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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO

FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE


CORSO DI STUDIO SPECIALISTICO IN TEATRO E ARTI DELLA SCENA

TESI DI LAUREA

ALEJANDRO JODOROWSKY:
PERFORMANCE, TEATRO E GUARIGIONE

Relatore: Candidata:
Chiar.mo Prof. Roberto Tessari Neva Ganzerla
Matr. n° 318201

Anno Accademico 2010-2011


Neva Ganzerla
Alejandro Jodorowsky: performance, teatro e guarigione

L’arte non deve essere un balsamo,


deve essere alcool.

- Filippo Tommaso Marinetti

2
Sommario
1.Presentazione 5

2.Il dolore: arte, teatro, performance 7


2.1. Dolore: un tema d’indagine 9
2.1.1. Teatro 9
2.1.2. Arti visive 13
2.1.3. Performance 14
2.2. A cosa serve il corpo dell’artista? 16
2.3. Il dolore nell’arte di Jodorowsky 18

3.Alejandro Jodorowsky: biografia 20


3.1. I primi anni: toccare il fondo e risalire 20
3.2. La genesi artistica 28
3.3. Il teatro della guarigione 41

4.Il movimento “Panico” 48


4.1. Cenni storici 48
4.1.1. Qu’est que c’est le Panique? 50
4.2. Contesto storico 55
4.3. Il Movimento Panico: radici storiche 57
4.3.1. Il Dada 59
4.3.2. Il Surrealismo 63
4.4. La triade panica: uguali e diversi 68
4.4.1. Jodorowsky, Topor, Arrabal: uno, nessuno, centomila 68
4.4.2. Caratteristiche peculiari del Panico di Alejandro Jodorowsky 72

5.Il teatro di Alejandro Jodorowsky 74


5.1. Il “Panico” nell’opera di Jodorowsky 74
5.2. Effimero panico: genesi 77
5.3. Teatro panico 79
5.3.1. Contingenza, immanenza 79
5.3.2. Poetica 83
5.4. Dall’atto poetico all’effimero panico 89
5.5. Caratteristiche dell’effimero panico 94
5.5.1. Eredità medioevale 94
5.5.2. Il teatro fuori dal teatro: invadere le strade 98
5.5.3. Happening e performance 101
5.6. Melodramma Autosacramentale - Effimero 65 106

3
5.6.1. Trascrizione 107
5.6.2. Analisi 117
5.6.3. Commento 128

6.Dal panico alla ricerca della serenità 131


6.1. Il teatro come rituale liberatorio 131
6.2. Dal teatro alla magia 134
6.3. Componente teatrale della psicomagia 139

7.Cronologia 143

8.Iconografia 144

9.Bibliografia 148

4
1. Presentazione
La tesi che presentiamo parte da una base di ricerca personale in-
centrata sulla funzionalità creativa e comunicativa del dolore, inteso in
senso mentale, emotivo e fisico, con lo specifico interesse di verificare
in quali occasioni esso viene utilizzato e con quale scopo comunicativo.
All’interno della storia dell’arte visiva e teatrale, in particolare dell’ulti-
mo secolo, la tematica del dolore è stata ampiamente investigata e
applicata da parte degli artisti seppure con scopi e con modalità diffe-
renti e costituisce un filone di ricerca artistica che si manifesta in per-
formance teatrali, performance artistiche e produzioni di opere visive.
Tutti questi lavori testimoniano egualmente la potenza del dolore come
mezzo per comunicare ed è grazie ad esso che riescono a dare una
maggiore spinta nell’investigazione di tematiche politiche, sociali e psi-
cologiche.
Quello che ci interessa in questo lavoro è analizzare in particolare
come all’interno della teatralità di uno specifico drammaturgo l’uso del
dolore si leghi alle istanze comunicative del testo, come esso vada a
far parte della genesi della drammaturgia e della messinscena e che
tipo di reazioni sia capace di smuovere nel gruppo di fruitori a cui vie-
ne “somministrato”. Come caso esemplificativo si è voluto analizzare il
lavoro teatrale di Alejandro Jodorowsky (drammaturgo ma anche ro-
manziere, saggista, sceneggiatore, regista e tarologo 1) poiché, all’in-
terno della tematica del dolore, egli non è solamente interessato agli
effetti psicologici che esso ha su pubblico e attori, o all’utilizzo del do-
lore come strumento per veicolare messaggi, ma soprattutto egli ricer-

1
secondo la definizione fornita da Jodorowsky stesso, il tarologo si differenzia dal cartomante poiché
il primo esclude dalla pratica dei tarocchi le possibilità divinatorie, ma utilizza le carte come stru-
mento che attraverso l’uso di forti simboli e archetipi riesce a compiere un’indagine sul passato del
soggetto e a cogliere i nodi della sua esistenza che sono alla radice dei suoi problemi.

5
ca tramite l’esternazione del dolore (all’interno dell’esperienza teatrale)
di stimolare tutti i partecipanti (che siano attori o spettatori) a trovare
una soluzione a quegli episodi del vissuto che non hanno trovato solu-
zione e che continuano quindi a causare sofferenza.
L’autore infatti non limita la propria indagine all’interno del dolore
come status finito e limitato/limitante, all’analisi psicologica dei mec-
canismi di autodistruzione o di crescita interiore che esso causa, ma
attraverso l’esposizione e l’indagine su di esso, Jodorowsky dimostra
un preciso e personale scopo di trascendere dalla sofferenza per eleva-
re il soggetto al di sopra delle immobilità causate dalla sofferenza stes-
sa, sfruttando le possibilità rituali del mezzo teatrale per apportare del-
le effettive migliorie all’esistenza dello spettatore, dell’attore e dell’au-
tore.
Questo lavoro quindi parte da una ricerca biografica esisten-
zial-culturale dell’autore, al fine di indagare quale sia il bagaglio espe-
rienziale che ha partecipato alla sua formazione artistica; prosegue con
un’analisi della sua produzione artistica (teatral-rituale in primis) sof-
fermandosi sulle opere più esemplificative della nostra tematica di ba-
se; ricerca e analizza il rapporto tra poetica e mezzo di comunicazione
utilizzato; verifica quali effetti l’opera sortisce nel fruitore e descrive
infine l’allontanamento parziale dell’artista dal mezzo performativo
verso quello (radicalmente differente nella forma, ma identico nello
scopo) dell’audizione personale effettuata tramite l’uso dei tarocchi.

6
2. Il dolore: arte, teatro, performance
Cos’è il dolore? Una sensazione fisica? Un’emozione che vogliamo
allontanare? Il ricordo di un’esperienza non piacevole?
Il vocabolario della lingua italiana non ci è d’aiuto poiché offre due
significati ben distanti tra loro: “Sensazione spiacevole per effetto di
un male corporeo” e “Sentimento di profonda infelicità dovuto all’in-
soddisfazione dei bisogni, alla privazione di ciò che procura piacere, al
verificarsi di sventure”2. A dispetto però della dualità di significato della
parola dolore, l'esperienza personale ci insegna che esso non è mai un
aut-aut tra fisiologia e psicologia, bensì un fatto esistenziale, tipica-
mente umano, di cui tutti facciamo esperienza senza eccezioni, al pari
solo della morte.
“Ce n’est pas le corps qui souffre, mais l’individu en sono entier” 3
e infatti il dolore è determinato non solo da reazioni a fattori meccani-
co-biologici, ma soprattutto da reazioni emotive, intime e personali a
eventi negativi; “la douleur est d’abord un fait de situation” afferma
David LeBreton, “L’anatomie et la physiologie ne suffisent pas à expli-
quer ces variations sociales, culturelles, personnelles et même contex-
tuelle. La relation intime à la douleur dépend de la signification que
celle-ci revêt au moment où elle touche l’individu”4. Necessariamente
quindi tutti provano dolore in modo personale.
All’interno del quadro che ci porta a definire il dolore come “fait de
situation” risulta molto interessante constatare anche come il rapporto
tra dolore/sacrificio/punizione/assoluzione (tipico anche della cultura

2
da Il nuovo Zingrelli, Zanichelli Editore, Milano, 1991.
3
René Leriche, Chirurgie de la douleur, Paris, Masson, 1949, p.10.
4
«L’anatomia e la fisiologia non sono sufficienti a spiegare queste variazioni sociali, culturali personali
e allo stesso tempo contestuali. La relazione intima al dolore dipende dal significato che esso as-
sume nel momento in cui tocca l'individuo», introduzione ad Anthropologie de la douleur, David Le
Breton, Édition Métailié, Paris 2006.

7
cristiana) sia profondamente legato alla nostra cultura, insinuandosi
addirittura nelle nostre radici linguistiche 5; il dolore è di fatto spesso
considerato come mezzo per porre rimedio all’errore, come strumento
di purificazione, e questo ne aumenta notevolmente il carico emotivo
di matrice culturale che il dolore e il suo effetto intimo hanno sull’uomo
anche solo a livello inconscio. Infine il dolore non è mai un’esperienza
autoreferenziale, ma un processo che nel suo sviluppo personale in-
contra inequivocabilmente i processi di socializzazione 6.
Di fronte al variegato mistero del soffrire, le arti hanno trovato un
florido terreno di ricerca. La variabilità delle reazioni umane alla soffe-
renza psichica e fisica ha stimolato la creatività degli artisti di ogni se-
colo ed ha fatto sì che il dolore diventasse il mezzo di comunicazione
più efficace per veicolare i messaggi che si ritenevano di volta in volta
più urgenti. La maggior parte degli artisti si è però limitata a presenta-
re il dolore, ad analizzarlo, a trasmetterlo, ma difficilmente a darne
una consolazione. Dopo il dolore infatti è necessario che ci sia anche
una consolazione (fosse anche quella della morte) se si vuole arrivare
ad una efficace conclusione del processo di sofferenza/rinascita. Que-
sto elemento conclusivo è importantissimo per sfruttare appieno la ca-
pacità comunicativa dell’azione artistica, in quanto trasforma l’espe-
rienza dolorosa in un’occasione maieutica di crescita, e non viene in-
dagato pressoché da alcun artista.
Unico personaggio di spicco della scena internazionale a favorire
l’aspetto consolativo come conclusione del percorso doloroso è Alejan-
dro Jodorowsky, che attraverso l’arte e in particolare il teatro, cerca di

5
Nelle lingue indoeuropee, la parola pena si traduce in modi molto simili, aventi tutte la stessa radice
etimologia nel monosillabo sanscrito pûnya, ossia purificazione(pain in inglese, pein in tedesco,
pena in spagnolo, peine in francese, ποινή in greco, poena in latino e पीडा pīṛā in hindi).

6
Cfr. Michel Bousset, nella prefazione a Jean-Claude Sergent, Le Théâtre fou, Editions Tchan, Paris,
1982.

8
andare oltre l’esperienza dolorosa per aiutare il pubblico a trovare una
soluzione pratica al dolore. A patto però di sottostare alle non regole
del suo gioco teatrale.

2.1. Dolore: un tema d’indagine

2.1.1. Teatro

Nella storia del teatro, come in quella dell’arte visiva 7 il dolore


viene originariamente trattato come una tematica legata il più delle
volte a problemi di natura morale, religiosa o civile, ma, seppur pre-
sente nei testi come elemento chiave della trama, esso tradizionalmen-
te non viene rappresentato fisicamente sulla scena.
Nella tragedia greca infatti, gli eventi più crudi vengono tradizio-
nalmente riportati per via orale dai personaggi sutura (il coro, la nutri-
ce, il messo ecc.)8 e i casi di violenza perpetrata sulla scena sono rari,
eccezionali e controversi9.
Sebbene col passare dei secoli le scene non rimangano digiune di
drammaturgie popolate di atti efferati, i drammi recenti continuano a
trattare il tema del dolore nello stesso modo in cui esso viene trattato
nelle arti figurative, ossia come πάθος10 , fedelmente legato a grandi
tematiche tra le quali l’abbandono, il tradimento, lo smarrimento o la
follia. Il dolore diventa quindi un mezzo di comunicazione empatica 11,

7
Cfr. paragrafo 2.1.2.
8
Cfr. Giulio Guidorizzi (a cura di), Introduzione al teatro greco, Mondadori Università, Milano, 2003.
9
Cfr. Aiace, Sofocle.
10
nell’accezione di “sofferenza”, “emozione”. In questa sede parleremo di πάθος in riferimento alla
volontà dell’artista di comunicare il dolore nella sua accessione intima, non fisica. Al contrario,
useremo il termine dolore quando si vorrà sottolineare anche il coinvolgimento del corpo.
11
nel senso di ἐµπάθεια, composto da ἐν, (in) + πάθος, (emozione). Inteso come capacità di immede-
simazione nelle emozioni altrui.

9
al fine di suscitare nel pubblico compassione12 per quanto avviene ai
protagonisti della pièce.
Il grande distacco da questa tradizione avviene agli inizi del Nove-
cento, quando i grandi avanguardisti e teorici della pratica teatrale, in
primis Antonin Artaud e Jerzy Grotowski, sradicano le cattive abitudini
da cui il teatro si era lasciato corrompere e promuovono il ritorno alla
verità dell’azione scenica, privata delle seduzioni mendaci in cui era
scaduto il realismo. Ribellandosi alla tradizione realista che aveva reso
il teatro un’esperienza banale e fasulla, una mera ripetizione artigiana-
le di un testo sterile e svuotato di significato, gli avanguardisti puntano
a creare una tecnica teatrale più genuina, dedicata completamente alla
costruzione di eventi teatrali che rispecchino un lavoro di ricerca co-
municativa pura.
Questo per Grotowsky si traduce in un percorso sacrale della tea-
tralità, noto come teatro povero: in una situazione creativa spogliata di
tutti gli orpelli che il teatro si era trascinato dietro fino a quel momento
(rituali sociali, macchinari scenici, costumi, luci ecc.) Grotowsky punta
a trovare nel solo corpo nudo, nella voce e nelle capacità fisiche degli
attori (dedicati ad esso totalmente, come i santi si dedicano alla pre-
ghiera, da qui la dimensione “sacra” del teatro di Grotowsky) la vera
essenza della creatività e del teatro stesso 13.
Anche per Artaud, grande ammiratore del teatro rituale balinese,
la creazione artistica deve partire da una necessità di spogliare la pra-
tica teatrale da tutto quello che la contamina. Egli però non si propone
di eliminare semplicemente il superfluo e di recuperare confidenza con
lo strumento fisico di cui l’attore dispone, bensì egli desidera rompere

12
dal latino di cumpatire, accompagnare una persona nella sua emozione, provando lo stesso senti-
mento.
13
Cfr. Jerzy Grotowski, Per un teatro povero, Bulzioni, Roma, 1970.

10
tutte le tradizioni che hanno reso il teatro una rappresentazione della
realtà, un “posto vuoto”, “nato morto”, privato della sua potente “vis
affermativa”. Secondo Artaud “È dunque necessario risvegliare […] il
teatro occidentale, declinante, decadente, negativo, per rianimare al
suo oriente la necessità ineluttabile dell’affermazione”14, una necessità
che è una forza invisibile permanente, una crudeltà che elimina la rap-
presentazione e permette alla vita di manifestarsi15.
Coerentemente con l’idea che il manifestarsi della vita sia un’atto
forte, necessario e crudele, il teatro di Artaud è fortemente legato ai
temi del dolore e della corporeità. Egli trova necessario infatti che per
assimilare appieno il messaggio dello spettacolo crudele a cui ha assi-
stito, lo spettatore debba fare esperienza dello sconvolgimento della
normalità e senza possibilità di sottrarsi dall’angoscia e dalla preoccu-
pazione che vorrebbe rifuggire ritornando alla normalità della vita di
tutti i giorni. Non però un’angoscia in grado di colpire la psiche dell’au-
ditorio, ma una forza dirompente che getta il pubblico in un panico che
trascende la mente e coinvolge le viscere. Un’angoscia sensibile, cor-
porea, troppo grande per essere razionalizzata e quindi diretta all’in-
conscio.

Ecco l'angoscia umana in cui lo spettatore dovrà trovarsi


uscendo dal nostro teatro. Egli sarà scosso e sconvolto dal di-
namismo interno dello spettacolo che si svolgerà sotto i suoi
occhi. E tale dinamismo sarà in diretta relazione con le angosce
e le preoccupazioni di tutta la sua vita. Tale è la fatalità che noi
evochiamo, e lo spettacolo sarà questa stessa fatalità. L'illusio-
ne che cerchiamo di suscitare non si fonderà sulla maggiore o
minore verosimiglianza dell'azione, ma sulla forza comunicativa

14
Jaques Derrida, nella prefazione a Antonin Artaud, Il teatro e il suo doppio, Einaudi, Torino 1968.
15
«Ho detto “crudeltà” come avrei detto “vita”», ivi, p. 228.

11
e la realtà di questa azione. Ogni spettacolo diventerà in que-
sto modo una sorta di avvenimento. Bisogna che lo spettatore
abbia la sensazione che davanti a lui si rappresenta una scena
della sua stessa esistenza, una scena veramente capitale.
Chiediamo insomma al nostro pubblico un'adesione intima e
profonda. La discrezione non fa per noi. Ad ogni allestimento di
spettacolo è per noi in gioco una partita grave. Se non saremo
decisi a portare fino alle ultime conseguenze i nostri principi,
penseremo che non varrà la pena di giocare la partita. Lo spet-
tatore che viene da noi saprà di venire a sottoporsi ad una vera
e propria operazione, dove non solo è in gioco il suo spirito, ma
i suoi sensi e la sua carne. Se non fossimo persuasi di colpirlo il
più gravemente possibile, ci riterremmo impari al nostro com-
pito più assoluto.16

Secondo il principio di “adesione intima e profonda” richiesta da


Artaud, la partecipazione sensibile del corpo del pubblico è compresa
nella messinscena. Secondo il regista infatti il teatro della crudeltà non
deve mai essere un teatro della distanziazione, ma deve rendere si-
stematicamente il pubblico centro della scena e ridurre la scena con-
torno di esso. “Non c’è più spettatore né spettacolo. C’è la festa” 17,
una festa crudele che per essere attuata necessita di attori che siano
prima di tutto esseri umani, non chiamati a trasmettere concetti o vi-
sioni del mondo previste da un testo, ma semplicemente siano tramite
della manifestazione ateleologica del vero teatro, un mélange di tutte
le arti volte a manifestare con rigore crudele/necessario la totalità dei
sensi, senza mai doversi piegare al Logos e alla sua vacuità.
Questa descrizione del teatro come festa confluirà lentamente, nel
corso del Novecento, nell’happening; nuova manifestazione di teatrali-

16
Antonin Artaud, Il teatro e il suo doppio, op. cit.
17
Ivi, p. 200.

12
tà che trova il suo riflesso nella performance tipica delle arti visive e
che verrà anticipata e poi rifiutata da Jodorowsky durante il periodo di
messa in atto degli effimeri panici18 .

2.1.2. Arti visive

Similmente a ciò che avviene nel teatro, nella storia delle arti visi-
ve il dolore è rappresentato sia nella sua accezione di sensazione fisica
che morale ed esso viene utilizzato per lo più con lo scopo di smuovere
l’animo del pubblico; viene usato cioè per veicolare πάθος.
Il πάθος - la sofferenza emotiva contenuta e ciò che esso provoca
intimamente nello spettatore - è quindi pressoché l’unica sfumatura di
dolore utilizzata nell’arte e la rappresentazione grafica di un corpo e/o
di un animo sofferente è il medium sfruttato per trasferire al fruitore il
carico esperienziale del soggetto rappresentato. L’obiettivo è quello
mimetico di trasmettere una sensazione di sofferenza nel modo più fe-
dele possibile cosicché, empaticamente sofferente, il fruitore sia porta-
to ad estrapolare dall’opera solo un insegnamento, solitamente di na-
tura morale, religiosa o civile. In questo modo però gli sarà sempre
possibile tenersi a distanza emotiva, non partecipando fisicamente a
quanto visto, ma solo capendone la causa scatenante. Non ci si mette
nei panni di chi soffre soffrendo, bensì si capisce come tenersi alla lar-
ga dalla causa dello stesso soffrire.
Gli esempi che possono illustrare questo concetto sono numero-
sissimi e si ritrovano in ogni secolo della storia dell’arte figurativa: il
Laocoonte d’epoca romana, il Cristo incoronato di spine di Beato Ange-
lico (1450), La zattera della Medusa di Théodore Géricault (1819),
L’urlo di Edvard Munch (1893) o La famiglia di Egon Schiele (1918) per
citarne alcuni.

18
Cfr. capitolo 5.

13
Al di là del tipo di πάθος rappresentato (la morte imminente di un
uomo punito, il patimento del Salvatore, l’orrore della guerra ecc.),
nella maggior parte delle opere artistiche il dolore non viene utilizzato
per trasmettere un dolore fisico tout court, ma sempre uno status
emotivo non positivo, che esso prenda o non prenda origine dalla cor-
poreità.
Sebbene quindi il dolore sia raffigurato anche nella sua compo-
nente fisica, esso nell’arte non ha l’obiettivo di causare nel fruitore la
medesima sofferenza. Il πάθος quindi è solo lo strumento per trasmet-
tere un’idea, non un’occasione esperienziale. Questo almeno fino al-
l’avvento delle avanguardie e in seguito della body art e della perfor-
mance, quando il corpo non è più parte dell’opera d’arte ma diventa
supporto incarnato del lavoro dell’artista.

2.1.3. Performance

Nel XX Secolo, grazie alla fusione involontaria tra arte visiva e arte
teatrale legata alla nascita delle performing arts (già anticipate per
forma da Futurismo e Dadaismo 19), il dolore viene finalmente utilizzato
come sensazione della carne, come strumento di comunicazione per
esternare il dolore patetico irrompendo tramite il disgusto, il kitsch e la
paura, nell’emotività del fruitore che, subendo un’emozione negativa
accompagnata da un dolore fisico reale (quello autoinflittosi dal per-
former), capisce in modo più diretto lo struggimento dell’artista, del
suo corpo e della sua anima. O per lo meno questo è l’intento 20.

19
Cfr. Laurie Andreson prefazione a RoseLee Goldberg, Performance, l’art en action, Thames & Hud-
son, Paris 1999.
20
Capita a volte infatti che le performance falliscano nei loro intenti maieutici/educativi, perché giudi-
cate troppo “forti” per la sensibilità dello spettatore. Il pubblico infatti, ritrovandosi di fronte a
emozioni e immagini estremamente sconvolgenti che lo coinvolgono completamente e senza la-
sciargli il corridoio di fuga che è la razionalizzazione, reagisce semplicemente rifiutando lo spetta-
colo truce della performance, incapace quindi di sopportarne il carico emotivo e trovandosi costret-
to a battere in ritirata voltandosi dall’altra parte.

14
Particolarità della performance però non è tanto il suo carico emo-
tivo, quanto la sua caratteristica forma di teatralizzazione. L’artista
performativo infatti progetta e realizza l’opera esattamente come se
fosse il direttore artistico di una pièce teatrale artaudiana: un attore
non professionista (l’artista), uno spazio consacrato e non tradizionale
(il museo, la strada, un capanno abbandonato ecc.), il coinvolgimento
di tutti i sensi sia dell’attore che dello spettatore (suoni, grida, contatto
fisico con l’artista, odore del materiale utilizzato ecc.), nessun copione
verbale prestabilito né tantomeno il predominio del Logos sull’azione,
un coinvolgimento attivo del pubblico (spesso usato come complice per
la realizzazione dell’atto stesso), un messaggio ideologico da trasmet-
tere, una dimensione spazio-temporale irripetibile ed eccezionale 21.
Seguendo (consciamente o per fatalità) questi principi, le perfor-
mance degli anni ’60 e ’70 sono riuscite a ottenere la capacità di con-
taminare il πάθος e trasferire la sofferenza a livello fisico, coinvolgendo
il pubblico non più tramite la condivisione dell’emotività, ma trasmet-
tendo con lo stesso principio empatico, il vero dolore della carne.
Durante questo periodo - e tuttora - molti artisti hanno scelto la
strada della teatralizzazione dell’opera, mettendo il corpo al centro del-
la scena artistica e passando dallo status di visual artist a quello di
performing artist, titolo che li accomuna a molte personalità dello spet-
tacolo, una su tutte a Jodorowsky 22
, il quale con i suoi effimeri panici
ha teatralizzato in modo violento, simbolico e fortemente coinvolgente
il percorso che porta dall’analisi della propria gabbia di sofferenza alla
liberazione della mente e del corpo dalle catene del passato.

21
Cfr. Prefazione a Antonin Artaud, Il teatro e il suo doppio, op. cit.
22
ma anche il Living Theatre, l’Odin Teatret, il Bread and Puppet

15
2.2. A cosa serve il corpo dell’artista?
L’approdo delle arti all’analisi delle possibilità comunicative del
medium corpo deriva dalla necessità nuova, contemporanea, tipica-
mente novecentesca, di eliminare antichi strati di simbologie e subli-
mazioni che hanno ridotto la comunicazione a una serie di comporta-
menti codificati e misurati, socialmente tollerabili, privando il soggetto
della possibilità di esternare le proprie pulsioni, le proprie sofferenze,
rendendo così sconveniente e vergognosa l’espressione genuina della
propria sensibilità.
Il lento e progressivo abbandono degli schemi comportamentali,
delle maschere della falsa “civiltà”, delle strutture sociali convenzionali,
confluisce in una volontà della riappropriazione del sé estrema e ne-
cessariamente sanguinaria, poiché quando l’arte parla di libertà “il cor-
po costituisce uno dei luoghi in cui la rivolta sceglie di materializzar-
si” 23. Dopo secoli di repressioni della libertà, dell’inconscio e della di-
versità personale, gli artisti sfondano il muro che definisce il limite tra
cosa si può e cosa non si può e fanno vedere i propri incubi, infrango-
no i tabù che vogliono separare il pubblico dal privato e mettono in
mostra la loro sofferenza personale, cercando molto spesso di conden-
sarne tutto il significato in un gesto che per esprimere lo strazio vissu-
to strazia il corpo che l’ha custodito. È proprio elevando il proprio gesto
fisico personale a simbolo universale che gli artisti riescono a parlare al
pubblico e a coinvolgere in modo intenso l’emotività collettiva.
Come direbbe Artaud, la performance è un “atto di emanazione”,
un’occasione per scardinare le abitudini del pubblico attraverso il diso-
rientamento, il turbamento, l’aggressione, concentrando tutta l’atten-
zione sulla sofferenza fisica che è simbolo di una sofferenza interiore

23
In FAM, Nessun tempo, nessun corpo…, Skira, Milano, 2001, p. 19.

16
per troppo tempo celata e repressa. Come se per togliersi di dosso la
pelle del perbenismo e della “normalità” fosse necessario eliminare fi-
sicamente l’epidermide.
La teatralizzazione dell’evento artistico e, simmetricamente, la
trasformazione della teatralità in un rituale, utilizzano il corpo come
supporto e veicolo di un messaggio, come mezzo per realizzare l’atto
artistico e lo caricano di significato tanto da trasformarlo in significante
e accendendo la possibilità di uno scambio simbolico tra artista e pub-
blico:

Il simbolico non è né un concetto né un’istanza, né una catego-


ria né un struttura, ma un atto di scambio e un rapporto socia-
le che pone fine al reale e, allo stesso tempo, l’opposizione tra
il reale e l’immaginario… [...] pone fine alle topiche dell’anima e
del corpo, dell’uomo e della natura, del reale e del non -reale,
della nascita e della morte.24

Il performer, che si mette al centro della scena nell’atto di donarsi,


scoprisi e mostrasi privato dalle gabbie della razionalità, attua il gesto
simbolico dell’autolesione come tentativo estremo per coinvolgere in
modo totalizzante e irrazionale il pubblico nella propria necessità di au-
tenticità.
È proprio all’irrazionale che si rivolge l’artista. A quella parte di noi
che per secoli è stata repressa, anestetizzata e che invece cerca di
tornare a galla continuamente. Tramite il gesto violento il performer
scaglia il pubblico di nuovo nell’irrazionale da tempo rimosso e cerca di
donare ad ognuno l’occasione di riprendere contatto con una parte di
sé senza la quale non siamo autentici singoli, ma solo delle ripetizioni
vuote.

24
Jean Baudrillard in FAM, Nessun tempo, nessun corpo…, op. cit., p. 28.

17
In alcuni casi patologici, il dolore fisico autoinflitto viene utilizzato
dal paziente psichiatrico per alleviare il dolore emotivo, “la nostra ac-
cettazione capacità (del dolore fisico n.d.r.) di porre termine alla paz-
zia è uno dei metodi con cui noi, consciamente o inconsciamente, ne
riconosciamo il potere di mettere fine a tutti gli aspetti del sé e del
mondo” 25. Il performer agisce sullo stesso piano: utilizza il dolore fisico
per eliminare il dolore intimo, vuole mettere fine a una pazzia, quella
della vittoria della razionalità sociale sull’espressione personale. Sullo
stesso piano lavora Jodorowsky con le sue performance teatrali: elimi-
nare la razionalità per riuscire a raggiungere la serenità di una vita che
sia la piena manifestazione della nostra personalità; supera però i suoi
contemporanei e cerca sempre di mantenere ben visibile all’interno
della liberazione dell’inconscio lo scopo ultimo dell’uomo: migliorarsi
per essere felice.

2.3. Il dolore nell’arte di Jodorowsky


Il lavoro di Jodorowsky sul dolore è multiforme e non segue un
solo indirizzo come invece hanno fatto molti altri performer prima di
lui. La maggior parte degli artisti infatti utilizza il dolore per presentare
delle situazioni particolari e condividerle a livello empatico; Jodorowsky
invece presenta sulla scena dei quadri in cui la sofferenza è solo parte
di un processo di liberazione delle proprie ombre. Se da una parte i
performer si torturavano per cercare di spiegare lo struggimento che
l’artista vive nel momento della genesi di un’opera 26, o per far capire la
grave sottomissione sociale e sessuale a cui è sottoposta la donna nel-

25
Elaine Scarry in FAM, Nessun tempo, nessun corpo…, op. cit., p. 34.
26
Cfr. Gina Pane, Azione sentimentale, 1973, performance presso la galleria Il diagramma di Luciano
Inga Pin, Milano.

18
la società maschilista postbellica 27, o per testimoniare il processo di
sofferenza causato dalla malattia28, dall’altra Jodorowsky, al contrario
cerca di superare la componente empatica del dolore e punta a bom-
bardare la sensibilità dello spettatore al fine di superare lo shock emo-
tivo e promuovere una riflessione su di esso che porti ad una crescita.
Jodorowsky infatti porta in scena simboli forti e immagini potenti
che possono parlare a tutti; tramite esse parla di sé e del proprio vis-
suto traumatico, dimostrando però che da ogni sofferenza può partire
una rinascita. Nel teatro di Jodorowsky quindi, il dolore non è fatto per
offendere la persona o per sottolineare la distanza tra il performer e il
pubblico, né si pone come testimonianza della superiorità emotiva del-
l’artista nei confronti della borghesia a cui si ribella, bensì è un gioco
assurdo in cui la sofferenza, la paura e l’angoscia esistenziale sono uno
stimolo a migliorare, una sorta di trampolino di lancio verso una nuova
consapevolezza di sé.

27
Cfr. Ana Mendieta, Untitled (rape scene), 1973, fotografia su carta, Tate Gallery, London.
28
Cfr. Hannah Wilke, Intra Venus, 1993, fotografie e video, conservati presso l’Hannah Wilke collec-
tion & archives, Los Angeles.

19
3. Alejandro Jodorowsky: biografia
L’analisi della biografia di Alejandro Jodorowsky è interessante, se
non addirittura necessaria, per capire quali tappe della vita dell’autore
abbiano segnato la sua formazione emotiva e artistica, sia nei primi
anni di vita che in età più adulta. Jodorowsky infatti non diventa uomo
di teatro per scelta o per casualità. Gli eventi della vita, quelli che lui
chiama danza della realtà, compongono il suo bagaglio culturale a poco
a poco, come tessere di un puzzle, e i suoi lavori in campo artistico
scaturiscono dal concatenarsi di esperienze che confluiscono le une
nelle altre.

3.1. I primi anni: toccare il fondo e risalire

Alejandro Jodorowsky Prullansky nasce il 17 febbraio 1929 a a To-


copilla, cittadina del nord del Cile resa fiorente dall’estrazione del salni-
tro. Alejandro, la sorella Raquel e la madre Sara Felicidad, sono gli
unici membri della famiglia nati in terra americana, mentre il padre
Jaime e i quattro nonni sono migranti europei, ucraini dal lato paterno
e russi dal lato materno.
I primi anni della vita di Alejandro, a tratti tragici, segnano pro-
fondamente il suo carattere che l’autore stesso definisce come timido e
“patologicamente sensibile”.
I primi anni della vita di Alejandro trascorrono quasi senza amici.
A causa della sua precocità nella lettura e nella scrittura viene iscritto
ai corsi avanzati della scuola,

[…] tra bambini più grandi che, non sapendo leggere con la mia
disinvoltura, divennero miei nemici. Tutti quei bambini […]
avevano la pelle scura e il naso piccolo. Io, discendente da
emigranti ebrei-russi, avevo un ingombrante naso curvo e la

20
carnagione bianchissima. Il che fu sufficiente a farmi sopran-
nominare Pinocchio e a impedirmi per sempre, con le loro bat-
tute, di indossare i calzoni corti. [...] per alleviare la drammati-
ca mancanza di amichetti mi rinchiusi nella biblioteca municipa-
le, [...] passavo ore a leggere […].29

[…] Avevo bisogno della presenza di amici. Ma quali? Pinocchio


per avere un nasone, per essere bianco e circonciso non aveva
amici.30

Anche a casa propria Alejandro non si sente accolto. Il padre Jai-


me, proprietario di un emporio, fervente stalinista e inconsciamente
omofobo 31, gli nega qualunque tipo di giocattolo ed esclude completa-
mente dal loro rapporto ogni manifestazione di affetto e di orgoglio pa-
terno, obbligando Alejandro (che affamato d’amore si prestava con pa-
zienza e dedizione) a sottoporsi a vere e proprie torture fisiche (ma
anche psicologiche) pur di ottenere da lui la dimostrazione di un carat-
tere forte.

