You are on page 1of 49

COMPLEMENTI

A.A. 2008-09
Contents

1 Preliminari geometrici ed analitici page 4


1.1 Vettori euclidei 4
1.2 Tensori euclidei 7
1.3 Un particolare tensore. 22
1.4 Decomposizione polare 23
1.4.1 Interpretazione geometrica del teorema di decom-
posizione polare. Quadrica indicatrice. 24
1.5 Teorema del Dini per sistemi di equazioni nonlineari 26
1.6 Superfici parametriche 27
1.7 Curve parametriche 31
1.8 Cenni introduttivi alla meccanica dei sistemi vincolati 33
1.9 Cenno alle equazioni cardinali 37
2 Cenni sulla cinematica rigida 40
3 Calcolo delle reazioni vincolari 45
3.1 Il Principio dei Lavori Virtuali 45
3.2 Calcolo delle reazioni con le equazioni cardinali 47

3
1
Preliminari geometrici ed analitici

1.1 Vettori euclidei


E spazio euclideo tridimensionale
P, Q, . . . punti, elementi di E
V spazio vettoriale associato ad E
u, v, . . . vettori, elementi di V
Nota bene: punti e vettori sono enti introdotti senza l’ausilio di un sistema
di riferimento o di una base, rispettivamente. Idem per le operazioni di cui
sotto.

Relazione Grassmanniana tra punti e vettori


v =Q−P o, equivalentemente, v = P Q; inoltre Q = P + v. (1.1)

Angolo θ tra due vettori


È quello non superiore a π radianti, per convenzione.

Terna ordinata di vettori (u, v, w) linearmente indipendenti (non compla-


nari) levogira o destra.

In V , come parte della struttura vettoriale, sono definite la somma tra


due o più vettori e il prodotto di uno scalare per un vettore. Si possono
definire in modo diretto le seguenti operazioni (|u| oppure kuk indicano il
modulo o lunghezza del vettore u).
♠ Il prodotto scalare: u · v = |u| |v| cos θ.
NB. L’annullarsi del prodotto scalare è la condizione di ortogonalità.
♠ Il prodotto vettoriale: u × v = |u||v| sin θ c, con c versore ortogonale
a u e v e tale che la terna (u, v, c) risulti levogira.

4
1.1 Vettori euclidei 5

NB. La quantità |u × v| è l’area del parallelogramma costruito su u e v.


Inoltre l’annullarsi del prodotto vettoriale è la condizione di parallelismo.
♠ Il prodotto misto: u × v · w.
NB. Il prodotto misto rappresenta il volume, con segno, del parallelepipe-
do costruito su u, v e w. Inoltre l’annullarsi del prodotto misto è la con-
dizione di complanarità.
♠ Il doppio prodotto vettoriale u × (v × w).
NB. Valgono le seguenti espansioni:
a × (b × c) = (a · c)b − (a · b)c e (a × b) × c = (a · c)b − (c · b)a. (1.2)

Sia T = Oc1 c2 c3 = Ox1 x2 x3 il riferimento cartesiano ortogonale in E cos-


tituito dalle tre rette orientate x1 , x2 , x3 , mutuamente ortogonali, passanti
per O e parallele e concordi con c1 , c2 , c3 rispettivamente; questi costi-
tuiscano una terna ortonormale levogira, base per lo spazio vettoriale V .
Un punto P è individuato, nel riferimento T , da una terna di co-ordinate
cartesiane,
x = (x1 , x2 , x3 ). (1.3)
Analogamente, un vettore v è individuato da una terna di componenti carte-
siane relative alla base c1 , c2 , c3 , definite da
v i = v · ci
e organizzate nella seguente matrice colonna†
 1
v
v = (v 1 , v 2 , v 3 )T =  v 2  . (1.4)
v3
Come è noto, un vettore v si può dare come combinazione lineare dei vettori
della base ortonormale scelta, mediante i coefficienti v 1 , v 2 , v 3 :
3
X
1 2 3
v = v c1 + v c2 + v c3 = v i ci = v i ci . (1.5)
i=1

Convenzione di somma per indici ripetuti. Si osservi che in (1.5)3 non è im-
portante la lettera usata per l’indice ripetuto: le seguenti espressioni sono
tutte equivalenti
v = v i ci = v s cs = v j cj . (1.6)
† Nel seguito per indicare un vettore o un tensore, si useranno lettere in grassetto (ad es.v, A)
mentre per la loro matrice rappresentativa si usa il medesimo simbolo, non in grassetto e
sottolineato (ad es. v, A). Una T posta in alto a destra di una matrice ne indica la trasposta
(ad es. AT è la matrice trasposta di A)
6 Preliminari geometrici ed analitici

Esempio 1.1 Riportiamo alcuni esempi dell’uso della convenzione di somma


per indici ripetuti:
3
X
Ahh = Ahh = A11 + A22 + A33 = trA,
h=1

3
∂v i X ∂v i ∂v 1 ∂v 2 ∂v 3
= = + + = divv,
∂xi i=1
∂xi ∂x1 ∂x2 ∂x3

3
X
Ars us = Ars us = Ar1 u1 + Ar2 u2 + Ar3 u3 .
s=1

♠ Il simbolo di Kronecker δij . Il simbolo di Kronecker o delta di Kro-


necker è definito dalle seguenti relazioni:
δij = 1 se i = j, δij = 0 se i 6= j. (1.7)
Si ha, ad esempio, δ11 = δ33 = 1, δ12 = δ31 = 0.

Esercizio 1.2 Verificare che valgono le relazioni


v i δij = v j , Arj δji = Ari , δii = δ11 + δ22 + δ33 = 3,

Aij δij = Aii = Ajj = A11 + A22 + A33 .

(per verificare, ad es., la prima: v i δij = v 1 δ1j + v 2 δ2j + v 3 δ3j che risulta
uguale a v 1 se j = 1, a v 2 se j = 2, a v 3 se j = 3).
I versori di una base ortonormale soddisfano le relazioni
ci · cj = δij . (1.8)

♠ Il prodotto scalare di due vettori u e v è espresso, in componenti, da


u · v = u1 v 1 + u2 v 2 + u3 v 3 , u · v = ui v i (in forma compatta). (1.9)
Questa relazione si può scrivere anche in forma matriciale:
 1
v
u · v = uT v = (u1 , u2 , u3 )  v 2  . (1.10)
v3

♠ Il prodotto vettoriale tra due vettori u, v, in componenti, si può


scrivere per esteso nella forma usuale:
u × v = (u2 v 3 − u3 v 2 )c1 + (u3 v 1 − u1 v 3 )c2 + (u1 v 2 − u2 v 1 )c3 . (1.11)
1.2 Tensori euclidei 7

La (1.11) si ricorda facilmente come espansione del determinante della


seguente matrice simbolica:
c1 c2 c3
 

u × v = Det u1
 u2 u3  . (1.12)
v1 v2 v3

♠ Prodotto misto. Dati tre vettori u, v e w, è utile la seguente espressione,


facilmente deducibile dalla (1.12)
 1
u u2 u3

u × v · w = Det  v 1 v2 v3  . (1.13)
w1 w2 w3
Il prodotto misto tra tre vettori non cambia se si opera sui vettori una
permutazione pari. Se invece si opera una permutazione dispari, il prodotto
misto cambia di segno:

u × v · w = −v × u · w. (1.14)

Infatti il determinante (1.13) non muta, o muta solo nel segno, se si opera
un numero pari, o dispari, di scambi tra le righe. Può essere utile ricordare
la precedente regola mediante la equivalente scrittura:

u × v · w = u · v × w; (1.15)

quanto a dire che non muta il prodotto misto di tre vettori se si scambiano
tra loro i simboli di prodotto scalare, · , e di prodotto vettoriale, × .

1.2 Tensori euclidei


Nel seguito useremo la parola tensore come sinonimo di operatore o trasfor-
mazione lineare.

Definizione 1.3 Una funzione A definita in V e a valori in V :

A : V 7→ V

si dice un operatore lineare o tensore se vale la seguente condizione (detta


di linearità)
A(αu + βv) = αA(u) + βA(v), (1.16)

per ogni u, v ∈ V e per ogni α, β ∈ R.


8 Preliminari geometrici ed analitici

Esempio 1.4 Sono operatori lineari: l’operatore nullo O che associa ad


ogni vettore v il vettore nullo: Ov = 0; il tensore identità I che associa
ad ogni vettore v il vettore v stesso: I(v) = v; dato un vettore w, la
funzione vettoriale W che associa ad ogni vettore v il vettore w × v, ossia
W (v) = w × v.

Avvertenza. Per semplicità di notazione quando si tratta di operatori


lineari si usa omettere le parentesi scrivendo ad es. Av invece di A(v).
Prodotto tensoriale o Diade. Si dice prodotto tensoriale o diade o, ancora,
prodotto indefinito o diadico tra due vettori a e b e si indica con a ⊗ b, la
funzione vettoriale che ad ogni vettore v associa il vettore

(a ⊗ b) v = a(b · v). (1.17)

Si osservi che il secondo membro di (1.17) è un vettore ottenuto moltipli-


cando il vettore a per lo scalare (b · v). Dunque a ⊗ b manda ogni vettore
v in un vettore parallelo ad a.

Proposizione 1.5 La diade a ⊗ b è un operatore lineare cioè un tensore.

Dimostrazione. (a ⊗ b)(αu + βv) = a[b · (αu + βv)] = a[αb · u + βb · v)] =


αa(b · u) + βa(b · v) = α(a ⊗ b)(u) + β(a ⊗ b)(v).

È bene tenere sempre presente nel seguito che: a) un tensore (o un vettore)


è un ente oggettivo e le sue proprietà sono intrinseche, cioè indipendenti dalla
scelta della base (un tensore (o un vettore) esiste ‘prima’ della base); b)
l’introduzione di una base è molto utile per gli sviluppi del calcolo tensoriale
(o vettoriale).
♠ Somma di tensori: (A + B)v = Av + Bv. Valgono le uguaglianze

A + B = B + A.

(A + B) + C = A + (B + C) = A + B + C.

♠ Prodotto di un tensore per uno scalare: (αA)v = αAv.


♠ Prodotto di tensori: (AB)v = A(Bv). Valgono le seguenti

(AB)C = A(BC) = ABC, AB 6= BA.

♠ Trasposto di un tensore: per ogni coppia di vettori u, v ∈ V

v · AT u (= AT u · v) = u · Av. (1.18)
1.2 Tensori euclidei 9

Valgono le relazioni

(AT )T = A, (AB)T = B T AT . (1.19)

♠ Tensori simmetrici o emisimmetrici (detti anche antisimmetrici):


se soddisfano le rispettive condizioni

AT = A o AT = −A. (1.20)

♠ Rappresentazione dei tensori in basi ortonormali: sia A un tensore


e c1 , c2 , c3 una base ortonormale di V ; si dicono componenti del tensore A
nella base data gli scalari

(A)ij = Aij = ci ·(Acj ) (che equivale a Acj = Aij ci ), (i, j = 1, 2, 3). (1.21)

Le componenti Aij possono essere organizzate nella matrice A :


A11 A12 A13
 

A =  A21 A22 A23  . (1.22)


A31 A32 A33
Si osservi che nella matrice (1.22) la colonna j-esima coincide con la colonna
delle componenti del vettore Acj immagine di cj .
Sia u = u1 c1 + u2 c2 + u3 c3 un generico vettore e sia v = Au; allora
la matrice colonna v delle componenti del vettore v = Au nella base ci si
ottiene come prodotto (righe per colonne) della matrice quadrata A per la
matrice colonna u:
 1
v A11 A12 A13 u1
  

v = A u,  v 2  =  A21 A22 A23   u2  ; (1.23)


v3 A31 A32 A33 u3
in componenti
v i = Aij uj , (i, j = 1, 2, 3). (1.24)

Sia le (1.23) che le (1.24) sono equivalenti alle seguenti

v 1 = A11 u1 + A12 u2 + A13 u3 (1.25)


2 1 2 3
v = A21 u + A22 u + A23 u
3
v = A31 u1 + A32 u2 + A33 u3 .

