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TESI DI LAUREA
ALEJANDRO JODOROWSKY:
PERFORMANCE, TEATRO E GUARIGIONE
Relatore: Candidata:
Chiar.mo Prof. Roberto Tessari Neva Ganzerla
Matr. n° 318201
2
Sommario
1.Presentazione 5
3
5.6.1. Trascrizione 107
5.6.2. Analisi 117
5.6.3. Commento 128
7.Cronologia 143
8.Iconografia 144
9.Bibliografia 148
4
1. Presentazione
La tesi che presentiamo parte da una base di ricerca personale in-
centrata sulla funzionalità creativa e comunicativa del dolore, inteso in
senso mentale, emotivo e fisico, con lo specifico interesse di verificare
in quali occasioni esso viene utilizzato e con quale scopo comunicativo.
All’interno della storia dell’arte visiva e teatrale, in particolare dell’ulti-
mo secolo, la tematica del dolore è stata ampiamente investigata e
applicata da parte degli artisti seppure con scopi e con modalità diffe-
renti e costituisce un filone di ricerca artistica che si manifesta in per-
formance teatrali, performance artistiche e produzioni di opere visive.
Tutti questi lavori testimoniano egualmente la potenza del dolore come
mezzo per comunicare ed è grazie ad esso che riescono a dare una
maggiore spinta nell’investigazione di tematiche politiche, sociali e psi-
cologiche.
Quello che ci interessa in questo lavoro è analizzare in particolare
come all’interno della teatralità di uno specifico drammaturgo l’uso del
dolore si leghi alle istanze comunicative del testo, come esso vada a
far parte della genesi della drammaturgia e della messinscena e che
tipo di reazioni sia capace di smuovere nel gruppo di fruitori a cui vie-
ne “somministrato”. Come caso esemplificativo si è voluto analizzare il
lavoro teatrale di Alejandro Jodorowsky (drammaturgo ma anche ro-
manziere, saggista, sceneggiatore, regista e tarologo 1) poiché, all’in-
terno della tematica del dolore, egli non è solamente interessato agli
effetti psicologici che esso ha su pubblico e attori, o all’utilizzo del do-
lore come strumento per veicolare messaggi, ma soprattutto egli ricer-
1
secondo la definizione fornita da Jodorowsky stesso, il tarologo si differenzia dal cartomante poiché
il primo esclude dalla pratica dei tarocchi le possibilità divinatorie, ma utilizza le carte come stru-
mento che attraverso l’uso di forti simboli e archetipi riesce a compiere un’indagine sul passato del
soggetto e a cogliere i nodi della sua esistenza che sono alla radice dei suoi problemi.
5
ca tramite l’esternazione del dolore (all’interno dell’esperienza teatrale)
di stimolare tutti i partecipanti (che siano attori o spettatori) a trovare
una soluzione a quegli episodi del vissuto che non hanno trovato solu-
zione e che continuano quindi a causare sofferenza.
L’autore infatti non limita la propria indagine all’interno del dolore
come status finito e limitato/limitante, all’analisi psicologica dei mec-
canismi di autodistruzione o di crescita interiore che esso causa, ma
attraverso l’esposizione e l’indagine su di esso, Jodorowsky dimostra
un preciso e personale scopo di trascendere dalla sofferenza per eleva-
re il soggetto al di sopra delle immobilità causate dalla sofferenza stes-
sa, sfruttando le possibilità rituali del mezzo teatrale per apportare del-
le effettive migliorie all’esistenza dello spettatore, dell’attore e dell’au-
tore.
Questo lavoro quindi parte da una ricerca biografica esisten-
zial-culturale dell’autore, al fine di indagare quale sia il bagaglio espe-
rienziale che ha partecipato alla sua formazione artistica; prosegue con
un’analisi della sua produzione artistica (teatral-rituale in primis) sof-
fermandosi sulle opere più esemplificative della nostra tematica di ba-
se; ricerca e analizza il rapporto tra poetica e mezzo di comunicazione
utilizzato; verifica quali effetti l’opera sortisce nel fruitore e descrive
infine l’allontanamento parziale dell’artista dal mezzo performativo
verso quello (radicalmente differente nella forma, ma identico nello
scopo) dell’audizione personale effettuata tramite l’uso dei tarocchi.
