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P. Cantalamessa. Discepoli di Emmaus ed eucarestia.

Una sola fede: Eucarestia e carità

Prendo lo spunto per questo insegnamento su "Eucaristia e carità" dall'episodio dei discepoli di
Emmaus (cf Lc 24, 13-34) che abbiamo più volte ascoltato in questa ottava di Pasqua. Esso ci
permette di riflettere sull'Eucaristia in chiave pasquale. «Il duemila - ha scritto il Papa nella Tertio
millennio adveniente - sarà un anno intensamente eucaristico» (n. 55). Riflettiamo dunque dapprima
sull'esperienza dei due discepoli e poi su ciò che essa ha da dire a noi oggi.

Due di loro erano in cammino

Richiamiamo alla mente il fatto. Due persone camminano insieme; si può vedere dal modo in cui
camminano che non sono felici. Il volto è triste, i movimenti lenti e non si guardano in faccia. Ogni
tanto pronunciano qualche parola, ma che non è diretta all'altro. Anche se seguono il sentiero lungo
il quale camminano, sembrano non avere alcuna meta. Ritornano a casa, ma la loro casa non è più
casa. Semplicemente non hanno un altro luogo dove andare. Avevano lasciato il loro paese, avevano
seguito quel forestiero con i suoi amici e avevano scoperto tutta una nuova realtà, in cui il perdono,
la guarigione e l'amore non erano più delle mere parole, ma delle forze che toccavano la vera essenza
della loro umanità. L'uomo di Nazareth aveva reso tutto nuovo. Aveva trasformato la loro vita in una
danza! Ora lui è morto. Il suo corpo che aveva irradiato luce è stato distrutto sotto le mani dei
torturatori. Tutto era diventato nullità. Essi lo avevano perduto, non soltanto lui, ma anche loro stessi.
L'energia che li aveva pervasi di giorno e di notte li aveva lasciati completamente, erano diventati due
esseri umani perduti che camminavano verso casa senza avere una casa.

All'improvviso non ci sono più due, ma tre persone che camminano. Gesù si accosta e cammina con
loro, ma i loro occhi sono incapaci di riconoscerlo. I due amici non guardano più in basso la strada
davanti a loro, ma negli occhi del forestiero. Alla sua domanda: «Di che state parlando?» (cf Lc 24,
17), segue il loro lungo racconto riguardo a ciò che hanno perduto: qui hanno trovato qualcuno che è
disponibile ad ascoltare le parole di disillusione, di tristezza e di totale confusione. Niente sembra
aver senso, ma è meglio raccontarlo a lui che è uno sconosciuto, piuttosto che raccontarsi l'un l'altro
i fatti noti.

Gesù comincia a parlare con i due. Lui li aveva ascoltati, ora sono loro ad ascoltare lui. «Cominciando
da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» (Lc 24, 27). Il
senso di tutte le Scritture, di tutto l'Antico Testamento, improvvisamente era lì aperto e chiaro davanti
ai loro occhi. Gesù aveva «aperto loro la mente all'intelligenza delle Scritture» (Lc 24, 45). Era la
prima interpretazione cristologica della Scrittura. Io non mi stupisco affatto che i due discepoli si
sentissero ardere il cuore in petto nell' ascoltarlo.
Questo il tipo di lettura della Bibbia che Gesù inaugurò quel giorno con i discepoli di Emmaus. Si
chiama "la lettura spirituale" della Scrittura. Essa ha dunque un precedente illustre. Guai a rinunciare
a essa, in nome di una lettura puramente storica e scientifica della Scrittura.

