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In Italia la crisi dello stato liberale genera un sistema politico nuovo che volle
caratterizzarsi come alternativa radicale alla liberal-democrazia.
In italia, nell'ottobre del 1922, prese il potere un movimento dai tratti originali, che voleva
farsi artefice di una rivoluzione politica e ideale, espressione soprattutto del nuovo
protagonismo delle classi medie: il fascismo. L'artefice principale di questa complessa
operazione politica fu Benito Mussolini. Egli, ex socialista, alla vigilia della guerra Mussolini
era diventato interventista ed era perciò stato espulso dal partito. Nel 1919 fondò “i fasci di
combattimento”, un'organizzazione che puntava la rifondazione della nazione, al
rovesciamento dei partiti borghesi tradizionali, alla lotta contro i bolscevichi e a fare dell'Italia
una grande potenza.
Alla mobilitazione delle classi popolari si era sovrapposta una contro-mobilitazione delle
classi medie. I ceti medi ambivano a una nuova Italia che riconoscesse loro un ruolo
centrale nella società, mentre la situazione del dopoguerra sembrava minacciare il loro
status e l’infrazione erodeva i loro risparmi.
Fu soprattutto tra questi strati sociali che si radicano “i fasci di combattimento”, il nuovo
movimento fondato nel 1919 da Mussolini. Questi evitò di dare un programma preciso: si
mantenne piuttosto vago, dosando abilmente i caratteri rivoluzionari e antiborghesi con
elementi conservatori. Inizialmente i fasci ottennero poche migliaia di voti e nessun seggio,
ma in breve tempo il clima politico si sarebbe reso favorevole.
La reale forza di queste componenti emerse subito dopo le elezioni, quando il 12 settembre
1919 un corpo di spedizione ribelli guidati da d'Annunzio occupa F iume. Per i nazionalisti
Fiume era diventata il simbolo della vittoria mutilata, cioè dell'incapacità delle classi
dirigenti liberali di tradurre la vittoria bellica nell'affermazione dell'Italia come grande potenza.
Il dilagare del mito della vittoria mutilata, il consenso dell'opinione pubblica per l'occupazione
di Fiume, l'immobilismo del governo, segnalavano che si stava profilando un progetto
eversivo di matrice nazionalista e che la crisi dello stato liberale era profonda.
I governi liberali che si succedettero tra il 1919 e il 1922 non seppero elaborare proposte
riformiste in grado di fronteggiare le trasformazioni generate dalla guerra nella società
italiana. In questo scenario, il fascismo assunse un ruolo di primo piano.
A partire dal 1921, i fasci divennero lo strumento con cui i possidenti agrari contrastarono
con la violenza le leghe dei braccianti nelle campagne e il mezzo attraverso il quale studenti
e piccoli e medi borghesi sentirono di poter partecipare alla ricostruzione della nazione.
Dal novembre 1921 il partito dei fasci venne trasformato nel Partito Nazionale Fascista,
organizzato gerarchicamente. Inoltre Mussolini cercò di riscuotere simpatia sia negli
ambienti legati al la corona sia dal pontefice Pio XI.
La chiave di svolta del progetto mussoliniano era però l'uso su larga scala della violenza
organizzata contro il movimento operaio. Ad animare lo squadrismo furono soprattutto i
giovani appartenenti alle classi medie e i piccoli proprietari terrieri che avevano subito
l'iniziativa del movimento operaio e contadino.
L'ascesa del fascismo non sarebbe stata coronata dal successo senza l'atteggiamento
ambiguo e delle forze liberali. Alle elezioni del 1921 Giolitti favorì l’apparentamento
elettorale del fascismo con il partito liberale e con altre forze conservatrici nel cosiddetto
blocco nazionale, con l'obiettivo di contrastare l'avanzata dei socialisti.
I liberali, sia conservatori sia progressisti, erano convinti che i maggiori pericolo per la
stabilità democratica venissero da sinistra, dai comunisti, mentre giudicavano il fascismo
come un fenomeno passeggero, che poteva essere utilizzato per indebolire il movimento
operaio ma che si sarebbe poi estinto. Mussolini però aveva un progetto rivoluzionario
antidemocratico e che utilizzava la piazza e la violenza per minare le istituzioni liberali, al
fine di potersi poi presentare come l'unico in grado di ripristinare una nuova legalità
nazionale.