Notazione diretta, matriciale e in componenti: rispettivamente

v = Au, v = A u, v i = Aij uj . (1.26)


10 Preliminari geometrici ed analitici

Valgono le seguenti proprietà:


(αA)ij = αAij , (A + B)ij = Aij + Bij , (A B)ij = Air Brj , (AT )ji = Aij .
(1.27)

Proposizione 1.6 Ogni tensore A si può esprimere come combinazione li-


neare di prodotti tensoriali tra i vettori della base, nel seguente modo:
3
X
A = Aij ci ⊗ cj = Aij ci ⊗ cj . (1.28)
i,j=1

Dimostrazione. Infatti si ha, per ogni vettore u, Au = Aij uj ci = Aij ci (cj ·


u) = Aij (ci ⊗ cj )u = (Aij ci ⊗ cj )u.

Tensori sferici (detti anche idrostatici) e tensori deviatorici: se soddisfano


le rispettive condizioni
3
X
A = αI o 0 = trA (= Aii ). (1.29)
i=1

Proposizione 1.7 Dato un qualsiasi tensore A siano S, E, Σ, D i tensori


1 1 1 1
S = (A + AT ), E = (A − AT ), D = A − (tr A) I;
Σ = tr A I,
2 2 3 3
(1.30)
allora S è simmetrico, E emisimmetrico, Σ sferico, D deviatorico e risulta
A=S+E e A = Σ + D. (1.31)
(Facoltativo) Ciascuna delle due decomposizioni in (1.31) è unica.
Dimostrazione. Lasciata per esercizio.
Relazioni analoghe alle (1.30), (1.31) valgono per le corrispondenti matrici
A, S, E, Σ, D.

Esempio 1.8
1 0 2 2 0 5 0 0 −1
     
1 1
0 1 0 =
 0 2 1 +
 0 0 −1  .
2 2
3 1 4 5 1 8 1 1 0

Proposizione 1.9 Se S è un tensore simmetrico ed E uno emisimmetrico


allora vale la seguente relazione
Sij Eji = 0 = Sij Eij . (1.32)
1.2 Tensori euclidei 11

Dimostrazione. Sij Eji = 12 (Sij Eji + Sji Eij ) = 12 (Sij Eji − Sij Eji ) = 0.

Prodotto tensoriale tra due vettori o diade. Il tensore a ⊗ b, prodotto ten-


soriale dei due vettori a e b, definito dalla (1.17), ha le seguenti componenti
(a ⊗ b)ij = ai bj . (1.33)
La (1.33) è d’immediata verifica , infatti
(a ⊗ b)ij = ((a ⊗ b)cj ) · ci = a(b · cj ) · ci = a · ci b · cj = ai bj .
Dunque il tensore (a ⊗ b) ammette la seguente rappresentazione matriciale
 1  1 1
a a b a1 b2 a1 b3

a bT =  a2  ( b1 b2 b3 ) =  a2 b1 a2 b2 a2 b3  .
a3 a3 b1 a3 b2 a3 b3
Si osservi che il prodotto di una matrice riga per una matrice colonna (con lo
stesso numero di elementi) dà uno scalare mentre il prodotto di una matrice
colonna per matrice riga dà una matrice quadrata.
Tensore definito dal prodotto vettoriale. Nell’Esempio 1.4 si è visto che,
fissato un vettore w, il prodotto vettoriale w × v con un qualsiasi vettore v
si può interpretare come un’applicazione lineare: W : v 7→ w × v. Talvolta
si usa la notazione W = w × . Il legame tra le componenti di w e la matrice
rappresentativa W del tensore W in una (qualunque) base ortonormale è:
0 −w3 w2
 

W =  w3 0 −w1  . (1.34)
−w2 w1 0
Per rendersene conto basta ricordare che, ad esempio, la prima colonna
della matrice W è data dalle componenti del vettore W c1 e cioè del vettore
w × c1 = −w2 c3 + w3 c2 . Analogamente si procede per le altre colonne.
Tenuto conto della (1.34) si verifica direttamente che per ogni vettore v
risulta
w × v = W v. (1.35)
Valgono anche le relazioni
1
w1 = −W23 = (W32 − W23 ),
2
1
w2 = W13 = (W13 − W31 ), (1.36)
2
1
w3 = −W12 = (W21 − W12 ),
2
e quindi la seguente
12 Preliminari geometrici ed analitici

|PP’|2= |OP|2− (OP⋅n)2


x3
(c⊗c)v P
v r

P’
O
c x2
(I−c⊗c)v n
x1
a) b)

Fig. 1.1. a) Decomposizione di un vettore nelle parti normale e parallela a c. b)


Un particolare tensore, §1.3

Proposizione 1.10 Esiste (in dimensione 3) una corrispondenza biunivoca


tra i vettori e i tensori emisimmetrici:
a) ad ogni tensore emisimmetrico W rimane associato un (unico) vettore
w tale che la (1.35) risulti valida per ogni vettore v; l’espressione di w in
funzione di W è data da (1.36);
b) ad ogni vettore w rimane associato un (unico) tensore emisimmetrico W
tale che valga la (1.35) per ogni vettore v. L’espressione di W in funzione
di w è data da (1.34).

♠ Tensore Pc proiezione nella direzione del versore c : Pc = c ⊗ c.


Infatti applicando Pc al generico vettore v, si ottiene il vettore (c ⊗ c)v =
c(c · v) che è appunto il vettore proiezione di v lungo la direzione c. In
componenti si ha (c ⊗ c)ij = ci cj (vedi (1.33)). La matrice rappresentativa
del tensore (c ⊗ c) è data dal prodotto
c cT . (1.37)

♠ Tensore Pc ⊥ proiezione ortogonale alla direzione del versore c :


è il tensore Pc⊥ = (I − c ⊗ c). Applicando tale tensore al generico vettore v,
si ottiene il vettore:
(I − c ⊗ c)v = Iv − c(c · v) = v − c(c · v)
che rappresenta il vettore proiezione di v sul piano ortogonale a c (vedi
figura 1.1 (1)). In componenti si ha
(I − c ⊗ c)ij = δ ij − ci cj .
La matrice rappresentativa del tensore proiezione ortogonale a c, (I −c⊗c),
1.2 Tensori euclidei 13

è dunque
I − c cT . (1.38)

Dato un vettore v e un versore c si può sempre decomporre v in modo unico


come somma di un vettore parallelo e di uno ortogonale a c. Tale decompo-
sizione risulta facile utilizzando i tensori (1.1) e (1.1) come è evidente dalla
seguente relazione:
v = (c ⊗ c)v + (I − c ⊗ c)v. (1.39)

Tensore definito dal doppio prodotto vettoriale (a × v) × b.


Dati due vettori a e b la funzione che associa ad ogni vettore v il vettore
(a × v) × b è un tensore. Infatti dall’espansione (1.2)2 si ricava

(a × v) × b = (b · a)v − (b · v)a =

= (b · a)Iv − (a ⊗ b)v = ((b · a)I − a ⊗ b)v.

In notazione matriciale il tensore (b·a)I −a⊗b ammette la rappresentazione


(vedi 1.10):
bT a I − a bT . (1.40)

Esercizio 1.11 Scrivere per esteso la matrice bT a I − a bT .

Esercizio 1.12 Scrivere per esteso la matrice aT a I − a aT che rappresenta


il tensore (a × v) × a.

♠ Determinante, DetA, di un tensore A: è il determinante, DetA, della


matrice che rappresenta il tensore in una base ortonormale qualsiasi:

DetA = DetA. (1.41)

La seguente proposizione ci assicura che la definizione data di determinante


di un tensore sia indipendente dalla rappresentazione matriciale relativa alla
particolare base scelta.

Proposizione 1.13 Per ogni terna di vettori u,v e w, non complanari,


vale la relazione
Au × Av · Aw
Det A = . (1.42)
u×v·w
14 Preliminari geometrici ed analitici

Dimostrazione. Nella base scelta la matrice A determina una trasformazione


lineare di R3 in R3 della forma
 1  1
y x
y =  y 2  7→ x =  x2  = A y, cioè xi = Aij y j . (1.43)
y3 x3
Sia D un aperto di R3 e d il suo trasformato tramite A:

d = {x : x = A y, y ∈ D}. (1.44)

Per definizione di volume si ha


ZZZ ZZZ
Vol d = dx1 dx2 dx3 = |Det A| dy 1 dy 2 dy 3 = |Det A| Vol D, (1.45)
d D

dove si sono usate successivamente la formula per il cambiamento di variabili


in un integrale triplo e il fatto che la matrice jacobiana in questo caso è A ed
è costante. Supponiamo ora che D sia il parallelepipedo costruito sui vettori
u, v, w costituenti una terna levogira. Allora d è il parallelepipedo costruito
sui vettori Au, Av, Aw e (1.42) segue tenendo conto che

Vol D = u × v · w e Vol d = (sgn Det A) Au × Av · Aw. (1.46)

Analoga dimostrazione si fa se la terna u, v, w è destrogira.

La relazione (1.42) comporta le seguenti osservazioni.

Osservazione 1.14 Per il significato geometrico del prodotto misto, la


quantità
u×v·w [oppure Au × Av · Aw]

rappresenta il volume del parallelepipedo costruito sulla terna di vettori


(u, v, w), oppure (Au, Av, Aw)] preso con segno positivo se la terna è lev-
ogira, negativo nel caso opposto. Dunque risulta: DetA > 0 se A trasforma
terne levogire, in terne levogire; DetA < 0 nel caso opposto, cioè se trasforma
terne levogire in terne destrogire. Vale la relazione DetA = 0 se e solo
se Au × Av · Aw = 0 cioè se A trasforma terne di vettori linearmente
indipendenti (non complanari), in terne di vettori linearmente dipendenti
(complanari).

Osservazione 1.15 Il determinante di una matrice, e quindi di un tensore,


è indipendente dalla base scelta per la rappresentazione (infatti tale è il
secondo membro della (1.42) ).
1.2 Tensori euclidei 15

Osservazione 1.16 Il modulo del determinante di un tensore è pari al rap-


porto tra il volume del parallelepipedo costruito su tre vettori Au, Av, Aw
e il volume del parallelepipedo costruito su tre vettori u, v, w. Tale rapporto
risulta indipendente dalla scelta dei vettori (infatti tale è il primo membro
della (1.42) ):
Vol(Au, Av, Aw)
|Det A| = . (1.47)
Vol(u, v, w)
Si può quindi affermare che un tensore A trasforma regioni di volume V in
regioni di volume V |DetA|.
Valgono per i determinanti le seguenti relazioni:
DetA = DetAT , Det(AB) = DetA DetB. (1.48)

♠ Tensore inverso di A: è il tensore A−1 che soddisfa le relazioni


AA−1 = A−1 A = I. (1.49)
Dalla precedente relazione (1.49) e dalla (1.48)2 segue DetADet(A−1 ) = 1,
ossia
1
Det(A−1 ) = . (1.50)
DetA
Si osservi che, per (1.50), l’esistenza del tensore inverso A−1 comporta
DetA 6= 0. Vale inoltre la relazione:
(A−1 )T = (AT )−1 . (1.51)
Si può dunque usare, senza possibilità di equivoco, la notazione
A−T (1.52)
al posto di (A−1 )T o di (AT )−1 . Se S è un tensore simmetrico la precedente
relazione (1.51) assicura che anche il suo inverso S −1 è simmetrico:
S −T = S −1 (1.53)
Per il tensore inverso del tensore prodotto AB vale la relazione:
(AB)−1 = B −1 A−1 . (1.54)
Infatti (AB)(B −1 A−1 ) = ABB −1 A−1 = AIA−1 = AA−1 = I.

