociali).
Nel 388 a. c. Aristofane scrisse ‘PLUTO’, dove il protagonista, CREMILO (uomo povero ma umile),
insieme ad un amico va dall’oracolo di Delfi e chiede del futuro del figlio; l’oracolo gli dice di inseguire la
prima persona fuori dalla sede dell’oracolo. Egli segue una cieca che in realtà si rivelerà essere PLUTO =
dio del denaro, e Cremilo si rende conto che questa ingiustizia sociale sia data poiché Pluto è cieco.
TENIA, = la povertà, dice a Cremilo che il cambiamento della sua condizione è dato da sé stessi e dal
proprio lavoro; Cremilo non gli dà ascolto e provoca il dio della medicina per curare Pluto, dopodiché tutti
saranno ricchi e nessuno lavorerà più. Questo capovolgimento avrà dei risvolti negativi e questo vuol dire
che il cambiamento non sempre è positivo e che la natura umana è quella che è e non cambia.
Dopo il 388 a. c. Aristofane scrisse altre commedie che però vennero rappresentate dal figlio dopo la sua
morte.
Nel 388-385 a. c. TERMINA IL PERIODO DELLA COMMEDIA ANTICA E SI PASSA AD UN
ALTRO TIPO DI COMMEDIA (non c’era il concetto di collettività), LA COMMEDIA DI MEZZO.
Della commedia di mezzo ci sono pervenuti all’incirca 600 titoli di opere intere e 800 commedie di 60
commediografi scandite da indovinelli;
gli autori principali sono:
● NICOCARE, ‘LENONI’;
● NICOFONTE, ‘ADONE’;
● ANASSANDRIDE, ‘PROTESILAO’;
● ANASSILA, ‘NEOTTIS’;

La Commedia di mezzo o ‘mese’ (385-323 a. c.) comprende 2 autori principali:


● ALESSI;
● ANTIFANE;
Nella commedia di mezzo ritornarono i protagonisti:
● PALAMEDE;
● ERACLE;
● ODISSEO;
CARATTERI CHE SI RIPROPONGONO:
● LENONI, figura poco raccomandabile;
● PROTESILAO, colui che si mette in prima fila;
però essi erano descritti in maniera sbeffeggiante in confronto a quello che rappresentavano; ritorna la
descrizione della vita quotidiana, si parla di cibo e si descrivono oggetti inanimati che si animano.
Tra la struttura classica e quella di mezzo ci sono delle differenze ma anche delle forti affinità:
1. PROLOGO, dove si forniva il nucleo della trama;
2. PARODO, l’entrata del coro che canta e danza con la musica;
3. AGONE EPIRREMATICO, entrano in scena i personaggi secondari che cominciano delle
schermaglie verbali l’uno con l’altro, anche se non sempre succede in tutte le opere;
4. CANTO DEL CORO, diviso in 2 parti: ODE’ e ANTODE’;
5. KATACHEREUSMOS, esortazione, ‘’parla’’, ‘’canta’’;
6. EPIRREMA, entra in scena il 1° attore;
7. ANTEPIRREMA, entra in scena il 2° attore;
8. PNIGOS, soffocamento;
9. SFRAGIS, sigillo, uno prevale sull’altro;
10. PARABASI, suddivisa in 7 parti:

1. COMMATION (il pezzettino), ‘COMMA’ = il punto;


2. SEZIONE ANAPESTICA, (recitata in anapesti);
3. PNIGOS;
4. SIGIZIA EPIRREMATICA, (parte della commedia dove i contenuti sono
eterogenei);
5. SECONDA PARABASI, (presente solo in 4 commedie);
6. EPISODI;
7. L’ESODO, (gli attori e il coro escono sfilando davanti al pubblico dirigendosi verso il
banchetto);

ANTIFANE: (fine V secolo/ 410-405 a. c.)


Antifane scrisse 300 commedie di ragione storica-antropologica, la gente voleva evadere dalla realtà.
Con le sue opere vinse solo 13 volte; i TEMI trattati principalmente erano:
● GANIMEDE (coppiere degli dei);
● ALCESTI;
● BACCANTI;
● FILOTTETE;
● MEDEA;
Questi personaggi vengono messi al centro della vita quotidiana e le opere venivano composte in maniera
ironica per non farle pesare al pubblico che voleva evadere dalla pesantezza della vita di tutti i giorni.
Una delle opere scritte da Antifane è: ‘UNA SAFFO’ = poetessa lirica; quest’opera era una ridicolizzazione
dei grandi intellettuali del tempo. In quest’opera c’è un inserimento di sentenze vere e proprie, caratteristica
che distingue la commedia classica da quella di mezzo.

ALESSI: (350 a. c.)


Nasce a Turi nel 350 a. c. e compose circa 260 commedie con cui vinse una volta.
Alessi poneva al centro delle sue opere la PARODIA DEL MITO:
• ORESTE;
• ULISSE AL TELAIO;
• UN PARASSITA;
Nelle sue opere inserisce sempre un indovinello.
Con Alessi si chiude la ‘MESA’ e si apre la Commedia Nuova.

LA COMMEDIA NUOVA, ‘NEA’:


Storicamente, essa coincide con l'inizio dell'età ellenistica, in cui il cittadino è ridotto al rango di suddito,
ininfluente dal punto di vista politico, sicché i temi della commedia si adattano alla nuova realtà,
spostandosi dall'analisi dei problemi politici all'universo dell'individuo. È, dunque, una commedia che
riflette la mutazione politica in corso, dove ad Atene manca un ruolo politico forte che la possa guidare nel
futuro.
I tre maggiori commediografi del “nea” sono DIFILO, FILEMONE e MENANDRO, notevole fonte di
ispirazione per PLAUTO e TERENZIO.

MENANDRO: (342 a. c. – 391 a. c.)


Menandro nasce ad Atene nel 342 a. c. (prima della battaglia di Cheronea nel 388 a. c.); nel 322 a. c.,
quando aveva solo 20 anni, esordì a teatro; fu allievo di Teofrasto (allievo di Aristotele).
Intraprese un’amicizia, nel 317-307 a. c., con DEMETRIO DE FALERO;
nel 307 a. c, DEMETRIO POLEORCETE, succedette a Demetrio de Falero e Menandro rischiò l’esilio;
ricevette inviti per andare a Pella, tuttavia lui decise di rimanere fedele ad Atene.
Scrisse 100-10 commedie e ottenne 8 vittorie. Tutto ciò che ci è pervenuto è stato solo grazie alle scoperte
papirali:
● ‘IL MISANTROPO’, è intero, mentre le altre sono tutte incomplete;
● MEMBRANA METROPOLITANA, papiro trovato nel 1905 risalente al IV secolo d. c., si
chiama così perché è contenuta in una teca a s. Pietroburgo e che ha restituito 1500 versi di
Menandro;
● IL CAIRENSIS, un altro papiro ritrovato al Cairo nel 1907 appartenente al V secolo d .c., solo il
clima ha permesso questa lunga conservazione;
● COLLEZIONE BODMER, 2 papiri (25-26) trovati nel 1952 in un monastero (Santa Caterina);
● PAPIRO DELLA SORBONA, un papiro del IV-III secolo a. c., un ritrovamento straordinario
poiché è un papiro che contiene informazioni care e o vicine all’autore;
● PAPIRI DI CARTONAGE, le mummie venivano avvolte nei papiri usati e in questi papiri c’erano
trascritte le opere dei poeti antichi, grazie alla conservazione delle mummie dei papiri annessi è
stato possibile conservare questi preziosi manufatti;
Egli, al contrario degli altri, non coltiva la parodia mitologica.
Menandro compose 867 sentenze, ognuna di 1 solo verso;
Mosse quindi i primi passi nel mondo del teatro, ad Atene, settant'anni dopo la morte di Aristofane.
Di Menandro erano note, nell'antichità, 105 commedie, solo 8 delle quali avevano riportato la vittoria negli
agoni drammatici ateniesi. Nei manoscritti, invece, erano giunte solo le Sentenze, una raccolta di aforismi di
saggezza popolare dalle sue commedie, tutte in un solo verso (monostiche), sulle donne, l'amicizia,
l'educazione, la fortuna.
Alcune sue opere ci sono pervenute:
● ‘LO SCUDO’, circa metà opera;
● ‘IL MISANTROPO’ (316 a. c.), unica opera pervenuta integra;
● ‘L’ARBITRATO’, pervenuta in gran parte;
● ‘LA DONNA DI SAMO’;
● ‘LA DONNA TOSATA’;
● ‘EROE’;
● ‘I SICIONI’, dell’età attica;
altri titoli che ci sono pervenuti sono:
● ‘L’ODIATO’;
● ‘IL FANTASMA’;
● ‘IL CONTADINO’;
● ‘UN CARTAGINESE’;
● ‘IRA’;
● ‘SUONATORI DI CETRA’;
● ‘AURIGA’;
tuttavia, di questi testi non abbiamo quasi nulla, ma dal contesto si può escludere la parodia mitologica.
LE SENTENZE:
erano espressioni di carattere morale, introducevano le commedie, erano materiale didattico/etico e furono
molto importanti nell’umanesimo.
ELEMENTO LINGUISTICO:
la lingua che prevale in questo periodo è la COINE’ = comune dialetto dell’Attico, quindi non un Attico
puro e venne penalizzato anche per questo;
TESTIMONIANZE:
OVIDIO = Menandro si è occupato, nelle sue opere, di personaggi di tutti i giorni, della vita di tutti i
giorni.
GOETHE = dopo Sofocle, non conosco nessuno che mi sia più caro; tutto di lui da stimare perché egli è
un grande drammaturgo al pari di Moliere.
Nel teatro comico di Menandro si utilizzavano le MASCHERE; dopo la sua morte saranno usate ma in
modo diverso.
Nel teatro di Menandro l’elemento trascendente è sostituito dal CASO; egli descrive molto bene questa
condizione. Anche l’AMICIZIA è un elemento importante nelle opere di Menandro.
Egli muore nel 291 a. c.
QUINTILIANO = Menandro è stato capace di comprendere l’uomo e la sua natura.

