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Da Ps.

Apollodoro, Biblioteca, libro III


La dinastia tebana
Dopo aver raccontato la storia della discendenza di Inaco seguendo il ramo di Belo fino agli
Eraclidi, parliamo adesso della famiglia di Agenore. Come abbiamo detto, Libia ebbe da Poseidone
due figli, Belo e Agenore. Belo regnò sull'Egitto ed ebbe i figli che abbiano già nominato; Agenore
invece andò in Fenicia, sposò Telefassa, ebbe una figlia femmina, Europa, e tre maschi, Cadmo,
Fenice e Cilice. Alcuni dicono che Europa non fosse figlia di Agenore, ma di Fenice. Zeus si
innamorò di lei, si trasformò in toro, fece montare la fanciulla sulla sua groppa e la portò sul mare
fino a Creta, dove si unirono in amore. Europa partorì Minosse, Sarpedone e Radamanto; ma Omero
afferma che Sarpedone nacque da Zeus e Laodamia, figlia di Bellerofonte. Dopo la scomparsa di
Europa, il padre Agenore inviò i figli alla sua ricerca, dicendo di non tornare a casa prima di averla
trovata. Anche la madre Telefassa partì alla sua ricerca, e anche Taso, figlio di Poseidone o forse,
secondo Ferecide, di Cilice. Cercarono dappertutto, ma non riuscirono a trovarla; tornare a casa non
potevano, e così rimasero a vivere ognuno in una terra diversa. Fenice si stabilì in Fenicia; Cilice si
fermò in una regione confinante con la Fenicia, e dal suo nome chiamò Cilicia tutto il territorio
bagnato dal fiume Pirarno; Cadmo e Telefassa, invece, si stabilirono in Tracia. (…)
Quando Telefassa morì, Cadmo la seppellì, e poi, dopo aver ricevuto ospitalità presso i Traci, si recò
a Delfi, per interrogare il Dio sulla sparizione di sua sorella Europa. E il Dio gli rispose di non darsi
più pensiero di Europa, ma di seguire invece la guida di una vacca, e di fondare una città dove la
vacca per stanchezza si fosse stesa a terra. Ricevuto questo responso, Cadmo si mise in viaggio
attraverso la Focide, e incontrò una vacca nei pascoli di Pelagone: allora la seguì. Dopo aver
attraversato la Beozia, l'animale si stese a terra nel luogo dove adesso sorge la città di Tebe. Cadmo
decise di sacrificare la vacca ad Atena, e mandò alcuni dei suoi compagni ad attingere acqua alla
fonte di Ares. Ma alla fonte faceva la guardia un drago - alcuni dicono figlio di Ares stesso - e
uccise quasi tutti gli uomini mandati da Cadmo. Egli allora, infuriato, uccise il drago, e su consiglio
di Atena seminò i suoi denti. Dai denti seminati balzarono fuori dalla terra molti uomini in armi, che
vennero chiamati Sparti. Subito cominciarono a uccidersi fra loro, molti azzuffandosi
involontariamente, altri senza nemmeno saperlo. Ferecide sostiene invece che quando Cadmo vide
spuntare dalla terra quegli uomini armati, gettò contro di loro una pietra, e quelli, sospettandosi a
vicenda di averla lanciata, cominciarono a far lotta. Solo cinque si salvarono, Echione, Udeo,
Ctonio, Iperenore e Peloro. Cadmo, come punizione per quelli che aveva ucciso, dovette servire
Ares per un Grande Anno, che consiste in un periodo di otto anni.
Trascorso il periodo di servitù, Atena gli diede il regno del paese, e Zeus gli diede in sposa
Armonia, figlia di Ares e Afrodite. Tutti gli Dèi lasciarono il cielo e scesero a far festa nella
Cadmea, celebrando le nozze di Cadmo e Armonia con gli inni. Cadmo le regalò un peplo e una
collana lavorata da Efesto: alcuni dicono che Efesto stesso l'aveva data a Cadmo, Ferecide invece
sostiene che gliel'avesse data Europa, la quale l'aveva ricevuta da Zeus. Cadmo ebbe quattro figlie,
Autonoe, Ino, Semele e Agave, e un figlio, Polidoro. Ino andò sposa ad Atamante, Autonoe ad
Aristeo, e Agave a Echione.
