PARIGI / MUSEE D’ORSAY
Realismo e simbolismo
nell’opera di Ferdinand Hodler
Ecco l’occasione, grazie agli ot-
tanta quadri significativi dell’ope-
ra di Hodler (1853-1918) esposti
al Musée d’Orsay, di riscoprire il
grande pittore svizzero, già po-
co apprezzato in Francia durante
la sua vita ad eccezione notabile
di Rodin e Puvis de Chavannes.
Anche se riconosciuto sia nel suo
paese che a Berlino (Secessione),
Vienna, Monaco e Bruxelles
(“Libre Esthétique”).
Pochi i quadri della sua giovinez-
za: l’autoritratto “Studente” del
‘74 nel suo modesto studio in atto
di levar la mano in segno di fedel-
tà alla sua vocazione, incorag-
giata dal suo maestro B. Menn
(allievo d’Ingres) che gli consi-
gliò la lettura di Euclide, Vitruvio
e Dürer (di cui applicò sempre la
tecnica del disegno con la came-
ra ottica a vetrata). Munito del so-
lido bagaglio Hodler approfondì
il suo vigoroso realismo natura-
le. I quadri degli anni Ottanta so-
no intrisi di malinconia: “Sguardo
nell’Eternità” (‘85), un vecchio fa-
legname che fabbrica una bara, lo
sguardo fisso, e “Un’anima in pe-
na” (‘89) con un secondo vecchio
accasciato su una sedia, ope-
re di gran precisione nei dettagli.
Questa precisione “oggettiva” si
ritrova in tutto il suo percorso cre-
ativo: ritratti e autoritratti, opere
pubbliche di storia con lanziche-
necchi e cavalli, o il boscaiolo e il
falciatore, emblemi del lavorato-
re svizzero utilizzati poi, come il
suo Guglielmo Tell, in banconote,
francobolli e manifesti. E pure ne-
gli studi quasi geologici di pietre e
alberi (“Abete”, 1905, “Ruscello”,
1902). Sfidando anche la morte
Hodler accompagna con duecen-
to opere l’agonia sino al decesso
dell’amata Valentina senza atte-
nuare la decomposizione dei trat-
ti, la sofferenza e l’interrogazione
dello sguardo sino alla rigidezza
finale.
Dal 1885 inizia un’evoluzione
verso l’allegoria e il simbolismo.
Frequenta i poeti simbolisti del-
la Rivista di Ginevra, il cui diretto-
re Louis Duchosal scrive: «Hodler
è un mistico e un realista, duali-
smo sconcertante e disorientan-
te le critiche». La sua grande tela
“La Notte” (‘89-’90) fu presentata
al “Salon de Paris” con gran suc-
cesso pur essendo proibita «per
oscenità» due volte a Ginevra.
Volle esprimere «il gran simbolo
della morte» in questa opera in cui
l’originalità del suo stile si affer-
mò: basato sul parallelismo delle
forme nell’universo, la ripetizio-
ne e la loro profonda unità. Ne “Gli
stanchi di vivere” cinque vecchi
in camici bianchi, a parte quello
centrale accasciato e seminudo,
compongono una visione unita-
ria di diversi aspetti della fatica.
L’”Euritmia”(‘94-’95): cinque per-
sonaggi simili sfilano su un tappe-
to di foglie morte. Alle stesse date
Hodler dipinse anche quadri sere-
ni e meditativi esaltanti la donna
e il bimbo in rapporto con la na-
tura, come “Il ragazzo incantato”,
un bimbo in orazione su un suolo
fiorito percorso da ruscelli. Molto
bello “L’Amore” (1907-8), una
coppia allacciata in riva al mare,
una fusione cosmica alla Munch.
Il suo successo in patria gli val-
se delle commissioni per affre-
schi di storia come “La Battaglia
di Morat” (1917) i cui disegni pre-
paratori qui esposti mostrano la
sua cura compositiva e la monu-
mentalità.
Molto interessanti i suoi paesaggi
che dipingeva “en plein air” ripren-
dendo gli stessi temi a diverse ore
del giorno, con variazioni secondo
l’ora e il punto di vista. Nubi, bru-
ma, chiaro di luna su montagne
che si riflettono nel lago in simme-
tria e “forme ritmiche”. Il “Cervino
al chiaro di luna” (1908) è onirico.
In fin di vita, immobilizzato nella
sua camera d’inferno, continua a
rappresentare il Lago Lemano a
ogni ora con libertà cromatica. Nel
1918 dichiara alla fine «Se aves-
si ancora cento anni di vita conti-
nuerei a esprimere gli accordi, le
armonie dell’umanità. Quel che ci
unisce è più grande di quel che ci
divide».
Annie Birga
eco 15