♠ Tensori ortogonali e rotazioni: un tensore Q si dice ortogonale se


soddisfa le seguenti condizioni:
QQT = QT Q = I (ossia QT = Q−1 ). (1.55)
16 Preliminari geometrici ed analitici

In particolare, Q è una rotazione se è ortogonale e DetQ = 1. La condizione


(1.55) scritta in componenti diventa:
Qir Qjr = Qri Qrj = δij (1.56)
cioè
Qir Qjr = Qri Qrj = 0 se i 6= j,
Qir Qjr = Qri Qrj = 1 se i = j. (1.57)
Un tensore ortogonale gode delle seguenti proprietà:

Proposizione 1.17 Per ogni vettore v risulta |v| = |Qv|, cioè Q trasforma
vettori in vettori dello stesso modulo, se e solo se Q è ortogonale.

Proposizione 1.18 Per ogni coppia di vettori u, v l’angolo da essi formato


è uguale all’angolo formato da Qu e Qv se (e non solo se) Q è ortogonale.
Un tensore ortogonale Q trasforma i vettori c1 , c2 , c3 di una base ortonor-
male di V , nei vettori
u1 = Qc1 , u2 = Qc2 , u3 = Qc3 , (1.58)
che, per le precedenti proprietà, costituiscono ancora una base ortonormale.
Le componenti di Q nella base c1 , c2 , c3 sono date da
Qij = Qcj · ci = uj · ci = cos u
d j ci , (1.59)
ossia: la componente di posto i, j di una matrice di rotazione è data dal
coseno dell’angolo tra uj e ci . Si ha dunque
cos u1 c1 cos u2 c1 cos u 3 c1 u1 1 u1 2 u1 3
   
d d d
Q =  cos u 2 u2 2 u2 3  ,
d1 c2 cos u
d2 c2 cos u
d 3 c2  =  u 1 (1.60)
cos u
d1 c3 cos u
d2 c3 cos u
d 3 c3 u3 1 u3 2 u3 3
avendo indicato con ur s la componente lungo cr del versore us .

Osservazione 1.19 Si riconosce dalla (1.60) che la colonna j - esima di Q


è costituita dal vettore colonna delle componenti di uj nella base c1 , c2 , c3 .
Quindi i primi membri delle relazioni (1.56) hanno significato di prodotto
scalare tra i due vettori ui e uj .

Osservazione 1.20 Le condizioni (1.55) e DetQ = 1 > 0 garantiscono (vedi


l’Osservazione 1.14 precedente) che Qc1 , Qc2 , Qc3 è una terna ortonormale
levogira se tale è la terna c1 , c2 , c3 . Per tale motivo le rotazioni si dicono
talora rotazioni proprie per distinguerle dalle rotazioni con riflessione, il cui
determinante è −1.
1.2 Tensori euclidei 17

Osservazione 1.21 Il tensore ortogonale Q che trasforma la base ortonor-


male ci nella base ortonormale ui : Qci = ui , ha la medesima matrice
rappresentativa nelle due basi suddette. Infatti
Q̃ij = Quj · ui = Q(Qcj ) · (Qci ) = Qcj · QT Qci = Qcj · ci = Qij .
Dunque indicheremo con Qij sia le componenti nella base ci che quelle nella
base ui .

Esempio 1.22 Si scriva la matrice della rotazione Q che trasforma la terna


c1 , c2 , c3 nella terna u1 , u2 , u3 ruotata, in senso antiorario, attorno a c3 di
un angolo θ. Risulta

Q11 = u1 · c1 = cos θ, Q12 = u2 · c1 = − sin θ, Q13 = u3 · c1 = 0,


Q21 = u1 · c2 = sin θ, Q22 = u2 · c2 = cos θ, Q23 = u3 · c2 = 0, (1.61)
Q31 = u1 · c3 = 0, Q32 = u2 · c3 = 0, Q33 = u3 · c3 = 1,

e quindi
cos θ − sin θ 0
 

Q = sin θ
 cos θ 0. (1.62)
0 0 1

♠ Formule di trasformazione per le componenti di un vettore.


Siano c1 , c2 , c3 e c̃1 , c̃2 , c̃3 due basi ortonormali di V e sia Q il tensore
ortogonale che trasforma la prima base nella seconda:

Qci = c̃i . (1.63)

Il vettore v si può rappresentare nelle due diverse basi ci e c̃i mediante le


relazioni
v = v i ci , v = ṽ i c̃i (1.64)

dove v i e ṽ i sono le componenti del vettore v nella base ci e, rispettivamente,


nella base c̃i .

Proposizione 1.23 Le componenti di un vettore rispetto a due diverse basi


ortonormali, ci e c̃i = Qci soddisfano le seguenti relazioni matriciali

ṽ = QT v, v = Qṽ. (1.65)

Le (1.65) scritte in componenti danno le seguenti

ṽ s = Qis v i , v s = Qsi ṽ i . (1.66)


18 Preliminari geometrici ed analitici

c2
c2 v v c2
Qc 2 −θ
Qc 1 QTv
v~ 2
v~1
θ
c1 c1 c1
Fig. 1.2.

Osservazione 1.24 . Per favorire una corretta memorizzazione delle for-


mule (1.65) si ponga attenzione alle due relazioni
c̃i = Qci e ṽ = QT v :
si opera con il tensore Q per trasformare la base ci nella base c̃i , mentre
si opera con la matrice trasposta QT per trasformare le componenti di un
vettore nella base ci in quelle nella base c̃i . La figura 1.2 illustra la situazione
di una rotazione nel caso piano: il vettore QT v ha, rispetto alla base ci , le
stesse componenti che v ha nella base ruotata c̃i = Qci .

Osservazione 1.25 . Poiché le coordinate cartesiane xi e x̃i di un punto


P nei riferimenti Oc1 c2 c3 e Oc̃1 c̃2 c̃3 , rispettivamente, coincidono con le
componenti i-me in tali riferimenti del vettore posizionale OP , le (1.66)
implicano
x̃s = Qis xi , xs = Qsi x̃i . (1.67)

♠ Formule di trasformazione per le componenti di un tensore.


Sia A un tensore e siano A e à le matrici che lo rappresentano rispetti-
vamente nelle basi ci e c̃i . Le componenti delle due matrici sono date (per
definizione) da
Aij = Acj · ci , Ãij = Ac̃j · c̃i . (1.68)

Proposizione 1.26 Le matrici che rappresentano un tensore rispetto a due


diverse basi ortonormali ci e c̃i = Qci soddisfano le relazioni
à = QT A Q, A = Q à QT , (1.69)
che, espresse in componenti diventano:
Ãij = Qli Als Qsj , Aij = Qil Ãls Qjs . (1.70)
In particolare, per A = Q si riottiene l’Osservazione 1.21.
1.2 Tensori euclidei 19

Esercizio 1.27 Si consideri un campo vettoriale u rappresentato nel riferi-


mento cartesiano Oc1 c2 c3 dalle funzioni di classe C 1
ui = ui (x1 , x2 , x3 ), i = 1, . . . , 3, (1.71)
e la matrice 3 × 3 delle loro derivate parziali
∂ui
ui,j (x1 , x2 , x3 ), ui,j := , i, j = 1, . . . , 3. (1.72)
∂xj
Questa costituisce la rappresentazione cartesiana di un operatore lineare,
indicato come gradu o ∇u; infatti risulta
∂ ũi
ũi,j := = Qli ul,s Qsj , ui,j = Qil ũl,s Qjs . (1.73)
∂ x̃j
Inoltre non è restrittiva l’ipotesi, adottata sopra, che i due sistemi di coor-
dinate abbiano la stessa origine O.

Esercizio 1.28 Sia ora W la parte emisimmetrica di ∇u : W = 1/2(∇u −


(∇u)T ). Si dimostri che il vettore w corrispondente a W tramite (1.34) è
w = 1/2 rotu.

Invarianti principali di un tensore.


Le relazioni (1.69) mostrano come mutano le componenti di un tensore
al cambiare della base ortonormale. Come il modulo di un vettore risulta
indipendente dalla base cosı̀esistono degli scalari costruiti tramite le compo-
nenti di un tensore che non mutano al mutare della base e diremo pertanto
che sono degli invarianti (ortogonali).

Definizione 1.29 Si dice traccia di un tensore A lo scalare:


tr(A) = A11 + A22 + A33 = Aii . (1.74)

Esempio 1.30 La traccia del tensore a ⊗ b è data da

tr(a ⊗ b) = a1 b1 + a2 b2 + a3 b3 = a · b. (1.75)

Proposizione 1.31 La traccia del prodotto di due tensori qualsiasi, A e B,


non dipende dall’ordine dei fattori:

tr(AB) = tr(BA). (1.76)

Dimostrazione. tr(AB) = Ais Bsi = Bsi Ais = tr(BA).


20 Preliminari geometrici ed analitici

Dato un tensore A, si considerino i seguenti scalari:†

I1 (A) = tr(A) = A11 + A22 + A33 ( invariante primo o lineare),


1
I2 (A) = [(trA)2 − tr(A2 )] ( invariante secondo o quadratico),
2
I3 (A) = DetA ( invariante terzo o cubico). (1.77)

Proposizione 1.32 I tre scalari definiti dalle (1.77) sono invarianti per
cambiamenti di basi ortonormali.

Dimostrazione. Di (1.77)1 : trà = tr(QT AQ) = (per (1.76)) = tr(Q QT A) =


trA.
Di (1.77)2 : (trA)2 è invariante; tr(A2 ) = tr(A A) è invariante in quanto
traccia del tensore AA. Dunque anche I2 (A) è invariante.
Di (1.77)3 : DetA è invariante per la Osservazione 1.15. Volendo una dimo-
strazione diretta: Detà = Det(QT AQ) = DetQT DetADetQ = DetA.

