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Prologo
Se l’insegnante è in grado di prevedere una certa modalità di interazione nei suoi alunni (e
quando dico alunni intendo maschie e femmine) è in grado di integrare e sollecitare la
costruzione della conoscenza nel modo più proficuo.
Lo studio del funzionamento delle aree linguistiche del cervello ci ha dato nuove chiavi di
lettura delle rappresentazioni più diverse che gli uomini e le donne sanno dare della realtà:
Chi è mancino fa viaggiare i messaggi per strade della mente diverse dal destrorso.
Chi è cresciuto nel primo decennio di vita immerso in due lingue avrà i contenitori
lessicali costruiti in modo diverso da chi ha pensato solo in una lingua.
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Questa comunicazione si propone di portare alla scuola le prime note della ricerca per
dare strumenti a chi deve misurarsi in educazione con le problematiche nuove tipiche di
questo tempo: l’intercultura, la velocità della comunicazione, la densità dei messaggi, il
rispetto delle pari opportunità di apprendimento.
UN PO’ DI TEORIA
LATERALITA’ E CERVELLO
La lateralità del cervello è una facoltà che si esprime in modo diverso a seconda delle
culture, delle condizioni di vita, della razza e del sesso.
Gli studi sulla lateralità hanno chiarito come avvengano alcuni processi di
rappresentazione e di come collaborino i due emisferi dell’encefalo.
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Dobbiamo supporre che la diversità nella simmetria cerebrale sia funzionale a qualche
cosa, le ricerche successive spiegheranno, per esempio, una preminenza di funzioni
laterali diverse.
Geschwind annotava:
“Una delle scoperte più sorprendenti…è che i danni ai lati destro e
sinistro del cervello causano reazioni emotive diverse.
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Le lesioni nella maggior parte delle aree sul lato sinistro sono
accompagnate dalla sensazione di perdita che ci si aspetta come
conseguenza di ogni grave menomazione. Il paziente soffre per la sua
condizione e spesso è depresso. I danni in gran parte dell’emisfero
destro lasciano il paziente indifferente per quanto riguarda la propria
condizione. …”. (ibid)
Filogenesi
La storia dell’evoluzione ci conduce a 40 milioni di anni fa, quando sulla terra
esistevano i primati da cui si suppone discenda l’uomo.
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Da allora ad oggi la dimensione del cervello nella razza umana è quasi triplicata.
La lenta evoluzione ha permesso l’organizzazione di varie funzioni: il raggiungimento
della posizione eretta per afferrare il cibo con le mani è una competenza apparsa
“solo” 14-10 milioni di anni fa (Ramapithecus) e bisogna risalire nel tempo di 3-5
milioni di anni per trovare un ominide capace di servirsi di utensili da lui stesso
approntati (Australopithecus); l’homo sapiens risale a 250 mila anni fa. “Il bisogno
aguzza l’ingegno” è quanto si sostiene comunemente ed è così che è andata per il
perfezionamento e lo sviluppo del cervello. Tutto questo è avvenuto in un lungo lasso
temporale. Il cervello ha avuto tutto il tempo di svilupparsi e di adeguarsi “senza
pensarci su troppo”. Questo ci insegna che esso ha capacità potenziali di
adattamento e di sviluppo. Nella storia dell’evoluzione il cervello è stato costruito
verso l’alto a partire dal tronco encefalico.
I cervelli dei vertebrati avevano in origine una massa cospicua di sistema nervoso
impegnato a sovraintendere alla coordinazione dei movimenti e alle reazioni riflesse.
Con l’evoluzione delle competenze sociali e comunicative la parte corticale, che
avvolge quella riflessiva ed istintiva, si è ingrandita fino a divenire di gran lunga
dominante.
Ontogenesi
Per quanto riguarda lo sviluppo del cervello in un essere umano di oggi, dobbiamo
considerare determinanti i primi 9 anni di vita.
Ci sono infatti competenze che si possono sviluppare solo in questo arco di tempo e
che una volta bloccate o ipostimolate non troveranno più il momento ideale.
Ci sono inoltre passaggi graduali nello sviluppo delle facoltà e se uno stadio non è
stato completato non si possono chiedere prestazioni relative ad un momento di
sviluppo successivo. E’ anche importante sapere che “…possono esserci molte più
connessioni e cellule nervose nel cervello di un neonato che in quello di un anziano.
