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1) PROGETTO ARCHEOLOGIA DELLA GRANDE GUERRA

Premessa. A 90 anni dalla fine della Grande Guerra, il sempre più crescente

interesse per quei fatti e una sempre più pressante richiesta di turismo culturale

hanno portato allo smisurato moltiplicarsi di iniziative di restauro, recupero e

“valorizzazione” delle testimonianze ancora in situ di quel conflitto lungo quello

che fu il fronte italo-austriaco. Iniziative che hanno nella quasi totalità come scopo

ultimo la messa in sicurezza, la maggiore leggibilità e la “fruibilità” delle vestigia

per la visita dei singoli o di gruppi. Nessuna nasce con il fine principale dello

studio archeologico e antropologico delle testimonianze, della ricerca e

dell’interpretazione dei dati scientifici, della loro comparazione o della

catalogazione dei reperti. L’approccio è sempre quello della valorizzazione a scopo

turistico e mai quello dello studio scientifico. Nei progetti si utilizzano ancora

termini come “pulizia”, “sgombero”, addirittura “sterro”, “ricostruzione” e mai

scavo, inteso in senso archeologico, o restauro filologico dei manufatti, e

tantomeno consolidamento del sopravvissuto. E nella pratica, purtroppo, si assiste

sempre di più all’utilizzo di pale meccaniche per la “pulizia” delle trincee, con

successivo smaltimento del materiale di risulta senza un minimo di verifica della

presenza di reperti. Per non parlare delle tragicamente dilaganti riedificazioni e

ricostruzioni sui luoghi storici che vengono così trasformati in una sorta di parchi a
tema, con la ricostruzione di muri a secco, la posa in opera di parapetti in legno,

impiantiti, finestre e tetti che adottano tipologie e tecnologie estranee a quelle

utilizzate in origine. Il tutto con ingenti investimenti che vanno a scapito

dell’arresto del degrado di molti altri manufatti originali lasciati invece al loro

destino. Altrettanto lacunose, scientificamente parlando, sono le procedure in caso

di rinvenimenti di resti umani che sono regolarmente trattati con i protocolli di

polizia giudiziaria anziché con quelli del rilevamento archeologico e

antropologico-forense. Ancora oggi, infatti, si rinvengono sporadicamente corpi di

soldati a cui molto spesso non è possibile restituire un’identità. Molte centinaia di

vittime attendono ancora di essere recuperate, identificate e finalmente consegnate

a degna sepoltura negli ossari. Il recupero, proprio in quanto sporadico, è spesso

effettuato da persone che, se pur appassionate e competenti di storia militare e del

riconoscimento degli effetti di corredo non hanno potuto disporre del contributo di

discipline specifiche ad esso deputate e cioè l’archeologia, la patologia forense,

l’antropologia forense e la genetica forense. Ben diversi sono invece gli esempi che

ci vengono dal cosiddetto fronte occidentale della Grande Guerra, dove archeologi

inglesi, francesi e belgi da alcuni anni considerano e studiano le tracce di quel

conflitto alla stessa stregua dei reperti e dei siti archeologici di epoche precedenti

conseguendo risultati di notevole interesse e dimostrando che anche l’archeologo

può apportare nuove conoscenze in un campo ritenuto dominio esclusivo degli


storici. In Italia tale tipo di approccio nei confronti dei manufatti e dei siti del

Primo conflitto mondiale è ancora del tutto sconosciuto al grande pubblico degli

appassionati e poco considerato dagli studiosi e dalle autorità preposte. Anche

l’approvazione della fondamentale legge sulla tutela del Patrimonio storico della

Prima guerra mondiale (legge 78/2001) ha aumentato, grazie ai finanziamenti

pubblici, gli interventi di cosiddetta valorizzazione ponendo, paradossalmente,

ancora più in pericolo in patrimonio che dovrebbe invece proteggere. La

SOCIETÀ STORICA PER LA GUERRA BIANCA, che è stata la prima realtà

associativa in Italia a chiedere fin dall’inizio degli anni ’90 un intervento

legislativo a tutela dei reperti e dei manufatti della Grande Guerra, si batte oggi per

un corretto approccio a queste vestigia e chiede che vengano finalmente

considerate e studiate per il loro valore scientifico e non solo per il loro

sfruttamento turistico – economico. Alla luce di tutto ciò la Società Storica per la

Guerra Bianca ha deciso di dar vita a questa iniziativa e di proporla a tutti coloro

che abbiano a cuore il progredire delle conoscenze e il desiderio di trasmettere alle

future generazioni un patrimonio intatto nelle sue forme originarie e non

manipolato dall’egoismo e dalla miopia del contingente. Obiettivi generali.