Si osservi infine che la traccia del prodotto AB è espressa da

tr(AB) = Aij Bji . (1.78)

Ricordando che un generico tensore B si può decomporre in somma delle


sue parti, simmetrica ed emisimmetrica e ricordando la (1.32), è evidente
che la traccia del prodotto di un tensore simmetrico S per B equivale alla
traccia del prodotto di S per la parte simmetrica di B:
1 1
tr(SB) = tr(S (B + B T )) = Sij (Bji + Bji ). (1.79)
2 2

♠ Autovalori, autovettori
Dato un tensore A, si vogliono determinare, se esistono, i vettori u di V
che vengono mutati da A in vettori paralleli a se stessi:

Au = λu con λ ∈ R. (1.80)

È evidente che la (1.80) equivale alla relazione

(A − λI)u = 0. (1.81)

L’equazione (1.81) si può esplicitare nella forma matriciale


A11 − λ A12 A13 u1
  

(A − λI)u = 0,  A21 A22 − λ A23   u2  = 0. (1.82)


A31 A32 A33 − λ u3
† Talora si sceglie come invariante secondo −I2 (A).
1.2 Tensori euclidei 21

Si tratta di un sistema lineare omogeneo nelle incognite ui con parametro


λ. Perchè esso ammetta soluzioni non banali è necessario che sia

Det(A − λI) = 0, (1.83)

e in tal caso vi sono infiniti vettori soluzione, u. Sviluppando il determinante


a primo membro, la (1.83)da luogo alla seguente equazione algebrica di grado
3 nell’incognita λ, detta equazione caratteristica:

λ3 − I1 (A)λ2 + I2 (A)λ − I3 (A) = 0. (1.84)

Le radici λ1 , λ2 , λ3 sono dette autovalori. In corrispondenza ad autovalori


λi il sistema (1.82) ammette delle soluzioni ui , non nulle, dette autovettori.
Se v è un autovettore, tale è anche il vettore αv. Non pone limitazioni,
quindi, scegliere un autovettore di modulo unitario che rappresenti la classe
di tutti gli autovettori ad esso paralleli.
Ci limiteremo a trattare il problema degli autovettori nel caso di tensori
simmetrici per il particolare interesse che essi presentano nella Meccanica
Razionale e, in generale, nella Fisica Matematica. Vale il seguente

Teorema 1.33 Sia S un tensore simmetrico; allora


a) le radici (autovalori) dell’equazione caratteristica (1.83) sono reali;
b) Il sistema (1.82) ammette almeno tre soluzoni (autovettori) u1 , u2 , u3 ,
mutuamente ortogonali.

Sia Q la rotazione che manda la base ortonormale c1 , c2 , c3 nella base


costituita dagli autovettori u1 , u2 , u3 , del tensore S che, per quanto detto,
possiamo assumere costituenti una terna ortonormale levogira. La colonna j-
esima della matrice Q è costituita dalle componenti di uj nella base c1 , c2 , c3
:
 1
u 1 u1 2 u1 3

Q =  u2 1 u2 2 u2 3  , (1.85)
u3 1 u3 2 u3 3

dove con uij s’intende la componente i-esima del vettore uj :

uij = uj · ci . (1.86)

Nella base ortonormale formata dagli autovettori u1 , u2 , u3 , l’operatore S è


rappresentato dalla matrice Ŝ che è legata alla matrice S dalla relazione

Ŝ = QT SQ. (1.87)
22 Preliminari geometrici ed analitici

Proposizione 1.34 In una base formata dai suoi autovettori il tensore


simmetrico S ammette la rappresentazione diagonale :
λ1 0 0
 

Ŝ =  0 λ2 0 . (1.88)
0 0 λ3

Nel caso in cui sia λ1 = λ2 = λ3 = λ si ha che ogni vettore dello spazio V


è autovettore corrispondente all’autovalore λ e quindi S = λI.
Nel caso in cui solo due autovalori coincidano:

a = λ1 = λ2 6= λ3 = b, (1.89)

il tensore assume la seguente rappresentazione rispetto alla terna di autovet-


tori u1 ,u2 , u3 (essendo u3 l’autovettore relativo a b):
a 0 0
 

Ŝ = 0 a 0  .
 (1.90)
0 0 b

Proposizione 1.35 Nella notazione di sopra, ogni vettore ortogonale a u3


è un autovettore relativo all’autovalore a e il tensore S ha la stessa matrice
rappresentativa (1.90) rispetto a ogni base ortonormale di autovettori.

È evidente che la proposizione (1.35) si può adattare anche ai casi in cui


si scelga l’autovettore relativo all’autovalore distinto b coincidente con u1
oppure con u2 .

1.3 Un particolare tensore.


Si indichi con D il tensore trattato nell’Esercizio 1.12 nel caso in cui sia
a = OP , essendo O e P due punti di E , sia cioè:

D = (|OP |2 I − OP ⊗ OP ) = (trL)I − L, L = OP ⊗ OP. (1.91)

Proposizione 1.36 Sia r la retta per O di versore n; allora lo scalare


d2 = n · Dn è il quadrato della distanza di P da r:

n · Dn = |P 0 P |2 . (1.92)

Infatti: n · Dn = n · [(OP 2 I − OP ⊗ OP )n] = n · [OP 2 n − OP (OP · n)] =


OP 2 − (OP · n)(OP · n) = |OP |2 − (OP · n)2 = |P 0 P |2 , avendo indicato con
P 0 la proiezione di P su r (vedi figura 1.1 (2)).
1.4 Decomposizione polare 23

Sia O l’origine di un sistema di riferimento cartesiano; dette x1 , x2 , x3


le co-ordinate di P , le matrici dei tensori che compaiono nella (1.91) sono
espresse dalle seguenti relazioni
(x1 )2 + (x2 )2 + (x3 )2 0 0
 
2
OP I =  0 (x1 )2 + (x2 )2 + (x3 )2 0 
0 0 1 2 2 2 3
(x ) + (x ) + (x ) 2
(1.93)
(x1 )2 x1 x2 x1 x3
 

[OP ⊗ OP ] =  x2 x1 (x2 )2 x2 x3  . (1.94)


x3 x1 x3 x2 (x3 )2

Quindi la matrice che rappresenta il tensore D = OP 2 I − OP ⊗ OP è data


da

(x2 )2 + (x3 )2 − x1 x2 −x1 x3


 

D=  −x2 x1 (x ) + (x3 )2
1 2 −x2 x3 . (1.95)
−x3 x1 − x3 x2 1 2
(x ) + (x )2 2

1.4 Decomposizione polare

Definizione 1.37 Un tensore simmetrico S si dice definito positivo se


per ogni v ∈ V risulta

Sv · v ≥ 0 o, in componenti, Sij v i v j ≥ 0 (1.96)

valendo l’uguaglianza solo per v = 0; ossia, se Sv forma angolo acuto con


v per ogni v 6= 0.

Proposizione 1.38 Se S è un tensore simmetrico definito positivo i suoi


autovalori sono tutti positivi.

Teorema 1.39 (di Decomposizione Polare) Per ogni tensore F inverti-


bile è sempre possibile determinare in modo unico un tensore ortogonale R
e due tensori simmetrici, definiti positivi, U e V , tali che risulti

F = RU e F = V R. (1.97)

Dimostrazione. Si consideri il tensore F T F ; esso è simmetrico

(infatti (F T F )T = F T (F T )T = F T F ),
24 Preliminari geometrici ed analitici

e definito positivo
(infatti F T F v · v = F v · F v = (F v)2 ≥ 0).
Per la Proposizione (1.38) gli autovalori di F T F sono positivi: λj > 0,
(j = 1, 2, 3). Si assuma una terna di autovettori unitari come base di V ; il
tensore F T F è ivi rappresentato dalla matrice diagonale:
λ1 0 0
 

FTF =  0 λ2 0 . (1.98)
0 0 λ3
Si consideri la matrice
√
λ1 √0 0

U=  0 λ2 √0
; (1.99)
0 0 λ3
risulta evidentemente U U = F T F . Dunque esiste un tensore U tale che
UU = F T F . (1.100)
Il tensore U è simmetrico e definito positivo. Infatti la matrice (1.99) ha
tali caratteristiche e queste sono intrinseche del tensore, cioè indipendenti
dalla base. Il tensore R, definito da
R = F U −1 , (1.101)
è ortogonale: RT R = (F U −1 )T F U −1 = U −T F T F U −1 = U −1 F T F U −1 =
U −1 U U U −1 = I (si osservi che U −T = U −1 poichè l’inverso di un ten-
sore simmetrico è ancora simmetrico). Dunque risulta soddisfatta la (1.55).
Dalla (1.101) segue immediatamente la (1.97)1 . Si omette per brevità la
dimostrazione dell’unicità dei tensori R e U . Per dimostrare la (1.97)2 si
procede in modo analogo ponendo V V = F F T , R = V −1 F .
Le relazione (1.97)1 e (1.97)2 rappresentano rispettivamente la decompo-
sizione polare destra e la decomposizione polare sinistra del tensore F .

1.4.1 Interpretazione geometrica del teorema di decomposizione


polare. Quadrica indicatrice.
Nello spazio euclideo E si consideri la sfera di raggio unitario avente centro
nell’origine O di un sistema di coordinate cartesiane. La superficie sferica
si può pensare come luogo degli estremi P dei vettori di modulo unitario
applicati in O ed è caratterizzata dalla relazione :
P3 i 2
OP · OP = 1 (in co-ordinate i=1 (x ) = 1). (1.102)
1.4 Decomposizione polare 25

U R

RU

Fig. 1.3. Come opera la decomposizione polare destra

Il vettore OP viene trasformato dal tensore F nel vettore OT = F OP e il


luogo dei punti T è caratterizzato dalla relazione:

F −T F −1 OT · OT = 1 (1.103)

che si ottiene dalla (1.102) mediante la sostituzione OP = F −1 OT (infatti


da OP · OP = 1 segue F −1 OT · F −1 OT = 1, F −T F −1 OT · OT = 1 e quindi
segue la (1.103)). In coordinate cartesiane la (1.103) diventa

(F −T F −1 )ij xi xj = 1 (1.104)

La (1.104) rappresenta una quadrica, detta quadrica indicatrice e precisa-


mente un ellissoide, dato che il tensore (F −T F −1 ) è simmetrico e definito
positivo (si pensi di riferire l’equazione (1.104) a una terna che diagonalizza
la matrice del tensore F −T F −1 e si ricordi che gli elementi diagonali sono
positivi: si ottiene in tale modo l’equazione canonica di un ellissoide). Si può
quindi dire che i punti che stanno su una sfera di raggio unitario vengono
mandati in punti che stanno su un ellissoide, di equazione (1.104).
Le figure seguenti illustrano il modo di operare del tensore F tramite i fat-
tori che intervengono nella decomposizione polare destra e, rispettivamente,
sinistra.
Nella Figura 1.3 si pensa F = RU (decomposizione polare destra): la
sfera è prima deformata da U in un ellissoide che viene poi ruotato da R.
Nella Figura 1.4 si pensa F = V R (decomposizione polare sinistra): la
sfera è prima ruotata da R e poi deformata da U in un ellissoide.
26 Preliminari geometrici ed analitici

R V

VR

Fig. 1.4. Come opera la decomposizione polare sinistra

1.5 Teorema del Dini per sistemi di equazioni nonlineari


Consideriamo k funzioni reali f1 , . . . , fk definite in Rn , n > k, e ivi continue.
Per convenienza i punti P di Rn saranno descritti nella forma
P = (x1 , . . . , xk , y1 , . . . , yN ), N = n − k.
Diremo che le k equazioni nonlineari
f1 (x1 , . . . , xk , y1 , . . . , yN ) = 0
..
. (1.105)
fk (x1 , . . . , xk , y1 , . . . , yN ) = 0
definiscono implicitamente k funzioni
φ1 (y1 , . . . , yN )
..
. (1.106)
φk (y1 , . . . , yN ),
definite in un aperto A di RN , se valgono identicamente in A le uguaglianze
f1 (φ1 (y1 , . . . , yN ), . . . , φk (y1 , . . . , yN ), y1 , . . . , yN ) = 0
..
. (1.107)
fk (φ1 (y1 , . . . , yN ), . . . , φk (y1 , . . . , yN ), y1 , . . . , yN ) = 0.
In questo caso diremo anche, semplificando, che il sistema (1.105) è equiva-
lente al sistema
1.6 Superfici parametriche 27

x1 = φ1 (y1 , . . . , yN )
..
. (1.108)
xk = φk (y1 , . . . , yN ),
che esplicita le x1 , . . . , xk come funzione delle (restanti) variabili y1 , . . . , yN ;
un’altra dizione è che (1.108) è la risoluzione del sistema (1.105) rispetto
alle x1 , . . . , xk .
Ricordiamo che la matrice jacobiana J delle fi rispetto alle xr è
 ∂f1 ∂f1 ∂f1
∂x1 ∂x2 ... ∂xk

∂f2 ∂f2 ∂f2
...
 
