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ULISSE

Ulisse nel tempo


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IL PROEMIO DELL'ODISSEA
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L'ULISSE DI DANTE
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"A Zacinto" di Foscolo
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Ulisse, poesia di Saba
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Primo Levi: L’importanza della memoria nel Canto di Ulisse
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Ulisse secondo Kavafis
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Ulisse nel tempo
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L'eroe nell'epica classica

Ulisse
Achille
Ettore
Corrado
Poesie
Canzoni

La figura di Ulisse è una delle più affascinanti dei poemi omerici: è polytropos,
l’eroe dai mille volti;è il guerriero coraggioso, imperturbabile di fronte alla morte, uomo
astuto mosso dal desiderio di conoscere, l’uomo che soffre per la lontananza dalla sua
terra, dalla casa, dalla sua sposa e dal figlio.
L'immagine che si ha di lui, già nell'Iliade, è quella di un uomo molto astuto
(polymetis), il cui intervento è richiesto nei momenti critici. È Odisseo che restituisce al
sacerdote Crise la figlia Criseide, in modo che si plachi l'ira di Apollo e che si reca da
Achille per convincerlo a riprendere la battaglia e, al suo rifiuto, penetra con Diomede,
durante la notte, nel campo troiano e uccide Dolone, che a sua volta spiava i Greci; ed è
ancora Odisseo che interviene, dopo la riconciliazione tra Achille e Agamennone, per
dare consigli su come affrontare il combattimento finale con i Troiani. La massima
espressione del suo ingegno è l'espediente del cavallo di legno, che consente la vittoria
dei Greci sui Troiani e la conquista di Ilio. La dea protettrice di Odisseo è appunto Atena,
simbolo di abilità e intelligenza. L'immagine di questo eroe è talvolta associata a quella di
un imbroglione falso e ingannatore: l'epiteto "multiforme" assume in questo caso una
connotazione negativa, ossia colui che ha "mille volti", nessuno dei quali autentico.
L'Odissea arricchisce e completa la figura dell’eroe: egli appare anche come
polytlas, "molto paziente", come colui che accetta il proprio destino e sfrutta le sue doti
naturali - la pazienza e l'ingegno - per potere finalmente rivedere la propria terra. Questo
è l'aspetto meno eroico e più umano di Odisseo: egli è profondamente legato a Itaca, il
luogo in cui ha lasciato la sposa Penelope e il figlio Telemaco, dove ha la sua casa e dove
può condurre la vita che desidera. Non c'è nulla, durante il lungo e travagliato viaggio che
lo faccia desistere dal suo obiettivo, nemmeno la possibilità di vivere accanto a una
splendida ninfa come Calipso e di godere dell'eterna giovinezza.
Odisseo, a Itaca, ha costruito il suo letto nuziale in un tronco di ulivo: il simbolo
dell'unione coniugale, dalla quale è nato un figlio, è saldamente legato alla sua terra. Itaca
diventa, così, la meta più desiderabile, è il simbolo degli affetti.
Ha esercitato grande fascino su autori di epoche diverse, che si sono ispirati all'
eroe.
Riportiamo qui un elenco, certamente non esaustivo degli scrittori, dei quali il
nostro gruppo ha deciso di approfondirne solo alcuni tra quelli trattati nel corso di
quest'anno o di quello precedente.
Luciano di Samosata scrittore di origine siriaca del II sec. d.C., nella Storia vera
racconta in prima persona un viaggio immaginario che lo ha portato nei luoghi più
impensati. Nell'Isola dei Beati egli incontra Ulisse, il quale, senza che Penelope se ne
accorga, gli affida una lettera da portare a Calipso: il tono colloquiale e il contenuto della
missiva, oltre ad avere una chiara funzione parodistica, mettono in risalto l'aspetto più
umano e semplice di Ulisse, molto lontano dall'impavido eroe omerico.

Dante Alighieri (1265-1321) colloca l'eroe greco nel girone infernale dei consiglieri
fraudolenti. La natura umana, secondo l’Ulisse della Divina Commedia, trova
soddisfazione mettendosi alla prova, misurandosi con le proprie capacità, seguendo "virtù
e conoscenza". Di conseguenza, Ulisse è visto dal poeta come uomo che rinuncia alle
gioie del ritorno per amore di sapere.

Giovanni Pascoli (1855-1912) nel componimento più ampio dei Poemi conviviali,
rappresenta un Ulisse ancora diverso, specchio dell'inquietudine del poeta stesso. L'Ulisse
di Pascoli riparte stanco della monotonia di Itaca e ripercorre le numerose tappe del suo
lungo peregrinare, ma la sua ansia di sapere è ben diversa da quella dell'eroe omerico o
del personaggio dantesco: le domande che egli si pone riguardano l'esistenza umana. Le
conclusioni a cui giunge sono angoscianti: è preferibile non fare esperienza della vita e di
tutto ciò che, nel bene e nel male, essa comporta, piuttosto che viverla sapendo che,
prima o poi, tutto dovrà necessariamente finire, inghiottito nell'oblio della morte.

Gabriele D'Annunzio (1863-1938) in Maya fa apparire la figura dell'eroe come quella di


un superuomo. Il viaggio diventa quindi emblema di una vita libera e di pienezza eroica.
Nello stesso tempo però, a tutto ciò D'Annunzio mette in contrapposizione l'aspetto
inquietante dell' immensa solitudine che avvolge Ulisse durante la navigazione,
consapevole di aver perso la propria dimensione di uomo, dopo essersi accorto di essere
rimasto solo.

Gozzano (1883-1916) nel poemetto L'ipotesi fa apparire la figura di Ulisse in maniera


ironica, quasi ridicola. Ulisse diventa un personaggio spogliato della propria sacralità e
intoccabilità, doti esaltate invece da D'annunzio. L'eroe - che per lui non si può più
chiamare tale - e' descritto come un avventuriero che approda sulle spiagge dei
Mediterraneo, infedele alla moglie e che vive in modo dissennato.