6
2. Il dolore: arte, teatro, performance
Cos’è il dolore? Una sensazione fisica? Un’emozione che vogliamo
allontanare? Il ricordo di un’esperienza non piacevole?
Il vocabolario della lingua italiana non ci è d’aiuto poiché offre due
significati ben distanti tra loro: “Sensazione spiacevole per effetto di
un male corporeo” e “Sentimento di profonda infelicità dovuto all’in-
soddisfazione dei bisogni, alla privazione di ciò che procura piacere, al
verificarsi di sventure”2. A dispetto però della dualità di significato della
parola dolore, l'esperienza personale ci insegna che esso non è mai un
aut-aut tra fisiologia e psicologia, bensì un fatto esistenziale, tipica-
mente umano, di cui tutti facciamo esperienza senza eccezioni, al pari
solo della morte.
“Ce n’est pas le corps qui souffre, mais l’individu en sono entier” 3
e infatti il dolore è determinato non solo da reazioni a fattori meccani-
co-biologici, ma soprattutto da reazioni emotive, intime e personali a
eventi negativi; “la douleur est d’abord un fait de situation” afferma
David LeBreton, “L’anatomie et la physiologie ne suffisent pas à expli-
quer ces variations sociales, culturelles, personnelles et même contex-
tuelle. La relation intime à la douleur dépend de la signification que
celle-ci revêt au moment où elle touche l’individu”4. Necessariamente
quindi tutti provano dolore in modo personale.
All’interno del quadro che ci porta a definire il dolore come “fait de
situation” risulta molto interessante constatare anche come il rapporto
tra dolore/sacrificio/punizione/assoluzione (tipico anche della cultura
2
da Il nuovo Zingrelli, Zanichelli Editore, Milano, 1991.
3
René Leriche, Chirurgie de la douleur, Paris, Masson, 1949, p.10.
4
«L’anatomia e la fisiologia non sono sufficienti a spiegare queste variazioni sociali, culturali personali
e allo stesso tempo contestuali. La relazione intima al dolore dipende dal significato che esso as-
sume nel momento in cui tocca l'individuo», introduzione ad Anthropologie de la douleur, David Le
Breton, Édition Métailié, Paris 2006.
7
cristiana) sia profondamente legato alla nostra cultura, insinuandosi
addirittura nelle nostre radici linguistiche 5; il dolore è di fatto spesso
considerato come mezzo per porre rimedio all’errore, come strumento
di purificazione, e questo ne aumenta notevolmente il carico emotivo
di matrice culturale che il dolore e il suo effetto intimo hanno sull’uomo
anche solo a livello inconscio. Infine il dolore non è mai un’esperienza
autoreferenziale, ma un processo che nel suo sviluppo personale in-
contra inequivocabilmente i processi di socializzazione 6.
Di fronte al variegato mistero del soffrire, le arti hanno trovato un
florido terreno di ricerca. La variabilità delle reazioni umane alla soffe-
renza psichica e fisica ha stimolato la creatività degli artisti di ogni se-
colo ed ha fatto sì che il dolore diventasse il mezzo di comunicazione
più efficace per veicolare i messaggi che si ritenevano di volta in volta
più urgenti. La maggior parte degli artisti si è però limitata a presenta-
re il dolore, ad analizzarlo, a trasmetterlo, ma difficilmente a darne
una consolazione. Dopo il dolore infatti è necessario che ci sia anche
una consolazione (fosse anche quella della morte) se si vuole arrivare
ad una efficace conclusione del processo di sofferenza/rinascita. Que-
sto elemento conclusivo è importantissimo per sfruttare appieno la ca-
pacità comunicativa dell’azione artistica, in quanto trasforma l’espe-
rienza dolorosa in un’occasione maieutica di crescita, e non viene in-
dagato pressoché da alcun artista.
Unico personaggio di spicco della scena internazionale a favorire
l’aspetto consolativo come conclusione del percorso doloroso è Alejan-
dro Jodorowsky, che attraverso l’arte e in particolare il teatro, cerca di
5
Nelle lingue indoeuropee, la parola pena si traduce in modi molto simili, aventi tutte la stessa radice
etimologia nel monosillabo sanscrito pûnya, ossia purificazione(pain in inglese, pein in tedesco,
pena in spagnolo, peine in francese, ποινή in greco, poena in latino e पीडा pīṛā in hindi).