Morte di Alessandro Magno nel 323 a. c.


Il regno Macedone è diviso in 3:
● SELEUCO(Siria);
● TOLOMEO(Egitto);
● ANTIGONO(Macedonia);
Le Polis sono municipalizzate ed è presente un nuovo dinamismo culturale;
nella seconda metà del IV secolo si crea una lingua comune: l’Attico, elemento della commedia
nuova.
All’inizio del II secolo a. c. Roma ha il controllo e vuole aprire gli orizzonti andando contro
l’impero Macedone;
● nel 197 a. c. ci fu la VITTORIA DI CINOCEFALE;
● nel 168 a. c. ci fu la BATTAGLIA DI PIDNA, dove i Macedoni crollano ed il regno è
nelle mani di Roma;
● nel 146 a. c. l’esercito romano sconfigge la LEGA ACHEA nella BATTAGLIA DI
CORINTO, la Grecia diventa una provincia romana(ACAIA);
Nella seconda metà del III-IV secolo emergono due grandi centri culturali:
● PERGAMO;
● ALESSANDRIA D’EGITTO;
esse diventano la sede delle più grandi biblioteche del mondo.
I principali bibliotecari furono:
● ERATOSTENE;
● ZENODOTO;
● APOLLONIO RODIO;
● ARISTOFANE;
● ARISTARCO;
● CALLIMACO;
Roma diventa anch’essa un polo di grande cultura con l’arrivo di letterati greci (III-II secolo):
● CATONE: si oppone a questa omogeneizzazione tra greci e romani e si oppone alla loro
filosofia.
Egli proclama un editto nel quale proibisce l’accesso di ‘banchetti’ e tutti gli aspetti dionisiaci,
tuttavia questo editto ebbe vita breve.
SFERA CULTURALE:
continuano a persistere:
● L’ELEGIA (l’amore);
● L’EPIGRAMMA;
● L’EPOS;
3 generi letterari che hanno un successo sempre maggiore come:
● L’IDILLIO, splendore della natura;
● LA NOVELLA, composizione in prosa, non troppo ampio che trattava temi di ogni genere;
IL ROMANZO, genere sconosciuto che vede protagonisti due giovani che si innamorano e vivono
in un mondo idilliaco; successivamente c’è un fattore che spezza questo idillio tuttavia alla fine la
coppia torna insieme felicemente innamorata.
Nella commedia nuova sono presenti alcuni commediografi detti ‘MINORES’:
FILEMONE:
Filemone nacque nella Magna Grecia, a Siracusa, nel 350 a. c. e morì nel 267-65 a. c.
Sappiamo che fu uno dei rivali di Menandro, che lo sconfisse in alcune gare; scrisse 100 opere, di
cui restano 200 frammenti e 55 titoli. Probabilmente fu eccellente nelle commedie di situazione,
mentre il linguaggio, dai frammenti che possediamo, era duro e, spesso, pedestre.
I temi che affrontò Filemone furono MITOLOGICI ma soprattutto di vita quotidiana come il
mercante o il soldato.
DEFILO:
Defilo nacque nel IV secolo a. c. a Sinope e morì nel III secolo a. c. a Smirne.
E’ stato un poeta greco antico contemporaneo di Menandro. La maggior parte delle sue commedie
furono scritte e rappresentate ad Atene, ma condusse una vita errante. Scrisse all’incirca 100 opere,
si interessò alla parodia mitologica:
● LE LEMNIE;
● LE DANAIDI;
● TESEO;
● ERACLE;
ma si cimentò anche con la quotidianità:
● PARASSITI;
● PITTORI;
● EUNUCHI;
● FRATELLI;
Ottenne una vittoria alle feste Lenee, come testimonia un'iscrizione greca che elenca come vincitori, prima di
lui, Menandro, Filemone di Siracusa e Apollodoro di Gela.
Lo stile di Difilo era semplice e naturale, e il suo linguaggio in buon dialetto attico; era molto attento alla
costruzione dei versi, e si suppone che avesse inventato un nuovo metro. Gli antichi erano indecisi se
classificarlo tra gli scrittori della Commedia Nuova o di quella di mezzo. Nella sua predilezione per i
soggetti mitologici (Ercole, Teseo) si avvicinava allo spirito di quest'ultima.