Zeus si innamorò di Semele, e si unì in amore con lei, di nascosto da Era. Zeus offrì alla fanciulla di
chiedergli tutto ciò che voleva; e Semele, seguendo un consiglio ingannatore di Era, gli chiese di
andare da lei proprio nello stesso aspetto di quando si avvicinava in amore a Era. Zeus non poteva
rifiutare: si accostò al letto di Semele sul suo carro, tra folgori e saette, e scagliò il suo fulmine.
Semele morì per il terrore, e Zeus tirò fuori dal fuoco il bambino di sette mesi che la fanciulla
portava in seno, ancora immaturo, e se lo cucì in una coscia. Morta Semele, le altre figlie di Cadmo
misero in giro la voce che la sorella si era unita a un uomo qualsiasi, e che Zeus, tirato falsamente in
causa, l'aveva fulminata per la sua menzogna. Trascorso il tempo debito, Zeus si scucì la coscia,
partorì Dioniso e lo affidò a Ermes. E questi lo portò a Ino e Atamante, e li convinse ad allevarlo
come se fosse stata una bambina. Ma la Dea Era, sdegnata, li colpì con la follia. Atamante diede la
caccia al suo figlio maggiore, Learco, scambiandolo per un cervo, e lo uccise; Ino gettò Melicerte in
un pentolone d'acqua bollente e poi, stringendo il cadavere del figlio, si gettò nel profondo del mare.
Da allora venne chiamata Leucotea, e il bambino Palemone: questi nomi glieli hanno dati i
naviganti, che essi soccorrono nelle tempeste. In onore di Melicerte, Sisifo istituì anche i Giochi
Istmici. Zeus, per nascondere Dioniso alla rabbia di Era, lo trasformò in capretto, ed Ermes lo portò
alle Ninfe che abitavano a Nisa, in Asia: più tardi Zeus le trasformò in stelle, e le chiamò Iadi. (...)
Dopo che Dioniso scoprì la vite, Era gli gettò addosso la follia, e così andò vagando per l'Egitto e
per la Siria. Il primo ad accoglierlo fu Proteo, re dell'Egitto; poi Dioniso arrivò a Cibela, in Frigia,
dove Rea lo purificò, gli insegnò i riti di iniziazione, e gli diede il vestito; quindi attraversò la Tracia
e si diresse in India. Licurgo, il figlio di Driante, re degli Edoni che abitano lungo il fiume
Strimone, fu il primo a oltraggiare Dioniso e a cacciarlo fuori dal paese. Dioniso allora si rifugiò nel
mare, presso Tetide, figlia di Nereo; ma le sue Baccanti vennero fatte prigioniere, insieme allo
stuolo di Satiri del suo corteggio. Subito le Baccanti vennero liberate, e in Licurgo Dioniso in stillò
la follia. Completamente pazzo, Licurgo, convinto di troncare un tralcio di vite, colpì con la scure
suo figlio Driante, e lo uccise. Gli aveva già tagliato tutte le estremità, quando ritrovò la ragione.
Tutto il paese divenne sterile, e il Dio profetizzò che la terra avrebbe di nuovo dato frutto solo se
Licurgo fosse stato messo a morte. Sentito questo, gli Edoni lo portarono sul monte Pangeo e lo
legarono, e poi, per volontà di Dioniso, fu fatto a pezzi dai cavalli.
Attraversata la Tracia (e tutta l'India, ponendovi le sue colonne), Dioniso giunse a Tebe, dove
costrinse le donne ad abbandonare le case e a compiere riti bacchici sul Citerone. Penteo, figlio di
Agave e di Echione, a cui Cadmo aveva lasciato il suo trono, cercò di impedire tutto questo. Salì sul
Citerone, spiò le Baccanti, ma sua madre Agave, in preda alla follia, lo fece a pezzi, credendolo una
bestia. Dopo essersi rivelato come Dio ai Tebani, Dioniso giunse ad Argo, e di nuovo, poiché non
gli tributavano il giusto onore, fece impazzire le donne. Salirono sui monti e si nutrirono con le
carni dei loro bambini, ancora al seno. Poi, per navigare da Icaria a Nasso, Dioniso pagò il
passaggio su una nave di pirati tirreni. Lo presero a bordo, ma superarono Nasso senza fermarsi, e
fecero vela verso l'Asia, con l'intenzione di venderlo come schiavo. Dioniso allora trasformò in
serpenti l'albero e i remi, e riempì lo scafo di tralci d'edera e suoni di flauto. I pirati impazzirono, si
gettarono nelle onde e divennero delfini. Così gli uomini compresero che Dioniso era un Dio, e lo
onorarono. Egli poi sottrasse la madre all'Ade, la chiamò Tione, e salì in cielo con lei.