6
Cfr. Michel Bousset, nella prefazione a Jean-Claude Sergent, Le Théâtre fou, Editions Tchan, Paris,
1982.
8
andare oltre l’esperienza dolorosa per aiutare il pubblico a trovare una
soluzione pratica al dolore. A patto però di sottostare alle non regole
del suo gioco teatrale.
2.1.1. Teatro
7
Cfr. paragrafo 2.1.2.
8
Cfr. Giulio Guidorizzi (a cura di), Introduzione al teatro greco, Mondadori Università, Milano, 2003.
9
Cfr. Aiace, Sofocle.
10
nell’accezione di “sofferenza”, “emozione”. In questa sede parleremo di πάθος in riferimento alla
volontà dell’artista di comunicare il dolore nella sua accessione intima, non fisica. Al contrario,
useremo il termine dolore quando si vorrà sottolineare anche il coinvolgimento del corpo.
11
nel senso di ἐµπάθεια, composto da ἐν, (in) + πάθος, (emozione). Inteso come capacità di immede-
simazione nelle emozioni altrui.
9
al fine di suscitare nel pubblico compassione12 per quanto avviene ai
protagonisti della pièce.
Il grande distacco da questa tradizione avviene agli inizi del Nove-
cento, quando i grandi avanguardisti e teorici della pratica teatrale, in
primis Antonin Artaud e Jerzy Grotowski, sradicano le cattive abitudini
da cui il teatro si era lasciato corrompere e promuovono il ritorno alla
verità dell’azione scenica, privata delle seduzioni mendaci in cui era
scaduto il realismo. Ribellandosi alla tradizione realista che aveva reso
il teatro un’esperienza banale e fasulla, una mera ripetizione artigiana-
le di un testo sterile e svuotato di significato, gli avanguardisti puntano
a creare una tecnica teatrale più genuina, dedicata completamente alla
costruzione di eventi teatrali che rispecchino un lavoro di ricerca co-
municativa pura.
Questo per Grotowsky si traduce in un percorso sacrale della tea-
tralità, noto come teatro povero: in una situazione creativa spogliata di
tutti gli orpelli che il teatro si era trascinato dietro fino a quel momento
(rituali sociali, macchinari scenici, costumi, luci ecc.) Grotowsky punta
a trovare nel solo corpo nudo, nella voce e nelle capacità fisiche degli
attori (dedicati ad esso totalmente, come i santi si dedicano alla pre-
ghiera, da qui la dimensione “sacra” del teatro di Grotowsky) la vera
essenza della creatività e del teatro stesso 13.
Anche per Artaud, grande ammiratore del teatro rituale balinese,
la creazione artistica deve partire da una necessità di spogliare la pra-
tica teatrale da tutto quello che la contamina. Egli però non si propone
di eliminare semplicemente il superfluo e di recuperare confidenza con
lo strumento fisico di cui l’attore dispone, bensì egli desidera rompere
12
dal latino di cumpatire, accompagnare una persona nella sua emozione, provando lo stesso senti-
mento.
13
Cfr. Jerzy Grotowski, Per un teatro povero, Bulzioni, Roma, 1970.
10
tutte le tradizioni che hanno reso il teatro una rappresentazione della
realtà, un “posto vuoto”, “nato morto”, privato della sua potente “vis
affermativa”. Secondo Artaud “È dunque necessario risvegliare […] il
teatro occidentale, declinante, decadente, negativo, per rianimare al
suo oriente la necessità ineluttabile dell’affermazione”14, una necessità
che è una forza invisibile permanente, una crudeltà che elimina la rap-
presentazione e permette alla vita di manifestarsi15.
Coerentemente con l’idea che il manifestarsi della vita sia un’atto
forte, necessario e crudele, il teatro di Artaud è fortemente legato ai
temi del dolore e della corporeità. Egli trova necessario infatti che per
assimilare appieno il messaggio dello spettacolo crudele a cui ha assi-
stito, lo spettatore debba fare esperienza dello sconvolgimento della
normalità e senza possibilità di sottrarsi dall’angoscia e dalla preoccu-
pazione che vorrebbe rifuggire ritornando alla normalità della vita di
tutti i giorni. Non però un’angoscia in grado di colpire la psiche dell’au-
ditorio, ma una forza dirompente che getta il pubblico in un panico che
trascende la mente e coinvolge le viscere. Un’angoscia sensibile, cor-
porea, troppo grande per essere razionalizzata e quindi diretta all’in-
conscio.