L’obiettivo primario del Progetto Archeologia della Grande Guerra (d’ora in poi:

PAGG) è quello di promuovere e diffondere fra le autorità preposte alla tutela e

alla ricerca (in primis le Soprintendenze ai beni archeologici, soggetti istituzionali


preposti alla ricerca archeologica e quindi fondamentali interlocutori del Progetto),

gli studiosi e gli appassionati la consapevolezza della possibilità di un approccio

nuovo ai manufatti e ai reperti della Prima guerra mondiale, già sperimentato e

applicato con successo sia in Francia, per quel che riguarda il conflitto 1915 –

1918, sia negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in altri paesi europei per la

Battlefield Archaeology, cioè l’archeologia dei campi di battaglia. E in particolare

ci si propone: • l’utilizzazione di metodologie di scavo stratigrafico nei casi di

rinvenimento di siti riferibili alla Grande Guerra, sia che si tratti di trincee di prima

linea o di seconda linea, caverne e ricoveri, baraccamenti, ospedali da campo,

campi di prigionia, aeroporti, teleferiche, acquedotti e qualsiasi altro manufatto

riferibile a quel conflitto o riutilizzato per esso; • la pianificazione di campagne di

scavo dirette all’acquisizione di dati scientifici; • l’utilizzazione di criteri e

protocolli filologicamente corretti negli interventi di restauro dei manufatti; •

l’utilizzazione di una scheda unica e studiata ad hoc nelle campagne di rilievo e

censimento dei manufatti e dei reperti; • la repressione dell’uso indiscriminato

della ricerca di reperti col metal detector, colpendo chi danneggia gratuitamente

strutture e stratigrafie e, contestualmente, valorizzare e incentivare coloro che sono

disponibili ad un utilizzo consapevole e responsabile dello strumento che, come

insegna l’esperienza della battlefield archaeology, può essere di grande aiuto nel

reperire dati scientifici se utilizzato correttamente e con metodologie già


sperimentate e, soprattutto, nell’ambito di campagne di ricerca di archeologia di

superficie pianificate e guidate da archeologi professionisti; • lo studio di

metodologie di intervento per il recupero di manufatti e di reperti in ambito

glaciale; • studio e realizzazione di una scheda per il censimento dei reperti

epigrafici, una delle classi di manufatti più interessanti e più diffuse nei territori

interessati dal conflitto; • il recupero mirato e l’analisi dei resti dei Caduti, attuati

con il contributo di discipline specialistiche quali la patologia forense,

l’antropologia forense e la genetica forense; • lo studio specialistico dei corpi e

delle lesioni, siano esse naturali o di natura traumatica o violenta e la

collaborazione di altre discipline volte a chiarire anche i singoli accadimenti che

hanno visto il decesso dei soggetti recuperati per il riconoscimento, se possibile,

dell’identità personale; sui singoli soggetti per i quali sarà disponibile una lista di

possibili nomi o la piastrina di riconoscimento ed una o più linee parentali di

confronto che abbiano dato il proprio consenso alla donazione del DNA per le

indagini genetiche, verrà eseguita la estrazione del DNA dalle ossa o dai tessuti

molli; • l’utilizzazione di criteri e protocolli corretti negli interventi di recupero dei

caduti (corretto recupero in termini medico-legali, archeologici e culturali delle

salme di soldati eventualmente segnalati sul fronte); • lo studio di metodologie di

intervento per il recupero e la conservazione dei resti umani in ambiente glaciale.

