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IL DELITTO DI PERCOSSE

Il codice penale tutela l’integrità psico – fisica della persona la cui incolumità viene considerata un bene di
interesse non solo del singolo ma anche della collettività e come tale meritevole di tutela.

L’oggetto specifico della tutela penale è rappresentato quindi dall’interesse sociale concernente l’integrità
della persona fisica considerata nelle sue relazioni interindividuali.

L’articolo 581, stabilisce che “chiunque percuote taluno, se dal fatto non deriva una malattia nel corpo o
nella mente, è punito a querela della persona offesa, con la reclusione fino a sei mesi o con la multa. Tale
disposizione non si applica quando la legge considera la violenza come elemento costitutivo o come
circostanza aggravante di un altro reato”.

Pertanto, il Codice Penale con l’articolo 581 punisce, a querela da parte dell’offeso, con reclusione fino a sei
mesi o con multa, chiunque percuota qualcuno senza causare malattia fisica o psichica ma solamente
sofferenza. Ovviamente un urto o un colpo, anche se volontari, non costituiscono di per se percossa ma lo
fanno solo se si dimostra l’intento di arrecare sofferenza alla vittima. Quindi, ad esempio gli schiaffi dati a
una persona che perde i sensi per farlo rinvenire non sono percossa in quanto non dati con l’intento di far
soffrire quella persona.

Questo reato è punito a sola querela della vittima e quindi il medico è esente dall’obbligo di referto.

DELITTO DI LESIONE PERSONALE

Il Codice Penale prevede il delitto di lesione personale sia nella forma dolosa che nella forma colposa.

La lesione è dolosa quando c’è volontà, da parte dell’agente, di ferire una persona. Si definisce, pertanto,
lesione personale dolosa l’offesa fisica o psichica di cui si rende colpevole chi cagiona una lesione, dalla
quale deriva una malattia nel corpo o nella mente.

La lesione è colposa o contro l’intenzione (art. 43 C.P) quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto
dall’agente e si verifica a causa di negligenza, imprudenza o imperizia, ovvero, per inosservanza di leggi,
regolamenti, ordini o discipline.
Si definisce, pertanto, delitto di lesione personale colposa chiunque cagiona ad altri, per colpa, una lesione
dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente.
L’articolo 590 del C.P. punisce chi causa per colpa una lesione personale con la reclusione fino a 3 mesi e
con una multa. Le pene sono inasprite se la lesione è grave (1 – 6 mesi) o gravissima (3 mesi – 2 anni) e
ciascuna di esse lo è ulteriormente se avviene in seguito a violazione delle norme sulla circolazione stradale
o sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro. Si procede solo su querela della vittima a meno che non si
tratti di lesioni gravi o gravissime avvenute in seguito a violazione delle norme per la prevenzione e l’igiene
sul lavoro o a seguito di malattia professionale e in tal caso si procede d’ufficio e il medico legale sarà
obbligato al referto. Si differenziano dalle lesiono dolore in quanto non c’è volontà di produrre la malatia e
quindi le pene sono meno severe.

La previsione del C.P. esige, perché si possa ritenere realizzata la lesione personale, che da questa derivi
una malattia nel corpo o nella mente, e in questo sta anche un altro elemento di differenziazione con il
delitto di percosse, nel quale l’assenza della malattia è l’elemento negativo esplicitamente indicato
nell’articolo 581 C.P. come fatto caratterizzante il reato.
Sul significato da attribuire al termine malattia, si deve considerare malattia uno stato anomalo
dell’organismo in via di evoluzione, con o senza alterazione anatomiche appariscenti, ma accompagnato da
disturbi funzionali, locali o generali, dipendenti sia dall’azione di un agente lesivo, sia dalla reazione di
difesa e di riparazione da parte dell’organismo.
Pertanto, la malattia è un processo caratterizzato dalla tendenza alla guarigione o al recupero della salute
o, quanto meno, da un dinamismo biologico realizzato dai processi di difesa dell’organismo e da quelli di
aggressione dell’agente lesivo, caratterizzato in definitiva da una più o meno spiccata evolutività, la cui
cessazione coincide con il cessare della malattia e con l’eventuale realizzazione di condizioni stabili di
menomazione anatomica o funzionale che vanno sotto il nome di postumi.

Il reato di lesione personale si può classificare in base alla durata della malattia in:

- Lesione personale lievissima (art. 582 C.P.): se la malattia ha una durata non superiore a 20 giorni.
Anche se dolosa si procede per querela da parte della vittima e quindi il medico non ha obbligo di
referto. C’è obbligo di referto e si procede d’ufficio solo in caso si tratti di lesione dolosa e siano
presenti circostanze aggravanti (art. 585 C.P.) come: fatto commesso con armi, sostanze corrosive o
in gruppo.
- Lesione personale lieve: la malattia ha durata maggiore di 20 giorni ma inferiore ai 40. Si procede
per querela da parte della vittima a meno che non sia dolosa con aggravanti e in tal caso c’è obbligo
di referto.

