Professional Documents
Culture Documents
STATISTICA
Laurea triennale in Fisica
A.A. 2014-15
1 Aprile 2015
Indice
1 Elementi di termodinamica 4
1.1 I principi della termodinamica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
1.2 L’entropia in una espansione libera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6
1.3 L’entropia di mescolamento (mixing) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
1.4 L’approccio verso l’equilibrio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
1.5 I potenziali termodinamici: cenni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
1.5.1 Trasformazioni di Legendre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16
1.5.2 Energia libera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18
1.5.3 Entalpia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18
1.5.4 Appendice: prova del teorema di Eulero . . . . . . . . . . . . . . 19
1.6 Il Terzo Principio della Termodinamica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20
3.4.1 La soluzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56
3.5 Moto Browniano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56
3.5.1 Il tentativo deterministico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57
3.5.2 Il metodo di Einstein . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59
3.5.3 Fluttuazione e dissipazione secondo Einstein . . . . . . . . . . . . 64
3.6 Appendici al capitolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66
3.6.1 Appendice: random walk rivisitato . . . . . . . . . . . . . . . . . 66
3.6.2 Appendice: equazione di Langevin del moto browniano . . . . . . 69
4 L’entropia statistica 73
4.1 La distribuzione più probabile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76
4.2 La funzione di partizione di singola particella . . . . . . . . . . . . . . . . 78
4.2.1 Il numero di particelle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78
4.2.2 Energia del sistema . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79
4.2.3 Varianza dell’energia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79
4.2.4 L’entropia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80
4.2.5 L’energia libera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81
4.3 La densità degli stati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82
4.3.1 Densità degli stati per particelle non relativistiche . . . . . . . . . 84
4.4 Il gas ideale monoatomico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84
4.4.1 La funzione di partizione del gas ideale monoatomico . . . . . . . 84
4.4.2 L’energia interna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85
4.4.3 L’entropia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86
4.4.4 L’energia libera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86
4.5 Esercizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87
∆ = − (1a)
e ha il seguente significato. La variazione che subisce la funzione di stato, energia
interna, , è la somma della quantità di calore che riceve il sistema e della quantità
di lavoro che viene fatto sul sistema (il lavoro è positivo quando lo fa il sistema).
Presi separatamente sia il lavoro che il calore scambiato dipendono dalla trasformazione.
Le trasformazioni per le quali sappiamo calcolare il lavoro e il calore scambiato sono le
trasformazioni ideali o reversibili. Il gas perfetto è un buon modello per la valutazione
del Primo Principio.
Utilizzando l’esperimento dell’espansione libera di una gas reale si arriva alla con-
clusione che la funzione di stato energia interna dove essere, per il gas perfetto, una
4
CAPITOLO 1. ELEMENTI DI TERMODINAMICA 5
∆ = ∆ (4)
dove è la capacità termica a volume costante. Per il gas ideale classico di Maxwell-
Boltzmann, posto in un contenitore a volume costante, sia la pressione che l’energia
interna sono proporzionali alla temperatura del gas.
In forma differenziale, il Primo principio diventa
= − (1b)
() ≥ ()
:ovvero l’entropia cresce sempre. Solo per trasformazioni ideali, termicamente isolati,
() = ()
Per la prima volta vi era una chiara diversificazione tra processi reali e ideali.
Il Terzo Principio, stabilito nel 1911 da H-W. Nernst, può anche esssere posto nella
seguente forma:
Al tendere della temperatura termodinamica assoluta a zero, l’entropia di un sistema
tende a una costante universale che, talvolta, può essere posta uguale a zero.
CAPITOLO 1. ELEMENTI DI TERMODINAMICA 6
Con la scelta che il volume finale sia il doppio di quello iniziale, la (1.3) diventa
∆ = b ln 2 (1.4)
Questa quantità è diversa da zero, e si riferisce ad una trasformazione reversibile e
isoterma tra gli stessi stati iniziale e finali della trasformazione irreversibile.
Per ottenere il precedente risultato abbiamo dovuto consentire al sistema di scambiare
calore con l’ambiente e noi, valutando questo calore assorbito dal sistema, abbiamo po-
tuto calcolare la variazione di Entropia, anche se lungo una trasformazione ideale. Nel-
la trasformazione reale, non vi era stato scambio di calore e questo non aveva potuto
aumentare l’energia del sistema.
La simulazione ideale che abbiamo eseguito, ci dice che il calore assorbito nella
trasformazione isoterma non è finito nell’aumento del moto molecolare (la
temperatura e l’energia interna non sono mutati). Ma in cosa si è trasformato
il calore ipotetico assorbito nella trasformazione ideale?
stiamo calcolando l’aumento delle possibili posizioni spaziali nel passaggio del sistema gas
da uno stato iniziale ad uno finale.
Ricordiamo che l’irreversibilità non comporta consumo di energia, perché durante il
processo reale, l’energia interna è rimasta invariata.
Questo ed altri esempi hanno suggerito di associare all’aumento di Entropia un aumento
del disordine, provocato dall’aumento degli spazi accessibili. Questo disordine non è
legato a ciò che comunamente chiamiamo calore (moto molecolare), essendo quest’ultimo
legato all’aumento dei valori accessibili alle velocità. Possiamo dire che, l’irreversibilità
si insinua, almeno per ora, sia nelle variabili spaziali che in quelle delle velocità.
CAPITOLO 1. ELEMENTI DI TERMODINAMICA 8
Questo suggerisce che sarebbe più conveniente, sul piano teorico, lavorare in spazi astratti
in cui lo spazio e le velocità siano unite, per cercare di capire meglio il significato dell’En-
tropia. Questa operazione fu iniziata da Boltzmann, con l’introduzione dello spazio delle
molecole a sei dimensioni.
= + = + = =
Se assumiamo che i volumi delle due parti siano uguali, allora, si ottiene
∆ = b ln 2
∆ = b ln 2
e quindi
∆ = b ln 2 (1.9)
L’entropia di mixing non dipende dalla natura del gas, comparendo nel risultato
finale solo il numero delle particelle. Questo significa che il precedente risultato dovrebbe
valere anche se si considerano due gas identici. La situazione grafica è ora la seguente
i) Identità e continuità. La (1.9) può essere utilizzata finchè esiste una pur piccola
differenza tra i due gas. Appena, la più piccola differenza sparisce, smette di valere.
La transizione tra particelle diverse e particelle identiche non è un processo fisico,
quindi non è rappresentabile matematicamente come un processo continuo. Qui è
in gioco la natura dell’entità fondamentale che dovrebbe cambiare.
In meccanica classica particelle anche identiche sono sempre distinguibili. Infatti, anche
se due particelle sono identiche, essendo impenetrabili, non potranno mai occupare la
stessa posizione; di conseguenza, due particelle classiche non potranno avere mai lo stesso
stato. Inoltre, poiché le particelle hanno una ben definita traiettoria che le caratterizza,
l’identità è mantenuta anche nel corso del tempo. Due entità classiche uguali sono sempre
distinguibili. Scambiare due particelle, anche identiche, secondo la fisica classica, porta
sempre a stati differenti.
A Leibniz si fa risalire una prima formulazione di queste osservazione: due
differenti entità individuali non potranno mai condividere tutte le loro pro-
prietà (principio di identità degli indiscernibili).
Allora, se si utilizza la meccanica classica per descrivere il movimento delle particelle,
non si può prescindere dall’assunzione che la permutazione di due particelle deve portare
sempre ad un differente stato. E questo indipendentemente dal fatto che la misura verifichi
o meno la distinguibilità degli stati. È un problema di coerenza interna delle ipotesi
della teoria. Per poter modificare queste ipotesi occorrerebbe pensare a qualche vincolo
ulteriore che giustifichi l’abbandono dell’ipotesi che “scambiare due particelle identiche,
porta sempre a stati differenti.”
Poiché sarà solo l’entropia a risentire del mantenimento di questa ipotesi o del suo ab-
bandono, discuteremo tra breve di due proprietà che si associano all’osservabile entropia.
La nostra conoscenza, per ora ci viene dalle misure termodinamiche e queste sono le
uniche informazioni dalle quali traiamo le nostre conclusioni sul mondo microscopico.
Questo dovrebbe far capire che le teorie sono solo rappresentazioni della realtà. Se una
rappresentazione, in questo caso la termodinamica, non è in grado di determinare le
differenze tra gli stati macroscopici, allora non siamo in grado, attraverso di essa, di
inferire sulla identità e distinguibilità delle entità microscopiche.
Ogni teoria ha i suoi assiomi, le sue regole, e la sua definizione di misura, ed è rispetto
a tutto questo insieme di regole che si devono valutare le sue inferenze circa la natura
dell’entità materiali.
iii) L’additività. Le grandezze fisiche fondamentali della termodinamica devono essere
additive. L’additività significa che se il sistema è costituito di due parti, A e B,
allora, per esempio, l’energia totale è la somma dell’energia delle parti
= + (1.10)
dove ¯
¯¯
= (37)
¯
è chiamato potenziale chimico e rappresenta la variazione di energia che subisce il sistema
quando una particella viene aggiunta al sistema in equilibrio.
Se ad un sistema (pensiamo ad un gas di particelle) aggiungiamo, quando esso è
all’equilibrio, una particella esso avrà una particella in più pur dovendo mantenere la
stessa energia. Il sistema dovrà dividere la stessa energia con un aumentato numero di
particelle e il sistema sarà costretto ad aumentare la sua entropia. Ma noi vogliamo che
l’Entropia non cambi (siamo all’equilibrio) quindi concettualmente dobbiamo sottrarre
energia. Poiché, per definizione, il potenziale chimico, dalla (5), è legato alla variazione
di energia, quando l’Entropia e il volume sono mantenuti costanti, il potenziale chimico
deve essere negativo.
Cercheremo di comprendere il significato del potenziale chimico, e non solo, valutando
i parametri macroscopici che sono coinvolti nei processi verso l’equilibrio. Ci limitieremo
al caso in cui il sistema è costituito da due parti A e B.
Supponiamo che il sistema non sia inizialmente in equilibrio. Come sappiamo, se
si aspetta abbastanza a lungo, le due parti arriveranno in uno stato di equilibrio co-
mune. Poiché il sistema complessivo è isolato, l’entropia del sistema aumenterà. L’en-
tropia del sistema sarà una funzione dell’energia, del volume e del numero di particelle,
= ( ) (si parla in tal caso di rappresentazione dell’entropia, per distinguer-
la dalla rappresentazione dell’energia, quando si utilizza la relazione fondamentale della
termodinamica nella forma = ( )). Vogliamo capire come le parti si compor-
tano nella loro evoluzione verso l’equilibrio e quali parametri sono coinvolti. Analizzer-
emo separatamente il comportamento delle due parti rispetto alle variabili dinamiche
considerate.
Assumeremo inoltre che le due parti siano debolmente interagenti tanto da assumere
che l’entropia sia additiva,
Le due parti sono in contatto attraverso una parete che inizialmente non consente
alcun passaggio di energia e di particelle ed è inoltre fissa. Le due parti avranno, per es-
empio, differenti temperature, pressioni volume, energie e numero di particelle. Vogliamo
studiare l’evoluzione verso uno stato di equilibrio a seconda delle ipotesi che faremo sulla
parete. Supponiamo che la parete consenta solo il passaggio di energia.
CAPITOLO 1. ELEMENTI DI TERMODINAMICA 13
Se , deve essere 0, fino a che le due temperature, nelle due parti del
sistema non diventano uguali e la variazione di entropia si annulla. La parte A del sistema,
supposta più calda, deve cedere energia alla parte B perché si raggiunga l’equilibrio:
Supponiamo ora che la parete divisioria si possa solo spostare, facendo diminuire o il
volume della parte A o quello della parte B:
CAPITOLO 1. ELEMENTI DI TERMODINAMICA 14
potremo scrivere µ ¶
− + ≥0
A parità di temperatura tra le parti di un sistema isolato ( = ), se ,
0, fino a quando l’entropia non smetterà di crescere. In altri termini, la parte
A del sistema isolato fornirà particelle alla parte B fino al raggiungimento dell’equilibrio.
l’entropia, il volume e il numero di particelle sono grandezze fisiche estensive, cioè esse
dipendono dalle dimensioni del sistema. Le derivate parziali della funzione rispetto alle
differenti variabili estensive definiscono l’insieme delle variabili intensive (esse di dicono
coniugate rispetto alle variabili estensive). Queste variabili intensive non dipendono dalle
dimensioni del sistema. Talvolta può risultare utile cambiare, per esempio, la funzione
energia interna con un’altra funzione di stato che contenga una qualche variabile intensiva.