Un significativo risultato nell’opera di sensibilizzazione delle istituzioni è stato


ottenuto in sede di approvazione della legge regionale sulla valorizzazione e

promozione del patrimonio storico della Prima Guerra Mondiale in Lombardia

nella quale, grazie alle specifiche richieste e osservazioni presentate dalla Società

Storica per la Guerra Bianca in sede di audizione della Commissione Cultura del

Consiglio Regionale, sono previsti la tutela dei contesti archeologici ove vengano

rinvenuti reperti della Grande Guerra (art. 2) e l’emanazione di linee guida per il

corretto recupero dei resti dei Caduti (art. 9). Strumenti. Gli strumenti attraverso

cui il PAGG intende conseguire i propri obiettivi sono: • ricognizioni sul territorio

e censimenti di siti e di beni culturali; • ricerche d’archivio; • pubblicazione della

rivista Archeologia della Grande Guerra; • organizzazione di convegni, seminari e

conferenze; • allestimento di mostre; • collaborazione e consulenza ad attività e

progetti organizzati da terzi che perseguano le stesse finalità; • costituzione per la

Lombardia di un’unità operativa per il recupero di resti umani relativi alla Grande

Guerra che operi in stretta collaborazione con le Procure e le Forze dell’Ordine. A

tale scopo verrà attivato un centro di coordinamento presso una struttura pubblica

successivamente individuata. Il PAGG viene proposto a tutte le istituzioni e i

soggetti interessati al perseguimento degli obiettivi citati sopra come Università,

Soprintendenze, Musei, Enti Locali, Associazioni, Guide alpine per importare e

diffondere anche in Italia un’esperienza e, soprattutto, una forma mentis ed un

metodo, che in Francia, in Belgio e in Gran Bretagna sono già consuetudine.


Attività svolta. Il PAGG, che viene ora proposto per la sottoscrizione e la

collaborazione a terzi, è già stato avviato nell’ambito delle attività della Società

Storica per la Guerra Bianca e ha dato vita alle seguenti iniziative: • Nel settembre

2004 la SSGB – PAGG è stata invitata a Londra dall’University College of London

e dall’Imperial War Museum a partecipare al convegno: “Conflict, Memory and

Material Culture: the Great War 1914 – 2004”. Al convegno sono state presentate

due relazioni da Marco Balbi (L’archeologia della Grande Guerra sui ghiacciai) e

Italo Hellmann (La Trench Art). Gli atti del convegno sono in corso di

pubblicazione. • Nel giugno 2006 la SSGB – PAGG è stata fra gli enti promotori

del convegno internazionale “Archeologia della Grande Guerra” insieme alle

Soprintendenze per i beni archeologici e i beni architettonici della Provincia

autonoma di Trento, al Dipartimento di archeologia dell’Università di Padova e al

Museo della guerra di Rovereto. Al convegno hanno partecipato archeologi e

studiosi di tutta Europa: la SSGB ha contribuito con due relazioni di Marco Balbi

(L’archeologia dei nonni: problemi etici e potenzialità scientifiche dello scavo dei

resti umani di combattenti della Prima guerra mondiale e Nuovi territori per

l’archeologia della Grande Guerra: epigrafia e toponomastica) e l’intervento nella

tavola rotonda finale di Italo Hellmann. Il convegno si è concluso con la

sottoscrizione da parte di tutti i partecipanti dell’Accordo di Luserna, una

dichiarazione d’intenti in cui si riconosce ufficialmente l’esistenza di


un’archeologia della Grande Guerra e ci si impegna nell’elaborazione di progetti

comuni. La SSGB era l’unica associazione italiana a sottoscrivere. • Nei mesi di

luglio e agosto 2006 la SSGB – PAGG in collaborazione con il Parco naturale di

Paneveggio – Pale di San Martino ha organizzato la mostra: “La guerra nella

pietra. Lapidi, iscrizioni e graffiti del Primo conflitto mondiale dal Cauriol a Cima

Bocche” dove, attraverso pannelli didattici, con fotografie e testi, e reperti

epigrafici, si è proposto un approccio metodologicamente nuovo e più corretto alle

testimonianze epigrafiche della Grande Guerra. Nell’occasione è stato presentato

anche un censimento, realizzato da alcuni soci della SSGB, delle testimonianze

epigrafiche della Grande Guerra nel territorio del Parco di Paneveggio. • Estate

2007: riallestimento della mostra “La guerra nella pietra. Lapidi, iscrizioni e

graffiti del Primo conflitto mondiale dal Cauriol a Cima Bocche” presso la Casa

dell’Ecomuseo del Vanoi di Caoria. • 20 dicembre 2007: la SSGB – PAGG ha

partecipato al convegno “Man the Killer. Forensic Archaeology”, organizzato dal

Dipartimento di archeologia dell’Università degli Studi di Padova, con la

relazione: “I caduti del Piz Giumella. Modalità di recupero e possibilità di

identificazione di resti umani in ambiente glaciale”, presentata da Marco Balbi

(SSGB – PAGG) e Andrea Piccinini (Università degli Studi di Milano). • 17-18

aprile 2008: la SSGB – PAGG ha partecipato al convegno “L’uomo e la montagna.

