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Lezione 03 | Immunologia | 07/03/2017

Docente: Daniela Bosisio


Sbobinatore: Cat-rame

Nella scorsa lezione abbiamo iniziato a descrivere alcune delle molecole che agiscono nella risposta
immunitaria innata, oggi ci occuperemo delle cellule che agiscono in questo tipo di risposta immunitaria e dei
meccanismi usati da queste ultime per esplicare le loro funzioni.

Innanzitutto diamo una definizione di “risposta immunitaria innata”: questa è la prima branca dell'immunità
ad entrare in azione. Viene detta innata o naturale perché è presente già alla nascita e non deve perciò essere
sviluppata nel corso dello sviluppo. In alcuni casi è anche detta aspecifica al fine di distinguerla dall’altro tipo
di immunità, detta invece specifica. Questa definizione si giustifica con il fatto che l'immunità innata non è in
grado di discriminare in maniera specifica il patogeno con cui si sta confrontando, ma riconosce dei pattern
ovvero una serie di strutture molecolari tipiche di organismi non-self o self-alterati che vanno a legare i PRR.
Abbiamo detto che è la prima risposta ad entrare in azione e si calcola che la sua finestra di competenza siano
le prime 12 ore dopo l’infezione, questo per il fatto che sono cellule che posseggono naturalmente le loro
caratteristiche difensive e sono quindi pronte alla riposta contro il patogeno non appena esso viene
riconosciuto. In realtà il ruolo dell’immunità innata non è confinato solo alla prima fase della difesa
dell’organismo (come veniva ritenuto tradizionalmente) ma interviene anche più avanti nella risposta
immunitaria al fine di rafforzarla, sostenerla e direzionarla, interfacciandosi profondamente con la risposta
adattiva.

Bisogna in realtà ricordare che la primissima linea di protezione dell’organismo è di tipo meccanico e
comprende le barriere epiteliali e le secrezioni delle stesse (muco) e con esse anche alcune componenti
dell’immunità specifica, come le IgA.
Abbiamo già ricordato che l’immunità innata riconosce i patogeni attraverso i PRR, ovvero recettori in grado
di riconoscere dei profili molecolari associati ai patogeni. Questi PRR sono distribuiti diversamente: in
membrana, sia citoplasmatica che appartenente a organelli intracellulari (come i TRL); all’interno del
citoplasma oppure secreti.

Quali sono le cellule effettrici dell’immunità innata?


 Monociti-macrofagi
 Polimorfonucleati neutrofili
 Eosinofili
 Basofili
 Mastociti
Tutte queste cellule ad esclusione dei mastociti sono
cellule circolanti. Infatti, anche i macrofagi che
sembrerebbero essere presenti esclusivamente nei tessuti
non sono altro che monociti che sono usciti dal circolo, in
condizioni in cui non era presente un’infezione in atto,
entrando nei tessuti dove hanno subito modifiche
conformazionali diventando macrofagi. Qui svolgono una
funzione di “sentinella”. I mastociti, anch’essi tissutali,
svolgono una funzione simile a quella dei macrofagi, e si
crede che essi derivino dai basofili (così come i macrofagi
derivano dai monociti), tuttavia non ci sono ancora prove a
favore di questa teoria ontologica.
Tutte queste cellule si trovano nel sangue ma non
combattono i patogeni nel sangue, quanto più a livello della lesione nei tessuti dove c’è l’infezione: le cellule
dell’immunità dunque escono dal circolo e entrano nel tessuto. Se i microbi si trovano nel sangue si parla di
setticemia e siamo ad uno stadio già avanzato dell’infezione.
NEUTROFILI E MONOCITI
Neutrofili e monociti sono tradizionalmente considerati insieme perché hanno una funzione omologa: sono
fagociti. Tra i due, i macrofagi sono più efficaci nella fagocitosi e tradizionalmente vengono trattati per questo
motivo in modo preponderante. Tuttavia negli ultimi tempi i neutrofili hanno subito una rivalutazione in
seguito ad alcune scoperte da parte della ricerca.

I neutrofili hanno una vita estremamente corta e sono cellule destinate a morire in breve tempo: si stima
infatti che la loro vita media vada da alcune ore ad alcuni giorni (4-5 giorni), se non ci sono infezioni
intercorrenti. Quello che si è visto in vitro da molto tempo e che si è riscontrato anche in vivo è che quando
queste cellule incontrano un patogeno o molecole secrete da quest’ultimo oppure molecole prodotte da
parte del nostro organismo in seguito ad infezione, esse diventano più resistenti aumentando la loro
sopravvivenza.
Esperimento: tenendo dei neutrofili in coltura in assenza di stimolazione il 60% di questi muoiono entro 48
ore; aggiungendo invece stimoli (endogeni o esogeni come LPS) si nota che la sopravvivenza dei neutrofili
raggiunge il 98%.