Umberto Saba (1883-1957) nella lirica intitolata Ulisse inquadra l'eroe, in una visione
autobiografica, come uomo che, nonostante la sua vecchiaia, ha ancora voglia di provare
emozioni. Il lungo peregrinare di Ulisse e le insidie che egli si trova costretto ad
affrontare non sono altro che una metafora della vita e delle difficoltà che essa riserva a
ogni individuo.

James Joyce (1882-1941) nella sua opera intitolata Ulysses paragona l'eroe Odisseo ad
un uomo inglese, Leopold Bloom. Quest'ultimo è un agente d'affari, che a causa dei suo
lavoro è costretto a viaggiare molto. Tramite il viaggio il protagonista viene presentato
quasi in chiave ironica, ed incarna alcune doti di Odisseo, quali la pazienza, l'amore per i
viaggi e la nostalgia di casa.

Cesare Pavese (1908-1950) ripropone un dialogo fra Calipso e Odisseo che mette in
contrasto diversi aspetti dell'uomo viaggiatore, come il restare fermi in un luogo e il
desiderio di ritornare in patria, oppure l'appagamento e la ricerca continua. Un aspetto
che Pavese fa risaltare in maniera più evidente è il contrasto fra la mortalità tanto
desiderata da Odisseo, poiché è forte il suo desiderio di ritornare in patria, e l'immortalità
offertagli da Calipso per restare con lei nell'isola.

Georgios Seferis (1900-1971) nell'opera intitolata "Sopra un verso straniero" descrive la


figura di Odisseo come quella di un viaggiatore che ha nostalgia di casa. Vengono
ricordati tutti gli ostacoli e le difficoltà superate durante il viaggio, che rappresentano
metaforicamente le peripezie e i momenti negativi della vita di ogni uomo. Sempre in
modo metaforico, la navigazione diviene un ritorno indietro nel tempo, dove è l'anima a
fare da timone e a parlare con i defunti per porre fine all'amarezza di veder morire i
propri cari.
IL PROEMIO DELL'ODISSEA
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IL PROEMIO
Omero

Narrami, o Musa , dell’eroe multiforme, che tanto


vagò, dopo che distrusse la rocca sacra di Troia:
di molti uomini vide la città e conobbe i pensieri,
molti dolori patì sul mare nell’animo suo,
per acquistare a sé la vita e il ritorno ai compagni.
Ma i compagni neanche così li salvò, pur volendo:
con la loro empietà si perdettero,
stolti, che mangiarono i buoi del Sole
Imperione: ad essi egli tolse il dì del ritorno.
Racconta qualcosa anche a noi, o dea figlia di Zeus.
Da Odissea, libro I, vv.1-10

COMMENTO
Omero, nell’incipit del suo testo più famoso, l’Odissea, affronta già tutti i temi
che poi svilupperà più ampiamente nell’arco dei XXIV libri di cui quest’opera è
composta.
Nel primo verso viene subito esaltata la versatile intelligenza dell’eroe, Ulisse,
che durante i suoi viaggi alla ricerca dell’avventura, attraverso l’inganno, riuscì ad
espugnare Troia e conobbe numerose genti.
Sempre in questi primi dieci versi, Omero introduce anche il naufragio dell’eroe e
dei suoi compagni, per poi parlare del tema del ritorno, ostacolato dagli dei.
Questi, insieme ad altri trattati da autori seguenti, saranno i temi di cui si parlerà
in epoche più tarde; all’eroe impavido dall’arguta intelligenza si andranno poi ad
aggiungere quello fragile, quello desideroso di libertà, il superuomo ma anche l’antieroe.
(Gabriele Chiarini, 2^I1)
L'ULISSE DI DANTE
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CONTRO ULISSE
Demitizzare un modello negativo