IL TEATRO LATINO: origini, descrizione, protagonisti


Il teatro latino è una delle più grandi espressioni della cultura della Roma antica. Fortemente caratterizzato
nella direzione dell'intrattenimento, era spesso incluso nei giochi, accanto ai combattimenti dei gladiatori,
ma soprattutto, sin dalle origini è collegato alle feste religiose. La provenienza di molti testi è di origine
greca, in forma di traduzioni letterali o rielaborazioni, mescolate ad alcuni elementi di tradizione etrusca. Era
anche d'uso la CONTAMINATIO, consistente nell'inserire in un testo principale scene di altre opere,
adattandole al contesto. Non di rado i testi erano censurati, impedendo riferimenti diretti alla vita civile o
politica.
Il periodo delle origini della letteratura latina comprende convenzionalmente il periodo storico dalla
fondazione di Roma, tradizionalmente fissata per il 21 aprile del 753 a.C., fino al termine della prima
guerra punica, con cui Roma assume il dominio della penisola.
La storia del teatro latino scritto ha inizio quando il poeta tarantino Livio Andronico mise in scena a Roma
una fabula di argomento greco e in costume greco traducendo e riadattandolo dal repertorio teatrale attico.
Un teatro sofisticato qual era il teatro attico scritto nel V-IV secolo a. c. non avrebbe potuto essere accolto
senza il supporto di una preesistente TRADIZIONE SCENICA. Questa tradizione risaliva al 364 a. c.,
anno in cui fu introdotta nel programma della festa una particolare forma di teatro chiamata SATURA =
‘’spettacolo’’- farcito ‘’di vari numeri’’. Essa era costituita da una successione di scenette farsesche (che
ha carattere di farsa), parodie, canti, danze (era una rappresentazione dell’armonia cosmica, con il saper
andare al passo con l’universo ordinato ma anche con una sorta di immedesimazione mimetica con il mondo
animale e che tutti questi aspetti sono al servizio degli equilibri interni della comunità prestandosi ad
esprimere l’immagine del corteggiamento e dell’amore), contrasti e forse abilità acrobatiche. Il tutto, si
suppone che fosse inserito in una scenografia essenziale e provvisoria.
EVENTI IMPORTANTI:
● 753 a. c. = nascita di Roma;
● 509 a. c. = la forma di governo è la MONARCHIA;
● 509-27 a. c. = nasce la Repubblica;
● 27-476 a. c. = inizio e fine dell’Impero Romano d’Occidente;
● 1453 = caduta di Costantinopoli e inizio di una nuova era;
LA LINGUA LATINA:
La lingua latina ebbe un’evoluzione lenta rispetto al greco; si sviluppa dall’autonomia di Roma dalle altre
popolazioni Italiche e diventa quella principale.
Ci furono dei ritrovamenti manifatturieri o artistici che testimoniano lo sviluppo di questa lingua, es. il vaso
di Dueno dove sulla superficie c’è un’inscrizione della prima testimonianza della lingua latina (DUENOS
ME FACED = latino classico, Dueno mi fece; DUENOS MI FECIT = latino moderno).
TESTIMONIANZE SCRITTE:
Le 1° attestazioni scritte, su pietra, riguardavano la sfera GIURIDICA e RELIGIOSA (FASTI = giorni in
cui era lecito amministrare la giustizia; NEFASTI = i giorni in cui i tribunali erano chiusi e non si poteva
dar voce a nessuno); i PONTEFICI MASSIMI invece avevano il dovere della gestione IDRICA; SFERA
RELIGIOSA: sacerdoti (famiglie patrizie); gli incarichi erano: organizzare i riti per gli dei (oneroso e
costoso), chiamavano a raccolta le donne (VERGINI VESTALI).
GLI SCRITTI GIURIDICI:
LEGGE DEL TAGLIONE: contenuta nelle leggi delle 12 tavole (450 a. c. e distrutte nel 390 a. c.), fu
uno dei testi che i romani dovevano tenere in considerazione per legge se non voleva incorrere in sanzioni
più o meno gravi.
ANNALES MAXIMI: scritti che contenevano le vicende significative dell’anno (es. guerre);
ELOGIA: iscrizioni in pietra con cui si commemoravano i defunti e che venivano lette ai funerali;
LIBRI LINTEI: i cataloghi che contenevano le liste dei magistrati; questa era una fonte per far entrare in
confidenza la popolazione con la lingua latina;
TUTTI QUESTI SCRITTI ERANP DI NATURA LAICA.
GLI SCRITTI RELIGIOSI:
CARMEN ARVALE: era un canto che veniva accompagnato dalla danza e dal TRIPUDIUM = canto
ripetuto tre volte; veniva celebrato verso maggio e si celebrava in occasione della celebrazione dei campi
(ARVA = campi);
CARMEN SALIARE: canto intonato dai sacerdoti salii, coloro che celebravano il culto di Marte salivo.
essi venivano celebrati in autunno e primavera;
CARMEN CONVIVALIA: componimenti di natura varia ma soprattutto simposi di antichi fasti delle
famiglie aristocratiche; si ricordavano le gesta dei loro avi;
CARMINA TRIUMPHALIA: contenuti dei lazzi verso il comandante;
FORME LETTERARIE:
FESCENNINI: festa ambientata in campagna, celebrata in occasione della mietitura e della
vendemmia. I partecipanti (analfabeti) scambiavano battute oscene dove l’elemento essenziale era
quello SESSUALE e anche l’elemento della FERTILITA’;
ATELLANA: fu messa in scena in rappresentazione di scene comiche da Plauto (fine III secolo).
Queste scene erano realistiche e in queste compaiono i primi personaggi che caratterizzano la
COMICITA’ LATINA:
● BUCCUS = il mangione;
● MACCUS = lo scemo del villaggio;
● DOSSENNUS = il gobbetto intelligente o servo intelligente;

L’ELLENIZZAZIONE DI ROMA DIEDE UNA SVOLTA AGLI INDIVIDUI CHE


ARRICCHISCONO I LORO MODUS VIVENDI E CHE NON PENSANO SOLO ALLA
GUERRA; È EVIDENTE UNA PROGRESSIVA DIFFUSIONE
DELL’ALFABETIZZAZIONE (scuole, scuole di retorica etc.), gli schiavi che venivano fatti
prigionieri nelle battaglie diventavano LIBERTI e diventavano di conseguenza
PRECETTORI, maestri di cultura (LIVIO ANDRONICO, 270 a. c., fu al servizio della
GENS LIVIA).
POMPEO (55 a. c.) realizzò il 1° edificio teatrale; l’allestimento/avvenimento avveniva per concorsi in cui
veniva scelto un impresario, AMBIVIO TURPIONE (che fu anche un attore).
● A Roma, a teatro, c’era molta confusione e i primi periodi si assisteva in piedi, al contrario
della Grecia;
● A Roma c’erano le maschere, le donne venivano impersonate da uomini e gli attori passano da
2 a 3 ma anche a 5;
● Molto spesso erano rappresentate 3 porte: 2 laterali e una centrale (in tragedia); in commedia
erano 2 che portavano alle dimore dei protagonisti.
LO SPETTACOLO TEATRALE:
le opere venivano rappresentate in momenti di LUDUS = giochi:
● LUDI APOLLINARES: dedicati ad Apollo (in estate, luglio);
● LUDI ROMANI: dedicati a Giove (a settembre);
● LUDI PLEBEI: dedicati sempre a Giove (a novembre);
● LUDI MEGALENSES: dedicati alla MAGNA MATER, cioè a Demetra, (ad aprile);
I LUOGHI DOVE SI SVOLGEVANO GLI SPETTACOLI:
La maggiore produzione drammatica latina fu rappresentata quasi per intero in teatri di fortuna ricavati cioè
con l’aiuto di strutture temporanee, all’interno degli spazi destinati ai ludi e accanto a templi, o altri edifici
pubblici.
Il primo teatro stabile in muratura fu costruito a Roma nel 55 a. c. a spese di Pompeo. Era un edificio
imponente con le gradinate per il pubblico, ricco di marmi e colonne. Come altri teatri del I secolo
presentava alcune sostanziali differenze rispetto allo schema attico:
● Lo spazio per l’orchestra, anziché circolare, era ridotto all’emiciclo verso cui convergevano i
CUNEI delle gradinate poiché l’altro emiciclo era invaso dal palcoscenico;
● Il palcoscenico non era più un pulpito poco esteso ma fortemente sopraelevato che sovrastava
l’orchestra e sul quale si ergeva la SKENE attica, bensì una scarsamente sopraelevata e ampia
pedana che fungeva da luogo per la recitazione;
● Un secondo piano presentava un equivalente serie di nicchie a loro volta sovrastate da una tettoia o
da un cornicione; il tutto arricchito da colonne, colonnine, oggetti vari, statue e piante;
● Raggiunse ben presto una struttura conclusa, con le gradinate della CAVEA (l’insieme delle
gradinate) che andavano a saldarsi con la parete della scena.
● Gli accessi laterali dell’orchestra divennero veri e propri corridoi a volta;
● Si affermò l’uso di tendere grandi teloni di seta o di lino sopra la cavea, per proteggere gli spettatori
da pioggia o sole;
● Dietro l’AULEAEUM (un telo simile al nostro attuale sipario) ci poteva essere anche un
SIPARIUM (sipario che si trovava sul fondo del palcoscenico), un secondo telo azionato
lateralmente che forse serviva agli operai per cambi di scena;
● Di fisso, sul palcoscenico, c’era solo e sempre un altare;
● L’uso di quinte girevoli dipinte e di scenografie cariche e dettagliate sarà solo tardo-repubblicano e
soprattutto imperiale;
● Per entrare in scena ed uscirne, gli attori disponevano, oltre a tre porte del fondale, di due accessi
laterali. L’uscita dalla quinta alla sinistra degli spettatori recava ‘’al porto’’(cioè all’estero) oppure
‘’in campagna’’, quella di destra ‘’in piazza’’;

Nel teatro latino, inoltre, le muse:


1. CALLIOPE, colei che ha una bella voce;
2. CLIO, colei che rende celebre;
3. ERATO, colei che provoca desiderio;
4. EUTERPE, colei che rallegra;
5. THALIA, colei che è festiva;
6. TERSICORE, colei che si diletta nella danza;
7. MELPOMENE, colei che canta;
8. POLIMIA, colei che ha molti inni;
9. URANIA, colei che è celeste;
vengono sostituite dalle CAMENE (nella religione romana erano divinità arcaiche delle sorgenti ninfe) che,
nel modello omerico, non ci sono.