∂x1 ∂x2 ∂xk
 
J =
 .. .. .. 
 (1.109)
 . . ... . 
∂fk ∂fk ∂fk
∂x1 ∂x2 ... ∂xk
e che il determinante di J, detto determinante jacobiano o jacobiano delle
fi rispetto alle xr si indica con il simbolo
∂(f1 , . . . , fk )
detJ = . (1.110)
∂(x1 , . . . , xk )
L’esistenza delle funzioni implicite è garantita dal seguente teorema (del
Dini) che costituisce una condizione solo sufficiente:

Teorema 1.40 Le funzioni f1 , . . . , fk siano di classe C 1 (Rn ); esse si an-


nullino tutte nel punto P0 = (x01 , . . . , x0k , y10 , . . . , yN
0 ); e il loro jacobiano

rispetto alle x1 , . . . , xk sia diverso da zero in P0 . Allora esistono un op-


portuno intorno A di y10 , . . . , yN0 e k funzioni φ , . . . , φ , definite in A e ivi
1 k
di classe C 1 , che verificano in tutto A le (1.107) e le condizioni (iniziali)
φr (y10 , . . . , yN
0
) = x0r , r = 1, . . . , k. (1.111)

Esercizio 1.41 Si supponga che le fi siano funzioni lineari (anche non


omogenee) e si confronti il risultato appena enunciato con teoremi noti sui
sistemi di equazioni lineari.

1.6 Superfici parametriche


In quel che segue supporremo che le funzioni considerate abbiano tutte le
derivate che servono per il loro utilizzo.
Vi sono varie maniere di introdurre una superficie nello spazio euclideo
tridimensionale E . Ad esempio, se si è introdotto un sistema di coordinate
28 Preliminari geometrici ed analitici

cartesiane Oxyz, una superficie S può essere definita (implicitamente ) da


un’equazione, generalmente nonlineare, della forma

F (P ) := F (x, y, z) = 0 con la condizione ∇F 6= 0; (1.112)

quest’ultima condizione serve a garantire che la superficie sia un oggetto


bidimensionale immerso nello spazio, in senso intuitivo. Ricordiamo che in
ogni punto di S il vettore ∇F è ortogonale ad S.
Un’altra possibilità è quella di introdurre una superficie cartesiana espri-
mendo una delle coordinate come funzione, generalmente nonlineare, delle
rimanenti due; ad esempio

z = Z(x, y), oppure z − Z(x, y) = 0. (1.113)

Quest’ultima relazione garantisce che ogni superficie cartesiana è una (parti-


colare) superficie implicita; la condizione (1.112) è infatti automaticamente
verificata. Inoltre la normale alla superficie si può rappresentare in questo
caso attraverso il vettore (− ∂Z ∂Z
∂x , − ∂y , 1).

Definizione 1.42 Una superficie (in forma) parametrica è definita mediante


una funzione (q1 , q2 ) 7→ P (q1 , q2 ), che si può anche scrivere nella forma

x = χ1 (q1 , q2 ), y = χ2 (q1 , q2 ), z = χ3 (q1 , q2 ), (1.114)

con (q1 , q2 ) variabile in un aperto D di R2 , a valori in E . Inoltre la matrice


(rettangolare) jacobiana
∂(χ1 , χ2 , χ3 )
(1.115)
∂(q1 , q2 )
abbia caratteristica (o rango) 2: ci sia sempre almeno un minore di ordine
2 non nullo.

In meccanica, quando la superficie parametrica rappresenta il luogo su


cui è costretto (da opportuni dispositivi) a muoversi un punto materiale, i
parametri q1 , q2 , si chiamano coordinate lagrangiane o libere e il loro numero,
2, il numero di gradi di libertà del punto vincolato.
Ogni superficie cartesiana è una (particolare) superficie parametrica. Ad
esempio la (1.113) si può scrivere nella forma
∂(x, y)
x = q1 , y = q2 , z = Z(q1 , q2 ), con Det = 1. (1.116)
∂(q1 , q2 )
Viceversa, per il teorema del Dini, ogni superficie parametrica è almeno
1.6 Superfici parametriche 29
e2

S P e1

q2

q1

Fig. 1.5. Superficie parametrica

localmente una superficie cartesiana. Ad esempio, nell’ipotesi che sia


∂(χ1 , χ2 )
Det 6= 0,
∂(q1 , q2 )
possiamo invertire le (1.114)1,2 in

q1 = q1 (x, y), q2 = q2 (x, y) (1.117)

e riscrivere la (1.114)3 nella forma

z = z(q1 (x, y), q2 (x, y)) =: Z(x, y). (1.118)

Quindi, almeno localmente, si può rappresentare una superficie in una


qualunque delle tre forme descritte sopra e passare dall’una all’altra. In
generale, poiché il teorema del Dini non fornisce una formula risolutiva,
questo passaggio non si riesce a descrivere esplicitamente.

Osservazione 1.43 Una superficie parametrica ammette infinite rappre-


sentazioni parametriche. Se (1.114) è una di queste, tutte e sole le altre
si ottengono pensando la coppia (q1 , q2 ) come funzione regolare, invertibile,
con inversa regolare, di una nuova coppia (Q1 , Q2 ):
∂(q1 , q2 )
q1 = q1 (Q1 , Q2 ), q2 = q2 (Q1 , Q2 ), Det 6= 0. (1.119)
∂(Q1 , Q2 )
Ad esempio, nel piano (q1 , q2 ) di Fig. 1.5 al posto delle coordinate cartesiane
si possono usare le coordinate polari (se si può escludere l’origine).

Pur fornendo tutte le rappresentazioni parametriche di una superficie S


una corretta descrizione locale della S, alcune possono essere preferibili per
30 Preliminari geometrici ed analitici

particolari ragioni, ad esempio legate all’espressione di quantità geometrico-


cinematiche associate ad S (velocità, energia cinetica, ...). Vedi gli esempi
più sotto.
Consideriamo l’interpretazione meccanica della superficie S come vincolo
per un punto materiale. È intuitivo che il vincolo geometrico di appartenenza
alla superficie fornisce anche una limitazione sulle velocità che il punto può
assumere in un suo qualunque moto lungo la superficie (vincolo cinematico).
Per rendere esplicito questo nuovo vincolo consideriamo una curva parame-
trica regolare orientata γ (che sia parametrica non è una reale restrizione,
vedi §12.2)
P = P (λ), oppure x = x(λ), y = y(λ), z = z(λ), λ ∈ [λ0 , λ1 ],
(1.120)
sulla quale vogliamo imporre la condizione che tutti i suoi punti stiano sulla
superficie S. Una tale curva si può interpretare come un moto compatibile
con il vincolo se pensiamo al parametro λ come tempo.
Se la superficie S è rappresentata in forma implicita come in (1.112) allora
la condizione che γ appartenga ad S si scrive
F (x(λ), y(λ), z(λ)) = 0 per ogni λ ∈ [λ0 , λ1 ]; (1.121)
differenziandola rispetto a λ otteniamo
∂F dx ∂F dy ∂F dz dP
0= + + = ∇F · t, t= . (1.122)
∂x dλ ∂y dλ ∂z dλ dλ
Cioè il vettore tangente t (ricordiamo che è t 6= 0) alla curva nel punto gene-
rico P appartiene al piano tangente alla superficie in P ; l’equazione vettoriale
del piano è data da (1.122) in cui però t è guardato come incognita. Cioè
il piano tangente a S in P è il piano che contiene (tutti e soli) i vettori
tangenti, in P , alle curve che appartengono a S e passano per P .
Il piano tangente si può esaminare anche a partire dalla rappresentazione
parametrica (1.114). Comunque si consideri una curva regolare (q1 (λ), q2 (λ))
nel dominio D della (1.114), la curva γ definita da
x(λ) = χ1 (q1 (λ), q2 (λ)), y(λ) = χ2 (q1 (λ), q2 (λ)), z(λ) = χ3 (q1 (λ), q2 (λ))
(1.123)
appartiene alla superficie ed è regolare per costruzione. In base al teorema
del Dini si può dimostrare che ogni curva regolare della superficie si può
ottenere in questo modo, mediante un’opportuna scelta della curva nel do-
minio D della rappresentazione parametrica. Tra le curve di S passanti per
P ci interessa in particolare quella ‘coordinata’, γ1 , [γ2 ,] ottenuta facendo
variare in (1.114) soltanto il parametro q1 [q2 ]. I vettori tangenti a γ1 e
1.7 Curve parametriche 31

γ2 , diciamoli e1 ed e2 , rispettivamente, non sono paralleli in base a (1.115),


quindi generano il piano tangente. Questo è costituito dai vettori tangenti
alle curve superficiali passanti per P . Infatti, indicando con t il vettore
tangente alla curva (1.123), si ottiene da questa per differenziazione
∂P dq1 ∂P dq2 dq1 dq2
t= + = e1 + e2 , (1.124)
∂q1 dλ ∂q2 dλ dλ dλ
che giustifica l’affermazione in base all’arbitrarietà di dq1 dq2
dλ , dλ .
Anche a partire dalla rappresentazione parametrica si può costruire la
normale a S. Conviene introdurre il vettore normale (non unitario)

m = m(q1 , q2 ) = e1 × e2 , mi = eijk ej1 ek2 (1.125)

che interviene nel calcolo delle aree e degli integrali superficiali. Infatti, per
ogni suttosuperficie S 0 di S ottenuta restringendo (1.114) a un dominio D 0
contenuto in D, l’area A0 di S 0 è
ZZ ZZ
A0 = dS := kmk(q1 , q2 ) dq1 dq2 (1.126)
S0 D0

e per ogni funzione continua f : E → R


ZZ ZZ
f dS := f (P (q1 , q2 )) kmk(q1 , q2 ) dq1 dq2 . (1.127)
S0 D0

Le quantità qui introdotte hanno l’importante proprietà di essere indipen-


denti dalla particolare rappresentazione parametrica adottata per la super-
ficie.

Esercizio 1.44 Si espliciti la teoria precedente nel caso in cui la superficie


sia la sfera di raggio 1 e centro l’origine di un sistema di coordinate cartesiane
Oxyz, di equazione implicita

x2 + y 2 + z 2 − 1 = 0. (1.128)

Si dica se le coordinate polari sferiche θ, φ possono essere usate come coor-


dinate lagrangiane e se siano preferibili ad altre (e perché).