[…]aveva deciso di educarmi secondo il metodo duro. “Gli uo-


mini non piangono mai e con la loro volontà dominano il
dolore...”32

Le “sessioni educative” potevano comprendere ore di solletico,


schiaffi dati con intensità crescente, eliminazione quotidiana delle cro-
ste che il piccolo Alejandro si era causato buttandosi dalla finestra 33,
divieto di piangere indipendentemente dal motivo e addirittura inter-

29
A. Jodorowsky, La danza della realtà, Feltrinelli, Milano, 2001, p. 8.
30
Ivi, p. 21.
31
derivato dall’odio per il fratello Benjamín, omosessuale, che “vivrà in coppia con sua madre, dor-
mendo nello stesso letto, fino alla morte di lei”. Ivi, p. 36.
32
Ivi, p. 18.
33
“Non so se mio padre si fosse reso conto che buttandomi giù dalla finestra avevo tentato di suici-
darmi.” Ivi, p. 19.

21
vento odontoiatrico senza anestesia 34. Nonostante l’essersi sottoposto
a queste prove estreme, Alejandro non otterrà mai il tanto desiderato
affetto paterno e riuscirà a superare completamente la rabbia e il sen-
so di rifiuto solo dopo moltissimi anni, grazie al teatro e alla pratica
psicomagica 35.
L’ateismo fanatico di Jaime causerà in futuro gravi problemi ad
Alejandro anche a livello “metafisico”: trovatosi da ragazzo a fare i
conti con il mistero dell’al di là Alejandro è incapace di trovare la con-
solazione che i credenti imparano sin da piccoli e vivrà per oltre qua-
rant’anni con l’angoscia della morte 36.
Anche dal lato materno Alejandro è carente di gesti d’affetto:

Sara non mi accarezzava mai però passava ore e ore a petti-


narmi i capelli, ad arricciarmeli, rifiutandosi di tagliarmeli. […]
Poiché a quei tempi nessun maschio portava i capelli lunghi,
continuavano a gridarmi dietro “frocetto”.
[…] Mio padre […] un giorno mi portò dal parrucchiere. […] mi
rasò a zero […]. Venire liberato dalla chioma che mi attirava
tante battutacce era un sollievo per me… però piangevo perché
perdendo i riccioli perdevo anche l’amore di mia madre.37

I rapporti con l’unica sorella, maggiore di due anni, sono del tutto
inesistenti e i genitori trattano i due figli in modo sbilanciato: mentre
Alejandro vive da reietto all’interno del suo stesso nucleo familiare,
Raquel cresce come una principessa, viziata dal padre che nutre per lei
un affetto e una gelosia a tratti incestuosi38 , il che condanna Alejandro

34
Ivi, p. 18 e seguenti.
35
Cfr. Paragrafo 5.6.
36
Cfr. i A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 147 e seguenti.
37
Ivi, p. 27.
38
Ivi, p. 51.

22
nel ruolo di perenne intruso 39.
Il deserto affettivo-emozionale in cui cresce Alejandro è mitigato
dalle letture, dalla sua grande fantasia e dalla presenza di due figure
che si rivelano non solo importanti per l’equilibrio emotivo del bambi-
no, ma probabilmente anche per la sua futura formazione artistica:
Moishe e Cristina.
Moishe, secondo marito della nonna materna, fisicamente del tut-
to simile a Gandhi, sottopone il nipote a quello che si può definire un
atto psicomagico ante litteram al fine di evitare che il piccolo Alejandro
cresca violento come il padre:

Per sfuggire alla severità del dittatore (Jaime, n.d.r.) mi rifu-


giavo tra le ginocchia del santo (Moishe n.d.r.). “Alejandrito
[…] a ogni parola dura ti si secca un poco l’anima. T’insegnerò
a raddolcire quello che dici”. E dopo avermi colorato la lingua
con un inchiostro vegetale azzurro, prendendo un pennellino
[…] lo intingeva nel miele e faceva finta di dipingermi l’interno
della bocca. “Adesso quello che dici avrà il colore del cielo se-
reno e la dolcezza del miele”.40

Cristina invece, domestica della famiglia Jodorowsky-Prullansky,


fornì ad Alejandro sia l’amore materno che tanto gli mancava e che la
sua prima occasione di incontrare la magia:

[…] era lei a farmi le carezze che mia madre mi rifiutava. […]
Mia madre creava in me un bisogno affettivo dolorosissimo, […]
ma Cristina […] fu un balsamo per il mio cuore ferito.
[…]Saranno state le tre di mattina quando mi svegliai […]. Cri-
stina […] seduta sulla panchetta davanti al tavolo vuoto, muo-
veva le mani nell’aria delicatamente […]. Sembrava modellare

39
Ivi, p. 47.
40
Ivi, p. 16.

23
qualcosa […] non riuscii a trattenermi: “Cosa fai Cristina?” […]
“Quando Dio si è portato via mia figlio, la Madonna del Carmine
è venuta a dirmi: fammi una scultura d’aria. Quando l’avrai
terminata […] il tuo bambino […] si alzerà dalla tomba” 41

Ad interferire nella già traumatizzante infanzia a Tocopilla, so-


praggiunge nel 1937 42 il trasloco della famiglia a Santiago, città nel
quale l’autore passerà la vita fino al trasferimento definitivo a Parigi
nel 1953, all’età di 24 anni.
Rassegnato a fatica al trasferimento nella capitale (sradicamento
che gli causò anche una terribile forma di orticaria di natura psicoso-
matica 43) Alejandro ripone fiducia nell’incontro con i nuovi compagni di
scuola, ma le sue aspettative vengono disilluse e si ritrova nuovamen-
te solo. È in questo momento che sceglie volontariamente di distaccar-
si dal mondo in maniera definitiva:

[…] il mondo era crudele. Davanti a me si aprivano soltanto


due alternative: o diventavo un assassino di sogni come gli al-
tri, oppure mi rinchiudevo nella mia mente trasformandola in
una fortezza. Optai per la seconda scelta.44

È in questo periodo che matura anche la decisione di separarsi


(inizialmente a livello solo simbolico) dalla propria famiglia e dai dolori
che di generazione in generazione si perpetravano al suo interno. È
tramite uno dei numerosi dialoghi interiori con il Rebe45 che Alejandro
giunge a una conclusione che guiderà poi tutta la sua ricerca in campo

41
Ivi, p. 198 e 199.
42
Data presunta. Nei suoi romanzi autobiografici Jodorowsky non offre sempre precise coordinate
spazio-temporali.
43
Ivi, p. 29.
44
Ivi, p. 34.
45
Figura immaginaria con cui Alejandro è solito dialogare mentalmente, in realtà proiezione in terza
persona dei suoi stessi pensieri.

24
psicomagico:

“[…] Tanto Jaime quanto Sara sono bambini abbandonati che


inseguono senza sosta l’inesistente amore dei loro genitori.
Quello che hanno subito loro, lo stanno facendo a te. A meno
che non ti ribelli, farai anche tu lo stesso ai figli che avrai. Le
sofferenze famigliari […] si ripetono […] finché un discendente,
in questo caso forse tu, acquista consapevolezza e trasforma la
sua maledizione in una benedizione”. All’età di dieci anni avevo
già capito che per me la famiglia era una trappola da cui dove-
vo liberarmi, o morire.46

La giovane età di Alejandro però non gli consente ancora di reci-


dere i rapporti che lo legano alla famiglia. In questa situazione fru-
strante

Il mio corpo, ricettacolo di tante colpe, tante lacrime proibite,


tanta nostalgia di Tocopilla, iniziò a trasformare la pena in
grasso. A undici anni pesavo poco più di cento chili.47

Io ero un guscio vuoto che veniva usato per trasportare


un’anima in pena. La portavo in giro defunta dentro a quell’or-
ribile custodia.48

In questa triste adolescenza Alejandro inizia a coltivare l’interesse


per la poesia (legge e scrive versi segretamente), non solo come me-
todo per proiettare all’esterno le emozioni per troppo tempo represse,
ma anche come (debole, proprio in quanto segreta) forma di ribellione
verso Jaime, che etichettava come “buffoni spregevoli” tutti gli artisti,
sia che essi fossero poeti, pittori o cantanti.

46
Ivi, p. 36.
47
Ivi, p. 38.
48
Ivi, p. 39.

25
La poesia operò un cambiamento fondamentale nel mio modo
di agire. Smisi di vedere il mondo attraverso gli occhi di mio
padre. Mi era consentito tentare di essere me stesso.49

Dopo aver scritto e bruciato molte poesie, Alejandro per la prima


volta decide di affrontare il giudizio paterno tentando di informare Jai-
me della propria vocazione poetica, ma come di consueto il tentativo
fallisce. Rassegnato a rimanere per tutta la vita succube dell’ingom-
brante figura paterna, incolta e dittatoriale, Alejandro medita per la
seconda volta il suicidio50, ma improvvisamente invece che metterlo in
atto subito decide che prima di morire deve constatare le dimensioni
del sesso paterno.
Seppure questa indagine, manifestatasi come un’epifania, sia ap-
parentemente immotivata e irrazionale, si rivela in realtà molto forma-
tiva, in quanto le aspettative di Alejandro vengono del tutto disattese e
il machismo e l’omofobia alla base dei principi educativi di Jaime, si ri-
velano specchio di una mancanza fisica e di una paura ancestrale:
quella di essere omosessuale come l’odiato fratello Benjamin.

[…] incredibile! […] Più che un fallo sembrava un dito mignolo.


[…] Di colpo compresi la ragione dell’aggressività di Jaime […].
Mi aveva fatto precipitare nella debolezza costruendomi subdo-
lamente un carattere da vigliacco, da vittima impotente, per
sentirsi lui il più forte. […] La sua possente volontà era com-
plementare al suo minuscolo uccello. Il gigante era crollato. E
insieme a lui, era crollato il mondo intero. Nessuno dei senti-
menti che mi avevano inculcato erano veri. Tutti i poteri erano
artificiali. Il gran teatro del mondo, un guscio vuoto.51

49
Ivi, p. 40.
50
Cfr. nota n° 30.
51
A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 43.

26
A pochi anni di distanza dalla presa di coscienza di aver vissuto
assoggettato ad un potere fasullo, Alejandro inizia un processo di libe-
razione dai vincoli familiari che dopo un decennio lo porteranno ad ab-
bandonare la sua terra d’origine per cercare l’affermazione oltreocea-
no.
Durante gli anni del liceo riesce a superare i limiti imposti dalla
famiglia e si libera in poco tempo del peso fisico e spirituale. Dimagri-
sce, raccoglie tutte le fotografie del suo passato e conclude lo sciogli-
mento dei legami familiari con quello che si potrebbe definire il suo
primo atto psicomagico:

Quando non rimase più nessuna fotografia da bruciare, presi


una manciata di cenere, la sciolsi in un bicchiere di vino e bevvi
quel miscuglio grigiastro. I dubbi erano finiti. Avevo seppellito il
passato dentro me stesso.52

Non solo il piccolo nucleo familiare viene coinvolto nella decisione


di abbandono di Alejandro. Finalmente liberato dalla paura reverenzia-
le di Jaime, in occasione di una rara riunione familiare, il giovane com-
pie (inconsciamente) un gesto simbolico che coinvolge tutto il clan Jo-
dorowsky-Prullansky.

Per le nozze d’oro di Jashe e Moishe […] rimasi seduto per ore,
senza mangiare, in un angolo del cortile ombroso […] accanto a
un grande tiglio […] a cui era appoggiata una scure. […] Spinto
da un impulso irrefrenabile cominciai a colpire il tronco […]
avevo scavato metà del tronco. Shoske, la mia prozia, strillava
inorridita […]. Uscii in strada e presi a correre respirando ebbro
di felicità. Sapevo che quell’atto terribile segnava per me l’ini-
zio di una nuova vita. E più precisamente l’inizio della mia

52
Ivi, p. 55.

27
vita.53

L’intera famiglia allargata è così testimone della rescissione dei le-


gami naturali, dell’abbandono del giovane Alejandro della casa/gabbia
familiare e l’inizio della sua attività artistica.

3.2. La genesi artistica


La vita artistica di Jodorowsky inizia embrionalmente con le poesie
scritte e bruciate in solitudine, grazie alle quali riesce a fare esperienza
del potere liberatorio dell’arte, ma è nell’incontro con persone e situa-
zioni differenti che prende vita il genio creativo dell’artista.
In seguito all’abbattimento del tiglio a casa dei nonni materni,
Alejandro decide di non far ritorno a casa e grazie all’aiuto di un cugino
presente alla scena, viene messo in contatto con le sorelle Cereceda
che divennero trampolino di lancio della sua produzione creativa:

Quella notte […] mi portò a dormire dalle sorelle Cereceda. […]


Avevano una casa di tre piani […]. Dovunque c’erano libri pieni
di riproduzioni dei quadri più belli e anche dischi […]. Carmen
Cereceda, pittrice […]. Veronica Cereceda […] poetessa e futu-
ra attrice. Le due sorelle amavano l’arte al di sopra di ogni co-
sa. […] Rimasi chiuso là dentro per diversi giorni […].

Ho avuto la fortuna di incontrare in quel periodo creature che


mi arricchirono la vita, stelle comete benefiche.54

È in quell’ambiente sereno, libero e culturalmente stimolante che


Jodorowsky inizia per la prima volta ad interessarsi all’attività teatrale.
Con l’aiuto di delle sorelle Cereceda, Jodorowsky crea un arsenale di
burattini e un teatrino che negli anni successivi gli diede molte soddi-

53
Ivi, p. 81 e 82.
54
Ivi, p. 83 e 84.

28
sfazioni personali e professionali, tra cui anche occasione di entrare
nell’Università di Santiago del Chile e inaugurare con i suoi pupazzi un
nuovo laboratorio teatrale.
I burattini furono un’enorme occasione di crescita per Jodorowsky,
per tre motivi: gli permisero di scoprire la sua vocazione teatrale, di
vedere in una luce diversa le tragedie familiari passate facendo tacere i
rimorsi e di capire il potere magico degli oggetti (quest’ultimo punto
sarà un caposaldo della terapia psicomagica):

[…] un oggetto da me costruito mi sfuggiva di mano. Nel mo-


mento in cui infilavo la mano sotto il burattino, il personaggio
iniziava a vivere in un modo quasi autonomo. Assistevo all’evo-
luzione di una personalità sconosciuta. […] avevo l’impressione
di venire controllato, manipolato dal pupazzo!

I burattini mi avevano fatto scoprire un aspetto importante del-


la magia, il trasferimento dalla persona all’oggetto. […] scolpii
dei pupazzi che li rappresentassero, ritratti caricaturali ma mol-
to verosimili. E così ho potuto far parlare il signor Jaime, la si-
gnora Sara e tutti gli altri. Gli amici vedendo le mie rappresen-
tazioni ridevano a crepapelle. Eppure, progressivamente, men-
tre le mie mani si fondevano coi personaggi, quelli iniziavano a
vivere di vita propria. […] dicevano cose che non avevo mai
pensato. Soprattutto si giustificavano. […] Chiesi loro sincera-
mente perdono. […] A loro volta tutti i burattini mi perdonaro-
no, uno dopo l’altro. E anch’io, uno per uno, li perdonai tutti,
versando lacrime amare.55

In questo periodo di scoperte artistiche e umane, di grande impor-

55
Ivi,, p. 84 e 85.

29
tanza è l’incontro con la poetessa e giornalista Stella Díaz Varin56 e,
poco dopo grazie ad ella, con Nicanor Parra57, uno dei padri della poe-
sia ispano-americana.

Il mio incontro con Stella fu di fondamentale importanza. Gra-


zie a lei sono passato dall’atto concettuale, creazione mediante
parole e immagini, all’atto poetico, poesie che sono il risultato
della somma di attività corporali. […] ebbi la prova che la poe-
sia era un miracolo che poteva cambiare la visione del
mondo.58

È da questa frequentazione che Jodorowsky capisce il potenziale


creativo della poesia. Non solo un gioco estetico di parole, ma un eser-
cizio della realtà, un’effettiva possibilità di intervenire sulla realtà mo-
dificandola.
Conclusa in breve tempo e non senza sofferenza la frequentazione
con la Díaz, nel 1948 Jodorowsky entra in contatto con André Racz, il
quale, dovendo lasciare il Cile definitivamente, gli lascia in dono il suo
immenso laboratorio, probabilmente il capannone di un’ex fabbrica, in
cui Jodorowsky inaugura le “Feste dell’atelier”, nate dall’applicazione di
un’idea maturata durante il periodo degli spettacoli di burattini:

Pensavo che la finalità suprema dell’artista fosse creare fe-


ste.[…] bisognava rispettare le parole dell’Ecclesiaste: “Non c’è
niente di meglio per l’uomo che mangiare, bere e procurare
gioia al suo cuore”.59

56
Stella Díaz Varin: La Serena 1929 - Santiago 2006. Poetessa e giornalista cilena collaborò con il
Gruppo Generación del 50, gruppo artistico e letterario cileno.
Per approfondimenti cfr. http://ow.ly/8y69H
57
Nicanor Parra: San Fabian, Cile, 1914. Poeta, noto per il sue antipoesie, viene considerato uno dei
più influenti poeti ispano americani. È fratello della più famosa Violeta Parra, pittrice, poetessa e
cantante. A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 202.
58
Ivi, p. 89 e 90.
59
Ivi, p. 101.

30
Le “Feste dell’atelier” aprivano le porte a chiunque fosse disposto
a pagare con la “ragione” il biglietto d’ingresso. Per accedere al capan-
none bisognava infatti bere d’un fiato un quarto di litro di vodka, ma
non sborsare denaro.

All’interno non si beveva più, si conversava soltanto o si dan-


zava […] musica classica. […] In quello spazio affollato come
un’autobus all’ora di punta, […] l’incontro di artisti con docenti
universitari o pugili o rappresentanti di commercio dava origine
ad un cocktail esplosivo.60

Le serate si trasformavano in poetiche manifestazioni del dionisia-


co, una totale libertà d’espressione artistica e personale che porterà
Jodorowsky a dichiarare che

Nel 1948, senza saperlo, considerando la creazione di feste


come la suprema espressione artistica, avevo scoperto i princi-
pi fondamentali dell’”effimero panico” che poi gli artisti chiame-
ranno “happening”.61

È durante una di queste feste paradisiache che Jodorowsky incon-


tra una delle più importanti figure della sua vita, Enrique Lihn, poeta 62,
che da quel momento e fino alla sua partenza per la Francia condivide
con lui l’intero percorso di ricerca poetica e di maturazione artistica
della sua giovinezza. Insieme a Lihn, Jodorowsky getta le basi poetiche
e teoriche del futuro effimero panico, grazie all’ideazione e messa in
atto nel Cile degli anni ’50 dei cosiddetti atti poetici.
L’ispirazione per i primi esperimenti artistici arriva dalla passione
per la poesia che accomunava i due e che comprendeva tra le altre le

60
Ivi, p. 102.
61
Ivi, p. 103, virgolette dell’autore.
62
Per approfondimenti su Enrique Lihn cfr. Naín Nómez, Poesía chilena contemporánea: breve anto-
logía crítica. Andres Bello, 1992.

31
letture del già citato Parra, di Pablo Neruda, Gabriela Mistral, Pablo de
Rokha e di Vicente Huidobro. Proprio quest’ultimo, durante una confe-
renza tenuta a Madrid in quegli anni, diede ai giovani artisti una gran-
de lezione di estetica che diede la svolta alla loro ricerca:

Oltre al significato grammaticale del linguaggio, ce n’è un altro,


un significato magico, che è l’unico che ci interessa… il Poeta
crea, fuori dal mondo esistente il mondo che dovrebbe esiste-
re…

Perché cantate la rosa, o poeti! Fatela fiorire nella poesia 63

Jodorowsky e Lihn, all’epoca universitari, iniziano così il loro soda-


lizio creativo: rivalutando le possibilità espressive del linguaggio e
creando un sistema fraseologico alternativo con lo scopo di semplifica-
re la comunicazione tra individui64.

Siamo giunti alla conclusione che a causa del linguaggio con-


torto, l’intera società viveva in un mondo pieno di situazioni
grottesche. […] Come soluzione alla comunicazione grottesca io
avevo proposto l’atto poetico. […] la poesia di atti, che doveva
realizzarsi come un esorcismo sociale di fronte a numerosi
spettatori. […] nel corso di tre o quattro anni realizzammo una
gran quantità di atti poetici che avrebbero costituito, senza che
io lo sapessi ancora, la base della terapia psicomagica.

Con i nostri atti poetici volevamo evidenziare il carattere im-


prevedibile della realtà. […] denunciare le apparenze, smasche-
rare la falsità e mettere in discussione qualsiasi convenzionalis-
mo.65

63
Huidobro in A. Jodorowsky, Psicomagia, Einaudi, Torino 1997, p. 32.
64
Invece di “mai”: pochissime volte. Invece di “sempre”: sovente. “Infinito”: estensione ignota. A.
Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 104 e seguenti.
65
Ivi, p. 104 e seguenti. Cfr. anche par. 2.2.

32
Cruciale per l’attuazione dello scarto tra poesia e atto poetico con-
creto è anche la lettura di Marinetti e dei futuristi. In particolare la fra-
se “La poesia è azione” convincerà Jodorowsky e Lihn a consacrare la
loro attività artistica alla trasformazione della poesia in atto fisico 66.
Negli anni in cui gli atti poetici prendevano una forma via via
sempre più definita e coerente (senza però perdere le iniziali caratteri-
stiche di volontà di denuncia, di risveglio delle coscienze e di trasfor-
mazione del poetico in realtà), Jodorowsky e Lihn compiono anche un
certo numero di errori di valutazione nella realizzazione degli atti stes-
si. A volte infatti le loro incursioni artistiche non sortiscono l’effetto de-
siderato (grottesco, divertente, generatore e liberatorio), ma al contra-
rio si rivelano dei veri e propri disastri che mettono a repentaglio la sa-
lute mentale delle persone e la vita di poveri animali67 .
La constatazione di questo limite dell’atto poetico porta i due a fa-
re un’onesta analisi della loro esuberanza creativa e giungono alla con-
clusione che ogni atto poetico deve essere ben valutato nelle sue con-
seguenze, quindi anche negli effetti collaterali che può causare, al fine
di prevenirli. Parallelamente elaborano un dogma che si ripeterà in tut-
ta la produzione artistica di Jodorowsky:

Qual è la definizione di atto poetico? L’atto poetico deve essere


bello, impregnato di un carattere onirico, deve prescindere da
ogni giustificazione, deve creare un’altra realtà nel seno della
realtà quotidiana. Consente di trascendere ad un altro livello.
Spalanca le porte di una nuova dimensione, possiede un valore
purificatore… Quindi […] era essenziale diffidare delle energie
negative che rischiavano di liberarsi per colpa si un gesto in-
consulto. […] L’atto poetico, gratuito, avrebbe dovuto consenti-

66
Cfr. A. Jodorowsky, Psicomagia, op. cit., p. 29 e seguenti.
67
Come quando rubarono gli arti di un cadavere o quando distrussero un formicaio. Cfr. A. Jodo-
rowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 108 e seguenti.

33
re la manifestazione in bontà e bellezza di energie creative soli-
tamente represse […].68

Contemporaneamente alla creazione degli atti poetici e all’attività


di burattinaio, Jodorowsky studia come ballerino.
Folgorato negli anni ’40 dalle coreografie di Kurt Jooss 69, ospite
del teatro Municipal di Santiago con quattro dei suoi danzatori, e da
quelle di Ernst Uthoff70, ballerino della compagnia di Joos, Jodorowsky
intraprende la strada della danza moderna poiché per la prima volta
vedeva

[…] una tecnica che usasse il corpo con intelligenza per fargli
esprimere una vasta gamma di sentimenti e di idee. 71

È grazie ai balletti di Jooss e successivamente a quelli di Uthoff


che Jodorowsky arriva alla fondamentale conclusione che l’arte deve
essere uno strumento per curare l’anima e il corpo:

Jooss, mettendo in scena con la sua tecnica sublime i problemi


politici e sociali più pressanti, aveva gettato il seme che più
tardi germogliò nel mio spirito: la finalità dell’arte è curare. Se
non fa guarire non è vera arte.

[…] l’arte non doveva guarire soltanto il corpo ma anche l’ani-


ma, tutte le finalità si riunivano in una sola: realizzare le po-
tenzialità umane per poi superarle. Sacrificare il personale per
giungere all’impersonale: niente per me che non sia per gli

68
Ivi, p. 109.
69
ballerino e coreografo tedesco emigrato dalla Germania di Hitler in seguito al rifiuto di ottemperare
alle richieste delle autorità naziste di epurare dalla sua compagnia tutti i danzatori ebrei. Cfr.
Suzanne Klara Walther, The Dance Theatre of Kurt Jooss, Harwook Academic, London 1998.
70
Danzatore della compagnia di Jooss, in seguito fondatore de EL BANCH, Ballet Nacional Chileno. Cfr.
http://ceac.uchile.cl/ballet-nacional-chileno.
71
A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit. p. 123.

34
altri.72

La frustrazione che Jodorowsky trae dallo studio della danza mo-


derna, disciplina che lo avvicina anche ai principi dell’enneagramma di
Gurdjieff che rincontrerà quando diventerà brevemente allievo di Oscar
Ichazo 73, si trasforma in nuove scoperte in campo artistico. Con Lihn
organizzano un balletto i cui passi si muovevano secondo i rumori della
centrale elettrica dell’ambasciata statunitense di Santiago e sperimen-
tano che :

Si poteva danzare tutto. La realizzazione artistica era il risulta-


to di scelte dettate dalla passione. […] la vita, l’arte, una fac-
cenda di punti di vista e di scelte. E lo stesso succedeva anche
in negativo. […] L’individuo sceglieva il proprio male. Per curar-
lo, bisognava indagare su che cosa lo avesse spinto a scegliere
quel problema e non un altro.74

Questa scoperta lo porta a intervenire sul proprio destino: smette


di aspettare che il mondo gli offra delle possibilità e inizia a procurar-
sele. È in questo modo che ottiene dal Teatro Experimental de la Uni-
versidad de Chile l’autorizzazione a creare insieme ad Enrique Lihn il
Teatro dei Burattini del TEUCH, ribattezzato El Bululù. Il successo del-
l’iniziativa diventa presto tale che la compagnia raggiunge i 60 elemen-
ti e con una nave donata dall’Esercito cileno va in tournée in tutto il
paese.
Conclusa la tournée e rientrato a Santiago, Jodorowsky fa una
delle esperienze più importanti della sua vita, il circo. Contattato da un
pagliaccio del circo di cui già suo padre aveva fatto parte, entra nella

72
Ivi, p. 123 e seguenti.
73
Cfr. par.3.3.
74
A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 125.

35
compagnia come sostituto del toni75 Chupete, il pagliaccio bambino.
Come con il burattini, indossare i panni del toni opera una strana
forza su Jodorowsky:

A mano a mano che entravo nel costume la mia personalità


andava sfumando.[…] Il mio aspetto esteriore, dissolvendosi in
quel bambino grottesco, mi regalava la libertà di agire senza
ripetere i comportamenti imposti che ormai costituivano la mia
identità. […] l’angoscia era sparita insieme alla mia personali-
tà.76

Nel circo , Jodorowsky incontra il suo primo vero maestro spiritua-


le: il pagliaccio Piripipì, che gli dà una grande lezione di sciamanesimo
e di vita. Dopo l’ultima replica dell’ingaggio di Jodorowsky, Piripipì sep-
pellisce al centro della pista una ciocca di capelli e le unghie del giova-
ne artista in modo che parte di lui resti sempre legata al mondo del
circo.
A seguito dei consigli di Piripipì e dell’esperienza come toni

Seguii alla lettera gli insegnamenti del toni Piripipì, abbandonai


la facoltà di Filosofia dove avevo sofferto per tre anni e mi
iscrissi ai corsi del Teatro Experimental de la Universidad de
Chile.77

Dopo pochissimo tempo però le sue qualità di attore vengono no-


tate ed entra a far parte della compagnia del Teatro de Ensayo del la
Universidad Católica, con cui ebbe occasione di recitare in moltissime
repliche di teatro classico anche a fianco di grandi attori dell’epoca co-
me Alejandro Flores. Sempre più teatralmente maturo, Jodorowsky

75
nome usato in America Latina per definire il pagliaccio.
76
A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 131 e seguenti.
77
Ivi p. 135.

36
elabora in questo periodo la sua resistenza al teatro imitativo e inizia a
fondere l’idea di arte come guarigione a quella di atto poetico, in aper-
to scontro teorico quindi con il teatro realista:

Mi rendevo conto che non mi piaceva il teatro che imitava la


realtà. Per me era un’espressione d’arte volgare: con il prete-
sto di mostrare il vero tentava di ricreare la dimensione più su-
perficiale ma anche più vacua del mondo. […] mi sembrava che
il “teatro realista” ignorasse la dimensione onirica e magica
dell’esistenza. 78

Secondo questa necessità di non mentire sulla scena, ma di svela-


re la parte nascosta e poetica della realtà - ovvero il sogno - Jodo-
rowsky, ormai definitivamente orientato all’attività teatrale. Inizia così
a lavorare autonomamente allo studio dell’espressività corporea e con
un piccolo gruppo di attori si dedica alla ricerca in campo mimico,
escludendo la parola dall’indagine.
Questo cambio di interessi lo porta ben presto a conoscere figure
come Marcel Marceau ed Étienne Decroux, con cui verrà in contatto
una volta sbarcato a Parigi, e a scegliere di abbandonare il Cile per la
Francia proprio con lo scopo di approfondire lo studio dell’arte mimica.
Nel 1953, alla fine del periodo degli atti poetici e dei burattini, Jo-
dorowsky decise di abbandonare la sua terra d’origine, a recidere tutti
i rapporti che lo legavano al Cile e ad imbarcarsi su un transatlantico
diretto a Parigi, senza valigia, senza soldi e senza conoscere il france-
se. Arrivato in città sentendosi un salvatore del Surrealismo, vede pre-
sto crollare le sue illusioni e solo con grande fatica, racimolando il de-
naro facendo i lavori più umili, riesce a coronare il suo sogno di studia-
re l’arte del mimo frequentando i corsi di Étienne Decroux. L’esperien-

78
Ivi p. 141 e seguenti.

37
za, accompagnata anche dallo studio dei testi di Gurdjieff79 e di Gaston
Bachelard 80, lo segna profondamente ed è con questa esperienza che
Jodorowsky riesce sia ad affinare la sua tecnica che ad approfondire la
sua ricerca poetica:

La sua crudeltà da bisturi, priva di ogni relazione affettuosa, mi


costrinse a essere giudice di me stesso senza aspettarmi con-
ferme altrui. […] Imparai che non può esistere una creatività
efficace se non è accompagnata da una buona tecnica. E che la
tecnica, senza arte, distrugge la vita81

Dopo l’esperienza con Decroux, Jodorowsky entra a far parte della


compagnia di Marcel Marceau e contemporaneamente collabora con
Maurice Chevalier, curando per quest’ultimo la messinscena di One
man Show al teatro Alhambra, spettacolo che rilancerà la carriera del
già famoso cantante82. Quando si reca in Messico, riscritturato da Mar-
ceau per una tournée, si innamora di quel paese e lì si ferma, abban-
donando temporaneamente la Francia. Fonda il Teatro de la Vanguar-
dia e inizia a mettere in scena i suoi primi spettacoli registicamente
autonomi e con veri attori.

J’ai commencé en Mexique, un endroit sauvage, avec le Teatro


de la Vanguardia. Mon premier cour au Mexique je commençai
a partir par “Fin de partie” de Samuel Beckett. On a traité de

79
Georges Ivanovič Gurdjieff (Alexandropol, 14 gennaio 1872 – Neuilly, 29 ottobre 1949) è stato un
filosofo, scrittore, mistico e "maestro di danze" armeno. Il suo insegnamento combina sufismo e
altre tradizioni religiose in un sistema di tecniche psicofisiche che cerca di favorire il superamento
degli automatismi psicologici ed esistenziali che condizionano l'essere umano.
80
Gaston Bachelard (Bar-sur-Aube, 27 giugno 1884 – Parigi, 16 ottobre 1962) è stato un filosofo del-
la scienza e della poesia francese. Epistemologo illustre, è autore di numerose riflessioni legate
alla conoscenza e alla ricerca. Nella sua opera fondamentale, Il nuovo spirito scientifico (1934),
Bachelard compie un superamento del dibattito tra empirismo e razionalismo, simile a quello teo-
rizzato da Popper.
81
A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 153.
82
tanto che dopo il suo successo il teatro Alhambra verrà ribattezzato Theatre Maurice Chevalier.