AUTORI DI TEATRO:
● LIVIO ANDRONICO;
● NEVIO;
● PLAUTO;
● CECILIO STAZIO;
● TERENZIO;
● ENNIO;
● PACUVIO;
● ACCIO;
● SENECA;

Essi componevano sia tragedie che commedie, al contrario del teatro greco.
LIVIO ANDRONICO: Livio Andronico nasce a Taranto, 280 a.C. circa – 200 a.C. circa, è stato un
poeta, drammaturgo e attore teatrale romano.
Di nascita e cultura greca, egli fece rappresentare a Roma nel 240 a.C. un dramma teatrale che è
tradizionalmente considerato la prima opera letteraria scritta in latino. Compose in seguito numerose altre
opere, probabilmente traducendole da Eschilo, Sofocle ed Euripide. Con l'intento di avvicinare i giovani
romani allo studio della letteratura, tradusse in versi saturni l'Odissea di Omero. Gli scarsi frammenti rimasti
della sua opera permettono di rilevare una particolare predilezione per gli effetti di pathos e i preziosismi
stilistici, successivamente codificati nella lingua letteraria latina.
Egli fu il primo autore, seppur di origine greca, a comporre un dramma teatrale in latino, rappresentato nel
240 a.C. ai ludi scaenici organizzati per la vittoria romana nella prima guerra punica. Di tale opera non si
conserva alcun frammento, e non è neppure possibile determinare se si trattasse di una commedia o di una
tragedia.

NEVIO: Gneo Nevio nasce a Capua o Atella nel 275 a.C. circa e muore a Utica nel 201 a.C. È stato un
poeta e drammaturgo romano, fondatore dell'epos nazionale latino.
Egli Militò nelle file dell'esercito romano durante la prima guerra punica (264-241 a. c.).
Con la legge delle XII tavole che puniva i mala carmina, nel 206 a. C., Nevio fu imprigionato in Roma,
dove, dal carcere, scrisse due commedie con le quali faceva ammenda delle offese recate; fu dunque liberato
grazie all'intervento dei tribuni della plebe, e la sua pena fu commutata in una condanna all'esilio: Nevio
morì in Africa durante la seconda guerra punica attorno al 201 a.C.
Mentre Andronico rimane legato ai modelli della commedia nuova greca, Nevio propone drammi di
soggetto romano, più originali nel linguaggio e ricchi di invenzioni nello stile, arrivando a inserire in una sua
commedia una satira rivolta a personaggi contemporanei.
Nel 240 a. c., a Roma, ci fu un lungo periodo di festeggiamenti dopo la vittoria contro Cartagine, Livio
intonò un canto per Giunone Regina;
Livio diventa il direttore di un collegio di scrittori e attori, quindi di una scuola. Gli attori formati al collegio
andavano di città in città e creavano delle compagnie teatrali, diffondendosi e facendosi conoscere;
mettevano in scena i poemi, le tragedie o commedie di modelli greci. Fino ad allora la forma letteraria più in
voga era l’EPICA; Livio scrisse un poema epico: BELLUM POENICUM (guerra punica).
PLAUTO: Tito Maccio Plauto nasce a Sarsina, tra il 255 e il 250 a.C. e muore nel 184 a.C., è stato un
commediografo romano. Plauto fu uno dei più prolifici e importanti autori dell'antichità latina.
Egli fu esponente del genere teatrale della palliata, ideato dall'innovatore della letteratura latina Livio
Andronico. Il termine plautino, che deriva appunto da Plauto, si riferisce sia alle sue opere sia ad opere
simili o influenzate da quelle di Plauto. Plauto, come del resto quasi tutti i letterati latini di età repubblicana
su cui abbiamo notizia, non era dunque di origine romana: non apparteneva però, diversamente da Livio
Andronico ed Ennio, a un'area culturale italica già pienamente grecizzata. Si noti anche che Plauto era con
certezza un cittadino libero, non uno schiavo o un liberto: la notizia che svolgesse lavori servili presso un
mulino è un'invenzione biografica, basata su un'assimilazione tra Plauto e i servi bricconi delle sue
commedie, che spesso vengono minacciati di questa destinazione.
Plauto fu autore di enorme successo, immediato e postumo, e di grande prolificità. Sembra che nel corso del
II secolo circolassero qualcosa come 130 commedie legate al nome di Plauto: non sappiamo quante
fossero autentiche, ma la cosa era oggetto di viva discussione. Terenzio ne stabilì la lista, divenuta poi
canonica, delle 21 commedie sicuramente genuine: ad esse Varrone aggiungeva un’altra 20ina di dubbie,
cioè di incerta o solo parziale plautinità. Il prestigio di Varrone fece sì che le 21 si imponessero sulle altre.
Nello stesso periodo, verso la metà del II secolo, cominciò un'attività che possiamo definire editoriale, e
che ha grande importanza per il destino del testo di Plauto. Di Plauto furono condotte vere "edizioni" ispirate
ai criteri della filologia alessandrina. Benefici effetti di questa attività si risentono nei manoscritti pervenuti
sino a noi: le commedie furono dotate di didascalie, di sigle dei personaggi; i versi scenici di Plauto
furono impaginati da competenti, in modo che ne fosse riconoscibile la natura; e questo in un periodo
che ancora aveva dirette e buone informazioni in materia.
OPERE DI PLAUTO:
● Amphitruo (Anfitrione) - Giove arriva a Tebe per conquistare la bella Alcmena. Il dio impersona
Anfitrione, signore della città e marito della dama; aiutato dall'astuto Mercurio, Giove approfitta
dell'assenza di Afitrione, che è in guerra, per entrare nel letto della moglie ignara. Mercurio intanto
impersona Sosia, il servo di Anfitrione. Ma improvvisamente tornano a casa i due personaggi
"doppiati": dopo una brillante serie di equivoci, Anfitrione si placa, onorato di aver avuto per rivale
un dio. SOGNO, EBBREZZA, FOLLIA, SDOPPIAMENTO E RADDOPPIAMENTO SONO I
MOTIVI CONDUTTORI DI QUESTA COMMEDIA DELL’IDENTITA’, CHE È ANCHE
L’UNICA COMMEDIA MITOLOGICA CHE SIA GIUNTA AL REPERTORIO GRECO-
LATINO;
● Asinaria (La commedia degli asini) - Macchinazioni di un giovane per riscattare la sua bella,
una cortigiana. L'impresa ha successo, grazie all'aiuto di furbi servitori e anche (cosa assai rara in
questo tipo di intrecci) grazie alla complicità del padre dell'innamorato. Nasce poi una rivalità
amorosa tra padre e figlio che si risolve, secondo logica, con il prevalere finale del giovane.
COMMEDIA FITTA DI RIFERIMENTI AL MONDO DEGLI ANIMALI;
● Aulularia (La commedia della pentola) - La pentola, che è piena d'oro, è stata nascosta dal
vecchio Euclione, che ha un terrore ossessivo di esserne derubato. Tra molte inutili ansie dell'avaro,
la pentola finisce davvero per sparire; sarà utilizzata dal giovane amoroso, con l'aiuto dello schiavo,
per ottenere le nozze con l'amata, che è la figlia di Euclione. I MOTIVI DELLA COMMEDIA
RINVIANO TUTTI ALLE ALLUCINAZIONI DEL VECCHIO AVARO, CHE VEDE OGNI
COSA, ANIMALE O PERSONA, ESSERI MOSTRUOSI MIRANTI A SOTTRARGLI IL
TESORO;
● Bacchides (Le ‘’due’’ Bacchidi) - Il plurale del titolo disegna due sorelle gemelle, entrambe
cortigiane. L'intrigo ha uno sviluppo complesso e un ritmo indiavolato: diciamo solo che la normale
situazione di "conquista" della donna viene qui non solo raddoppiata (si hanno naturalmente due
giovani innamorati, con duplice problema finanziario, ecc.) ma anche perturbata da equivoci
sull'identità delle concupite. È L’UNICA COMMEDIA LATINA DI CUI SI POSSEGGA,
ANCHE SOLO PARZIALMENTE, IL TESTO DEL MODELLO GRECO. DEI MOLTI
CAMBIAMENTI APPORTATI DA PLAUTO, IL PIU’ IMPORTANTE È COSTITUITO
DAL POTENZIAMENTO DELLA FIGURA DEL SERVO FURBO CRISALO, NOVELLO
ULISSE;
● Captivi (I prigionieri; è l'unica commedia senza vicende amorose) - Un vecchio ha perduto
due figli: uno gli fu rapito ancora bambino; l'altro, Filopolemo, è stato fatto prigioniero in guerra
dagli Elei. Il vecchio si procura due schiavi di guerra Elei, per tentare uno scambio: alla fine non
solo ottiene indietro Filopolemo, ma scopre che uno dei prigionieri Elei in sua mano è addirittura
l'altro figlio, da tempo perduto. LA COMMEDIA SI DISTINGUE IN TUTTO IL PANORAMA
PLAUTINO PER LA SMORZATURA DEI TONI COMICI E PER GLI SPUNTI DI
UMANITA’ MALINCONICA; SI NOTERA’ SUBITO CHE QUI È ASSENTE,
ECCEZIONALMENTE, QUALSIASI INTRIGO A SFONDO EROTICO;
● Casina (La ragazza del caso) - Un vecchio e suo figlio desiderano una trovatella che hanno in
casa; escogitano perciò due trame parallele: ognuno vuole farla sposare ad un proprio "uomo di
paglia". Il vecchio immorale (che naturalmente è sposato) viene raggirato e trova nel suo letto un
maschio invece che l'agognata Casina. Casina, si scopre infine, è una fanciulla di libera nascita, e
può quindi regolarmente sposare il suo giovane pretendente. IL MOTIVO DEL SOGNO
EROTICO DEL VECCHIO È SVOLTO DA UNA FITTA RETE DI METAFORE
RELATIVE L PROFUMO, AL CIBO E ALLA GUERRA;
● Cistellaria (La commedia della cesta) - Un giovane vorrebbe sposare una fanciulla di nascita
illegittima, mentre il padre gliene destina un'altra, di legittimi natali. Il caso vanifica poi ogni
ostacolo, rivelando la vera e regolare identità della fanciulla desiderata, e permettendo giuste nozze.
ALLE VOCI DISPERATE DEI DUE INNAMORATI SI CONTRAPPONGONO QUELLE
CINICHE E PROFESSIONALMENTE DISTACCATE DI RUFFIANE E MERETRICI IN
CARRIERA;
● …ed altre ancora.
Tutte queste commedie sono state oggetto di studio e catalogate in sette gruppi:

● DEI SIMILLIMI (o dei Sosia): riguarda lo scambio di persona, dello specchio e del doppio;
● DELL’AGNIZIONE: alla fine di questo tipo di commedie avviene un riconoscimento improvviso
ed imprevedibile dell'identità di un personaggio;
● DELLA BEFFA: in questo tipo sono organizzati scherzi e beffe, bonari o meno;
● DEL ROMANZESCO: dove compaiono i temi dell'avventura e del viaggio;
● DELLA CARICATURA (o dei Caratteri): contenenti una rappresentazione iperbolica, esagerata
di un personaggio;
● COMPOSITA: che racchiude al suo interno uno o più elementi delle sopraccitate tipologie;
● DEL SERVUS CALLIDUS: il servo, intelligente e scaltro, aiuta il padrone ad ottenere un
oggetto desiderato o una donna (spesso e volentieri raggirando il vecchio padre o il lenone).
Nelle commedie di Plauto ricorre spesso lo schema dell'intrigo amoroso, con un giovane (adulescens) che
si innamora di una ragazza. Il suo sogno d'amore incontra sempre dei problemi a tramutarsi in realtà a
seconda della donna di cui si innamora: se è una cortigiana deve trovare i soldi per sposarla, se invece è
onesta l'ostacolo è di tipo familiare.
Ad aiutarlo a superare le varie difficoltà è il servus callidus (servo scaltro) o il parassita (squattrinato che lo
aiuta in cambio di cibo) che con vari inganni e trabocchetti riesce a superare le varie difficoltà ed a far
sposare i due. Le beffe organizzate dal servo sono alcuni degli elementi più significativi della comicità
plautina. Il servus è una delle figure più largamente utilizzate da Plauto nelle sue commedie, esso ha doti che
lo fanno diventare eroe e beniamino dell'autore oltre che degli spettatori; esistono varie tipologie di servus:
● il servus currens: l'attore che interpreta questo tipo di servo entra in scena di corsa e mantiene
un atteggiamento trafelato finché rimane sul palcoscenico. Plauto lo utilizza come parodia del
messaggero, infatti porta sempre qualche lettera o informazione che è di vitale importanza per
l'avanzamento della commedia;
● il servus callidus: è un tipo di servo la cui qualità più spiccata è appunto la calliditas (astuzia);
ordisce inganni benevoli/malevoli sia a favore che contro il protagonista (nello Pseudolus, ad
esempio, il servo ha un ruolo centrale: è colui che organizza la truffa);
● il servus imperator: appare nella commedia Persa; è una tipologia di servo che sfoggia una
parlantina che utilizza parole che derivano dal gergo militare, e un'incredibile superbia. Parla di
ciò che fa come se si rivolgesse a una truppa in partenza per una guerra.

Plauto fa uso anche di espressioni buffe e goliardiche che i vari personaggi molto di frequente
pronunciano; oppure usa riferimenti a temi consueti, luoghi comuni, anche tratti dalla vita quotidiana,
come il pettegolezzo delle donne.

SE LA CRONOLOGIA DELLE OPERE È INCERTA, CERTA È UNA DATA CHE EBBE


GRANDE IMPORTANZA NELL’ELABORAZIONE DELLA POETICA PLAUTINA: IL 17
DICEMBRE 217 a. c., GIORNO E ANNO DELLA RIFONDAZIONE E FISSAZIONE DELLA
FESTA DEI SATURNALI. LA FESTA DEI SATURNALI ERA LA FESTA DI TUTTI PER
ECCELLENZA, DOVE TUTTI POTEVANO MANGIARE E BERE A DISMISURA E DOVE NON
ESISTEVA IL TEMPO.
QUESTO CLIMA CARNEVALESCO, DI SOSPENSIONE DEL TEMPO E DEL REALE E DI
RIBALTAMENTO DELLE PARTI, ERA UNO DEI TRATTI DOMINANTI DEL TEATRO DI
PLAUTO.