L'ULISSE DI DANTE
La scelta della pena
Nell'ottava bolgia, delle dieci dell'ottavo cerchio del suo Inferno, Dante condanna senza
mezzi termini i consiglieri fraudolenti della sua Firenze. Li paragona a "lingue di fuoco",
perché ha voluto creare un contrappasso adeguato alla complessità della colpa di questi
"ladron", che ingannarono le loro vittime (soprattutto con l'arte oratoria), nascondendo
dietro false intenzioni il loro vero scopo, per cui adesso sono costretti a restare nascosti
per sempre da un fuoco che li brucia dolorosamente, rubando l’immagine della loro
forma fisica, così come nella loro vita essi furono ladri della buona fede altrui.
La fiamma che li avvolge assume addirittura i connotati fisici delle anime in pena, al
punto d'assomigliare a una lingua che, guizzando, emette suoni articolati.
L'incontro con Ulisse
Ma quando viene a sapere che tra i dannati vi è pure Ulisse (in compagnia dell'amico
Diomede), l'atteggiamento di Dante cambia completamente.
Al pari degli altri dannati, Ulisse viene presentato come un uomo chiuso in se stesso,
anche se in quel momento è desideroso di parlare coi due inaspettati ospiti (Dante e
Virgilio). Di fronte alla grandezza d'un personaggio del genere, osannato da tutta la
letteratura greca e latina, Dante si sente piccolo e avverte di dover fare molta attenzione a
misurarsi con lui. Anzi, temendo troppo il confronto con un personaggio del genere, il
poeta non s'arrischia neppure d'interrogarlo e lascia che al suo posto lo faccia Virgilio.
Siccome ha deciso di metterlo all'Inferno, deve poter dimostrare questa sua scelta in
maniera "oggettiva" o, se vogliamo, "etica", senza indulgere troppo nell'artificio letterario
e senza lasciarsi dominare dalla passione politica.
I motivi della condanna
Ulisse viene condannato per motivi sia politici che morali:
perché, insieme a Diomede, con l'inganno convinse Achille a guerreggiare contro i
troiani, inducendolo ad abbandonare la sposa Deidamia, che morì di crepacuore;
perché escogitò l'inganno del cavallo per conquistare Troia (Dante accetta la leggenda di
Virgilio secondo cui i romani sono discendenti di Enea profugo di Troia);
perché Ulisse e Diomede rubarono alla città sconfitta il Palladio (statua di Atena),
mostrando così il loro disprezzo per le cose sacre;
perché rinunciò all'affetto paterno per il figlio, alla pietà filiale per il padre, all'amore
doveroso per la moglie, semplicemente per inseguire sogni di avventura, al fine di
"divenir del mondo esperto / e de li vizi umani e del valore"(XXVI, 97-99);
perché convinse i suoi compagni marinai a tentare una folle impresa, che mai nessuno
aveva rischiato: quella di costeggiare l'Africa sino alla punta estrema. In tal senso la
condanna sfiora l'accusa di empietà, cioè di ateismo, in quanto il limite delle colonne
d'Ercole (presso lo stretto di Gibilterra) era stato posto dagli stessi dèi (sulle colonne,
secondo i latini, era scritto: “Non plus ultra”).
Ma perché, se i motivi sono così espliciti e ben delineati, Dante non ha neppure il
coraggio di parlare con Ulisse? Per quale motivo si è sentito indotto a inventare
l'escamotage secondo cui Ulisse, essendo un grande eroe greco, non si sarebbe abbassato
a parlare con un poeta che scriveva in volgare fiorentino?
Ulisse viene messo all'Inferno per delle colpe che costituirono tra gli intellettuali, i
politici, i militari... dell'antichità un motivo di vanto o comunque una necessità del tutto
scusabile, specie se in condizioni di guerra o di pericolo; per delle colpe che forse
avrebbero dovuto essere controbilanciate dai suoi meriti personali (Ulisse in fondo era
simbolo del coraggio, della ragione, dell'astuzia, della ricerca, della curiosità, della
esplorazione...); per delle colpe che per un eroe "pagano" erano tali sino a un certo punto
e forse per le quali avrebbe meritato il Purgatorio.
Non a caso nel Paradiso Dante formula un'angosciosa domanda a proposito dell’uomo
nato al di fuori dei confini del cristianesimo ("Un uom nasce a la riva / de l’Indo, e quivi
non è chi ragioni / di Cristo né chi legga né chi scriva; / e tutti suoi volere e atti buoni /
sono, quanto ragione umana vede" - XIX 70-4), una domanda che dimostra un’apertura
tutt’altro che convenzionale verso i non cristiani, un’apertura fondata sulla ragione, non
sul dogma: "ov’è questa giustizia che ‘l condanna? / ov’è la colpa sua, se ei non ?" (XIX
77-8). (1)
Il fascino del condannato
Proprio in questa cantica vi è una delle terzine più famose di tutto l'Inferno e forse di tutta
la Commedia. Sono parole ("orazion picciola") che Dante fa dire a Ulisse quando questi
voleva convincere i suoi compagni ad avventurarsi verso l'oceano: "Considerate la vostra
semenza: / fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e canoscenza"(XXVI,
118-120). E' grande qui Dante quando porta il lettore a chiedersi come definire un uomo
che proprio mentre afferma tali grandi parole, nega la vera virtù e la conoscenza utile a
vivere un'esistenza davvero umana?
Dante sa bene d'aver subito in gioventù il fascino della personalità dell'eroe omerico,
esattamente come tutti gli intellettuali che l'avevano preceduto, da Orazio a Seneca, a
Cicerone, che avevano sottolineato di Ulisse il patrimonio di conoscenze e di saggezza
conquistato nel suo avventuroso viaggio e ne avevano fatto il simbolo della virtù
(humanitas) intesa come profondo ed insaziabile desiderio dell'uomo della conoscenza,
anche se per questo egli deve ritardare il nostos, cioè il ritorno in patria.
Orazio definisce Ulisse “modello di virtù e di sapienza” (“conobbe i costumi degli
uomini... e soffrì molte asperità nel vasto mare”, Epistole). Seneca accosta Ulisse ed
Ercole celebrandoli come uomini “vincitori di ogni genere di paure”(Costanza del
sapiente). Soprattutto Cicerone, commentando l'episodio dell'incontro di Ulisse con le
Sirene dice dell'eroe: “le Sirene gli promettono la conoscenza: non deve quindi
meravigliare se ad Ulisse, questa apparisse più cara della patria, tanto era desideroso di
conoscenza” (Sul sommo bene e sul sommo mal).
Il motivo di fondo per cui Dante mette Ulisse all'Inferno non è semplicemente per il suo
ateismo o per il fatto che avesse una concezione del tutto formale della religiosità, ma per
il fatto che nel proprio ateismo egli non tenesse in alcuna considerazione gli umani
sentimenti.
Non dobbiamo dimenticare che Dante, pur non essendo un cattolico integralista, non era
neppure un laico come Marsilio da Padova (1275 - 1343), suo conterraneo. Egli è
consapevole di non poter condannare all'Inferno un uomo che tentò di attraversare lo
stretto di Gibilterra, ma il dovere "religioso" gli impone di doverlo fare, in quanto l'Ulisse
ateo mandò a morte i suoi compagni. E così per le altre colpe.
Peraltro, il fatto che qui Dante rispetti tutte le consegne di Virgilio è la dimostrazione
ch'egli aveva nei confronti della tradizione un atteggiamento più ossequioso di quello di
Ulisse.
La fine del condannato
Dante, che pur non ha chiesto nulla all'eroe greco, gli fa raccontare un viaggio che
neppure i redattori dell'Odissea ebbero mai il coraggio di narrare, e che influenzerà buona
parte della letteratura a lui successiva. Egli infatti fa premettere a Ulisse due cose che
tutto fanno pensare meno che all'idea di dover condannare all'Inferno un navigatore così
coraggioso ancorché ateo: l'"orazion picciola", di cui s'è detto, e la constatazione del
limite fisico dei marinai, i quali, a conti fatti, non riuscirono nell'impresa, secondo
l'opinione di Ulisse, soltanto perché "già vecchi e tardi (nei movimenti)"(v. 106). Anche
se qui Dante si serve di questa dichiarazione per sostenere che il folle viaggio fu
intrapreso in piena consapevolezza.
Che Dante concluda in maniera romanzata (alla Moby Dick, per intenderci), senza
proferire parola alcuna di commento, e soprattutto senza fare alcun cenno ai delitti e alle
nefandezze ben più gravi di cui si macchiò Ulisse, è indicativo del fatto che tra lui e
Omero s'era insinuata una sorta di "attrazione fatale", ereditata dagli intellettuali greci e
latini e che verrà tramandata a tutti gli intellettuali successivi, sino alla stroncatura senza
soluzione di continuità del Pascoli.
Ulisse è l'unico personaggio importante della Commedia che non appartenga alla storia
contemporanea di Dante, facendo parte del mito: la sua funzione è dunque soprattutto
simbolica, e corrisponde narrativamente, con coerenza stilistica e retorica, alla metafora