Mutamenti climatici e tutela dei beni culturali in ambiente glaciale” organizzato a


Cogolo di Pejo (TN) dal Paco Nazionale dello Stelvio e dalla Soprintendenza per i

beni archeologici della Provincia autonoma di Trento con la relazione: “I ghiacciai

alpini come giacimenti archeologici della Grande Guerra: storia e problemi di

tutela”, presentata da Marco Balbi. • 2-3 luglio 2008: la SSGB – PAGG, con il

Comitato Cengia Martini e il Comune di Cortina d’Ampezzo, ha promosso e

organizzato il convegno: “Dalle rovine al parco divertimenti? Conservazione e

restauro del paesaggio della Grande Guerra: metodologie, finalità e competenze” in

cui, per la prima volta, è stato affrontato il problema del restauro dei manufatti e

del paesaggio della Grande Guerra in Italia, confrontando filosofie di approccio e

metodologie di intervento. Al convegno hanno partecipato esperti, archeologi,

rappresentanti delle istituzioni e delle associazioni che operano sul territorio. Per la

SSGB – PAGG Marco Balbi ha presentato la relazione: “Dio sia lodato: un

rudere!”. Problemi e prospettive della conservazione del “Warscape” della Grande

Guerra. Gli atti del convegno saranno stampati sulla rivista Archeologia della

Grande Guerra del PAGG, presentata nell’ambito del convegno. • 2008:

pubblicazione del primo numero della rivista Archeologia della Grande Guerra. •

23-24 ottobre 2008. Nell’ambito del convegno “La Grande Guerra. Il fronte alpino,

la società, la memoria storica”, organizzato a Milano dalla Regione Lombardia e

dalla SSGB, è stata presentata la relazione: “Per un’archeologia della Grande

Guerra”. • 2010: pubblicazione del secondo numero della rivista Archeologia della
Grande Guerra. Al fine di portare presso le più importanti istituzioni preposte alla

ricerca e alla tutela la proposta dell’approccio archeologico ai siti della Grande

Guerra, la Società Storica per la Guerra Bianca è inoltre rappresentata nel Comitato

Tecnico-scientifico per l’attuazione della legge 78/2001 del Ministero per i Beni e

le Attività Culturali da un socio di professione Archeologo. RIFERIMENTI UTILI

Società Storica per la Guerra Bianca: via Guido Rossa, 7/3 20090 Buccinasco

(Milano). Presidente: Dr. Marco Balbi. www.guerrabianca.it info@guerrabianca.it

Riviste: • Aquile in Guerra • Archeologia della Grande Guerra Monografie: •

Quaderni della Società Storica per la Guerra Bianca L'elenco completo delle

pubblicazioni è consultabile in: www.guerrabianca.it .

2) L’ARCHEOLOGIA DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE IN

SLOVENIA

Nell’analisi dell’ ‘archeologia della Grande Guerra’ possono considerarsi

una pietra miliare gli atti del convegno internazionale svoltosi nel Centro di

documentazione di Luserna una decina di anni fa. Vi presero parte, grazie

all’iniziativa promossa dalla Soprintendenza per i Beni librari, archivistici e

archeologici della Provincia Autonoma di Trento, studiosi italiani, sloveni,

austriaci, inglesi, francesci e belgi. In quella occasione, presentai una breve


relazione per informare sulla situazione del patrimonio della Prima guerra

mondiale presente nel territorio sloveno, affermando che la maggior parte dei fatti

che riguardano questo patrimonio non ha molto in comune con l’archeologia nel

vero senso del termine. In ogni caso, ieri come oggi, non voglio usare le virgolette

nel titolo, perché sono convinto che le userà il lettore stesso trovando il termine

«archeologia».