CECILIO STAZIO: Cecilio Stazio nasce nel 230 a.C. e muore nel 168 a.C., è stato un commediografo
romano. Primo autore della letteratura latina di origine gallica, si specializzò, come il contemporaneo Tito
Maccio Plauto prima di lui, nella composizione di palliate, ovvero commedie di ambientazione greca.
Accolte inizialmente con freddezza, le sue opere furono poi portate al successo dall'impresario teatrale
Lucio Ambivio Turpione e acquisirono grande fama. Di esse restano 42 titoli e vari frammenti, per un
totale di circa 280 versi.
TERENZIO: Publio Terenzio Afro nasce a Cartagine, 190-185 a.C. e muore a Stinfalo, 159 a.C., è stato
un commediografo romano, probabilmente di etnia berbera, attivo a Roma dal 166 a.C. al 160 a. C.
Fu uno dei primi autori latini a introdurre il concetto di humanitas, elemento caratterizzante del Circolo
degli Scipioni. Fu in stretti rapporti con il Circolo degli Scipioni, ed in particolare con Gaio Lelio, Scipione
Emiliano e Lucio Furio Filo: grazie a queste frequentazioni apprese l'uso alto del latino e si tenne
aggiornato sulle tendenze artistiche di Roma.
Durante la sua carriera di commediografo venne accusato di plagio ai danni delle opere di Nevio e Plauto
(entrambi condividevano come lui le idee di Menandro) e di aver fatto da prestanome ad alcuni protettori,
impegnati in politica, per ragioni di dignità e prestigio (l'attività di commediografo era considerata indegna
per il civis romano), tanto che Terenzio stesso si difese tramite le sue commedie, per esempio, egli rifiuta
l'ipotesi che lo vede prestanome di altri, segnatamente dei membri dello stesso Circolo degli Scipioni. Venne
accusato di mancanza di vis comica e di uso della contaminatio.
Terenzio scrisse soltanto 6 commedie, tutte giunte a noi integralmente. La cronologia delle opere, frutto del
lavoro filologico e delle ricerche erudite dei grammatici antichi, è attestata con precisione nelle didascalie
anteposte, nei manoscritti, alle singole commedie. Terenzio si adattò alla commedia greca; in particolare
segue i modelli della Commedia Nuova, attica e, soprattutto, di Menandro.
L'opera di Terenzio non si limitò ad una semplice traduzione e riproposizione degli originali greci.
Terenzio, infatti, praticava la contaminatio, ovvero introduceva all'interno di una stessa commedia
personaggi ed episodi appartenenti a commedie diverse, anch'esse comunque di origine greca:
● ANDRIA: Il vecchio Simone si è accordato con il vicino di casa Cremete perché i loro figli, Panfilo
e Filùmena, si sposino. Panfilo ha però una relazione segreta con Glicerio, fanciulla da cui attende un
figlio e che tutti credono sorella dell'etera Criside. Simone scopre la relazione del figlio solo in
occasione del funerale di Criside; profondamente irritato da questa "ribellione", gli comunica
l'imminenza delle nozze con Filumena, nonostante Cremete abbia annullato l'accordo. Intanto
Carìno, amico di Pànfilo, è innamorato di Filùmena. A risolvere l'intricata situazione giunge Critone,
un parente di Crìside, il quale svela che non esiste alcun legame di parentela tra Glicerio e Crìside e
che Glicerio è figlia di Crèmete. Così avviene un doppio matrimonio tra Pànfilo e Glicerio e Carìno
e Filùmena. L’ANDRIA E’ LA PRIMA OPERA DI TEATRO LATINO IN CUI IL PROLOGO
E’ DEDICATO NON ALL’ESPOSIZIONE DEL CONTENUTO, MA ALLA POLEMICA
LETTERARIA. NEI PRIMI VERSI, INFATTI, TERENZIO SI DIFENDE DALL’ACCUSA
DI PLAGIO E CONTAMINATIO;
● L’HECYRA ("La suocera"): è ispirata da due commedie, una di Apollodoro di Caristo e un'altra
di Menandro. Fu rappresentata per la prima volta nel 165 a.C. in occasione dei Ludi Megalenses, ma
non ebbe successo pur essendo recitata da Ambivio Turpione (l'attore più famoso di quel tempo). Fu
ripresentata nel 160 a.C. in occasioni dei giochi funebri per Lucio Emilio Paolo con lo stesso
risultato dato che gli spettatori abbandonarono il teatro preferendo assistere ad uno spettacolo di
funamboli. Sempre nello stesso anno in occasioni dei ludi Romani fu rappresentata nuovamente e
ottenne successo. È LA COMMEDIA TERENZIANA PIU’ LONTANA DAL VIVACE E
IMPROBABILE MONDO PLAUTINO: PROBLEMI E SENTIMENTI APPAIONO MOLTO
INTERIORIZZATI, GRANDE FINEZZA, VERITA’ DI TONI E CAPACITA’ DI CAPIRE E
PERDONARE;
● HEAUTONTIMORUMENOS (punitore di se stesso): Fu rappresentata con buon esito nel
163 a.C. Il vecchio Menedèmo vive volontariamente una vita di rinunce, per punirsi di aver impedito
al figlio Clinia l'amore per Antìfila, povera e senza dote. Clinia se n'è andato di casa e si è arruolato
come mercenario. Nel frattempo, Clinia, senza che il padre lo sappia, alloggia in casa di Clitifone,
figlio di Cremète, amico di Menedemo che non vuole più ostacolare il figlio. La moglie di Cremète
riconosce Antìfila come sua figlia e così Clinia può sposarla, ma Clìtifone, innamorato di Bàcchide,
dovrà sposare una donna scelta dal padre.
● L’EUNUCHUS (L'eunuco): è una commedia ispirata da due diverse opere di Menandro. Fu
rappresentata nel 161 a.C. e fu il maggior successo di Terenzio. Questa commedia parla di un
ragazzo che si finge eunuco per stare con la donna amata. Il racconto particolareggiato ad un amico
(Antifone) della violenza sessuale (atto ricorrente nella commedia antica), ai danni della ragazza di
cui si è invaghito, rappresenta una delle pagine più sensuali della commedia antica. Il pubblico gradì
molto questa commedia grazie all'utilizzo dell'intreccio che l'accomunava con alcune commedie di
Plauto.
● PHORMIO: è un'opera rappresentata con successo nel 161 a.C.; il suo modello greco è
l'Epidikazòmenos (Il pretendente) di Apollodoro di Caristo. Il parassita Formione riesce con vari
stratagemmi a combinare il matrimonio tra i due cugini Fédria e Antifòne e le ragazze di cui sono
innamorati, rispettivamente una suonatrice di cetra e una ragazza povera. Alla fine, si viene a
scoprire che quest'ultima, di nome Fanio, è cugina di Antifone, mentre la citarista viene riscattata.

DIFFERENZE FRA LE COMMEDIE DI PLAUTO E QUELLE DI TERENZIO:


Rispetto all'opera di Plauto, tuttavia, quella di Terenzio si differenzia in modo sensibile in vari punti.
Innanzitutto, il pubblico ideale di Terenzio è più colto di quello di Plauto: infatti, in alcune commedie si
trovano alcuni argomenti socio-culturali del Circolo degli Scipioni, di cui faceva parte. Inoltre,
contrariamente alla commedia plautina, denominata motoria per la loro eccessiva spettacolarizzazione,
straniamento e presenza di cantica, l'opera di Terenzio è definita stataria, perché sono relativamente serie,
non comprendono momenti di metateatro né cantica. Data la maggiore raffinatezza delle sue opere, si può
dire che con Terenzio il pubblico semplice si allontana dal teatro, cosa che non era mai successa prima di
allora.
Altra differenza è la cura per gli intrecci, più coerenti e meno complessi rispetto a quelli delle commedie
plautine, ma anche più coinvolgenti in quanto Terenzio, al contrario di Plauto, non utilizza un prologo
espositivo (contenente gli antefatti e un'anticipazione della trama). Particolarmente importante in Terenzio è
anche il messaggio morale sotteso a tutta la sua opera, volta a sottolineare la sua humanitas, cioè il
rispetto che ha nei confronti di ogni altro essere umano, nella consapevolezza dei limiti di ciascuno.
Terenzio infatti creò personaggi in cui lo spettatore potesse identificarsi, e viene messa in risalto la
psicologia di questi ultimi. Inoltre, la figura dello schiavo, il vero personaggio delle commedie di Plauto,
viene notevolmente ridimensionata. Il linguaggio usato da Terenzio è quello della conversazione
ordinaria tra persone di buona educazione e cultura.