Ovviamente, la nuova funzione deve contenere tutte le informazioni termodinamiche che
conteneva, per esempio, l’energia. Vogliamo esaminare questo aspetto.
e una relazione analoga vale per la funzione energia interna. Per le funzioni omogenee
di grado 1, nelle specifiche variabili, vale il teorema di Eulero: se la funzione ( )
è omogenea di grado 1, nelle variabili da cui dipende, allora essa ammette la seguente
rappresentazione:
( ) = + + (4)
Supponiamo di porci nella rappresentazione dell’energia e di assumere che l’energia
del sistema dipenda solo dall’entropia e dal volume (il sistema non scambia particelle con
l’ambiente), allora = ( ) risulta omogenea di grado 1, nelle variabili e . Il
teorema di Eulero ci dice che la funzione energia si può scrivere nella seguente forma,
= + = − (5)
dove sappiamo che le due variabili intensive, la temperatura e la pressione, sono definite,
rispettivamente, dalle seguenti derivate parziali:
= − =
Supponiamo che si voglia cercare una nuova funzione , che al posto della variabile
indipendente estensiva , abbia come variabile indipendente, la variabile intensiva ,
(cioè la derivata dell’energia rispetto alla variabile entropia),
µ ¶
= ( ) = (6)
Inoltre, vogliamo che questa nuova funzione conservi tutte le informazioni che erano nella
relazione fondamentale. Questo tipo di operazione è possibile e la trasformazione che
CAPITOLO 1. ELEMENTI DI TERMODINAMICA 17
che conservi tutte le proprietà della precedente funzione (). In termini tecnici cerchi-
amo di rappresentare una curva di un piano non come insieme di coppia di punti ( ),
bensì come inviluppo delle rette tangenti alla curva.
Ogni retta tangente individua in maniera univoca un punto della curva, che sarà
determinato dalla coppia di valori costituita dal coefficiente angolare e dall’ordinata
all’origine.
La nuova funzione (), detta trasformata di Legendre di (), si ottiene con la
seguente posizione (il segno meno potrebbe anche essere +),
= − (9)
CAPITOLO 1. ELEMENTI DI TERMODINAMICA 18
= ( ) = − (10)
= − − (11)
Poiché
− = −
avremo
= − − (12)
Notiamo che se il sistema esegue una trasformazione isoterma, (oppure se lo stato
finale e iniziale hanno la stessa temperatura)
= − (13)
L’energia libera è, sotto opportune condizioni, pari al lavoro che si può eseguire sul
sistema. Di qui, il termine energia libera, cioé energia disponibile sotto forma di lavoro.
Come avevamo annunciato la costanza della nuova variabile intensiva, in questo caso la
temperatura, fa emergere alcune informazioni in maniera più chiara.
Notiamo infine che dalla (12)
µ ¶ µ ¶
− = =−
e poichè è una funzione di stato, l’ordine delle derivate parziali non è importante
=
Allora, le nuove funzioni, sotto particolari condizioni, risultano più efficaci sul piano
operativo delle relazioni fondamentali.
1.5.3 Entalpia
Se si vuole una nuova funzione che abbia come variabile intensiva indipendente
, cioé
la pressione, allora, la nuova funzione sarà
=− = + (14)
CAPITOLO 1. ELEMENTI DI TERMODINAMICA 19
=
Nel limite in cui lo stato B tende ad avere una temperatura nulla, () deve rimanere
costante e di conseguenza il primo membro rimane costante. Nello stesso limite, l’integrale
presenterebbe una singolarità logaritmica che può essere evitata solo se ( ) → 0.
Allora
lim ( ) = 0
→0
lavoro che la macchina fa e il calore che assorbe dalle sorgenti, in un ciclo. Il Secondo
Principio della termodinamica può anche enunciarsi dicendo che,
il rendimento di una qualsiasi macchina non potrà mai essere unitario.
Supponiamo di prendere come macchina termica un gas ideale e facciamola lavorare
tra due sorgenti le cui rispettive temperature sono, 0 e 1 con 0 1 . Si può dimostrare
che il rendimento, indicato con , di una tale macchina ha la seguente semplice espressione:
0
=1−
1
Ipotizziamo che esista una sorgente la cui temperatura termodinamica assoluta sia
zero. Allora, per esempio, 0 = 0. Potremmo far operare la nostra macchina, a gas
ideale, tra questa sorgente e una qualsiasi altra sorgente. Il rendimento risulterebbe
sempre unitario. E ciò violerebbe il Secondo Principio nella forma appena espressa.
Dobbiamo convenire che siamo partiti da una ipotesi sbagliata, di conseguenza, dob-
biamo concludere che,
non possono esistere sistemi la cui temperatura termodinamica assoluta sia nulla.
Se la temperatura è moto molecolare, il nostro universo sarà sempre costituito da un
insieme di entità che non hanno alcuna possibilità di fermarsi. Allora, il Terzo Principio
si presenta come il naturale completamento degli altri due.
Vedremo che non esiste alcun modello classico che sia in grado di mostrare un risultato
che indichi che l’entropia di un sistema debba tendere a zero, quando la temperatura
termodinamica tende ad annullarsi. Viceversa, la fisica quantistica è in grado di prevedere
che i sistemi tendono verso uno stato ad entropia nulla, se la temperatura termodinamica
assoluta tende a zero.
Il Terzo Principio potrebbe, allora, essere usato come controllo della bontà dei risultati
di un modello.
Capitolo 2
Elementi di teoria cinetica
Secondo Clausius le variabili macroscopiche erano legate ai valori medi di variabili mi-
croscopiche. La teoria della probabilità, marginale nella scienza fisica, diventava l’unica
matematica adatta ad indagare il mondo microscopico. Clausius determinò la prima
distribuzione utile per l’indagine sul mondo microscopico, la distribuzione dei cammi-
ni liberi. Il suo approccio fu talmente convincente che Maxwell decise di dedicarsi al
problema. Così, Maxwell determinò la distribuzione delle velocità molecolari, all’equi-
librio termodinamico. La teoria cinetica dei gas, grazie ai lavori di Maxwell e poi di
Boltzmann, aveva ottenuto la sua sistemazione formale.
2 1 X v2
= (1)
3 =1 2
dove è il numero di particelle del gas. L’energia cinetica media per particella si scriverà
1 X v2
:= (2)
=1 2
L’equazione (3) è l’equazione del gas perfetto secondo le leggi della meccanica classi-
ca. Una completa identificazione della (3) con l’equazione dei gas perfetti, nota per via
22
CAPITOLO 2. ELEMENTI DI TEORIA CINETICA 23
termodinamica,
= (4)
comporta la proporzionalità tra il concetto di temperatura e l’energia cinetica media per
molecola.
Si comprende allora che per legare un parametro macroscopico, la temperatura, al
mondo microscopico bisogna fare una media di tanti valori microscopici.
Cosa è una media? In fondo è solo un modo di riscrivere il concetto di media
aritmetica. Se si hanno solo due valori di una grandezza fisica, definiamo valore medio la
quantità
1 + 2
=
2
Se invece di due valori abbiamo valori, scriveremo
1 X
1 + 2 + +
= = (5)
=1
La (2) non è altro che un esempio della (5). Ora supponiamo che alcuni di questi
valori siano uguali. Cioè, ci siano 1 valori di 1 , 2 valori di 2 e così via. Potremo
scrivere
1 X
1 1 + 2 2 + +
= = (6)
=1
con
= 1 + 2 + + (7)
Ora 1 rappresenta il rapporto tra il numero di volte in cui è uscito il valore 1 sul
numero totale di risultati. Questo rapporto è noto come probabilità dell’evento 1 .
Esistono diverse definizioni di probabilità. Nessuna è esente da critica, per cui, a
seconda dei casi verrà utilizzata quella detta a priori o la frequentistica. In ogni caso,
sembra più ragionevole definire la probabilità attraverso le sue proprietà. Così, si assegna
un numero ad ogni evento, detto probabilità dell’evento, con le seguenti proprietà:
1) La probabilità di un evento è un numero compreso tra zero e uno.
2) La probabilità di un evento impossibile è zero
3) La probabilità di un evento certo è uno
4) La probabilità di due eventi disgiunti, è la somma dei due eventi:se ∩ = ,
allora ( + ) = () + ().
Quando discuteremo di processi markoviani introdurremo anche la probabilità con-
dizionata.
Per chiaririmenti formali, all’insieme dei possibili risultati di un esperimento si dà
il nome di spazio dei campioni, Ω. In seguito avremo modo di discutere molto di un
particolare spazio dei campioni: l’insieme delle velocità che possono assumere le molecole
di una gas. Lo spazio dei campioni in questo caso, Ω = R3 .
Si definisce evento un insieme di possibili risultati di una misura; di conseguenza, è
allora un sottoinsieme di Ω. L’insieme costituito da tutti i sottinsieme di Ω è detto spazio
CAPITOLO 2. ELEMENTI DI TEORIA CINETICA 24
degli eventi, E La probabilità è una funzione definita sullo spazio degli eventi a valori
reali, compresi tra (0 1):
Diremo che,
= (8)
rappresenta il rapporto tra il numero di volte in cui è uscito il valore 1 sul numero totale
di risultati e chiameremo probabilità dell’evento tale rapporto. Il valore medio (6)
diventa
X
= 1 1 + 2 2 + + = (9)
=1
Se invece dei valori discreti la grandezza fisica può prendere continui, allora si definisce
una densità di probabilità, () tale che
()
mescolato con altri gas molto rapidamente. Tuttavia, era noto che un gas lasciato libero
in un angolo di una stanza impiegava un certo tempo a diffondere in tutta la stanza .
Clausius si rese conto l’ osservazione era corretta e risolse il problema: una molecola di
un gas reale non era libera di muoversi su distanze macroscopiche perché urtava, con una
certa frequenza, altre molecole e la distanza media tra due collisioni consecutive era un
parametro microscopico. Valuterà in circa 1000 il rapporto tra il cammino libero medio
e la dimensione di una molecola. Quindi, sebbene le velocità delle particelle del gas
fossero elevate, pur tuttavia facendo collisioni, esse venivano deviate in maniera casuale e
avrebbero, quindi, impiegato un certo tempo a diffondere in una stanza. In altre parole,
le molecole del gas, non si muovevano in linea retta per grandi spazi, ma a causa delle
collisioni molecolari, il loro moto era in linea retta solo per brevi percorsi microscopici.
Bisognava valutare il valore medio di questi tratti in cui le molecole si muovevano in linea
retta, cioè libere.
Il modello di Clausius per l’interazione tra due molecole sarà fondato su alcune ipotesi
che verranno poi migliorate da Maxwell. La prima è quella di supporre che la collisione sia
binaria e la particella in moto su cui si focalizza l’attenzione vede tutte le altre particelle
distribuite spazialmente a caso. Inoltre, affinchè due particelle possano collidere, con una
probabilità ragionevole, occorre che esse abbiano una dimensione finita.
Sulle forze intermolecolari
Il primo problema che si poneva era quello di indagare quando avveniva una collisione.
Perché ci sia una collisione, occorre associare a ciascuna molecola una dimensione finita,
seppur microscopica. Il problema, in qualche modo, è simile alla necessità di dare ai
pianeti e ai satelliti una dimensione finita, per spiegare le eclissi. Così, nel secondo
articolo, apparso nel 1858 e tradotto in inglese l’anno successivo, Clausius pone molta
attenzione sugli effetti delle forze molecolari. Egli ipotizza che quando due molecole si
avvicinano tra di loro si esercita una attrazione, che inizia ad essere sensibile anche ad
una certa distanza e cresce al decrescere della distanza; ma quando esse arrivano ad
una certa distanza la forza risultante cambia direzione e le molecole sono costrette ad
allontanarsi. In altre parole, le forze intermolecolari sono attrattive a certe distanza e
repulsive a distanza minori. Questo vuol dire che esiste una distanza alla quale le due forze
si bilanciano. Ciò porterà a supporre che le molecole del gas possano essere pensate come
delle sfere di raggio 0 di dimensioni trascurabili rispetto al contenitore del gas. Inoltre,
l’influenza di ciascuna molecola sulle altre si manifesterà solo durante le collisioni, che
CAPITOLO 2. ELEMENTI DI TEORIA CINETICA 26
avverranno se i centri delle due sfere si avvicineranno di una distanza inferiore a 20 . Con
questa ipotesi, Clausius inaugurà la ricerca sulla struttura della materia.
Processo di Bernoulli
Per comprendere meglio la discussione successiva dobbiamo introdurre il “processo di
Bernoulli”.
Il processo di Bernoulli si riferisce ad una successioni di eventi e si caratterizza per le
seguenti tre condizioni:
1) Il risultato di ogni prova può essere solo successo o fallimento.
2) La probabilità di successo, che indicheremo con e quella di fallimento che in-
dicheremo con sono costanti in ciascuna prova e devono verificare la condizione:
+ =1 (11)
(∆) = ∆ 1
= (20 )2 (19)
perché significa che ha incontrato una certa particella. L’evento collisionale non è tuttavia
prevedibile se non con una certa probabilità. Vogliamo valutare, come rapporto di aree,
questa probabilità. In questo contesto è detta sezione d’urto.