Dopo il secondo conflitto mondiale la sorte riservata al patrimonio della Grande

Guerra del fronte isontino sul territorio italiano fu diversa da quella che ebbe sul

territorio jugoslavo ossia sloveno.

Prima del secondo conflitto, cioè al tempo della dominazione italiana, la

situazione era uguale sia nel territorio sloveno che in quello italiano. La gente

locale usava i resti e gli attrezzi come materiale edile e come materia prima da

vendere per un’ulteriore rielaborazione. A Caporetto si protrasse fino ai primi anni

sessanta del Novecento l’acquisto di questi oggetti di metallo. I vincitori

consideravano spesso questo patrimonio come trofeo di guerra, i vinti

nascondevano le armi per usarle nello scontro successivo come aderenti al

movimento partigiano.
A Caporetto la commemorazione ufficiale del fronte isontino raggiunse il

culmine alla vigilia della Seconda guerra mondiale con la costruzione sul Gradič

dell’ossario dei Caduti inaugurato nel settembre 1938 da Benito Mussolini dove

furono tumulati i resti mortali di 7014 combattenti italiani, noti ed ignoti, caduti

durante la Grande Guerra e prelevati dai vicini cimiteri militari.

Dopo la fine del Secondo conflitto mondiale, invece, lo stesso ricordo

precipitò al suo livello piú basso, perché nella Jugoslavia di allora fu del tutto

rimosso sia nell’opinione pubblica sia nella classe politica il ricordo di questo

capitolo della storia. In Slovenia non esiste una strada intitolata con un nome che

abbia attinenza con questi eventi.

Negli anni Novanta del Novecento, tuttavia, si verificarono dei cambiamenti

che non erano, in relazione con l’indipendenza della Slovenia. Il Museo di

Caporetto, costituito nel 1990, fu una delle prime rondini che annunciò il risveglio

dell’interesse: infatti dopo tre anni di attività raggiunse la cifra record di 86.000

visitatori in prevalenza sloveni. Si risvegliarono pure gli scrittori e gli editori, si

diffusero il collezionismo, i dibattiti tematici su internet, il commercio dei reperti e

negli ultimi anni perfino i mercati di oggettistica militare e bellica. Nell’Alto


Isonzo oggi perfino i ragazzini creano collezioni proprie e sognano di poter avere

un metal-detector in regalo dal papà. Fino a poco tempo fa il nome di Caporetto

non diceva niente alla gran parte degli Sloveni, poi improvvisamente il termine –

fronte isontino – divenne sinonimo di un capitolo storico prima dimenticato e poi

riscoperto, di eventi imponenti, terribili, misteriosi, inquietanti…

Questa situazione assolutamente nuova e la valorizzazione di questo

patrimonio non portarono alcun cambiamento a livello legislativo e istituzionale, a

cui è affidato il patrimonio culturale. La legge che la riguarda, approvata sempre

negli anni Novanta, tratta il patrimonio della Prima guerra mondiale esattamente

come il patrimonio delle altre epoche storiche. I reperti trovati in superficie,

sottoterra oppure in acqua sono proprietà dello stato. Chi li trova è tenuto a

provvedere che restino intatti in loco e ad avvisare il competente organo

istituzionale.

Nei terreni edificabili sono a carico degli investitori le prescritte ricerche

archeologiche assicurative compiute dall’Istituto autorizzato. Naturalmente questa

norma è valida per le zone archeologiche già prima definite e tutelate. Occore il

permesso del ministro per le ricerche archeologiche, gli scavi e l’uso del metal-

detector ed altra simile attrezzatura. In base al permesso si definiscono gli


esecutori, si delimitano le zone, si fissano le condizioni e i modi di ricerca come

pure i divieti e i limiti imposti al proprietario del terreno e ad altri per quanto

riguarda il tempo di esecuzione. Occorre il permesso dell’istituto competente per

qualsiasi ricerca che rappresenti un’intrusione nel patrimonio o in un monumento.

Probabilmente non ci si sorprende che la vita abbia seguito il suo corso al di là

delle pesanti restritive norme di legge.