14
Jaques Derrida, nella prefazione a Antonin Artaud, Il teatro e il suo doppio, Einaudi, Torino 1968.
15
«Ho detto “crudeltà” come avrei detto “vita”», ivi, p. 228.
11
e la realtà di questa azione. Ogni spettacolo diventerà in que-
sto modo una sorta di avvenimento. Bisogna che lo spettatore
abbia la sensazione che davanti a lui si rappresenta una scena
della sua stessa esistenza, una scena veramente capitale.
Chiediamo insomma al nostro pubblico un'adesione intima e
profonda. La discrezione non fa per noi. Ad ogni allestimento di
spettacolo è per noi in gioco una partita grave. Se non saremo
decisi a portare fino alle ultime conseguenze i nostri principi,
penseremo che non varrà la pena di giocare la partita. Lo spet-
tatore che viene da noi saprà di venire a sottoporsi ad una vera
e propria operazione, dove non solo è in gioco il suo spirito, ma
i suoi sensi e la sua carne. Se non fossimo persuasi di colpirlo il
più gravemente possibile, ci riterremmo impari al nostro com-
pito più assoluto.16
16
Antonin Artaud, Il teatro e il suo doppio, op. cit.
17
Ivi, p. 200.
12
tà che trova il suo riflesso nella performance tipica delle arti visive e
che verrà anticipata e poi rifiutata da Jodorowsky durante il periodo di
messa in atto degli effimeri panici18 .
Similmente a ciò che avviene nel teatro, nella storia delle arti visi-
ve il dolore è rappresentato sia nella sua accezione di sensazione fisica
che morale ed esso viene utilizzato per lo più con lo scopo di smuovere
l’animo del pubblico; viene usato cioè per veicolare πάθος.
Il πάθος - la sofferenza emotiva contenuta e ciò che esso provoca
intimamente nello spettatore - è quindi pressoché l’unica sfumatura di
dolore utilizzata nell’arte e la rappresentazione grafica di un corpo e/o
di un animo sofferente è il medium sfruttato per trasferire al fruitore il
carico esperienziale del soggetto rappresentato. L’obiettivo è quello
mimetico di trasmettere una sensazione di sofferenza nel modo più fe-
dele possibile cosicché, empaticamente sofferente, il fruitore sia porta-
to ad estrapolare dall’opera solo un insegnamento, solitamente di na-
tura morale, religiosa o civile. In questo modo però gli sarà sempre
possibile tenersi a distanza emotiva, non partecipando fisicamente a
quanto visto, ma solo capendone la causa scatenante. Non ci si mette
nei panni di chi soffre soffrendo, bensì si capisce come tenersi alla lar-
ga dalla causa dello stesso soffrire.
Gli esempi che possono illustrare questo concetto sono numero-
sissimi e si ritrovano in ogni secolo della storia dell’arte figurativa: il
Laocoonte d’epoca romana, il Cristo incoronato di spine di Beato Ange-
lico (1450), La zattera della Medusa di Théodore Géricault (1819),
L’urlo di Edvard Munch (1893) o La famiglia di Egon Schiele (1918) per
citarne alcuni.
18
Cfr. capitolo 5.
13
Al di là del tipo di πάθος rappresentato (la morte imminente di un
uomo punito, il patimento del Salvatore, l’orrore della guerra ecc.),
nella maggior parte delle opere artistiche il dolore non viene utilizzato
per trasmettere un dolore fisico tout court, ma sempre uno status
emotivo non positivo, che esso prenda o non prenda origine dalla cor-
poreità.
Sebbene quindi il dolore sia raffigurato anche nella sua compo-
nente fisica, esso nell’arte non ha l’obiettivo di causare nel fruitore la
medesima sofferenza. Il πάθος quindi è solo lo strumento per trasmet-
tere un’idea, non un’occasione esperienziale. Questo almeno fino al-
l’avvento delle avanguardie e in seguito della body art e della perfor-
mance, quando il corpo non è più parte dell’opera d’arte ma diventa
supporto incarnato del lavoro dell’artista.