Supponiamo per semplicità che il gas di particelle sia racchiuso in una scatola cubica
trasparente di lato e che lungo la direzione dell’asse si muova la particella considerata.
CAPITOLO 2. ELEMENTI DI TEORIA CINETICA 29
Nel tratto della scatola compreso tra e + vi saranno un certo numero di particelle
che costituiscono il gas e in base alla definizione di sezione d’urto possiamo immaginare
associata a ciascuna di esse e ortogonale alla direzione del fascio incidente, un’area, pari
alla sezione d’urto, . Se 0 è il numero medio di atomi per unità di volume del gas,
0 2 rappresenta il numero di atomi contenuto nello strato . Se moltiplichiamo tale
numero per il valore della sezione d’urto, otterremo l’area utile per un evento collisionale
tra la particella puntiforme e una particella del gas, nel tratto , cioè
0 2
= = 0 (20)
2
Il confronto con la (18), ci consente di scrivere
1 1
= = (21)
0
che rappresenta la cercata relazione tra cammino libero medio, sezione d’urto e il
parametro .
determinato istante. Più precisamente siamo interessati alla probabilità di trovare una
particella con la posizione nell’intervallo di valori (r r + 3 ) e velocità nell’intervallo di
valori (v v + 3 ). Si passa dalla certezza di trovare una particella alla probabilità di
trovare una particella. Il problema è come si deve costruire una tale probabilità. Si passa
in uno spazio a 6 dimensioni dove lo stato (r v) di ogni particella è rappresentata da un
punto; gli stati di N particelle sono rappresentate da N punti e si assume che l’insieme
di questi punti costitisca un fluido continuo che riempie una regione limitata di questo
spazio. La probabilità di trovare una particella in un certo stato sarà determinata attra-
verso il numero relativo di particelle che sono nello stato considerato. Una tale possibilità
dipende ovviamente dall’assunzione che le particelle siano debolmente interagenti.
Allora, lo spazio astratto, adatto a studiare un gas di particelle, è una spazio a sei
dimensioni (detto spazio della molecola o spazio ) di cui tre dimensioni si riferiscono
alla posizione della generica particella e le altre tre, alle sue componenti della velocità:
(r v) =
La descrizione quindi del gas è trasferita in questo spazio astratto. In questo spazio si
possono definire delle funzioni di punto e quindi anche delle densità di probabilità. Una
conoscenza degli stati macroscopici del sistema è deducibile dalla funzione di distribuzione
(r v; ) la cui definizione è tale che
La teoria cinetica afferma che, nota la distribuzione, si può risalire agli stati macro-
scopici del sistema. All’equilibrio termodinamico la sola dipendenza funzionale significa-
tiva sarà dal modolo delle velocità. E’ possibile scrivere una equazione piuttosto generale
per la funzione (r v ), detta equazione cinetica di Boltzmann.
Vista la definizione (39) si può immediadamente scrivere che il numero totale di
molecole è Z Z
= (r v ) 3 3 (40a)
dove i limiti d’integrazione per le coordinate sono definiti dalle dimensioni del contenitore
del gas e quelli delle velocità dal valore finito dell’energia totale del sistema. La (3) ci
dice che se integriamo su tutto lo spazio a sei dimensioni, troveremo l’intero numero di
particelle. E questo intero spazio è finito.
Per poter applicare il procedimento usato per il cammino libero dobbiamo normaliz-
zare all’unità la distribuzione, cioè
Z Z
1
(r v; ) 3 3 = 1 (40b)
Di conseguenza, il valor medio di una grandezza fisica (r v ) si otterrà scrivendo
Z Z
1
() = (r v ) (r v; ) 3 3 (41)
Per esempio il valor medio dell’energia cinetica, sarà
Z Z
2 1 2
= (r v; )
2 2
Abbiamo un metodo calcolare il valor medio di una grandezza fisica. Clausius aveva
calcolato il valor medio dei cammini liberi derivando prima la distribuzione dei cammini
liberi e da quest’ultima, il valor medio dei cammini liberi.
Le molecole del gas perfetto hanno solo energia cinetica. Di conseguenza, se si
vuole calcolare il valor medio dell’energia occorre avere almeno la distribuzione delle
sole velocità molecolari.
(v) → ()
e la condizione di normalizzazione diventa
Z
1
1= () 3 (44)
0
dove abbiamo posto 0 = .
Maxwell provò che la distribuzione delle velocità all’equilibrio doveva essere una
gaussiana nella velocità:
µ ¶32 µ ¶
() 2 1
= () = exp − (45)
0 2 2
Definizione di equilibrio: un sistema costituito da particelle libere è in uno stato
di equilibrio se la sua distribuzione delle velocità è la distribuzione di Maxwell.
Vi è tuttavia una importante differenza con gli stati di equilibrio della termodinamica.
Un sistema isolato, una volta raggiunto l’equilibrio, permane per sempre nello stato di
equilibrio raggiunto. Solo le azioni esterne faranno allontanare il sistema dal suo stato
di equilibrio, oppure la modifica di un vincolo interno (si pensi all’espansione libera o
al mescolamento di due gas). Nel nuovo formalismo il sistema fluttua intorno allo stato
di equilibrio. Le fluttuazioni non si possono eliminare, anche se sotto certe condizioni
si possono trascurare. Tuttavia, come vedremo, nel moto browniano, le fluttuazioni
risultano determinanti nei processi. Capire le fluttuazioni aiuterà a capire i processi fuori
dall’equilibrio.
CAPITOLO 2. ELEMENTI DI TEORIA CINETICA 33
In altre parole, Maxwell assunse che le distribuzioni di due particelle (v1 v2 ) potessero
essere sostituite dal prodotto di due distribuzioni di singola particella (ipotesi di caos
molecolare). Allo stesso modo, per la collisione inversa, da (v10 v20 ) a (v1 v2 ), egli assunse
che
21 ∝ (v10 ) (v20 ) 3 10 3 20
Inoltre, egli stabilì che affinché la distribuzione delle velocità non cambiasse nel tempo
(richiesta di stazionarietà) deveva accadere che il numero di collisioni dirette e quelle
inverso dovevano essere uguali, e questo portava alla seguente condizione
1 (2 ) 1 (1 + 2 − 3 )
=
(2 ) 2 (1 + 2 − 3 ) (1 + 2 − 3 )
Le due ultime relazioni ci dicono che
1 (1 ) 1 (2 )
=
(1 ) 1 (2 ) 2
Quest’ultima uguaglianza è possibile solo se entrambi i membri sono costanti:
1 ()
= (6)
()
La soluzione della (6) si può porre nella forma
() = exp () (7)
dove
1
=− (8)
con costante di Boltzmann e una costante determinabile dalla normalizzazione.
Abbiamo ritrovato la distribuzione di Maxwell.
CAPITOLO 2. ELEMENTI DI TEORIA CINETICA 35
Questi contenitori, tutti identici, nel senso precisato, sono detti ensembles.
Le due misure di medie, che discuteremo meglio in seguito, sono differenti, ma per il gas
ideale, daranno lo stesso risultato.
Ritorniamo all’espansione libera. Abbiamo un numero totale di particelle . Sicu-
ramente esiste un numero ben definito di particelle contenute nella parte che un
CAPITOLO 2. ELEMENTI DI TEORIA CINETICA 36
numero ben definito nella parte del contenitore, in maiera tale che ad ogni sistante
= + . In maniera indiretta possiamo valutare sia che . Noto il peso
del contenutore, si può determinare il numero di molecole contenute in ciascuna parte,
pesando ciascuna parte e dividendo per il peso di una molecola. Queste misure di pe-
so, sono sperimentalmente affette da un errore relativo, che va dall’1% ad una parte su
105 − 106 .Di conseguenza non potremo m ai conoscere il numero effettivo di particelle con
precisione arbitraria.
Se indichiamo con , il numero reale di particelle contenute nel contenitore , la
fisica ha solo la possibilità di valutare, il numero medio h i di particelle che potrebbero
essere contenute in un contenitore. Questo valore medio è fisicamente diverso dal numero
vero di particelle, . Ma la fisica può valutare quanto sia lontano il valore vero dal
valore medio (varianza e deviazione standard, vedi esercizi 1-4), calcolando una sorta
di distanza tra questi due valori. Da questo confronto può stabilire se la distanza tra i
due valori è tale da non essere rilevabile sul piano sperimentale. Se questa valutazione,
suggerisce che non siamo in grado di valutare la differenza tra il valore vero e quello medio
calcolato, allora i fisici ritengono che il valore medio sia una buona espressione del valore
vero. Il valore medio è la migliore valutazione che sappiamo fare del valore vero di una
grandezza.
2.7 Esercizi
Esercizio 1 Si consideri un gas ideale contenuto in una scatola e chiediamoci quale sia
la probabilità che in un certo volumetto ∆3 contenuto nel volume V. Dimostrare che la
distribuzione che ci dice che particelle sono in ∆3 è la distribuzione binomiale.
La probabilità di trovare una particella nel volumetto ∆3 è, allora (Ventzel,...)
∆3
= (2.1)
e quella di trovarla fuori è
=1− (2.2)
Possiamo provare a ripetere lanciando le nostre particelle, una alla volta. Ad ogni lancio,
abbiamo due soli esiti possibili e ogni lancio è indipendente dal precedente. Dobbiamo
cercare la distribuzione relativa a particelle nel volumetto, e le restanti fuori.
Poichè abbiamo assunto che le particelle fossero non interagenti, siamo sicuri che la prob-
abilità che abbiamo trovato valida per una particella, sarà valida per tutte le altre. La
derivazione si fonda su questo assunto.
Consideriamo la prima particella, indicata con 1; può capitare che sia dentro o fuori;
poiché sono eventi indipendenti, la probabilità, di collocare la prima particella sarà
proporzionale a, (1 − ).
Ad ogni evento si ripete la stessa storia; poiché, alla fine dobbiamo porre , nel
volumetto e le restanti ( − ), fuori, troveremo
(1 − )−
CAPITOLO 2. ELEMENTI DI TEORIA CINETICA 37
= h i (2.18)
La sezione di base del recipiente sarà indicara con . Supponendo di essere all’equi-
librio, sappiamo che la distribuzione delle velocità è quella di Maxwell, dove la temper-
atura è la stessa in tutto il contenitore. Tuttavia, la presenza del campo gravitazionale
terrestre, tende ad attirare le molecole verso il basso, per cui ci sia aspetta che la dis-
tribuzione spaziale delle molecole cambi con l’altezza. Quindi, la distribuzione di Maxwell
che prevede una distribuzione uniforme del gas non è più valida. Per ottenere la dis-
tribuzione spaziale di questo gas, nel campo gravitazionale, dobbiamo determinare come
varia la densità () con l’altezza.
Per determinare (), valuteremo prima la forza gravitazionale agente sulle mole-
cole contenute nello strato di base e altezza ∆. Alcune ipotesi sono necessarie.
Assumeremo
a) che lo strato abbia un’altezza ∆, sia molto più piccolo del raggio della Terra.
Questo ci assicura che tutte le molecole contenute nello strato sono sottoposte alla
stessa accelerazione di gravità, .
b) Sebbene la densità cambi con l’altezza, assumeremo che essa sia costante all’interno
del nostro strato.
c) Poiché dobbiamo fare considerazioni statistiche, il volume della strato che abbiamo
considerato, deve essere sufficientemente grande da contenere comunque un numero ele-
vato di molecole. Come abbiamo già discusso per altri volumetti, ciò si ottiene assumendo
che ∆, sia molto maggiore della distanza intermolecolare.
Ora possiamo procede con la nostra derivazione, supponendo che tutte le molecole sia
identiche e che la loro singola massa sia . La quantità () ∆, rappresenta il numero
∆
di molecole contenute nello strato, di conseguenza, = () ∆, è la massa totale
∆
contenuto nello strato. La forza totale esercitata dalla Terra sullo strato è . Poiché
siamo all’equilibrio, questa forza sarà equilibrata dalla pressione netta esercitata dalla
molecole esterne allo strato, sullo strato stesso, cioè
da cui deriviamo
= − ()
Sempre nel limite ∆ → 0, l’equazione di stato = 0 , diventa,
() = ()
che sostituita nella precedente equazione, ci porta alla seguente equazione per la densità
()
= − ()
la cui soluzione è µ ¶
() = (0) exp − (2.22)
CAPITOLO 2. ELEMENTI DI TEORIA CINETICA 41
La densità molecolare decresce con l’altezza. Questo risultato si può generalizzare al caso
tridimensionale e ad un qualsiasi campo conservativo agente sul gas e si ottiene
µ ¶
(r)
(r) = (0) exp − (2.23)
dove (r) è l’energia potenziale associata al campo esterno conservativo. Questo vuol
dire che
1
(r) 3 (2.24)
rappresenta la probabilità di trovare una particella in (r 3 ). Allora, la distribuizione di
equilibrio di una gas soggetto ad un campo esterno conservativo, potrà scriversi
µ ¶
(r ) = (0) exp − (2.25)
e quindi la probabilità di trovare una particella, all’equilibrio, in (r 3 ) e velocità ( 3 )
è proprio la distribuzione di Boltzmann, (4.13).