Lo riconobbero allo spezzare il pane

Intanto, parlando parlando, erano giunti al villaggio. Il forestiero fa «come se dovesse proseguire» (cf
Lc 24, 28). Non fa "finta" (Gesù non finge mai!); egli deve veramente proseguire. Deve arrivare «ai
confini della terra» (cf At 1, 8). Si ferma solo quando qualcuno gli dice con tutto il cuore: «Resta con
noi Signore».
«Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro» (cf Lc
24, 29). La solennità dei gesti, l'analogia con ciò che Gesù fece nell'ultima cena non lasciano dubbi:
per l'evangelista si tratta di un gesto eucaristico. Da qui anzi l'Eucaristia trarrà in seguito il nome di
fractio panis, lo spezzare del pane.

«Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista» (Lc 24, 31). Non
deve stupire il fatto che, quando Gesù appare dopo la risurrezione, sulle prime i discepoli non lo
riconoscono (cf Lc 24, 16). Egli non è risorto, per così dire, all'indietro, alla vita di prima, ma in
avanti, verso una vita nuova. La persona è la stessa, ma lo stato è cambiato: non vive più "secondo la
carne" (Rm 8, 12), ma "secondo lo Spirito"(cf Gal 5, 13).

Nel caso dei discepoli di Emmaus, Luca ha voluto dirci qualcosa in più e cioè che il vero Gesù lo si
incontra ormai nel suo Corpo eucaristico. Con le sue "apparizioni" Gesù prepara la sua "sparizione".
Educa i discepoli a riconoscerlo, con gli occhi della fede, nell'Eucaristia che è il modo nuovo con cui
si farà presente ai suoi «fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20).
«E partirono senz'indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri
che erano con loro, i quali dicevano: "Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone". Essi poi
riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane» (Lc
24, 33-35).
I due non sono più intimoriti dal fatto che «è sera» (Lc 24, 29). Di corsa tornano indietro a
Gerusalemme. Ascoltano, raccontano. Sono stati «rigenerati a una speranza viva dalla risurrezione di
Cristo dai morti» (cf l Pt l, 3). Rinasce l'amore per la comunità, il bisogno di ritrovarsi con i compagni
di fede. Il Maestro è risorto e con lui risorto anche la vita risorge. Testimoniare non è più un obbligo,
è una necessità.
Luca in questa breve storia ci ha spiegato, meglio che con interi trattati, come è nata la Chiesa... e
come, ogni volta, essa rinascerà.

Parlaci, Signore!

La storia dei due discepoli di Emmaus è una parabola per noi; contiene una parola profetica per il
Rinnovamento carismatico in questo momento della sua storia. Affido allo Spirito Santo il compito
di farvi comprendere direttamente questo significato attuale per noi, come in un attimo lo ha fatto
comprendere a me.
Lo stato d'animo del Rinnovamento carismatico in alcuni luoghi somiglia a quello dei due discepoli
al momento di allontanarsi da Gerusalemme. C'è un "Cleopa" nascosto in ciascuno di noi. «Noi
speravamo che fosse lui a liberare Israele...» (Lc 24, 21). Invece ci vediamo noi stessi riassorbiti
nell'opacità del vivere quotidiano. La preghiera che era una gioia, diventa una fatica, la comunione
con i fratelli difficile, difficoltà e tentazioni che credevamo di aver superato per sempre rispuntano
più forti di prima. L'entusiasmo per l'ecumenismo si affievolisce. I rapporti con la gerarchia
continuano, a livello locale, a essere talvolta difficili. . .