Sia i neutrofili che i monociti esprimono tutte le categorie di PRR che sono state viste nella scorsa lezione,
questo per il fatto che sono le cellule che devono agire per prime in risposta ad un’infezione, innescandola.

Come fanno i neutrofili e i macrofagi a uccidere i microbi?


 Fagocitosi: la cellula ingloba il patogeno e lo digerisce al suo interno.
 Degranulazione: la cellula riversa all'esterno le stesse sostanze tossiche usate per uccidere il patogeno
durante la fagocitosi. È un meccanismo che viene usato quando i patogeni sono troppo grossi o troppo
numerosi (quando il tessuto è pesantemente infettato la cellula va come in confusione e rilascia
all’esterno il contenuto dei suoi granuli).
 Produzione di NETs (anche detta NETosi): è un meccanismo scoperto recentemente e pare essere
esclusivo dei neutrofili.
Fagocitosi
A cosa serve la fagocitosi?
 Ad uccidere i patogeni
 Ad eliminare le cellule aptoptotiche e i detriti cellulari, questo implica che i fagociti sono importanti
non solo nella risposta immunitaria ma anche nei processi in cui è richiesta eliminazione di grandi
quantità detriti cellulari. Per esempio una ridotta fagocitosi di detriti cellulari è coinvolta
nell’insorgenza di malattie autoimmuni.
 Alla presentazione dell'antigene che è indispensabile per attivazione dei linfociti T.

Tra i fagociti professionali abbiamo descritto i neutrofili e i monociti-macrofagi, ma ad essi aggiungiamo le


cellule dendritiche.
Le cellule macrofagiche sono cellule sono ubiquitarie soprattutto in condizioni in cui manca infezione
(condizione di “resting”) andando a presidiare tutte le zone periferiche: a prova di ciò le cellule della microglia
sono cellule di origine macrofagica, così come le cellule di Kupffer (nel fegato), i macrofagi splenici, renali e
peritoneali.

Come funziona la fagocitosi?


1. Riconoscimento e adesione
Il riconoscimento è indispensabile e necessario affinché possa avvenire il contatto tra patogeno e fagocita,
avviene attraverso recettori fagocitici (recettori che favoriscono la fagocitosi) che non si limitano a prendere
contatto con il patogeno ma attivano anche il macrofago.
Quali sono questi recettori?
Una prima classe di recettori fagocitici sono alcuni PRR che fanno riconoscimento diretto del patogeno (non
tutti i PRR inducono fagocitosi, ad esempio i TRL non sono fagocitici). Sono recettori fagocitici:
- I recettori scavenger: importanti anche per l’eliminazione dei detriti e delle cellule apoptotiche;
- I recettori per il mannosio:
- Le lectine di tipo C,
- Il CD14 (corecettore del TRL4).

Ancora più efficaci di questi recettori, sono i recettori fagocitici appartenenti alla seconda classe i quali
riconoscono il patogeno opsonizzato, ovvero ricoperto di molecole (le opsonine) prodotte dall’organismo. Le
opsonine più efficaci che ricoprono i patogeni sono le molecole del complemento e gli anticorpi, di
conseguenza quindi i recettori fagociti più efficaci sono i recettori delle molecole del sistema del
complemento e i recettori per la porzione cristallizzabile degli anticorpi (Fc receptors). Anche alcune
integrine hanno la funzione di recettori fagocitici (alcuni recettori del complemento sono proprio delle
integrine).