L’articolo 583 C.P. prevede alcune circostanze aggrava ti del delitto di lesione personale che meritano
rilievo perché hanno carattere sanitario, distinguendosi cosi – sotto questo profilo – dalle circostanze
aggravanti comuni (art. 61 C.P.) e da quelle specificatamente previste dall’arti. 585 C.P.

Secondo l’articolo 583 la lesione personale è classificata in lesione personale grave e gravissima:

Si parla di lesione personale grave se dal fatto deriva una malattia o un’incapacità di attendere alle
ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai 40 giorni. Si procede d’ufficio e vi è obbligo di referto. Una
lesione personale è grave anche quando ne deriva una malattia che mette in pericolo la vita della vittima o
quando produce un indebolimento permanente di un senso o di un organo.

Riguardo al pericolo di vita della persona offesa, non importa che si trovi in questa situazione anche solo
perché dopo la lesione non sia stata prontamente o adeguatamente assistita. Dal punto di vista medico –
legale ci si deve considerare in presenza di tale aggravante allorché i parametri di vita (attività cardiaca,
respiratoria e nervosa) siano compromessi in modo apprezzabile, seppur per brevi unità temporali, in
conseguenza alla lesione seguita. Il medico legale deve quindi dare un giudizio della compromissione delle
funzioni cardiache, respiratori e nervose e non solo in base alla potenziale possibilità che essa si verifichi.

Per quando attiene alla incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni nel termine è compresa anche la
convalescenza poiché il soggetto è comunque costretto a limitare la propria vita di relazione e la propria
capacità di espletare le abituali attività. Per ordinarie occupazioni si devono intendere quelle attività
personali lecite che prima del fatto costituivano l’abituale tenore di vita del leso. La norma quindi non
considera unicamente le attività lucrative ma anche qualsivoglia occupazione (culturale, sportiva, religiosa,
politica, ecc.) dell’individuo purché la stessa sia abituale e lecita.

Si tratta in definitiva di situazioni che comportano una limitazione della estrinsecazione della personalità
del leso che la legge penale vuole tutelare in tutte le sue espansioni della vita di relazione.

Nell’ampio spettro delle ordinarie occupazioni rientra anche l’esercizio della professione ma anche
l’espletamento di qualsivoglia attività materiale o intellettuale che risulti lecita e abituale per il soggetto
leso.

Riguardo la fattispecie dell’indebolimento permanente di un senso o di un organo, per senso è da


intendersi la struttura anatomo – funzionale che consente all’individuo la percezione. Altrimenti detto, il
senso è la funzione percettiva a mezzo della quale si ricevono le percezioni del mondo esterno.
Il significato del termine organo nella disciplina medico – legale si discosta da quello tipico dell’anatomia: in
medicina legaòe organo è quel complesso di entità anatomiche che svolgono una precisa funzione ai fini
della vita organica e di relazione: nell’organo si riscontrerà dunque una concorrenza di strutture in una
precisa funzione e di volta in volta potranno essere oggetto di valutazione la funzione fonatoria, prensile,
respiratoria, psichica, ecc.
Cosi, se ad esempio in un soggetto con entrambi i reni in seguito ad un trauma si ha la completa
compromissione di uno di essi si parlerà di indebolimento di un organo inteso come indebolimento della
funzione uropoietica e non di perdita dell’uso di un organo. Quest’ultima si avrebbe se ad esempio quella
persona fosse, per altre cause, monorenica e venisse leso irreparabilmente l’unico rene sano. Allo stesso
modo si ragiona per l’indebolimento di un senso. Va ricordato che esistono pure funzioni che possono solo
essere indebolite ma non perse completamente in quanto quest’ultima ipotesi non è compatibile con la vita
(funzione cardiovascolare, polmonare, nervosa). Vi sono poi situazioni in cui non si può parlare di
indebolimento nè di perdita come nel caso siano interessati organi che fisiologicamente non espletano più
le loro funzioni (utero in anziane).

L’indebolimento a cui fa riferimento la norma indica l’esito stabilizzato, consecutivo all’evento produttivo
della malattia costitutiva della lesione, che limita l’uso o l’estensione di un senso o di un organo
rendendone l’esercizio difficoltoso o irregolare. Per parlare di indebolimento bisogna avere almeno una
riduzione funzionale dell’organo o del senso, in termini percentuali, compreso tra il 10 ed il 15%. Al di sopra
del 90% si parla di perdita.