Cadmo e Armonia lasciarono Tebe, e andarono nel paese degli Enchelei. Gli Enchelei erano stati
attaccati dagli Illiri, e il Dio aveva profetizzato che sarebbero riusciti a sconfiggerli se avessero
preso Cadmo e Armonia come loro capi. Seguirono l'ordine del Dio, e sotto la guida di Cadmo e
Armonia vinsero gli Illiri. Cadmo diventò re degli Illiri, ed ebbe un figlio di nome Illirio. Poi,
insieme ad Armonia, Cadmo si trasformò in serpente, e insieme vennero mandati da Zeus nei Campi
Elisi. Polidoro divenne re di Tebe e sposò Nitteide, figlia di Nitteo (a sua volta figlio di Ctonio), da
cui ebbe il figlio Labdaco. Questi morì dopo Penteo, perché la pensava proprio come lui. Alla sua
morte, Labdaco lasciò un figlio di nome Laio, che aveva appena un anno. Finche restò bambino, il
trono fu occupato da Lico, fratello di Nitteo. Questi due fratelli erano fuggiti in esilio perché
avevano ucciso Flegia, figlio di Ares e Doti di Beozia; si erano stabiliti a Iria e poi per la loro
amicizia con Penteo erano divenuti cittadini di Tebe. Lico, che i Tebani avevano eletto generale,
prese il potere e tenne il regno per vent'anni, finche venne ucciso da Zeto e Anfione per il seguente
motivo. Antiope era figlia di Nitteo: e Zeus si unì in amore con lei. Quando rimase incinta, il padre
la scacciò, e la fanciulla si rifugiò a Sicione presso il re Epopeo e lo sposò. In una crisi di
disperazione, Nitteo si uccise, e lasciò a Lico l'incarico di punire Epopeo e Antiope. Allora Lico
fece guerra a Sicione e la occupò, uccise Epopeo e portò via prigioniera Antiope. Lungo la strada,
presso Eleutere in Beozia, Antiope partorì due gemelli. Subito furono esposti, ma un mandriano li
trovò e li allevò, e li chiamò Zeto e Anfione. Zeto si occupava del bestiame, e Anfione invece si
esercitava nella citarodia, con la cetra che gli aveva donato Ermes. Lico e sua moglie Dirce avevano
imprigionato Antiope, e le facevano subire continui maltrattamenti; ma un giorno le corde che
legavano Antiope si sciolsero da sole, e la donna fuggì di nascosto e arrivò alla capanna dei due
ragazzi, chiedendo ospitalità. Quando Zeto e Anfione seppero che si trattava della loro madre,
uccisero Lico, e Dirce la legarono a un toro e gettarono il suo cadavere nel crepaccio di una
sorgente che da lei prese il nome di Dirce. Preso il potere, i due fratelli fortificarono la città, e le
pietre per le mura si muovevano da sole seguendo il suono della lira di Anfione. Laio venne espulso
dalla città e fu accolto da Pelope, nel Peloponneso. Laio insegnò a Crisippo, il figlio di Pdope, a
guidare il carro: ma si innamorò di lui e lo rapì. Zeto sposò Tebe (da lei prese il nome la città); e
Anfione sposò Niobe, figlia di Tantalo, che gli diede sette figli - Sipilo, Eupinito, Ismeno,
Damasittone, Agenore, Fedimo e Tantalo - e sette figlie - Etodea (o Neera), Cleodossa, Astioche,
Ftia, Pelopia, Asticratia e Ogigia. Esiodo, invece, dice che Niobe ebbe dieci maschi e dieci
femmine, Erodoro dice due maschi e tre femmine, Omero sei maschi e sei femmine. Fiera di avere
tanti bei figli, un giorno Niobe si vantò di essere una madre più felice della stessa Leto: la Dea se ne
adontò, e istigò Apollo e Artemide contro i figli di Niobe. Tutte le femmine vennero uccise nel
palazzo dalle frecce di Artemide; e tutti i maschi furono uccisi insieme da Apollo mentre erano a
caccia sul Citerone. Dei maschi solo Anfione si salvò, e delle femmine solo Cloride, la maggiore,
che andò sposa a Neleo. Telesilla, invece, dice che si salvarono Amicla e Melibea, e che anche
Anfione fu ucciso. Niobe lasciò Tebe e si rifugiò da suo padre Tantalo, al Sipilo; e qui la donna
implorò gli Dèi, e Zeus la trasformò in pietra, e notte e giorno da quella pietra scorrono lacrime.