1 1 ( )
= (50)
( )
Questa equazione si risolve per separazione di variabile e si ottiene
¡ ¢
( ) = 1 exp 2 (51)
= − (52)
Allora, r
¡ ¢
( ) = exp −2 (55a)
Analoghe considerazioni, per le altre componenti, porteranno ai seguenti risultati:
r r
¡ 2
¢ ¡ ¢
( ) = exp − ( ) = exp −2 (55b)
La distribuzione di Maxwell, allora, sarà
³ ´32 ¡ ¢
() = exp − 2 (56)
Rimane la determinazione del fattore .
Calcoliamo il valor medio dell’energia. Nel nostro caso l’unica energia che le particelle
possiedono è quella cinetica, per cui,
Z Z
2 2
= (r v ) 3 3 (57)
2 2
che diventa Z
2 2
= 3 ()
2 2
ovvero ³ ´32 Z
2 ∞ ¡ ¢
= 4 4 exp −2
2 2 0
Poiché Z r
∞ ¡ ¢ 3
exp −2 =
4
(58)
0 8 5
troviamo
2 3
= (59)
2 4
Per determinare occorre fare un confronto con i dati sperimentali. Si può ovviare
a ciò confrontando tale risultato con la teoria cinetica elementare di Clausius che aveva
già effettuato il confronto con i dati sperimentali, stabilendo che l’energia cinetica media
per particella è data da
1 X1
3
2 = (60)
=1 2 2
dove la costante è la costante di Boltzmann , il cui valore è
' 1 38 × 10−23 (61)
Maxwell, introducendo la distribuzione delle velocità molecolari ha consentito di
trovare, per via probabilistica, il valore medio dell’energia da poter associate a ciascuna
CAPITOLO 2. ELEMENTI DI TEORIA CINETICA 44
particella. Di conseguenza, abbiamo, come nel caso del cammino libero medio, la possi-
bilità teorica alternativa per conoscere l’eventuale energia cinetica media per molecola.
L’uguaglianza tra i primi membri della (55) e (56) costituisce una svolta nella storia della
scienza. Viene ricordata questa e non quella fatta da Clausius perché qui si determina
l’energia che è la quantità principe dei sistemi fisici.
Allora, dagli esperimenti, cioè dalla (60) confrontata con la (59), si deduce che
= (62)
2
La distribuzione di Maxwell diventa,
µ ¶32 µ ¶
2 1
() = exp − (63)
2 2
e si trova r
8
= (67)
In termini numerici queste due grandezze si possono considerare uguali.
Capitolo 3
Processi markoviani, random walk e
moto browniano
Ciò comporta che il tempo medio di sopravvivenza di un atomo, , detto vita media, sia
uguale (essendo il decadimento un processo statistico ogni singolo atomo può avere una
vita compresa tra 0 ed ∞) al valor medio di secondo la distribuzione ():
Z ∞
= ()
0
da cui Z ∞
1
= exp (−) = (3)
0
Avremmo potuto anche scrivere
R∞
()
= R0∞
0
()
Allora, la probabilità che al tempo , un atomo non sia ancora decaduto, si scriverà:
µ ¶
() = exp − (4)
Questa equazione è nota come legge del decadimento radioattivo. L’equazione differen-
ziale associata sarà:
() ()
=− (5a)
CAPITOLO 3. PROCESSI MARKOVIANI, RANDOM WALK E MOTO BROWNIANO47
Una generica particella del gas radiattivo si trova all’istante nello stato . La
probabilità di decadere in un tempo ∆, è ∆. Quando abbiamo scritto
abbiamo calcolato la probabilità che una particella, inizialmente nello stato al tempo ,
continuava ad essere nello stato al tempo + ∆. La funzione
può essere vista come la funzione di permanenza nello stato (la funzione ( ) è
normalizzata all’unità). La vita media
1
= (16)
può anche essere vista come tempo medio di permanenza nello stato .
Anche lo stato , potrebbe essere uno stato a vita media finita. E più in generale
potremmo avere la seguente situazione (non sono disegnate le probabilità di permanenza
nei singoli stati)
l’intervallo ∆; lo stato si trasformerà effettuando una transizione della durata di ∆.
Allora, se il sistema al tempo è nello stato , assumeremo che esista una probabilità che
durante il successivo intervallo temporale ∆ effettui una transizione nello stato e tale
probabilità sarà proporzionale all’intervallo temporale:
mentre, se era al tempo , nello stato , la probabilità di transizione nello stato , durante
l’intervallo ∆, sarà indicata con
(; )
= − (; ) + (; ) (20b)
Come si può vedere, il tasso di variazione di ciascuno stato, per esempio (; )
, ha un termine che tiene conto della possibilità di lasciare lo stato (−; )) e di un
secondo termine che tiene conto delle transizioni in arrivo ( (; )). Equazioni di questo
tipo sono note come master equations.
Questo sistema può essere risolto, note le condizioni iniziali,
µ ¶
(; ) = + (0; ) − exp [− ( + ) ]
+ +
µ ¶
(; ) = + (0; ) − exp [− ( + ) ]
+ +
Le soluzioni cambiano in maniera monotona dai valori iniziali (0; ) e (0; ), a quelli
per → ∞,
(; ) = (; ) =
+ +
Allora, il sistema non smette di fluttuare tra i due stati anche per tempi lunghi.
Esercizio 3: Trovare le soluzioni del problema markoviano dicotomico.
Linee giuda per la risoluzione. Cercando soluzioni del tipo
=0 = − ( + )
− = 0
e dalla condizione
+ = 1
le due soluzioni, indipendenti dal tempo
= =
+ +
CAPITOLO 3. PROCESSI MARKOVIANI, RANDOM WALK E MOTO BROWNIANO52
X = ( )
dove il prodotto tra matrici è inteso, riga per colonna. Risulta evidente, che la matrice
quadrata contiene tutte le informazioni sulla dinamica del processo e contine le forme
esplicite sulle transizioni tra gli stati. Tale matrice
µ ¶
1 − ∆ ∆
= (23)
∆ 1 − ∆
è detta matrice di ricorrenza. La matrice, che si ottiene scambiando righe con colonne:
µ ¶
1 − ∆ ∆
= (24)
∆ 1 − ∆
CAPITOLO 3. PROCESSI MARKOVIANI, RANDOM WALK E MOTO BROWNIANO53
Abbiamo, al primo membro, la funzione di permanenza nello stato ( + ) al tempo
+ ∆ e al secondo membro la funzione di permanenza in uno stato qualsiasi ( )
per la probabilità di transizione (probabilità condizionata) dallo stato ( ) allo stato
( + ∆). Più in generale
Z
( ) = ( 0 ) ( 0 ; ) (29)
per 0. Queste equazioni sono note con il nome di equazioni di Chapman-Kolmogorov.
Questa equazione di bilancio ci dice che la probabilità che la particella sia in al tempo
+ ∆ è la somma di due contributi che dipendono entrambi solo dalla posizione che la
particella occupa al tempo . Il primo contributo è dovuto al fatto che la particella era in
− ∆ al tempo e quindi, per essere al tempo + ∆, in , doveva, con una probabilità
, saltare in durante l’intervallo di tempo ∆. Il secondo contributo è dovuto al fatto
che al tempo la particella era, invece, in + ∆ e con probabilità doveva saltare in ,
durante l’intervallo ∆.
Possiamo sviluppare in serie la funzione sia nel tempo che nello spostamento. Vi è
una differenza importante tra lo sviluppo in serie temporale e quello spaziale. Mentre
sappiamo cosa voglia dire sviluppare nella variabile temporale per tempi brevi, nella
variabile spaziale abbiamo dei problemi in quanto lo spostamento ∆ che subisce la
particella può essere anche grande, perché l’unica cosa che possiamo dire è che esso deve
CAPITOLO 3. PROCESSI MARKOVIANI, RANDOM WALK E MOTO BROWNIANO55
∆2 2 ¡ 2¢
( − ∆ ) ' ( ) − ∆ + + ∆ (3)
2 2
e
∆2 2 ¡ 2¢
( + ∆ ) ' ( ) + ∆ + + ∆ (4)
2 2
Se trascuriamo i termini al secondo ordine in ∆ e al terzo ordine in ∆, avremo
∆2 2
+ ∆ = ( + ) − ( − ) ∆ + ( + )
2 2
che si riduce a
∆2 2
∆= − ( − ) ∆ + (5)
2 2
Ora dividiamo per ∆, e consideriamo il limite per ∆ → 0:
½ ∙ ¸¾ ½ ¾
∆ 1 ∆2 2
= − lim ( − ) + lim
∆→0 ∆ ∆→0 2 ∆ 2
Se poniamo ∙ ¸
∆ 1 ∆2
= lim ( − ) = lim (6)
∆→0 ∆ ∆→0 2 ∆
2
= − + 2 (7)
Questa equazione è nota come equazione di Fokker-Planck.
Supponiamo ora che
= (8)
cioè, che la probabilità di fare una transizione a destra sia uguale a quella di fare una
transizione a sinistra. Allora, = 0, e l’equazione di F.P. si riduce alla equazione di
diffusione. otteniamo
2
= 2 (9)
che è l’equazione di diffusione. Allora, l’equazione di diffusione descrive il moto di una
particella che si muove, in maniera casuale, con le modalità descritte sopra (il futuro
dipende solo dal presente e le probabilità di transizioni sono costanti e proporzionali
CAPITOLO 3. PROCESSI MARKOVIANI, RANDOM WALK E MOTO BROWNIANO56
all’intervallo temporale ∆). Inoltre, valendo la condizione (8) abbiamo assunto che sono
uguali le probabilità di saltare in avanti o indietro.
Il passaggio al continuo si verifica se i vari passi ∆ sono piccoli comparati con le
dimensioni lineari delle regioni in cui () varia in maniera apprezzabile. In altre parole,
se si divide tutto il percorso in tratti ∆ in ciascuno dei quali () è costante, allora tutti
i ∆ devono essere più piccoli di ∆.
Se si escludono le derivate seconde spaziali, la (7) diventa
= − (10)
In questi casi, stiamo assumendo che anche i passi spaziali significativi sono dello
stesso ordine di grandezza di quelli temporali.
3.4.1 La soluzione
Nel caso in cui, il processo è descritto dall’equazione di diffusione, la soluzione è una
gaussiana. Più precisamente, si può mostrare che il random walk continuo, nel limite
diffusivo, è processo aleatorio a valor medio nullo e varianza proporzionale al tempo, la
cui distribuzione è µ ¶
1 2
(0 2) = √ exp −
4 4
Il motivo di questa espressione è che una gaussiana, di valor medio e varianza 2 si
scrive à !
2
¡ ¢ 1 ( − )
2 = √ exp −
2 2 2 2
Nell’ipotesi che abbiamo esposto la funzione
µ ¶
1 2
( ) = √ exp −
4 4
è tale che ( ) rappresenta la probabilità che la particella che al tempo = 0 era in
= 0 sarà trovata al tempo in ( + ).
a) il moto è incessante
b) il moto di un qualunque grano è casuale in ogni direzione e non è influenzato dalla
storia passata del grano
c) la velocità dei grani cresce al cresce della temperatura della soluzione
d) la velocità cresce al diminuire della grandezza dei grani
e) la velocità diminuisce al crescere della viscosità del fluido
Vari tentativi teorici furono fatti prima della definitiva spiegazione del fenomeno da
parte di Einstein (1905) e indipendentemente da parte di Smoluchowski (1906). Succes-
sivamente Langevin (1908) propose di affrontare lo stesso problema in maniera ancora
differente.
Partiremo dall’analisi del moto browniano secondo la fisica deterministica. Questo
significa che il moto di una di queste particelle verrà descritta come una particella soggetta
alla forza peso e ad una forza d’attrito, cioé useremo l’equazione del paracadutista. La
soluzione di questa equazione, come è noto, prevede una velocità tendenziale costante (e
poi nulla). Non si osserva nulla di tutto ciò. La velocità della particella browniana è
tendenzialmente una velocità termica,
r
3
=
dove la temperatura è la stessa delle particelle del fluido in cui la particella è immersa.
Accurate misure fatte sul moto delle particelle browniane mostrano che la deviazione
quadratica media risulta proporzionale al tempo
dove è il coefficiente di attrito interno del fluido e v la velocità posseduta dalla sfera
all’istante considerato.
Se sul corpo agisce la sola forza di Stokes dovremo risolvere l’equazione
= −
CAPITOLO 3. PROCESSI MARKOVIANI, RANDOM WALK E MOTO BROWNIANO58
la cui soluzione è µ ¶
() = 0 exp − (2)
dove
= (3)
è detto tempo di rilassamento.