Sia l’indebolimento che la perdita devono essere permanenti, ossia ragionevolmente persistenti: la
valutazione dell’indebolimento in termini di permanenza dovrà essere posta in essere solo quando sarà
definitivamente esaurito il processo dinamico della malattia e possono quindi individuarsi quei postumi
che, con ragionevole certezza, tenderanno a persistere immodificati per tutto il resto della vita del soggetto
leso.

Ai fini della determinazione del grado di indebolimento, non devono essere considerati eventuali
trattamenti protesici o correzioni chirurgiche cui il paziente si è sottoposto. Unica eccezione può essere il
paziente che si sottopone volontariamente ad intervento per eliminare o contenere il danno (ad esempio,
chirurgia plastica di una cicatrice) prima della valutazione medico – legale, purché non siano utilizzati
sistemi protesici artificiali.

Si parla di lesione personale gravissima se dal fatto ne deriva una malattia certamente o probabilmente
insanabile, la perdita di un senso, la perdita di un arto o dell’uso di un organo, della capacità di procreare,
della comunicazione verbale (permanente e grave difficoltà nella favella) o quando comporti una
mutilazione che renda un arto inservibile o una deformazione o un sfregio permanente del viso.

Per quanto attiene il concetto di malattia certamente o probabilmente insanabile, affinché si ravvisi
l’aggravante in questione, ai requisiti precedentemente elencati relativi alla malattia (modificazione
peggiorativa dello stato anteriore, dinamismo, disordine funzionale, ripercussioni sulla cita di relazione,
necessità di intervento diagnostico – terapeutico) è necessario che si aggiunga l’insanabilità.

La malattia è certamente insanabile quando non si conoscano rimedi efficaci o quando la patologka stessa
si cronicizza al punto tale da poter escludere con certezza la possibilità di remissione, cosi da escludere con
certezza la resistutio ad integrum.
Chiaramente, il giudizio di malattia insanabile sarà sempre probabilistico (anche se la probabilità è molto
alta)e basato sulle conoscenze scientifiche del momento in cui si effettua la valutazione medico – legale.

Perché l’aggravante dell’insanabilità si realizzi, occorre considerare l’insanabilità del processo morboso,
l’evolutività (processo morboso le cui caratteristiche dinamiche ed evolutive perdureranno indefinitamente
nel tempo), la necessità di cure continue e la ripercussione sullo stato generale dell’organismo.
Riguardo la perdita di un senso, si appura l’aggravante quando vi sia privazione assoluta del senso stesso.
(più del 90% della funzione sensoriale);

Per quanto attiene la perdita di un arto, con tale termine, dal punto di vista anatomico, si indicano il
complesso spalla, braccio, avambraccio, e mano per l’arto superiore, per quello inferiore il complesso anca,
coscia, gamba e piede. La giurisprudenza è solita ravvisare perdita di un arto non solo a seguito di
asportazione (amputazione) ma anche nel caso d paralisi, ossia impossibilità assoluta di utilizzarlo (perdita
funzionale equiparata a perdita anatomica).

In questo caso, non esiste la riduzione della funzione statica, deambulatoria p prensile che gli arti
normalmente permettono, e basta la perdita di uno di essi per configurare la perdita di quella funzione e
quindi la lesione personale gravissima.

Anche l’aggravante della mutilazione che renda l’arto inservibile è posta a tutela della funzione degli arti:
l’ipotesi si ravvisa allorché un arto superiore o inferiore sia privato di una porzione importante tale da
renderlo inutilizzabile, inservibile appunto. Pertanto, per perdere la funzione legata ad un arto non è
necessaria la perdita di tutto l’arto ma è sufficiente anche solo la privazione, ad esempio, di parte di esso,
come una mano o un piede.

Per quanto attiene alla perdita d’uso di un organo, stante la particolare nozione di organo in medicina
legale (complesso di entità anatomiche che svolgono una precisa funzione ai fini della vita organica e di
relazione), è assai più frequente nella prassi peritale trovarsi di fronte ad un indebolimento permanente
piuttosto che a perdita d’uso. Affinché si ravvisi perdita d’uso occorre che non venga a mancare un
determinato viscere ma che una determinata funzione, globalmente intesa, venga a cessare e che tale
cessazione abbia i caratteri della permanenza.

Riguardo alla perdita della capacità di procreare,

- Nell’uomo può derivare ad un’impotentia coeundi o da un’impotentia generandi;


- Nella donna può derivare all’impotentia coeundi, all’impotentia concipiendi, all’impotentia gestandi
e all’impotentia partoriendi.