Pare che lo sviluppo consista più nel “potare” quelle connessioni originarie che nel
costruirne di nuove…Il cervello può essere avviato a fare molte cose diverse, …il suo
sviluppo dipende però dalla presenza, in età molto giovane, di un ambiente
adeguato.”(Geschwind, Le basi antomiche…, pag.172)
Quanto detto deve far riflettere gli educatori su un concetto noto, ma disatteso: pochi
concetti spiegati accuratamente e presentati a partire dalle esperienze dei bambini è
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Mancinismo
sinistro (analitico, verbale, semantico). Queste ricerche hanno una ricaduta nell’ambito
della didattica della scuola primaria. Osserviamo, per esempio, come gli alunni e le
alunne che usano in prevalenza la mano sinistra, nelle prime fasi di apprendimento
manifestano una lenta acquisizione linguistica ed una certa lentezza esecutiva nei
testi scritti. Questo ci fa riflettere sulla necessità di rispettare i tempi individuali di
ciascuno e sull’esigenza di integrare l’apprendimento di schemi di rappresentazione
dei significati con esperienze spaziali e di tipo motorio, più legate all’uso dell’emisfero
destro.
Doreen Kimura aggiunge:
“ L’emisfero destro ha anche delle funzioni specializzate, ma a questo
riguardo fino a poco tempo fa avevamo poche informazioni perché gli
studi erano concentrati sui disturbi del linguaggio. Ora si sa anche che
l’emisfero destro ha nell’uomo un ruolo dominante nella percezione
dell’ambiente.” (Le scienze, op. cit., pag. 145)
Altra cosa curiosa è che non in tutte le persone il linguaggio è controllato dall’emisfero
sinistro, ma lo è nella maggioranza.
“…Ugualmente interessante è il fatto che i gesti che si fanno mentre si
parla sono fatti essenzialmente dalla mano opposta all’emisfero che
controlla il linguaggio (determinato mediante il sistema verbale
biauricolare). Se il linguaggio è controllato dall’emisfero sinistro, come
nella maggior parte delle persone, la mano destra compie il maggior
numero di gesti; se è l’emisfero destro che lo controlla, allora è la
mano sinistra ad agitarsi di più. E’ un fatto curioso che questa
simmetria sia ristretta solo ai movimenti liberi; non sembra riguardare i
movimenti che interessano il corpo. …” (Kimura pag. 151, ibid)
Per un insegnante è importante conoscere queste dinamiche cerebrali. Solo così sarà
capace di correggere o controllare le proprie richieste quando un alunno, per esempio
mancino, disattende col comportamento le aspettative!
Negli anni settanta queste ricerche sono state oggetto di violente discussioni. Allora si
pensava alla diversità in termini polemici. A quasi trent’anni da quelle prime ricerche
l’esaltazione delle differenze è diventata una moda. Un articolo di Raffaella
Procenzano pubblicato su “Focus” di marzo 2000 titola “Donne e uomini diversi nel
modo di orientarsi, nel modo di ricordare le parole, perfino nel fare i conti” e scrive:
“…Le diversità sono tante: nel cervello degli uomini il centro della
parola si trova nell’emisfero sinistro, e quello dell’orientamento
spaziale soprattutto nel destro. Nella donna questa separazione non
esiste: anzi, gli emisferi sono collegati da un numero di cellule molto
più alto. Forse per questo le donne hanno migliore memoria verbale
(ricordano bene le parole lette in un elenco) e un eloquio più fluente
(riescono a dire un gran numero di parole che cominciano con la
stessa lettera). I maschi invece … già a quattro anni sono più bravi
delle coetanee a immaginare un solido che ruota nello spazio…”
(Focus)
Un percorso educativo, conscio di queste peculiarità, può scegliere la linea del rispetto
delle differenze individuali oppure integrare le competenze abituali con quelle non
abituali. Entrambi gli approcci hanno una loro efficacia. Questi ragionamenti sono allo
studio come stili di apprendimento di genere.
Nel 1989, Antoine de La Garanderie ha scritto:
“…Un signore e una signora sono andati a visitare un castello aperto
al pubblico. La sera, al ritorno, discutono:
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Ho notato, dice la signora, che l’ingresso della cappella non è al centro della
facciata…
No, questo non mi ha colpito, risponde il signore. Ma, se ricordi bene, la guida ci
ha informato che la cappella ha subito molti restauri. Questa, forse, è la causa di
quello che hai notato.
I restauri non hanno certo toccato la facciata d’ingresso, replica con vigore la
signora. Lo si vede bene, le pietre sono tutte della stessa epoca.