del mare, con le sue acque invitanti e infide, che non solo in Dante ma in tutta la
tradizione culturale del Medioevo, rappresenta la conoscenza, il sapere e la ricchezza:
attraversarlo o comunque tentare di solcarlo è quindi un tentativo coraggioso di superare i
limiti delle conoscenze precedenti e delle precedenti civiltà agricolo-pastorali.
E' un'impresa che, nell'immaginario medievale, può essere facilitata dall’approvazione
divina, come nel caso appunto di Dante, che apprende i segreti delle cose attraverso il
viaggio nell’aldilà; oppure, come nel caso di Ulisse, condannata in partenza al fallimento,
proprio perché si pone come sfida alla virtù divina.
Ulisse è una specie di specchio negativo di Dante. Dal punto di vista della conoscenza,
entrambi sono degli eroi, degli scopritori. Tuttavia Dante è, per così dire, un esploratore
approvato da dio, mentre Ulisse è un ribelle, un temerario che osa imporre la propria
volontà agli dèi. La presunzione umana rappresenta un inconcepibile sovvertimento
dell'ordine dell'universo, e come tale è una forma di "follia". Infatti, l'aggettivo folle,
come segnale preciso di questa volontà assurda per chi è sostenuto dalla fede e dalla
grazia, compare al v. 125, a definire la natura insana dell'impresa di Ulisse.L'autore,
dunque, sente vicina alla propria l'esperienza di Ulisse (che può rappresentare quella dei
filosofi laici che - come lo stesso Dante giovane - si lasciarono tentare da una conoscenza
che fosse dei tutto indipendente dal valore della fede religiosa). Ma Dante credette di
salvarsi in tempo dal fallimento, tornando alla fede. In questo senso, il personaggio di
Ulisse lo rispecchia, ma solo per gli aspetti negativi che lo segnarono in passato e che al
tempo in cui scrive la Commedia egli ha ormai superato.
Da un lato quindi Dante deve condannare, formalmente, l'eroe greco per empietà e
irresponsabilità, dall'altro però, nascostamente, non può fare a meno di elogiarlo, per aver
saputo di molto anticipare i tempi, al punto che dedica al racconto del tragico naufragio
ben 37 versi su 142.
Conclusione
Il finale della cantica non sembra affatto un epilogo conseguente alla condanna politica e
morale riportata in precedenza; anzi sembra un chiaro invito a riprendere la rotta indicata
da Ulisse. Sono talmente tante le indicazioni astronomiche e marittime, che Dante non fa
che plaudire, indirettamente, al coraggio del piccolo Portogallo, il quale arriverà presto a
scoprire che la direzione del vento dominante cambiava con la latitudine e con la
stagione, e a inventare gli strumenti utili alla navigazione una volta attraversato
l'equatore, che rendeva appunto vana la stella . (2)
Proprio ai tempi di Dante, infatti, i marinai portoghesi avevano cominciato a fare la stessa
cosa di Ulisse, al punto che col principe Enrico il Navigatore (1394-1460) si ufficializzò
definitivamente, dietro il solito pretesto di una crociata anti-islamica, il diritto alla
conquista dei territori cosiddetti "ignoti" e l'esigenza di trovare tutti i mezzi e modi
possibili per aggirare l'impero islamico e raggiungere l'Oriente.
Mercanti genovesi e fiorentini, dopo l'espulsione delle forze islamiche dal Portogallo
meridionale, seppero qui creare nuovi mercati così fiorenti che tutti i porti lusitani
divennero importanti stazioni commerciali sulle rotte dell'Atlantico settentrionale, specie
nel rapporti con Fiandre e Inghilterra.
Al tempo di Dante Lisbona era uno dei maggiori porti europei. Ai mercanti italiani
ovviamente seguirono ben presto i banchieri, finché nella zona sud si costituirono vere e
proprie colonie italiane, che per la loro abilità finanziaria fruivano d'immunità fiscali e
giurisdizionali da parte dei sovrani lusitani.
Tali comunità non fecero che avvalersi delle cognizioni nautiche degli islamici e
trasferire nell'Atlantico meridionale quelle esperienze, tecniche, abilità di cui avevano
dato prova sul versante settentrionale.
Nel XIII secolo l'Africa era già oggetto di conquista e non solo di commerci. Si volevano
insediare scali commerciali sulle coste di Tunisia, Algeria e Marocco, dove era possibile
trovare anche oro, spezie e schiavi.
Si sa con certezza che pescatori portoghesi erano approdati alle Azzorre verso la metà del
1300.
L'approdo alla montagna del Purgatorio, che per l'Ulisse ateo ed egocentrico fu tragico
epilogo e per il Dante credente e tradizionalista ulteriore tappa verso l'empireo, fu in
realtà la premessa per una storia molto più prosaica e crudele, in quanto le imprese
marinaresche dei portoghesi e poi degli spagnoli, pur condotte sotto la "protezione
divina", finirono con lo sconvolgere l'intero pianeta, aprendo la strada alla nascita del
colonialismo e del capitalismo.
Non a caso l'inglese Alfred Tennyson (1809-1892) ebbe tutt'altra interpretazione
dell'ultimo viaggio di Ulisse. Il suo Ulisse torna sì a Itaca, ma per ripartirne subito dopo.
Infatti né il ritrovato focolare domestico, né la riconquistata funzione di sovrano offrono
vere soddisfazioni; anzi, la stessa Itaca, oggetto della nostalgia dell'Ulisse omerico, è
divenuta per l'eroe di Tennyson isola inospitale ("sterili rocce"). Non può appagarsi di
una vita tranquilla, scandita da ritmi sempre uguali, chi ha vissuto l'avventura della
scoperta.
Ulisse, benché anziano, vuole riprendere a navigare e, ritrovati alcuni compagni di
viaggio, prospetta loro nuove avventure, nonché la possibilità della morte per mare
("forse è destino che i gorghi del mare ci affondino"); ma l'infrazione del limite, che in
Dante portava necessariamente alla punizione, non è vista da Tennyson come eccesso di
ardimento.
Anzi, egli insiste sulla tempra eroica di Ulisse, elogiando la sua volontà di "lottare e
cercare e trovare né cedere mai". Laddove Dante non poteva concepire l'esito dell'ultima
avventura di Ulisse se non in termini di distruzione e di annientamento, Tennyson - che
vive nella moderna epoca borghese, in una nazione le cui flotte solcano i mari, impegnata
in un progetto di espansione che esige le doti di determinazione e tenacia - fa del suo eroe
l'emblema dello spirito pionieristico, della scoperta arrischiata, non solo giustificabile, ma
più che lecita, anzi esemplare.
W B. Stanford, commentando l'immagine di Ulisse fornita dai versi di Tennyson, scrisse:
"Un moderno Ulisse è nato, un santo patrono pagano per una nuova età di ottimismo
scientifico e di espansione coloniale".
Jorge Luis Borges, in Adelphi, afferma che certamente Ulisse ha intrapreso un viaggio
folle, impossibile, ma l’angoscia, la partecipazione palese di Dante sono quasi troppo
profonde e intime. Dante non è l’anti-Ulisse, poiché fa un viaggio non meno “folle” di
quello dell'eroe greco, che però egli vuol far risultare autorizzato da dio. Per Borges,
Dante è un Ulisse cristianizzato: il folle volo del poeta toscano è la scrittura del libro
stesso. Dante era un teologo che in nome di dio si arrogava il diritto di decidere il bene e
il male per l'eternità. In tal senso Ulisse, essendo precristiano, non può essere condannato
per il proprio ateismo, ma solo per delle colpe morali universali.
Già Lotman (Ulisse e l'originale doppio di Dante), alla domanda sul perché Ulisse il
navigatore blasfemo fosse stato messo nel girone dei consiglieri fraudolenti e non invece
in quello di coloro che si sono ribellati a dio, rispondeva che la colpa più grave di Ulisse
era stata, secondo Dante, quella di aver barato con i "segni" (p.es. il cavallo di Troia), ed
era stato punito per la sua audacia di navigatore da una natura che, pur essendo
responsabile della sua morte, non poteva agire come vendicatrice di dio, almeno non più
dopo Dante. (Il viaggio di Ulisse nella Divina Commedia di Dante, Testo e contesto.
Semiotica dell'arte e della cultura, Bari, Laterza, 1980). (torna su)
Perché stupirsi di questo rapporto tra Dante e i marinai portoghesi visto che nella XVII
cantica egli ha addirittura anticipato Galilei? Ella sen va notando lenta lenta; / rota e
discende, ma non me n'accorgo / se non che al viso e di sotto mi venta. (Inferno, canto
XVII).
In questa terzina c'è l'esatta descrizione del principio elaborato da Galileo Galilei (1632)
della cosiddetta invarianza galileiana, lo stesso che poi è alla base della teoria della
relatività. Si tratta della sensazione che prova un viaggiatore seduto su un treno che non
riesce a capire se il treno è effettivamente in movimento.
"A Zacinto" di Foscolo
oilproject.org