Il riferimento in questione attiene alla capacità di dare alla luce in modo fisiologico un neonato (parto
naturale).

Nella disciplina medico – legale, il perito deve sempre fare riferimento alla sola funzione naturale: se, ad
esempio, una donna a seguito di una frattura pelvica non sia più in grado di compiere un parto naturale e
debba per forza ricorrere al parto cesareo (un rimedio artificiale appunto) ci si troverà in presenza di una
lesione personale gravissima per perdita della capacità di procreare.
La lesione che causa perdita della capacità di procreare può anche colpire l’apparato genitale solo in
maniera indiretta, come ad esempio in caso di lesione, nell’uomo, dei centri spinali e cerebrali che
controllano l’erezione.

Per quanto attiene la permanente e grave difficoltà nella favella, rilevano in questa sede tutte le
menomazioni permanenti e gravi all’apparato fonatorio sia di pertinenza periferica (laringe, palato, lingua,
bocca, labbra, denti) sia di livello centrale che comportino impedimento o finanche impossibilità
dell’eloquio.
Anche se esistono altri tipi di linguaggio (scritto, gestuale, mimico) oltre a quello parlato, quest’ultimo è
particolarmente tutelato ed è sufficiente che la lesione provochi anche solo una difficoltà per configurare la
lesione personale gravissima.

Con riferimento alla deformazione o sfregio permanente del viso, è data grande importanza allo
sfregio/deformazione in quanto esso svolge un ruolo importantissimo nella vita di relazione dell’individuo.
per viso è da intendersi la superficie anteriore dell’ovoide cranico che ha come propri limiti l’attaccatura dei
cappelli, i padiglioni auricolari e il margine inferiore della mandibola.

Per sfregio si intende una deformazione estetica di minor rilievo se rapportata alla deformazione e si
riferisce a qualsiasi minorazione dell’armonia e dell’euritmia del volto. Non basta, orbene, una qualsiasi
alterazione del volto per causare uno sfregio, ma occorre che la lesione renda significativamente
disarmonico il viso.

La deformazione fa riferimento alla conseguenza della condotta antigiuridica che, alterando


strutturalmente il complesso cranio – facciale, cagiona una deturpazione del volto tale da renderlo
sgradevole alla vista o da suscitare raccapriccio, ripugnanza o ribrezzo nell’animo di chi l’osservi.

Per quel che attiene ai requisiti della deformazione, si dà conto della necessaria notevole gravità della
stessa, tale da inficiare in modo significativo la vita di relazione e della permanenza, i tesa come carattere
duraturo della stessa a prescindere dalla suscettibilità di miglioramento a mezzo di intervento chirurgico.
Ancora una volta si fa riferimento alla dimensione naturale dell’individuo, astraendo dagli eventuali
perfezionamenti che possono essere ottenuti a mezzo della tecnica chirurgica.

In questa categoria, sono considerate anche le menomazioni che interessano il volto indirettamente, come
ad esempio una paralisi facciale per frattura della rocca petrosa o in caso di esiti cicatriziali del collo che
hanno effetti retraenti sul collo o in caso d Sindrome di Claude – Bernard – Horner.

Nel determinare la pena deve essere presa in co siderazione l’idoneità del soggetto passivo allo sfregio:
cioè, ci sarà differenza se la persona sfregiata è una bellissima modella o un vecchio.

Alle lesioni personali gravissime fanno parte anche le mutilazioni genitali femminili, come clitoridectomiq,
escissione ed infibulazione. Questo articolo è stato aggiunto nel 2006 e prevede la carcerazione fino a 12
anni per chi le pratica.

Lesione personale e gravidanza

Precedentemente all’entrata in vigore della legge 194/1978, l’articolo 583 del codice penale contemplava
quale circostanza che rendeva gravissima la lesione personale sia dolosa che colposa, l’aborto della persona
offesa. Analogamente, l’articolo 583 dichiarava grave la lesione personale se la persona offesa è una donna
incinta e dal fatto deriva l’acceleramento del parto.

Tali disposizioni sono state abrogate e sostituite dall’articolo 18 della legge 194/1978 (interruzione
volontaria di gravidanza). L’articolo 18 prevede due diverse fattispecie:

- L’aborto di donna non consenziente;


- L’aborto e l’acceleramento del parto quale conseguenza di azioni dirette a provocare lesioni alla
donna.

È punito chiunque cagiona l’interruzione della gravidanza senza il consenso della donna. Si considera come
non prestato il consenso esorto con violenza o minaccia ovvero carpito con l’inganno. La stessa pena si
applica a chiunque provochi l’interruzione della gravidanza con azioni dirette a provocare lesioni alla donna.

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