Per , la velocità si annulla. Gli esperimenti mostravano invece, dei moti
incessanti.
Passiamo a considerare una forza esterna, per esempio la forza peso. Limitandosi
al caso unidimensionale e scegliendo l’asse come direzione verticale potremo scrivere
l’equazione del moto come segue:
v 1
= − v (4a)
oppure
v 1
=− v (4b)
Questa equazione è nota agli studenti come equazione del paracadutista.
Allora, la (4b) diventa
v v
=− (4c)
Se al tempo = 0 la velocità iniziale è 0 , allora la soluzione della (2), si trova usando
il metodo della separazione. Infatti, avremo
Z () Z
v
= 0
0 − v 0
Posto
=− = −
si ha µ ¶
() = 0 exp −
e ritornando alle variabili originali si trova
µ ¶
() = + (0 − ) exp − (5)
Per avremo
, (6)
La velocità tende a diventare costante (velocità di deriva). Si osservi che lo stesso risultato
si ottiene, rapidamente, dalle (4) ponendo = 0.
CAPITOLO 3. PROCESSI MARKOVIANI, RANDOM WALK E MOTO BROWNIANO59
' 10−21
Questo significa anche che non possiamo andare nel limite per tendente a zero,
perché altrimenti il tipo di moto stesso scomparirebbe. Allora, il moto browniano emerge
a tempi molto più lunghi del tempo collisionale. La descrizione di questo moto emergente
può essere fatta solo con teorie probabilistiche.
Il tempo osservativo
Questo è il tempo durante il quale una particella browniana partita da una posizione
r = 0, arriva ad una nuova posizione r, diversa da zero. Questo è l’intervallo temporale
accessibile sperimentalmente al moto della particella browniana. Dovrà essere
Einstein, secondo il suo modo drastico di operare, non pensa più alla meccanica new-
toniana e fa ricorso ad un approccio totalmente nuovo (Langevin riprenderà invece il
formalismo newtoniano e lo reinterpreterà)
L’altra idea che sta dietro all’interpretazione del moto browniano da parte di Einstein
(e poi di Smoluchowski) è la condizione di assenza di influenza del passato sulla storia
futura della particella browniana: solo il presente condizione il futuro e non il passato. Il
moto browniano diventa anche il prototipo dei processi markoviani.
Ipotesi del modello di Einstein
1) ipotesi cinetica: le particelle browniane partecipano dell’agitazione termica del
mezzo in cui sono sospese e hanno quindi, all’equilibrio, una energia cinetica media di
traslazione pari a 3 2.
Questa è sicuramente una ipotesi importante e la velocità delle particelle browniane
deve tendere a quella termica. Le particelle di massa e quelle di massa hanno la
stessa energia cinetica media.Tuttavia, essendo le masse differenti, le loro velocità saranno
differenti,
r
3
=
2) Ogni particella browniana si muove in maniera indipendente dalle altre.
3) ipotesi di indipendenza statistica di eventi consecutivi per il moto della particella
browniana: esiste un tempo che sebbene piccolo da un punto di vista macroscopico, è
abbastanza grande da un punto di vista microscopico, in maniera tale che durante l’inter-
vallo molte molecole del fluido collidono con la particella browniana e il trasferimento
complessivo di quantità di moto da parte del mezzo alla particella produce uno sposta-
mento finito ∆r della sua posizione originale; dopo un’altro intervallo di tempo , un
altro trasferimento complessivo di quantità di moto fa avvenire un’altro spostamento e i
due spostamenti sono tra loro incorrelati.
CAPITOLO 3. PROCESSI MARKOVIANI, RANDOM WALK E MOTO BROWNIANO61
Inoltre, è importante ribadire che la misura sperimentale cui possiamo accedere è mag-
giore dell’intervallo temporale e quest’ultimo è molto più grande del tempo collisionale.
Se avessimo l’opportunità di andare a tempi osservativi più piccoli del tempo collisionale,
l’ambiente sarebbe risolto nelle sue parti, vedremmo la particelle del fluido come singole
particelle, il loro moto sarebbe deterministico e scomparirebbe il moto browniano. Al-
lora, affinché l’ambiente rimanga tale, cioè come un sistema ad infiniti gradi di libertà
non risolvibile nelle sue parti, occorre limitarsi a valori di intervallo temporale brevi, ma
maggiori del tempo ( ).
Come abbiamo detto, il valore di ogni spostamento ∆r è in generale differente dal
precedente. La variabile ∆r è una variabile casuale e si può definire una densità di
probabilità di transizione (∆r ) per essa. Ci limiteremo al caso unidimensionale.
Questa trattazione, con ∆ = ∆ = ∆ è stata già fatta in precedenza.
L’equazione che scriverà Einstein è essenzialmente una equazione di Chapman-Kolmogorov
(non nota al tempo di Einstein)
Z
( + ∆) = ( ) ( ; + ∆) (1)
Abbiamo, al primo membro, la funzione di permanenza nello stato ( + ) al tempo
+ ∆ e al secondo membro, nell’integrando, la funzione di permanenza in uno stato
qualsiasi ( ) per la probabilità di transizione (probabilità condizionata) dallo stato
( ) allo stato ( + ∆). L’integrazione è fatto su tutti gli stati al tempo , ma bisogna
ricordarsi che sono permesse solo le transizioni che avvengono durante l’intervallo ∆.
Nell’articolo sul moto browniano, Einstein pone
=+∆ = ∆
dove ∆ può essere sia positivo che negativo.
La forma della probabilità di transizione deve essere tale che l’integrale su tutte gli
intervalli spaziali ∆ di provenienza, durante il fissato intervallo temporale , diano la
certezza della transizione.
Infine Einstein assume che la probabilità di transizione sia una funzione pari (principio
del bilancio dettagliato),
(∆ ) = (−∆ ) (3)
La non dipende dalla posizione iniziale, sia nello spazio che nel tempo.
Seguendo la notazione di Einstein, introduciano la distribuzione delle particelle brow-
niane ( ) ( ( ) nella precedente notazione era una probabilità di occupazione di
uno stato). Essa ci dice che
( )
rappresenta il numero medio di particelle browniane contenute nell’intervallo ( + )
al tempo . Si trova immediatamente che
Z∞
( + ∆) = ( + ∆ ) (∆ ) ∆ (4)
−∞
Ora, assumiamo che gli ordini superiori al quarto siano trascurabili (questa ipotesi in
realtà si è dimostrata non è necessaria, Pawula) e poniamo
Z∞
1
= ∆2 (∆) ∆ (7)
2∆
−∞
Otterremo
2
= 2 (8)
Abbiamo avuto modo di dire che la soluzione di tale equazione è
µ ¶
1 2
( ) = √ exp − (9)
4 4
e può anche essere interpretata dicendo, (ricordiamo che la traiettoria di ciascuna parti-
cella browniana è indipendente dalle altre) che se al tempo = 0 una particella browniana
è in = 0, allora la probabilità di trovare la stessa particella, al tempo , in ( + ) è
µ ¶
1 2
√ exp −
4 4
che conferma la dipendenza dalla radice del tempo dello spostamento sperimentale.
Rimane la determinazione del coefficiente di diffusione , per operare il confronto con
i dati sperimentali.
CAPITOLO 3. PROCESSI MARKOVIANI, RANDOM WALK E MOTO BROWNIANO64
Φ = − (14)
Abbiamo quindi già l’espressione del flusso diffusivo, Φ .
Il moto browniano è il moto di una particella (più particelle ma in moto indipen-
dente tra di loro) immerse in un ambiente esterno. Per collegare il coefficiente di diffu-
sione ai parametri dissipativi, anch’essi dipendenti anche dal mezzo occorrerà ipotizzare
che il sistema costituito dalla particella e dall’ambiente costituiscano un sistema ter-
modinamicamente chiuso. In questo modo, utilizzando la distribuzione di equilibrio di
Maxwell-Boltzmann si potrà ottenere il legame tra il flusso diffusivo con quello dissipati-
vo. Ciò sarà possibile perché ipotizzeremo che il sistema complessivo non è molto lontano
dall’equilibrio.
Dobbiamo determinare il flusso dissipativo. Un flusso può scriversi come prodotto
della densità numerica per la velocità (per ottenere una densità di corrente occorre molti-
plicare per una proprietà molecolare; per esempio, se si moltiplica per la carica si otterrà
una densità di corrente elettrica):
Φ = (15)
dove ( ) è la densità numerica delle particelle browniane. La velocità può dedursi
dalla legge di Stokes:
= = (16)
dove = 1, è la mobilità. In generale il coefficiente d’attrito non è costante perché le
forze d’attrito, dovute all’interazione tra una particella e il mezzo, hanno un carattere non
locale, con un tempo di correlazione (vedi il paragrafo sulla funzione memoria) 6=
0 che ci narrano della non markoviatà del processo dissipativo. Grazie all’ipotesi di
markovianità (per → 0 la dipendenza temporale di ha un carattere di delta di
CAPITOLO 3. PROCESSI MARKOVIANI, RANDOM WALK E MOTO BROWNIANO65
Dirac) la dipendenza del coefficiente d’attrito si può assumere costante. Allora, l’intensità
del flusso dissipativo potrà scriversi
Questo significa che il flusso complessivo delle particelle browniane è costituito da due
parti:
Φ = − + () () (18)
Ora, assumiamo che i due contributi, in condizioni di stazionarietà, siano eguali:
= () ()
ovvero
= () (19)
Se la forza deriva da un potenziale
= 60 (24)
∆, la particella può saltare di un tratto ∆ a destra, con probabilità = 12 e lo in-
dicheremo con (+∆), e a sinistra di un tratto (−∆) con una probabilità = 12. Ogni
spostamento è indipendente dal precedente. Ogni spostamento definisce una variabile
aleatoria che può prendere i valori = (∆ −∆), con uguale probabilità. L’intero
processo, definisce una nuova variabile aleatoria, , definita da
X
= (2)
=1
X
2
1 1
h i = = (∆) + (−∆) = 0 (4)
=1
2 2
e poiché
X
hi = h i
=
avremo
hi = 0 (5)
Valutiamo la varianza. ®
2 = 2 − h i2
troveremo, poiché il valor medio è nullo,
® 1 1
2 = 2 = (∆)2 + (−∆)2 = (∆)2 (6)
2 2
Poichè tutti gli spostamenti sono indipendenti gli uni dagli altri, la varianza di è
la somma delle varianze delle :
X
2 = 2
avremo
2 = (∆)2 (7)
La varianza in termini del tempo
Ora, il tempo complessivo trascorso sarà
= ∆
CAPITOLO 3. PROCESSI MARKOVIANI, RANDOM WALK E MOTO BROWNIANO68
per cui
= (8)
∆
e la varianza diventa
(∆)2
2 = (9a)
∆
La dipendenza della deviazione standard dalla radice del tempo
q √
2 ∝ (9b)
è un risultato del solo carattere stocastico del moto. In particolare, il processo è a valor
medio nullo e varianza data dalla (7).
Come avevamo annunciato il comportamento diffusivo del random walk e’ una
conseguenza del teorema del limite centrale.
Passiamo a confrontare tale risultato con la descrizione continua precedentemente
proposta. Avevamo trovato, nel caso del random walk continuo che, il coefficiente di
diffusione era
1 (∆)2
= lim (9)
∆→0 2 ∆
Ma il limite per ∆ tendente a zero equivale per la (7) ad tendente all’infinito, cioè il
numero di eventi (se si pensa alle collisioni in un gas questi eventi sono descritti da una
distribuzione di Poisson) deve diventare molto grande. Ma quando un numero di eventi
indipendenti, aventi valor medio e varianza finita, tende all’infinito, la distribuzione
che caratterizza l’evento complessivo deve tendere ad una distribuzione gaussiana, sotto
opportune condizioni (teorema del limite centrale). Allora, la nuova analisi del random
walk ci riporta, nel caso continuo, al precedente: esso è un processo aleatorio a valor
medio nullo e varianza proporzionale al tempo, la cui distribuzione di probabilità è
µ ¶
1 2
( ) = (0 2) = √ exp − (11)
4 4
Il motivo di questa espressione è, ricordiamo ancora, che una gaussiana, di valor medio
e varianza 2 , si scrive:
à !
2
¡ ¢ 1 ( − )
2 = √ exp − (12)
2 2 2 2
La velocità media decade con un tempo di rilassamento dato dalla (4). Ritorniamo
alla (1) e scriviamola come
2 1
+ = () (5)
2
dove ricordiamo () è una forza per unità di massa.
Siamo interessati ora allo spostamento quadratico medio, cioé 2 . Quindi
abbiamo bisogno di una equazione differenziale per 2 .