2. Ingestione
Dopo il riconoscimento si attivano una serie di cambiamenti del citoscheletro (non entreremo nel dettaglio)
che permettono invaginazione della membrana nel punto in cui ha preso contatto con il patogeno: essa
diventa sempre più profonda e si rifonde all’esterno in modo da formare un vacuolo contenente il patogeno
che prende il nome di fagosoma. I fagociti sono in grado di fagocitare una quantità impressionante di cellule
e detriti, anche quasi delle loro stesse dimensioni.
3. Uccisione e degradazione
L’uccisione e la degradazione del patogeno avviene grazie alla fusione del fagosoma con i lisosomi che
rilasciano il loro contenuto nel fagosoma (fagolisosoma) che determina la degradazione del patogeno.
Convenzionalmente si distinguono due meccanismi di degradazione:
 Meccanismo ossigeno indipendente: strettamente mediato dalle proteine preformate all’interno dei
granuli (dei lisosomi o quelli più specifici che si trovano all’interno dei neutrofili). All’interno dei granuli
troviamo sostanze antibatteriche sia batteriostatiche che batteriolitiche, ad esempio il lisozima, le
defensine (antibiotici naturali), le lattoferrine, proteinasi, elastasi, gelatinasi. Questo meccanismo di
digestione è naturale nel senso che queste sostanza sono già presenti nei granuli e vengono
semplicemente riversate nel fagosoma, non si tratta dunque di una via inducibile.
La distruzione ossigeno indipendente è importante soprattutto nei neutrofili che sono particolarmente
specializzati per via della presenza dei molti granuli all’interno del loro citoplasma.
 Meccanismo ossigeno dipendente: è un meccanismo molto più efficace che utilizza come molecole
tossiche i radicali dell'ossigeno (ricavati a partire dall’ossigeno, per questo motivo questa via è detta
ossigeno-dipendente). Sono molecole instabili che sono in grado di recare danno alle strutture cellulari
del patogeno e sono prodotte da un complesso multienzimatico che prende il nome di NADPH ossidasi
o ossidasi fagocitica. Come spesso accade, gli effettori molto potenti di alcuni meccanismi di risposta
non si trovano preformati all’interno della cellula ma si assemblano solo in seguito ad uno stimolo.
Questo avviene anche per la NADPH ossidasi che è costituita (in situazioni di resting) da diverse
subunità alcune delle quali ancorate alla membrana, altre libere nel citoplasma, e si assembla solo nel
momento in cui avviene la fagocitosi. Nelle cellule resting questa ossidasi non funziona e ciò è
fondamentale per garantire l’omeostasi dell’organismo.
La NADPH ossidasi a partire dall'ossigeno produce l’anione superossido che essendo una molecola
molto instabile deve essere immediatamente convertita in perossido di idrogeno (acqua ossigenata)
dall’enzima superossido dismutasi. Il perossido di idrogeno reagendo con alogeni, in particolare ioni
cloro, viene convertito dalla mieloperossidasi in ipoclorito (estremamente tossico). La conversione in
ipoclorito è necessaria affinché la cellula non debba gestire un radicale così instabile come quello
superossido che potrebbe causare danni consistenti al macrofago stesso mentre attua la distruzione
del patogeno.
𝑂2 → 𝑂2− ∙ → 𝐻2 𝑂2 → 𝐻𝑂𝐶𝑙 −

Queste funzioni sono state descritte grazie alle alterazioni osservazione negli individui affetti da
immunodeficienze e che per questo motivo non riescono a rispondere correttamente ad alcuni tipi di
patogeni. È possibile risalire con un meccanismo a ritroso alla mutazione nel gene specifico. Alcune
mutazioni possono coinvolgere la NADPH ossidasi, in particolare la subunità di membrana GP91phox.
Questi individui, nei quali la NADPH ossidasi è poco efficace oppure non funziona, vanno incontro ad
una patologia che prende il nome di malattia granulomatosa cronica (CGD). Questa deriva dal fatto
che i macrofagi non avendo l’ossidasi funzionante, non sono in grado di distruggere i patogeni che
vengono fagocitati e li conservano al loro interno dando granulomatosi. Un esempio che si può fare
per spiegare questa malattia è la tubercolosi: questa malattia dà caratteristicamente dei granulomi
perché il micobatterio è, per le sue caratteristiche intrinseche, resistente alla fagocitosi. Similmente
accade nella CGD, dove si vanno a creare queste strutture di resistenza cronica che si formano in
risposta ad un grandissimo numero di infezioni e quindi sono individui che giù nelle fasi precoci
dell’esistenza iniziano a sviluppare queste formazioni, che potendosi localizzare in qualsiasi parte del
corpo, risultano altamente invalidanti.
Oltre a tutti i elencati radicali elencati precedentemente, si ricorda anche l'ossido nitrico sintetizzato
dall'ossido nitrico sintasi (iNOs: inducible NO synthase) enzima che converte l’arginina in citrullina,
rilasciando ossido nitrico. Quest’ultimo si combina con prodotti della NADPH ossidasi a formare una
molecola ancora più tossica che è il perossinitrito.
Questo tipo di uccisione ossigeno-dipendente è inducibile: infatti sia iNOs sia NADPH ossidasi vengono
potenziate quando il macrofago è stimolato da una citochina che si chiama interferone gamma.
Quest’ultimo può essere somministrato come cura per i pazienti affetti da alcune tipologie lievi di CGD,
ovvero quando la malattia granulomatosa dipende da scarsa funzionalità enzimatica e non dalla sua
totale mancanza.
Degranulazione
Le molecole reattive precedentemente elencate possono essere riversate all'esterno quando i patogeni sono
troppo grossi o troppo numerosi. Questo meccanismo aiuta effettivamente a risolvere l'infezione ma dà un
enorme danno tissutale. La risposta immunitaria, soprattutto quella innata, è causa di grave danno tissutale
che può essere funzionale a risolvere l’infezione ma che può dare gravi conseguenze successive.