1.7 Curve parametriche


Anche per una curva (regolare) nello spazio sono possibili varie definizioni.
Cominciamo da quella parametrica, già introdotta in §12.1. Una curva para-
metrica è definita mediante una funzione

γ : λ 7→ P (λ), λ ∈ [λ0 , λ1 ], P (λ) = (x(λ), y(λ), z(λ)) (1.129)


32 Preliminari geometrici ed analitici

y t

λ
λ0 λ1

Fig. 1.6. Curva parametrica

soddisfacente, per ogni λ la condizione


dP
6= 0.
t := (1.130)

Si può convenire di orientarla nel verso crescente delle λ. Come per le
superfici, la rappresentazione parametrica è la più adatta per introdurre la
lunghezza d’arco e il concetto di integrale curvilineo di una funzione (scalare)
continua f (P ). Per ogni tratto di curva γ 0 compreso tra λ0 e λ00 la lunghezza
L0 e l’integrale curvilineo sono dati da
Z λ00
ds
Z
L0 = ds := ktk(λ) dλ, = ktk, (1.131)
γ0 λ0 dλ
Z Z λ00
f ds := f (P (λ)) ktk(λ) dλ. (1.132)
γ0 λ0

Le quantità qui introdotte hanno l’importante proprietà di essere indipen-


denti dalla particolare rappresentazione parametrica adottata per la curva.
Per l’interpretazione meccanica è utile introdurre una curva in forma im-
plicita, come intersezione di due superfici (implicite), cioè come luogo delle
soluzioni del sistema
F1 (x, y, z) = 0 = F2 (x, y, z). (1.133)
Dal punto di vista meccanico, il punto costretto a muoversi sulla curva γ è
pensato sottoposto a due vincoli, ciascuno rappresentato da una superficie,
che devono essere indipendenti per produrre una curva. Dal punto di vista
geometrico l’indipendenza si descrive dicendo che le due superfici devono
tagliarsi trasversalmente (non devono avere in alcun punto dell’intersezione
1.8 Cenni introduttivi alla meccanica dei sistemi vincolati 33

lo stesso piano tangente. Dal punto di vista analitico l’indipendenza delle


due condizioni in (1.133) è descritta imponendo che il rango (o caratteristica)
della matrice jacobiana sia massimo, cioè 2:
∂(F1 , F2 )
2 = rnk . (1.134)
∂(x, y, z)
Questa condizione si interpreta geometricamente come non parallelismo dei
gradienti ∇F1 , ∇F2 , cioè dei piani tangenti alle due superfici vincolari, che
è la condizione di trasversalità nominata sopra. La condizione sul rango
e il teorema del Dini garantiscono che ogni curva implicita è localmente
parametrica; se, ad esempio, è diverso da zero il determinante ∂(F 1 ,F2 )
∂(x,y) , allora
si possono esprimere x e y come funzioni di z che è il parametro λ in questo
caso.

Esercizio 1.45 Si dimostri in dettaglio l’affermazione precedente. Si di-


mostri anche il viceversa: ogni curva parametrica è localmente una curva
implicita.

Esercizio 1.46 Si scrivano le condizioni che caratterizzano le velocità com-


patibili col vincolo di appartenenza alla curva γ sia in termini della rappre-
sentazione parametrica che di quella implicita.

Esercizio 1.47 Al vincolo introdotto nell’Esercizio 12.3 si aggiunga l’ul-


teriore vincolo z = 0. Si dimostri che i due vincoli sono indipendenti e
quindi definiscono una curva. Di questa si diano alcune rappresentazioni
(locali) parametriche e si caratterizzino le velocità compatibili con il vincolo
complessivo a partire sia dalla rappresentazione parametrica che da quella
implicita.

1.8 Cenni introduttivi alla meccanica dei sistemi vincolati


La meccanica del punto materiale e, più in generale, dei sistemi di punti
materiali studia inizialmente il problema del moto nell’ipotesi che ogni punto
del sistema considerato sia libero, cioè in grado di occupare una qualunque
posizione nello spazio (magari dando luogo a fenomeni d’urto nel caso in cui
due o più punti finiscano per trovarsi nella stessa posizione dello spazio). Il
moto del sistema è allora retto dal sistema di equazioni vettoriali
mi ai = fi (non somme, i = 1, . . . , n), (1.135)
dove n è il numero di punti del sistema e fi è la forza totale sul punto
i-mo Mi , pensata come funzione delle posizioni e velocità di tutti i punti
34 Preliminari geometrici ed analitici

(ed espressa attraverso la legge del parallelogramma come somma vettoriale


delle singole forze tra Mi e ciascun altro punto Mj , j 6= i).
D’altra parte l’esperienza quotidiana ci presenta sistemi le cui parti non
possono muoversi liberamente perché costrette da opportuni dispositivi che
legano le parti o tra loro (vincoli interni) oppure ad altre non appartenenti
al sistema (vincoli esterni).
I modelli più semplici di sistemi vincolati sono quelli di un singolo punto
vincolato ad appartenere a una superficie o a una curva; quest’ultimo, ad
esempio, può descrivere in modo approssimato la mobilità del baricentro di
un vagoncino dell’otto volante.
Su questi modelli semplici abbiamo risolto alcuni problemi geometrico-
cinematici di carattere generale per i sistemi vincolati:
• determinazione delle equazioni dei vincoli;
• determinazione di un insieme di parametri essenziali (coordinate lagrangia-
ne o libere) che descrivano, almeno localmente, l’insieme delle configu-
razioni permesse dai vincoli;
• determinazione delle restrizioni che i vincoli pongono alle velocità.
Ad esempio, per il punto vincolato su una superficie le risposte sono con-
tenute nel paragrafo 1.6:
• l’equazione del vincolo è l’equazione della superficie e può essere scritta in
forma implicita, cartesiana, parametrica e queste sono localmente equiva-
lenti tra di loro;
• i parametri essenziali sono quelli che figurano in una qualunque rappre-
sentazione parametrica locale del vincolo; queste sono infinite, solo il loro
numero, due, è univocamente determinato, per cui si dice che l’insieme
delle configurazioni consentite dal vincolo è una varietà bidimensionale o
che il sistema vincolato ha due gradi di libertà;
• le velocità compatibili con il vincolo sono i vettori (localmente) tangenti
alla superficie; le restrizioni che le caratterizzano sono espresse da (1.122)
in termini dell’equazione implicita e da (1.124) in termini della rappresen-
tazione parametrica.

Esercizio 1.48 Nel piano cartesiano Oxy si consideri un punto P vincolato


su una guida rettilinea r a sua volta vincolata ad avere un punto fissato
nell’origine. Si diano: le equazioni dei vincoli; il numero di gradi di libertà;
una rappresentazione delle velocità permesse dai vincoli.
Si supponga ora che un dispositivo esterno faccia ruotare la guida r attorno
ad O con una legge assegnata. Questo è un semplice esempio di vincolo
1.8 Cenni introduttivi alla meccanica dei sistemi vincolati 35

mobile o dipendente dal tempo; per contro, i vincoli descritti in precedenza


si dicono fissi o indipendenti dal tempo. Vogliamo estendere a questa classe
di vincoli le considerazioni fatte sopra sui vincoli fissi. A questo scopo diamo
la seguente

Definizione 1.49 Diremo che un sistema le cui configurazioni sono de-


scritte da una n-pla di parametri (x1 , . . . , xn ) è un sistema olonomo a N
gradi di libertà se i vincoli, possibilmente mobili, si possono rappresentare
localmente nella forma parametrica
xi = χi (q1 , . . . , qN , t), i = 1, . . . , n, (1.136)
ove le funzioni χi sono di classe almeno C 1 e il rango (o caratteristica) della
matrice n × N jacobiana
 ∂χ1 ∂χ1
...

∂q1 ∂qN
 . .. 
 .. ... .  (1.137)
∂χn ∂χn
∂q1 ... ∂qN
è costante ed uguale ad N .

Esercizio 1.50 Verificare che il punto vincolato sulla guida mobile è un


sistema lagrangiano a 1 grado di libertà.
Per i sistemi lagrangiani soggetti a vincoli mobili vi sono fondamental-
mente due tipi di mobilità, o tipi di velocità, che interessano: le velocità
effettivamente compatibili con i vincoli, chiamate generalmente velocità pos-
sibili; e le velocità compatibili con i vincoli pensati istantaneamente con-
gelati, chiamate generalmente velocità virtuali. Le prime hanno significato
meccanico, le seconde solo geometrico ma sono essenziali per dare una forma
significativa alle equazioni di equilibrio (teorema dei lavori virtuali) e alle
equazioni del moto (equazioni di Lagrange).

Esercizio 1.51 Si ricavino le condizioni caratteristiche delle velocità possi-


bili e virtuali nel caso del punto vincolato sulla guida mobile, utilizzando da
una parte l’equazione implicita del vincolo, dall’altra l’equazione paramet-
rica.
Come si vede negli esempi della superficie fissa e della curva fissa (in cui
le velocità possibili e virtuali coincidono), le velocità virtuali sono tangenti
alla varietà vincolare. Questo rimane vero, in senso generalizzato, per tutti
i sistemi olonomi. Le velocità possibili hanno invece una componente, or-
togonale alla varietà vincolare, che è legata alla mobilità del vincolo, come
36 Preliminari geometrici ed analitici

si vede esplicitamente nell’esempio della guida mobile. Come in quel caso, si


può vedere che in generale la differenza fra due velocità possibili (a partire
dalla stessa configurazione) è una velocità virtuale; e, viceversa, ogni velocità
possibile si ottiene da una preassegnata velocità possibile aggiungendo una
opportuna velocità virtuale.
Nel caso in cui il sistema sia costituito da n punti materiali soggetti a un
sistema di vincoli che lasciano N gradi di libertà possiamo rappresentare
parametricamente i vincoli scrivendo le (1.136) nella forma vettoriale

OPi = OPi (q1 , . . . , qN , t), i = 1, . . . , n; (1.138)

e le velocità virtuali si ottengono differenziando le (1.138) rispetto alle qh :


PN ∂OPi
wi = h=i q̇h , i = 1, . . . , n, (1.139)
∂qh
ove le q̇h vanno pensate come incrementi arbitrari.
Spesso un sistema è sottoposto a vincoli espressi da disuguaglianze (vincoli
unilaterali) oltre che eventualmente da uguaglianze (vincoli bilaterali). Ad
esempio, nel caso di un punto vincolato ad appartenere al primo quadran-
te (chiuso) di un riferimento cartesiano piano Oxy, si possono verificare le
seguenti affermazioni:

• Per descrivere le configurazioni consentite dal vincolo occorrono e bastano


2 parametri, ad esempio le coordinate cartesiane x e y; i vincoli unilaterali
non riducono il numero di gradi di libertà.
• Consideriamo una qualsiasi posizione, detta ordinaria, in cui tutte le di-
suguaglianze eventualmente presenti siano verificate come disuguaglianze
strette (in particolare ogni posizione è ordinaria se tutti i vincoli sono
bilaterali); a partire da questa le velocità virtuali sono arbitrarie.
• Consideriamo una posizione, detta di confine, in cui almeno un vincolo
unilaterale abbia la disuguaglianza relativa che valga come uguaglianza;
a partire da questa posizione, le velocità virtuali devono soddisfare, per
ognuna delle diseguaglianze che valgono come uguaglianze, una disug-
uaglianza della stessa forma. Ad esempio, se la posizione appartiene
all’asse x ma non è l’origine, quindi la sola disuguaglianza y ≥ 0 vale
come uguaglianza, allora le velocità virtuali devono soddisfare la con-
dizione ẏ ≥ 0. Se la posizione è l’origine allora le velocità virtuali devono
soddisfare entrambe le disuguaglianze ẋ ≥ 0 e ẏ ≥ 0.
• Diremo che una velocità virtuale è reversibile se anche la sua opposta è
virtuale. Allora: a partire da una posizione ordinaria ogni velocità virtuale
è reversibile, in particolare se i vincoli sono tutti bilaterali; a partire da
1.9 Cenno alle equazioni cardinali 37

una posizione di confine sono reversibili le velocità le disuguaglianze sulle


quali valgono come uguaglianze. Nell’esempio di sopra: nel primo caso
sono reversibili le velocità parallele all’asse x: ẏ = 0; a partire dall’origine
l’unica velocità reversibile è quella nulla.