Dopo la morte di Anfione, lo scettro passò nelle mani di Laio. Egli sposò la figlia di Meneceo, di
nome Giocasta, secondo alcuni, secondo altri Epicasta. L'oracolo del Dio aveva avvertito Laio di
non generare figli, perché il figlio nato da lui avrebbe ucciso il padre; ma il re, ubriaco, si unì
ugualmente a sua moglie. Allora diede il neonato ai pastori, perché lo esponessero, dopo avergli
trapassato le caviglie con uno spillone. Così il bambino fu esposto sul monte Citerone, ma i
mandriani di Polibo, re di Corinto, lo trovarono e lo portarono alla moglie di Polibo, Peribea. Lei lo
adottò e lo fece passare per suo, gli medicò le caviglie e lo chiamò Edipo, nome che significa
«quello dai piedi gonfi». Quando diventò un giovanotto, era il più forte di tutti i suoi coetanei: e un
giorno, per invidia, lo offesero chiamandolo bastardo. Il ragazzo allora ne chiese la ragione a
Peribea, ma non poté sapere niente; quindi si recò a Delfi, per interrogare il Dio sui suoi genitori. E
il Dio gli disse di non andare mai nella sua terra patria, altrimenti avrebbe ucciso suo padre, e si
sarebbe unito in amore con sua madre. Sentito questo, e credendo suoi genitori quelli che invece lo
erano solo di nome, lasciò Corinto. Attraversando la Focide con il suo carro, in uno stretto
passaggio incrociò il carro sul quale viaggiava Laio. Polifonte, l'araldo di Laio, gli gridò di
spostarsi, ma Edipo non obbedì e rimase fermo. Allora Polifonte gli uccise uno dei cavalli, e Edipo,
infuriato, uccise sia Polifonte che Laio, e arrivò a Tebe. Laio fu sepolto da Damasistrato, il re di
Platea, e a Tebe prese lo scettro Creonte, figlio di Meneceo. Durante il suo regno, Tebe fu afflitta da
un grave flagello. La Dea Era mandò a Tebe la Sfinge, figlia di Echidna e di Tifeo, che aveva il
volto di donna, il petto, le zampe e la coda di leone, e le ali di uccello. Le Muse le avevano
insegnato un enigma e, stando seduta sul monte Ficio, poneva questo enigma ai Tebani. Esso
diceva: «Qual è quella cosa che ha una sola voce, e ha quattro gambe e due gambe e tre gambe?». I
Tebani avevano ricevuto un oracolo, secondo il quale si sarebbero liberati della Sfinge solo quando
avessero risolto il suo enigma; per questo spesso si riunivano a discuterne il significato, ma siccome
non ci riuscivano, la Sfinge ogni volta prendeva uno di loro e se lo mangiava. Molti erano già finiti
così, e per ultimo anche Emone, il figlio di Creonte. Allora Creonte fece un bando: chi fosse riuscito
a sciogliere l'enigma della Sfinge avrebbe avuto il regno e la vedova di Laio in sposa. Edipo ascoltò
l'enigma della Sfinge e riuscì a risolverlo: la soluzione era «l'uomo». Infatti da bambino ha quattro
piedi, perché cammina a quattro zampe; da adulto due piedi; e da vecchio tre, perché si appoggia al
bastone. La Sfinge allora si gettò giù dalla rocca, mentre Edipo ebbe il regno e senza saperlo sposò
sua madre, ed ebbe da lei due figli maschi, Eteocle e Polinice, e due femmine, Ismene e Antigone.