38
chiens a Samuel Beckett, de [son-of-a-bich]. Ont a lui insulté,
ont a insulté a moi, on m’ai vomit… Tout la critique, tout le
monde a dégénéré. Et ils aussi ont été tout rouges parce que
Beckett a eu le Nobel, a été un scandale. Je fais Jonesco, “Le
Roi se Meurt”… [Those shows lasted for several years, I did
about a hundred plays]: Adamof, Beckett, Ionesco, Strindberg
et cetera… On a fait tous de theatre de l'absurde, Arrabal…83

La possibilità di esprimere la propria creatività però non lo soddi-


sfa:

Piano piano, fra successi, fallimenti, scandali e catastrofi, una


profonda crisi morale iniziò a minare la fanatica ammirazione
che provavo per il teatro 84

Ed è grazie a questa crisi che vengono gettate le basi teoriche del-


l’effimero panico.

Mi domandavo: è possibile per il teatro fare a meno degli atto-


ri? E perché non de pubblico? L’edificio del teatro mi pareva li-
mitato, inutile, obsoleto. […] Era inutile interpretare un perso-
naggio. L’interprete - non attore - non doveva consacrarsi allo
spettacolo per sfuggire a sé stesso ma per ristabilire il contatto
con il mistero interno […] divenire uno strumento di autocono-
scenza. Sostituii la creazione di opere scritte con quello che ho
chiamato “effimero”. 85

Negli anni messicani Jodorowsky realizza un grande numero di ef-


fimeri86 , tutti realizzati senza attori professionisti, senza una vera or-

83
Intervista a Ferdinando Arrabal e Alejandro Jodorowsky. Origine sconosciuta
http://www.youtube.com/watch?v=LMQ1QRx7H-c&feature=results_video&playnext=1&list=PL67A70
A9B564956D6
84
A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 156.
85
Ivi, p. 157.
86
Cfr. par. 5.4.

39
ganizzazione e senza pubblicità, fino a quando all’inizio degli anni Ses-
santa lo scrittore e giornalista Juan Lòpez Monctezuma lo invita a rea-
lizzare uno dei suoi effimeri all’interno della propria trasmissione tele-
visiva culturale trasmessa su un canale nazionale. Durante un’intera
ora, non interrotta da spazi pubblicitari, Jodorowsky distrusse a mar-
tellate un pianoforte a coda e si crocifisse sui resti dando così inizio ad
uno scandalo di portata enorme che lo rese un artista maledetto.
A seguito di questa esperienza memorabile e soprattutto viste le forti
reazioni del pubblico, Jodorowsky focalizza la propria attenzione sulla
realizzazione di effimeri di portata maggiore, più complessi e fruibili da
un grande pubblico; colpito dalla eco causata sulla popolazione messi-
cana dall’effimero televisivo, riflette sulla possibilità di utilizzare questo
nuovo strumento teatrale per aiutare le persone a cambiare in meglio:

Gli effimeri dimostrarono di avere un grande impatto su pubbli-


co, molto più del teatro convenzionale. In quegli anni di forma-
zione credevo che, per ottenere un qualche cambiamento nella
mentalità collettiva, occorresse aggredire la società toccandola
nei suoi concetti fossilizzati. Non mi era venuto in mente che
un malato non va aggredito ma bisogna cercare di guarirlo.
Non concepivo ancora l’atto terapeutico sociale.87

All’interno di questo mutamento di obiettivi e a questa maturazio-


ne artistica avviene l’incontro con Arrabal e Topor; grazie al nuovo so-
dalizio Jodorowsky crea l’Effimero 65 di Parigi ma non ne trae la spera-
ta soddisfazione. Si allontana dal teatro e inizia a praticare il teatro-
consiglio, occasione che gli permette di analizzare a fondo i meccani-
smi psicologici delle persone e a ricevere nuovi spunti per la sua rifles-
sione artistica, applicando le caratteristiche del teatro al sostegno di

87
A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 161.

40
tutti coloro che si avvicinassero a lui per ricevere suggerimenti su co-
me migliorare la propria esistenza 88.
A seguito di queste esperienze formative, Jodorowsky approfondi-
rà per lo più la propria ricerca sul tema della guarigione, esplorando le
possibilità dell’inconscio e dell’applicazione dei principi teatrali al fine di
elaborare una metodologia specifica dell’uso del teatro e dei tarocchi
come sostegno della persona.

3.3. Il teatro della guarigione

La differenza che corre tra la ricerca di Alejandro Jodorowsky e


quella di altre personalità teatrali e cinematografiche sta nel fatto che
egli non ha limitato il proprio percorso di ricerca all’interno del campo
artistico, ma ha mischiato esperienze artistiche e mistiche e le ha fatte
confluire in una pratica che lui stesso ha definito “psicomagia”. Nell’at-
tività di Jodorowsky degli ultimi anni la componente magica pare aver
preso il sopravvento su quella teatrale, ma in realtà l’una e l’altra sono
strettamente collegate perché maturate contemporaneamente lungo
l’intera vita dell’autore. Nell’attività magica di Jodorowsky confluiscono
molte diverse esperienze non teatrali (analisi del mondo onirico, prati-
ca del sogno lucido, tarologia, sciamanesimo, meditazione, sufismo,
uso di droghe ecc.), ma tutte vanno a confluire nella creazione della
psicomagia, divisa in tarologia, psicogenealogia e psicosciamanesimo.
Il primo contatto di Jodorowsky con queste attività non conven-
zionali risale già alla sua prima infanzia, quando scopre nella biblioteca
di Tocopilla, suo paese natale, un libro francese sui tarocchi. Pur non
capendo nulla di quello che era spiegato nel libro scritto in una lingua
straniera, il piccolo Alejandro strappò la pagina che raffigurava La For-

88
Cfr. par. 3.1.3.

41
za poiché ne era rimasto completamente affascinato 89 e questa fasci-
nazione si mantenne costante per tutta la durata della sua vita e lo
porterà negli anni a collezionare più di mille differenti mazzi di taroc-
chi, a conoscerne profondamente il significato, ad applicarli nelle prati-
che di guarigione e a restaurarne una versione francese (Le tarot de
Marseille)90 che tuttora utilizza nelle sue audizioni e che continua ad
insegnare a tutti coloro che vogliono intraprendere la strada della taro-
logia. Non è però solo Alejandro ad essere legato ai tarocchi: le carte
infatti fanno parte dell’eredità della famiglia già dai suoi nonni, in par-
ticolare da Aleksandr Prullansky, nonno paterno, che, secondo diversi
racconti familiari, teneva sempre la carta VII - Il Carro - nel taschino
della camicia, proprio sopra al cuore.
Il percorso formativo dello Jodorowsky tarologo parte quindi da
un’infantile infatuazione per la figura di un libro e negli anni giovanili
viene stimolato anche dall’incontro con Marie Lefèvre, una francese re-
sidente a Santiago che offriva gratuitamente al giovane poeta Alejan-
dro e ai suoi amici la lettura delle carte e un piatto di zuppa calda in
cambio delle loro chiacchiere.

[…] con il suo linguaggio cileno bizzarramente pronunciato alla


francese, faceva letture di una precisione psicologica sorpren-
dente. A me […] aveva profetizzato cento, mille viaggi in giro
per tutto il pianeta. Mi era difficile crederle, eppure la sua pre-
dizione si è avverata.91

Questo bizzarro contatto con le carte è stato decisivo: grazie a


quella donna, nel mio cuore i Tarocchi sono sempre rimasti uni-

89
A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 9.
90
Cfr. introduzione a A. Jodorowsky e M. Costa, La via dei Tarocchi, Feltrinelli, Milano, 2004.
91
A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 201.

42
ti alla generosità e all’amore senza limiti.92

Alla fascinazione per i tarocchi, Jodorowsky unisce lo studio della


capacità della mente di intervenire sulle percezioni corporali e delle
possibilità del sogno lucido di aprire nuovi livelli di comprensione della
realtà. A diciassette anni, durante il triste periodo delle scuole superiori
a Santiago, Jodorowsky inventa delle tecniche di meditazione che gli
permettono di analizzare il suo corpo e, grazie all’immaginazione, di
crearne uno diverso, fatto di puro spirito, riuscendo a fare esperienza -
anche se solo mentalmente - delle possibilità fisiche di un corpo forte e
snello come non era il suo il quel periodo. Esplorando il corpo e pro-
vando mille evoluzioni impossibili nella realtà, il giovane Alejandro rie-
sce grazie alla meditazione ad esplorare anche il territorio immenso e
sconosciuto della mente:

Senza amici, senza tenerezze famigliari, quando ritornavo dal


liceo mi sedevo […] e, a occhi chiusi, mi abbandonavo per ore
ai miei esercizi. La mente era un territorio immenso e scono-
sciuto e io non facevo altro che esplorarla.93

Grazie alla costante esplorazione della propria interiorità Jodo-


rowsky si rende conto che le azioni - volontarie e involontarie - dei
suoi genitori si sono ripercosse su di lui limitandone la sensibilità e la
libertà intellettuale e, analizzandone origine e conseguenze, getta le
basi che lo condurranno poi effettivamente all’elaborazione della psico-
genealogia, lo studio e la soluzione - tramite i tarocchi - dei conflitti e
degli errori perpetrati all’interno dell’albero genealogico capaci, nono-
stante il trascorrere degli anni, di limitare la capacità di ognuno di rea-
lizzare la propria felicità.

92
A. Jodorowsky e M. Costa, La via dei Tarocchi, op. cit., p. 14.
93
A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 63.

43
I punti di rottura che lo conducono a questa conclusione sono
due: l’improvvisa presa di coscienza in età giovanile che nell’educazio-
ne tradizionale impartita dalla famiglia c’erano dei limiti fortissimi per
la personalità e una crisi spirituale in età adulta (la terza) che gli rivela
la necessità di legare arte e terapia.

Nella mia anima vigeva il divieto di essere me stesso, dovevo


salvaguardare i condizionamenti che mi costringevano a vivere
secondo le regole tramandate da una tradizione anchilosata.
[…] Mi resi conto che i miei genitori avevano abusato di me a
tutti i livelli. […] E ora quel bambino abusato (il padre, n.d.r.)
abusava di me, cercando ogni pretesto per ripetere quello che
lo aveva traumatizzato. 94

In cerca di un’azione positiva, ho lasciato perdere ogni attività


[…] e ho cominciato a praticare il teatro-consiglio. […] che ave-
va lo scopo di distruggere il personaggio con cui si era identifi-
cato (che andava a chiedere consiglio n.d.r.) per aiutarlo a ri-
stabilire il contatto con la propria intima natura. […] giunsi alla
conclusione che la finalità dell’arte fosse guarire […] e decisi di
associare nelle mie attività arte e terapia.95

Jodorowsky decide di intraprendere fino in fondo la strada della


terapia e per meglio governare le forze dell’inconscio prima affina la
tecnica del sogno lucido e poi esplora le possibilità dello zen sotto la
guida del maestro Ejo Takata, dell’enneagramma di Gurdjieff, della ri-
scoperta dei centri animali dell’uomo sotto la stravagante guida di
Óscar Ichazo, dei funghi psicotropi della maga María Sabina. Ma è con
l’incontro di maghi, ciarlatani e guaritori americani che Jodorowsky
elabora con completezza le tecniche psicomagiche, in particolare se-

94
Ivi, p. 76-77.
95
Ivi, p.161 e seguenti.

44
guendo le “operazioni chirurgiche” di Pachita, una guaritrice messicana
che operava in trance sotto la guida del “Fratellino”, l’incarnazione di
Cuauthémoc96 , l’ultimo imperatore azteco che si oppose all’occupazio-
ne spagnola di Tenochtitlán:

Pachita afferrava un tratto d’intestino che, non appena posato


sul paziente, spariva al suo interno. L’ho vista aprire una testa,
estrarne il cervello canceroso e introdurvi un nuovo tessuto en-
cefalico. […] A mezzanotte facevo ritorno a casa, tutto sporco
di sangue, stravolto. Il mondo non sarebbe mai più stato lo
stesso. Finalmente avevo visto una creatura superiore compie-
re miracoli, vero o falsi che fossero.97

Per anni Jodorowsky è l’assistente di Pachita durante le sue opera-


zioni poiché era stato persuaso della genuinità dei poteri terapeutici
della maga non solo assistendo come spettatore alle guarigioni, ma vi-
vendole in prima persona, dal punto di vista del paziente:

... continuavo a sentire un dolore acuto al fegato, per cui andai


a trovare Pachita [...] “Mio caro bambino, hai un tumore” [...].
Mi levai la camicia credendo di fare lo spiritoso. Ma quando mi
trovai sdraiato sul lettino di fronte a Pachita che brandiva il suo
coltello travestita da eroe azteco e circondata da fanatici che
pregavano, cominciai ad avere paura. [...] No, non era tea-

tro. Sentivo il dolore [...] il sangue scorreva a fiotti e io


credevo di morire [...] ho sofferto il dolore più grande del-
la mia vita.98

Pachita fu di certo la guaritrice più importante nel percorso psico-

96
Cfr. A. Jodorowsky, Psicomagia, op. cit., p.111
97
A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p.232 e seguenti.
98
Ivi, p.236 e seguenti.

45
magico di Jodorowsky e forse anche la più famosa di tutto il Messico,
ma non fu la sola; Jodorowsky entrò infatti in contatto con moltissimi
altri guaritori, messicani in particolare, come Don Carlos Said inventore
del magico profumo “Sette Maschi”, il guaritore dei ricchi Don Ernesto,
l’indio huichol Don Toño, la medium Soledad e Don Rogelio, devoto di
San Luca Evangelista, solo per citarne alcuni99 .
L’insegnamento che Jodorowsky trae dalle sue magiche frequenta-
zioni, le ultime di stampo “didattico” dopo le quali si muoverà autono-
mamente nel modo della psicomagia, non è la convinzione che i guarito-
ri abbiano effettivamente dei poteri soprannaturali, quanto il concetto
che per modificare la propria salute, mentale e fisica, il primo passo è
quello di cambiare il proprio punto di vista. Quasi tutti i guaritori di fron-
te ad un fallimento infatti affermavano che la causa stava nel rifiuto del
paziente di voler guarire:

Tutti i guaritori affermano che se alcuni malati guariscono


e altri no, questo avviene perché le operazioni magiche
non sono sufficienti: occorre che il paziente cambi la pro-
pria mentalità. Chi vive chiedendo, deve imparare a
dare.100

Mentre le basi della piscoguarigione vengono gettate seguendo gli


insegnamenti degli stregoni, nel campo dei tarocchi Jodorowsky non
ha un maestro né un punto di riferimento, ma impara da solo, studian-
do i numerosissimi testi pubblicati nel corso di svariati secoli. La prati-
ca della lettura dei tarocchi come attività quotidiana inizia nel 1979: a
seguito di alcune difficoltà economiche, Jodorowsky si ritrova a dover
usare la sua conoscenza di tarologo per sbarcare il lunario. Una volta

99
Cfr. Maghi, misteri, sciamani e ciarlatani in A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p.198.
100
A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 253.

46
risollevate le proprie finanze continuò, presso un caffè parigino, a pra-
ticare per quattro anni e gratuitamente le letture di tarocchi e, dopo
poco tempo, a ogni lettura Jodorowsky fece seguire un incontro pubbli-
co in cui commentava le letture eseguite, i maggiori testi spirituali e
alcune storie iniziatiche. Nacque così il Cabaret Mystique e la pratica
sistematica delle letture. Cabaret Mystique era uno spettacolo a metà
tra il teatro e la terapia di gruppo il cui scopo era quello di aiutare i
partecipanti a sviluppare una coscienza profonda e a migliorare il rap-
porto con loro stessi e con le altre persone. Basandosi sullo stesso
principio del riso beffardo che caratterizzava gli atti poetici di gioventù
o le feste paniche 101 egli cercava di accompagnare il pubblico attraver-
so il mistero della vita, provando ad essere una guida capace di svela-
re come abbattere la paura di vivere e portando così l’accettazione del-
la vecchiaia e della morte. Gli incontri del Cabaret Mystique si tennero
per moltissimi anni, fino a che l’età avanzata non ha obbligato Jodo-
rowsky a sospendere questo impegno per dedicarsi solo alle più legge-
re sedute di tarologia, tutt’ora in atto ogni mercoledì presso il Café La
Temerarie di Parigi.

101
Cfr. par. 3.1 e 5.5.1.

47
4. Il movimento “Panico”
Sebbene il lavoro di Jodorowsky sia noto principalmente per per le
sue produzioni in veste di cineasta e sceneggiatore di fumetti, è nel
teatro che la sua poetica affonda le proprie le radici ed è al teatro che
egli riconosce spiccate capacità terapeutiche.
Il movimento “Panico” è un contesto poetico e culturale di matrice
dadaista/surrealista all’interno del quale si sviluppa il pensiero teatrale
di Alejandro Jodorowsky, molto vicino alle performance dell’arte visiva
e all’happening che rese famoso il Living Theatre e da cui parte il suo
lavoro verso il teatro della guarigione. Per questa ragione è necessario
delinearne il profilo storico e analizzarne le caratteristiche.

4.1. Cenni storici

Je proclame dès maintenant que “panique” n’est ni un groupe


ni un mouvement artistique ou littéraire; il serait plutôt un
style de vie. Ou plutôt, j’ignore que c’est. Je préférais même
appeler le panique un anti-mouvement qu’un mouvement.

- Fernando Arrabal 102

È con queste parole volutamente confuse e contraddittorie che


Fernando Arrabal103 ben definisce il movimento “Panico”.
In effetti questa corrente poetica, teatrale, letteraria e figurativa si
muove senza schemi predeterminati, senza sovrastrutture, in piena li-
bertà d’azione, di immaginazione e di contraddizione, tanto che non è
possibile dichiararne con certezza i contorni, ma solo approssimarne i
confini e le caratteristiche generali. Inoltre, a ben vedere, non esiste

102
Fernando Arrabal, Panique, Manifeste pour le troisième millénaire, Punctum, Paris 2006, p. 60/61.
103
Con Roland Topor e A. Jodorowsky, uno dei tre fondatori del Movimento Panico.

48
un solo movimento “Panico”, ma tre, uno per ogni componente dell’an-
ti-movimento (quello di Arrabal, quello di Jodorowsky e quello di To-
por104):

Jodorowsky, Topor et moi (comme trois jazzmen) interprétons


ensemble des partitions complètement différentes.

- Fernando Arrabal 105

Storicamente, il movimento “Panico” fa la sua comparsa ufficiale


nella prima metà degli anni ’60, precisamente il 7 febbraio 1962,
quando, sulla rivista surrealista Le Brèche, André Breton, che ne è di-
rettore, pubblica le Cinq récits paniques (è in quest’occasione che il
termine “panico” viene utilizzato pubblicamente); ma è già dal 1960
che i tre fondatori del movimento definiscono “Panico” la loro comune
idea d’arte 106.
Le parole di Arrabal ben ci fanno intuire il clima in cui si sviluppò il
movimento “Panico”:

Nel mezzo della società dell’abbondanza, il poeta, l’autore, il


regista si sentono portati alla distruzione e siccome essi preve-
dono che il mondo andrà a morire di sovrapproduzione, so-
vrappopolazione e pletora, essi creano un teatro compulsivo,
perfettamente d’accordo con l’epoca. È in questo momento che
l’isteria si scatena, che la parola inizia la sua agonia.

- Fernando Arrabal 107

Quando si incontrano, Topor, Arrabal e Jodorowsky sono già attivi

104
Topor però fu generalmente estraneo al teatro, dedicandosi per lo più al disegno.
105
Fernando Arrabal, Panique, Manifeste pour le troisième millénaire, op. cit., p. 208.
106
Cfr. Frédéric Aranzueque-Arrieta, Panique, L’Harmattan, Paris, 2008.
107
Fernando Arrabal, Le nouveau “nouveau theatre”, in La tour de Babel, Christian Bourgois Editeur,
Paris, 1976. Traduzione del redattore.

49
nel mondo dell’arte. Jodorowsky conosce Arrabal quando gli chiede di
poter mettere in scena il suo dramma Fando y Lis e Arrabal conosce
Topor in quanto ammiratore dei suoi disegni. Una volta riuniti capisco-
no velocemente la loro comunanza di orizzonti e intraprendono strade
parallele, seppur personali, tutti e tre accomunati dalla forza creativa e
distruttiva di Pan.

4.2. Qu’est que c’est le Panique?

Pan-ic. Panic. Le Dieu Pan, c’est le Panic. C’est un acte sexuel


avec la totalité. Ça c’est le Panic.

- Alejandro Jodorowsky

La base du Panic c’est... On peut dire qui est l’explosion de la rai-


son. Ce qui on a prévues, c’est que aller de venir en évidence pou
la science d'aujourd'hui que on été incapable de pouvoir d’expli-
quer le phénomène qui nous entoure avec les seules domaine de
la raison.
[…] Aujourd’hui nous avons une choix: ou l’absurde ou le mys-
tère. C’est la choix scientifique: absurde ou mystère. Nous ne
somme pas pour l’absurde. Nous ne somme pas des fanatiques de
l'absurde, nous ne somme pas des fanatiques du mystère, nous
ne somme pas des soldates de la confusion. Nous disons… l’incer-
titude, l'impossibilité d’expliquer, le fait que l’espace et le temps
sont illusoire. Cette explosion nous montre que nous ne pouvons
pas vivre accrochés a cette raison écrasant qui nous empêche de
fleurir.

- Fernando Arrabal 108

Sebbene i confini temporali del Movimento Panico siano ben defi-

108
Intervista a Ferdinando Arrabal e Alejandro Jodorowsky. Origine sconosciuta
http://www.youtube.com/watch?v=LMQ1QRx7H-c&feature=results_video&playnext=1&list=PL67A70
A9B564956D6

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niti, così come i predecessori e i fondatori di esso, la sua catalogazione
storiografica non è possibile.
Il Movimento Panico infatti non può essere definito un’avanguardia
storica. Questo sia per ragioni temporali (nasce più tardi, nel ’62) che
per mancanza di affinità con esse (non ha componenti definiti, né un
organo, né un manifesto ufficiale). Si può dire quasi con certezza che
“Panico” altro non è stato se non una parola utilizzata da tre autori in
testa o in calce ai propri lavori per segnalarne la genesi all’interno di
un confine condiviso. Condiviso ma non comune, in quanto i percorsi
individuali di Arrabal, Topor e Jodorowsky si sono realizzati in un gene-
rico accordo sulle linee teoriche della pratica artistica, ma ognuno con
particolari intenti, mezzi e motivazioni.
Anche a livello contenutistico, sebbene molte delle loro numero-
sissime produzioni fossero catalogate come “paniche”, un’effettiva co-
munione di contenuti è avvenuta solo in una fase limitata della loro
collaborazione, come se tre strade distinte per un momento calcassero
percorsi gemelli.
L’indipendenza delle singole menti fa parte intrinsecamente anche
delle necessità che spinsero i tre verso lo stesso orizzonte comune:
l’anarchia creativa che accompagnava le loro produzioni si era imposta
fin dall’inizio come condizione basilare di esistenza del “non-gruppo”
panico. Una contraddizione in pieno stile panico: per non essere un
gruppo si riuniscono e cercano di creare l’anarchia creativa.
Il Movimento Panico si autodefinisce anti-movimento principal-
mente perché la sola regola che prevede è quella di rompere le altre
regole (dell’Arte, delle società, dell’abitudine). Questa non dogmaticità,
necessaria per il gruppo è ben chiara nelle parole di Arrabal:

Panique? J’ignore que que c’est.

51
Tout le monde peut se dire «panique», se proclamer créateur
du mouvement, écrire «la» théorie panique.

- Fernando Arrabal 109

Impossibile quindi per definizione delineare delle caratteristiche


fisse, univoche o, peggio, coerenti. Il Panico, infatti, si inscrive di certo
nella categoria del paradosso, nella dinamicità dello scontro fra contra-
ri, quindi i frutti del lavoro della triade panica vanno vissuti senza sen-
tire il bisogno di inserirli in catalogazioni estetiche: si finirebbe di certo
per contraddirsi o limitarne la portata.

La base du Panique, c’est l’explosion de la raison.

Théoriser sur Panique ne peut conduire qu’au refus ou au rejet,


et il est impossible de théoriser la mouvance d’un fleuve où se
mêlent la multitude des cours; au mieux est-il possible d’en
dessiner imparfaitement la courbe tonale avec la pointe d’un
pinceau transparent.

- Fernando Arrabal110

Per comprendere in linea generale quello che sta alla base del Mo-
vimento Panico si può partire dall’analisi etimologica del suo nome da
cui si ricavano alcune informazioni su quali siano le radici culturali e ar-
tistiche che hanno guidato la sua genesi.
Panico deriva da:

• Παν (tutto): l’uso della parola greca sottintende che il Movimento


Panico ha l’intento di abbracciare e invadere l’intero universo, un
approccio più ontologico che estetico in un certo senso e lo scopo
del suo potere totalizzante è quello di “s’opposer à toute forme de

109
Alain Schifres, Entretiens avec Arrabal, Pierre Belfond, Paris, 1969, p. 39.
110
in F. Aranzueque-Arrieta, Panique, op. cit., p. 9.

52
condamnation, d'excommunication, par trop fréquentes dans les
théories politiques et littéraires en général”111.

• Pan: dio greco metà uomo e metà capra che ben si presta ad essere
il portavoce del dualismo critico/generativo che muove il Movimento
Panico e tutta la cultura artistica degli anni ’60. Un misto di riso bef-
fardo e paura che ben illustra gli effetti ricercati dalle opere del Mo-
vimento Panico al fine di ottenere quella ”explosion de la raison” di
cui parla Arrabal.

Secondo il gruppo la decisione di spingersi verso questo doppio


significato insito nel termine “panico” è dettata dalla volontà di com-
prendere nel movimento tutto il mondo e di opporsi, come spiega Ar-
rabal, “à toute forme de condamnation, d'excommunication, par trop
fréquentes dans les théories politiques et littéraires en général”112, una
reazione evidente all’immobilità dei surrealisti, che negli anni ’50 si
erano trasformati in filosofi passivi e inerti.
Già a partire da questa base si può iniziare ad affermare quindi
che l’amore per la libertà totale, l’azione e la contraddizione è una
condizione necessaria al Movimento Panico e questo si può capire an-
che dalle dichiarazioni dei tre membri, interrogati in merito alle defini-
zioni di “Movimento Panico”:

[…] il Panico è nato come uno scherzo; ci siamo detti: “faccia-


mo un movimento senza idee, ognuno fa le sue cose, e le fir-
miamo tutti come Panico per dimostrare che la cultura univer-
sitaria è ignorante e che crede davvero nelle barzellette”.

- Alejandro Jodorowsky

111
Alain Schifres, Entretiens avec Arrabal, op. cit., p. 40.
112
Ibid.

53
Panico. Indefinibile movimento artistico che definisco con note-
voli differenze almeno una volta all’anno. Muta e trasmuta
giorno e notte, ieri e domani, fisicamente e spiritualmente.

- Fernando Arrabal 113

Il… PANICO, se esistesse, avrebbe certamente un’importanza


più forte della mia miserabile vita. […]
Il… PANICO, se non esistesse, mi ridurrebbe alla mia più sem-
plice forma d’espressione, cioè un uomo simile agli altri […].
IO SONO IL … PANICO.
Il PANICO è molto vasto. Dentro di esso non vi è alcuna logica
ma solo mitologia, menzogna, vento Tutte cose di cui nessuno
può impadronirsi.

- Roland Topor 114

Contraddizione e libertà portano necessariamente alla confusione


e proprio la confusione è una delle basi teoriche del Movimento Panico,
come ama affermare Arrabal: “Panique est l’explosion de la raison”115,
la liberazione della creatività pura, indipendente dalle regole pregresse
suggerite dalle accademie o dall’educazione.
A questo punto possiamo affermare che l’anti-movimento Movi-
mento Panico è caratterizzato dal suo essere profondamente umano,
imperfetto, confuso, compulsivo, impulsivo. Si oppone ai dogmi estetici
classici poiché ritenuti inadatti ad esprimere in pienezza la natura
umana e punta a svelare la complessità della vita andando oltre le re-
gole mummificanti, castranti della società.
Per arrivare a queste conclusioni sulla poetica del Movimento Pa-

113
In Antonio Bertoli, Panico!, Giunti Citylights, Firenze, 2010, p. 116.
114
Ivi, p. 117.
115
Intervista a Ferdinando Arrabal e Alejandro Jodorowsky. Origine sconosciuta
http://www.youtube.com/watch?v=LMQ1QRx7H-c&feature=results_video&playnext=1&list=PL67A70
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54
nico, gli artisti partono da un bagaglio culturale vario che ha la sua
eredità sia in movimenti artistici recenti, come il Dada ed il Surreali-
smo 116 e radici più antiche. Soprattutto analizzando il lavoro di Jodo-
rowsky si deve tenere presente la notevole influenza della cultura co-
mica popolare derivata realismo grottesco caratteristico della festa di
epoca medioevale.

4.1. Contesto storico


Negli Anni ’60, periodo in cui la teoria Panica (se di teoria si può
parlare) viene elaborata ci troviamo in un momento di rottura degli
equilibri sociali causata dal passaggio tra una società pre-bellica molto
disomogenea (grandi differenze fra classi sociali) ad una società post-
bellica massificata, in cui i mezzi di comunicazioni (soprattutto cinema
e TV) propongono nuovi miti di stampo consumistico.
Come spiega Guy Debord, filosofo e regista anch’egli parte del
movimento Surrealista:

La prima fase del dominio dell’economia sulla vita sociale aveva


determinato nella definizione di ogni realizzazione umana
un’evidente degradazione dell’essere in avere. La fase presente
dell’occupazione totale della vita sociale da parte dei risultati
accumulati dell’economia conduce a uno slittamento generaliz-
zato dell’avere nell’apparire, da cui ogni “avere” effettivo deve
trarre il suo prestigio immediato e la sua funzione ultima.117

Secondo Debord, la predominanza dell’avere sull’essere condizio-


na i rapporti interpersonali poiché blocca lo sviluppo delle facoltà indi-
viduale che non sono più, come sosteneva Marx, assoggettate al pote-

116
Arrabal subisce anche gli influssi del postismo, un movimento radicato in Spagna, ma non lo trat-
teremo in questa sede in quanto legato esclusivamente a questo autore e non agli altri due.
117
Guy Debord, La società dello spettacolo, Dalai Editore, Milano, 2001.

55
re dell’oggetto, ma all’ostentazione di esso all’interno della società, alla
spettacolarizzazione della proprietà e del possesso 118.
L’ideologia del consumo, derivante dal nuovo modello industriale e
sociale fordista/keynesiano propone nuovi miti sociali (del possesso,
del successo…) e mette in difficoltà la cultura accademica, ripercuoten-
dosi anche sull’arte. A causa del processo di industrializzazione della
produzione artistica infatti la figura dell’artista perde il suo prestigio e
la sua autenticità. Il progetto di emancipazione e di civilizzazione tra-
mite la cultura e l’educazione entra in crisi e gli artisti in questo perio-
do si ripropongono di combattere attivamente l’appiattimento culturale
e creativo in cui l’uomo moderno si sta perdendo.
La riflessione sull’Arte diventa così una più ampia riflessione sulla
vita e si prefigge come obiettivo la riconquista della funzione magica
del lavoro artistico dai meccanismi industriali e tecnocratici della socie-
tà moderna e irrompe sul versante politico opponendosi all’appiatti-
mento della classe borghese, limitata nella sua espressione dai dogmi
della società.
Come è facile intuire, la reazione degli artisti ai soprusi del mondo
fordista/borghese si manifesta con una forte carica polemica e con ci-
fre stilistiche accomunate in ogni caso da una grande violenza comuni-
cativa. Nell’arte, questa reazione investe il corpo, che diventa terreno
di scontro delle rinate necessità artistiche 119; anche nel teatro c’è una
visibile invasione di tematiche legate all'attualità ed alla politica e
sempre più spesso l’attività teatrale esce dai luoghi deputati per inva-
dere i luoghi della società addormentata e scuoterli dall’interno, tra-
sformandosi in performance o in happening. Come afferma anche Jo-

118 Secondo Debord “lo spettacolo è il capitale ad un tale grado di accumulazione da divenire imma-
gine”, in Guy Debord, La società dello spettacolo, op. cit.
119
Cfr par. 2.1.2 e 2.2.

56
dorowsky si risponde al bisogno di far uscire l’arte dai musei eciarla-
taini il teatro dal teatro 120.
In tutti i campi artistici si cerca la trasgressione delle regole, il su-
peramento dei limiti la totale libertà di esprimere (e di portare il pub-
blico a poter esprimere) la propria interiorità, il vero sé.
In questo clima di creatività (che si trasformerà verso la fine del
decennio in una vera e propria rivoluzione giovanile totale), ricerca e
rivolta, nasce il Movimento Panico.