"A Zacinto" di Foscolo: parafrasi del testo

A cura di Rachele Jesurum , Sara Bandiera

Scritto tra il 1802 e il 1803, il sonetto è dedicato alla madrepatria Zacinto (nome
greco dell’isola di Zante, parte delle isole Ionie al largo del Peloponneso), cantata dal
poeta anche ne Le Grazie, con espressioni e immagini che ritroviamo anche in questo
componimento. Celebrata non soltanto come patria natale ma anche come patria ideale,
eternata dagli antichi miti greci e dalla poesia omerica, il poeta ne piange la lontananza e
profetizza per sé la sventura di un esilio perpetuo (l’”illacrimata sepoltura”, appunto).
Dopo l'appassionata evocazione dell'isola chi scrive si identifica con Ulisse, l’esule per
eccellenza, e Zacinto diventa così l’Itaca di Foscolo, patria agognata ed idealizzata al
tempo stesso (e mai riconquistata). La poesia, che si fa strumento cardine della memoria e
della celebrazione letteraria delle proprie origini, si conclude però con un secco pensiero
di morte, espressione del pessimismo foscoliano: il poeta ricorda come ognuno di noi si
avvia verso una sepoltura annunciata e "illacrimata", ricollegandosi così al tema
principale dei Sepolcri.

Metro: sonetto con schema ABAB ABAB CDE CED. La folta presenza di
enjambements dilata spasmodicamente la struttura dell’endecasillabo e del sonetto
stesso, costruito su due soli periodi (il primo, che occupa le quartine e la prima terzina, e
il secondo, confinato come sentenza finale, ai vv. 12-14).

Né più mai1 toccherò le sacre2 sponde


ove il mio corpo fanciulletto giacque3,
Zacinto mia4, che te specchi nell'onde
del greco mar da cui vergine nacque
Venere5, e fea quelle isole feconde
col suo primo sorriso6, onde non tacque7
le tue limpide nubi e le tue fronde8
l'inclito9 verso di colui che l'acque

cantò fatali10, ed il diverso esiglio11


per cui bello di fama e di sventura
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse12.

Tu non altro13 che il canto avrai del figlio,


o materna mia terra; a noi14 prescrisse
il fato illacrimata15 sepoltura.

Io non toccherò mai più le sacre rive


dove trascorsi la mia fanciullezza,
Zacinto mia, che ti specchi nelle onde
del mare greco da cui vergine nacque

Venere, e rese quelle isole feconde


con il suo primo sorriso, e per questo non si esentò
dal descrivere le tue nubi e la tua vegetazione
la poesia immortale di Omero, che

cantò i lunghi viaggi per mare voluti dal fato e il procedere


in direzioni contrarie, grazie ai quali Ulisse, reso bello dalla
fama e dalle sventure, riuscì a baciare la sua rocciosa Itaca.