Ma c' è chi sostiene che i figli li ebbe insieme a Eurigania, figlia di Iperfante. Quando in seguito
venne alla luce tutto ciò che era successo, Giocasta si impiccò, ed Edipo si accecò e venne scacciato
da Tebe: fu allora che lanciò una maledizione contro i suoi figli, colpevoli di non avergli dato
nessun aiuto, pur vedendo che lo bandivano dalla città. Allora insieme ad Antigone arrivò a Colono,
in Attica, dove c'è il recinto sacro delle Eumenidi; lì si fermò come supplice, con l'ospitalità di
Teseo, e poco tempo dopo morì.
Eteocle e Polinice si accordarono per la successione al trono, e decisero che avrebbero regnato un
anno ciascuno. Alcuni sostengono che il primo a prendere il potere fu Polinice, e che dopo un anno
passò lo scettro a Eteocle, altri invece che il primo fu Eteocle, il quale si rifiutò poi di cedere il
regno al fratello. Polinice, bandito da Tebe, arrivò ad Argo, con la collana e il peplo. Ad Argo
regnava Adrasto, figlio di Talao; Polinice arrivò al palazzo di Adrasto di notte, e subito si azzuffò
con Tideo, figlio di Eneo, esule da Calidone. A quell'improvviso strepito, Adrasto accorse e li
separò; e ricordandosi di un oracolo che gli aveva detto di aggiogare le figlie a un cinghiale e a un
leone, li scelse come generi: i loro scudi, infatti, portavano incise uno la testa di un cinghiale, e
l'altro quella di un leone. Tideo sposò Deipile, e Polinice Argia, e a entrambi Adrasto promise che li
avrebbe reinsediati nella loro patria. Decise di intraprendere per prima una spedizione contro Tebe,
e radunò i capi argivi. Ma Anfiarao, figlio di Oicleo, che era un indovino e aveva previsto che tutti i
partecipanti alla guerra sarebbero morti, tranne Adrasto, si mostrò riluttante e scoraggiò anche gli
altri. Polinice andò da Ifi, figlio di Alettore, e gli chiese di insegnargli come costringere Anfiarao a
combattere: e questi gli disse di dare la collana a Erifile. Anfiarao aveva proibito a Erifile di
accettare doni da Polinice, ma Polinice regalò a Erifile la collana, pregandola di convincere
Anfiarao a partecipare alla guerra. La decisione spettava a lei, perché una volta Anfiarao aveva
avuto una lite con Adrasto, ed Erifile li aveva riconciliati: in quell'occasione aveva giurato, in caso
di future divergenze con Adrasto, di rimettersi sempre a lei per ogni decisione. Quando dunque si
dovette decidere se far guerra a Tebe o meno, Adrasto era a favore e Anfiarao contro; ma Erifile,
che aveva accettato la collana, lo convinse a intraprendere la guerra insieme ad Adrasto. Anfiarao
dunque fu costretto a partecipare alla guerra, ma lasciò disposizione ai suoi figli che, quando
avessero raggiunto la maggiore età, uccidessero la madre e venissero a combattere a Tebe. Adrasto
radunò un esercito con sette comandanti, e partì per la guerra contro Tebe. I comandanti erano:
Adrasto, figlio di Talao; Anfiarao, figlio di Oicleo; Capaneo, figlio di Ipponoo; Ippomedonte, figlio
di Aristomaco, o di Talao secondo alcuni; questi erano di Argo. Di Tebe invece Polinice, figlio di
Edipo; Tideo, figlio di Eneo, era dell'Etolia; Partenopeo, figlio di Melanione, era dell' Arcadia.
Alcuni non comprendono nell'elenco dei sette Tideo e Polinice, e vi aggiungono invece Eteoclo,
figlio di Ifi, e Mecisteo.