4.2. Il Movimento Panico: radici storiche


Il Movimento Panico nasce a partire dalle frequentazioni dei suoi
tre fondatori alle riunioni del gruppo Surrealista parigino a cui faceva
capo André Breton. Nonostante questa frequentazione però, il Movi-
mento Panico non subisce solo gli influssi di surrealisti, ma anche quelli
di Dada.
Prima di approfondire quali basi teoriche e quali impulsi creativi
questi due predecessori diedero al (non-)gruppo Panico, è bene preci-
sare che Dada non fu il predecessore del Surrealismo - come spesso si
pensa - e che le due esperienze si svilupparono autonomamente, sen-
za che le idee della prima andassero a confluire nella seconda. Né Da-
da né Surrealismo furono semplici correnti artistiche, ma proposero
due sistemi creativi e due filosofie di vita originali e assolutamente dif-
ferenti, ma ugualmente forti, strutturati e coscienti.
Dada fu una rivolta, priva di caratteri etici o estetici, una guerra al
tutto intrisa di Nichilismo. Su un altro versante il Surrealismo, carico
invece di una forte connotazione etica, sociale e politica, deciso a otte-
nere con l’aiuto dell’arte una nuova forma dell’esistente e una corre-

120
A. Jodorowsky, «Tirar fuori il teatro dal teatro», in Antonio Bertoli, Panico!, op. cit., p.191/203.

57
zione dei vizi della società.
Dada puntava alla creazione della tabula rasa: un abbattimento
completo della storia, una rottura totale con la tradizione, una bomba
atomica sul passato per eliminare tutte le limitatezze e le costrizioni di
leggi pregresse stratificate di stampo “borghese” e reazionario. Il Sur-
realismo allo stesso modo rompe con il passato, con la storia prece-
dente, ma la sua opposizione al conformismo tradizionale restava co-
munque legata a interessi per le teorie antiche, specialmente sul ver-
sante filosofico (i Surrealisti apprezzavano molto sia pensatori del pas-
sato come Parmenide o Eraclito, che teorici più recenti come ad esem-
pio Hegel, Marx e Freud). Inoltre i Surrealisti si pongono apertamente
schierati sul piano politico (militarono per lo più nelle forze della sini-
stra non stalinista), mentre i Dada, nella loro tabula rasa, comprende-
vano ovviamente anche tutti gli schieramenti politici.
Già queste puntualizzazioni sono sufficienti per farci capire l’im-
possibilità di una “parentela” tra queste due correnti. Analizzando però
le tappe che portarono alla loro creazione si evince non solo che le due
si svilupparono in parallelo, ma anche che ogni affermazione che le
mette in rapporto di subordinazione temporale è totalmente errata.
Sebbene infatti il Dadaismo sia stato sempre correttamente identi-
ficato nel tempo e nello spazio 121, il Surrealismo viene traslato tempo-
ralmente troppo avanti e la data della sua nascita viene fatta coincide-
re spesso con la stesura del I manifesto, nel 1924. In realtà le prime
tappe della genesi surrealista sono da far risalire almeno a 10 anni
prima, tra il 1914 e il 1916, quando Breton legge quelli che veloce-
mente diventeranno i capisaldi della sua poetica: Rimbaud, Jarry, Apol-
linaire e Freud.

121
Cfr. però nota n° 122.

58
A testimonianza dell’assenza di parentela tra queste due correnti
c’è anche il carteggio tra Breton e Tzara del 1918 dal quale si evince
che non c’era alcuna reciproca influenza tra i due per il semplice fatto
che ignoravano entrambi quasi totalmente le attività artistiche e lette-
rarie reciproche 122.
Questa precisazione di natura storiografica è importante al fine di
sottolineare l’assenza di un confluire temporale e logico del Dadaismo
nel Surrealismo e quindi nel Movimento Panico. Quest’ultimo quindi
non è figlio del secondo e nipote del primo, ma è una creatura auto-
noma che trae la sua linfa vitale da entrambi i movimenti senza però
esserne dipendente, in un’anarchia panica che inglobò tutto quello che
le passava a tiro, soprattutto se si trattava di un’idea rivoluzionaria,
come in questo caso.

4.2.1. Il Dada

Il movimento Dada nasce sul finire della prima guerra mondiale e


si sviluppa nel quadriennio 1916-1920 123.
Esso consiste in una ribellione e reazione alla guerra, una bellige-
ranza anti-belligerante che aggiunge la distruzione di paesi e popola-
zioni portata dalla guerra a quella perpetrata a danno dell’arte. Di fron-
te al terrore e all’assurdità di un conflitto mondiale, il gruppo Dada al-
za la voce e urla per distruggere tutto: le regole, le abitudini, le ideo-
logie, la logica e persino la verità.

122
Cfr. «Correspondance inédite Breton-Tzara-Breton», in Michel Sanoillet, Dada à Paris, Cnrs, Paris
2005, p. 439-465.
123
ad essere precisi più però è necessario ricordare che in riferimento ai Dada di Zurigo il movimento
diventa in modo completo quello che noi conosciamo solo nel 1918, quando Tzara si unisce al
gruppo di Zurigo e pubblica il Manifeste Dada 1918. Prima di allora Dada è un movimento generi-
camente innovatore, poco differente dalle altre avanguardie storiche. Se invece ci riferiamo a tutte
le produzioni artistiche ascrivibili anche posteriormente a Dada, allora bisogna notare che i primi
exploit dello spirito si hanno già nel 1912, in occasione della pubblicazione a Parigi di «Maintenant,
prototipo di pubblicazione Dadaista». Cfr. Arturo Schwarz, dAdA e Surrealismo riscoperti, Skira,
Milano, 2009.

59
Con Dada infatti si può dire che niente è più vero:

Ça devient un mode d'existence contestataire qui propose de


“suspendre le jugement moral” et de faire de cette maxime “sa
morale” afin de ne plus placer l’essence de l’oeuvre d’un point
de vue éthique et esthétique, mais uniquement créatif (ou
destructif).124

Secondo la definizione degli stessi Dada, Dada è un anti-arte ed il


suo primo scopo era fare l’esatto contrario delle regole e delle conven-
zioni artistiche, sia storiche che contemporanee.
Dada abbandona il manierismo, l’estetica e si libera della necessi-
tà dell’Arte di comunicare un messaggio, offende, distrugge l’Arte con
un’altra Arte, più disordinata, caotica, aggressiva 125.

La filosofia Dada è la cosa più malata, più paralizzante e più


distruttiva che sia stata pensata dal cervello umano.

- American Art News 126

Un sistematico lavoro di distruzione e demoralizzazione… che


alla fine non è diventato che un atto sacrilego. 127

Anarchico e irrazionale, Dada è uno schiaffo alla ragione ed è sta-


to in grado di svelare la stranezza e la varietà delle reazioni umane di
fronte a provocazioni che esulano dalla ripetitività rassicurante e fami-
liare dell’arte come era esistita fino a quel momento128.

124
Frederic Aranzueque-Arrieta, Panique, L’Harmattan, Paris 2008.
125
Si pensi al collage, tecnica tipicamente dadaista, fatta di sovrapposizioni quasi casuali di brandelli
di materiali differenti prima massacrati con tagli e strappi e poi ricostituiti in un nuovo ordine sor-
prendente e inaspettato.
126
Fred S. Kleiner; Christin J. Mamiya, Gardner's Art Through the Ages, Wadsworth Publishing, 2004.
127
Tristan Tzara, Manifesti del dadaismo e Lampisterie, Einaudi, Torino, 1990.
128
È a questo che si riferisce Laurie Anderson nella prefazione a RoseLee Goldberg, Performance, l’art
en action, op. cit. (Cfr. Nota n° 19).

60
Come anche il Surrealismo, Dada cerca di proporre una nuova fi-
losofia della vita, in contestazione non solo con la società, ma anche
con la stessa arte, nella misura in cui essa è sperimentazione formale
e specializzata dell’artista, un prodotto fine a sé stesso creato senza
una vera relazione né con la realtà né con l’arte in senso più generale.
Di conseguenza quindi, i due movimenti, sebbene ovviamente con
enormi differenze, non cercavano solo un rinnovamenti artistico, ma
puntavano ad una globale una rivoluzione culturale. È per questo che
dadaisti e surrealisti non erano movimenti esclusivamente pittorici, ma
artistici in senso allargato: poeti, letterati, drammaturghi e anche arti-
sti visivi partecipavano attivamente all’applicazione della poetica co-
mune.
Diversamente nei modi, ma come il Surrealismo, Dada puntava a
colmare lo iato tra arte e vita. È stato per fare questo Marcel Duchamp
ideò il Readymade, ossia la trasformazione dell’arte retinica (termine
con cui egli si riferiva alla pittura “imitativa”, realista o meno che fos-
se) in arte mentale, attraverso l’elevazione di oggetti della quotidianità
a opera d’arte solo grazie alla consacrazione dell’artista.
Per comprendere come questa operazione non fosse una banale
provocazione (come quella di emulatori successivi), ma il frutto di un
vero, originale pensiero creativo, Duchamp sottostava rigidamente a
quattro condizioni necessarie e molto precise di sua ideazione: lo
spaesamento decontestualizzante, la creazione di un nuovo nome per
l’oggetto eletto, la pianificazione dell’incontro con l’oggetto e la limita-
zione della scelta degli oggetti nell’arco dell’anno. Non la semplice ap-
posizione della firma su un oggetto trovato sotto mano quindi, ma un
vero rituale creativo.
In comune con Dada, il Movimento Panico condivide e mutua l’as-
sedio al dominio della realtà e il rifiuto dei divieti e delle norme che la

61
regolano. Entrambi cercano di abbattere le forme di autorità, gli inse-
gnamenti accademici, ma non in modo passivo, non come semplice ri-
fiuto, bensì attraverso un’attività interventistica e radicale sui meccani-
smi del potere pregresso, minando così la base stessa a fondamento
della cultura e delle istituzioni.
A differenza dei Dada però, che si limitavano a polemizzare (sep-
pur concretizzando la polemica in azioni artistiche) contro il modo di
vivere contemporaneo, il Movimento Panico cerca di andare oltre, di
superare il limite dell’assurdità della vita che era stato reso palese dal
susseguirsi delle due guerre mondiali129. Il Panico non si limita quindi a
sottolinerare il confine della vita demonizzandolo, aggredendolo come
fecero i Dada, ma cerca di andare attivamente fino alla radice dell’as-
surdo al fine di dividere gli estremi che si raggiungono oltre l’orizzonte
del visibile e che generano quel circolo vizioso che è la realtà.

Dada naît de l’homme, de sa merde, de son sang, de son


sperme, de sa pisse, mais aussi de son esprit. Il donne à la
création une dimension qui peut paraitre brute certes, mais qui
est “essentiellement” humaine. Nous retrouverons tout cela
près d’un demi-siècle plus tard lors de la renaissance du dieu
Pan.130

Lo stesso Artaud, testimone del “sabotaggio Dada”, della sua vo-


lontà di far esplodere i dogmi della società, di questo disordine interio-
re ed esteriore volto a trasformare il marciume culturale e morale in
concime per la ri-creazione dell’uomo e della società, descriverà Dada
come:

129
Il Movimento Panico porta sulle spalle l’esperienza di entrambe le guerre mondiali, al contrario del
Dada che si estingue prima della seconda guerra mondiale.
130
Frederic Aranzueque-Arrieta, Panique, op. cit., p. 22.

62
Un désastre social si complet, un tel désordre organique, ce
débordement de vices, cette sorte d'exorcisme total qui presse
l’âme et la pousse à but, indiquent la présence d’un état qui est
d’autre part une force extreme et où celle-ci va a accomplir
quelque chose d’essentiel.131

4.2.2. Il Surrealismo

Oltre a Dada, da cui il Movimento Panico trae la sua carica distrut-


tiva, irriverente, caotica e riformatrice, anche il Surrealismo partecipa
alla formazione del pensiero panico.
Nato nel ’19, dopo un processo di studio personale di André Bre-
ton che inizia già dal ’16, il Surrealismo ha l’obiettivo di svelare l'intel-
ligibile, l’indicibile, la parte della realtà che è al di là della possibilità
conoscitiva dell’uomo, in altre parole la Verità, ciò che è oltre all’oriz-
zonte del visibile, qualcosa di nascosto, intimo, spirituale, individuale e
universale allo stesso tempo.

Tutto porta a credere che esista un certo punto dello spirito


dove la vita e la morte, il reale e l’immaginario, il passato ed il
futuro, il comunicabile e l’incomunicabile, l’alto ed il basso, ces-
sino di essere percepiti contraddittoriamente. Ora è in vano che
si cercherà per l’attività surrealista un movente diverso dalla
speranza di determinare questo punto.

- André Breton 132

Nato, secondo le parole di Artaud, “d’un désespoir et d’un dé-


goût”, il Surrealismo “est un révolte morale, la crise organique de
l’homme, les ruades de l'être en nous contre toute coercition”133, una

131
Antonin Artaud, Le théâtre et son double, Gallimard, Paris, pag. 39.
132
André Breton, Manifesti del surrealismo, Einaudi, Torino, 2003.
133
Antonin Artaud, Messages révolutionnaires, Gallimard, Folio, Paris, 1971, p. 9.

63
reazione quindi alle catene che ingabbiano l’essere e lo costringono a
rimanere sola apparenza.
Scandagliare quindi il corpo e l’anima per smettere di sottostare
alle regole innaturali della società per obbedire alle esigenze del pro-
prio Essere, ecco l’obiettivo del Surrealismo; un’esperienza intima che
diventa possibile attraverso un’Arte, non più considerata come bello
estetico, ma come strumento metafisico per sondare ciò che c’è al di
là134 , nel mondo onirico, invisibile e proibito del nostro spirito.
Allontanandosi dall’assoluta e costante negazione dei Dada, il
Simbolismo afferma non che la realtà sia falsa, ma che essa sia solo
contingente. Non è possibile per l’uomo vedere la realtà, ma una real-
tà, la propria, a patto ovviamente di cercarla. E per farlo il Surrealismo
esige che l’immaginazione prenda pieno possesso della creatività, che
sia scevra da regole e che trovi la sua realizzazione in un qualunque
tipo di linguaggio artistico.
La ricerca di esperienze inedite135 era per i surrealisti talmente ba-
silare che venne istituito addirittura un Ufficio di Ricerche Surrealiste
(diretto per il primo periodo da Antonin Artaud), i cui lavori venivano
pubblicati anche su riviste scientifiche e che presentavano un modo di
fare arte e di concepire l’estetica totalmente differenti dal solito, poi-
ché creati basandosi sui criteri di “scienza esatta”, un esercizio poi
molto praticato da Arrabal.
Il Surrealismo si proponeva come una rivoluzione, come la possi-

134
Il Surrealismo nasce contemporaneamente alla psicanalisi e ovviamente trae grande ispirazione
dalle teorie dei sogni di Freud. Sogni, metafore, simboli, pulsioni, desideri occulti. Tutto rifiorisce
quando ci si libera dei lacci della ragione e si inizia ad esplorare il mondo onirico. Cfr. Prologo in
Antonio Bertoli, Panico!, op. cit.
135
Ivi, p. 26: “Improvvisamente si scopre invece che basta allentare i lacci sempre strettamente an-
nodati della ragione e del controllo razionale per originare esperienze inedite, assolutamente po-
tenti sul piano individuale; che la mano e la bocca, la mente e il cuore, il corpo, se lasciati liberi,
originano ed esplorano mondi inauditi e inimmaginabili, dove finalmente l’essere umano si ritrova
senza vincoli e può dedicarsi alla costruzione della sua vera essenza ed opera, la sua vita”.

64
bilità di ottenere un mondo migliore con l’aiuto dell’immaginazione li-
bera.
Questa ricerca intima, unita alla costante riflessione filosofica che
ne consegue coinvolgendo sia il modus operandi che il campo di ricerca
personale dell’artista, affascinarono molto i fondatori del gruppo Panico
che ne frequentarono le riunioni dal ’60 al ’64:

C’est justement cette recherche immatérielle et cet plongeon à


pic dans la création qui vont fasciner les futurs paniques qui
veulent avant tout dynamiter les frontières de la raison pour
toucher du doigt la poésie et la liberté , le deux faces de la Vé-
rité telles que les conçoit Arrabal.136

Purtroppo però il tramonto del Surrealismo (che a dire il vero non


aveva mai del tutto convinto Roland Topor, che ne denigrava sin dal-
l’inizio il carattere dogmatico) inizia con l’alba del potere di Stalin:
molti surrealisti, come Picasso o Aragon, si iscrissero al partito comu-
nista, ma nonostante la valenza politica e sociale dell’arte fosse fon-
damentale per stessa natura del movimento, il mutamento degli oriz-
zonti russi creò all’interno del movimento fratture e disequilibri insana-
bili poiché lo stalinismo gettava sulle ideologie politiche di sinistra
un’ombra inaccettabile per la maggior parte dei membri del Surreali-
smo.
La deriva politica del gruppo portò Breton ad arroccarsi in posizio-
ni dogmatiche e rigide che diedero al Surrealismo un’aria reazionaria e
piccolo-borghese, e lo misero sul versante opposto rispetto alla poetica
iniziale del movimento che si proponeva come un oppugnatore delle
regole. Questo diede motivo a molti, e in particolare ai membri del
Movimento Panico, di allontanarsi dal Surrealismo per intraprendere

136
Aranzueque-Arrieta, Panique, op. cit. p. 25.

65
una nuova ricerca, meno sclerosata su posizione dogmatiche.
Arrabal affermava di non sopportare “le côté vaticaniste et bol-
chevique du groupe surréaliste” 137, a Topor non erano mai piaciuti per-
ché li riteneva assoggettati al totalitarismo di Breton e Jodorowsky in-
vece accettava come artistiche anche manifestazione invise a Breton,
come la pornografia o la musica rock.
Indubbiamente però, il limite surrealista, anche prima dello scon-
tro tra “ortodossi e riformatori”, consisteva già da anni nel disequilibrio
tra componente filosofica e componente d’azione: mentre i primi sur-
realisti restarono troppo legati ad una matrice intellettuale, i secondi, e
di conseguenza anche il Movimento Panico, cercarono di andare al con-
creto e invertirono la marcia della sperimentazione surrealista; non più
la ricerca dell’assoluto, dell’arte, a partire dalla realtà contingente, dal-
la vita, bensì il contrario: utilizzare l’arte per intervenire sulla realtà. La
differenza tra i due gruppi sta proprio nella volontà di azione dei se-
condi e questo è lampante se si analizza il modus operandi del Movi-
mento Panico, in questo senso più vicino al Dada che al Surrealismo.
La differenza è evidente se si cita un episodio biografico di Jodo-
rowsky, la conversazione telefonica tra lui e Breton avvenuta in tempi
non sospetti, l’8 ottobre 1953 alle 2:40 del mattino, poco dopo dello
sbarco di Jodorowsky nella capitale francese:

- Oui? […]
- È André Breton?
- Sì. E lei chi è?…
- Sono Alejandro Jodorowsky e vengo dal Cile per salvare il
Surrealismo…
- Ah, bravo. Vuole incontrarmi?
- Subito!

137
Philippe Krebs, Entretien panique avec Fernando Arrabal, 22 agosto 2003, www.hermaphrodite.fr

66
- Adesso no, è molto tardi, sono già a letto. Venga a casa mia
domani a mezzogiorno.
- No, non domani, adesso!
- Glie lo ripeto: non è l’ora delle visite. Venga domani e mi farà
piacere chiacchierare con lei.
- Un vero surrealista non si lascia guidare dall’orologio. Adesso!
- Domani!
- Allora mai! 138

Breton rifiuterà di incontrare nel cuore della notte il giovane ed


esaltato Alejandro il quale se la prenderà così a male che prima di ave-
re una seconda occasione di conoscerlo lascerà passare sette anni, du-
rante i quali maturerà una poetica che lo porterà in seguito ad allonta-
narsi dal Surrealismo. Il punto di rottura fu causato principalmente
dall’ottuso dogmatismo di Breton, il quale si era lentamente trasforma-
to in una sorta di vate surrealista, con un dispotico diritto si veto sulle
decisioni di cosa fosse o non fosse surrealista. Come ricordano Arrabal
e Jodorowsky:

Aucune cohésion formelle interne; refus de normes et de réfé-


rences, qu’elles soient rigides ou flexibles, en ce qui concerne
l’art, le comportement, la morale, la politique les genres, la
culture; refus et absence d’organes officiels du mouvement
(revues ou autres); absence de sorties publiques collectives.

- Fernando Arrabal139

[We broke off with surrealism] parce que Breton avait crée une
respectabilité surréaliste que on voulait dépasser. Lui voulait
pas de la science fiction, il voulait le fantastique, le poétique. Il
n’aimait pas le rock, […] Il n’aimait pas ce que fait le monde.

138
A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 151.
139
Fernando Arrabal, La Pierre de la folie, Maelstörm, Bruxellex, 2004, p. 121.

67
Le surréalisme a devenu un petit bourgeois incroyable.

- Alejandro Jodorowsky 140

4.3. La triade panica: uguali e diversi

Topor è un Vaché o un Jarry di fine Novecento, Arrabal un Cer-


vantes novecentesco surrealisticizzato. Jodorowsky è invece
Blake, Huidobro e Shakespeare che vanno insieme a festeggia-
re.
Dylan Thomas, poco lontano, brinda alla salute…141

Come già detto per comprendere appieno la poetica di Jodo-


rowsky, per capire come egli raggiungerà la creazione dell’effimero e
poi del teatro della guarigione, bisogna specificare le caratteristiche
proprie che differenziano il suo metodo da quello degli altri tre
“jazzmen”.

4.3.1. Jodorowsky, Topor, Arrabal: uno, nessuno, cen-


tomila

Come ha dichiarato nel 2007 lo stesso Jodorowsky:

Io sono stato fin dall’inizio la festa panica, Arrabal la confusione


e il veleno panico che penetra nella cultura codificata e la di-
strugge, Topor la diserzione demolitrice.142

Nonostante i tre fondatori dell’anti-movimento abbiano in comune


la creazione di un intero sistema poetico e artistico, esso altri non è
che il frutto dell’incontro temporaneo di due percorsi molto diversi, che

140
Intervista a Ferdinando Arrabal e Alejandro Jodorowsky. Origine sconosciuta
http://www.youtube.com/watch?v=LMQ1QRx7H-c&feature=results_video&playnext=1&list=PL67A70
A9B564956D6
141
Antonio Bertoli, Panico! op. cit., p. 94.
142
Alejandro Jodorowsky in ivi, p. 134.

68
per un breve periodo (circa un decennio) hanno un comune cammino
all’interno del quale in ogni caso, anche se va delineandosi un “movi-
mento”, non vi è e non vi sarà mai un corpus concettuale unico, piutto-
sto una serie di azioni individuali che si realizzano su uno sfondo co-
mune. Il punto di incrocio fra i tre consiste quindi esclusivamente nella
pratica dell’esercizio panico o “pan-estetico” in cui arte e vita si mesco-
lavano in un’unica soluzione totalizzante, pan-ica, appunto.
Sebbene il punto di unione fra i tre artisti sia mutevole, sfuggente
e variegato, ben più chiaro è il loro tratto dissonante, che ci appare
ancor più chiaro se non si trascende dalla provenienza sociale e cultu-
rale dei tre artisti.
La profonda differenza infatti tra Jodorowsky da un lato e Arrabal
e Topor dall’altro non è frutto dei loro studi teorici o della tipologia del-
l’arte che padroneggiavano (teatro, scrittura e disegno), ma deriva più
anticamente dal loro background d’origine.
Arrabal e Topor sono dei “normali” europei avanguardisti che por-
tano sulle spalle l’eredità di secoli di evoluzione della cultura e quella
dell’esperienza di due guerre mondiali, sono figli di una comune storia
continentale, la loro sensibilità si nutre della medesima eco di secoli di
storia pregressa, di filosofia e di scienza 143.
Il loro forte legame con l'avanguardia europea viene stravolto dal-
l’arrivo di Jodorowsky, che proveniente da un continente nuovo, con
una storia e delle esperienze decisamente diverse sia sul versante so-
cio-politico che culturale:

[…] [Jodorowsky] porta con sé altri valori, un’idea di poesia e


di arte che sulla carta è identica a quella dell’avanguardia eu-
ropea, ma nella pratica se ne differenzia completamente per

143
Non è un caso infatti che ad esempio Arrabal provi tutt’ora a stilare manifesti del Movimento Pani-
co lasciandosi sedurre dagli strumenti tipici delle stesse avanguardie da cui aveva preso le mosse.

69
l’assoluta necessità ed impellenza di realizzazione.
La poesia, l’arte, sono davvero nella vita di Jodorowsky, e la
vita è davvero un’opera d’arte, anzi la più grande la più vera,
unica opera d’arte. Ciò che fa incontrare Jodorowsky, Arrabal e
Topor è esattamente ciò che li farà separare poco più tardi e ne
costituisce a tutt’oggi la distanza enorme.144

In pratica Jodorowsky riesce a mettere in pratica quello che gli al-


tri avevano solo teorizzato, affascinato anche, per sua stessa ammis-
sione anche dal movimento futurista, in particolare da due frasi che
segnarono la sua giovinezza: “La poesia è un atto” e “L’arte non deve
essere un balsamo, deve essere alcool” 145.
Arrabal e Topor, figli del romanticismo ottocentesco e delle succes-
sive avanguardie di inizio Novecento, vivono ancora della figura dell’in-
tellettuale slegato dalla massa del popolo, del “genio-artista chiuso
nella sua torre d’avorio” 146. Per loro il panico è solo un esercizio esteti-
co, una prova di abilità intellettuale e creativa per cercare di inglobare
nelle loro teorie estetiche tutte le branche del sapere, o per portare lo
humour fino al parossismo, un’estrema realizzazione di Dada e surrea-
lismo in fin dei conti, ma non ancora un movimento creativo autono-
mo. Il Panico di Jodorowsky invece ingloba tutto quanto Dada e i sur-
realisti avevano tralasciato (il rock, la pornografia, il fumetto, il cine-
ma…), è un movimento autentico, artistico in quanto anti-artistico. Es-
so è slegato da tutte le categorie estetiche della tradizione filosofica
europea e arriva a, non parte da l’arte. Usa la vita, vi partecipa, la tra-
sforma, infine la trascende, per arrivare ad un nuovo status vitale che
è l’arte stessa compenetrata dell’esistenza, come “un boomerang (che)

144
Antonio Bertoli, Panico! op. cit., p. 95.
145
Filippo Tommaso Marinetti, «Manifesto futurista», in Giordano Bruno Guerri, Filippo Tommaso Ma-
rinetti, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2009.
146
Antonio Bertoli, Panico! op. cit., p. 97.

70
rimbalza costantemente dall’arte alla vita e viceversa, dall’una all’altra,
senza sosta né pentimenti né rimpianti”147.
La ricerca della nuova coscienza panica, intesa come modo di pen-
sare e quindi di vivere artisticamente/panicamente, parte dall’abban-
dono delle convenzioni dualistiche, approda al crollo delle strutture
storiche e mentali e dalle rovine della ragione spicca il volo verso una
nuova dimensione autentica dell’esistenza.
Sintetizzando quindi, possiamo affermare con Bertoli che:

[…] Arrabal, Jodorowsky e Topor si sono incrociati ed uniti pro-


prio all’insegna di un esercizio pan-estetico, ma il punto di par-
tenza era in ogni caso diverso. Arrabal e Topor sono di fatto
l’estrema propaggine dell’avanguardia storica, l’arte che entra
nella vita e se ne appropria; Jodorowsky è invece il processo
opposto: qui è la vita che entra nell’arte e va ad appropriarse-
ne. 148

Questo percorso che Jodorowsky continuerà a percorrere da solo,


lo porterà oltre all’atto poetico che già aveva sperimentato in gioventù
e oltre alla pratica di Arrabal e Topor; avrà la sua concretizzazione più
esemplare nell’azione “a termine” che troverà nel teatro (non nel sen-
so di edificio o tradizione teatrale, ma nel senso di arte della rappre-
sentazione simbolica delle idee) il mezzo per approdare al riavvicina-
mento di arte e vita.

L’apparizione di Pan significa il sorgere di una nuova forma


dell’umano.149

E come un episodio cruciale dell’esistenza, come un’epifania, l’atto

147
Antonio Bertoli, Panico! op. cit., p. 104 - 105.
148
Ivi, p. 127.
149
Alejandro Jodorowsky, «Metodo Panico (1963-66)», in ivi, p. 142.

71
teatrale panico di Jodorowsky avviene hic et nunc, è definito (più che
limitato) nel tempo e nello spazio e non è replicabile, è effimero; si
contrappone quindi alla drammaturgia di Arrabal, che in quanto dram-
maturgia è votata alla replicabilità della rappresentazione.

4.3.2. Caratteristiche peculiari del Panico di Alejandro


Jodorowsky

Il metodo panico ha come prima caratteristica quella di opporsi


alla logica causalistica di Aristotele, il quale insegnava a contrapporre
ad ogni problema una soluzione. Seguendo inoltre i principi del pensie-
ro di Jung, Jodorowsky propone invece dell’unicità univoca e analitica,
la sincronicità delle soluzioni; il che lo mette in una posizione diame-
tralmente opposta a quella aristotelico-causalista ampiamente diffusa
fino al XX secolo.
La scelta di questa teoria non è casuale: all’epoca tutto il mondo
scientifico occidentale è vittima di attacchi al pensiero causalista e tut-
te le leggi coercitive del positivismo si trovano a fare i conti con la ri-
velazione violenta dell’irrazionalità 150. L’inconscio è più importante del-
la ragione e la dittatura della logica e della causalità si schianta per
sempre contro la rivoluzione delle forze interiori.
Gli artisti panici fanno proprio questo stravolgimento delle norme,
ma solo Jodorowsky lo usa come assioma della sua teoria/pratica pani-
ca al fine di creare, questo principalmente perché la vera radicata dif-
ferenza che lo separa da Topor e Arrabal è l’esagerata necessità dei la-
vorare sulla realtà e nel presente perché è nella realtà che agisce
l’uomo panico.
Egli trova nell’ubiquità, nella simultaneità e nella contraddizione
che si rivela l’unità diacronica dei contrari, l’unione di tutto nel tutto, la

150
Cfr. Carl Gustav Jung, prefazione a I Ching Il libro dei mutamenti, Adelphi, Milano, 1995.

72
completezza panica del mistero della vita e quindi la possibilità di solu-
zionare i problemi.
È all’interno di questa nuova realtà possibile e con l’obiettivo di
raggiungere la realizzazione che agisce l’uomo panico: non le scelte
estetiche e artistiche stanno alla base delle azioni paniche di Jodo-
rowsky, ma tutte le scelte possibili. Per Jodorowsky, agire panicamente
significa ristabilire tutte le istanze al medesimo momenti, conciliare la
brutalità e la leggerezza, la danza e la zoppia in un tutto che è in gra-
do di ridarci la nostra vera essenza, la nostra totalità sopita.
La liberazione dalle limitazioni della ragione non è ovviamente un
ritorno allo stato di natura, ma un'elevazione ad un grado superiore di
coscienza, in cui godere di tutte le possibilità della vita. Questa nuova
capacità però non può essere raggiunta se non con sofferenza: liberar-
si dalle abitudini irrazionali è possibile solo all’interno di uno status di
minaccia, di terrore causato proprio dalla stessa simultaneità dei con-
trari che dopo averci fatto cadere ci eleva.

73
5. Il teatro di Alejandro Jodorowsky
All’interno del mondo “panico”, Alejandro Jodorowsky si pone sia
come teorico che come uomo di teatro completo. Regista, attore e
drammaturgo, è nel clima creativo, caotico, contraddittorio e libero de-
nominato Movimento Panico che elabora i suoi atti teatrali, le sue
drammaturgie più rappresentative e le teorie poetiche che sono con-
fluite successivamente in opere teatrali contemporanee, come ad
esempio La scuola dei ventriloqui, o l’Opera Panica, di impianto più
tradizionale, ma comunque fedeli allo spirito “panico” dei primi lavori.
Nell’epoca delle frequentazioni con Arrabal, Topor e i Surrealisti,
Jodorowsky elabora la pratica dell’effimero panico, una tipologia sceni-
ca originale - affine all’happening, ma lontano da esso per dichiarazio-
ne stessa dell’artista - che gli permetterà di gettare le basi del teatro
della guarigione e delle teorie psicomagica e psicosciamanica.
L’epoca della rappresentazione degli effimeri panici termina con il
Melodramma Autosacramentale del 1965, ultimo e più completo effi-
mero della carriera di Jodorowsky, che è la summa e il momento più
alto di tutta la teoria panica propria dell’autore, a seguito della quale
l’impianto teatrale di Jodorowsky subirà un cambio di rotta tale da al-
lontanarlo da questo tipo di azioni teatrali per dedicarsi, come abbiamo
detto, a drammi di impianto più tradizionale e alle letture psicomagi-
che.

5.1. Il “Panico” nell’opera di Jodorowsky

Il panico di Alejandro Jodorowsky ha l’obiettivo di essere un me-


todo empirico di apertura della coscienza maturato in molti anni di stu-
dio e pratica, attraverso esperienze non convenzionali e all’epoca poco
esplorate, come per esempio la meditazione buddista zen e la pratica

74
sciamanica della guarigione ritualizzata ad opera di santoni tipici delle
tradizioni popolari ancestrali latinoamericane. A seguito di queste mol-
teplici esperienze, l’applicazione di teorie e pratiche non convenzionali
all’interno dell’attività artistica si pone per Jodorowsky come “una co-
stante ricerca dell’uno con tutti e dell’uno in tutti”, in pieno spirito pa-
nico, come afferma Bertoli151 commentando il seguente passaggio:

Per me l’opera artistica è creare coscienza, presa di coscienza,


passare dal livello inconscio a un maggior grado di consapevo-
lezza fino ad arrivare a un’enorme coscienza.