NETs
Il terzo meccanismo di uccisione si basa sui NET ed è caratteristica esclusiva dei neutrofili. Cosa sono? NET
sta per Neutrophil Extracellular Traps, ovvero trappole extracellulari neutrofiliche che sono composte da
cromatina arricchita da tutti gli enzimi che sono contenuti all’interno dei granuli e vengono proiettate
all’esterno del neutrofilo a formare delle reti. Inizialmente si pensava che la formazione di queste reti fosse
prerogativa esclusiva di alcuni microrganismi ora si è compreso che tutti i patogeni sono in grado di attivare
i neutrofili a formare dei NET. Questi NET sono in grado di intrappolare i patogeni, immobilizzarli e distruggerli
grazie al loro contenuto enzimatico che comprende: lattoferrine, catepsine, proteinasi, gelatinasi,
mieloperossidasi, LL-37 (defensina) e istoni.
Una volta si credeva che i NET si formassero solo una volta che i neutrofili morivano in seguito all’infezione
rilasciando la loro cromatina; in realtà si tratta di un processo attivo che viene volontariamente attuato dal
neutrofilo quando riconosce la presenza di patogeni, ovviamente a questo processo fa seguito la morte
cellulare. Queste strutture oltre ad arrecare grave danno tissutale hanno anche funzioni chemiotattiche
ovvero secernono molecole che possono attirare patogeni e altre cellule dell’immunità.

L’eccessiva formazione di NET sia motivata da una grave infezione che motivata da disturbi nel sistema dei
neutrofili pare essere correlata a malattie autoimmuni come artrite reumatoide, lupus eritematoso
sistemico, psoriasi e varie vascoliti. Si sa poco in generale riguardo l’origine delle malattie autoimmuni: di
certo alcune varianti alleliche possono facilitarne l’esordio così come l’eccessiva risposta dell'immunità
innata.

Il TLR-9 è un TLR endosomiale che è in grado di riconoscere il DNA batterico/virale. In realtà siccome
i TLR non riconoscono delle molecole specifiche ma dei pattern, se li dovessimo mettere a contatto
con DNA endogeno simile al DNA del patogeno non sarebbero in grado di distinguerli e
risponderebbero causando autoimmunità. È stato visto che la combinazione di DNA all’interno dei
NET e LL-37 sono in grado di attivare il TLR-9, attivando una risposta autoimmune che sta alla base
del lupus e della psoriasi.

Ci sono anche dei meccanismi che vanno ad eliminare i NET ripristinando l’integrità tissutale, che possono
essere anch’essi causa di malattie autoimmuni se deficienti.
Le malattie cardiovascolari sono principale causa di morte nella nostra società, un esempio molto comune è
l’arterosclerosi. Anche in questo ambito sta emergendo il ruolo dei NET nell’attivazione dei macrofagi.

L'attivazione dei macrofagi da parte dei PRR attiva un programma trascrizionale, ovvero attiva le cellule a
fare trascrizione. A questo proposito abbiamo detto che i TLR non sono fagocitici ma sono i PRR più efficaci
per l'attivazione trascrizionale dei macrofagi (molto più efficienti) e dei neutrofili. I TRL comunque vengano
ingaggiati, attivano una cascata di trasduzione del segnale che porta all’attivazione dell’infiammazione con
NFKB e AP1 oppure alla trascrizione degli IRF che a loro volta portano alla produzione di interferoni. Questi
fattori trascrizionali vanno nel nucleo e attivano la trascrizione di geni per citochine: gli IRF attivano la
produzione degli interferoni mentre NFKB e AP1 attivano la produzione di citochine proinfiammatorie.