● ENNIO: Quinto Ennio nasce a Rudiae il16 luglio 239 a.C. e muore a Roma l’8 ottobre 169 a.C., è
stato un poeta, drammaturgo e scrittore romano. Viene considerato, fin dall'antichità, il "padre" della
letteratura latina, poiché fu il primo poeta ad usare la lingua latina come lingua letteraria in
competizione con quella greca.
Durante la seconda guerra punica militò in Sardegna e nel 204 a.C. vi conobbe Catone il Censore, che lo
portò con sé a Roma, dove ottenne la protezione di illustri uomini politici come Scipione l'Africano e, poco
tempo dopo, entrò in contatto con altri aristocratici del circolo degli Scipioni, filelleni, come Marco Fulvio
Nobiliore, entrando in conflitto con l'amico Catone, diffidente nei confronti delle altre culture e di quella
greca in particolare. Nel 189 a.C. Marco Fulvio Nobiliore condusse con sé Ennio nella guerra contro la Lega
etolica come poeta al seguito con il compito di celebrare le gesta del generale e questo scandalizzò Catone in
quanto comportamento contrario al costume degli avi.
Ennio sperimentò numerosi generi letterari, molti dei quali a Roma erano poco conosciuti o del tutto
sconosciuti. Della maggior parte di queste sue opere rimangono solo pochi frammenti e titoli.
Per quanto riguarda l'epica, si conoscono GLI ANNALES e LO SCIPIO:
● GLI ANNALES: Gli Annales furono il poema nazionale del popolo romano prima che fosse
composta l'Eneide (29-19 a.C.). Ennio narrava la storia di Roma anno per anno, come spiega lo
stesso titolo, dalle origini sino al 171, sino a poco prima della morte del poeta, dunque, avvenuta nel
169 a.C., e si ispira al modello greco, come farà poi Virgilio. L'opera era strutturata in 18 libri,
suddivisi in tre gruppi di sei, detti ESADI, ma rimangono solo 600 versi dei circa 30.000 originali.
● LO SCIPIO: Lo Scipio è un poemetto in cui l'autore elogia le gesta di Scipione l'Africano, eroe
della seconda guerra punica, di cui fu protetto.

PACUVIO: Marco Pacuvio nasce a Brindisi nel 220 a. c. e morì a Taranto nel 130 a. c., visse a Roma
e prima che affermato tragediografo fu anche pittore. Fu legato anche lui agli Scipioni e celebrò la
VITTORIA DI PIDNA (168 a. c.) nell’opera Paullus. Di Pacuvio abbiamo circa 450 versi in
frammenti; fu un autore longevo ma non prolifico: di lui restano solo 12 titoli di tragedie.
Vagamente connesse con le storie del ciclo troiano erano:
● ARMORUM IUDICUM (Il giudizio sulle armi): Aiace e Ulisse si contendono il possesso
delle armi di Achille nel corso dei giochi funebri dell’eroe (il tema era già era stato già trattato
dall’omonima tragedia di Eschilo);
● CHRYSES (Crise): Crise è il figlio di Criseide e di Agamennone, nonché nipote del Crise
sacerdote di Apollo nell’Iliade; Oreste, con l’aiuto di Pilade, fugge dalla Tauride portando con sé
la sorella Ifigenia e la statua di Artemide Taurica; inseguito dal re Toante, giungono a Sminte,
l’isola di Crise; questi in un primo momento nega loro l’asilo, poi apprende, da un coro di
indovini e anche, forse, dalla madre Criseide, che lui stesso è figlio di Agamennone come lo
sono Oreste e Ifigenia, accoglie dunque i fuggiaschi e li aiuta a uccidere Toante;
● DULORESTES (Oreste schiavo): Oreste si traveste da schiavo per attuare la sua vendetta
contro gli assassini del padre Agamennone, cioè la madre Clitennestra e l’usurpatore Egisto;
● HERMIONA (Ermione): Ermione è la figlia che Menelao ha avuto da Elena e che, dopo essere
stata promessa ad Oreste dal nonno materno Tindaro, viene data dal padre in moglie a
Neottolemo, il figlio di Achille; ma a Delfi, dove ha luogo l’azione della tragedia, Neottolemo
viene ucciso ed Ermione torna ad Oreste;
Pacuvio, forte di un maggior senso della scena, sviluppò con successo la propensione di Ennio per il
PATETICO giocando sull’incertezza e sfruttando al massimo le risorse della sorpresa: le sue trame
abbondano di colpi di scena e riconoscimenti.
La cura che Pacuvio riservava alle sue opere gli procurò, mentre era ancora in vita, la fama di erudito;
l'erudizione, tuttavia, si prestava a degenerare in pedanteria, come dimostrano ad esempio i versi del
Chryses in cui la descrizione del cosmo e del sole è interrotta da una parentesi di riflessione filologica
sui termini con cui Greci e Romani indicavano il cielo. Ciò non precluse comunque a Pacuvio la
possibilità di riscuotere un ampio successo di pubblico presso il popolo romano e presso i suoi
contemporanei.
ACCIO: Lucio Accio nasce a Pesaro attorno al 170 a. c. e morì a Roma nel’85 a. c., esordì come autore
tragico nel 140 a Roma in gara contro Pacuvio, più anziano di lui. Verso il 135 visitò Pergamo per poter
meglio conoscere la cultura greca di quel periodo e, tornato a Roma, divenne uno dei principali esponenti
del collegium poetarum (Corporazione dei poeti), tanto da raggiungere una certa notorietà, proponendosi
non solo come teatrante, come era invece ad esempio Plauto, ma come grammatico.
Pur essendo stato il più prolifico tragediografo della letteratura latina, di Accio non restano che
frammenti: circa 750 versi e 44 titoli di cothurnateae, tragedie mitologiche; fu autore anche di alcune
praetextae, tragedie di ambientazione romana.
Accio non fu soltanto tragediografo, ma anche poeta e filologo, anche se poco sappiamo delle sue opere
erudite.
Accio fu un poeta di ricercata finezza ma anche di grande forza, grandioso nello stile ma anche acuto
indagatore di passioni, di rara efficacia pittorica nelle descrizioni di paesaggi ed eventi. Possiamo
considerarlo il vero dominatore della scena tragica romana.
SENECA: Lucio Anneo Seneca, anche noto come Seneca o Seneca il giovane, nasce a Corduba
il 4 a.C. e morì a Roma il 65 a. c., è stato un filosofo, drammaturgo e politico romano,
esponente dello stoicismo.
Seneca fu attivo in molti campi, compresa la vita pubblica, dove fu senatore e questore,
dando un impulso riformatore.
Condannato a morte da Caligola ma graziato, esiliato da Claudio che poi lo richiamò a Roma,
divenne tutore e precettore del futuro imperatore Nerone, su incarico della madre Giulia
Agrippina Augusta. Quando Nerone e Agrippina entrarono in conflitto, Seneca approvò
l'esecuzione di quest'ultima come male minore. Dopo il cosiddetto "quinquennio di buon
governo" o "quinquennio felice" (54-59), in cui Nerone governò saggiamente sotto la tutela di
Seneca, l'ex allievo ed il maestro si allontanarono sempre di più, portando il filosofo al ritiro
politico che aveva sempre desiderato. Tuttavia, Seneca, forse implicato in una congiura contro
di lui (nonostante si fosse ritirato a vita privata), cadde vittima della repressione, e venne
costretto al suicidio dall'imperatore. Seneca, fin dalla giovinezza, ebbe alcuni problemi di
salute: era soggetto a svenimenti e attacchi d'asma che lo tormentarono per diversi anni e lo
portarono a vivere momenti di disperazione, tuttavia, è nota la cultura del filosofo che
comprendeva anche un vasto orizzonte di conoscenze mediche.
Lo stile di Seneca fu definito "arena sine calce" (sabbia senza calce). La prosa filosofica di
Seneca è elaborata e complessa ma in particolare nei dialoghi l'autore si serve di un
linguaggio colloquiale, caratterizzato dalla ricerca dell'effetto e dell'espressione concisamente
epigrammatica.
Seneca ha approfondito nelle sue tragedie, con rigore scientifico, forza mimetica e capacità
d’immedesimazione veramente sorprendenti, tutto quello che la sua opera filosofica
condannava. Nelle tragedie di Seneca la virtù, il bene, la giustizia, vengono irrisi e
calpestati; ogni forma di ragione smarrita, ogni legge umana e divina infranta. Gli eroi del
teatro di Seneca sono in sostanza tutti negativi, e il solo personaggio che sabra fare eccezione
è Ercole. La sintassi enfatizza la parola grazie all’incessante ricorso a delle figure di suono e
di senso, ad interrogative retoriche ed esclamative e ad ogni altro espediente declamatorio.
La SENTENTIA è la cellula dello stile di Seneca, che spesso interviene a salvare anche quella
che parrebbe essere la parte più debole della tragedia, IL DIALOGO. Seneca si mostra più
brillante e a suo agio nel MONOLOGO.
IL CONTRIBUTO MAGGIORE DI SENECA ALLA LETTERATURA TEATRALE E’
COSTITUITO DALLE SUE TRAGEDIE DI CUI PERO’ NON SI SA NULLA, NE’ LA
CRONOLOGIA NE’ SI SA SE FURONO SCRITTE PER LA SCENA, PER LE
PUBBLICHE RECITATIONES O PER LE LETTURE PRIVATE.
LA LISTA DELLE OPERE DI SENECA:
● AGAMENNON (Agamennone): riprende l’Agamennone di Eschilo;
● HERCULES FURENS (La pazzia di Ercole): riprende l’Eracle di Euripide;
● MEDEA (Medea): riprende la Medea di Euripide;
● OEDIPUS (L’Edipo): riprende l’Edipo re di Sofocle;
● PHAEDRA (Fedra): ci sono delle differenze nella Fedra di Seneca, questo fa pensare che
Seneca abbia preso spunto da altre tragedie, forse dallo stesso Euripide;
● PHOENISSAE (Le Fenicie): in quest’opera, al contrario di quella di Euripide in cui è
presente il coro, in quella di Seneca esso è assente;
● TROADES (Le Troiane): trattano di questi fatti 3 tragedie di Euripide: Troiane,
Ecuba e Andromaca;
● HERCULES OETAEUS (Ercole sull’Eta): è la vicenda delle Trachinie di Sofocle.
Indizi formali e di sostanza farebbe pensare ad un’opera giovanile di Seneca;
● OCTAVIA (Ottavia): è l’opera di qualche ammiratore ed emulo di Seneca vissuto
nei primi anni dell’età dei Flavi, l’Octavia è l’unica praetexta integra giunta sino a
noi;
LA TRAGEDIA A ROMA:
Al contrario di quella greca, la tragedia romana non può vantare un passato da cui attingere o evolversi.
La tragedia romana nasce già adulta ed è frutto di una decisione politica, artificiale, presa allo scopo di
innalzare la qualità delle performance teatrali da offrire agli Dei durante le sacre feste come atto di
gratitudine per averli protetti e guidati alla vittoria durante la Prima guerra punica.
Il COTURNO era, nel teatro attico, il calzare a suola alta e allacciato sul davanti fin sotto il ginocchio
caratteristico dei personaggi tragici, al coturno si contrapponeva il SOCCO, il calzare a suola bassa
caratteristico dei personaggi comici.
Questi calzari finirono per designare, a Roma, il genere tragico, d’abito e argomento greco.
Livio Andronico designò per sempre le principali caratteristiche del teatro latino:
● Indicò la via nella scelta dei soggetti, con larga preferenza per quelli del ‘’ciclo troiano’’;
● Ampliò il repertorio e l’uso latino dei metri drammatici greci;
● Contribuì ad elaborare un linguaggio tragico;
Dopo di lui, Nevio, allargò la gamma dei soggetti tragici trattando temi legati:
● Legati al DIO BACCO;
● Proseguì la sperimentazione metro-musicale e compose, in metro saturnio, il primo poema
epico romano scritto (bello poenicum);
● Inventò una tragedia in abito e d’argomento romano, la fabula praetexta, la pretesa era infatti
la toga orlata di porpora usata dai magistrati romani in momenti sacrali particolarmente
solenni.
LA FABULA PRAETEXTA CONTIBUI’ NON POCO A CONSOLIDARE IL SENSO
DELL’IDENTITA’ ‘’NAZIONALE’’.