- Alejandro Jodorowsky 152

Il Panico di Jodorowsky quindi, oltre ad essere caratterizzato da


una componente quasi esoterica, è anche e principalmente anti-esteti-
co e anti-artistico poiché è strettamente legato alla vita dell’uomo; ri-
cordiamo infatti che il Movimento Panico, per definizione, attinge dalla
vita per unirsi all’arte e non usa l’arte per ritrovare l’autenticità della
vita. Nel fluire delle esperienze, nella trasformazione delle sensazioni,
nel gioco dei rapporti umani risiede Pan ed è da lì che si parte alla ri-
cerca dell’autenticità, dell’Arte.
È in un certo senso un tentativo di estensione totale della coscien-
za e dell’esperienza, talmente estremo che per essere raggiunto com-
pie il passo iniziale grazie a uno shock: tramite la rottura con la razio-
nalità si apre nell’esperienza quotidiana il cammino panico, attraverso
il quale si possono esplorare altri livelli di realtà, altri sistemi creativi,
altri registri d’espressione e giungere lentamente a toccare la vita au-
tentica e la libertà.
Lo scopo del teatro (e anche del cinema, seppur con metodi diver-

151
Alejandro Jodorowsky in Antonio Bertoli, Panico! op. cit., p. 56.
152
Ibid.

75
si) di Jodorowsky è quello di accompagnare l’aspirante uomo panico in
questo percorso di abbandono della quotidianità, per poi lasciarlo avvi-
cinarsi autonomamente all’illuminazione. Come afferma infatti l’autore
a proposito del cinema, ma riferendosi in realtà a tutte le sue produ-
zioni:

Credo che i film siano una via verso l’illuminazione, e la prima


cosa che un film deve cambiare sono gli attori che vi recitano,
e poi il pubblico. Se un ragazzo prende un acido e sperimenta
un cambiamento, il minimo che una pellicola può fare è di dar-
gli più di quanto quell’acido può offrirgli. Ma non deve dargli le
visioni che l’acido produce, quanto piuttosto la pillola, lo stesso
mezzo, e poi lasciare che ogni individuo contempli le proprie
visioni e se le assuma a fondo. 153

Di conseguenza, per provocare i grandi effetti che sono necessari


per uscire dalla razionalità 154 la teatralità non deve essere una sempli-
ce messinscena, ma un’opera panica totale, enorme e strabordante
almeno quanto enorme e strabordante è la possibilità creativa umana.
Come vedremo più avanti, Jodorowsky chiaramente non vuole
fermarsi entro i limiti tradizionali e prestabiliti dell’arte teatrale come
è fino a quel momento concepita, ma vuole far esplodere la teatralità
portandola fuori, facendo “uscire il teatro dal teatro”, come si intuisce
da questo frammento:

Basta col raccontare storie e col dedicarsi a dei giochetti, a dei


piccoli esercizi di recitazione, a dei piccoli dialoghi, a della pic-
cola musica, a delle piccole immagini… (1970)155

153
Ivi, p. 57.
154
ricordando però che “Non proclamiamo l’irrazionalità, ma la de-razionalizzazione, il dissolvimento
di una ragione nell’esistenza”. Alejandro Jodorowsky, «Metodo Panico (1963-66)», in ivi, p. 144.
155
Ivi, p. 57.

76
Jodorowsky vuole esagerare, strappare gli abiti borghesi della mi-
sura e della compostezza e quindi eliminare il falso ego, la personalità
deformata della razionalità della vita quotidiana, per vivere l’esistenza
appieno con arte, creatività e autenticità.

5.2. Effimero panico: genesi


L’obiettivo di creare nel pubblico lo shock necessario a superare le
limitazioni razionali (ma anche per dare all’attore la possibilità di vivere
lo stesso shock recitando) ed entrare nella dimensione caotica di pan,
viene perseguita da Jodorowsky attraverso la definizione dell’effimero
panico, una creazione teatrale affinata in anni di esperienza poetica,
che consiste in un ibrido tra improvvisazione attorale, rito pagano, per-
formance, concerto rock e orgia artistica. Questo mix simultaneo di di-
verse pratiche è lo strumento di cui l’autore si avvale per realizzare sul
piano concreto tutte le ipotesi e le teorie che il Surrealismo si limitava
a far vivere in un mondo astratto e inconcludente. L’effimero panico è
quindi la “trovata” necessaria per portare a compimento il congiungi-
mento tra arte e vita.
Chiaramente quindi, la creazione di un sistema d’azione panica al-
tri non è che la prova della grande differenza che Jodorowsky ha ri-
spetto ad André Breton: l’intero sistema panico, sia per Jodorowsky
che Arrabal e Topor, non è una teoria metodologica artistica o una ri-
flessione poetica, ma un vero e proprio modello d’azione rituale il cui
scopo è giungere all’autentico e all’affermazione totale, tramite l’azione
e l’eliminazione delle possibilità. Come dice infatti Jodorowsky:

Face à la réalité et à ses problèmes, l’homme panique ne se


pose pas la question de savoir s’il faut chercher une solution,
mais propose le plus grand nombre de solutions possible.
L’homme panique tente de tout affirmer. C’est pourquoi le pa-

77
nique a besoin d’une logique qui procède par élimination des
possibilités. Les multiples principes de cette logique peuvent
être contradictoires, cependant, le Panique les affirme en
bloc.156

L’uomo panico non è interessato a trovare una soluzione, la solu-


zione ai propri problemi quotidiani, bensì ogni soluzione. La “sistema-
tizzazione di eliminazione delle possibilità”, se così si può dire, caratte-
ristica del pensiero panico, è strettamente legata all'accettazione di
ogni soluzione a ogni problema: solo eliminando le possibili soluzioni,
ovvero accettandole tutte come valide, soprattutto se in contraddizione
tra loro, si potrà agire in modo panico. L’eliminazione della possibilità
quindi non è intesa come una “scrematura delle soluzioni” al fine di ar-
rivare all’unica possibile, ma, al contrario, è la validazione di tutte le
possibilità in blocco e la trasformazione di tutte esse in certezze 157.
Una volta accettato di abbracciare la totalità delle possibilità/solu-
zioni, l’uomo panico non otterrà quindi una “definizione”, ma una strut-
tura, un sistema da applicare alla vita per raggiungere la realtà:

[…] l’homme panique obtiendra, de cette confusion de principes


logiques, une résultante qui peut ben ne pas être une définition
mais qui est une structure.158

L’obiettivo principale del metodo panico di Jodorowsky è quindi


l’invalidamento della logica di causa-effetto, uno status a cui si arriva
avvalorando tutto, soprattutto le contraddizioni. Lavorando sulla base
di questo assioma panico è possibile raggiungere ed eliminare il confi-

156
Alejandro Jodorowsky in Fernando Arrabal, Panique, Manifeste pour le troisième millénaire, op.
cit., p. 66.
157
Cfr. par. 5.3.1.
158
Alejandro Jodorowsky in Fernando Arrabal, Panique, Manifeste pour le troisième millénaire, op.
cit., p. 66.

78
ne tra arte e vita, recuperando l’autenticità dell’esistenza. Trasgredire
le regole della logica, della ragione e della morale sarà quindi un pas-
saggio necessario per l’uomo panico, ma dovrà essere effettuato all’in-
terno di un rituale che altri non è se non la festa. Jodorowsky quindi
crea il metodo panico ascrivendo la libertà d’azione entro i limiti della
gestualità rituale, creando così il concetto di effimero panico. Panico
perché inserito nella logica di eliminazione delle possibilità e effimero
perché realizzato nei limiti temporali della sola festa panica (più avanti
vedremo anche che questo risponde a criteri di non riproducibilità del-
l’atto effimero).
Sintetizzando, si può dire che il metodo di Jodorowsky è fondato
su tre capisaldi: la teatralità, ovvero l’azione espressiva esemplare di
corpo e voce; l’arte, la componente magica che permette di superare i
limiti della logica e della ragione; la festa, una particolare situazione
limitata nel tempo e nello spazio entro cui è possibile scardinare i tabù
grazie al sacrificio della ragione159.

5.3. Teatro panico

5.3.1. Contingenza, immanenza

Nella poetica teatrale di Jodorowsky, radicata nella pratica mimica


e innestata con le maggiori teorie teatrali avanguardistiche e classiche
(Dada, Surrealismo, Futurismo, Artaud e teatro classico greco), centra-
le è il concetto di autenticità e il raggiungimento di essa con l’aiuto del
teatro. Lontano dalla ripetitività del teatro naturalista, verista o realista
e contrario dunque a dare al teatro l’onere di diventare un fasullo tran-
che de vie, obiettivo caro a una larga fetta della drammaturgia e della

159
“Everywhere a sacrifice involves a feast and a feast cannot celebrated without a sacrifice.” in
Sigmund Freud, Totem and taboo, International Library of Psychology, Rutledge, London, 1999, p.
134.

79
messinscena precedenti, Jodorowsky recupera lo spirito greco del far
teatro e ripropone nei suoi lavori il concetto di καθαρσις, di liberazione
dallo status di sofferenza, tramite l’esperienza (in questo caso “pani-
ca”) del teatro. La sua concezione teatrale infatti continua a seguire i
principi di simultaneità, contraddizione e immaginazione propri del Mo-
vimento Panico, ricalcando quindi il fondamentale principio della ricer-
ca di tutte le soluzioni possibili al fine di trovare un miglioramento fe-
condo per il proprio status, ma arricchisce il suo pensiero approfon-
dendo il concetto di “utilità” della soluzione.
Jodorowsky afferma che nel cercare una sola soluzione al proble-
ma, la soluzione che nel momento contingente può rivelarsi (non per
forza erroneamente) quella più utile, non facciamo altro che innescare
una catena di nuovi problemi collegati tra loro dallo stesso rapporto di
causa-effetto che stiamo cercando di scardinare. Ragionando infatti
secondo il principio aristotelico, nell’analisi di un problema si valutano
solo le caratteristiche contingenti di esso, momentanee, quindi la solu-
zione più logica sarà contingente perché ricalcherà i rapporti causali
che hanno generato il problema e di conseguenza sarà necessariamen-
te la più limitata proprio perché bloccata entro il limiti della realtà
temporanea. Una volta che il problema subirà le modifiche a cui è sog-
getto per il solo fatto di esistere all’interno della realtà quotidiana e
mutevole (o come direbbe Jodorowsky, di essere soggetto alla danza
della realtà), la soluzione trovata, prima così perfetta e logica, non
avrà più alcuna connessione con la realtà e ci troveremo di nuovo alla
disperata ricerca di un’alternativa plausibile alla soluzione “scaduta”.
È in questo modo che si crea la continuità dei problemi che ci af-
fligge, senza mai lasciarci la speranza di trovare l’uscita.

[…] questa soluzione si può e si deve abbandonare perché es-

80
sendo cambiata la situazione, smette di essere utile. L’impor-
tante è la soluzione utile, non quella che la ragione trova
“vera”.160

Nel cercare le soluzioni quindi non ci si può legare al contingente,


ma bisogna appellarsi a logiche di livello superiore, che abbraccino tut-
ti gli aspetti della realtà, indipendentemente che essi siano inclusi o
meno nel raggio d’azione del problema.
Traslando questa logica sul piano della realizzazione teatrale, per
essere autentico, Jodorowsky sostiene che il teatro può e deve funzio-
nare solo quando tratta di grandi archetipi universali e immanenti: vi-
ta, morte, sesso, paura, dolore, recuperando quindi necessariamente
la sua componente rituale e catartica, esattamente come avviene nella
drammaturgia classica.
Affrontando quindi grandi temi universali ci si può avvicinare mol-
to a quella pan-soluzione di cui parlano gli artisti panici.

L’antica tragedia greca presentava in ogni opera due compo-


nenti essenziali, delle quali si è fatta portavoce la psicanalisi:
Eros e Thanatos, sesso e morte. Il teatro era un atto rituale
dove, ad ogni rappresentazione, si riviveva il mito dell’incesto e
la disperata lotta degli eroi incapaci di liberarsi del destino, in
una vera terapia collettiva, un’arte sublime e necessaria, utile
perché autentica.161

Conseguentemente, ricevendo soluzioni utili ed assistendo ad una


“terapia collettiva”, si ottiene una soluzione panica e si ha allo stesso
tempo l’occasione di liberarsi a poco a poco dei meccanismi causalistici
che ci conducono all’errore; si ha l’occasione per fare un viaggio inte-

160
Alejandro Jodorowsky, Tutto il teatro, Giunti Citylights, Firenze, 2008, p. 20.
161
Ivi, p. 20-21.

81
riore possibile solo grazie alla componente magica del teatro, alla sua
irrazionale profondità.

Il mito ha una funzione purificatrice: rappresentando contenuti


dell’inconscio che ci sono proibiti dalla ragione, esorcizza i fan-
tasmi, il lato oscuro dell’essere. Il teatro autentico parla dei no-
stri grandi interrogativi (Da dove veniamo? Chi siamo? Dove
andiamo?) e li guida verso la catarsi positiva, il che permette al
pubblico di vivere completamente l’angoscia primordiale ed es-
senziale (essere mortali) per superarla ed intraprendere la ri-
cerca di una nuova soluzione.162

Di conseguenza è necessario proporre un teatro attuale che non


sia la rappresentazione di eventi particolari e quindi contingenti, bensì
la rinnovata presentazione di grandi tematiche universali e immanenti.

Il teatro autentico ri-presenta ciò che è utile per mitigare il di-


lemma originario dell’essere umano, con la sua primordiale in-
certezza, debolezza, insicurezza, paura, che una volta portate a
certezza si trasformano in certezza, forza, sicurezza e compas-
sione.163

Di conseguenza l’arte è lo strumento per approfondire la nostra


interiorità, liberare la forza creatrice di ognuno e vivere una vita com-
pleta, cosciente e onirica, priva della paura di non trovare spiegazione
alla nostra esistenza. E per vivere una vita autentica, ossia per far ri-
sorgere il nostro vero io, è necessario iniziare con un omicidio:

Il teatro è una giocosa cerimonia funebre. In esso andiamo ad


esibire e poi ad assassinare il nostri falsi ego. 164

162
Ivi, p. 21.
163
Ivi, p. 21.
164
Ivi, p. 20.

82
5.3.2. Poetica
Finora il teatro non ha trovato i suoi veri mezzi di espressione
[…] ha copiato, in modo rudimentale, la filosofia, la politica e la
teologia. Questa confusione proviene dal fatto che il teatro è
considerato una ”arte” e viene pertanto attribuita ad esso la
“durata” delle altre arti. Quelli che fanno teatro si sono sempre
irritati per il carattere effimero del proprio lavoro e per l’impos-
sibilità di una rappresentazione scenica perfetta. […] Riunendo
gli elementi di una messinscena si ottiene sempre un risultato
diverso per ogni rappresentazione. Gli sforzi per creare un ce-
rimoniale che possa essere ripetuto con precisione meccanica
sono stati accompagnati da un sotto-testo di “errori”. Gli inci-
denti che sempre appaiono come ombre, e contro i quali la
gente di teatro combatte perché li considera “imperfezioni”, un
malinteso che fa loro ignorare l’essenza reale del linguaggio
teatrale, il quale è
LA PROVOCAZIONE DEGLI ACCIDENTI
Il teatro dovrebbe basarsi su quelli che fino ad ora sono stati
chiamati a “errori”: l’accidente effimero. Accettando il suo ca-
rattere effimero, il teatro scoprirà che è proprio questo caratte-
re ciò che lo distingue da qualsiasi altra arte. Tramite questa
accettazione, arriverà alla sua essenza. Le altre arti lasciano
pagine scritte, registrazioni […] Il teatro, al contrario, non deve
durare più di un giorno nella vita di un uomo. Con la sua nasci-
ta avviene anche la sua morte. L’unica traccia che deve lasciare
è quella che imprime negli esseri umani e si manifesterà in essi
tramite un cambiamento psicologico. Se l’obiettivo delle altre
arti è creare delle opere, l’obiettivo de teatro è cambiare diret-
tamente gli uomini. Se il teatro non è una scienza della vita,
non è un’arte.165

165
Alejandro Jodorowsky, The goal of theatre, edited by Lawrence Ferlinghetti, City Lights Journal
n°3, City Lights Book, 1966, p. 72, 73. Traduzione del redattore.

83
Secondo queste parole contenute in uno scritto intitolato “Lo sco-
po del teatro”, Jodorowsky puntualizza tre concetti che sono fonda-
mentali per comprendere appieno la base poetica che muove il suo
teatro: la crisi della parola di matrice artaudiana (cfr. par. 2.1.1),
l’estemporaneità e non riproducibilità dell’azione teatrale e, infine, il
legame tra rappresentazione teatrale e vita, sotteso a entrambi.
Il teatro di Jodorowsky, ispirato - tra le altre - dalle teorie artau-
diane, è concepito come luogo della differenza: poiché quello che av-
viene all’interno dell’azione teatrale, volenti o nolenti, è di fatto una
rappresentazione della realtà, l’autore tenta di esasperare le sue azioni
sceniche e drammaturgiche fino a raggiungere il limite massimo della
finzione e quindi anche il limite massimo della realtà. In pratica Jodo-
rowsky, distruggendo artaudianamente il linguaggio, il lavoro tecnico
dell’attore, la prossemica, la prassi scenica e perfino l’edificio teatrale
in sé medesimo, costringe la magia della vita ad entrare nell’hic et
nunc teatrale contaminando la falsità della rappresentazione con l’au-
tenticità della vita. Nella logica jodorowskyana, poiché il progressivo
formalismo tecnico ha reso sterile la comunicazione teatrale, l’estre-
mizzazione shoccante di questa formalizzazione e al contempo la sua
distruzione premeditata riusciranno a riaccendere la comunicazione. O
detto con le parole di Bertoli:

Il teatro non è la realtà, la rappresenta soltanto, però nel suo


tempo e nel suo spazio il massimo della finzione raggiunge il
massimo di realtà: non per omologazione ma per differenza. La
magia della vita riesce a scardinare la formalizzazione del lin-
guaggio proprio tramite l’apoteosi di questa formalizzazione:
proprio perché il teatro non è la vita ma quanto di più vicino ad
essa esista sul piano linguistico, è solo nel teatro che la vita ri-

84
esce a darsi per davvero. Il teatro è il luogo della differenza. 166

Per capire in particolare la forza della formalizzazione linguistica,


Jodorowsky parte dalla sua ricerca nel campo del mimo e della panto-
mima: è tramite l’abbandono del linguaggio verbale che riesce a co-
gliere il linguaggio originale del gesto e dell’emozione e a recuperare il
soffio vitale che il teatro aveva a suo avviso perduto.
Sentendo l’urgenza della mancanza nel teatro di un linguaggio
proprio, Jodorowsky ammette che “La langue écrite ne peut être pani-
que; pour l’être, elle doit s’intégrer dans un ensemble corporel, vocal,
spectaculaire; être un élément de la fête panique”167 e quindi la scrit-
tura viene riconsiderata esclusivamente per quello che è, un semplice
atto, e nelle rappresentazioni di teatro panico viene utilizzata in modo
meccanico, fine a se stesso, un canovaccio che non è parte fondamen-
tale dello spettacolo, ma solo una base di partenza, un promemoria
per gli agenti168 che può essere modificato e abbandonato in qualsiasi
momento. Jodorowsky è alla ricerca di un’essenzialità drammaturgica
che “oltrepassi la logica aristotelica e penetri direttamente nella vi-
ta”169. Per questo al fine di realizzare un’analisi completa del teatro
prettamente panico sono gli effimeri a dovere essere al centro del-
l'analisi teatrologica piuttosto che le opere drammaturgiche; in partico-
lare l’Effimero 65 o Melodramma Autosacramentale realizzato a Parigi
nel 1965.
Conseguente all’allontanamento dalla parola scritta è anche l’al-
lontanamento dalla logica aristotelica; Jodorowsky afferma a riguardo

166
Antonio Bertoli, Panico! op. cit., p. 91.
167
Fernando Arrabal, Panique, Manifeste pour le troisième millénaire, op. cit., p 86.
168
nel trattare l’effimero non esistono le figure teatrali della prassi scenica tradizionale, quindi per
semplificazione chiameremo agenti tutte le persone che agiscono all’interno di esso.
169
Antonio Bertoli, Panico!, op. cit., p. 92.

85
che la sua manovra di liberazione dalla struttura razionale non è volta
ad affermare l’irrazionalità (“Nous ne somme pas pour l’absurde. Nous
ne somme pas des fanatiques de l'absurde, nous ne somme pas des
fanatiques du mystère, nous ne somme pas des soldates de la confu-
sion” afferma infatti anche Arrabal170), ma piuttosto la de-razionalizza-
zione: il dissolvimento di una ragione esistente contrapposta quindi al-
la logica aristotelica, responsabile della creazione di una forma del
pensare affatto “concettuale”, centro delle mire distruttive del Panico.
Secondo Jodorowsky continuare ad affermare i fatti e a catalogarli se-
condo le regole della logica significa perdere di vista ciò che veramente
accade intorno a noi, ossia non riuscire a cogliere il costante muta-
mento dell’essere in relazione alle reazioni emozionali che l’interiorità
scatena di fronte agli avvenimenti della vita. Catalogare, analizzare e
razionalizzare la vita significa depauperarne la potenza onirica e quindi
intraprendere un cammino opposto a quello dell’uomo panico, un
cammino che difficilmente ci condurrà alla trasformazione della vita in
autenticità.
Come scrive Jodorowsky:

Se c’è dunque l’inutilità del definire l’esistenza, possiamo dire


che essa è ciò che siamo e in quanto “cosa costituita da noi” la
cercheremo non con un’attitudine raziocinante di conoscerla,
ma con un’attitudine fisica di viverla. 171

Legata alla necessità dell’arte teatrale di essere effimera e di non


lasciare traccia della propria realizzazione (come Jodorowsky dichiara
nel passaggio riportato in apertura del nostro paragrafo), l’assenza

170
Intervista a Ferdinando Arrabal e Alejandro Jodorowsky. Origine sconosciuta
http://www.youtube.com/watch?v=LMQ1QRx7H-c&feature=results_video&playnext=1&list=PL67A70
A9B564956D6
171
Alejandro Jodorowsky, «Metodo Panico (1963-66)», in Antonio Bertoli, Panico! op. cit., p.146.

86
della scrittura drammaturgica fissa e preconcetta e l’abbandono del
linguaggio tradizionale fanno parte della necessità di estemporaneità
del teatro panico, passaggio fondamentale nella comprensione del me-
todo. Jodorowsky sottolinea enormemente l’aspetto di finitezza tempo-
rale dell’atto panico e ne fa uno dei capisaldi della propria realizzazione
artistica in nome del legame che deve instaurarsi tra la vita e l’arte. La
promozione dell’accidente a componente fondamentale del teatro è
giustificata dalla convinzione di Jodorowsky che tutto ciò che è imper-
fetto è umano ed è quindi grazie alla messa in scena dell’umanità, al-
l’accettazione dell’impulso intimo e alla liberazione dalle briglie della
razionalità che si può arrivare ad un livello di coscienza superiore, mi-
gliorando quindi il proprio status. Per spiegare la necessità dell’effime-
ro, Jodorowsky si oppone al concetto di perpetrazione della memoria
che da secoli l’uomo razionale cerca di raggiungere con le proprie azio-
ni. Secondo quanto scritto in Metodo Panico172 , il desiderio dell’uomo di
rimanere, per opere o per fama, impresso nella memoria collettiva ab
aeterno è il frutto dell’affermazione di un io individualista e materiali-
sta che è causa stessa dell’immobilità dell’essere: cercando di essere
ricordato attraverso simboli precostituiti e riconosciuti universalmente
dai posteri, l’uomo si priva della possibilità di allargare i limiti della co-
scienza e avanzare verso il futuro. La memoria (concetto affatto inviso
ad Arrabal) è un’àncora indissolubile gettata sul passato, sull’immobili-
tà e sull’impossibilità di crescere ed è per questo che l’uomo panico
deve liberarsene per vivere la vita in autenticità e non nell’imitazione
di linguaggi e simboli che continuano a perpetrare gli errori accumulati
nei secoli passati (concetto che condivide anche nel metodo del teatro
consiglio, basato sulla psicogenealogia, la tecnica che permette di libe-

172
Alejandro Jodorowsky, «Panico e pollo arrosto (1964)», in ivi, p.173 e seguenti.

87
rarsi dei propri blocchi mentali analizzandone la genesi e la ripetitività
perpetrata all’interno del nucleo familiare). Per vivere e agire in modo
panico bisogna eliminare quindi la memoria, agire nei limiti dell’hic et
nunc e rielaborare in ogni momento un linguaggio originale e persona-
le che sia l’affermazione della propria sensibilità e non la reiterazione
di emozioni ereditate dal passato.
Al fine di procedere lungo il percorso di scoperta dell’autenticità
della vita quindi, gli strumenti che il metodo panico ci chiede di usare
per scoprire la nostra natura panica devono essere coerenti con essa,
ovvero tutte le azioni paniche devono essere un tentativo di estremiz-
zazione della realtà e quindi degli episodi dell’esistenza personale che
come tali sono definiti nello spazio temporale; di conseguenza, così
come tutte le esperienze umane sono finite e irripetibili, anche l’azione
panica teatrale deve essere tale: un breve, intenso e unico atto com-
piuto che, come un’evento che ci ha cambiato la vita una volta per tut-
te e che ci ha condotto ad un nuovo stato mentale, scuota e risvegli la
parte sopita del nostro animo; l’effimero infatti è un’epifania che ci in-
troduce in un nuovo periodo dell’esistenza, più consapevole e più au-
tentico.
Come spiega Bertoli:

[…] effimero - antecedente dell’happening e della performance


- volto ad annullare la separazione fra teatro e vita e fra arte e
vita, che annulla lo spazio-tempo della rappresentazione per
annullare anche quello quotidiano, proprio della ragione duali-
stica. L’effimero si dà per una volta sola, definitiva ed unica,
così come accade per ogni situazione della vita concreta di ogni
individuo.173

173
Ivi, p. 99.

88
Quello che ne risulta da queste basi è che per poter realizzare nel-
l’individuo un cambiamento radicale della percezione della realtà e di
se stesso tale da permettergli di raggiungere il nuovo status di “uomo
panico” è possibile solo dentro e per mezzo di un atto extra-ordinario
come solo l’effimero teatrale è.

5.4. Dall’atto poetico all’effimero panico

La teorizzazione dell’effimero panico come forma teatrale definita


viene embrionalmente elaborata già dagli anni giovanili di Jodorowsky,
nel periodo della sua collaborazione con il poeta Enrique Lihn. Ispirati
dalla frase di Huidobro “Perché cantate la rosa, o poeti! Fatela fiorire
nella poesia”174 e da quella di Marinetti “La poesia è azione” i due gio-
vani artisti capiscono che la poesia non può restare imprigionata sulla
carta, ma deve essere un’azione reale rivolta al pubblico; solo in que-
sto modo è possibile rendere comprensibile a tutti la potenza intima e
onirica del verso poetico.
Gli atti si susseguono per diversi anni e si manifestano in modo
multiforme: dalla creazione di una nuova toponomastica cittadina, alla
lettura pubblica, fino a forme più tipicamente teatrali come la danza.
Indipendentemente però dalla struttura che questi atti assumono, il
tratto comune è quello di muoversi all’interno di non-regole come la
totale libertà d’espressione personale e la necessità di prevaricazione
delle regole sociali, la commistione di pratiche artistiche diverse e
l’apertura all’improvvisazione e alla provocazione, il tutto condito da
una buona dose di ironia e spirito goliardico.
Grazie alla pratica dell’azione poetica, alle “feste dell’atelier”175 e
alle esperienze artistiche e teoriche successive, Jodorowsky impara ad

174
Huidobro in A. Jodorowsky, Psicomagia, Einaudi, Torino 1997, p. 32.
175
Cfr. par. 3.1, p. 31.

89
utilizzare il valore simbolico delle azioni teatrali e aumenta il contenuto
psicologico/emozionale delle sue performance, dando maggior atten-
zione agli effetti che le rappresentazioni potevano avere sul pubblico;
gli atti poetici vanno così via via delineandosi come performance, come
veri e propri effimeri panici.
La maggior parte degli effimeri veri e propri viene realizzata in
Messico a partire dal 1959, a seguito della decisione di Jodorowsky di
non far rientro in Francia dopo la conclusione delle tournée americane
di Marceau a cui aveva preso parte 176
. In Messico, paese magico per
Jodorowsky, egli pone le basi per fondare una nuova compagnia tea-
trale, con l’obiettivo di mettere in scena le proprie idee registiche spe-
rimentali. A questo scopo fonda nel 1958 il Teatro de Vanguardia e con
esso realizza molte produzioni teatrali, ma non è con una compagnia
che sperimenterà gli effimeri, bensì con persone comuni, in locali qual-
siasi, solitamente prestati da conoscenti.
L’effimero era come una grande festa aperta a tutti in cui la libertà
espressiva personale era la vera protagonista. La discrezione con cui
venivano organizzati e realizzati i “rituali” era garantita dalla totale as-
senza di pubblicità e di recensioni sulla stampa locale e la mancanza di
legami con la burocrazia statale riusciva mantenere la feroce censura
messicana alla larga dagli effimeri, altrimenti di certo bloccati e con-
trastati dalle autorità (gli eventi erano completamente gratuiti e la
forma “privata” in cui si svolgevano non richiedeva che venissero ri-
chieste autorizzazioni; la gratuità inoltre faceva sì che la loro realizza-
zione sfuggisse alle briglie dello stato).
Prima della creazione del Gruppo Panico nel 1960, Jodorowsky
realizzò almeno 27 effimeri e la loro notorietà in America Latina fu tale

176
Cfr. par. 3.1, p. 39.

90
che all’autore venne richiesto di realizzarne anche al di fuori del terri-
torio messicano. L’esperienza degli effimeri terminò nel 1965, quando
Jodorowsky, da tempo in contatto con Arrabal e con Topor a seguito
della messinscena di Fando y Lis, decise di tornare definitivamente in
Francia e lì presentò l’unico effimero europeo, ultimo della sua carriera
teatrale.
Solitamente l’effimero non si realizzava seguendo un canovaccio
prestabilito, ma Jodorowsky offriva, a chi volesse farlo, i mezzi per in-
scenare un desiderio segreto, una creazione frustrata, un feticismo
vergognoso, qualunque cosa fosse libera espressione del proprio esse-
re. Alcuni esempi:

Uno studente di architettura decise di presentare un manichino


che colpì violentemente e dal cui pube schiacciato estrasse me-
tri di salsiccia e centinaia di palle di vetro. Un altro […] man
mano che recitava formule algebriche si schiantava un uovo
dietro l’altro sulla fronte. Un altro […] si mise a recitare un
poema incestuoso dedicato a sua madre mentre si versava ad-
dosso delle bottiglie di latte. […] Un uomo vestito da vichingo
mostrò una colomba viva, con un morso le mozzò la testa...177

Gli effimeri messicani sortirono un grande effetto sul pubblico,


specialmente sui giovani, gli artisti e gli studenti universitari, tanto che
l’ultima partecipazione di Jodorowsky a un effimero svoltosi in un pic-
colo teatro di Città del Messico, non fu per sua iniziativa, ma su invito
dei suoi “seguaci”, che lo avevano ideato a mo’ di saluto e tributo al
grande “maestro”. Quello che colpì gli spettatori degli effimeri fu di cer-
to la folle e completa libertà d’espressione personale e sessuale (te-
nendosi sempre però entro i limiti di ciò che poteva essere definito

177
Alejandro Jodorowsky, Tutto il teatro, op. cit., p. 442.

91
pornografico, sempre per evitare problemi con la censura), la distru-
zione delle barriere dell’educazione borghese e del pudore, ma anche e
soprattutto la potenza catartica dell’uso ragionato della violenza.
Quello che Jodorowsky vuole esprimere con l’atto effimero è
un’evoluzione di quello che aveva già intuito con la realizzazione del-
l’atto poetico:

[…] la poesia è convulsione, come un terremoto! Denuncia le


apparenze, trapassa con la sua spada menzogna e convenzioni.
[…] L’atto creava un’altra realtà in seno alla realtà ordinaria. Ci
permetteva di scoprire un altro piano; ancora oggi sono con-
vinto che, grazie ai nuovi atti, si aprano le porte di una dimen-
sione nuova. 178

È questa intuizione che genera gli effimeri: degli atti che scuotono
le basi della percezione, che mettono in discussione la realtà e che si
manifestano come l’esplosione positiva delle energie:

[…] l’atto poetico permette di manifestare energie normalmen-


te represse o latenti in noi. L’atto non cosciente conduce al
vandalismo, alla violenza. Quando la moltitudine si infiamma,
quando le manifestazioni degenerano, quando la gente incendia
automobili o lancia pietre, anche in questi casi assistiamo a una
liberazione di energie represse. Ma tali manifestazioni non me-
ritano di essere definite atto poetico.179

[…] quando si compie un atto che differisce dalle azione ordina-


rie e codificate, è importante farlo coscientemente, misurare e
accettare a priori le conseguenze. Realizzare un atto è un pro-
cesso cosciente che mira a introdurre volontariamente una frat-
tura nell’ordine della morte perpetuato dalla società, non è la

178
Alejandro Jodorowsky, Psicomagia, op. cit., p. 38.
179
Ibid.

92
manifestazione complessiva di una ribellione cieca.180

La differenza quindi tra l’effimero e il vandalismo - come abbiamo


capito, entrambi mossi dalla repressione delle energie latenti - sta nel
fatto che il vandalo risponde ad un impulso esplosivo delle proprie voci
interiori senza comprenderne le motivazioni scatenanti, né le cause
che hanno condotto alla loro repressione e soprattutto senza mediarne
la potenza; l’effimero invece è la forma artistica della liberazione del-
l’anima: esso prevede una rielaborazione (seppur minima) delle pro-
prie “voci di dentro”, il che comporta una ricerca di simboli e oggetti da
parte dell’agente che è di per sé rielaborazione dell’impulso e sublima-
zione creativa e positiva della potenza distruttrice insita in esso. Se-
condo Jodorowsky il cambiamento personale che consegue alla dram-
matizzazione dell’inconscio e dalla sua trasformazione in effimero deri-
va dalla presa di coscienza che l’agente fa nei confronti della morte:
teatralizzando le proprie ombre infatti si uccide un parte di sé stessi e
questo omicidio/suicidio perpetrato in scena è pari al vivere l’esperien-
za della morte.
Anche il pubblico dell’effimero può vivere la stessa esperienza che
vive l’agente perpetrando il proprio omicidio rituale in scena grazie alla
capacità dirompente ed empatica del dolore. Un effimero non è ovvia-
mente mai privo di violenza e di dolore catartici. Queste due compo-
nenti colpiscono il pubblico in modo frontale, non lasciandogli via di
scampo e lo coinvolgono così totalmente da innescare in esso lo stesso
processo di recupero del contatto con la propria ombra, stimolandone
una intima esplosione catartica.
Non bisogna credere però che, con queste premesse, l’atto effime-
ro sia una collettiva manifestazione psicopatologica di isteria. Il confine

180
Ibid.

93
sta nella positività necessaria dell’effimero: l’agente è sì collegato ai
propri fantasmi e orientato verso l’apertura dei cancelli dell’anima, ma
la detonazione della violenza repressa è orientata su un percorso di
creazione, di crescita, di raggiungimento di uno stato mentale, psicolo-
gico ed emotivo più elevato. La forza dell’ombra deve muoversi verso
la luce e non trascinare verso l’abisso.