2.1.3. Performance
Nel XX Secolo, grazie alla fusione involontaria tra arte visiva e arte
teatrale legata alla nascita delle performing arts (già anticipate per
forma da Futurismo e Dadaismo 19), il dolore viene finalmente utilizzato
come sensazione della carne, come strumento di comunicazione per
esternare il dolore patetico irrompendo tramite il disgusto, il kitsch e la
paura, nell’emotività del fruitore che, subendo un’emozione negativa
accompagnata da un dolore fisico reale (quello autoinflittosi dal per-
former), capisce in modo più diretto lo struggimento dell’artista, del
suo corpo e della sua anima. O per lo meno questo è l’intento 20.
19
Cfr. Laurie Andreson prefazione a RoseLee Goldberg, Performance, l’art en action, Thames & Hud-
son, Paris 1999.
20
Capita a volte infatti che le performance falliscano nei loro intenti maieutici/educativi, perché giudi-
cate troppo “forti” per la sensibilità dello spettatore. Il pubblico infatti, ritrovandosi di fronte a
emozioni e immagini estremamente sconvolgenti che lo coinvolgono completamente e senza la-
sciargli il corridoio di fuga che è la razionalizzazione, reagisce semplicemente rifiutando lo spetta-
colo truce della performance, incapace quindi di sopportarne il carico emotivo e trovandosi costret-
to a battere in ritirata voltandosi dall’altra parte.
14
Particolarità della performance però non è tanto il suo carico emo-
tivo, quanto la sua caratteristica forma di teatralizzazione. L’artista
performativo infatti progetta e realizza l’opera esattamente come se
fosse il direttore artistico di una pièce teatrale artaudiana: un attore
non professionista (l’artista), uno spazio consacrato e non tradizionale
(il museo, la strada, un capanno abbandonato ecc.), il coinvolgimento
di tutti i sensi sia dell’attore che dello spettatore (suoni, grida, contatto
fisico con l’artista, odore del materiale utilizzato ecc.), nessun copione
verbale prestabilito né tantomeno il predominio del Logos sull’azione,
un coinvolgimento attivo del pubblico (spesso usato come complice per
la realizzazione dell’atto stesso), un messaggio ideologico da trasmet-
tere, una dimensione spazio-temporale irripetibile ed eccezionale 21.
Seguendo (consciamente o per fatalità) questi principi, le perfor-
mance degli anni ’60 e ’70 sono riuscite a ottenere la capacità di con-
taminare il πάθος e trasferire la sofferenza a livello fisico, coinvolgendo
il pubblico non più tramite la condivisione dell’emotività, ma trasmet-
tendo con lo stesso principio empatico, il vero dolore della carne.
Durante questo periodo - e tuttora - molti artisti hanno scelto la
strada della teatralizzazione dell’opera, mettendo il corpo al centro del-
la scena artistica e passando dallo status di visual artist a quello di
performing artist, titolo che li accomuna a molte personalità dello spet-
tacolo, una su tutte a Jodorowsky 22
, il quale con i suoi effimeri panici
ha teatralizzato in modo violento, simbolico e fortemente coinvolgente
il percorso che porta dall’analisi della propria gabbia di sofferenza alla
liberazione della mente e del corpo dalle catene del passato.
21
Cfr. Prefazione a Antonin Artaud, Il teatro e il suo doppio, op. cit.
22
ma anche il Living Theatre, l’Odin Teatret, il Bread and Puppet
15
2.2. A cosa serve il corpo dell’artista?
L’approdo delle arti all’analisi delle possibilità comunicative del
medium corpo deriva dalla necessità nuova, contemporanea, tipica-
mente novecentesca, di eliminare antichi strati di simbologie e subli-
mazioni che hanno ridotto la comunicazione a una serie di comporta-
menti codificati e misurati, socialmente tollerabili, privando il soggetto
della possibilità di esternare le proprie pulsioni, le proprie sofferenze,
rendendo così sconveniente e vergognosa l’espressione genuina della
propria sensibilità.