Prendiamo la derivata prima di 2 :
¡ 2¢
= 2
e la derivata seconda, derivando il precedente risultato, sarà
µ ¶2
2 ¡ 2 ¢ 2
2
= 2 2 + 2
2 1
2
+ = ()
cioè è assunto che tra la posizione istantanea e l’accelerazione istantanea non vi è cor-
relazione. Questa ipotesi che Langevin giustifica dicendo a causa della irregolarità di
CAPITOLO 3. PROCESSI MARKOVIANI, RANDOM WALK E MOTO BROWNIANO71
2 ( 2 ) 1 ( 2 )
+ = 2 v2 (10a)
2
2 ( 2 ) 1 ( 2 )
+ = 2 v2 (10b)
2
e
2 ( 2 ) 1 ( 2 )
+ = 2 v2 (10c)
2
In definitiva potremo scrivere
2 ( 2 ) 1 ( 2 )
+ = 2 v2 (11)
2
2 ( 2 ) 1 ( 2 ) 6
2
+ = (14)
dove le costanti sono state scelte in maniera tale che al tempo = 0 , sia 2 che la
sua derivata prima siano nulle. Osserviamo che, poiché
µ ¶
− 1 2
'1− + − (16)
2 2
per , si ha
3 2
2 () ' = v2 2 (17)
CAPITOLO 3. PROCESSI MARKOVIANI, RANDOM WALK E MOTO BROWNIANO72
= v
6
2 () = 2 () ' = (6 ) (18)
Ricordiamo che Einstein aveva trovato per il coefficiente di diffusione l’espressione
= (19)
60
Il suo approccio aveva portato, nel caso unidimensionale ad moto a valor medio nullo e a
varianza proporzionale al tempo
= 0 (20)
e
2 () = 2 = 2 (21)
In tre dimensioni, si sarebbe ottenuto
h ()i = 0 (22)
Macrostati Microstati
4 teste TTTT
3 teste e 1 croce TTTC,TTCT;TCTT,CTTT
2 teste e 2 croci TTCC,TCTC,CTTC,TCCT,CTCT,CCTT
1 testa e 3 croci CCCT,CCTC,CTCC, TCC
4 croci CCCC
Supponendo che ciascuna moneta sia indipendente dalle altre, di conseguenza, ogni mi-
crostato ha una eguale probabilità di realizzarsi. Tuttavia, se noi eseguissimo moltissime
volte il lancio delle quattro monete constateremmo che si realizza con maggiore frequenza
lo stato macroscopico “2 teste e 2 croci”.
2) il lancio di particelle in un contenitore, diviso in due parti
Supponiamo di avere biglie e di lanciarle una alla volta, in un contenitore, diviso in due
parti, e , di volume differente, e . Se assumiamo che ogni lancio sia indipendente
dal precedente e che tutte le biglie finiscano, con certezza, nel contenitore, potremo
costruire una tabella molto più grande e mostrare tutti i possibili risultati del lancio delle
biglie e valutare lo stato macroscopico più probabile. Possiamo evitate tutto ciò facendoci
aiutare dal calcolo combinatorio. Troveremo che il numero di biglie contenute, in , cioè
delle biglie, è dato dalla seguente espressione,
µ ¶
!
= (4.1)
! ( − )!
Questa espressione sintetizza sia il risultato della tabella, in cui avevamo solo = 4, che
qualsiasi altro risultato, per arbitrario. Il calcolo combinatorio è la tecnica che arriva
in soccorso della teoria della probabilità quando deve esplicitare le sue inferenze.
Il risultato più rilevante dell’analisi della quattro biglie era l’affermazione dell’esistenza
di uno risultato con maggiore probabilità di realizzazione rispetto a tutti gli altri, e
questo corrispondeva ad uno dei possibili macrostati, che a sua volta era caratterizzato,
dall’avere in corrispondenza il maggior numero di microstati. Cioè, si realizzava con
maggiore frequenza, il macrostato, cui corrispondevano il maggior numero di microstati.
Questa particolarità, rende il macrostato con maggior possibilità di realizzazione, par-
ticolare, rispetto agli altri, tanto che, la teoria cinetica e poi la meccanica statistica,
hanno assunto che, lo stato che si realizza con maggiore frequenza è uno stato
di equilibrio.
Poiché la termodinamica si interessa di relazioni tra stati di equilibrio, dobbiamo indagare
le condizioni per la realizzazione degli stati di equilibrio, per poter conciliare il mondo
microscopico con quello macroscopico.
Abbiamo il primo indizio su come iniziare la nostra indagine sulla ricerca del legame tra
la meccanica newtoniana che governa il mondo microscopico e il mondo macroscopico in
stati di equilibrio.
Abbiamo bisogno di studiare quale sia il valore che massimizza la relazione (4.1).
Poiché si considerano sempre un numero elevato di particelle, si passa dalla (4.1) al
logaritmo della (4.1). Poi si assume che l’argomento del logaritmo sia una variabile
continua e dopo ancora si utilizza un’approssimazione del fattoriale, che sempre compare
in questi tipi di conti. Vediamo come.
Stabilire il valore che massimizza la relazione (4.1), equivale a ricercare il massimo
del logaritmo della (4.1), rispetto a .
Indichiamo il numero di stati microscopici accessibili al sistema con
!
Ω= (4.2)
! ( − )!
CAPITOLO 4. L’ENTROPIA STATISTICA 75
e passiamo al logaritmo µ ¶
!
ln Ω = ln (4.3)
! ( − )!
Come si vede, abbiamo a che fare con il logaritmo di un numero molto elevato. Si
può approssimare il ln con la funzione = ln , e mostrare che vale la seguente
approssimazione di Stirling:
ln ! ' ln − (4.4)
Ora, le quantità sono funzioni continue e per trovare il massimo della funzione (4.3) si
può derivare rispetto ad e porre il risultato uguale a zero. Allora, possiamo scrivere
Ponendo µ ¶
−
ln =0
troviamo, che il valore più probabile si ottiene quando
=
2
Abbiamo ritrovato il risultato che avevamo dedutto dal precedente esempio, ma senza far
uso di tabelle.
∆ = ln Ω (4.5)
1 2
Abbiamo imparato che le uniche informazioni che ci servono per dedurre la distribuzione
più probabile, cioè, quella che rappresenta lo stato di equilibrio, sono i numeri di particelle
che possiamo porre in ciascuna scatola energetica:
1 2
Tuttavia, abbiamo dei vincoli che condizioneranno la distribuzione di particelle nelle varie
celle energetiche. Se il sistema che consideriamo è isolato, allora sia il numero di particelle
che l’energia totale si conserveranno:
X X
= = (4.6)
La determinazione del numero di modi in cui possiamo distribuire le particelle nelle scatole
energetiche, sarà
!
Ω= (4.7)
1 !2 ! !
Dobbiamo valutare il massimo della funzione
X
ln Ω = ln ! − ln ( !) (4.8)
Allora, per massimizzare ln Ω abbiamo tre condizioni, descritte dalle (4.11) e (4.12);
poiché abbiamo tre quantità che devono essere zero nello stesso tempo, possiamo molti-
plicare due di esse per arbitrarie costanti,
X X X
ln = 0 = 0 = 0
che porta a
ln + + = 0
e infine
= exp (− − ) = exp (− )
che conclude la prova.
Tutte le quantità fisiche macroscopiche che valuteremo, contengono la somma sugli stati
al secondo membro. Di conseguenza, risulta naturale fare la seguente posizione
X
= exp (− ) (4.16)
che è detta funzione di partizione di particella singola ( viene dalla parola tedesca
Zustandsumme).
La conoscenza di questa funzione consente di determinare tutte le grandezze fisiche
utili alla conoscenza macroscopica del sistema.
Per esempio, il numero totale di particelle si scriverà
= (4.17)
per cui
1
hi = − =− (ln ) (4.19)
Poiché
1
= − (4.20)
2
possiamo anche scrivere
hi = 2 (ln ) (4.21)
Nota la funzione di partizione (in questo caso il logaritmo della funzione di partizione),
con una semplice derivata troviamo il valor medio dell’energia del sistema. E l’energia
totale media sarà
hi = hi (4.22)
ovvero
hi = 2 (ln ) (4.23)
La funzione di partizione dipende dal sistema fisico considerato.
per cui P 2
2® exp (− ) 1 2
= P = (4.26)
exp (− ) 2
CAPITOLO 4. L’ENTROPIA STATISTICA 80
Poiché, l’energia totale del sistema è data dalla (4.21) possiamo valutare la deviazione
standard relativa all’energia totale del sistema, immediatamente; e si avrà
q
p
hi
2
1
= '√ (4.30)
hi hi
In conclusione, possiamo, all’interno delle incertezze sulle misure di energia, consid-
erare il valore medio dell’energia totale, come il valore vero.
4.2.4 L’entropia
Seguendo Boltzmann, definiamo la seguente entropia
= ln Ω (4.31)
Dalla (4.13)
ln = ln ( exp (− )) = ln −
quindi " #
X
= ln − (ln + )
CAPITOLO 4. L’ENTROPIA STATISTICA 81
da cui " #
X X
= ln − ln +
ovvero
= [ (ln − ln ) + hi] (4.32)
Dalla relazione X X
= = exp (− )
ln − ln = ln (4.33)
= { ln + hi}
e ancora
hi
= ln + (4.34)
Infine, utilizzando l’espressione dell’energia totale media, eq.(4.23)
½ ¾
= ln + (ln ) (4.35)
= − (4.36)
dove = hi = hi. Avendo sia l’energia interna che l’entropia in funzione di ,
possiamo ottenere, in termini della funzione di partizione, anche l’energia libera:
½ ∙ ¸¾
2
= (ln ) − ln + (ln )
e semplificando,
= − ln (4.37)
CAPITOLO 4. L’ENTROPIA STATISTICA 82
Questo significa che i differenti stati della particella sono rappresentabili da punti in
uno spazio a sei dimensioni, detto spazio delle fasi, di singola particella, o spazio .
Una particella libera ha energia pari a
2
= (4.38)
2
Quando Boltzmann iniziò ad elaborare questo tipo di analisi, ipotizzò che non si
potesse considerare un punto come rappresentativo di uno stato, bensì, a causa delle
incertezze sperimentali, si dovesse sostituire al punto un volumetto nello spazio a sei
dimensioni, che chiameremo, punto equivalente:
Se si divide il volume complessivo dello spazio per tale volumetto, si ottiene il numero
totale di punti equivalenti che compongono l’intero spazio. Poiché, ciascuna coppia
∆∆ =
ha le dimensioni dell’azione, ciascun punto equivalente dello spazio della fasi avrà la
dimensione di un’azione al cubo
Le considerazioni di Boltzmann facevano riferimento alle incertezze sulle misure che effet-
tuano. In meccanica quantistica, le coppie ∆∆ sono dette coppie di variabili coniugate,
e si dimostra che la costante ha un valore, , che non dipende dalle nostre misure ed è
detta costante di Planck.
Quindi, la precedente relazione che aveva il difetto di essere indeterminata in fisica
classica diventa una costante fondamentale in meccanica quantistica.
Converremo di usare la notazione (4.40), dove, tuttavia, per ora, è solo una costante
che rappresenta l’azione; questo per consentire un rapido confronto con i risultati quan-
tistici.
Allora, il punto rappresentativo dello spazio , avrà dimensione 3 . Se dividiamo un
qualsiasi volume dello spazio per 3 , otterremo il numero di punti equivalenti contenuti
nel volume considerato. Consideriamo il nostro solito gas. Esso è posto in un contenitore
di volume . La distribuzione di equilibrio non dipende dalle coordinate spaziali, di
conseguenza ha senso chiedersi quanti punti equivalenti ci sono nel seguente volume:
∆ ∆ ∆
(4.41)
3
Questo numero di punti equivalenti rappresenta il numero di stati, che indipendentemente
dalla posizione di una particella, corrispondono a valori della quantità di moto di una
particella compresi negli intervalli, ( ∆ ), ( ∆ ), ( ∆ ). Oppure, in termini di
velocità,
3 ∆ ∆ ∆
(4.42)
3
Se si suppone che questi punti equivalenti siano abbastanza fitti da poterli trattare come
un continuo (da ( ∆ ), ( ∆ ), ( ∆ ), a ( ), ( ), ( )) allora, si
può definire una funzione detta densità degli stati, che consente di passare dalle somme
sugli stati agli integrali sugli stati. Poiché siamo interessati solo alla situazione di equilib-
rio, dove le componenti delle velocità risultano isotrope, possiamo limitarci al numero di
stati, che indipendentemente dalla posizione, abbiano la quantità di moto nell’intervallo
( ). Questo corrisponde al numero complessivo di questi punti contenuti nel volume
dello spazio tridimensionale, compreso tra le due sfere di raggio , e + , cioè a 42 .