Ho portato aventi […] la pratica di un atto teatrale radicale, che


consisteva nell’interpretazione del proprio dramma, nell’esplo-
rare il proprio enigma intimo. […] [l’effimero panico] consisteva
nell’allestire uno spettacolo che poteva essere rappresentato
soltanto una volta. Bisognava introdurvi cose periture […] atti
che non avrebbero potuto mai essere ripetuti. Insomma, vole-
vo che il teatro, invece che tendere verso la stabilità, verso la
morte, tornasse alla sua semplicità: l’istantaneità, la fugacità, il
momento unico per sempre. […] concepire il teatro in questo
modo significava portarlo alle estreme conseguenze, arrivare al
parossismo di questa forma d’arte. Attraverso l’happening, ho
riscoperto l’atto teatrale e il suo potenziale terapeutico.181

Per tutelare l’agente in questa ricerca di “illuminazione”, Jodo-


rowsky era solito accettare di sostenere solo le proposte di effimeri
genuine e rifiutava di aiutare chi volesse perpetrare in scena una car-
neficina gratuita.

5.5. Caratteristiche dell’effimero panico

5.5.1. Eredità medioevale

Così come il richiamo a Pan è dichiaratamente la base del Movi-


mento Panico, sul versante della liberazione dell’essere il realismo
grottesco medioevale sta a fondamento del teatro di Jodorowsky nella

181
Ivi, op. cit., p. 47.

94
misura in cui esso è una cifra stilistica che meglio aiuta a comprendere
il suo teatro sia dal punto di vista dell’attuazione del happening/per-
formance che nel suo uso del paradosso e della risata beffarda che
svela il mistero della vita. Fortemente legato al carnevale, il realismo
grottesco è effettivamente una manifestazione di Pan, in quanto ecce-
de i limiti, rompe le regole, investe tutti gli strati della società e si ma-
nifesta nella forma della festa popolare.
In arte il grottesco è uno stile decorativo di derivazione classica 182
caratterizzato principalmente da ibridazione e anarchia. Sebbene nelle
decorazioni romane si trovasse solo in forma di ornamento architetto-
nico, il grottesco viene usato appieno, come tematica, nella pittura
fiamminga del XVI secolo, specialmente nei lavori di Hieronymus
Bosch. Nelle sue opere si trova la società reale, ma trasformata e ibri-
data in modo che non possa più essere decifrata secondo una chiave
razionale ed emozionale. Si vede il reale ma non lo si può capire: i
quadri di Bosch in cui enormi uccelli mangiano uomini, preti e prostitu-
te convivono, piante ed esseri umani mescolano le loro caratteristiche
morfologiche in un caos illogico che non riflette le gerarchie sociali a
cui si è abituati; il paradosso che si scatena nella simultaneità dei con-
trari evoca nei fruitori un misto di riso e orrore, di inquietudine
panica.183 La follia di queste trasfigurazioni ha un unico scopo, del tut-
to condiviso dal Movimento Panico: gettare un nuovo sguardo sul
mondo.
I punti più importanti del realismo grottesco (riso, tempo, corpo e
paradosso) si ritrovano simmetricamente nelle opere paniche di Jodo-

182
Le decorazioni grottesche erano utilizzate nell'antichità e dopo il ritrovamento di queste decorazio-
ne nella Domus Aurea di Nerone (1480), sotto pretesto della imitatio antiquitatis, vennero ripropo-
ste.
183
La certezza dell’ispirazione che il gruppo Panico ha tratto dalla la pittura di Bosch è comprensibile
già dal fatto che una delle più famose opere di Arrabal (La pietra della follia ) porta lo stesso nome
di una delle più famose opere di Bosch (Estrazione della pietra della follia).

95
rowsky ed è quindi necessario conoscere la potenza di questi elementi
per decifrare le opere dell’autore.

Riso

Nel realismo grottesco, e quindi anche in Jodorowsky, il riso non è


affatto una componente del divertimento. Il riso beffardo scaturito dal-
le performance paradossali dell’autore o dai travestimenti carnevale-
schi medievali è un riso a cui possiamo attribuire tre particolari carat-
teristiche: non è la reazione ad un evento comico, ma è la risposta col-
lettiva di un gruppo di persone non a proprio agio; è un riso interiore,
si ride di quello che si vede e anche dello stesso imbarazzo che si pro-
va nel vedere quello che sta di fronte a noi; è un riso mutevole, non
riferito ad un solo oggetto (come avviene nelle performance di pura
comicità), ma a tutti i soggetti coinvolti nella festa, si ride di quello che
si vede, delle proprie emozioni, di se stessi, di chi ci circonda, della so-
cietà. Si ride e si de-ride. Molto importante inoltre è la componente
nervosa: di fronte a ciò che ci mette a disagio si ride come forma di di-
fesa.
Tempo
Anche il tempo, come il riso, non è una componente monovalente.
È ciclico, diacronico, ma è anche un tempo simultaneo in cui gli eventi
si sviluppano contemporaneamente e indipendentemente l’uno dall’al-
tro. Si lega alla naturale e necessaria consequenzialità di vita e morte,
ma esse possono comparire contemporaneamente, in una visione con-
traddittoria e paradossale.
Corpo
Il corpo grottesco e la rappresentazione del corpo nella messin-
scena panica sono caricaturali, eccessivi, simbolici. Il travestimento
non nasconde la realtà, ma ne aumenta la portata eccedendo i limiti

96
fissati dalla fisiologia per aprirsi al mondo onirico. Nella festa grottesca
medievale così come nel teatro panico il corpo non è mai un corpo rea-
le: i caratteri sessuali o alcune parti del corpo sono aumentati in modo
sproporzionato e simbolico, l’umano è innestato con l’animale o con il
vegetale, il sopra e il sotto si scambiano, la deformità diventa accetta-
bile ed è fondamentale per scatenare il riso grottesco. Non è più un
corpo in cui identificarsi, ma un corpo universale in cui riconoscersi
contemporaneamente tutti nell’uno e ognuno in tutti in un paradosso
collettivo.
Paradosso
All’interno del travestimento carnevalesco, come nella performan-
ce panica, le gerarchie sono rimosse, i personaggi si rapportano tutti
sullo stesso piano e non esiste organizzazione sessuale, anagrafica o
sociale. I preti si accompagnano alle prostitute, le figlie corteggiano i
padri, le coppie non sono legate da vincoli legali o religiosi, i morti
possono vivere nuovamente e tutto si svolge nell’anarchia gioiosa della
festa. Grazie alla maschera che cela l’identità quotidiana e che elimina
la posizione sociale (maschera carnevalesca per la festa medievale,
maschera attorale per la rappresentazione panica) gli istinti e le pul-
sioni possono essere simbolicamente soddisfatti e l'illiceità è legittima-
ta dalle non-regole della festa, i valori qualitativi di positivo e negativo
sono annullati, l’impossibile diventa possibile in un clima affatto alieno
alla quotidianità.
Concludendo, possiamo dire che nelle performance del teatro pa-
nico si attua nuovamente ciò che avveniva nella festa grottesca del
carnevale medievale. In questa situazione estranea alla quotidianità è
possibile dare alle persone una possibilità di rigenerarsi, di liberarsi
dell’oppressione vissuta tutti i giorni e si crea un organismo sociale
unico in cui spettatori e attori si abbracciano in un solo corpo universa-

97
le di cui ridere e le convenzioni sociali sono rimosse.
A ben vedere esiste solo una differenza tra carnevale medievale e
festa panica: la presenza del dolore come componente della perfor-
mance. La festa medievale era una liberazione totale, un crogiolo di vi-
zi messi in atto, una festosa anarchia capace di lambire le ferite della
condizione sociale dei partecipanti, mentre la festa panica ha il preciso
scopo di guarire le ombre che le persone reprimono mettendole alla
luce, obbligando i partecipanti a prenderne atto e dando infine la pos-
sibilità di guarirsi.

5.5.2. Il teatro fuori dal teatro: invadere le strade

All’interno della logica del teatro panico, in cui l’attore cessa di


farsi portavoce della scissione tra persona e personaggio e inizia a far
vivere la propria vera essenza di uomo, la performance teatrale non si
sviluppa in un tempo e in uno spazio illusori, ma è hic et nunc ossia
non è altro che se stessa e ora:

[…] i teatri […] sono concepiti per attori e spettatori; ubbidi-


scono principalmente alla legge del gioco, che consiste nel de-
limitare uno spazio, vale a dire isolare la scena dalla realtà, […]
impongono una concezione a priori delle relazioni tra attore e
spazio […]. Eliminando lo spettatore dalla festa panica, si eli-
mina automaticamente la “poltrona” e l’”interpretazione davan-
ti ad uno sguardo immobile.184

L’ex-acteur, homme panique, ne joue pas dans une représenta-


tion et a totalement éliminé le personnage. Dans l’«éphé-
mère», cet homme panique essaie d’arriver à la personne qu’il
est en train d'être.185

184
Alejandro Jodorowsky, Psicomagia, op. cit., p. 44.
185
Fernando Arrabal, Panique, Manifeste pour le troisième millénaire, op. cit. p.89.

98
L’esperienza teatrale diventa quindi una porzione di vita in co-
stante metamorfosi che nasce, si trasforma, muore e rinasce conti-
nuamente, diventando così una metafora della vita e uno specchio del-
l’esistenza quotidiana. Libero da tutti i dettami della tecnica accademi-
ca e della tradizione artistica, il teatro panico si ribella necessariamen-
te all’opposizione attore/spettatore e per realizzare la comunione espe-
rienziale tra i due partecipanti dell’atto scenico deve necessariamente
liberarsi della struttura preconcetta dell’edificio teatrale stesso, uscen-
do all’aperto:

Pour arriver à l’euphorie panique, il faut se libérer de l'édifice


théâtrale […] (les acteur) ils obéissent à la loi primordiale du
[…] isoler la scène de la réalité, et imposent (principal facteur
anti-panique) une conception a priori des relations de l’acteur
et de l’espace. […] Les théâtres imposent les mouvement cor-
porels, ne serait-ce que le geste humain qui détermine
l’architecture.186

Non è solamente una questione di cambiamento o di sovversione


dello spazio rappresentato dall’edificio teatrale, che include sempre
una separazione tra scena e sala, ma anche un’evasione da un luogo
delimitato della memoria, dalla tradizione e dall’abitudine contro cui gli
artisti panici combattono fin dagli albori del movimento; solo uscendo
all’aria aperta la recitazione potrà sentirsi libera di essere vera vita e
l’attore panico di mettere in scena emozioni umane vere, sincere e li-
berate dalle insensate imposizioni stratificate in secoli di “normalità”.
Questa riflessione però non è ad esclusivo appannaggio del teatro
panico o di Jodorowsky. Tutte le compagnie di strada sono mosse da
questa stessa necessità:

186
Ivi, p.88.

99
(il teatro di strada) certamente non è un genere inteso in senso
tradizionale con forme e stilemi codificati […] (ma è) un feno-
meno che porta alle estreme conseguenze la crisi architettonica
del teatro, che si reinventa di volta in volta gli spazi per tornare
agli inizi, alla parata […] che si sparge oltre l’orizzonte della pa-
rola letteraria, rinnovando i gesto e dilatando le potenzialità del
corpo e della voce. […] (una necessità muove quest’arte, ossia)
La convinzione […] che il teatro di strada, più di ogni altra for-
ma scenica, assomigli alla vita, vi aderisca, ne abbia i palpiti, le
speranze e la fatica; che passi attraverso i muri delle vie e del-
le piazze che diventano circo e arena e festa, che sia lo stesso
alito di vita che anima le quotidiane vicende umane delle quali
sono stati testimoni. […] questo microcosmo che è il teatro di
strada contiene […] briciole di vita e quindi frammenti della
storia dell’Uomo.187

La necessità di uscire dal teatro non è quindi il frutto di una rifles-


sione di Jodorowsky, ma è il sintomo di un diffuso malessere, è la rea-
zione alla malattia teatrale dell’epoca moderna, è l’”insofferenza del
teatro-testo e della pratica scenica del teatro ufficiale. E se i teatri ob-
bligano con la durezza della pietra e dei loro loggioni a leggere ad alta
voce qualche Oscar classico, una delle soluzioni è di certo quella di
uscirne” 188.
L’uscita dallo spazio deputato non è ovviamente da leggersi come
lo scadere della qualità artistica: se a livello di analisi teatrologica il
linguaggio teatrale è composto da drammaturgia, tecnica recitativa e
uso dello spazio 189, l’happening è assolutamente da ascrivere all’inter-

187
Fabrizio Cruciani, Clelia Falletti (a cura di), Promemoria del teatro di strada, Edizioni TEATRO TA-
SCABILE - Bergamo / TEATRO TELAIO - Brescia, Brescia, 1989, p. 5 - 6
188
Fabrizio Cruciani, Clelia Falletti (a cura di), Promemoria del teatro di strada, op. cit., p. 12
189
Jacques Copeau, «Nota per una conferenza ad Amsterdam», 21 gennaio 1922, in Appels, Gali-
mard, Paris, 1974, p. 274

100
no delle forme di linguaggio teatrale, un linguaggio teatrale che trova
nella libertà espressiva la propria cifra stilistica e nella nuova situazio-
ne spaziale un nuovo motore per la drammaturgia.

5.5.3. Happening e performance

Il fenomeno dell’effimero panico si inscrive, nonostante la diffi-


denza di Jodorowsky verso questo tipo di nomenclatura 190, all’interno
della categoria degli happening. A seconda della teorizzazione di que-
sta “emanazione teatrale”, l’happening si fa risalire alle esperienze
newyorkesi del 1959, oppure si colloca la sua origine in Giappone, o
ancora nei mélange di musica e poesia dadaisti realizzati nei café di
Zurigo negli anni 1916-21 ecc.
Jodorowsky, riferendosi alle esperienze precedenti alla realizzazio-
ne del suo primo effimero, fornisce ben otto esperienze per lui esem-
plari, una cronologia che ha origine fin dall’Ottocento: l’Ubu Roi di Al-
fred Jarry tenutosi a Parigi nel 1896; Feet di Filippo Tommaso Marinetti
del 1909; Sky Blue di Guillame Apollinaire del 1918; l’applicazione del-
le teorie del Bauhaus a partire dal 1919; il balletto Reluche di Francis
Picabia, Erik Satie, Man Ray e Marcel Duchamp; Il teatro e il suo dop-
pio di Antonin Artaud del 1932; Untitled Event di John Cage e Merce
Cunningham del 1952 e infine una collage action di Allan Kaprow sfo-
ciata in un vero e proprio atto collettivo che inglobava artisti e pubbli-
co, realizzato in una galleria d’arte di New York nel 1959 e chiamato
per la prima volta pubblicamente happening. Jodorowsky, in ognuna di
queste esperienze, afferma di trovare una fonte di ispirazione che ha

190
da Alejandro Jodorowsky, Psicomagia, op. cit., p. 51: “Negli Stati Uniti, nell’ambito degli happe-
ning, era frequente abbandonarsi a una sorta di orge collettive, durante le quali i partecipanti an-
davano avanti ad accarezzarsi mentre fumavano marijuana. In numerose occasioni sono stato in-
vitato a feste di questo genere a New York o in altri luoghi, ma ho sempre declinato l’invito perché
mi sono reso conto in fretta che si trattava di vicolo cieco. In definitiva, tutto ciò si traduceva in
una forma di pornografia occulta. Ebbene, la pornografia non è costruttiva, ma distruttiva: sotto
un’apparenza di libertà, quello che in realtà ci propone è una nuova forma di schiavitù.”

101
concorso alla definizione dei tratti somatici dell’effimero panico e, in
effetti.
Degli happening come trattati dalla teatrologia attuale, una delle
esperienze più significative nella formazione di questo genere fu cer-
tamente Untitled Event di Cage/Cunningham realizzato in un college
americano nel 1952. Durante questa sperimentazione, il pubblico - po-
sizionato al centro dello spazio - fa un’esperienza di “sincronicità” delle
cinque arti fuse in un unico elemento in cui esse, pur partecipando ad
un evento globale, mantengono fortemente la loro individualità espres-
siva. Sulla scena di Untitled Event si vedono contemporaneamente il
musicista David Tudor suonare il pianoforte da un lato dello spazio
scenico, il pittore Robert Rauschenberg azionare una victrola 191 davanti
ad un’esposizione dei suoi stessi quadri, Cage leggere alcuni brani trat-
ti dai testi tradizionali del buddismo zen, i poeti Charles Olson e Mary
Richards recitare i loro versi e Merce Cunningham danzare occupando
la scena e fungendo da legame a tutti gli altri elementi fissi. Ogni
membro del gruppo realizzava autonomamente la propria esibizione,
ma la fusione sincronica e lo sviluppo diacronico delle cinque singole
arti rendevano possibile fare esperienza di una sesta arte totale, collet-
tiva.
In questa prima esperienza, come nelle successive realizzazioni di
happening, l’esperienza teatrale/artistica esce dai luoghi ad essa tradi-
zionalmente deputati e pian piano invade gli atelier, poi le gallerie d’ar-
te e tutti gli altri luoghi, per riversarsi infine in strada. Questo sposta-
mento aggredisce lo spettatore, il quale vede il suo spazio invaso da
un mix esplosivo di ibridazioni e convivenze artistiche e non è in grado
di affrontare questa potenza comunicativa. La nuova forma del fare

191
Fonografo incassato in un mobile di design realizzato a partire dal 1906 dalla casa discografica
Victor.

102
teatro pone quindi un problema di natura teorica del tutto nuovo, che
mette in discussione non solo l’idea di spazio teatrale, ma lo stesso
fondamento del teatro: il principio di riproducibilità:

Réaliser un happening, c’est créer une situation qui ne peut se


reproduire deux fois de suite.

- Salvador Dalì192

Al contrario di quanto tradizionalmente non avvenga, ovvero la


ri-rappresentazione di un testo e/o di una pièce particolare per molte-
plici repliche (per esempio: i 25 anni di repliche de La cantatrice calva
di Ionesco presso il Theatre de la Huchette di Parigi, o le oltre 6000
repliche messe in scena in Messico per 37 anni di fila 193 de il gioco che
tutti giochiamo di Jodorowsky o anche le repliche de La tempesta di
Strindberg per la regia di Giorgio Strehler, ancora oggi spesso in car-
tellone nella sua messinscena originale, 14 anni dopo la morte del re-
gista), l’happening va in scena una sola volta. Come una farfalla che
non vede mai l’alba per una seconda volta, l’happening esaurisce la
sua forza vitale nel momento stesso in cui si gode il primo applauso. E
anche se viene riproposto (come suole fare il Living Theatre) esso non
è mai volutamente lo stesso spettacolo una seconda volta. Questa, nel
mondo del teatro, è un’innovazione a tutti gli effetti perché, oltre ad
essere la realizzazione di un nuovo linguaggio scenico, apre una nuova
strada per presentare il problema della percezione teatrale, un percor-
so che ben presto assume connotati politici. La valenza dell’happening
come strumento della comunicazione politica deriva dal fatto che in es-
so avviene una demistificazione globale della realtà (una scelta d’azio-

192
in Le Nouvel Observateur, n° 80, Paris, 25 maggio 1966, p. 28.
193
Cfr. Alejandro Jodorowsky, Tutto il teatro, op. cit. p. 18.

103
ne supera la semplice demistificazione del linguaggio e della logica
espressiva già esplorate da Ionesco e Beckett), la critica contenuta ne-
gli happening quindi non investe una sola particolare tematica, ma è
tutta l’intera struttura sociale ad essere messa sotto esame. La diffe-
renza fondamentale tra le esperienze precedenti e il lavoro dell’happe-
ning teatrale o della performance visuale sta nel fatto che i nuovi arti-
sti non cercano di creare solo un nuovo linguaggio scenico o un nuovo
metodo di comunicazione, ma puntano a rivoluzionare lo statuto del-
l’arte stessa trasformandola in uno strumento di critica socio-culturale.
Di conseguenza quindi l’happening/performance comprende la tra-
sformazione in azione fisica di un punto di vista intimo e personale
talmente ampio e complesso che non può essere espresso con in tradi-
zionali mezzi artistici, ma necessita di un concerto, di un mélange di
mezzi e linguaggi espressivi; per questo happening e performance non
sono ad esclusivo appannaggio dell’analisi teatrale e visuale/plastica,
ma sfociano nella poesia, nella psicologia, nella politica ecc.
Un così forte accanimento sulla realtà, una critica tanto violenta
espressa con l’uso sincronico di più tecniche artistiche e libera dalle
briglie del “lecito” e del “bello” rende happening e performance mani-
festazioni in un certo senso pericolose per il pubblico, perché mettono
in crisi l’integrità del personaggio “uomo”, vero protagonista della mes-
sinscena. È proprio sulla crisi dell’uomo come falsa rappresentazione
che Jodorowsky vuole lavorare e ottenere grazie al teatro panico la
crescita spirituale dell’uomo:

[…] le panique soutient que l'objet doit être plus éphémère que
l’homme, et qu’à son tour celui-ci doit perdre l'atavisme de
“passer à l'histoire”, produit du moi individualiste angoissé.194

194
Fernando Arrabal, Panique, Manifeste pour le troisième millénaire, op. cit. p. 65.

104
Il nuovo linguaggio teatrale non si pone più quindi come oggetto
da guardare, come esposizione frontale di contenuti prestabiliti e per lo
più creati in tempi lontani, ma si mescola con gli spettatori, li ingloba,
ne accetta i condizionamenti e smuove attivamente la loro sensibilità,
aspettandosi una risposta da essi: non solo lo spettatore percepisce il
messaggio dell’attore, ma anche l’attore gestisce la sua performance a
seconda della risposta del pubblico, in un concerto di suggestioni bi-
univoche soggetto fortemente agli accidenti del caso e quindi mai re-
plicabile, ma unico in ogni messinscena.
Volendo cercare di capire cosa spinga Jodorowsky a volersi distac-
care da quegli artisti che dichiaratamente realizzavano happening, a
parte la rovina pornografica 195, possiamo sintetizzare così le differenze
fondamentali:

• Presenza di una drammaturgia;


Les éphémères paniques ne sont pas des happenings; ce sont
des spectacles dont l'action s’improvise à partir d’une structure
dramaturgique.196

• Presenza di una scenografia e di una partitura musicale;


On dispose au départ d’une sorte de scénario sur lequel on tra-
vaille comme sur une pièce, mais en permettent constamment
à notre inconscient de s’exprimer ainsi qu’aux parties de notre
âme réprimées par la société.197

• Nonostante la presenza di una struttura predefinita, non vi è nulla


di obbligatorio;
La représentation […] dépend beaucoup de la magie du
moment.198

195
Cfr. nota n°184.
196
Fernando Arrabal in Aranzueque-Arrieta, Panique, op. cit., p. 90.
197
ibid.
198
ibid.

105
• La possibilità è parte integrante della drammaturgia e l’effimero se-
gue le regole della possibilità più che quelle della drammaturgia;
Le hasard intervient quand se produit une circonstance magi-
que. Cette situation magique est elle-même le fruit de difficul-
tés survenues dans la marche de la cérémonie.199

• La violenza è necessaria per la completa realizzazione dell’effimero;


L’éphémère est un cérémonie magique, qui a quelque chose de
tribal, de sacré, de primitif expriment avec violence les pulsions
les plus souterraines qu’enferme notre âme.200

Nonostante però sia Arrabal che Jodorowsky sottolineino più volte


la differenza tra l’effimero panico e l’happening (solo però a parole),
non ci sentiamo di certificare questa presa di posizione, in quanto, ad
eccezione dell’ultimo punto, le caratteristiche elencate non si possono
di certo dire ad unico appannaggio dell’effimero; e, in ogni caso, anche
l’ultimo punto, sebbene riscontrabile negli happening con minor fre-
quenza, non è escluso dalle performance, soprattutto quelle ad opera
di artisti visuali.

5.2. Melodramma Autosacramentale - Effimero 65

Come tutti gli effimeri, Melodramma Autosacramentale è la


drammatizzazione di un carico emotivo personale che necessita di es-
sere espresso con violenza catartica. In particolare, quest’effimero
drammatizza tutte delle turbe psicologiche e i blocchi emotivi di Jodo-
rowsky e per questo può definirsi un effimero autobiografico. Poiché
inoltre viene realizzato come conclusione dell’intero periodo della ricer-
ca teatrale dell’effimero esso è la summa di tutte le esperienze prece-
denti maturate in Messico, la massima espressione della teoria panica

199
Ibid.
200
Ivi, p. 90.

106
di Jodorowsky e della nuova applicazione della καθαρις.
Poiché viene realizzato a cavallo tra il periodo messicano, pre-pa-
nico, e i periodo francese, panico, esso può essere definito come il
punto di svolta dell’esperienza artistica di Jodorowsky; è infatti l’inizio
di un periodo di allontanamento dalle scene terminato nel 1970201 e
l’inizio della nuova ricerca artistica in campo cinematografico che por-
terà l’autore a notorietà internazionale.

Ce happening a marqué la mort de ma carrière théâtrale; en


six heures de spectacle, j’ai assouvi toutes mes ambitions, tous
mes fantasmes en tant que metteur en scène. Ce fut dé-
pouillement, une mise à mort de l’homme de théâtre que
j’étais.202

5.2.1. Trascrizione

Uno spazio scenico dal quale sono stati tolti tutti i tiri, le sce-
nografie, ecc. In altre parole, una scena priva di tutte le sue
futilità: muri nudi.
Tutto è dipinto di bianco, perfino il suolo.
Un’automobile nera (in buono stato); i vetri sono rotti in modo
che vi si possano tenere dentro degli oggetti, utilizzare quello
spazio come camerino, come posto per riposare, ecc.
Due scatole bianche sulle quali sono disposti degli oggetti bian-
chi.
Un tavolo da macellaio, una piccola ascia.
Un boccione con dell’olio che bolle su un fornellino elettrico.
Prima di alzare il sipario si brucia una grande quantità di incen-
so.
Tutte le donne sono a seno nudo.
Due di loro, stese a terra, sono completamente dipinte di bian-

201
Cfr. Alejandro Jodorowsky, Tutto il teatro, op. cit. p. 468.
202
Alejandro Jodorowsky e Gilles Facet, La Tirchierie Sacre, Dervy-Livres, Paris, 1989, p. 58.

107
co.
Un’altra donna, dipinta di nero, è sul tetto dell’automobile nera.
Vicino a lei, un’altra, dipinta di rosa. Entrambe hanno i piedi
dentro una piccola giara d’argento.
Una donna con un vestito lungo argentato e i capelli pettinati a
forma di mezzaluna si appoggia su due stampelle. Il suo intero
viso mascherato, perfino il naso e la bocca. Due buchi sul vesti-
to rivelano i capezzoli, un altro rivela la sua peluria pubica. Por-
ta con se un gran paio di forbici d’argento.
Un’altra donna ancora, che usa un cappuccio da boia, grandi
stivali di cuoio, una grossa cintura. Ha una frusta in mano. I
suoi seni sono ricoperti con uno scialle nero.
Gruppo di rock’n’roll: sei ragazzi con i capelli all’altezza delle
spalle.
Nessuno deve aver preso delle droghe, tranne i musicisti.
Una rampa unisce la scena al pubblico. Gli oggetti e i costumi
utilizzati durante lo spettacolo saranno lanciati agli spettatori.
Apertura improvvisa e roboante del sipario. La calma prima
della tempesta.
Appaio io, vestito con un abito di plastica nera luccicante, pan-
taloni alti come quelli di un netturbino, stivali di caucciù, guanti
di cuoio, grosse lenti di plastica.
Sulla testa un casco da motociclista, bianco, come un grande
uovo.
Due oche bianche. Taglio la loro gola. Esplode la musica: ca-
scata di chitarre elettriche.
Gli uccelli deambulano, agonizzanti. Le piume volano. Il sangue
spruzza sulle due donne bianche. Trance. Ballo con loro. Le
colpisco con i cadaveri. Rumore di morte. Sangue.
(Avevo previsto di sgozzare gli uccelli sul tavolo da macellaio.
Ma nel mio stato di trance, portato da una forza strana, ho tira-
to loro il collo con le mani con la stessa facilità con cui avrei
stappato una bottiglia).

108
La donna rosa, sempre coi piedi nella giara, muove le anche
mentre quella nera come una schiava, comincia a coprirle il
corpo con del miele.
Distruggo le oche sul tavolo da macellaio .
La donna argentata apre e chiude violentemente le forbici. Ah,
quel rumore metallico!
Passa le forbici alle due donne bianche che cominciano a taglia-
re la plastica nera mi distruggono il vestito. Perdo gli stivali e i
guanti. Curiosamente possedute anch’esse, le due donne fini-
scono strappandomi il vestito con le sole mani.
Il mio corpo è allora rivestito con venti libbre di bistecche, cuci-
te come una camicia.
Ululando, le donne si scagliano sulla carne rossa e la rompono
in piccoli pezzi. Li danno alla donna argentata. Con un enorme
cucchiaio argentato, questa introduce con calma le bistecche
nell’olio bollente. (la vicinanza del fornelletto e dei corpi sudati
delle donne produce delle scariche elettriche).
Ogni pezzo di carne fritto è messo su un piatto bianco; le don-
ne offrono i piatti alla vista del pubblico. Io continuo vestito con
dei pantaloni di cuoio nero. Un fallo fatto della stessa materia è
appeso perpendicolarmente al suolo. Ho dei braccialetti di cuoio
ai polsi e alle caviglie: omaggio a Maciste, l’ercole del paese
italiano. Concentrazione. Karate-kata.
Raccolgo l’ascia e taglio a colpi il mio fallo di cuoio sul tavolo da
macellaio.
La donna nera, cosciente del suo scheletro, danza, muove le
proprie ossa come un burattino, mentre io rompo i piatti bian-
chi a martellate.
Le donne bianche danzano senza fermarsi. Quando si sentono
stanche, adottano la posizione di zazen.
Prendo una cornice di metallo. Lentamente alzo lo scialle nero
che copre i seni del boia. La pelle non è dipinta. Ha dei seni for-
ti e sani, un corpo potente.