L'ascesa del fascismo fu inoltre favorita dalle divisioni interne al movimento operaio.
Nella seconda metà di ottobre del 1922 il gruppo dirigente fascista iniziò a preparare
l'insurrezione. Migliaia di fascisti in armi avviarono la Marcia su Roma, il 28 ottobre.
La proposta del primo ministro Facta (liberale) di decretare lo stato d'assedio, che avrebbe
consentito all'esercito di intervenire militarmente contro le squadre fasciste, fu respinto dal re
Vittorio Emanuele III, che anzi chiama Mussolini e gli affidò l'incarico di formare un
nuovo governo.
L'assunzione della carica di primo ministro d i un governo di coalizione, composto da
fascisti, liberali e popolari, noi equivaleva per Mussolini alla presa di potere. Nonostante le
forme violente con cui aveva piegato la monarchia e lo stato per farsi consegnare il governo
del paese, Mussolini presiedeva ancora un governo in cui i deputati fascisti erano un'esigua
minoranza. L'effettiva presa di potere si realizza nel quinquennio successivo.
LABORATORI TOTALITARI
Tra il 1921 e il 1922 si affermarono in Italia e Russia due regimi che rappresentavano novità
assolute nel panorama politico continentale: il fascismo italiano e il comunismo sovietico.
Entrambi individuarono nella democrazia il loro principale avversario.
Il colpo di stato del 28 ottobre 1922 fu l'esito finale di uno scontro tra fascisti e antifascisti
che aveva lasciato sul campo circa 500 morti. Parti integranti di questo processo erano stati
la distruzione di sedi sindacali e di partito, l'uso dell'intimidazione politica e della violenza
personale contro gli avversari politici. In italia si afferma un partito politico dotato di un
proprio apparato militare, che sfuggiva al controllo dello stato e anzi contendeva quest'ultimo
la gestione del territorio e l'uso legittimo della forza per il mantenimento dell'ordine pubblico.
Nel 1921-22 anche in Italia si produsse una frattura radicale dell'ordine politico, che assestò
un duro colpo allo stato di diritto e al sistema liberale. Quello che allora apparve come un
ritorno all'ordine era in realtà una rottura definitiva col passato: l'ordine ripristinato nelle
squadre d'assalto fasciste contro il movimento operaio e i partiti democratici non avevano
nulla a che vedere con il precedente ordine liberale. Era un ordine nuovo.
Tra il 1922 e il 1926 maturarono tutte le principali scelte politiche di Mussolini, che fondò un
regime totalitario.
Anzitutto venne superata la democrazia parlamentare attraverso la creazione di un
nuovo organismo di direzione politica: il Gran consiglio del fascismo, in cui sedevano
ministri dirigenti del partito, chiamati a ratificare ogni decisione presa dal governo e dal
parlamento.
Diventato primo ministro, Mussolini non sciolte le squadre d'assalto, ma le istituzionalizzò,
trasformandole nella Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, una struttura militare
parallela all'esercito e alle forze dell'ordine. La Milizia continuò l'azione violenta contro sedi
di partito e di sindacato e ai danni di singole avversari politici.
Nel 1923 la legge Acerbo affidò al partito che otteneva la maggioranza relativa dei voti la
maggioranza assoluta dei seggi. Mussolini poté così assicurarsi una maggioranza fascista in
parlamento, presentando alle elezioni del 1924 un raggruppamento di forze che
comprendeva liberali, nazionale popolari, il cosiddetto listone.
I sindacati cattolici e socialisti vennero privati della capacità contrattuale, riconosciuta
soltanto ai sindacati fascisti: una decisione che favorì un travaso di iscritti dai sindacati
socialisti e cattolici a quelli fascisti.
La campagna elettorale del 1924 si svolse in un clima di intimidazioni messe in atto dalle
squadre fasciste, che raggiunse l'apice con l'omicidio del leader socialista Giacomo
Matteotti, il quale accusava direttamente Mussolini di aver falsificato i risultati elettorali.