I fatti, purtroppo, provano l’assoluta inesistenza di un’efficiente tutela del

patrimonio storico e il retrocedere del paesaggio culturale davanti al bosco ed al

terreno incolto. I primi attori della trasformazione non sono più i contadini, bensí i

costruttori delle vie di comunicazione, gli operai del bulldozer, i gestori delle piste

sciistiche coloro che commerciano con i reperti delle trincee. Non si vede né

controllo né la presenza di professionisti competenti in tutti questi interventi

abusivi. In passato è accaduto che sia stata acquistata una trincea italiana e

trasformata in un metro cubo di pietra scistosa (esentasse) poi caricata su una

paletta da trasporto. La località era la linea d’armata che corre sulla cresta di

confine del Kolovrat, una zona interessata successivamente dai progetti

dell’Unione Europea INTERREG Slovenia – Italia. La stessa sorte è accaduta al

posto di guardia confinaria dismesso dell’esercito jugoslavo sul passo Zagradan e,

a valle, ai muri di sostegno sopra una vecchia strada austriaca ai piedi del Matajur.
Non esiste discriminazione e ne è vittima la proprietà pubblica indipendentemente

dal periodo e dall’origine.

C’è da dire, comunque, che nel 2008 la legge sulla tutela del patrimonio

culturale è stata cambiata e disciplinata con regolamenti di attuazione che fissano

norme molto più precise e restrittive nella funzione della protezione del

patrimonio. Le ultime disposizioni sono del 2014 e definiscono le ricerche nei siti

archeologici e l’uso delle tecnologie (ad es. metal detectors). La vita però, come

abbiamo già detto, ha il suo corso e, attualmente, le forze di polizia (deputate dalla

normativa a svolgere funzioni di controllo e di tutela del patrimonio archeologico

della Grande Guerra) si trovano impossibilitate a svolgere pienamente il proprio

ruolo poichè sono impegnate in altri lavori.

Un’ombra che non offusca le tante luci: il patrimonio della Prima guerra

mondiale viene sempre più apprezzato grazie al ruolo svolto dal museo di

Caporetto e dalla Fondazione ‘Le vie della pace nell’Alto Isonzo’ che hanno

tentato negli anni scorsi di richiamare l’attenzione sulle conseguenze di questi fatti

particolari, anche se, trattandosi di enti privi di capacità giuridica, non hanno
potuto fare altro che denunciare i fatti a mezzo stampa e presso gli organi

competenti.

Il cammino della Fondazione è pluriennale: inizialmente ha riunito «sotto il

tetto comune» le iniziative locali per costituire nell’Alto Isonzo musei all’aperto, e,

successivamente ha preso contatti con l’Istituto per la tutela del patrimonio

culturale. La Fondazione partì dalla convinzione che poteva avere un esito positivo

la sistemazione di singole, piccole e facilmente accessibili posizioni militari,

almeno nel quadro degli standard minimi e in collaborazione con l’istituto

competente. Per questa ragione, in questi anni, la Fondazione ha cercato di

valorizzare il patrimonio del fronte isontino nell’ambito della comunità e

soprattutto tra gli abitanti di queste zone, i quali sempre di più si rendono conto che

la conservazione di questo bene porta – a lunga scadenza – una maggiore utilità

che non le pietre che essi asportano dalle trincee per lastricare il proprio cortile.

Tale linea di condotta rende possibile catalogare certi territori come aree di attività

turistica anche se per alcuni ciò significa ‘sacrificare’ le singole zone.

Ma non è finita qui. Passo dopo passo, anno dopo anno, la Fondazione è

riuscita a collegare i siti più importanti dell’ex-fronte dell’Isonzo con il “Sentiero


della pace dalle Alpi all’Adriatico” e se un tempo queste vie erano percorsi bellici,

ora sono a tutti gli effetti vie di pace che uniscono territori, persone, patrimoni

culturali. Data la loro valenza, si è intrapreso il cammino per raggiungere un altro

ambizioso obiettivo: sono in corso le procedure per iscrivere il ‘Sentiero della pace

dalle Alpi all’Adriatico’ nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO al fine

di trasmetterlo alle generazioni future.

3) Legislazione

In Italia si è andata sempre più sviluppando una specifica legislazione che

tutelasse il patrimonio storico, mobile ed immobile, della Grande Guerra.

La prima regolamentazione risale al 1922 con l’istituzione dei così detti “monti

sacri alla Patria“; nello specifico, l’operazione di tutela si concretizzò con il RDL

n. 1386/1922(poi convertito nella L n. 985/1927); i Monti Pasubio, Grappa,

Sabotino e San Michele venivano quindi così considerati come “alcune fra le zone

più cospicue per fasti di gloria del teatro di guerra”. Con la stessa normativa se ne

indicarono perciò i limiti e si intrapresero i primi lavori di monumentalizzazione.