109
Le passo la cornice attorno al collo, dando la schiena al pubbli-
co.
La donna mi da una frustata. Traccio una linea rossa sul suo
seno destro con un rossetto. Seconda frustata. La linea comin-
cia nel plesso solare e discende fino alla sua vagina.
(la prima frustata fu forte, ma non abbastanza: c’era bisogno
di più. Cercavo uno stato psicologico che mi era sconosciuto
fino ad allora. Doveva sanguinare per trascendermi, per rom-
pere la mia propria immagine. Il secondo colpo mi marcò istan-
taneamente. Quindi il boia perse il controllo, perché aveva so-
gnato molte volte di dare delle frustate ad un uomo. La terza
volta, completamente eccitata, mi diede una frustata con tutte
le forze. La ferita ci mise due settimane a guarire).
La donna vuole continuare a colpirmi, mi spinge con tutte le
forze. Con l’apparato attorno al collo, mi rigiro e cado per terra.
(avrei potuto rompermi le vertebre cervicali, ma nello strano
stato emozionale in cui mi trovato il tempo diventava lento e,
come se mi trovassi dentro un film a rallentatore, riuscii a rial-
zarmi senza farmi assolutamente niente). Le torno il seno per
calmarla. Calma.
La donna nera mi porta dei limoni. Ah, quel colore giallo!
Li dispongo per terra a cerchio. Mi inginocchio al centro.
Un parrucchiere professionista, quasi paralizzato dalla paura, si
avvicina per tagliarmi i capelli.
La donna coperta di miele scende dal tetto dell’automobile. Bal-
lo con lei. Ballo con lei.
Desideri sessuali, con una forza onirica. Le sue calze sembrano
riassumere tutta l’ipocrisia sociale. Glie le sfilo senza preambo-
li. Scivolano sulle sue cosce piene di miele. Api. L’impatto del
suo pube nero. La sottomissione della donna. I suoi occhi semi-
chiusi. La sua accettazione naturale della nudità. Libertà. Pu-
rezza. Lei si inginocchia vicino a me. Sul suo corpo, partendo
dal ventre, appiccico i capelli che mi tagliano.

110
Voglio dare l’impressione che i suoi peli pubici crescano come
un bosco e invadano tutto il suo corpo. Le mani del parrucchie-
re sono paralizzate per l’ansia. È il boia che deve finire di ra-
dermi la testa.
Due modelle di Catherine Hurley, aliene a tutto quello che sta
succedendo e piene di panico all’idea di sporcare i loro vestiti di
seta molto costosi (affittati per l’occasione) vanno e vengono
portando in scena 250 grandi pani.
In quel momento il mio cervello è in fiamme. Tiro fuori da un
fisco d’argento quattro serpenti neri. All’inizio cerco di attac-
carmeli sulla testa con del nastro adesivo, a mo’ di capelli, ma
cedo alla tentazione di dispormeli sul petto come due croci vi-
ve. Il sudore me lo impedisce.
I serpenti mi ondulano attorno alle mani come acqua viva.
Nozze.
Inseguo la donna rosa con i serpenti. Lei si nasconde nell’auto.
Come una tartaruga nel suo guscio. Ci balla dentro. Mi sembra
un pesce dentro un acquario.
Spavento una delle due modelle. Lei lascia cadere il pane e sal-
ta all’indietro.
Uno spettatore ride. Le butto il pane sul viso. (Durante un Ri-
cevimento, alcuni giorni dopo, quella donna mi si avvicinò e mi
disse che, al ricevere il pane in pieno vivo, aveva sentito la
sensazione di comunicarsi, come se io le avessi introdotto una
gigantesca ostia attraverso il cranio).
All'improvviso, lucidità: vedo il pubblico seduto lì sulle poltrone,
persone paralizzate, isteriche, eccitate, però immobili, senza
partecipazione corporale, terrorizzate dal caos che sta per divo-
rarli: devo lanciar loro i serpenti o farli esplodere.
Mi trattengo. Respingo lo scandalo facile di un panico collettivo.
Calma. Violenza della musica. Gli amplificatori a tutto volume.
Mi vesto con dei pantaloni, una camicia e delle scarpe arancio-
ni. Il colore di un buddista brucato vivo. Esco e ritorno con una

111
pesante croce fatta con due travi di legno. Sulla croce, un pollo
crocifisso a testa in giù, il culo verso l’alto, con due chiodi sulle
zampe, come un cristo decapitato. L’ho lasciato marcire per
una settimana. Sulla croce, due cartelli stradali: in basso un
cartello con un freccia e la scritta: “Uscita in alto”; sopra il pollo
un cartello con la scritta: “ Uscita interdetta”. Consegno la cro-
ce alla donna argentata. Ne porto un’altra. Due cartelli stradali:
sempre uno sotto che indica verso l’alto; sempre uno sopra che
proibisce di uscire.
Passo la croce ad una delle donne bianche. Porto una terza cro-
ce. La consegno all’altra donna bianca.
Le due donne cavalcano le croci trasformandole in giganteschi
falli; lottano tra di loro; una di esse introduce la punta della
croce attraverso la finestra dell’automobile, simula i movimenti
di una atto sessuale con l’automobile.
Dispongo la giara di fronte alla croce. Il pollo crocifisso è scos-
so al di sopra delle teste degli spettatori. Lasciamo cadere le
croci.
Scelgo tra i musicisti quello che ha i capelli più lunghi. Lo alzo.
È più rigido di una mummia. Lo vesto con un abito da papa. Lo
copro con la stola.
Le donne, in ginocchio, aprono la bocca e turano fuori la lingua
il più possibile.
Compare un nuovo personaggio: una donna vestita con un abi-
to tubolare, come un lombrico in piedi. Tramite quest’abito vo-
glio suggerire l’idea di una “forma papale” in decomposizione.
Un papa trasformato in camembert.
Il musicista, imitando i movimenti di un sacerdote apre una lat-
tina di frutta sciroppata. Mette mezza pesca gialla dentro la
bocca di ognuna delle donne. Queste la inghiottono in un sol
boccone.
Ostia imbevuta di sciroppo!
Fa la sua apparizione una donna incinta. Pancia di cartone. Il

112
papa nota che ha una mano di gesso. Prende l’ascia la rompe
in mille pezzi. Le apre lo stomoaco servendosi di una forbice
(devo controllarlo per evitare che la ferisca realmente).
Le mette le mani dentro lo stomaco, dal quale estrae delle
lampadine elettriche. La donna grida come se stesse partoren-
do. Si alza, ira fuori dal seno un bebè di caucciù e con questo
colpisce il papa in pieno petto. Il bambolotto cade a terra. La
donna si ritira. Raccolgo il bebè gli apro il ventre con uno scal-
pello ed estraggo da suo interno un pesce vivo nelle convulsioni
dell’agonia.
Fine della musica. Assolo brutale di batteria.
Il pesce continua a contorcersi; il batterista scuote alcune bot-
tiglie di champagne fino a che esplodono. Vedendo come la
schiuma ricopra tutto, il papa ha un attacco di epilessia. Il pe-
sce muore. La batteria tace. Lancio l’animale al di sopra della
rampa. Cade in mezzo al pubblico. Presenza della morte.
Tutti escono di scena tranne me.
Musica ebrea. Inno atroce. Lentezza.
Due immense mani bianche mi lanciano una testa di vacca. Pe-
sa otto chili. La sua bianchezza, la sua umidità; i suoi occhi, la
sua lingua…
Le mie braccia sentono il suo gelo. Io stesso divento gelido. Per
un attimo, mi trasformo un quella testa.
Sento il mio corpo: un cadavere sotto la forma di una testa di
vacca. Cado in ginocchio. Voglio ululare. Non riesco a farlo per-
ché la bocca della vacca è chiusa. Introduco l’indice nei suoi
occhi. Le mie dita scivolano sulle pupille. Non sento niente, a
parte il mio dito - satellite sensibile che gira intorno ad un pia-
neta morto. Mi sento come la testa della vacca: cieco. Deside-
rio di vedere.
Buco la lingua con un punzone; apro le mandibole. Tiro la lin-
gua. Dirigo la testa, con la bocca aperta verso il cielo, allo stes-
so tempo in cui alzo la mia con la bocca aperta.

113
Esce un ululato, ma non da me, bensì dal cadavere. Guardo il
pubblico un’altra volta. Immobile, gelido, fatto di pelle di vacca
morta. Tutti siamo quel cadavere. Lancio la testa in mezzo alla
sala. Questa diventa il centro del nostro cerchio.
Entra un rabbino, le immense mani bianche erano sue.
Porta sistemato un cappotto nero, un cappello nero, una barba
bianca tipo Vecchio Pascuero. Cammino come Frankenstein.
Sta in piedi su una giara d’argento. Tira fuori tre bottiglie di lat-
te da una valigia di cuoio. La versa nel suo cappello. Gli sfrego
la guancia contro la sua. Il suo viso è bianco. Facciamo un ba-
gno di latte. Battesimo.
Mi prende per le orecchie e mi dà un bacio appassionato sulla
bocca. Le sue mani mi afferrano le natiche. Il bacio duira vari
minuti. Tremiamo, elettrizzati.
Kaddish.
Con un matita nera mi traccia due linee dagli angoli della bocca
fino al mento. La mia mandibola sembra ora quella di una
bambola ventriloqua. Lui è seduto sul tavolo da macellaio. Una
delle sue mani mi è appoggiata alla schiena come se volesse
passare attraverso di essa, tagliarmi la colonna vertebrale, in-
trodurre le sue dita dentro la mia scatola toracica e pressarmi i
polmoni per forzarli a gridare o a pregare. Mi obbliga a muo-
vermi. Mi sento come una macchina, come un robot. Angoscia.
Devo smettere di essere una macchina. Lascio cadere la mano
tra le sue gambe. Gli apro la patta. Introduco la mano e con
una forza inusitata estraggo una zampa di chancho203, simile
all’immagine del fallo di mio padre quando avevo cinque anni.
Ritiro l’altra mano impugnando un paio di testicoli di toro. Apro
le braccia a forma di croce. Il rabbino ulula come se fosse stato
castrato. Sembra morto.
La musica ebrea diventa più forte; ogni volta più malinconica.
Appare un macellaio, vestito con un cappello, un cappotto, ha

203
maialino da latte.

114
un barba nera, il grembiule pieno di sangue.
Stende il rabbino e comincia l’autopsia: introduce le mani nel
cappotto ed estrae un enorme cuore di mucca. Odore di carne.
Inchiodo il cuore sulla croce. Lungo pezzo di budella. L’inchio-
do.
Il macellaio esce. Terrorizzato, alzo il cappello del rabbino. Tiro
fuori il cervello di mucca. Me lo faccio scoppiare sulla testa.
Prendo la croce e la metto vicino al rabbino. Tiro fuori dalla va-
ligia un lungo nastro di plastica rossa e lego all’uomo alla croce
coperta di budella.
Alzo tutto l’insieme: legno, carne, vestiti, corpo, e lo lascio ca-
dere per la rampa che scende fino al pubblico. (il peso totale è
di 125 kg: però nonostante la violenza del colpo, l’uomo non
sentì niente, né si fece il minimo graffio).
Entrano le donne bianche, nere, rosa ed argentata.
Si inginocchiano.
Attesa.
Entra un nuovo personaggio: una donna coperta di raso nero
tagliato a triangoli, una specie di ragnatela. Un canotto di
gomma di tre metri di lunghezza va legato al suo vestito e
sembra un'enorme vulva. Plastica arancione gonfiata ad aria. Il
fondo del gommone è di plastica bianca.
Simbolo: l’imene.
Danza. Lei mi fa dei segni. Quando mi avvicino, lei mi respinge.
Quando mi allontano, lei mi segue. Si arrampica su di me. Il
gommone mi copre completamente. Prendo l’ascia. Rompo il
fondo bianco. Ululato. Spacco il tessuto e mi rifugio nella vagi-
na. Rimango tra le sue gambe, nascosto nel satin nero. Da un
sacco nascosto vicino al sui ventre estraggo quaranta tartaru-
ghe vive che lancio sul pubblico.
Sembrano uscire dall’enorme vagina. Come pietre vive, si di-
rebbe.
Comincio a nascere. Grida di una donna che partorisce. Cado

115
per terra in mezzo al vetro delle lampadine elettriche, dei pezzi
di piatto, delle piume, del sangue, delle esplosioni, dei fuochi
d’artificio (mentre mi radevano la testa accesi 36 fuochi, uno
per ciascun anno della mia vita), pozzanghere di miele, pezzi di
pesca, limoni, pane, latte, carne, stracci, schegge di legno,
chiodi, sudore: rinasco in questo mondo. Le mie grida sono si-
mili a quelle di un neonato o di un anziano. Il vecchio rabbino
con enormi sforzi, esegue piccoli salti a destra e a sinistra, le-
gato alla croce come un maiale agonizzante, si libera dal nastro
di plastica. Esce.
La donna-madre spinge verso di me la donna nera. La alzo. La
porto verso il centro della scena, lai ha le braccia aperte a for-
ma di croce. Un cadavere-croce. La pittura nera suggerisce una
cremazione: la mia propria morte.
Dandomi la vita, la donna ha buttato la morte tra le mie brac-
cia. Macchiato dal trucco della mia compagna, comincio a di-
ventare completamente nero, il mio viso sembra quello di un
uomo bruciato.
Le donne ci legano l’un l'altro con delle bende. Sono legato a lei
per la vita, le braccia, le gambe e il collo. Questo cadavere os-
suto è incastrato dentro di me e io sono incastrato in lei. Sem-
briamo due siamesi: come se fossimo una sola persona. Len-
tamente, improvvisiamo una danza. Ci lasciamo cadere a terra.
I movimento non sono né miei né suoi, bensì contemporanea-
mente di entrambi. Possiamo controllarli.
Le donne bianche e rosa ci spruzzano con sciroppi di menta, di
cassis e limone. Il liquido viscoso, verde, rosso e giallo ci rico-
pre; mescolato con la polvere, forma una specie di fango.
Magma.
Il sipario comincia a scendere lentamente. I nostri due corpi si
aggrappano l’uno all’altro, come due colonne. Vogliamo alzarci,
cadiamo.
Si liberano trecento uccelli vivi che volano per tutto il teatro.

116
Si chiude il sipario.

5.2.2. Analisi

Il Melodramma Autosacramentale è la messa in pratica conclusiva


del metodo panico da parte di uno dei suoi stessi componenti e con-
temporaneamente è il momento più alto della ricerca panica di Jodo-
rowsky. All’interno dello spettacolo si dispiegano tutti i punti saldi fin
ora analizzati della teoria panica e nello stesso momento la loro appli-
cazione portò l’ideatore dello spettacolo a credere che allontanarsi dal-
le scene fosse necessario per continuare nella ricerca del linguaggio
espressivo artistico.
Dal punto di vista dei risultati sperati, Jodorowsky porta a casa
solo un risultato parziale o presunto tale: se il Melodramma Autosa-
cramentale realizza veramente e in profondità il mutamento di status
emotivo e spirituale che Jodorowsky e Arrabal prospettavano di rag-
giungere per trasformare il partecipante in uomo panico, questo mu-
tamento avviene solo nel protagonista della performance, Jodorowsky,
e in pochi altri. Il pubblico resta shoccato, stupito e di certo non indif-
ferente a quello che gli viene somministrato in quelle quattro ore di
spettacolo, ma di certo non si realizza un “miracolo collettivo” che in-
vece speravano i suoi promotori. Come si legge in un passaggio della
trascrizione dello spettacolo:

All'improvviso, lucidità: vedo il pubblico seduto lì sulle poltrone,


persone paralizzate, isteriche, eccitate, però immobili, senza
partecipazione corporale […].204

A parte questo parziale fallimento, parziale perché non esistono


testimonianze scritte di un fallimento dal punto di vista della crescita

204
Alejandro Jodorowsky, Tutto il teatro, op. cit. p. 455.

117
spirituale 205, la messinscena riesce a realizzare tutti gli obiettivi teoriz-
zati: la creazione del caos, il sacrificio, la violenza catartica ecc.
Per comprendere al meglio la forza vincente di questo evento è
necessario analizzarne approfonditamente ogni punto, iniziando dal ti-
tolo, che già in partenza ci indica qual è il motore principale dello spet-
tacolo. Melodramma e Autosacramentale sono infatti due tipi di spetta-
colo molto importanti nella storia del teatro e in questo caso vengono
utilizzati come titolo poiché fungono da coordinate nella comprensione
del messaggio di Jodorowsky. Il melodramma nasce come intratteni-
mento drammatico accompagnato da una partitura musicale che verso
il XIX secolo acquisirà il senso più ampio di dramma popolare, caratte-
rizzato da intrighi ed episodi violenti; quindi, soprattutto in area fran-
cese dove trovò ampi margini di sviluppo drammaturgico, la nomencla-
tura melodramma suggerisce che il tipo di spettacolo rappresentato
sarà caratterizzato da azioni violente e da un’importante componente
musicale. Inoltre melodramma, grazie al lavoro di Molière sui tipi fissi
del melodramma e sull’evoluzione caratteriale dei personaggi, suggeri-
sce l’idea di una trama in cui il male e l’angoscia dei personaggi viene
purificata e l’elemento generatore del caos viene ricondotto all’ordine.
Quindi grazie al richiamo al melodramma dovremmo intuire che l’effi-
mero realizzato sarà caratterizzato da personaggi universali, da un
processo che porta dal caos all’ordine, da un buona dose di violenza e
dalla musica.
Anche autosacramentale è un termine denso di significato: riman-
da ai tableaux vivent di tema religioso utilizzati (in forma embrionale)
fin dal Medioevo in occasione delle feste religiose (ad esempio Il Quem
quaeritis? usato durante le celebrazioni pasquali). L’idea dell’autosa-

205
Mentre invece ne esiste un numero cospicuo che afferma la buona riuscita dello shock teatrale,
una su tutte quella di Ferlinghetti.

118
cramentale è quindi principalmente legato ad un’idea di liturgia eccle-
siastica e di sacramento, quindi introduce l’elemento di solennità, ri-
tualità e sacralità dell’effimero, che di fatto è la celebrazione della mor-
te del falso ego a vantaggio della nascita di un nuovo uomo, l’uomo
panico. La nascita ufficiale dell’autosacramentale inteso in senso defi-
nitivo si ha in corrispondenza del Siglo de Oro spagnolo (non a caso
uno dei momenti della storia del teatro più apprezzati da Jodorowsky
ed Arrabal), quando la produzione di spettacoli avveniva in occasione
della celebrazione del Corpus Domini in particolare a partire dalla metà
del XVI secolo, quando la festa liturgica venne regolamentata dalla ri-
forma cattolica che mette fine alle rappresentazioni paraliturgiche e ri-
stabilisce una rigorosa morale cristiana all’interno di queste manifesta-
zioni festose, di fatto assorbendo il teatro profano in quello religioso. Il
primo autosacramentale con drammaturgia definita debutta nel 1677
con le opere di Félix Lope de Vega e raggiunge l’apice con Pedro Calde-
ron de la Barca. Nell’autosacramentale le tematiche principali sono
quelle della morale religiosa, ma si possono generalizzare affermando
che alla base di ogni idea drammaturgica vi era la volontà di rappre-
sentare il dramma metafisico della lotta tra la natura oscura dell’anima
e la luce divina. Anche in questo genere, come nel melodramma, c’è la
presenza di figure portatrici di caratteri universali, in questo caso addi-
rittura la personalizzazione di concetti astratti come la Giustizia, la Ve-
rità, la Salvezza ecc. Quindi il richiamo all’autosacramentale da un lato
ci suggerisce l’ispirazione a rappresentazioni barocche grandiose come
quelle del Siglo de Oro e dall’altro ci suggerisce che quello che avverrà
in scena è un rituale sacro, che permetterà a chi ne prende parte di
entrare in contatto con una dimensione superiore e di riuscire così ad
ottenere l’illuminazione e un’elevazione del proprio status.
Per analizzare con dovizia di particolari lo svolgimento dell’effime-

119
ro del ’65, possiamo suddividerlo in 15 momenti fondamentali:

1. Apparizione
2. Sacrificio animale
3. Uscita dalla quotidianità
4. Recupero dell’animalità
5. Abbandono dei vizi terreni
6. Supplizio
7. Primo passo nel “tempio”
8. Concepimento
9. Eucarestia
10. Sacrificio del primo nato
11. Battesimo
12. Parricidio
13. Ri-nascita
14. Unione con la morte
15. Liberazione spirituale

La scena si presenta agli occhi del pubblico celata dal sipario, il


pubblico entra quindi in uno spazio neutrale, quello della sala teatrale,
in cui però il forte odore di incenso, bruciato in grande quantità, intro-
duce già dal primo momento in una dimensione sacrale.
L’apertura del sipario è “improvvisa e roboante”, e la scena è in-
gombra di suppellettili e di figuranti. È concepita per risultare una sor-
ta di “terra di nessuno”, a cavallo tra mondo interiore (il palco) e il
mondo esteriore (la platea) messi in relazione da una pedana inclinata.

Apparizione

In questo momento viene presentato il protagonista dell’atto, il


prescelto che sarà iniziato ad uno stato di conoscenza superiore. Jodo-
rowsky appare completamente coperto, quasi nascosto dagli abiti, dal

120
casco e dai grossi occhiali. I vestiti di plastica nera lucida lo fanno
sembrare un grande scarafaggio umano, una forma di vita tra le più
basse, e allo steso tempo come un uomo completamente isolato da ciò
che lo circonda, sterile. Il casco bianco sul corpo nero risulta come
un’aureola protettrice o come la cima di un totem moderno. La grande
quantità di strati sintetici che coprono il corpo di Jodorowsky sembra
volerci dire che l’epoca moderna ci ha insegnato a tenerci alla larga da
quello che ci circonda, fino a farci vivere in modo asettico, privo di
contaminazioni con l’esterno.

Sacrificio animale

L’oscuro personaggio afferra due grandi oche bianche presenti sul-


la scena, le sgozza e dopo averle lascia girare agonizzanti per il palco
le fa a pezzi. Il primo atto di violenza si svolge a brevissima distanza
dall’apertura del sipario, in un crescendo disperato della musica. Serve
a Jodorowsky per introdurre la realizzazione del sacrificio umano che
avverrà in seguito e per simboleggiare l’idea che durante la rappresen-
tazione nulla è “fuori pericolo”, nulla può fuggire alla potenza catartica
dell’effimero.

Uscita dalla quotidianità

A seguito del sacrificio animale, le donne presenti in scena, strap-


pano gli abiti di Jodorowsky lasciandolo seminudo. Prima due oche
bianche venivano sgozzate da un uomo in nero, ora due donne dipinte
di bianco si accaniscono sull’uomo in nero. Il parallelo è molto forte e
fa capire subito che lo stesso Jodorowsky subirà la stessa sorte delle
oche. Nell’atto della denudazione del protagonista inoltre sono conte-
nute due idee: la liberazione degli abiti neri richiama l’opera al nero, il
primo stadio del processo alchemico e quindi suggerisce che il sacrifi-
cio porterà ad uno status positivo, l’oro; in secondo luogo, la liberazio-

121
ne dalla protezione dall’esterno, costituita da abiti comuni (stivali di
gomma, occhiali da operaio, guanti da lavoro) suggerisce che per
compiere questo percorso non solo è necessario spogliarsi delle proprie
certezze, ma anche dell’immobile quotidianità, dalla civiltà.

Recupero dell’animalità

A seguito dell’abbandono dei legami con la civiltà razionale, vi è la


fase del recupero dell’animalità: il corpo di Jodorowsky è rivestito con
delle bistecche cucite insieme in modo da formare una giacca di carne.
L’identificazione tra l’uomo è l’animale è completa e prepara in terreno
al sacrificio di Jodorowsky. Come in un vero processo alchemico, il per-
corso del Melodramma Autosacramentale prevede diverse tappe di
presa di coscienza e di abbandono di status pregressi, un cammino
verso un nuovo status dell’uomo, un’età d’oro in cui il livello di co-
scienza ne uscirà riabilitato e accresciuto.
La furia delle donne, che ululando strappano i pezzi di carne e li cuo-
ciono, è da considerarsi come un vero e proprio sacrificio pagano, sa-
crificio dei vizi e delle pulsioni che fanno parte della natura animale
dell’uomo. Attuandosi un sacrificio, si introduce nello spettacolo un ul-
teriore elemento sacro; ogni sacrificio infatti è strettamente legato ad
un aspetto di purificazione, di cambio di status, ottemperato necessa-
riamente all’interno di una dimensione di sacralità.

Abbandono dei vizi terreni

Liberato dal legame con la quotidianità, abbandonata l’animalità e


entrato quindi nel processo di sacrificio, Jodorowsky passa alla prima
mutilazione: quella del sesso. Spogliato dalle furie era rimasto vestito
di bracciali di cuoio ai polsi e alle caviglie 206 e di un perizoma fornito di

206
omaggio a Maciste l’eroe di infinita forza e bontà nato con Cabiria, celebre kolossal italiano del
1914, diretto da Giovanni Pastrone e interpretato da Bartolomeo Pagano.

122
un fallo di cuoio. Mentre le donne offrono al pubblico la carne strappata
dalla giacca della scena precedente, Jodorowsky attua un’automutila-
zione del finto sesso e lo distrugge con un’ascia per poi continuare l’at-
to di distruzione rivolgendosi ai piatti con cui era stata offerta la carne
al pubblico.

Supplizio

Nudo, senza sesso e privo di armi, l’embrione dell’uomo nuovo


mette in atto realmente il sacrificio di sé che fino a questo momento
era stato solo un simbolo. Una delle donne, chiamata “il carnefice”, ve-
stita di nero e a seno nudo, frusta Jodorowsky con foga sempre mag-
giore. Il dolore, il sangue e la sofferenza non sono più tenuti lontani
dal pubblico, ma lo colpiscono direttamente; sono trascorse infatti già
due ore dall’inizio dello spettacolo e tutte le azioni sceniche si sono fat-
te sempre più violente e indirizzate all’uomo, ma fin ora sono rimaste
sempre velate grazie all’uso del simbolo o dal fatto di essere indirizzate
ad animali o a oggetti. Queste azioni si sono svolte in direzione pro-
gressiva verso l’uomo e questo percorso (oche, carne, fallo finto fino a
toccare realmente l’artista) ha potuto preparare il terreno avvicinando
il pubblico gradualmente a qualcosa di veramente violento, stimolando
sia la natura voyeuristica tipicamente umana (quindi tendo alta l’atten-
zione verso la scena) che al contempo il meccanismo di immedesima-
zione. Quando Jodorowsky urla realmente e sanguina realmente in
scena il pubblico non ha più via di scampo ed è obbligato ad unirsi em-
paticamente alla sofferenza dell’artista. A livello di messaggio, Jodo-
rowsky vuole esattamente trascinare il pubblico all’interno delle pro-
prie emozioni, a livello simbolico invece il primo passo del processo al-
chemico è terminato e l’uomo, privato dei vizi, dell’animalità e speri-
mentato il dolore è pronto ad innalzarsi ad un livello di coscienza supe-

123
riore.

Primo passo nel “tempio”

Terminata la flagellazione, Jodorowsky si siede al centro di un cer-


chio di limoni gialli, colore dell’illuminazione e, pronto ad entrare nel
tempio in cui troverà la crescita spirituale, si fa rasare i capelli, come
un monaco novizio.

Concepimento

Introducendo una nuova tematica, quella del sesso, Jodorowsky


appiccica i capelli appena tagliati al pube e al corpo una donna coperta
di miele 207 e poco dopo trae da un fiasco d’argento - simbolo della luna
e quindi della femminilità e della fertilità - alcuni serpenti . Tenendoli in
mano o sul corpo insegue una delle donne. Il parallelo tra l’insegui-
mento, l’uso dei serpenti e l’accoppiamento è di facile lettura. Mentre
si prepara il terreno al successivo concepimento, alcune modelle por-
tano in scena numerose forme di pane e introducono così il primo di
tre fortissimi simboli cristiani: eucarestia, crocifissione e battesimo. Nel
frattempo Jodorowsky compie il secondo passo nel tempio (dopo la ra-
satura dei capelli) e indossa abiti arancioni, tipici dei monaci buddisti.
Vestito in questo modo introduce in scena due enormi croci che le
donne afferrano e cavalcano, trasformandole in falli e utilizzandole per
compiere un simbolico atto sessuale. Il richiamo al concepimento è
sempre più evidente.

Eucarestia

Creando un potente contrasto, volendo anche blasfemo, con lo


sproporzionato e androgino atto sessuale appena terminato, Jodo-

207
Il miele nell’intera opera di Jodorowsky è sempre simbolo della pace, dell’amore e delle buone in-
tenzioni. Elemento fondamentale nella psicomagia, il miele viene prescritto in tutti gli atti psico-
magici in cui è prevista una rappacificazione tra elementi in contrasto e quindi è sempre caricato di
forza positiva.

124
rowsky introduce il personaggio del Papa e quello del Papa decompo-
sto, rappresentati nell’ordine da un musicista vestito di una stola e da
un altro attore vestito con un costume da lombrico simile a quelli usati
negli spettacoli di Alvin Nikolis (un travestimento obiettivamente poco
incisivo). Il Papa comunica le donne presenti in scena dando loro una
mezza pesca, altro elemento di colore giallo che prelude all’età dell’oro
alla fine dello spettacolo e che ne aumenta l’aspetto cerimoniale.

Sacrificio del primo nato

A questo punto viene inscenato il secondo tra i passaggi più forti


di tutta l’opera (la flagellazione, il sacrificio del primo nato e successi-
vamente la rinascita). Con la complicità del Papa, Jodorowsky si acca-
nisce su una donna incinta: prima il Papa distrugge la sua mano po-
sticcia e poi inscena uno sconvolgente parto cesareo; aprendo il ventre
gonfio della donna con della grosse forbici estrae un grande numero di
lampadine elettriche, simbolo che la futura “rinascita illuminata” di Jo-
dorowsky è prossima; terminato il cesareo, Jodorowsky prende dal se-
no della donna una bambola a forma di neonato e lo sacrifica davanti a
tutti aprendogli il ventre e estraendone un pesce vivo che tra contor-
sioni dolorose termina la sua agonia morendo in prossimità del pubbli-
co. La scena è resa ancora più forte e totalizzante dalla musica che sa-
le progressivamente fino a essere un assolo brutale di batteria e che,
dopo la morte del pesce, tace lasciando il teatro nel silenzio totale. La
morte è ora fisicamente giunta tra gli spettatori tramite il pesce e di-
venta chiaro che l’accettazione di essa fa parte del processo di rinasci-
ta e illuminazione. La forza di questa scena è probabilmente collegata
anche all’esperienza personale di Jodorowsky, che durante i primi 40-
45 anni di vita non riuscì mai ad affrontare l’idea della morte o la sua
accettazione. In questo caso quindi la scena, oltre ad essere un’indica-

125
zione del percorso da intraprendere per giungere all’illuminazione ca-
tartica è il tentativo personale dell’autore di superare il proprio blocco
nei confronti della morte 208.
La scena non termina con questo primo tentativo di catarsi, ma prose-
gue in un’immedesimazione di Jodorowsky con una testa di vacca lan-
ciata in scena dalle quinte. Difficilmente le sensazioni provate dall’au-
tore durante la manipolazione della testa furono capite dal pubblico,
ma di certo era chiaro che Jodorowsky si stava trasformando nella
prossima vittima sacrificale.

Battesimo

La scena che segue è quella maggiormente autobiografica e con-


tiene il tentativo di Jodorowsky di sublimare e risolvere i conflitti avve-
nuti in gioventù con la figura castrante del padre. Il rabbino gigante
che entra in scena infatti rappresenta il basso e ateo Jaime, in un gioco
di contrari che unisce in quel personaggio il simbolo dell’ingombrante
figura paterna di Jaime Jodorowsky, ma anche ciò che per il pubblico
funge da tramite tra la divinità e l’uomo. In sostegno a quest’afferma-
zione possiamo notare che il rabbino è entrato in scena esattamente in
risposta alle urla rivolte da Jodorowsky verso il cielo a seguito del suo
accanirsi contro la testa di vacca. Il rabbino porta in scena delle botti-
glie di latte con cui battezza Jodorowsky sancendo così la riuscita dei
passaggi di rinuncia compiuti in precedenza e suggellando la sua pre-
parazione con una cerimonia liturgica.

Parricidio

Trasformato in una bambola ventriloqua, Jodorowsky rivive i con-


dizionamenti paterni subiti durante l’infanzia e se ne libera inscenando
il parricidio. Procede prima con la castrazione del rabbino, ribellione al

208
Cfr. par. 3.

126
machismo paterno e poi, una volta terminata l’operazione del rabbino
che ormai sembra morto, inscena la crocifissione del cadavere su una
delle croci con cui le donne simulavano precedentemente l’atto sessua-
le. La scena è quella con maggior componente autobiografica (e quindi
catartica) poiché riassume in pochi atti tutta la sofferenza infantile del-
l’autore, i condizionamenti familiari che hanno reso negli anni necessa-
rio il processo di totale emancipazione dalla famiglia fin anche all’orga-
nizzazione dell’effimero stesso. Il rabbino infatti non è solo castrato e
ucciso, ma subisce anche una lunga autopsia, come a voler dire che
l’autore ha analizzato ogni singolo episodio della propria vita legato a
suo padre, e più in grande alla famiglia, e l’ha superato (o cerca di su-
perarlo) con grande sacrificio, per raggiungere un nuovo status di co-
scienza e di conoscenza.

Ri-nascita

Eliminato il cadavere del padre e quindi la zavorra di tutte le soffe-


renze passate, Jodorowsky è una creatura nuova, pulita, purificata e
pronta a rinascere. Il processo di rinascita viene inscenato con l’ingres-
so in scena di una donna il cui vestito è composto da un grande canot-
to col fondo bianco. Bucando la plastica bianca e passando così attra-
verso le pareti del canotto il pubblico assiste alla nascita di un nuovo
uomo dalla vagina di una vergine. Il peccato è quindi simbolicamente
allontanato, la colpa già espiata, la morte accettata come processo
della vita e l’uomo nuovo è pronto a vedere la luce e la fine del proces-
so di ascensione verso la vita panica.