Giunti a Nemea, dove regnava Licurgo, cercarono dell'acqua. E la strada per la sorgente gliela
indicò Ipsipile: lasciando solo per un momento il piccolo Ofelte ancora in fasce, il figlo di Euridice
e Licurgo, affidato a lei come nutrice. Quando le donne di Lemno, infatti, si erano accorte che
Ipsipile aveva salvato Toante, lui lo avevano ucciso, e lei l'avevano venduta come schiava; comprata
da Licurgo, faceva la serva nella sua casa. Ma mentre mostrava la sorgente ai soldati, il bambino,
lasciato incustodito, fu ucciso da un serpente. Gli uomini di Adrasto, ritornando dalla fonte, uccisero
il serpente e seppellirono il bambino. Anfiarao disse che l'evento era una premonizione del loro
futuro: così chiamarono Archemoro il bambino morto, che significa «colui che dà inizio alla
sventura». E in suo onore istituirono i Giochi Nemei: Adrasto vinse la gara dei cavalli, Eteoclo la
corsa, Tideo il pugilato, Anfiarao il salto e il disco, Laodoco il giavellotto, Polinice la lotta, e
Partenopeo il tiro con l'arco.
Quando arrivarono al Citerone, inviarono Tideo come ambasciatore da Eteocle, per invitarlo a
lasciare il regno a Polinice, secondo i loro accordi. Ma Eteocle rifiutò, e Tideo sfidò a duello tutti i
capi tebani, e li vinse tutti. Allora mandarono cinquanta uomini in armi per tendergli un'imboscata
mentre ritornava al campo; ma Tideo li uccise tutti, tranne Meone, e raggiunse il suo esercito. Gli
Argivi si armarono e si avvicinarono alle mura della città, e ciascun comandante si pose davanti a
una delle sette porte: Adrasto davanti alla porta Omoloide; Capaneo davanti alla Ogigia; Anfiarao
davanti alla Pretide; Ippomedonte davanti alla Oncaida; Polinice davanti alla Ipsista; Partenopeo
davanti alla Elettra; e Tideo davanti alla Crenida. Anche Eteocle armò i Tebani, dispose anch'egli
sette comandanti davanti alle sette porte, e chiese un oracolo che gli rivelasse come sconfiggere i
nemici.
A Tebe viveva l'indovino Tiresia, figlio di Evere e della Ninfa Cariclo - della famiglia di Udeo, uno
degli Sparti -, che era cieco. Di come subì questa menomazione e di come acquistò la facoltà
profetica, si raccontano storie diverse. Alcuni infatti sostengono che Tiresia fu accecato dagli Dèi,
quando rivelò agli uomini cose che essi volevano tenere segrete; ma Ferecide dice che fu accecato
da Atena. Al tempo in cui Cariclo era la prediletta di Atena ...... Tiresia vide la Dea tutta nuda: Atena
allora gli pose le mani sugli occhi e lo rese cieco. Cariclo implorò la Dea di rendere la vista a suo
figlio, ma ormai era impossibile: in compenso, Atena gli lavò le orecchie, e questo gli permise di
capire tutte le voci degli uccelli; poi gli diede un bastone di corniolo, con il quale camminare come
se ci vedesse. Esiodo racconta invece che un giorno Tiresia vide sul monte Cillene due serpenti che
si aggrovigliavano in amore: li ferì, e da uomo che era divenne donna, ma poi, avendo visto una
seconda volta gli stessi serpenti aggrovigliati in amore, di nuovo ritornò uomo. Una volta Zeus ed
Era discutevano se nell'amore fosse più grande il piacere dell'uomo o della donna, e lasciarono a
Tiresia la decisione. E Tiresia disse che, dividendo in dieci il piacere dell'amore, l'uomo godeva uno
e la donna nove. Per questo Era lo accecò, e Zeus gli donò in cambio il potere profetico. "Così disse
Tiresia a Zeus e a Era: di dieci parti, l'uomo ne gode una sola, ma la donna nel piacere del suo cuore
arriva a dieci." E Tiresia visse fino a tardissima età.
Egli dunque aveva predetto ai Tebani che avrebbero vinto se Meneceo, figlio di Creonte, si fosse
offerto in sacrificio ad Ares. Sentito questo, Meneceo si sgozzò davanti alle porte. Iniziata la
battaglia, i Cadmei furono ricacciati indietro fino alle mura, e Capaneo prese una scala e tentò di
scalare le mura: ma Zeus lo fulminò. Gli Argivi allora si ritirarono. Quando molti ormai erano i
morti, per decisione di entrambi gli eserciti Eteocle e Polinice si affrontarono in duello per il regno,
e si uccisero a vicenda. Ma di nuovo si riaccese un'aspra battaglia, e i figli di Astaco dimostrarono
un grande valore: Ismaro uccise Laomedonte, Leade uccise Eteoclo, Anfidico uccise Partenopeo.