Non occorre insistere, perché ognuno, credo, potrebbe tracciare un suo proprio quadro assai più
aderente alla realtà del mio. La tentazione è quella dei discepoli di Emmaus: far ritorno a casa, al
proprio villaggio, alle amicizie e agli interessi di un tempo, al modo di vivere la propria fede di un
tempo. Gesù ci vuole guarire, rimettere in piedi la speranza, l'entusiasmo, esattamente come fece con
i due discepoli. Vuole che condividiamo fino in fondo la loro storia, non solo nella prima parte. Che
torniamo a casa da questo incontro mondiale come essi tornarono a Gerusalemme pieni di gioia (cf
Lc 24, 33). Il cammino che dobbiamo fare a questo scopo è lo stesso che Gesù fece fare ai due
discepoli e passa attraverso la riscoperta della parola di Dio e dell'Eucaristia.
Cominciamo dalla Parola. Noi abbiamo sperimentato il potere della parola di Dio. Esso non è per noi
oggetto solo di astratta fede. Parole che hanno segnato una svolta. Dobbiamo ritrovare il gusto, la
passione per la parola di Dio. La Parola ti innalza e ti fa vedere che la tua vita quotidiana e ordinaria
è qualcosa di sacro. Senza la parola di Dio, la nostra vita ha poco senso, poca vitalità, poca energia.
Senza la Parola, sei persona di poco conto, che vive una vita di poco conto e muore una morte di poco
conto.

Gesù si rattristava del fatto che gli chiedessero continuamente segni, mai si rattristava quando gli
chiedevano di parlare. Anche noi chiediamo a Dio parole, più che segni.

L' Eucaristia

Il mezzo per eccellenza usato da Gesù per riaccendere la fede dei discepoli di Emmaus - a cui la stessa
spiegazione delle Scritture doveva servire - fu sedersi a tavola e spezzare il pane con loro, in altre
parole l'Eucaristia. Così è anche oggi. Molti fratelli del Rinnovamento sentono il bisogno di rinnovare
il loro battesimo nello Spirito e chiedono di farlo in diverse circostanze. Io credo che il modo migliore
per rinnovare periodicamente il battesimo nello Spirito è di accostarci, con questa intenzione,
all'Eucaristia. Il battesimo si riceve nella Chiesa una sola volta, l'Eucaristia invece "ogni volta" che
vogliamo. La forza della comunione eucaristica risiede proprio qui; in essa noi diventiamo un solo
spirito con Gesù e questo "solo spirito" è lo Spirito Santo! Nel sacramento si riflette quello che
avvenne nella storia. Nella comunione Gesù viene a noi come colui che dona lo Spirito. Intorno alla
mensa eucaristica si realizza la "sobria ebbrezza dello Spirito". Una santa ebbrezza è questa che opera
la sobrietà del cuore.

Di qui la celebre esclamazione dello stesso sant'Ambrogio, in un suo inno che ancora oggi si recita
nella Liturgia delle ore: «Beviamo con gioia l'abbondanza sobria dello Spirito!» (Laeti bibamus
sobriam protusionem Spiritus).

Quelli che ebbero la fortuna di essere in San Pietro il giorno di Pentecoste del 1975 nel primo incontro
tra il Rinnovamento carismatico cattolico e il successore di Pietro ricorderanno le parole che Paolo
VI pronunciò al termine del discorso scritto: «Nell'inno che leggiamo questa mattina nel breviario e
che risale a sant'Ambrogio, nel IV secolo, c'è questa frase difficile a tradursi anche se molto semplice:
Laeti, che significa con gioia; bibamus, che significa beviamo; sobriam, che significa ben definita e
moderata; profusionem Spiritus, cioè l'abbondanza dello Spirito. Laeti bibamus sobriam profusionem
Spiritus. Potrebbe essere il motto impresso sul vostro movimento: un programma e un riconoscimento
del movimento stesso». Fu il primo "riconoscimento ecclesiastico" del Rinnovamento carismatico
cattolico.