Già alla fine del ’600 Jakob Bernoulli si rese conto che un vincolo, che
come abbiamo fatto sopra fornisce una restrizione geometrico-cinematica,
esercita necessariamente anche un’azione meccanica, cioè una forza. Quindi
l’equazione fondamentale della meccanica deve essere opportunamente mod-
ificata; in particolare la (1.135) diviene

mi ai = fi + φi (non somme, i = 1, . . . , n), (1.140)

ove fi è la forza attiva totale e φi la reazione vincolare totale agenti su


Mi . Questa modifica è un problema perché, a differenza della forza attiva,
la reazione vincolare non è determinata dal moto del sistema. Si consid-
eri ad esempio un punto materiale pesante fermo in equilibrio su un piano
orizzontale. Qui la cinematica è completamente nota ma non possiamo dire
quanto vale la reazione vincolare se non conosciamo anche la forza attiva;
in questo caso basta conoscere la massa del punto e quindi la forza peso. È
dunque di fondamentale importanza avere informazioni aggiuntive sul com-
portamento dei vincoli per rendere le equazioni (1.140) trattabili. Inoltre le
reazioni vincolari restano sostanzialmente determinate dalle stesse (1.140),
qualora queste consentano anche la determinazione del moto del sistema.
Come vedremo, questo è possibile, magari non in modo univoco, per una
classe speciale di vincoli, chiamati ideali o lisci o privi di attrito in senso
generalizzato.

1.9 Cenno alle equazioni cardinali


Consideriamo un sistema particellare soggetto a forze e a vincoli. Diremo
interne le forze, sia attive che vincolari, che agiscono tra punti del sistema
ed esterne le altre. Inoltre, se f è la forza che agisce sul punto materiale M
occupante la posizione P , e A è un punto arbitrario dello spazio, chiameremo
momento della forza f rispetto al polo A il vettore

MA = AP × f . (1.141)

Le forze interne attive hanno risultante R(i,a) (somma vettoriale delle forze)
(i,a)
e momento risultante MA (somma vettoriale dei momenti delle forze)
rispetto a qualunque polo A nulli, come conseguenza del principio di azione
38 Preliminari geometrici ed analitici

e reazione; l’analogo vale anche per le reazioni vincolari interne per postulato:
(i,v)
R(i,v) = 0 = MA .
Le (1.140) valgono identicamente lungo un qualunque moto dinamica-
mente possibile per il sistema; vale quindi nelle stesse circostanze anche la
prima equazione cardinale, ottenuta sommando le (1.140) sull’indice i:
n n n
dQ X X X
= R(e,a) + R(e,v) , Q= mi vi , R(e,a) = fi , R(e,v) = φi ;
dt i=1 i=1 i=1
(1.142)
il vettore Q, definito da (1.142)2 , rappresenta la quantità di moto del sistema
e nelle (1.142)3,4 si è tenuto conto che le forze interne hanno risultante nullo.
Se si moltiplica vettorialmente APi per la i-ma delle (1.140) e si sommano
le equazioni ottenute sull’indice i, si ottiene la seconda equazione cardinale:
n
dKA (e,a) (e,v) X
= −M vA × vG + MA + MA , KA = mi APi × vi , (1.143)
dt i=1
n n
(e,a) X (e,v) X
MA = APi × fi , MA = APi × φi .
i=1 i=1

Qui KA , definito da (1.143)2 , è il momento della quantità di moto rispetto


al polo A; e vA , vG , sono le velocità del polo A e del baricentro G, rispetti-
vamente. La (1.143)1 si semplifica al massimo se le velocità di A e G sono
parallele, in particolare se il polo A è fisso o coincide col baricentro.
Per i sistemi particellari le equazioni cardinali sono teoremi e costituis-
cono condizioni necessarie per la possibilità fisica di un moto. Una terza
condizione necessaria, scalare, si ottiene moltiplicando scalarmente la i-ma
delle (1.140) per la velocità vi , sommando le equazioni ottenute sull’indice
i e integrando rispetto al tempo su un qualunque intervallo [t1 , t2 ] su cui il
moto è definito; il risultato è l’equazione dell’energia (o teorema delle forze
vive):
n
(a) (v) 1X
T2 − T1 = Lt1 t2 + Lt1 t2 , T = mi kvi k2 , (1.144)
2 i=1

n
Z t2 X n
Z t2 X
(a) (v)
Lt1 t2 = vi · fi dt, Lt1 t2 = vi · φi dt.
t1 i=1 t1 i=1

Qui la funzione scalare T è l’energia cinetica (o forza viva), T1 , T2 sono


i valori di questa agli istanti t1 , t2 , rispettivamente, nel moto considerato;
(a)
Lt1 t2 è il lavoro effettivo fatto dalle forze attive nell’intervallo [t1 , t2 ] lungo il
(v)
moto considerato e Lt1 t2 è l’analogo lavoro effettivo delle reazioni vincolari.
1.9 Cenno alle equazioni cardinali 39

Per lavoro virtuale del sistema di forze attive fi si intende la funzione, di


significato solo geometrico, che a ogni scelta di velocità virtuali wi , o meglio
a ogni scelta di spostamenti virtuali δPi = wi dt, associa la quantità scalare
Pn
δL(a) = i=1 fi · δPi . (1.145)
Ovvio l’analogo per il lavoro virtuale δL(v) delle reazioni vincolari.
La relazione tra velocità e spostamenti appena introdotta permette di
riformulare le condizioni sulle velocità virtuali descritte sopra in termini di
spostamenti virtuali; ad esempio (1.139) è equivalente a
PN ∂OPi
δPi = h=i δqh , i = 1, . . . , n. (1.146)
∂qh
Nel caso di un sistema di punti materiali a N gradi di libertà per il quale
rappresentiamo i vincoli nella forma parametrica (1.138) e le velocità virtuali
nella forma (1.146), la (1.145) diviene
PN Pn ∂OPi
δL(a) = h=1 Qh δqh , Qh = i=1 fi · , h = 1, . . . , N. (1.147)
∂qh

Esercizio 1.52 Verificare che, nel caso di un punto M vincolato su una


superficie parametrica, Q1 e Q2 sono le componenti della forza attiva agente
su M lungo le linee coordinate della superficie passanti per la posizione P
di M lungo le quali variano q1 e q2 , rispettivamente.

Esercizio 1.53 Verificare che, nel caso di un punto M libero, la cui posizione
sia rappresentata parametricamente nella forma cartesiana ortogonale
OP = q1 c1 + q2 c2 + q3 c3 , cr · cs = δrs , (1.148)
Qh è la h-ma componente della forza attiva agente su M .
2
Cenni sulla cinematica rigida

Pensiamo all’arbitrario moto rigido M come ad una famiglia monoparame-


trica di isometrie dello spazio euclideo n-dimensionale E in sè. Il parametro
t rappresenta il tempo. Come è noto dalla geometria, se O è un’origine
scelta ad arbitrio; P è la posizione all’istante t di un arbitrario punto P ∗
del sistema rigido, e Ω quella di un punto Ω∗ prefissato delo stesso sistema,
allora risulta
OP (t) = OΩ(t) + Q(t) Ω∗ P ∗ oppure ΩP (t) = Q(t) Ω∗ P ∗ , (2.1)
dove, per ogni t, Q(t) è un tensore ortogonale; cioè risulta Q(t) QT (t) =
I = QT (t) Q(t). Differenziando (2.1)1 otteniamo direttamente la formula

ξ3

j3
x3
T'
j2 ξ2

c3 j1 P
T

O=Ω∗
c2 x2 ξ1

c1


P
x1

Fig. 2.1. Terne fissa e solidale in un moto rigido

40
Cenni sulla cinematica rigida 41

fondamentale della cinematica dei corpi rigidi:


vP = vΩ + ω × ΩP . (2.2)
Infatti, tenendo conto che (2.1)2 è equivalente a Ω∗ P ∗ = QT ΩP , si ha
vP = vΩ + Q̇(t) Ω∗ P ∗ = vΩ + Q̇(t)QT (t) ΩP = vΩ + A(t) ΩP , (2.3)
ove l’operatore lineare A(t) è definito come Q̇(t) QT (t). Vogliamo dimostra-
re che l’operatore A è emisimmetrico e coincide con l’operatore ω × per una
opportuna scelta di ω, cosicché (2.2) segue immediatamente. Per l’emi-
simmetria osserviamo che, differenziando rispetto a t l’uguaglianza I =
Q(t)QT (t) otteniamo
0 = Q̇(t) QT (t) + Q(t) Q̇T (t) = A(t) + AT (t) . (2.4)
La (2.2) ora segue in base alla Proposizione 1.10; vale la seguente espres-
sione della matrice che rappresenta A in una base ortonormale, in termini
delle componenti di ω nella stessa base:
0 −ω3 ω2
 

A =  ω3 0 −ω1  (2.5)
−ω2 ω1 0

———————

Vogliamo descrivere in forma parametrica la mutua orientazione di due


terne cartesiane ortonormali levogire che possiamo pensare aventi la stessa
origine. Siano Oxyz e Oξηζ tali terne, di versori c1 , c2 , c3 e j1 , j2 , j3 , rispet-
tivamente. Poiché risulta necessariamente
ji = Rci , i = 1, . . . , 3, (2.6)
per una (sola) scelta della rotazione R, avremo in tale modo anche dato una
parametrizzazione dell’insieme delle rotazioni.
Escludendo il caso banale in cui le due terne coincidano, possiamo senza
ledere la generalità supporre che gli assi z e ζ non siano paralleli. Allora
i piani Oxy e Oξη si intersecano lungo una linea n detta linea dei nodi.
Scegliamo come versore di n quello che vede antioraria la rotazione che
porta c3 a sovrapporsi a j3 . L’angolo θ tra questi due versori si chiama
angolo di nutazione e soddisfa le restrizioni 0 < θ < π.
Siano ora ψ e φ gli angoli di cui bisogna ruotare l’asse x in verso positivo
rispetto a z per sovrapporlo alla semiretta positiva dei nodi e, rispettiva-
mente, quest’ultima in verso positivo rispetto a ζ per sovrapporla all’asse
42 Cenni sulla cinematica rigida

z
ζ

θ
O
φ y
ψ

x
ξ

Fig. 2.2. Angoli di Eulero

ξ. Risulta 0 ≤ φ < 2π, 0 ≤ ψ < 2π. Gli angoli φ e ψ si chiamano an-


golo di rotazione propria e di precessione, rispettivamente, e, assieme a θ,
costituiscono gli angoli di Eulero.
Abbiamo fatto vedere in modo costruttivo che, date le due terne carte-
siane, ad esse possiamo associare univocamente la terna di angoli di Eulero.
Dimostriamo ora che, data la terna Oxyz e una terna di angoli di Eulero,
possiamo univocamente ricostruire la terna Oξηζ. Anzitutto, ruotando l’asse
x in verso positivo dell’angolo ψ determiniamo la semiretta positiva n della
linea dei nodi. Questa determina il piano Ozζ, nel quale otteniamo l’asse ζ
ruotando l’asse z in verso positivo dell’angolo θ. Risulta cosı̀ determinato
il piano Oξη nel quale si ottiene l’asse ξ ruotando la semiretta positiva dei
nodi, in verso positivo, dell’angolo φ. A questo punto anche il semiasse η
positivo risulta completamente determinato.