O mia terra natale, tu non avrai altro che il canto di tuo figlio;
a noi il destino ha prescritto una tomba
sulla quale nessuno giungerà a versare le sue lacrime.
1
Né mai più: la triplice negazione rafforza l’idea dell’impossibilità del ritorno e
crea un effetto di sospensione meditativa iniziale. Come evidenziò De Robertis, “pare che
il poeta, cominciando, continui un discorso fatto tra sé e sé”. Il primo periodo si snoda
attraverso due quartine e per la prima terzina, a creare un andamento solenne, sostenuto
peraltro dall’anafora dei tre nessi relativi (“onde […] di colui che […] per cui”).
2
sacre: l’aggettivo si carica di significati, per quanto relegati - conformemente
all’ideologia del Foscolo - ad una posizione tutta immanentistica e laica. Le rive di
Zacinto sono sacre in quanto hanno assistito alla nascita di Venere, ma anche, più
genericamente, perché Zacinto si colloca in Grecia, patria di miti e della bellezza, e
perché egli ebbe modo di trascorrervi la fanciullezza. C’è infine una sacralità che le
deriva dal suo stesso essere oggetto poetico, grazie al valore eternante e sublimante
della poesia. Il “nativo aer” veniva definito “sacro” già nell’ode All’amica risanata (vv.
91-92).
3
giacque: il corpo fanciulletto del Foscolo “giace” tra le sacre sponde di Zacinto,
come se queste fossero in grado di cullarlo.
4
Zacinto mia: il vocativo è rafforzato dall’aggettivo possessivo, dal forte valore
affettivo.
5
nacque Venere: il mito della nascita di Venere è narrato da Esiodo nella
Teogonia.
6
col suo primo sorriso: allusione all’epiteto greco della dea, philommeidés,
“amante del sorriso”, cui si aggiunge la prerogativa della dea ad essere fonte di vita.
7
onde non tacque: poiché nel mare di Zacinto nacque Venere, l’isola fu celebrata
dal cantore delle peregrinazioni di Odisseo, cioé Omero, considerato come il padre della
creazione poetica. “Non tacque” è litote (una figura retorica per cui si definisce qualcosa
negandone il contrario), a sottolineare l’impossibilità di tacere l’irresistibile bellezza e
rigogliosità di quelle isole, feconde proprio grazie al “primo sorriso” di Venere.
8
Già in una nota alle Grazie, il poeta ebbe a dire che Omero e Virgilio lodarono
l’isola “per la beltà de’ suoi boschi, e la serenità del cielo”.
9
inclito: dal latino inclitus, a, um, “mai sconfitto, immortale”.
10
fatali: i mari verso i quali Odisseo fu sospinto per volere del fato.
11
diverso esiglio: letteralmente “vario esilio”. “Diverso” è infatti latinismo da
divertus (dal verbo diverto, “volto in varie direzioni”).
12
Odisseo personifica l’eroe ideale nella concezione titanica del Foscolo, nel
quale gloria e sventura si fondono, e anzi maggior gloria pare nascere proprio da
maggiore sventura.
13
non altro: "soltanto". La perifrasi si adatta perfettamente alla solennità del
dettato.
14
a noi: il pronome non è un semplice plurale maiestatis, ma ha la funzione di
includere tutti coloro che sono accomunati da un medesimo destino.
15
illacrimata: in quanto nessuno vi spargerà mai sopra le sue lacrime.
Ulisse, poesia di Saba
cultura.biografieonline.it

La poesia Ulisse è l’ultima della sezione Mediterranee, presente nel Canzoniere,


la raccolta completa di liriche di Umberto Saba. Ulisse è stata composta tra il 1945 e il
1946 e pubblicata nel 1948. Con essa, Saba si ricollega al tema del viaggio, rivisto in
chiave unica e personale, lasciando ai lettori una sorta di testamento spirituale.

Con il Canzoniere Saba decise di unificare tutta la sua produzione per lasciare ai
lettori una sua autobiografia in versi. Un esperimento lontano dalla nuova poetica
ermetica, che si collega invece direttamente alla tradizione letteraria italiana. Il
Canzoniere è stato pubblicato per la prima volta nel 1921, per un totale di cinque
edizioni. L’ultima, quella postuma, è del 1961.
È diviso in tre volumi di 26 sezioni: la poesia Ulisse si trova nel terzo volume, che
comprende i testi dell’edizione postuma scritti tra il 1933 e il 1954 ed è divisa in quattro
sezioni (Parole, Ultime cose, Mediterranee, Quasi un racconto). Il Canzoniere include
sia tematiche familiari sia soprattutto l’analisi del proprio io rappresentata nel rapporto
del poeta con la realtà. Inoltre, il poeta ritorna all’utilizzo di una metrica tradizionale,
rifiutando le sperimentazioni e scegliendo di pubblicare una poesia onesta.

Umberto Saba – Il canzoniere Ulisse: analisi della poesia

La lirica in esame è formata da una strofa di 13 endecasillabi sciolti. È intitolata


all’eroe dell’Odissea, Ulisse. Il personaggio della mitologia greca diventa l’espediente
per raccontare la giovinezza del poeta, trascorsa sugli isolotti delle coste dalmate,
lavorando come mozzo in un mercantile. L’elemento autobiografico viene subito
trasfigurato e diventa il simbolo di considerazioni più generali riferite alla vita.
Nei primi nove versi il poeta racconta della sua navigazione per le coste della
Dalmazia (regione della Croazia). Gli isolotti vengono descritti con molti dettagli. Su di
essi sostavano gli uccelli, erano coperti di alghe e scivolosi al tatto, il verde conferiva
loro il colore degli smeraldi. Quando erano coperti dalla marea, le navi si muovevano
dalla parte opposta proprio per sfuggire dal pericolo di urtarci contro.
Dal verso nove in poi la narrazione si sposta al periodo della vecchiaia del poeta.
Il suo regno non è più quello del mare ma è una terra dove nessuno osa avventurarsi
perché piena di pericoli.