Tradirei, a questo punto, l'amicizia che ho coi fratelli di altre Chiese cristiane, se non manifestassi
loro un pensiero che ho nel cuore. Noi abbiamo ricevuto molto da voi: la stima e l'amore per la parola
di Dio, l'apertura ai carismi... Questo ci dà il coraggio di dirvi che c'è anche qualcosa di nostro, di
cattolico, che vorremmo condividere con voi, offrirvi come il nostro dono: è l'amore per l'Eucaristia.
Non è detto che tutte le Chiese debbano esprimere la loro fede nella presenza eucaristica di Gesù allo
stesso modo che facciamo noi. Bisogna però dire che alcuneChiese cristiane devono certamente fare
uno spazio maggiore all'Eucaristia nella loro teologia e nella loro prassi. L'unità pienadei cristiani non
potrà che essere un'unità eucaristica: «Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo
solo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane» (1 Cor 10, 17).
Affrettiamo il giorno in cui, seduti a una stessa mensa, potremo, insieme, riconoscere il Signore allo
spezzare del pane.
Il Rinnovamento carismatico è nato con una forte spinta a ritornare all'essenziale della vita cristiana:
lo Spirito Santo, la signoria di Cristo, la parola di Dio, i sacramenti, i carismi, la preghiera, l'
evangelizzazione. In questo risiedeva il segreto della sua forza dirompente.

Back to the basic, come dicono i nostri fratelli di lingua inglese: torniamo all'essenziale! Perché sento
il bisogno di ricordare tutto questo? Il concilio Vaticano II ha iniziato una grande opera di ripulitura
e di snellimento della fede cattolica.

Concentrarsi sull'essenziale non significa togliere ai fedeli ogni spazio di libertà, ogni preferenza,
appiattire tutto. C'è spazio per coltivare anche una propria devozione particolare, ma questo deve
rimanere nell'ambito personale, non si deve confondere ciò che è richiesto a tutti con ciò che è lasciato
alla scelta di ognuno.

Fecero ritorno a Gerusalemme

La storia dei discepoli di Emmaus è un piccolo capolavoro anche dal punto di vista letterario e poetico.
Due cammini che terminano entrambi in un cenacolo, due scene di esterni seguite da due di interni,
movimento e quiete in alternanza perfetta. Si apre con i due discepoli che si allontanano a testa china
da Gerusalemme (cf Lc 24, 13), si chiude con gli stessi che di corsa e pieni di gioia tornano a
Gerusalemme gridando a tutti di avere incontrato il Signore e averlo riconosciuto allo spezzare il
pane. L'epilogo della vicenda dei discepoli di Emmaus è anch'esso una profezia per il Rinnovamento
carismatico. È un invito, per quelli che stavano disamorandosi dei fratelli, dell'opera dello Spirito, per
i delusi e gli sfiduciati, a invertire il cammino. A tornare con rinnovato slancio a servire Dio nella
Chiesa, a ricongiungersi ai fratelli con i quali hanno fatto un tratto di strada insieme, a ricostituire, là
dove è possibile, comunità, collaborazioni e amicizie interrotte.

Nonostante l'impressione diffusa di un calo di entusiasmo, una cosa, per nostra fortuna, continua a
essere ora come nei primi tempi del Rinnovamento carismatico ed è la potenza dello Spirito Santo.
«Non si è accorciato il braccio del Signore!» (cf Nm 11, 23). Ogni volta che gli permettiamo di agire,
che creiamo occasioni per la sua venuta, che con fede piena di attesa (expectant faith) riuniamo gente
nel cenacolo, egli scende, ora in maniera visibile e drammatica, ora in modo più nascosto e
progressivo. Segni visibili di questo passaggio dello Spirito sono in genere la rinascita del coraggio,
della speranza e della gioia. La gioia infatti è uno dei segni o dei frutti dello Spirito. Cerchiamo di
coltivare questi segni.

Che lo Spirito Santo ci aiuti a portare intatta con noi, nel millennio appena iniziato, la fiamma della
Pentecoste in modo che possa ancora trasformare la vita di tanti uomini e donne del nostro tempo.

Gridiamo anche noi come i discepoli di Emmaus; gridiamolo tra noi per poi gridarlo al mondo: «Il
Signore è veramente risorto! L'abbiamo riconosciuto nello spezzare il pane!».

Tratto da "Rinnovamento nello Spirito Santo" - Maggio/giugno 2000


Pubblicato da Antonello Iapicca
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