LA COMMEDIA A ROMA:
Le preferenze di autori e pubblico andarono nettamente alla commedia in costume greco, vale a dire alla
PALLIATA.
Come per la tragedia, dove la cothurnata (la tragedia latina di ambientazione ed argomento greco) si portò
dietro anche una tragedia in costume romano, la praetexta, così anche la palliata sarebbe stata affiancata da
una commedia in costume romano, la TOGATA (rappresentazione teatrale comica di argomento e
ambientazione romana); sappiamo però che quest’ultima fu tardiva ed ebbe vita breve.
La Togata ebbe vita breve perché nelle commedie in abito nazionale non era consentito rappresentare servi
più intelligenti dei propri padroni. E ciò contrastava con una scoperta fatta dai commediografi latini, che
cioè erano proprio le trame in cui era il SERVUS CALLIDUS a tramare, a condurre il gioco, quelle che
riuscivano più divertenti, riscuotendo il maggior successo.
Questa tendenza spettacolare riguarda innanzitutto il servo furbo perché è lui il vero erede latino degli eroi
della commedia di Aristofane per esempio, un erede che non fonda più città a mezz’aria nel cielo, non
stipula paci separate con i nemici, non è un dominatore della scena politica o pubblica ma un dominatore
della scena privata o familiare. In questo contesto, vale il principio di uno stato d’animo, un carattere
anomalo, esasperato e sopra le righe anche per altri personaggi.
Il personaggio più tipicamente ‘’sopra le righe’’ della palliata è il giovane (libero) innamorato.
Ma ancor più pazzo e sopra le righe è il vecchio che si innamora perdutamente di una bella giovane, che
l’etica e il buon senso destinerebbero a un concorrente con le carte in regola, celibe e d’età giusta, e che lui
invece vuol fare a ogni costo sua. Peggio che mai se il vecchio è anche sposato.
Naturalmente un perfetto tipo di pazzo è anche il personaggio dell’avaro. Si tratta indubbiamente di una
formidabile trovata scenica (la pazzia dell’avaro assorbe nel suo mondo di ossessioni anche chi non fa parte
dell’azione: una sorta di rottura della 4° parete in senso inverso), ma al tempo stesso ripropone, grazie alla
magia ammiccante del gioco teatrale, quel filo diretto tra autore e pubblico che in Aristofane era proprio
della parabasi e in Menandro rarissimo, e comunque solo limitato al prologo. Essa consiste in un’insuperata
capacità di mescolare elementi della commedia regolare attica con elementi più liberi.
Terenzio era più equilibrato nel rapporto di versi tra scena e scena, più misurato nel ricorso alla musica. Egli
fu un grande psicologo del teatro e fu in grado di rielaborare con originalità le trame dei modelli grazie a
capacità di montaggio assai raffinata, prendendo intere scene da commedie di trama affine e inserendole in
quella prescelta senza sbavature o zeppe: un procedimento che i suoi rivali letterali censurarono come
illecito, accusandolo di ‘’contaminare’’ i modelli, di deturparli.
Uno dei tratti principali di Terenzio fu proprio quello di crearsi uno spazio in cui rispondere
pubblicamente a tali malevoli accuse: tolse al prologo la funzione informativa e gli impose quella del
dibattito critico-letterario.

MIMO E PANTOMIMO:
Tra la fine dell’età repubblicana e l’età imperiale il teatro conosce una crisi progressiva. Non ci sono più
grandi figure di poeti scenici, la togata e altre forme minori sopravvivono senza quasi lasciare traccia, il
gusto degli spettatori sembra incline ad altri tipi di spettacoli, come il CIRCO, L’ARENA, IL MIMO. Pare
quasi che gli autori preferiscano adattarsi alle preferenze del pubblico, sempre più vasto e sempre meno
raffinato, piuttosto che impegnarsi a creare una nuova sensibilità teatrale. Al massimo, si cercava di
mantenere in vita il repertorio ereditato dalla tradizione, in forme sempre più spettacolari e dispendiose.
In questo clima di strumentalizzazione spettacolare della migliore poesia, il genere teatrale più diffuso era il
MIMO. Spettacolo legato sin dalle origini ai toni schietti ma alquanto pesanti della comicità popolare. Ma la
grande novità del mimo era e restava la presenza di donne sulla scena. A differenza del teatro letterario,
affidato esclusivamente ad attori maschi, nel mimo le parti femminili erano interpretate da attrici: questo
conferiva al mimo tratti realistici anche nella franca esibizione del corpo femminile e nelle scene sensuali ed
erotiche.
Ma un successo forse ancora maggiore era un particolare tipo di spettacolo mimico, inventato nel 22 a. c.:
LA PANTOMIMA.
Un solo ballerino interpretava, accompagnato da un’orchestra di flauti e nacchere e con un particolare
calzare a soffietto detto SCABELLUM, tutte le parti previste, mentre un coro cantava il resto dell’azione. I
libretti per pantomimo (su soggetti prevalentemente mitologici e d’argomento tragico) rendevano assai più
delle composizioni drammatiche impegnate.

You might also like