Ah, bene! Il signore e la signora non attingono i loro ricordi alla stessa fonte. …In
questo modo lo scambio che avviene tra loro finisce per ridursi o al silenzio dell’uno a
vantaggio dell’altro o a due monologhi che non daranno mai luogo a un dialogo
perché l’oggetto dei loro discorsi non è il medesimo. …”
(“I profili pedagogici” pagg.48-50)
Ritardo mentale
Non ci sono ricette magiche per risolvere questo problema, ogni caso ha
caratteristiche proprie, ma alcune considerazioni sono dovute.
Al ritardo si associa spesso una marcata difficoltà nel linguaggio, che persiste anche
quando l’individuo ha una gran voglia di raccontare. Se un’esperienza ha
entusiasmato il bambino con handicap psichico, egli cercherà con suoni, slanci e
“parole-frase” di riferirla. Descriverà la situazione elencando attori, oggetti ed
emozioni. Sono occasioni preziose per dare l’input a modalità più organizzate di
linguaggio. Per agire nel modo opportuno gli insegnanti dovrebbero conoscerne il
processo di sviluppo della memoria procedurale e della memoria iconica.
Nel caso descritto, un intervento didattico mirato si preoccupa di sviluppare prima di
tutto le competenze necessarie alla vita quotidiana. Se permettiamo a questi alunni di
conservare una buona memoria iconica e percettiva, possiamo sviluppare poi le
capacità di riconoscimento visivo e di decodifica. Possiamo cioè insegnare a
riconoscere un pericolo, a leggere delle istruzioni o dei segnali, a riconoscere contesti
e situazioni.
La neuropsicologia ci fa sapere che l’apprendimento della lettura strumentale
interferisce sulla memoria iconica, fotografica. Ecco cosa scrive Geschwind:
“E’ interessante il fatto che la maggior parte dei bambini piccoli hanno
una memoria iconica e fotografica persistente. Essa va però perduta
quando cominciano ad imparare a leggere. Gli antropologi riferiscono
che una memoria iconica persistente è molto più comune fra gli adulti
in culture preletterate, società in cui la gente non impara a leggere e a
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Nel caso in cui l’età-mentale di un alunno di scuola primaria sia riferibile ai due anni (o
meno) diventa difficile supporre l’apprendimento strumentale di lettura e scrittura,
diventa necessario avere anche obiettivi didattici funzionali e integranti (per il
significato di “obiettivo funzionale/integrante” si veda Cottini, op. cit.).
Si vedono invece insegnanti, volonterosi e inconsapevoli, che per anni martellano
sempre lo stesso fonema al loro alunno con handicap, ma non ottengono risultati. Essi
bruciano così tempo prezioso per acquisizioni che sarebbero di vitale importanza per
quella persona.
L’emisfero sinistro
“Per stimolare l’attivazione di un’area dell’emisfero sinistro è
necessario utilizzare come metodo l’associazione delle informazioni
tra loro, per somiglianza, conseguenza, identità”.
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L’emisfero destro:
“La stimolazione dell’emisfero destro è sostanzialmente basata sulla
differente percezione, elaborazione, risposta e latenza di risposta.”
L’emisfero destro ha bisogno di informazioni con un corrispettivo
reale, integrabili con i dati precedenti e di un tempo maggiore per dare
risposta. Privilegia come canale la musica.”
(pag.41, Babele)
L’insegnante dovrebbe tenere conto della individualità delle reazioni, per esempio del
blocco emotivo di chi è spaventato o dell’esigenza di un tempo più lungo di reazione in
un mancino.
Eppure è frequente nelle scuole udire le urla ostinate di certi insegnanti quando gli
alunni non rispondono subito a comando!
Sulla dominanza di funzionamento del cervello sono stati documentati molti aspetti
curiosi grazie all’uso della PET (tomografia a emissione di positroni). Questa tecnica
permette di evidenziare sul video di un monitor il consumo di energia nelle varie zone
del cervello secondo una scala cromatica.
In questo modo è stato possibile raccogliere queste informazioni:
Il centro della visione non intenzionale è a destra
Quando ci lasciamo andare ad una musica impegniamo l’emisfero destro
Se in una musica cerchiamo anche di riconoscere gli strumenti (discriminare)
usiamo la parte sinistra del cervello
Se ascoltiamo una canzone, prestando attenzione alle parole, usiamo entrambi
gli emisferi
L’uso della memoria impegna nello sforzo molte parti cerebrali.
In realtà l’attività cerebrale coinvolge sempre, seppur in minima parte, tutto l’encefalo.