———————

Consideriamo un vettore u dipendente dal tempo e poniamo


u∗ = QT (t) u oppure u = Q(t) u∗ . (2.7)
Cenni sulla cinematica rigida 43

Siano cr , r = 1, 2, 3, i versori della terna fissa e jr i versori della terna


mobile solidale al corpo rigido (vedi figura 2.1). Quindi, rappresentando u
nella terna mobile,

jr = Q cr e u∗ = QT u = QT (ur jr ) = QT Q ur cr = ur cr . (2.8)

Quindi u∗ è il vettore che ha rispetto alla terna fissa le stesse componenti


che u ha rispetto alla terna solidale. Deriviamo (2.7)2 rispetto al tempo:
du d du∗ du∗
= (Q u∗ ) = Q̇ u∗ + Q = Q̇ QT u + Q . (2.9)
dt dt dt dt
D’altronde
du∗ d dur du∗ dur dur
= (ur cr ) = cr da cui Q = Q cr = jr (2.10)
dt dt dt dt dt dt
e dunque, ricordando (2.5) e ponendo
du∗
u̇ := Q (2.11)
dt
abbiamo la seguente uguaglianza:
du
= ω × u + u̇ . (2.12)
dt
Se u è solidale al corpo rigido
dur du
=0 quindi u̇ = 0 e =ω × u (2.13)
dt dt
come già noto. Piú in generale u̇ rappresenta la variazione per unità di
tempo di u rispetto allo spazio solidale al corpo rigido. Nel caso particolare
che sia u = λ ω risulta
du
= u̇ : (2.14)
dt
u ha la stessa derivata sia rispetto alla terna fissa che alla terna mobile.

———————

Siano x e x0 i vettori posizionali OP e OΩ all’istante t nel moto rigido


descritto da (2.1). Indichiamo con e(x) = vP e e0 = vΩ le velocità dei punti
del sistema rigido che transitano nelle posizioni x e x0 , rispettivamente. La
(2.2) implica allora che l’atto di moto (o distribuzione spaziale delle velocità)
obbedisca alla legge

e(x) = e0 + ω × (x − x0 ), (2.15)
44 Cenni sulla cinematica rigida

e che questa valga ad ogni istante lungo qualsiasi moto rigido, con x0 arbi-
trariamente prefissato, x arbitrario e e0 e ω dipendenti possibilmente dal
solo tempo. Da questa formula per l’atto di moto rigido segue che
1
ω = rot e(x) , (2.16)
2
dove nel rotore la derivazione deve essere fatta rispetto alle componenti
xi di x. Per dimostrarlo scriviamo (2.15) in componenti, preferendo per
semplificare i conti la forma analoga alla (2.3): in ovvia notazione
ek = e0k + Aks (xs − x0s ) k = 1, 2, 3 . (2.17)
Differenziando questa uguaglianza otteniamo
∂ek
ek,j = = Aks xs,j ; (2.18)
∂xj
ma xs,j coincide con il simbolo di Kronecker e vale 1 se s = j e 0 se s 6= j.
Quindi ek,j = Akj e otteniamo (2.16) ricordando l’emisimmetria di A e i
risultati degli esercizi 1.27 e 1.28.
3
Calcolo delle reazioni vincolari

In questo capitolo viene esposto un metodo utile alla determinazione delle


reazioni vincolari, dovute a vincoli ideali, nella statica dei sistemi di punti e
di corpi rigidi. Esso si basa sulle equazioni cardinali della statica.
Nel caso statico le equazioni cardinali (della dinamica) (1.142) e (1.143)
valgono con i primi membri identicamente nulli; si riducono cioè alle equazio-
ni cardinali della statica:
(e,a) (e,v)
R(e,a) + R(e,v) = 0, MΩ + MΩ = 0. (3.1)
Come le equazioni cardinali della dinamica, quelle della statica sono sempre
condizione necessaria per l’equilibrio. Questo può essere caratterizzato come
segue, sulla base delle equazioni (1.140): una configurazione è di equilibrio
se in essa i vincoli sono in grado di esplicare punto per punto una reazione
che equilibra la forza attiva ivi agente, valutata per velocità di tutti i punti
nulle. Quindi secondo questa definizione una configurazione di equilibrio è
una configurazione in cui il sistema può restare in quiete.

3.1 Il Principio dei Lavori Virtuali


La definizione di vincolo ideale sopra introdotta consente di formulare e
dimostrare velocemente una condizione di equilibrio che, a differenza delle
equazioni cardinali, è non solo condizione necessaria ma anche sufficiente.

Teorema 3.1 (dei lavori virtuali) Condizione necessaria e sufficiente


affinché una configurazione di un sistema soggetto a vincoli ideali sia di
equilibrio è che sia non positivo il lavoro virtuale della sollecitazione attiva,
valutata nella configurazione in oggetto e per velocità nulle, per ogni scelta di
velocità virtuali wi o di corrispondenti spostamenti virtuali δPi ; in formula
Pn
δL(a) = i=1 fi · δPi ≤ 0. (3.2)

45
46 Calcolo delle reazioni vincolari

Dimostrazione. Necessità. Supponiamo che la configurazione sia di equilib-


rio; allora esiste un sistema di reazioni φi tali che fi = −φi , dove le fi sono
valutate per velocità nulle, e tali che valga

δL (v) ≥ 0. (3.3)

Queste due condizioni assieme implicano (3.2).


Sufficienza. Supponiamo che nella configurazione considerata valga la (3.2)
e consideriamo il sistema di vettori ψ i che, punto per punto, equilibrano le
forze attive: ψ i = −fi . Questo sistema verifica la condizione i ψ i ·δPi ≥ 0
P

per l’ipotesi sulle forze attive e per la costruzione dei ψ i . Quindi questi ultimi
costituiscono possibili reazioni vincolari perché, per definizione di vincolo li-
scio, il vincolo è in grado di esplicare tutti i sistemi di vettori che soddisfano
la (3.3). Quindi i vincoli sono in grado di esplicare un sistema di reazioni che
equilibrano le forze attive valutate per velocità nulle; cioè la configurazione
è di equilibrio.

Il teorema ha una conseguenza interessante nel caso in cui i vincoli siano


bilaterali; la disuguaglianza in (3.2) deve allora valere come uguaglianza, in
quanto tutti gli spostamenti sono reversibili e quindi possono essere cambiati
di segno. Inoltre, utilizzando (1.147) e l’arbitrarietà delle δqh , la condizione
(3.2) risulta equivalente alle

Qh = 0, h = 1, . . . , N. (3.4)

Queste assumono poi una forma particolarmente significativa se le forze at-


tive sono conservative: esiste una funzione potenziale U = U (OP1 , . . . , OPn )
tale che
∂U
fi = ∇i U, cioè cr · fi = , xir = OPi · cr . (3.5)
∂xir

Risulta in questo caso

Qh = ∂V (q1 , . . . , qN , t)/∂qh , ove (3.6)

V (q1 , . . . , qN , t) = U (OP1 (q1 , . . . , qN , t), . . . , OPn (q1 , . . . , qN , t)); (3.7)

per la dimostrazione si derivi parzialmente quest’ultima uguaglianza. Al-


lora, nel caso di vincoli lisci e forze attive conservative le configurazioni di
equilibrio sono i punti critici della funzione potenziale V (q1 , . . . , qN , t).
3.2 Calcolo delle reazioni con le equazioni cardinali 47

yy y y y
f
C C
B D B D
H

yyyy y
T S a
M
A
E A E

a/2
a a a a

a) b)

Fig. 3.1.

3.2 Calcolo delle reazioni vincolari tramite le equazioni cardinali


della statica
Si dimostra che sono anche sufficienti per l’equilibrio di un corpo rigido
libero o soggetto a vincoli esterni lisci. Si osservi che nelle equazioni (3.1)
intervengono tutte le forze esterne al sistema (sia di natura attiva che vin-
colare) ma non le forze interne. Se il sistema è formato da r corpi rigidi,
l’equilibrio è assicurato applicando le equazioni cardinali a ciascun corpo
Ci , i = 1, 2, . . . , r. Particolare attenzione va posta nel calcolo del risultante
e del momento risultante delle forze (sia attive che vincolari) esterne al
corpo Ci : si devono considerare tutte le forze esterne al corpo Ci sia che
provengano dall’esterno del sistema sia che provengano dagli altri corpi del
sistema (forze interne al sistema ma esterne a Ci ).

Esempio 3.2 Si consideri il sistema articolato piano costituito da due travi


rigide ABC e CDE a forma di L. Le travi siano disposte come illustrato
nella Figura 3.1 b), siano vincolate all’esterno mediante cerniere in A e in
E e collegate tra loro con una cerniera in C. Il sistema sia sollecitato da
una coppia di momento M = M k applicata alla trave CDE. Sia infine a la
lunghezza comune dei segmenti AB, BC, CD, DE. Si chiede di determinare
le reazioni vincolari (interne ed esterne).

Siano φA e φE le reazioni vincolari delle cerniere esterne e sia φC , ad es-


empio, la forza (interna) che la cerniera C esplica sulla trave ABC (−φC è
dunque la forza che la cerniera C esplica sulla trave CDE). Le equazioni
cardinali della statica scritte per la trave ABC diventano

φA + φC = 0, AC × φC = 0. (3.8)
48 Calcolo delle reazioni vincolari

C C
B D

A E

Fig. 3.2.

Analogamente per la trave CDE si ha


−φC + φE = 0, EC × (−φC ) + M k = 0. (3.9)
Proiettando sugli assi x e y le equazioni dei risultanti e su z le equazioni dei
momenti si ottiene il seguente sistema di equazioni lineari
φAx + φCx = 0
φAy + φCy = 0
φEx − φCx = 0
φEy − φCy = 0
aφCy − aφCx = 0
aφCy + aφCx = −M. (3.10)
Ordinando le incognite secondo la sequenza φAx , φAy , φEx , φEy , φCx , φCy ,
in notazione matriciale il sistema diventa:
1 0 0 0 1 0 φAx 0
    
0 1 0 0 0 1   φAy   0 
    
0 0 1 0 −1 0   φEx   0 
   
= . (3.11)

0 0 0 1 0 −1  φ   0 
 
   Ey   
0 0 0 0 −a a   φCx   0 
0 0 0 0 a a φCy −M
Si vede facilmente che il sistema è determinato (è immediato verificarlo se
si procede col metodo di Gauss) e la sua soluzione è data da
φCy = φCx = φEy = φEx = −M/2a, φAy = φAx = M/2a.
I risultati cosı̀ ottenuti sono rappresentati nella Figura 3.2).

Esempio 3.3 Si consideri il sistema articolato piano descritto nel preceden-


te Esempio 3.2 sollecitato, anzichè dalla coppia, da una forza F = −F j,
F > 0, applicata nel punto Q, e da una forza elastica di rigidità h > 0 che
3.2 Calcolo delle reazioni con le equazioni cardinali 49

si esplica tra T e S (Q, T e S sono i punti medi rispettivamente di BC, AB


e DE).
Le equazioni cardinali per le due travi, proiettate sugli assi, danno il sistema
φAx + φCx = −2ha
φAy + φCy = F
φEx − φCx = 2ha
φEy − φCy = 0
aφCy − aφCx = a/2F + ha2
aφCy + aφCx = ha2 , (3.12)
che, in notazione matriciale diventa:
1 0 0 0 1 0 φAx −2ah
    
0 1 0 0 0 1   φAy   F 
    
0 0 1 0 −1 0   φEx   2ah 
   
= . (3.13)
 
0 0 0 1 0 −1   φEy   0
 

   a 2

0 0 0 0 −a a   φCx  
2 F + ha

0 0 0 0 a a φCy −ha 2

Il sistema è determinato e la soluzione è data da:


F 3F F F
φAx = −ha + , φAy = , φCx = −ha − , φCy = ,
4 4 4 4
F F
φEx = ha − , φEy = .
4 4

You might also like