Euripide invece dice che Partenopeo fu ucciso da Periclimeno, figlio di Poseidone. Melanippo, il
più giovane dei figli di Astaco, ferì Tideo al ventre. Mentre giaceva ormai in fin di vita, Atena, su
richiesta di Zeus, gli portò un filtro, che l'avrebbe reso immortale. Ma Anfiarao se ne accorse, e
poiché odiava Tideo - dato che contro il suo parere aveva convinto gli Argivi a far guerra contro
Tebe -, tagliò la testa di Melanippo, che Tideo, nonostatnte la ferita aveva ucciso, e gliela diede:
Tideo la spaccò e mangiò il cervello. Come Atena lo vide, disgustata, gli negò il filtro della
salvezza. Anfiarao fuggì lungo il fiume Ismeno, e stava per essere colpito alla schiena da
Periclimeno, ma Zeus lanciò un fulmine e spaccò la terra. E Anfiarao sparì, insieme al suo carro e
all'auriga, Batone o, secondo altri, Elato: e Zeus lo rese immortale. Solo Adrasto fu salvato dal suo
cavallo, Arione, che era nato da Poseidone e Demetra, quando la Dea si era unita a lui sotto forma di
Erinni.
Creonte prese il potere in Tebe, gettò via insepolti i cadaveri degli Argivi, emise un bando che
vietava di seppellirli, e vi pose delle guardie. Antigone, una delle figlie di Edipo, di nascosto rubò il
corpo di Polinice e lo seppellì, ma fu scoperta da Creonte stesso e sepolta viva nella tomba. Adrasto
giunse ad Atene, si rifugiò presso l'Altare della Pietà, e preso in mano il bastone dei supplici
implorò che i suoi morti venissero sepolti. Gli Ateniesi allora combatterono insieme a Teseo,
presero Tebe, e diedero i morti ai loro familiari perché li seppellissero. Mentre la pira di Capaneo
bruciava, la sua sposa, Evadne, figlia di Ifi, si buttò nel fuoco e bruciò insieme a lui. Dieci anni
dopo, i figli dei guerrieri caduti, chiamati Epigoni, decisero di far guerra a Tebe per vendicare la
morte dei loro padri. Consultarono l'oracolo, e il Dio profetizzò che avrebbero vinto sotto il
comando di Alcmeone. Alcmeone non voleva mettersi a capo della spedizione prima di punire sua
madre; tuttavia acconsentì, perché Tersandro, figlio di Polinice, donò a Erifile il peplo, e la donna
convinse i suoi figli a combattere. E dunque marciarono contro Tebe, con a capo Alcmeone. Ecco i
nomi dei combattenti: Alcmeone e Anfiloco, figli di Anfiarao; Egialeo, figlio di Adrasto; Diomede,
figlio di Tideo; Promaco, figlio di Partenopeo; Stenelo, figlio di Capaneo; Tersandro, figlio di
Polinice; Eurialo, figlio di Mecisteo. Prima saccheggiarono i villaggi del contado, poi, quando i
Tebani avanzarono sotto il comando di Laodamante, figlio di Eteocle, combatterono valorosamente.