Il potenziale di recupero è una valenza data al cervello dalla sua plasticità di
funzionamento. Il cervello riesce a riabilitarsi a funzioni perse. Ecco cosa scrive al
riguardo Geschwind:
“Come il cervello può mutare una risposta a condizioni ambientali a
lungo termine, così può anche mutare la propria organizzazione per
compensare incidenti e mutamenti di richieste. Benché nella maggior
parte delle persone il linguaggio sia localizzato nell’emisfero sinistro,
persone con danni a questo emisfero possono essere addestrate a
produrre linguaggio usando l’emisfero destro, anche se questa
flessibilità è soggetta a diminuire gradualmente con l’età. L’emisfero
destro si assume funzioni linguistiche in bambini piccoli che hanno
sofferto danni gravi all’emisfero sinistro. Nei sordi le aree della
corteccia temporale usate normalmente nell’elaborazione di suoni
linguistici vengono usate invece per l’elaborazione di informazione
visiva. Un esempio sorprendente di questa capacità si ha quando una
persona impara una seconda lingua…in tale circostanza
l’organizzazione del cervello può a volte mutare : in qualche caso la
prima lingua migra dall’emisfero sinistro al destro;…”
(N. Geschwind pag.175,176 “Le basi anatomiche della
differenziazione” Il Mulino)
Detto questo sembrerebbe di aver circoscritto gli ambiti delle memorie e le loro
responsabilità sull’apprendimento del linguaggio. Invece il cervello ha un
funzionamento incredibilmente plastico, lo dimostrano alcuni studi di neurolinguistica
svolti sul rapporto fra linguaggio ed etnia. I dati raccolti dimostrano che ogni cultura
abitua in modo diverso il cervello.
Una pubblicazione di due ricercatori italiani, Argiuna Mazzotti e Luigi Allori, riporta
queste curiose osservazioni:
“ U e o ui, oi o ooi, ai o ou, aiueo. … E’ una frase giapponese. Dice:
Un uomo affamato d’amore, che si preoccupa del suo appetito, nasconde la
propria età avanzata e insegue l’amore.
E’ un’espressione linguistica proveniente dalla sfera razionale del
cervello. Ora è proprio questo il curioso. Spagnoli, anglosassoni,
italiani o francesi, quando debbono emettere il suono di una o più
vocali isolate, usano il cervello destro, cioè l’emisfero in cui vengono
elaborate le emozioni e le relative reazioni ad esse. Infatti, nelle loro
lingue, l’emissione di vocali isolate come “Ah!”, oppure “Oh!”,
corrisponde per lo più a esclamazioni puramente emotive; esse hanno
poco a che fare con l’elaborazione meditata e logica del linguaggio
(appannaggio dell’emisfero sinistro del cervello), ma segnalano
sensazioni spontanee di benessere…. Con i Giapponesi, e …con gli
stranieri nati in Giappone e quindi aventi la stessa lingua madre, è
tutto il contrario.
Infatti, per loro le vocali non sono esclamazioni emotive, bensì basilari
strumenti linguistici, come si è visto, e quindi … per emetterle e
modularle secondo quei toni diversi che le rendono duttili “parole”, non
possono che servirsi, al contrario di noi, del cervello sinistro. Ecco
spiegata questa apparente contraddizione per cui ci sarebbe una
funzionalità cerebrale diversa tra noi ed i Giapponesi. …serve a
stabilire come le specializzazioni delle varie parti cerebrali non siano
innate, bensì culturalmente acquisibili e differenziabili, per esempio a
seconda della lingua usata.”