Ulisse: il testo della poesia


Nella mia giovinezza ho navigato
lungo le coste dalmate. Isolotti
a fior d’onda emergevano, ove raro
un uccello sostava intento a prede,
coperti d’alghe, scivolosi, al sole
belli come smeraldi. Quando l’alta
marea e la notte li annullava, vele
sottovento sbandavano più al largo,
per fuggirne l’insidia. Oggi il mio regno
è quella terra di nessuno. Il porto
accende ad altri i suoi lumi; me al largo
sospinge ancora il non domato spirito,
e della vita il doloroso amore.

I temi e lo stile della poesia


Come si è potuto notare, la lirica può essere divisa in due parti, che si
riconoscono anche dall’utilizzo dei tempi verbali. Il passato per la prima parte; il presente
per la seconda.
Nella prima parte il poeta paragona le sue avventure giovanili a quelle di Ulisse, eroe
mitologico protagonista dell’Odissea che però non viene mai nominato apertamente.
Nella seconda parte, introdotta dall’avverbio “oggi” al verso 9, il poeta è ormai vecchio
e non si accontenta più di raggiungere il porto ma vorrebbe viaggiare ancora. Vorrebbe
spingersi al largo proprio come fa l’Ulisse dantesco (nel XXVI canto dell’Inferno) che
parte per l’ultimo viaggio senza fare più ritorno.
Umberto Saba con la moglie Lina
Il tema dominante della poesia è quello del viaggio come metafora della vita. Gli isolotti
verde smeraldo rappresentano anche delle insidie di notte: sono i pericoli della vita.
L’arrivo al porto rappresenta una quiete che però non interessa al poeta. Egli invece
vorrebbe spingersi a conoscere nuove sponde. Si ricollega quindi sia alla tradizionale
visione dell’Ulisse omerico, che ritorna ad Itaca alla fine del travagliato viaggio di ritorno
a casa, sia all’Ulisse dantesco che decide di sfidare gli dei per oltrepassare le colonne
d’Ercole senza fare mai più ritorno. Si può notare anche un altro rimando letterario al
verso 12 con l’accenno al “non domato spirito”. Esso richiama alcuni versi di Ugo
Foscolo (Alla sera e A Zacinto).
Lo stile della poesia è classico. Sono presenti molti enjambements (v. 2, v. 5, v. 6, v. 7, v.
9, v. 10, v. 11) ma vi sono poche rime, bilanciate con le molte assonanze e rime interne. Il
lessico è quotidiano, fatta eccezione per alcuni arcaismi, come il termine “giovanezza” al
v. 1.
Nel complesso la lirica Ulisse è l’espressione dello spirito vitale del poeta Umberto Saba
che, sebbene sia ormai anziano, continua a provare un grande amore per la vita,
nonostante tutte le sofferenze che ha vissuto nel corso della sua esistenza.
Primo Levi: L’importanza della memoria nel Canto di Ulisse
ilritaglio.it

"Se questo è un uomo" di Primo Levi

“Un popolo senza memoria è un popolo senza futuro”, scriveva un grande autore
cileno, Luis Sepulveda. Parole che suonano alquanto attuali. Se ne parla nel Canto di
Ulisse, giudicato dai critici il momento più elevato, a livello letterario, del celebre
romanzo di Primo Levi Se questo è un uomo, uscito per la casa editrice De Silva nel
1947. Ed è proprio in questo capitolo che il ruolo della memoria assume un’importanza
fondamentale, forse vitale, per i prigionieri del campo di sterminio: un momento di pausa
e riflessione, di tregua, nell’inferno della quotidianità. Siamo nel lager di Monowitz,
situato a sette chilometri dal campo principale, Auschwitz, vicino alla Buna, una fabbrica
che il gruppo industriale tedesco voleva costruire per produrre gomma sintetica (così
denominata dalle iniziali dei componenti chimici Butadiene e Sodio). La collocazione dei
prigionieri nel campo più vicino alla fabbrica permetteva di sfruttarne in modo più
razionale il lavoro finchè non fossero divenuti troppo deboli e inabili alla manodopera,
dunque scientificamente e ordinatamente eliminabili, nel silenzio altrui. È una giornata
come tante. Primo Levi e Pikolo stanno portando la zuppa per i compagni e mentre
camminano cercano di richiamare alla memoria alcuni versi dell’Inferno di Dante.
“Considerate la vostra semenza”… Che cos’è questa semenza? Forse la consapevolezza
che quel luogo quasi irreale fondato sulla miseria e la barbarie è stato creato e voluto
dalla stessa specie che può raggiungere livelli elevatissimi di astrazione con l’arte e la
letteratura. “Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza”.
Questo, in sintesi, lo scopo della vita umana: elevarsi per raggiungere la saggezza. Ma
intanto i due giovani sono in lager, in condizioni disumane, nel freddo e nel fango. Ecco
allora che ricordare diventa uno strumento di salvezza. Bisogna conservare la lucidità
mentale. “Darei la zuppa di oggi per sapere saldare non ne avevo alcuna col finale”: ecco
cosa pensa Primo Levi, mentre trasporta il pesante carico. Ma non ci riesce, la memoria è
troppo confusa. Ce l’hanno quasi fatta, i nazisti, a cancellargliela. Ma non del tutto. I due
si sentono ancora umani, appartenenti a quella specie meravigliosa e terribile, capace di
creare opere immortali e campi di sterminio “come altrui piacque”: un verso ancora
adesso oscuro nel significato. Alcuni critici hanno affermato che si possa trattare di un
riferimento a un dio che ha voluto e permesso lo scempio che si è consumato in quei
luoghi.