Nel 1967 si emanò poi la L n. 534/1967 che, alla precedente normativa,

aggiungeva anche Castel Dante a Rovereto e il Monte Ortigara; infine, con la L n.

719/1975 si tutelò anche Punta Serauta sulla Marmolada.


L’ultima Legge, la n. 60/1985 ribadì, all’art. 3, la principale competenza

dell’amministrazione militare sulle zone monumentali; il Commissariato generale

per le onoranze ai caduti di guerra divenne l’organo predisposto alla tutela e la

diffusione delle notizie circa i caduti e le operazioni belliche.

Con il diffondersi dell’uso del metal-detector e la pratica della ricerca del

materiale bellico, ancora ampiamente diffuso sul vecchio fronte di guerra, fu

giocoforza per le Regioni del nord-est di emanare una propria specifica normativa

per consentire la tutela e la salvaguardia del materiale bellico. Nei primi anni 2000,

infine, si giunse alla quasi comparazione del materiale della Grande Guerra a

materiale archeologico.

Di seguito sono riportate le normative riguardanti i Beni Culturali ed il patrimonio

storico della Prima Guerra Mondiale, oggi vigenti.

4) SCHIO (Vi): Percorsi della memoria – archeologia della guerra – tutela

del patrimonio storico della Prima Guerra Mondiale.

Restauro delle fortificazioni e delle opere militari, recupero sistematico dei

soldati caduti nel corso della Grande Guerra, turismo discreto e rispettoso della
sacralità dei luoghi: un progetto che prestissimo prenderà corpo. In estate saranno

appaltate anche le opere per il recupero della strada delle 52 gallerie.

Tutte queste iniziative sono state presentate nel corso di una conferenza

stampa organizzata dalla comunità montana Leogra-Timonchio che, con la

collaborazione dell’Associazione Nazionale Alpini della sezione di Vicenza e la

Provincia di Vicenza, ha dato vita ai “Percorsi della memoria”:

due incontri sull’archeologia della Grande Guerra sul monte Pasubio, sui

progetti di recupero delle opere di fortificazione e sull’ecomuseo delle Prealpi

Vicentine. Il primo appuntamento si è tenuto il 15 aprile al teatro Arcobaleno di

Torrebelvicino, il secondo a Valli Del Pasubio il 6 maggio.

Tra le prospettive anche un “portale di valle” che darà informazioni storiche

e turistiche ai visitatori. Proprio in questo territorio, ricco di opere militari, è in

corso di attivazione il progetto per la realizzazione di un ecomuseo della Grande

Guerra delle Prealpi vicentine in cui la comunità montana Leogra-Timonchio

svolge il ruolo di capofila tra le altre comunità vicine.

“Il progetto -ha affermato il presidente della Leogra-Timonchio, Pietro

Collareda- non è solo dedicato al restauro e al ripristino delle infrastrutture e dei


manufatti militari, ma interviene con un più generale programma di valorizzazione

e comunicazione volto alla realizzazione di un vero e proprio museo diffuso in una

zona bella dal punto di vista della natura e interessante per il materiale storico.

Oltre alla sistemazione della strada delle 52 gallerie, il progetto prevede anche

quella del parcheggio dell’ex cimitero austroungarico di Laghi e la trasformazione

della biblioteca di Recoaro e delle ex scuole di Fusine di Posina in centri museali

per la documentazione”.

Contemporaneamente alla realizzazione degli interventi previsti nel progetto

dell’ecomuseo, grazie alla legge 78 del 2001 denominata “Tutela del patrimonio

storico della Prima Guerra Mondiale”, si sta intervenedo nel recupero e nella

salvaguardia di alcune delle opere più significative presenti nel territorio,

soprattutto nella zona del Pasubio, del Novegno e del Priaforà con riferimento alle

fortificazioni. Nel corso della conferenza stampa si è parlato, in particolare, della

polveriera di forte Rivon, di forte Maso e di forte Enna che verranno inseriti nei

percorsi storici dopo un intervento di sistemazione e di messa in sicurezza.

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