Unione con la morte

Così nato, non in un terreno sterile, ma nella scena imbrattata di


tutti i materiali utilizzati durante lo svolgimento dello spettacolo (san-
gue, miele, capelli, piume, plastica, vetri ecc.), Jodorowsky è pronto

127
ad affrontare la vita e la morte conscio di tutti gli elementi che com-
pongono entrambe. Appena nato, danza con una donna dipinta di nero
che toccandolo lo macchia della stessa pece di cui è coperta. La donna
è la personificazione della morte e Jodorowsky, accettando di danzare
con lei e di lasciarsi contaminare dal colore suo corpo vuole comunica-
re che il percorso è giunto al termine e la paura dell’aldilà è scompar-
sa, ma anzi è entrata di diritto a far parte della nuova vita come pro-
cesso necessario per la liberazione.

Liberazione spirituale

Mentre Jodorowsky danza abbracciato alla morte, la scena si chiu-


de. L’inizio di una fase della vita serena e panica è testimoniato dalla
liberazione di trecento uccelli che si alzano in volo per tutto il teatro
dando il via ad un turbine di vita e di libertà che erano state allontana-
te dalla scena all’inizio del percorso catartico.

5.2.3. Commento

Come abbiamo visto, in questo tessuto intriso di simboli, metafore


e atti efferati è possibile leggere un percorso iniziatico, un’attuazione
spirituale del processo alchemico che nella biografia di Jodorowsky si
trasforma non solo in un nuovo status psicologico, ma anche in un ve-
ro cambiamento artistico che lo porterà ad esplorare strade diverse da
quelle teatrali, fino a raggiungere appieno l’attuazione di quel teatro
della guarigione che aveva intuito fino dai primi anni di pratica artisti-
ca.
Nel Melodramma autosacramentale l’agente centrale, Jodorowsky,
subisce differenti trasformazioni e passa per differenti fasi: violenza,
trance, serenità, sottomissione ecc. Il corpo subisce tutte queste mani-
festazioni e la psiche è costantemente condizionata dalle azioni che si
svolgono in scena, come se fosse una massa informe da plasmare per

128
la prima volta. L’effimero panico non utilizza linguaggi specifici, ma
suggestioni personali che vanno dall’esoterico al mistico e mette in
scena un nuovo sistema che agisce sul regista in primis oltre che sul
pubblico. Dalla materia fecale, status dell’uomo comune assoggettato
ai condizionamenti della vita quotidiana, all’oro, la purezza raggiunta
da chi ha ripreso possesso delle proprie facoltà oniriche; non è la fine
del percorso il punto centrale della messinscena, ma il processo creati-
vo che ha permesso di raggiungerlo.
Dal punto di vista della reazione di pubblico il pensiero di Jodo-
rowsky si rivela molto distante da quella teorizzata dalla sociologia del-
lo spettacolo 209 e si avvicina all’istintualità, a una dimensione primitiva
in cui vita e morte sono i motori delle emozioni: “On ne vas pas au
théâtre pour fuir, mais pour reprendre contact avec le mystère que
nous sommes.” Sebbene, come detto, non ci siano testimonianze certe
delle reazioni di pubblico, si può notare un grande sforzo da parte del-
l’autore per rendere possibile la comunione dell’esperienza teatrale e
rompere l’indifferenza dello spettatore: principalmente la giuntura tra
scena e sala realizzata tramite la pedana inclinata, poi l’offerta di cibo
da parte degli attori agli spettatori (i pani, la carne fritta), la noncuran-
za della direzione degli spruzzi di sangue provenienti dalle oche sgoz-
zate, l’abbandono del “cadavere” crocifisso del rabbino sulla pedana in
modo che scivolasse verso la platea e infine il lancio di tutti gli oggetti
di scena al pubblico, che nelle intenzioni di Jodorowsky avrebbe dovuto
portarsi via dal teatro ogni singolo pezzo della scenografia.
Oltre all’agognato cambiamento di pubblico però, il vero cambia-
mento è quello del protagonista, Jodorowsky, che evolve, cresce, sof-
fre e cambia sulla scena le sorti della sua stessa vita. Salta subito al-

209
Cfr. Guy Debord, La società dello spettacolo, op. cit.

129
l’occhio che è il corpo ad essere il centro focale e il motore dell’azione,
il linguaggio è invece assolutamente epurato dallo spettacolo, a testi-
monianza del fatto che il tentativo di raggiungere la vita panica, di re-
cuperare la dimensione onirica dell’esistenza e trasformare le proprie
azioni in arte, non ha bisogno della mediazione della parola, ma deve
vivere della piena forza delle sensazioni fisiche e mentali, senza filtri,
senza spiegazioni. Conteso tra carnefici fuori controllo, donne suadenti,
padri titanici, il corpo dell’artista passa tutte le fasi del processo al-
chemico, subisce ogni passaggio del cambiamento e disteso tra la pace
della trance e la frusta del carnefice vive in uno stesso dilatato mo-
mento tutte le possibilità dell’essere in modo finalmente panico.

Les éléments du dédoublement, opposes ta contradictoires


vont surgir au plus profond de sa personnalité: ils sont l’es-
sence du théâtre Panique. 210

210
Mira Kim in Ante Glibota, Arrabal Espace, Editions de L’Amoureuse, Paris, 1994

130
6. Dal panico alla ricerca della serenità
Le esperienze di Jodorowsky sono state molteplici e differenti nel
loro modo di approcciare agli stili, alle teorie e ai mezzi di comunica-
zione, ma nel corso degli anni si può dire che la vena artistica dell’au-
tore sia andata via via affievolendosi nella sua potenza creativa. Que-
sto non per mancanza di ispirazione, ma perché la necessità principe
dell’artista, ovvero la volontà di fare dell’arte uno strumento per la
guarigione (presente già dai primi giorni delle sue espressioni pratiche,
il motore alla base di tutte le sue produzioni) si è fatta preponderante
ed è divenuta l’unico attuale interesse di Jodorowsky.

6.1. Il teatro come rituale liberatorio

Come abbiamo visto, il teatro di Jodorowsky, vicino al concetto


greco di καθαρις, punta alla liberazione della sofferenza.
Per comprendere questo concetto è utile riportare una citazione
che Jodorowsky fa nell’introduzione alla sua opera omnia teatrale:

Il teatro è una giocosa cerimonia funebre. In esso andiamo ad


esibire e poi ad assassinare i nostri falsi ego.

- August Strindberg 211

Modellato esattamente su questo modello, l’obiettivo del teatro di


Jodorowsky e in particolare degli effimeri, è quello di dare nuova vita a
chi accetta di partecipare (sia in veste di attore che in veste di spetta-
tore) alla messinscena. Tramite simboli, azioni liberatorie e uso della
violenza, il teatro di Jodorowsky compie una vera catarsi ed elimina
dall’esistenza la zavorra che blocca la nostra libera manifestazione per-
sonale. L’ispirazione al teatro greco è fondamentale, come si nota da

211
August Strindberg in Alejandro Jodorowsky, Tutto il teatro, Giunti Citylights, op. cit., p. 20.

131
un passaggio dello scritto “Il sogno senza fine”:

L’antica tragedia greca presentava in ogni opera due compo-


nenti essenziali, delle quali di è fatta portavoce la psicanalisi:
Eros e Thanatos, sesso e morte. Il teatro era un atto rituale
dove, ad ogni rappresentazione, si riviveva il mito dell’incesto e
la disperata lotta degli eroi incapaci di liberarsi del destino, in
una vera terapia collettiva, un’arte sublime e necessaria, utile
perché autentica. Il mito ha una funzione purificatrice: rappre-
sentando i contenuti dell’inconscio che ci sono proibiti dalla ra-
gione, esorcizza i fantasmi, il lato oscuro dell’essere. Il teatro
autentico parla dei nostri grandi interrogativi (Da dove venia-
mo? Chi siamo? Dove andiamo?) e li guida verso la catarsi po-
sitiva, il che permette al pubblico di vivere completamente
l’angoscia primordiale ed essenziale (essere mortali) per supe-
rare ed intraprendere la ricerca di una nuova soluzione. […] il
teatro autentico rii-presenta ciò che è utile per mitigare il di-
lemma originario dell’essere umano, con la sua primordiale in-
certezza, debolezza, insicurezza, paura, che una volta portate a
certezza si trasformano in certezza forza, sicurezza e compas-
sione. 212

La forza catartica del teatro di Jodorowsky è strettamente connes-


sa all’uso della violenza; ispirato dalle idee dei dadaisti e dei futuristi di
cercare sempre un’applicazione attiva della poetica e delle teorie arti-
stiche, egli cerca sempre il punto di rottura, l’estremizzazione del sen-
timento e l’espressione totale e trascendente dell’interiorità. Per riusci-
re a portare all’esterno l’emozione repressa o il blocco emozionale, Jo-
dorowsky agisce come un artista performativo e, ispirato dalla crudeltà
artaudiana, utilizza la violenza, e in particolare il dolore, come mezzo
per raggiungere la libertà d’espressione emotiva.

212
«Il sogno senza fine», ivi, p. 20.

132
[…] voyons le problème de la violence. L’abstrait recréera ce
sentiment au moyen de couleurs, de lignes et de volumes. En
échange, le concret déchirera la toile ou aplatira un mécanisme
identifiable, ne figurant pas la silence mail laissant des mar-
ques d’un act réel. En résumé: l’un exprime l’acte, l’autre le
commet.213

In questo passaggio sottolinea la differenza tra l’effimero e il tea-


tro comunemente conosciuto. Se da un lato il teatro non fa altro che
ripresentare la realtà (l’acte), dall’altro l’effimero non cerca di raffigu-
rarla, ma prova ad essere il motore della realtà stessa. La violenza,
necessaria tanto quanto necessaria la riteneva Artaud, caratterizza
l’effimero così come essa di per sé caratterizza una realtà quotidiana,
intrisa di sofferenza e dolore di natura sia emotiva che fisica, e sarà
quindi lo strumento d’espressione fondamentale per strappare il velo
che l’uomo da deposto sulla realtà in modo da poter allontanare dalla
propria esperienza quotidiana del dolore. Nessuno, a parte l’artista e il
caso psichiatrico, cerca spontaneamente la sofferenza, ma al contrario
si oppone in tutti i modi ad essa e cerca di evitare di entrarvi in contat-
to, addirittura negandola o ignorandola; l’arte invece, in questo caso
l’effimero, riporta violentemente l’attenzione sul dolore e costringe il
pubblico a prenderne atto, a riviverlo e quindi a rielaborarlo e a supe-
rarlo. Possiamo dire che l’effimero è in un certo senso il punto a cui vo-
leva arrivare Artaud: la crudeltà è la vita, è la necessità della vita; allo
stesso modo, la violenza dell’effimero è uno strumento crudele e ne-
cessario per vivere la vita autenticamente.
Dal punto di vista del pubblico, la forza dell’effimero è uno shock
violento che però risulta sterile nel caso in cui esso si limita ad essere

213
Alejandro Jodorowsky in Fernando Arrabal, Panique, Manifeste pour le troisième millénaire, op.
cit., p. 84.

133
il passo iniziale, la rottura semplice con la quotidianità. Quello che ser-
ve in seguito è canalizzare le ombre scatenate dallo shock in un per-
corso di liberazione, in modo che possano liberare la loro forza per in-
nalzare e non per sopraffare il pubblico. La violenza quindi deve legarsi
con altri mezzi espressivi, come la musica, il simbolo, la danza che,
realizzati con la tipica simultaneità panica, riescano a scatenare il sen-
so dello humour, infatti:

Il terrore non elimina l’humour e la simultaneità è un sistema,


non un fine. 214

Anche l’aspetto del sacrificio della rappresentazione è essenziale:


spesso in scena vediamo apparire un animale come “offerta”. Esso è il
simbolo della nostra animalità, di una parte di noi che è nascosta da
leggi stratificate e che sulla scena rientrerà in rapporto con noi in
modo violento, tramite il sangue e la morte, che entrano a far parte di
diritto degli elementi fondamentali dell’opera panica. La morte è di fat-
to un motore dell’illuminazione e della liberazione dalle sofferenze.

6.2. Dal teatro alla magia215


Il percorso artistico di Jodorowsky, sia sul versante teatrale, cine-
matografico, drammaturgico o novellistico, nel corso degli anni è anda-
to affievolendo costantemente la propria produttività a testimonianza
della crescente attenzione che l’artista ha posto nei confronti dell’audi-
zione personale con l’uso di tarocchi, una delle pochissime attività che
egli tuttora pratica. Si può dire che il percorso artistico di Jodorowsky è
stato intermittente in tutte le sue attività (teatro, cinema, romanzi),
tranne che nel campo della psicomagia, alla quale si è sempre dedicato

214
Antonio Bertoli, Panico!, op. cit., p. 56.
215
Cfr. par. 3.3 per cronologia.

134
senza sosta, con interesse e dedizione crescenti.
Sempre legato all’idea originaria che l’arte debba curare, motore
principale della ricerca artistica dell’autore e a maggior ragione anche
della sua attività “magica”, Jodorowsky è attualmente dedicato in
modo quasi esclusivo ai tarocchi, un’inusuale forma di teatralità con la
quale, come vedremo in seguito, si prodiga ad assistere chiunque ab-
bia bisogno di un consiglio su come gestire una fase difficile della pro-
pria vita. Le letture di tarocchi sono solo l’ultima delle pratiche psico-
magiche che Jodorowsky ancora mette in atto e fanno parte di un
esteso e ramificato percorso di ricerca sulle credenze popolari, sui gua-
ritori e sulle possibilità taumaturgiche della “menzogna sacra”. Jodo-
rowsky ha infatti per molti anni seguito gli insegnamenti di numerosis-
simi guaritori popolari216 , soprattutto messicani, e ha compreso che un
ponderato uso della teatralità può essere in grado di risolvere problemi
di natura sia mentale che organica (o meglio psicosomatica). Moltissi-
mi sono gli esempi riportati nei suoi saggi e romanzi, sia ad opera di
“veri” ciarlatani che ad opera dello stesso Jodorowsky e non si limitano
solo alla lettura dei tarocchi, ma anche a quello che egli definisce “psi-
cosciamanesimo”.
Qual è la differenza tra psicomagia e psicosciamanesimo?
Esse si basano sugli stessi principi teorici, ma la prima inizialmen-
te agisce a livello verbale per poi trasformarsi in un atto fisico, la se-
conda invece si sviluppa con le stesse caratteristiche di una seduta di
guarigione sciamanica.

La psicomagia si basa sostanzialmente sul fatto che l‘inconscio


accetta il simbolo e la metafora, dando loro la stessa importan-
za che darebbe a un fatto reale. I maghi e gli sciamani delle

216
Cfr. par. 3.3 e «Maghi, misteri, sciamani e ciarlatani» in Alejandro Jodorowsky, La danza della real-
tà, op. cit., p.198.

135
culture più antiche lo sapevano bene. Per i’inconscio, interveni-
re su di una fotografia, una tomba, un capo d’abbigliamento o
qualsiasi oggetto personale (un dettaglio può simboleggiare il
tutto) equivale a intervenire sulla persona in carne e ossa. […]
l’unico modo per liberarsi della pulsione è realizzarla… ma lo si
può fare anche metaforicamente. 217

La psicomagia quindi prescrive la teatralizzazione un’azione o di


una serie di azioni che metaforicamente riescano a mettere in atto
quello che le nostre pulsioni, represse dall’educazione o dai tabù socia-
li, ci impediscono di compiere. Essa si avvale dell’uso dei tarocchi come
figure simboliche per addentrarsi nelle pieghe nascoste della mente e
della nostra storia, e tramite la psicogenealogia (lo studio dell’albero
genealogico) sviscera e analizza i problemi che il soggetto eredita dai
suoi avi.

[…] avevo capito che eravamo segnati dall’universo psicomen-


tale dei nostri cari. […] E così assumevamo una personalità che
non era la nostra ma che proveniva da uno o più membri della
nostra cerchia affettiva; […] Il male si trasmette di generazione
in generazione: la persona stregata si converte in stregone
proiettando sui figli ciò che prima era stato proiettato su di lei…
a meno che non si acquisti consapevolezza spezzando il circolo
vizioso.218

L’albero genealogico si comporta, con tutte le sue componenti,


come un individuo, un essere vivente.219

La lettura dell’albero genealogico, la comprensione dei problemi


repressi e la scelta dei simboli migliori per rappresentarli confluisce

217
Alejandro Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 280.
218
Ivi, p. 256-7.
219
Ivi, p. 258.

136
nella definizione di un atto, il cosiddetto atto psicomagico, che va ese-
guito alla lettera come un sortilegio e che, grazie alla forte presenza di
numerosi simboli, riesce sempre a liberare le energie negative repres-
se nell’animo del soggetto fino a ripristinarne l’equilibrio psicofisico. Gli
atti sono tutti inventati da Jodorowsky al momento stesso dell’audizio-
ne, ma si avvalgono di un numero (limitato) di simboli fissi molto po-
tenti come ad esempio l’uso del miele per sottolineare che l’atto com-
piuto è fatto per riparare a un torto fatto o subìto, del latte per ripristi-
nare il collegamento con la madre, dell’argilla simbolo del corpo umano
in quanto materiale usato da Dio per creare suo figlio e così via. L’atto
psicomagico deve essere eseguito alla lettera, come un copione, pena
la mancata riuscita dell’atto stesso.
Complice l’esperienza, attualmente la procedura di lettura dei ta-
rocchi e suggerimento dell’atto da compiere è snella e immediata e si
svolge al tavolo di un bar (nel 2011, all’età di 82 anni, Jodorowsky è in
grado di compiere dalle 15 alle 20 letture di tarocchi in 2 ore), ma al
momento della sua nascita era più articolata.
Lo psicosciamanesimo invece è una vera e propria messinscena
durante la quale Jodorowsky, avvalendosi sempre di simboli ma anche
della comunicazione empatica e delle energie vitali di ognuno, cura il
corpo malato come facevano gli stregoni incontrati in Messico. La diffe-
renza sostanziale però sta nel fatto che sebbene sia gli stregoni che
Jodorowsky agiscano in una sorta di trance 220, ma i primi manipolano il
corpo del paziente e prescrivono medicinali casalinghi, mentre lo psi-
comago non entra mai in diretto contatto con il corpo del malato: tra-
mite i gesti, “finge” di manipolarne l’anima (o meglio, come spiega Jo-

220
Per Jodorowsky è una trance recitata, un’alterazione voluta al fine di attuare l’uscita dalla realtà
necessario per la realizzazione dell’atto panico; per i guaritori è una trance vera e propria, come
una possessione divina o demoniaca.

137
dorowsky, non l’anima, ma un secondo corpo immateriale, fatto di
energie, che sta intorno al corpo fisico). A proposito di questo, Jodo-
rowsky spiega:

L’educazione puramente razionale ci vieta di usare il corpo nel-


la sua completa estensione in quanto la pelle viene considerata
come il confine di noi stessi, e ci fa credere che sia normale vi-
vere in uno spazio limitato. […] Con ogni mezzo, appoggiandosi
a dottrine politiche, morali e religiose, ci fa disconoscere il po-
tere della nostra mente. […] La pelle non è la nostra barriera:
non esistono limiti. Gli unici limiti positivi sono quelli che ci ser-
vono, momentaneamente, per sottolineare la nostra individua-
lità, ma con la consapevolezza che tutto è collegato.221

Che si metta in pratica la prima o la seconda arte psicomagica, è


chiaro che il legame tra queste pratiche e gli effimeri è molto forte.
Sintetizzando enormemente, si può arrivare a dire che l’unica differen-
za tra effimero e psicomagia sta nel fatto che il primo è tutto ad opera
dell’agente/performer, mentre la seconda è mediata dalla presenza sa-
piente di Jodorowsky che dirige la teatralizzazione e indirizza gli agen-
ti/pazienti. Di conseguenza anche la presenza catartica della violenza è
fondamentale in entrambi i casi e, nell’atto psicomagico, la sua portata
è dimostrata dalla reticenza dei “pazienti” a fare quanto prescritto dal
tarologo:

Ci sono persone che impiegano un anno a spedirmi la lette-


ra 222; altre discutono, non vogliono fare quello che dico e si
mettono a mercanteggiare… […] Parlare in una forma così di-
retta all’inconscio significa esercitare su di esso una notevole

221
Alejandro Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 321.
222
La lettera con cui certificano a Jodorowsky di aver compiuto tutto l’atto nel modo più pedissequo
possibile e che costituisce il compenso dello psicomago.

138
pressione: si tratta di farlo ubbidire. […] Uscire dalle nostre dif-
ficoltà implica modificare profondamente la relazione con noi
stessi e con tutto il nostro passato. Date queste le premesse,
chi sarà veramente disposto a cambiare?223

Coerente con l’idea originale che l’arte debba curare, Jodorowsky


crea un metodo di arte della guarigione e conclude il proprio percorso
utilizzando l’arte proprio per il suo scopo basilare: risolvere i problemi
delle persone.

6.3. Componente teatrale della psicomagia

In cerca di un’azione positiva, ho lasciato perdere ogni attività


[…] e ho cominciato a praticare il teatro-consiglio. […] che ave-
va lo scopo di distruggere il personaggio con cui si era identifi-
cato (che andava a chiedere consiglio n.d.r.) per aiutarlo a ri-
stabilire il contatto con la propria intima natura. […] giunsi alla
conclusione che la finalità dell’arte fosse guarire […] e decisi di
associare nelle mie attività arte e terapia.224

Tutte e tre le attività psicomagiche che l’autore crea unendo arte e


terapia (tarologia, psicogenealogia e psicosciamanesimo) sono forte-
mente teatralizzate, ma presentano forme di realizzazione differenti.
La tarologia si basa sull’uso dei simboli delle carte divinatorie per
scavare nel passato del richiedente, ma quello che egli ottiene non è
una lettura del futuro, bensì un’analisi delle problematiche personali e
familiari da cui ne consegue un copione teatrale da eseguire alla lette-
ra e che serve a sublimare le frustrazioni che da tempo opprimono la
sua anima.

223
Alejandro Jodorowsky, Psicomagia, op. cit., p. 140.
224
Alejandro Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p.161 e seguenti.

139
Perché la presa di coscienza di un problema fosse davvero effi-
cace dovevo obbligare l’altro ad agire […] e gli prescrivevo del-
le azioni ben precise senza per questo assumermene la tutela o
diventandone la guida per tutta la vita. È nato così l’atto psi-
comagico, nel quale si coniugano tutte le esperienze che ho as-
similato nel corso degli anni […].225

L’atto psicomagico è solitamente una sequenza di azioni simboli-


che atte a sublimare le frustrazioni e in alcuni casi non è altro che l’or-
dine di eseguire una sorta di recita infinita: se ad esempio non esiste
atto psicomagico capace di trasformarci in una buona madre si dovrà
allora recitare per tutta la vita il ruolo della buona madre, finché que-
sta recita esasperata non riuscirà a sovrapporsi per sempre alla real-
tà 226.
La teatralità quindi consiste nella forza catartica che sottende al-
l’uso della potenza del simbolo e alla suggestione dell’esecuzione di un
ordine dato da un “guru”, per dare la possibilità all’agente/richiedente
di scatenare le proprie pulsioni represse e liberare la mente. Il concet-
to di base è molto simile a quello che nell’effimero panico sta alla base
della catarsi.
La psicogenealogia invece, oggi praticata durante le sedute di ta-
rologia solo come studio a tavolino dell’albero genealogico, era origina-
riamente una vera e propria drammatizzazione della famiglia del ri-
chiedente: con l’ausilio dei partecipanti alla seduta psicomagica, il
“protagonista” sceglieva gli “attori” e distribuiva ad ognuno le parti dei
membri della sua famiglia, di solito sulla base di somiglianze fisiche.

225
Ivi, p. 361.
226
Cfr. Par. 5.3.2 pag. 85.

140
Seguiva un’improvvisazione di dialoghi in un rituale di stampo assolu-
tamente drammatico:

Per curare la famiglia ho deciso di drammatizzarla. La persona


che la stava studiando doveva scegliere tra i presenti chi
avrebbe impersonato i propri genitori, i nonni, gli zii e le zie, i
fratelli e sorelle. Poi doveva collocarli in uno spazio determina-
to, in piedi, seduti, immobili su sedie oppure sdraiati (malati
cronici oppure morti), alcuni lontani e altri vicini, seguendo la
logica del suo albero. […] E poi doveva confrontarsi con ogni
“attore”. Rappresentando la famiglia in questo modo, come
scultura vivente, il ricercatore si rendeva conto che le persone
che aveva scelto “per caso” corrispondevano per molti aspetti
ai personaggi e avevano cose importanti da dirgli.227

Il richiedente improvvisava dei dialoghi con gli attori-familiari svi-


scerando tutti i nodi che avevano compromesso la sua serenità e la
maggior parte delle volte le risposte degli attori scatenavano dialoghi
liberatori in grado di risolvere problematiche sommerse da anni, libe-
rando finalmente il richiedente. In modo simile a quanto avviene nello
psicodramma moreniano228 vengono ripetute in modo teatrale scene
della propria vita per analizzarne le dinamiche sottese che, rivissute,
possono essere viste sotto un nuovo punto di vista e quindi risolte. La
teatralizzazione quindi in questo caso sta nel fatto che recitando quello
che è sommerso nella psiche lo si può guardare con distacco e addirit-
tura modificare la conclusione del “copione” vissuto, soddisfacendo le
proprie necessità frustrate.
Infine lo psicosciamanesimo, dal punto di vista formale, è la prati-
ca più vicina all’arte taumaturgica dei guaritori, ma non punta a opera-

227
Alejandro Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 361.
228
Jacob Levi Moreno, Psicodramma e vita, Rizzoli, Milano, 1973.

141
re il corpo organico del paziente, quanto piuttosto a mettersi in con-
tatto con la sua anima, con la proiezione del suo corpo nel mondo oni-
rico. Jodorowsky utilizzava questa pratica, fisicamente molto difficile
da realizzare e per la quale aveva sempre necessità di essere assistito
da suo figlio Cristobal, per risolvere nodi psicologici talmente forti da
essere sfociati in problemi psicosomatici difficili da trattare, come i tic
nervosi. Mettendosi quindi nei panni del guaritore e inscenando
un’operazione chirurgica simbolica Jodorowsky riesce a far cadere il
paziente in trance e quindi a trovare quali blocchi emotivi sono alla ba-
se del problema organico.
Per comprendere in fine la motivazione di Jodorowsky si può dire
che egli, sempre legato fortemente all’arte ma stufo della sua sterilità,
non voleva che essa fosse circoscritta entro i limitati confini di una de-
finizione, ma preferiva che essa si sprigionasse in ogni luogo e che il-
luminasse con la luce del caos tutto quello che era schiavo di leggi e
norme aprioristiche.
L’irruzione della vita nell’arte, meta tanto agognata dalla triade
panica, trova quindi qui finalmente il suo riscontro: nel tarocco, nella
psicomagia e nello psicosciamanesimo di Jodorowsky. Il metodo panico
continua a fare irruzione alla radice dell’essere, alla parte nascosta di
noi, alla nostra più profonda realtà psichica continuando a rimbalzare
tra l’arte e la vita, tra la vita e l’arte.

142
7. Cronologia
• 1958: Fondazione del Teatro de Vanguardia; Messico.

• 1959:Inizio della produzione degli effimeri panici; Messico.

• 1960: Prima riunione informale della triade panica presso il Café de la


Paix di Parigi; Francia.

• 1962: Nascita del Movimento Panico; Parigi.


Pubblicazione a Parigi delle Cinq récits paniques sulla rivista
surrealista «La Brèche», diretta da André Breton; Parigi.

• 1963: Conferenza di Fernando Arrabal presso l’Università di Sidney in


cui pronuncia il discorso intitolato L’homme panique, dove illu-
stra i principi base della teoria panica (possibilità, memoria e
confusione); Sydney.

• 1965: Messa in scena del trittico di effimeri Le groupe panique

présente sa troupe d'éléphants, composto da Cérémonie de la


femme nouvelle di Topor, Les amours impossibles di Arrabal e
Melodramma Autosacramentale di Jodorowsky; Parigi.

• 1967: Nascita della Producciones Panic casa di produzione cinemato-


grafica di Jodorowsky; Messico.

• 1970: Uscita dei primi due film panici: Viva la muerte di Arrabal e
Fando y Lis di Jodorowsky; Messico.

• 1971: Esce El Topo.

• 1974: autoespulsione di Jodorowsky dal Gruppo Panico.

143
8. Iconografia

144
145
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Bibliografia
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‣ Jacques Copeau, Nota per una conferenza ad Amsterdam, 21 gennaio 1922, in


Appels, Galimard, Paris, 1974

‣ Ante Glibota, Arrabal Espace, Editions de L’Amoureuse, Paris, 1994

‣ Jacob Levi Moreno, Psicodramma e vita, Rizzoli, Milano, 1973

‣ Frank Popper, Art, Action et Participation, l’artiste et la créativité, Klincksieck, Paris


1980

‣ Hans-Thies Lehmann, Le Théâtre postdramatique, L’Arche, Paris 2002

‣ Paolo Bosisio, Teatro dell’occidente, Led Edizioni Universitarie, Mialno 1995

‣ Naín Nómez, Poesía chilena contemporánea: breve antología crítica. Andrés Bello,
1992

‣ Ivano Gamelli, Sensibili al corpo, Meltemi, Milano, 2005

‣ Fernando Arrabal, La tour de Babel, Christian Bourgois Editeur, Paris 1976

‣ Fernando Arrabal, Le Panique, Union général d’éditions, Paris, 1973

‣ Alejandro Jodorowsky, Le theatre de la guérison, Albin Michel, Paris 2001

‣ Ante Glibota, Arrabal Espace, Editions de L’Amoureuse, Paris, 1994

Articoli e video
‣ Alejandro Jodorowsky, The goal of theatre, edited by Lawrence Ferlinghetti, City
Lights Journal n°3, City Lights Book, 1966, p. 72, 73

149
‣ Jacques Copeau, Nota per una conferenza ad Amsterdam, 21 gennaio 1922, in
“Appels”, Galimard, Paris, 1974

‣ Le Nouvel Observateur, n° 80, Paris, 25 maggio 1966, p. 28

‣ Philippe Krebs, Entretien panique avec Fernando Arrabal, 22 agosto 2003,


www.hermaphrodite.fr

‣ Intervista a Ferdinando Arrabal e Alejandro Jodorowsky. Origine sconosciuta


http://www.youtube.com/watch?v=LMQ1QRx7H-c&feature=results_video&playnex
t=1&list=PL67A70A9B564956D6

‣ Memoria hCilena
https://www.facebook.com/pages/Memoria-Chilena/128759210496506

‣ Balletto Nazionale Cileno http://ceac.uchile.cl/ballet-nacional-chileno

‣ Antonin Artaud http://www.youtube.com/watch?v=qhxbVaIN7KI

‣ Intervista a Jodorowsky e Arrabal


http://www.youtube.com/watch?v=LMQ1QRx7H-c&feature=results_video&playnex
t=1&list=PL67A70A9B564956D6

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Ringraziamenti

A conclusione di questo lungo percorso di ricerca e crescita ringrazio in-


nanzi tutto il Professor Roberto Tessari dell’Università degli Studi di Torino per
la fiducia accordata e per aver assecondato la mia voglia di esplorazione e il
Professor Marco Consolini dell’Université Sorbonne Nouvelle per il fondamenta-
le aiuto nella ricerca bibliografica. Après, je voudrais remercier Monsieur Ri-
chart Carrozza, assistent et ami de Monsieur Jodorowsky, de m'avoir aidé à
trouver des informations très importantes et pour avoir bavardé avec moi sur
le théâtre, l’art e la vie. Per essere riuscita ad affrontare con consapevolezza e
costante curiosità questo percorso non posso non ricordare sempre con grati-
tudine i Professori Laura Quarello, Sandro Zucchi, Maddalena Mazzocut-Mis per
avermi donato semi di conoscenza che sono stati difficili da piantare, ma fon-
damentali per percorrere questo cammino.
A tutta la mia famiglia: i miei genitori, per avermi sempre sostenuta e
mai condizionata. I miei zii e cugini, che con la loro attenzione nei confronti
dei miei progressi mi hanno fatto sentire che stavo facendo qualcosa di impor-
tante. I miei nonni, che non vedevano l’ora che arrivasse questo momento e
che sento essere tanto fieri di me.
Ai miei amici vecchi, nuovi e nuovissimi. Siete parte della vita che sto co-
struendo, indipendentemente dalla parte del mondo che avete scelto come ca-
sa. Alcuni ci sono sempre stati, altri li ho riscoperti per caso, altri ancora sono
arrivati all’improvviso. Non importano i vostri nomi, le vostre facce o il perché
siete importanti per me. Quello che conta è sapere che contate e capire che io
conto per voi, grazie. Merci à Milù, Valentine e Celia, mes colocataires e ami-
che. Senza di loro non avrei avuto alcuna possibilità di scrivere questa tesi.
Siete belle.
Un grazie speciale infine a Luca. Abbiamo fatto tanta strada insieme e mi
sei sempre stato vicino con amore, facendomi sentire quanta stima e quanta
fiducia hai nelle mie capacità. Ora che questo percorso si chiude, la cosa più
entusiasmante è sapere che ne inizierà un altro migliore, più sereno, più felice,
più stimolante: la nostra vita insieme.
Un viaggio è finito, sono pronta per ripartire.

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