Il delitto Matteotti rappresenta un elemento di crisi per il fascismo, che dovette affrontare
un momento di grave impopolarità. Ma le forze antifasciste, non seppero approfittarne,
dimostrando di essere ormai alla deriva: non assunsero nessuna iniziativa concreta, se non
quella di abbandonare per protesta il parlamento il 27 giugno 1924. Mussolini colse
l'occasione per accelerare la definitiva svolta autoritaria: sciolse i partiti e i sindacati,
arrestò o costrinse all'esilio i capi dei movimenti antifascisti e, tra il 1925 e il 1926, con una
serie di leggi dette fascistissime definì la fisionomia del nuovo regime, imperniato sulla sua
dittatura personale, sul partito unico e sul c orporativismo.
Le leggi fascistissime:
1. vennero messi fuori legge i partiti e i sindacati ostili,
2. fu eliminata la libertà di stampa e di espressione,
3. fu istituito un tribunale speciale per la sicurezza dello stato, per condannare gli
antifascisti, i quali comprendevano comunisti, socialisti, democratici, popolari e
repubblicani.
4. Le elezioni vennero trasformati in plebisciti per il Duce, perché gli elettori potevano
solo sottoscrivere una lista di deputati presentata dal partito nazionale fascista.
Il nuovo regime non intendeva semplicemente restaurare il potere delle vecchie classi
dirigenti agrarie e industriali. Mussolini voleva creare uno stato nuovo attraverso una nuova
forma di autoritarismo. Non si limitò ad abolire il diritto di sciopero e i sindacati liberi,
creò una confederazione di sindacati fascisti che doveva trovare al suo interno un
accordo sulle principali questioni del lavoro in nome dell'interesse nazionale.
Venne inoltre istituita la magistratura del lavoro, incaricata di dirimere le controversie di
lavoro: un organo terzo, tra capitale e lavoro che avrebbe dovuto comporre interessi
superando la lotta di classe.
Tra il 1922 e 1926, il fascismo, con il ministro Alberto de Stefani, aveva seguito una
politica economica liberista:
● libertà di iniziativa
● facilitazioni fiscali
● erogazioni di crediti per agevolare produzione investimenti.
Terminata questa fase, la politica economica del regime si concentrò sulla stabilizzazione
monetaria. In un famoso discorso del 18 agosto 1926 Mussolini legò le sorti del regime alla
rivalutazione della lira: “quota 90”, vale a dire il ritorno a un rapporto di cambio tra la
sterlina e la lira italiana. Si trattava di una rivalutazione poderosa, ottenibile solo attraverso
una rigida politica deflazionistica: bisognava ridurre la circolazione monetaria e l'accesso
al credito di aziende e famiglie, abbassare i prezzi, contrarre i consumi già scarsi.
L'effetto della politica deflazionistica, sostenuto del nuovo ministro Giuseppe Volpi, fu un
ulteriore di ridimensionamento dei salari dei lavoratori e dei redditi degli agricoli, a
vantaggio degli stipendi dei risparmi delle classi medie. Infatti i salari vennero ridotti, e
l'abbassamento dei prezzi colpì i piccoli produttori. Intanto tutti i titoli di stato vennero
convertiti in un nuovo prestito pluriennale a tassi vantaggiosi, cosa che favorì i piccoli
risparmiatori perché rivalutò i loro patrimoni. La rivalutazione della lira colpì anche il mondo
industriale: favorì le grandi imprese che lavoravano per il mercato interno e vivevano di
finanziamenti pubblici, mentre svantaggiosa per quelle che operano sui mercati
internazionali. La rivalutazione fece alzare all'estero i prezzi e abbassò in Italia i prezzi dei
prodotti stranieri, avvantaggiando le imprese che dipendevano dalle importazioni e avevano
lo stato come principale cliente.
Ecco perché la Carta del lavoro ebbe i contorni di un’operazione propagandistica per
coprire un attacco diretto ai redditi dei lavoratori e dei contadini, che definiva in maniera
esplicita la base di massa del potere fascista: la piccola borghesia urbana e rurale, impiego
pubblico e grande industria.