Quindi il numero cercato è
42
3
e la densità degli stati avrà la seguente espressione
2
() = 4 (4.43)
3
In termini di velocità troveremmo,
µ ¶3
() = 4 2 (4.44)
Se si è interessati alla densità degli stati, per unità di volume, avremo
µ ¶3
4 2
() = 3 () = 4 2 (4.45)
Ribadiamo che la costante , nei calcoli classici è ancora una costante indeterminata.
CAPITOLO 4. L’ENTROPIA STATISTICA 84
si può ottenere la (). Per passare alla densità degli stati in termini dell’energia
occorre la relazione tra momento ed energia.
Posto
=
CAPITOLO 4. L’ENTROPIA STATISTICA 85
avremo µ ¶32 Z ∞√
2
= 3 2 exp (−)
0
poiché Z √
∞ √
exp (−) =
0 2
alla fine otterremo µ ¶32
2
= (4.50)
2
Ora possiamo valutare, in maniera esplicita, le diverse grandezze fisiche macroscopiche
per un gas ideale di particelle classico monoatomico, non relativistico.
4.4.3 L’entropia
Abbiamo trovato, vedi (4.35) che
hi
= ln +
Essa si può riscrivere prima come
= ln +
e poi usando la (4.52) ½ ¾
3
= ln + (4.55)
2
Ora possiamo riutilizzare la (4.50) e si ottiene
( µ ¶32 )
2 3
= ln + ln + (4.56)
2 2
che riscriviamo ½ ¾
3
= ln + ln ( ) + (4.57)
2
dove la costante è ∙ µ ¶ ¸
3 2
= ln −1 (4.58)
2 2
L’entropia che abbiamo ottenuto non è estensiva. Ricordiamo che per essere esten-
siva l’entropia deve essere omogenea di grado 1 nelle variabili estensive:
4.5 Esercizi
Esercizio 1: L’oscillatore armonico lineare
La funzione di partizione diventa,
Z Z ∞ µ ¶
1 ∞ ( )
= exp −
−∞ −∞
dove
2
( ) =+ 2
2 2
Allora Z µ ¶Z ∞ µ ¶
1 ∞ 2
= exp − exp −
−∞ 2 −∞ 2
Gli integrali sono noti:
1p p
= 2 2
ovvero √ √
2 2 1
= =
ovvero, considerando il logaritmo
µ ¶
2 √
ln = ln − ln
88
CAPITOLO 5. DISTRIBUZIONE DI UN SISTEMA DI N PARTICELLE 89
potremo scrivere ³ ´
(1 2 ) = exp − (5.13)
dove abbiamo posto
= 1 2 (5.14)
La (5.13) rappresenta la probabilità di trovare l’intero sistema, in un elemento di volume
, nel senso spiegato.
Dalla condizione di normalizzazione
Z µ ¶
exp − = 1 (5.15)
troviamo
1 1
= R ³ ´ = (5.16)
exp −
= (5.22)
CAPITOLO 5. DISTRIBUZIONE DI UN SISTEMA DI N PARTICELLE 91
Notiamo inoltre che esiste una differenza con la relazione ottenuta dalla funzione di
partizione di singola particella che abbiamo trovato nel precedente capitolo,
= − ln (5.23)
Allora, si comprende che nel caso di sistemi costituiti di parti non interagenti, i due
approcci sono equivalenti. Il vantaggio di usare le relazioni che si riferiscono all’intero
sistema risiede nel fatto che, in meccanica quantistica, è con queste relazioni che esiste la
corrispondenza.
Esercizio: Poiché Z µ ¶
−
hi = exp (5.24)
è l’energia media totale del sistema, mostrare che
hi = − (5.25)
e
= hi − (5.26)
che è esattamente la relazione prevista dalla termodimanica.
Esercizio: Mostrare che
= ln + (ln ) (5.27)
I
e di conseguenza l’entropia
" µ ¶32 #
2
= ln
2
che diventa ½ ¾
3
= ln + ln ( ) +
2
Questa espressione rappresenta l’entropia del gas ideale monoatomico classico, qualunque
sia l’approccio che si utilizza.
La variazione di entropia, per gas identici, che dovrebbe essere nulla per la termodinamica,
risulta invece, diversa da zero. L’entropia statistica classica non riproduce correttamente
il risultato termodinamico.
Vediamo come si potrebbe risolvere il problema.
Il termine che non fa annullare la variazione di entropia è il termine ln . Va-
lutiamo come questo termine scala quando si aumenta la dimensione del sistema. Se
l’entropia è estensiva deve accadere che
Se prendiamo = 2
= (5.31)
!
Questa suddivisione significa che le N! permutazioni delle N distinguibili particelle devono
essere considerate come 1. In altre parole, le particelle microscopiche non possono essere
considerate distinguibili, e quindi si erano considerati troppi stati possibili. Il conteggio
era sbagliato. Per tutte le grandezze fisiche rilevanti, questa divisione non comporta
alcuna modifica, fatta eccezione per l’entropia.
Infatti, se si adotta l’espressione di Z del capitolo quarto (eq.4.50) e e il risultato
(5.22) e poi si divide per il fattoriale di N, troveremo
µ ¶32
2 1
= 2
(5.32)
!
CAPITOLO 5. DISTRIBUZIONE DI UN SISTEMA DI N PARTICELLE 94
Si può porre insieme il logaritmo del volume, dentro la parentesi, con il nuovo logaritmo,
∙ ¸
3
= ln + ln ( ) + 0 (5.33)
2
dove 0 è una costante. Questa equazione è nota come equazione di Sackur-Tetrode. Ora
il termine significativo è diventato
ln
e se valutiamo la condizione di scala, troviamo che essa è verificata,
ln = ln
La scelta di dividere la funzione di partizione per il fattoriale di , rende l’entropia
statistica classica estensiva. Se consideriamo la condizione di estensività un vincolo,
allora dobbiamo optare per l’espressione (5.33).
Capitolo 6
Spazio delle fasi e meccanica
statistica
Si potrebbe dire che la meccanica statistica moderna inizia quando si passa dallo spazio
della singola molecola allo spazio Γ nel quale un intero sistema viene rappresentato da
un singolo punto. Lo scopo di questo capitolo è di studiare le proprietà geometriche dello
spazio Γ.
= ()
95
CAPITOLO 6. SPAZIO DELLE FASI E MECCANICA STATISTICA 96
Poiché
= (6.2)
̇
è il momento coniugato, avremo
X
= ( ̇ ) + (6.3)
Abbiamo detto che nel caso = 1 le traiettorie dell’oscillatore sono delle circonferenze
con il centro posto nell’origine del sistema di riferimento, ( ). Un punto, su una qualsiasi
di queste circonferenze, (il valore dell’energia fissa la circonferenza nello spazio delle
fasi: ad ogni energia possiamo associare una determinata circonferenza e un punto, se si
conserva l’energia rimane sempre sulla stessa circonferenza) si muove con velocità angolare
costante. Tangente a tale curva ci aspettiamo che ci sia un vettore velocità che non
abbiamo ancora compreso come sia legata all’Hamiltoniana del sistema.
Al variare del valore dell’energia potremmo riempire tutto lo spazio di circonferenze.
Questo insieme di circonferenze che associamo ad uno stesso sistema costituisce un fluido,
nell’ipotesi che i valori dell’energia siano talmente vicini da rappresentare un continuo.
Allora, nello spazio delle fasi, ad un oscillatore armonico possiamo pensare associato un
fluido. E tutto il fluido, nel corso del tempo, ruota intorno all’origine del sistema di
riferimento.
Tutto ciò si può generalizzare ad un numero arbitrario di coordinate generalizzate.
Se sono , lo spazio delle fasi avrà dimensione 2 e quindi il fluido associato al sistema
avrà anch’esso 2 dimensioni (se abbiamo un gas costituito da particelle indipendenti,
allora dovremmo considerare 3 componenti e 3 componenti e la dimensione dello
spazio sarebbe di 2 = 6). Se si fissa l’energia del sistema, la superficie
( ) =
CAPITOLO 6. SPAZIO DELLE FASI E MECCANICA STATISTICA 98
sarà una superficie di (2 − 1) dimensioni. Per ogni valore di si ha una di queste
superfici e al variare di queste superfici riempiono l’intero spazio delle fasi. Un punto
(stato del sistema) che si muove su di una di queste superfici rimane sempre su questa
superficie.
Allora, ad sistema fisico di gradi di libertà possiamo associare un fluido nello spazio
delle fasi di 2 dimensioni.
che diventa µ ¶
X ̇ ̇
=− ̇ + + ̇ +
=1
̇ ̇
Dobbiamo determinare
e
. Iniziamo con il primo termine. Sapendo che valgono
le equazioni di Hamilton:
µ ¶ µ ¶
̇ 2 2
= = = =
da cui,
µ ¶
X
+ ̇ + ̇ = 0
=1
CAPITOLO 6. SPAZIO DELLE FASI E MECCANICA STATISTICA 99
{ } = 0
Poiché, le coordinate dello spazio, ( ) sono, a loro volta delle variabili dinamiche,
non meraviglia che le equazioni del moto, nello spazio delle fasi si possano, allora scrivere.
= { } = { } (6.20)
Notare che il segno meno è sparito nella prima equazione, anche se risulta nascosto
nella definizione della parantesi di Poisson.
che diventa µ ¶
X
{ } = ̇ + ̇
=1
Questa ci autorizza a scrivere
+ { } = 0 (6.22)
E questa è la forma dell’equazione di Liouville, nello spazio delle fasi, in termini delle
parentesi di Poisson. Come avevamo annunciato nel paragrafo del teorema di Liouville,
se non dipende esplicitamente dal tempo = 0, e
=0 ⇐⇒ { } = 0
= 0
Tuttavia, se si passa dalle coordinate cartesiane a quelle polari, per esempio. abbiamo
=− =
allora la trasformazione è detta canonica.
Condizione necessaria e sufficiente perché la trasformazione sia canonica è che con-
servi le parentesi di Poisson.
q ( = 0) = q0 p ( = 0) = p0
allora attraverso le soluzioni è definito un flusso nello spazio delle fasi Φ tale che
Φ : R2 → R2 (6.24)
Φ+
= Φ ◦ Φ (6.25)
con
Φ0 = (6.26)
dove è un aperto in R2 ( ⊂ R2 ). Inoltre con || indichiamo una misura di .
Il teorema di Liouville, come conservazione della misura del volume nello spazio delle
fasi, è equivalente alla seguente relazione.
¯ ¯
¯Φ ¯ = || (6.27)
Capitolo 7
Gli ensembles statistici
che corrisponde allo stato macroscopico . In altri termini, ad ogni stato macroscopico
di tipo termodinamico, , , , ....., corrispondono differenti volumi dello spazio Γ.
Possiamo anche descrivere l’evoluzione verso l’equilibrio. Supponiamo che il sistema
sia inizialmente in una stato macroscopico e poi successivamente per qualche motivo
il sistema passa in un stato di equilibrio . Possiamo affermare che Γ Γ : il volume
dello spazio Γ, corrispondente allo stato di equilibrio Γ risulta sicuramente maggiore del
volume iniziale Γ . Il sistema dinamico, da un punto di vista macroscopico, passa sempre
più tempo in volumi dello spazio Γ, associati a stati macroscopici, che sono sempre più
grandi.
Si potrebbe assumere una proporzionalità tra l’entropia e il logaritmo del volume
associato a ciascuno stato macroscopico in maniera tale che l’aumento del volume cor-
risponderebbe ad un aumento dell’entropia.
In altre parole, ad ogni microstato abbiamo associato un punto nello spazio Γ,
mentre ad un macrostato corrisponde un volume dello spazio delle fasi del sistema.
In questo nuovo contesto, l’entropia di uno stato macroscopico, risulta proporzionale al
logaritmo del volume occupato da tutti gli stati microscopici che corrispondono al deter-
minato stato macroscopico. Allo stato di equilibrio corrisponde un volume dello spazio
Γ maggiore, o anche molto maggiore, di quello fuori dall’equilibrio in cui inizialmente si
trovava il sistema.
Osservazione
Nel momento in cui si passa nello spazio Γ e un punto rappresenta l’intero sistema
risulta evidente che si rinuncia a fare ipotesi specifiche circa la costituzione microscopica
di un sistema. I risultati di questo formalismo avranno una validità generale. Secondo
Gibbs questa formulazione fornirebbe una fondazione razionale alla termodinamica come
si evince dal sottotitolo del suo libro Elementary Principles in Statistical Mechanics;
developed with special reference to the rational foundation of thermodynamics.