Primo Levi

Come se il popolo ebraico fosse stato punito per essersi opposto alla dominazione
nazista, così come Ulisse fu punito dagli dei per aver attraversato le Colonne d’Ercole.
Ma crediamo che questa intuizione di Levi possa essere interpretata in altro modo, ovvero
come una visione del futuro: la tracotanza che verrà punita non è quella degli ebrei, ma
quella dei nazisti. Sono stati loro a creare un impero in cui doveva trionfare un’unica
razza eletta, sterminando tutte le altre. Qui Dio, la Storia, la Materia, l’Universo, il
Karma, e chissà cos’altro intervengono a interrompere un genocidio basato sulla
presunzione, sulla folle idea di potersi auto-eleggere padroni del mondo. E infatti pochi
mesi dopo il campo viene abbandonato, con i tedeschi che scappano sparando a tutti i
prigionieri che incontrano, in modo codardo, loro che fino a pochi giorni prima si
permettevano di pulirsi le mani sporche di fango sulle giacche degli ebrei come se fossero
stati stracci ambulanti. Magra consolazione. Intanto ci resta il capolavoro letterario di
Levi, con l’immagine di due ragazzi poco più che ventenni che trovano la propria
salvezza nella memoria. Quei versi, quel giorno, hanno salvato la vita del futuro scrittore.
In un momento storico politicamente confuso e privo di certezze come quello che
stiamo vivendo, quello di Levi è un esempio fondamentale, di cui fare tesoro. La
memoria degli eventi passati deve creare cultura, essere tramandata e ammonirci a non
commettere nuovamente errori di cui poi saremmo responsabili e vittime allo stesso
tempo. Potrà sembrare scontato, ma è tutto ciò che abbiamo. Questo, in sintesi, il
messaggio del giovane Levi che, privato di tutto, può aggrapparsi unicamente alla propria
memoria per mantenere la lucidità mentale in un luogo allucinante. Questa l’eredità dello
scrittore torinese: ricordare per noi non dev’essere solo uno strumento culturale, ma un
dovere morale: ne va della nostra salvezza.
Ulisse secondo Kavafis
piegodilibri.it

Il personaggio di Ulisse (Odisseo, secondo la denominazione greca) ha viaggiato


attraverso i mari ora burrascosi ora pacati dei secoli, assumendo ogni volta volti nuovi
in base ai viaggiatori che incontrava nel suo cammino.
Ulisse ha indossato maschere diverse, prestandosi alle mille interpretazioni
successive. Il desiderio umano di plasmare il reale e il bisogno di trovare risposte nella
reinterpretazione del passato è infatti un’operazione senza sosta.
Nell’Odissea di Omero, Ulisse è l’eroe scaltro e intelligente, che sa sfruttare
gli strumenti della civiltà per sconfiggere i rivali.
Marito fedele e guerriero modello, dopo aver ideato la strategia vincente del
cavallo di legno è costretto a perdersi più volte nelle correnti marine. Questa è la
punizione inflittagli per aver causato la sconfitta dei troiani: il suo errare durerà dieci anni
e il suo destino è in balia dei capricci divini. Solo dopo aver accecato Polifemo e aver
sconfitto i Lestrigoni, solo dopo essere sfuggito a Scilla e Cariddi e dopo aver
abbandonato le candide braccia della bella Calipso, solo dopo aver superato molti altri
ostacoli Ulisse può tornare a Itaca. Il ricongiungimento con Penelope avverrà però solo
dopo la sconfitta dei Proci e la liberazione dell’isola.
Ma Odisseo è anche l’eroe del viaggio e dell’avventura, uomo temerario e
curioso.
L’Ulisse dantesco si è spinto oltre le colonne d’Ercole fino al monte del
Purgatorio. L’eroe convince i compagni ad andare verso l’ignoto ricordando loro
l’imperativo fondamentale della conoscenza:
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza.
L’Ulisse di Dante è un personaggio nuovo: anima cristiana cui è negato il
ritorno. Nella Divina Commedia, Ulisse è avvolto in una fiamma eterna insieme al
compagno d’armi Diomede: la sua colpa è stata quella di disdegnare i limiti della natura
umana, denunciando così la debolezza dell’ingegno umano quando privo del supporto
divino.
Nell’Ulisse di James Joyce l’eroe mitico rivendica, nella sua lontananza, la difficoltà
dell’uomo moderno di superare le tempeste quotidiane.
Joyce indaga le tribolazioni e i viaggi dell’uomo moderno nella Dublino del ‘900,
rovesciando drammaticamente il carattere eroico del protagonista ed esplorandone la
mancanza di ideali, amore e virtù. Il modello epico si svuota e diventa uno specchio
deformante del contemporaneo. Venuta meno la spinta positiva del mito antico, quello
dell’uomo moderno è un viaggio immobile dentro i labirinti dell’interiorità e gli
spettri della città moderna.
Noi camminiamo attraverso noi stessi, incontrando ladroni, spettri, giganti,
vecchi, giovani, mogli, vedove, fratelli adulterini, ma sempre incontrando noi stessi.
In Dialoghi con Leucò l’Ulisse di Cesare Pavese è invece ritratto nella sua
dimensione affettiva e riflessiva: l’eroe si toglie l’armatura e rivela i propri affetti.
Sulla via del ritorno, Odisseo restò nove anni in compagnia della ninfa Calipso nell’Isola
Ogigia e solo dopo aver maturato la consapevolezza della mortalità e dell’amore effimero
e tutto ‘carnale’ per Penelope decise di ripartire. Accettando l’orizzonte dell’istante che
passa, Ulisse trasforma la mortalità in immortalità.
Calipso: Che cosa è la vita eterna se non questo accettare l’istante che viene e
l’istante che va? L’ebbrezza, il piacere, la morte non hanno altro scopo. Cos’è stato
fin’ora il tuo errare inquieto?
Odisseo: Se lo sapessi avrei già smesso. Ma tu dimentichi qualcosa.
Calipso: Dimmi.
Odisseo: Quello che cerco l’ho nel cuore, come te.
In Itaca di Konstantinos Kavafis, il mito di Ulisse si presta infine alle
domande esistenziali dell’uomo. Il poeta racconta l’esperienza del viaggio come meta
reale del viaggiare: Itaca è il mare e gli ostacoli, è il godimento del percorso e il viaggio
stesso. Come insegna anche Pavese, vivere intensamente ogni istante del presente è il
vero segreto dell’errare di Ulisse.
Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
né nell’irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l’anima non te li mette contro.
Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d’estate siano tanti
quando nei porti – finalmente e con che gioia –
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d’ogni sorta;
più profumi inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.
Sempre devi avere in mente Itaca –
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
in viaggio: che cos’altro ti aspetti?
E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.

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