(tratto dal supplemento “Il cervello” - Salve, aprile 1989, pag.10)
IMPLICAZIONI DIDATTICHE
La frase giapponese, citata in precedenza, è un intrico logico, ci fa notare quanto
l’emozione si “intrighi” nelle vie cognitive. L’affettività è un potente catalizzatore per
l’apprendimento! Se la scuola imparasse a coniugare le didattiche con la motivazione,
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In questo spezzone io ritrovo molti dei principi legati agli aspetti della lettura:
1. Il momento in cui si è per la prima volta soli, senza esempio presente, ad
esercitare una competenza ignota ed astratta (ora prova da solo)
2. Imparare a tenere il segno, cosa che serve come un presta-memoria alla vista, per
trattenere per un certo tempo un filo tra i singoli pezzi delle parole (spingi forte il
dito sulla carta così le lettere non possono scappare)
3. Ricevere un po’ di riconoscimento per lo sforzo anche se il risultato non è ancora
tangibile (bravo, leggi come un dio)
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4. Aiutarsi con un esempio visivo a ripetere il verso che fa la bocca nel seguire il
pensiero (le valvole della caldaia)
5. Dare un ritmo a tutta l’operazione (patapum, patapum, patapum)
6. Escogitare uno stratagemma per solleticare la curiosità che fa leggere (certi nomi
che fanno tanto ridere)
Molti sono i modi per sfruttare la potenzialità catartica del gioco nel linguaggio. Per
esempio nel gioco ironico rendiamo la parola molto meno correlata ai suoi significati
letterali. Con l’ironia “…vengono introdotti nel discorso quotidiano complessità e
movimento. Il prevedibile cede spazio all’imprevisto. In un processo narratologico
tanto dinamico quanto vitale si costruisce il discorso comunicativo.” (Kaiser, pag. 21,
op. citata)…. “E maggiore è la capacità nell’uso dei giochi di lingua, più ampio e ricco
diviene il linguaggio stesso consentendo una estesa comprensione della realtà.” (ibid)
C’è un esercizio che si fa spesso nelle scuole steineriane: l’emissione delle cinque
vocali, nell’ordine “u-o-a-e-i”, in flusso continuo, alzando e abbassando l’intensità
tonale a piacere.
Il vocalizzo viene accompagnato da saliscendi eseguiti con il corpo e con le braccia.
Si inizia il movimento con la vocale “U”, grave, e tutto il corpo si raccoglie a toccare il
suolo, per arrivare attraverso l’enunciazione di “O”, “A”, “E”, alla vocale “I”, acuta,
pronunciando la quale le braccia ed il corpo assumono la massima estensione.
L’esperienza si fa più intensa se viene condotta con un gruppo, mettendo gli alunni in
cerchio.
Stainer proponeva questo esercizio lo scorso secolo.
Questi due esempi di pedagogie erano già allora nello spirito di quanto viene indicato
oggi dalla neuropsicologia che si occupa di apprendimento.
Le Boulch è uno tra gli odierni studiosi che meglio rappresentano questo modo di fare
educazione.
Riporto alcune frasi tratte da un suo libro che mi sembrano significative per chi voglia
trovare una ricaduta pratica di quanto fin qui esposto teoricamente.
comoda postura abituale, la cui permanenza possa essere mantenuta con il minimo di
fatica e senza il rischio di squilibri osteo-articolatori.
La conquista di una tale postura impone all’educazione:
a) Di favorire la strutturazione dello schema corporeo attraverso l’impiego di prassie
(coordinazione dinamica generale), completato dalla presa di coscienza della
globalità dell’una o dell’altra postura.
b) Di favorire il passaggio allo stadio della disponibilità automatica. La sola cosa che
nell’atteggiamento deve essere conscia è l’intenzione iniziale, che rappresenta lo
“schema posturale”. Partendo da qui, le differenti regolazioni toniche non devono
essere intralciate dall’intervento della motricità volontaria…”(ibid) Si legge quanto
stia a cuore di Le Boulch che l’acquisizione delle competenze motorie avvenga con
naturalezza, senza forzature. Le indicazioni della neuropsicomotricità leboulchiana
trattano inoltre di funzioni cognitive, di lettura e scrittura, di matematica. Egli dà
suggerimenti pratici per intervenire su aspetti funzionali dell’apprendimento a
partire dalla psicomotricità. Affronta, con ricchezza di esempi (per i quali si rimanda
al libro), i problemi percettivi e spazio-temporali posti dall’apprendimento della
lettura e della scrittura. In proposito scrive:
“…La buona visualizzazione e la fissazione delle forme, e soprattutto
la possibilità di rispettarne la successione, implicano la padronanza,
almeno implicita, di un orientamento fisso, da cui dipende l’ordine
temporale tanto della decifrazione quanto della produzione.
Quello che abbiamo appena descritto nei termini di un problema
rappresenta una delle principali cause di insuccesso
nell’apprendimento della lettura….”
corpo, stimola l’emisfero cerebrale opposto. Ogni stile di azione sviluppa una
particolare modalità di pensiero.
Conclusione
La corporeità e il suo movimento, il gioco libero e quello regolamentato, sono una
risorsa per lo spirito, per la costruzione degli apprendimenti. L’insegnante è tenuto a
saperlo per servirsene nei modi dovuti.
Se l’attività motoria viene penalizzata si avranno ripercussioni in tutta la sfera
dell’apprendimento.
BIBLIOGRAFIA
Le Boulch J., Verso una scienza del movimento umano, Armando, Roma 1975
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