Uno dei tratti salienti del progetto totalitario era la creazione del consenso attraverso la
mobilitazione permanente della società. Questo configurava una politicizzazione di massa,
ma del tutto passiva, perché escludeva qualsiasi libera dialettica e veniva interamente diretta
dal partito, e concentrata sulla figura del Duce. L'organizzazione del consenso non andò mai
disgiunta dalla riflessione, che faceva capo agli organi di polizia e il tribunale speciale per
la difesa dello stato, che accentrò su di sé i processi di natura politica sottraendoli alla
magistratura ordinaria. L'azione di queste possente macchina repressiva si diresse contro
l'antifascismo, formato da una rete di piccoli gruppi clandestini e da singoli tenaci oppositori
punto a capo tra il 1925 e il 27 e spazio erano in gran parte diligente dei partiti politici
antifascisti. Alcuni finirono in carcere o al confine. All'estero i fuoriusciti cercarono di
organizzare campagne di stampa contro il regime, per sensibilizzare l'opinione pubblica
internazionale sul pericolo rappresentato dal fascismo per le democrazie europee.
I comunisti emigrarono in Urss e qui partecipano all'attività dell'Internazionale comunista. I
comunisti cercano di mantenere in vita in italia un'organizzazione clandestina, il centro
interno, per organizzare la propaganda del partito e promuovere qualche azione
dimostrativa.
La pacificazione tra lo stato fascista e la chiesa fu sancita dai patti lateranensi nel 1929,
firmati da Mussolini e dal cardinale Gasparri, segretario di stato vaticano.
I patti erano costituiti da tre documenti distinti:
1. il Trattato garantiva l'assoluta indipendenza della santa sede. Sui territori circostanti
la basilica di San Pietro, la Città del Vaticano, il pontefice esercitava la piena
sovranità. Inoltre la religione cattolica era la sola religione di stato.
2. La Convenzione finanziaria fissò un risarcimento per la chiesa, al risarcimento dei
beni espropriati dello stato italiano con la presa di Roma.
3. Il Concordato imponeva ai vescovi di giurare fedeltà allo stato italiano, ma
contemporaneamente assicurava importanti privilegi alla chiesa cattolica: lo stato
italiano riconosceva gli effetti civili del matrimonio religioso e si impegnava a fare
impartire nelle scuole insegnamento della dottrina cattolica.
Pio XI chiama Mussolini “uomo della provvidenza” e l'accordo con la chiesa rafforzò
enormemente il consenso al regime e il prestigio personale del Duce. Le relazioni non
rimasero sempre pacifiche. La chiesa non intendeva rinunciare al magistero educativo verso
le giovani generazioni, che invece il regime rivendicava interamente al partito e allo stato.
Questo contrasto degenerò in uno scontro, nel 1931, Mussolini fece sciogliere tutte le
organizzazioni cattoliche giovanili e chiuse temporaneamente le sedi della più grande
organizzazione di massa della chiesa, l'Azione cattolica. nonostante queste difficoltà, il
regime. nel complesso contare sulla neutralità ah, quanto non sul aperto consenso, della
chiesa.
Il quarto dei caratteri dello stato totalitario fu l'obiettivo, ereditato dal nazionalismo
intransigente, di fare dell'Italia una grande potenza.
La politica di potenza del fascismo dovete fare i conti con molti vincoli, a partire dal fatto che
l'italia restava una nazione semiperiferica, priva di una struttura economica di una potenza
mondiale. Mussolini cercò di attivare una politica estera che, soprattutto di fronte all'opinione
pubblica italiana, apparisse coerente con quell’obiettivo:
● anzitutto conquistare la Libia
● estendere l'influenza italiana sui balcani.
Tutte queste iniziative, comunque, non modificarono i rapporti di forza continentali nemmeno
suscitarono grande allarme nelle cancellerie britannica, francese e statunitense.
Il fascismo era guardato positivamente dagli ambienti conservatori di questi paesi, in quanto
fortemente anticomunista.