In altri termini, deve valere anche per i punti rappresentativi di un ensemble l’equazione
di continuità: se si considera un volume V qualsiasi, il numero di punti rappresentativi
(numero di copie) che fluiscono nell’unità di tempo da V deve essere uguale al tasso di
decrescita del numero di copie (punti rappresentativi) in V. Poiché è sempre la dinami-
ca hamiltoniana che governa la dinamica dei punti rappresentativi, continua a valere il
teorema di Liouville. Quindi, possiamo definire una densità ( ), in maniera tale che
Indichiamo con
∆1 ∆2 ∆
i differenti tempi di permanenza nel volumetto ∆3 , rispetto ad un tempo totale in cui
si osserva il sistema (il tempo totale è assunto molto più lungo del tempo di osservazione
di una singola misura). Allora, se indichiamo con
∆ = ∆1 + ∆2 + + ∆
il tempo totale che una particella ha trascorso nel volumetto i-esimo, possiamo considerare
la seguente probabilità
∆
P () = lim
→∞
dove è il tempo osservativo.
Il valore medio, di una qualsiasi grandezza si troverà ponendo
X
hi = P ()
La somma è estesa a tutti i volumetti in cui abbiamo diviso il nostro spazio. Questo
valore medio, si dice che è calcolato rispetto al tempo.
Supponiamo invece di avere un numero di copie identiche del nostro contenitore. La dif-
ferenza tra le varie copie, è nella differente posizione in cui è possibile trovare la particella
che stiamo esaminando.
Se guardiamo ad un determinato istante tutte le copie,
CAPITOLO 7. GLI ENSEMBLES STATISTICI 107
possiamo valutare il numero di volte in cui la particella è nel contenitore -esimo, nello
stesso istante. Indichiamo tale numero con .
Possiamo considerare la seguente probabilità
P () = lim
→∞
La somma è estesa a tutti i volumetti in cui abbiamo diviso il nostro spazio. Questo
valore medio, si dice che è calcolato rispetto all’ensemble.
Allora, la determinazione del numero medio si può fare in due modi equivalenti: o va-
lutando il tempo di permanenza di una molecola in un volumetto sul tempo totale di
osservazione, oppure valutando il numero di sistemi identici, nei quali una particella è in
un volumetto, rispetto al numero totale di sistemi identici. Sia il tempo osservativo che
il numero di sistemi identici devono essere molto grandi.
Noi assumeremo che le due medie portano allo stesso valore medio delle grandezze fisiche
che considereremo. Lo studio di questa uguaglianza e della sua validità è noto come
problema ergotico.
Ritornando allo spazio ΓIl valore medio di una grandezza fisica è dato dalla media
sull’ensemble RR
( ) ( )
= RR
( )
Assumeremo che la media sull’ensemble è uguale alla media temporale.
Poiché l’energia può essere determinata solo con una certa precisione, una forma più
corretta della distribuzione statistica sarebbe
½
( ) +
( ) = (7.1)
0
Il volume occupato dall’intero insieme microcanonico è
Z
Γ () = ( ) (7.2)
()+
l’integrale di 2n-dimensionale è fatto su una regione dello spazio delle fasi soddisfacenti
i vincoli di volume costante, di costante numero di particelle, ma la cui hamiltoniana è
sottoposta al vincolo energetico, ( ) + .
Allora, il numero di stati la cui energia è compresa nella shell di energie ( + ) si
potrà scrivere
Γ () = Σ ( + ) − Σ () = Ω ()
dove abbiamo introdotto la densità degli stati Ω () = Σ()
.
Z Z
Ω () = ( + − ( )) − ( − ( ))
Questo integrale non è altro che una ipersuperficie. Se è la dimensione dello spazio,
la superficie si potrà scrivere come
= −1 (7.5)
dove è una costante che dipende dalla dimensione dello spazio. L’integrale può essere
trasformato, usando la simmetria sferica del problema in un integrale in una dimensione.
Facciamoci guidare dal caso tridimensionale. Il nostro sistema è costituito da
particelle indipendenti,
Z Ã !
X3
2
Ω () = 1 2 3 − (7.6)
=1
2
Data la simmetria del problema, si possono usare le coordinate sferiche e integrare sulle
variabili angolari, Z ∞ µ ¶
2 2
Ω () = 4 − (7.7)
0 2
Questo risultato suggerisce di scrivere la (7.4) come segue
Z ∞ µ ¶
3−1 2
Ω () = − (7.8)
0 2
dove abbiamo indicato la costante geometrica con . Questa costante dovrà essere
determinata.
Ritorniamo all’integrazione nel caso tridimensionale. L’integrazione sulla delta può
eseguirsi. Per esempio, posto
2
= =
2
CAPITOLO 7. GLI ENSEMBLES STATISTICI 111
Z ∞
Ω () = 4 √ (2) ( − )
0 2
ovvero Z ∞ p
Ω () = 4 (2) ( − )
0
e quindi Z ∞ p
Ω () = 4 (2) ( − )
0
da cui √
Ω () = 4 2
Procedendo come nel caso tridimensionale, otterremo prima
Z ∞ q
Ω () = (2)3−1 ( − ) (7.9)
0
e poi q
Ω () = (2)3 −1
(7.10)
Non rimane che determinare la costante geometrica.
Per valutare la costante geometrica partiamo dagl’integrali gaussiani,
Z ∞ Z ∞
¡ 2¢ ¡ ¢ ¡√ ¢
1 exp −1 exp −2 =
−∞ −∞
e poi (√ ) ∙ √ q ¸
3−1 3−1
ln Ω () = ln + ln ¡ 3 ¢ + ln 2 (2)
3
2
−1 !
esplicitando
³√ ´ µ ¶ ∙ √ q ¸
3 3−1
ln Ω () = ln + ln 3 −1 − ln − 1 ! + ln 2 3 (2)
2
arriviamo a
µ ¶ µ ¶ ∙ √ q ¸
3 1 3 3−1
ln Ω () = ln + − ln − ln − 1 ! + ln 2 3 (2)
2 2 2
Per molto grande possiamo approssimare, i due termini
3 1 3 3 3
− ' −1'
2 2 2 2 2
e usare l’approssimazione di Stirling per il logaritmo del fattoriale:
µ ¶ µ ¶ µ ¶
3 3 3 3
ln !' ln −
2 2 2 2
CAPITOLO 7. GLI ENSEMBLES STATISTICI 113
Avremo,
µ ¶ µ ¶ ∙ √ q ¸
3 3 3 3 3−1
ln Ω () = ln + ln − ln + + ln 2 3 (2)
2 2 2 2
da cui
µ ¶ µ ¶ ∙ √ q ¸
3 2 3 3 3 −1
ln Ω () = ln + ln + + ln 2 (2)
2 3 2
e infine ∙ µ ¶ ¸
3 2
ln Ω () ' ln + ln + (7.14)
2 3
dove è una costante. Poiché,
3
= (7.15)
2
potremo scrivere ∙ ¸
3
ln Ω () ' ln + ln ( ) +
2
In definitiva, l’entropia sarà
½ ∙ ¸¾
3
= ln + ln ( ) + (7.16)
2
Possiamo confrontare tale espessione con l’entropia del gas ideale monoatomico deriva-
ta nel capitolo quinto ∙ ¸
3
= ln + ln ( ) +
2
Il confronto delle due ultime espressioni ci consente di affermare che l’entropia del gas
ideale monoatomico microcanonico coincide con l’entropia di Boltzmann dello stesso gas.
ln Ω = ln − − 1 ln 1 + 1 − ( − 1 ) ln ( − 1 ) + − 1
avremo prima
³ 1 ´ ³ 1 ´ ³ 1 ´
ln Ω = ln − 1 ln 1 − 1 − ln − 1 − ln 1 −
e infine h ³ ´ ³
1 1 1 ´ ³ 1 ´i
ln Ω = − ln + 1− ln 1 − (7.19)
Posto
=
troveremo, dall’espressione dell’energia.
1 1− 1 1+
= 1− =
2 2
e la seguente forma dell’entropia,
∙µ ¶ µ ¶ µ ¶ µ ¶¸
1+ 1+ 1− 1−
= − ln + ln (7.20)
2 2 2 2
Ora, dal primo principio della termodinamica
µ ¶ µ ¶ µ ¶
1 1
= = = (7.21)
mentre µ ¶
1+
=− ln
2 1−
In definitiva µ ¶
1 1−
= ln (7.22)
2 1+
CAPITOLO 7. GLI ENSEMBLES STATISTICI 115
Allora, la distribuzione statistica del sistema ( + ), che indicheremo con potrà
scriversi,
1
= (1)
Ω ()
CAPITOLO 7. GLI ENSEMBLES STATISTICI 116
otterremo
ln Ω ( ) = ln Ω () − (4)
dove abbiamo posto µ ¶
ln Ω ( )
= (5)
'
Se si prende l’esponenziale dell’ultima relazione si ottiene
Ω ( ) = Ω () exp (−) (6)
Vediamo che questo risultato ci dice che il serbatoio viene coinvolto solo attraverso il
fattore . Ora possiamo ottenere la nuova distribuzione statistica
Ω ( ) Ω ()
= = exp (−) = exp (−) (7)
Ω () Ω ()
doce è una costante che si può derivare dalla normalizzazione, ma che in ogni caso è
indipendente dal sistema A. La condizione di normalizzazione si ottiene sommando su
tutti gli stati del sistema piccolo, quindi
X
exp (− ) = 1
exp (−)
= (9)
Questa equazione esprime la probabilità che un particolare stato del sistema, la cui
energia è , sia occupato. Si può inoltre mostrare che
1
=
dove è la temperatura dell’ambiente cui è connesso il sistema A.
dove
X
2
= (11)
=1
2
L’integrazione può essere eseguita rapidamente perché avremmo N termini tutti uguali
alla funzione di partizione di particella singola
Z Z µ ¶
2
3 3
= exp − = (2 )32 (12)
2
per cui
= = (2 )32 (13)
Ritroviamo ancora una volta il consueto risultato. E si potrebbero riottenere anche
tutti glia altri risultati.
N! N!
Ω= =Q (14)
1 !2 !
CAPITOLO 7. GLI ENSEMBLES STATISTICI 118
Usiamo Stirling,
" # " #
X X
N = [ln N !] − ln ! = N ln N − N − ( ln − )
P
e poiché N = otterremo
" #
X
N = N ln N − ln (16)
e in definitiva " #
X ³ ´
N = − N ln (17)
N N
Poiché N tende all’infinito,
= (18)
N
rappresenta la probabilità che il sistema sia nello stato | i. L’entropia per sistema
avrà la seguente espressione
" #
N X
= = − ln (19)
N
XΩ µ ¶
1 1
= − ln = ln Ω (21)
=1
Ω Ω
CAPITOLO 7. GLI ENSEMBLES STATISTICI 119
che diventa
" # " #
X X 1 X
= + ln = + ln (23)
Poiché, X
hi =
Avremo µ ¶ µ ¶
→0 exp − = exp =1
il secondo termine si annulla mentre il primo diventa
= ln 2 (4)
Caso
Il secondo termine, avendo al denominatore un esponenziale che diventa infinito, si
annulla. L’esponenziale del primo termine diventa nullo e rimane
= ln 1 = 0 →0 (5)
Poiché µ ¶
2 1 + tanh
exp =
1 − tanh
troveremo che l’energia media del sistema sarà
Questo risultato coincide con quello ottenuto nel caso microcanonico, solo che in quello
microcanonico non valutavamo l’energia media ma l’energia costante del sistema.
La capacità termica
Potremmo anche valutare la capacità termica del sistema. Infatti
hi
= (7)
e troveremo
2 1 1
= 2 2 (8)
cosh ( )
Possiamo valutare questa espressione in due limiti.
Caso
Avremo
→0 cosh ( ) = 1
CAPITOLO 7. GLI ENSEMBLES STATISTICI 121
e quindi
2 1
= (9)
2
Caso
Avremo
→∞ cosh () ' exp () = ∞
e quindi
=0 →0 (10)
In questo caso
1
= (1)
Ω ( )
e ripetendo le stesse considerazioni già svolte per l’ensemble canonico, troveremo che
Ω ( )
= (2)
Ω ( )
= + = +
Ponendo
µ ¶ µ ¶
ln Ω ( ) ln Ω ( )
= =
' ' ' '
troviamo prima
ln Ω ( ) = ln Ω ( ) − −
e poi
Ω ( ) = Ω ( ) exp (− − ) (3)
Allora,
Ω ( )
= exp (− − ) = 0 exp (− − ) (4)
Ω ( )
dove la costante 0 sicuramente non dipende dal sistema . La costante 0 si ottiene
dalla normalizzazione e sarà l’inverso della funzione di partizione grancanonica:
1
0 = (5)
Z
con XX
Z= exp (− − ) (6)
Vale la pena ricordare che l’energia dipende a sua volta dal numero di particelle.
7.5.1 Il significato di e
Il primo principio della termidinamica si scrive
= + − (7)
D’altra parte la definizione statistica di entropia
= ln Ω ( )
comporta che
ln Ω ln Ω ln Ω
= + +
Se si confrontano le due espressioni si ottengono le seguenti relazioni
ln Ω 1 ln Ω ln Ω
= = =− (8)
CAPITOLO 7. GLI ENSEMBLES STATISTICI 123