Quali sono le principali citochine infiammatorie prodotte dai macrofagi in risposta all’attivazione dei PRR?
 Interleuchina 1
 Interleuchina 6
 TNF alfa
IL-1 e TNF sono le più importanti citochine proinfiammatorie, cioè sono quelle che innescano l’infiammazione
essendo dotate non solo di azione locale dove favoriscono adesione dei leucociti agli endoteli e il loro
ingresso nei tessuti, ma agiscono anche a livello sistemico inducendo la febbre.
IL-6 va ad attivare la risposta di fase acuta attivando il fegato, inducendo la produzione epatica delle
cosiddette “proteine di fase acuta”. Tra queste troviamo tantissimi PRR solubili, fattori della coagulazione,
tutte le proteine del complemento e fattori che promuovono la riparazione tissutale.
La funzione di queste proteine è dunque l’induzione dell’opsonizzazione, della coagulazione e della risposta
tissutale.
EOSINOFILI, BASOFILI E MASTOCITI
Queste cellule sono una piccola percentuale delle cellule circolanti e la loro funzione è rimasta per lungo
tempo abbastanza misteriosa proprio per il fatto che sono poche e quindi più difficili da individuare e
studiare.
La funzione di queste cellule è secretoria in difesa dai parassiti. Queste cellule vengono attivate a rilasciare il
contenuto dei loro granuli quando il parassita si lega alle IgE presenti sulla loro membrana cellulare. Il fatto
che queste cellule siano coinvolte nelle risposte antiparassitarie è testimoniato dal fatto che durante questo
tipo di infezioni vediamo un aumento di mastociti e eosinofili in circolo.

Questo tipo di attacco


esita con l’uccisione del
parassita che sarebbe
ovviamente troppo
grande per qualsiasi
processo di fagocitosi.

I mastociti come abbiamo detto sono tissutali e presentano sulla loro superficie le IgE che vanno a legarsi al
parassita. Il legame con i parassiti induce il rilascio dei granuli del mastocita che contengono sia sostanze
proinfiammatorie come le citochine (TNF alfa) o le prostaglandine (derivati dell’acido arachidonico), sia
sostanze vasoattive come l’istamina che induce vasodilatazione con conseguente aumento del flusso
sanguigno e permeabilità vascolare che permette il maggiore afflusso di cellule dell'immunità.

MACROFAGI E CELLULE DENDRITICHE

I macrofagi e le cellule dendritiche appartengono alla stessa linea differenziativa: hanno un progenitore
comune, dopo di che si differenziano di molto. Infatti come abbiamo detto precedentemente i macrofagi
stanno un po' dappertutto: le cellule della microglia e le cellule del Kupffer hanno entrambe origine
macrofagica nonostante svolgano funzioni molto distanti. Hanno quindi come fine sempre quello della difesa
dell’organismo ma l’attività specifica dipende dal tipo di tessuto in cui si trovano.
Le funzioni dei macrofagi sono molto più ampie rispetto al semplice controllo dei patogeni, e comprendono
funzioni immunoregolatorie e funzioni fini alla riparazione e al rimodellamento tissutale. Sono funzioni
molto diverse tra loro nonostante abbiano qualche fattore in comune e si può ben immaginare che vengano
svolte da cellule diversamente specializzate.
Si hanno dunque:
 Cellule estremamente attive nel controllo patogeno e distruzione tissutale
 Cellule poco attive coinvolte nel riparo tissutale (opposto alla distruzione tissutale appena descritta)
Questa divergenza è stata spiegata con il termine “polarizzazione macrofagica”, cioè il macrofago in base al
tessuto in cui si trova può assumere delle caratteristiche proinfiammatorie, venendo definito M1 (induzione
di queste caratteristiche avviene da parte dell’interferone gamma); oppure in altre condizioni ambientali
(quando mancano le citochine proinfiammatorie e l’interferone gamma o quando la risposta immunitaria
all’interno del tessuto si è esaurita o si sta esaurendo) il macrofago assume altre caratteristiche, indicate con
M2. Inizialmente si pensava che i macrofagi M1 e M2 fossero due cellule separate, in realtà la transizione da
M1 a M2 è senza soluzione di continuità e in gran parte dipende dal contesto citochinico in cui il macrofago
si viene a trovare. È vero che agli estremi di questo continuum fenotipico troviamo delle cellule
caratteristiche: i macrofagi strettamente attivati in senso fagocitario saranno macrofagi M1 propriamente
detti coinvolti nella patogenesi di malattie autoimmuni (come già visto); al capo opposto troviamo macrofagi
strettamente M2 che sono i macrofagi tumorali, ovvero quelli presenti all’interno del tumore e che
favoriscono il suo sviluppo. Infatti all’interno del tumore troviamo un contesto citochinico che sfavorisce lo
sviluppo in senso M1 e favorisce uno sviluppo in senso M2 rendendoli efficienti nel riparo tissutale.
Le cellule M2 sono anche coinvolte nell’induzione dell’asma atopica.

Si tornerà a parlare di polarizzazione funzionale in relazione ai linfociti T.

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