Laodamante uccise Egialeo, e Alcmeone uccise Laodamante. Dopo la morte del loro capo, i Tebani
fuggirono verso le mura. Tiresia gli aveva consigliato di inviare agli Argivi un messaggero per
trattare la resa, e di fuggire. I Tebani allora inviarono il messaggero ai nemici, caricarono donne e
bambini sui carri, e fuggirono dalla città. Di notte arrivarono alla sorgente chiamata Tilfussa, Tiresia
bevve la sua acqua e morì. I Tebani viaggiarono a lungo, poi costruirono la città di Estiea, e vi si
stabilirono. Gli Argivi, quando si accorsero della fuga dei Tebani, entrarono in città, raccolsero il
bottino e rasero al suolo le mura. Una parte del bottino di guerra, compresa Manto, la figlia di
Tiresia, venne mandata a Delfi come dono ad Apollo, perché avevano promesso in voto al Dio, se si
fossero impadroniti di Tebe, di dedicargli la parte migliore del bottino. Dopo la presa di Tebe,
quando Alcmeone venne a sapere che sua madre Erifile si era di nuovo lasciata corrompere anche a
suo danno, si indignò ancora di più, e su consiglio dell'oracolo di Apollo la uccise. Alcuni dicono
che Alcmeone uccise Erifile insieme al fratello Anfiloco, altri invece che agì da solo. E da allora
l'Erinni del matricidio lo perseguitò, e Alcmeone, in preda alla follia, si rifugiò in Arcadia, da
Oicleo, e poi a Psofi, da Fegeo. Il re lo purificò e gli diede in sposa sua figlia Arsinoe: a lei
Alcmeone regalò il peplo e la collana. Ma tempo dopo, ancora per causa sua, la terra divenne
sterile, e l'oracolo del Dio ordinò ad Alcmeone di andare al fiume Acheloo, e di aspettare da lui una
nuova decisione. E Alcmeone partì. Prima fu ospitato da Eneo, a Calidone, e poi arrivò in terra di
Tesprozia, dove però fu scacciato. Finalmente arrivò alle sorgenti dell'Acheloo, il fiume lo purificò
e gli diede in sposa sua figlia Calliroe. Alcmeone colonizzò la terra che l'Acheloo aveva formato
con la sua corrente, e vi si stabilì. Ma Calliroe desiderava possedere il peplo e la collana, e si rifiutò
di vivere con lui se non glieli avesse donati. Allora Alcmeone tornò a Psofi, e disse a Fegeo di aver
ricevuto un responso: egli si sarebbe liberato dalla follia solo se avesse dedicato a Delfi la collana e
il peplo. Fegeo gli credette e gli consegnò gli oggetti. Ma un servo fece la spia e rivelò che doveva
portarli a Calliroe: allora Fegeo ordinò ai suoi figli di tendergli un'imboscata, e quelli lo uccisero.
Arsinoe li disprezzò per quanto avevano fatto, e allora i figli di Fegeo la chiusero in una cassa, la
mandarono a Tegea e la diedero come schiava ad Agapenore, accusandola falsamente di essere lei
l'assassina di Alcmeone. Quando Calliroe seppe dell'assassinio di Alcmeone, chiese a Zeus, che era
innamorato di lei, di far sì che i bambini avuti da Alcmeone diventassero subito adulti, per poter
vendicare la morte del padre. E subito i bambini divennero uomini, e partirono per rendere giustizia
al padre. In quel momento, i figli di Fegeo, Pronoo e Agenore, diretti a Delfi per dedicare al Dio la
collana e il peplo, facevano sosta presso Agapenore, e così anche i figli di Alcmeone, Anfotero e
Acarnano. Essi dunque uccisero gli assassini del padre, poi andarono a Psofi, entrarono nella reggia,
e uccisero anche Fegeo e sua moglie. Furono inseguiti fino a Tegea, ma i Tegeati e alcuni Argivi li
aiutarono e riuscirono a salvarli, e gli Psofidi furono messi in fuga. Dopo aver rivelato alla madre
tutta la storia, essi andarono a Delfi e dedicarono al Dio la collana e il peplo, per ordine
dell'Acheloo. Poi attraversarono l'Epiro, raccolsero molti abitanti e colonizzarono l'Acarnania.
Euripide racconta che durante il periodo della sua follia Alcmeone ebbe due figli da Manto, la figlia
di Tiresia, il maschio Anfiloco e la femmina Tisifone; portò i bambini a Corinto e li diede da
allevare a Creonte, il re della città. Ma la moglie di Creonte, gelosa della straordinaria bellezza di
Tisifone, la vendette come schiava, nel timore che Creonte la volesse fare sua sposa. Alcmeone la
comprò come schiava, senza sapere che era sua figlia, poi tornò a Corinto per riavere i suoi figli, e
portò via il maschio. Anfiloco poi, per ordine dell'oracolo di Apollo, colonizzò Argo Anfilochia.

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