Il lento e progressivo abbandono degli schemi comportamentali,
delle maschere della falsa “civiltà”, delle strutture sociali convenzionali,
confluisce in una volontà della riappropriazione del sé estrema e ne-
cessariamente sanguinaria, poiché quando l’arte parla di libertà “il cor-
po costituisce uno dei luoghi in cui la rivolta sceglie di materializzar-
si” 23. Dopo secoli di repressioni della libertà, dell’inconscio e della di-
versità personale, gli artisti sfondano il muro che definisce il limite tra
cosa si può e cosa non si può e fanno vedere i propri incubi, infrango-
no i tabù che vogliono separare il pubblico dal privato e mettono in
mostra la loro sofferenza personale, cercando molto spesso di conden-
sarne tutto il significato in un gesto che per esprimere lo strazio vissu-
to strazia il corpo che l’ha custodito. È proprio elevando il proprio gesto
fisico personale a simbolo universale che gli artisti riescono a parlare al
pubblico e a coinvolgere in modo intenso l’emotività collettiva.
Come direbbe Artaud, la performance è un “atto di emanazione”,
un’occasione per scardinare le abitudini del pubblico attraverso il diso-
rientamento, il turbamento, l’aggressione, concentrando tutta l’atten-
zione sulla sofferenza fisica che è simbolo di una sofferenza interiore
23
In FAM, Nessun tempo, nessun corpo…, Skira, Milano, 2001, p. 19.
16
per troppo tempo celata e repressa. Come se per togliersi di dosso la
pelle del perbenismo e della “normalità” fosse necessario eliminare fi-
sicamente l’epidermide.
La teatralizzazione dell’evento artistico e, simmetricamente, la
trasformazione della teatralità in un rituale, utilizzano il corpo come
supporto e veicolo di un messaggio, come mezzo per realizzare l’atto
artistico e lo caricano di significato tanto da trasformarlo in significante
e accendendo la possibilità di uno scambio simbolico tra artista e pub-
blico:
24
Jean Baudrillard in FAM, Nessun tempo, nessun corpo…, op. cit., p. 28.
17
In alcuni casi patologici, il dolore fisico autoinflitto viene utilizzato
dal paziente psichiatrico per alleviare il dolore emotivo, “la nostra ac-
cettazione capacità (del dolore fisico n.d.r.) di porre termine alla paz-
zia è uno dei metodi con cui noi, consciamente o inconsciamente, ne
riconosciamo il potere di mettere fine a tutti gli aspetti del sé e del
mondo” 25. Il performer agisce sullo stesso piano: utilizza il dolore fisico
per eliminare il dolore intimo, vuole mettere fine a una pazzia, quella
della vittoria della razionalità sociale sull’espressione personale. Sullo
stesso piano lavora Jodorowsky con le sue performance teatrali: elimi-
nare la razionalità per riuscire a raggiungere la serenità di una vita che
sia la piena manifestazione della nostra personalità; supera però i suoi
contemporanei e cerca sempre di mantenere ben visibile all’interno
della liberazione dell’inconscio lo scopo ultimo dell’uomo: migliorarsi
per essere felice.
25
Elaine Scarry in FAM, Nessun tempo, nessun corpo…, op. cit., p. 34.
26
Cfr. Gina Pane, Azione sentimentale, 1973, performance presso la galleria Il diagramma di Luciano
Inga Pin, Milano.
18
la società maschilista postbellica 27, o per testimoniare il processo di
sofferenza causato dalla malattia28, dall’altra Jodorowsky, al contrario
cerca di superare la componente empatica del dolore e punta a bom-
bardare la sensibilità dello spettatore al fine di superare lo shock emo-
tivo e promuovere una riflessione su di esso che porti ad una crescita.
Jodorowsky infatti porta in scena simboli forti e immagini potenti
che possono parlare a tutti; tramite esse parla di sé e del proprio vis-
suto traumatico, dimostrando però che da ogni sofferenza può partire
una rinascita. Nel teatro di Jodorowsky quindi, il dolore non è fatto per
offendere la persona o per sottolineare la distanza tra il performer e il
pubblico, né si pone come testimonianza della superiorità emotiva del-
l’artista nei confronti della borghesia a cui si ribella, bensì è un gioco
assurdo in cui la sofferenza, la paura e l’angoscia esistenziale sono uno
stimolo a migliorare, una sorta di trampolino di lancio verso una nuova
consapevolezza di sé.
27
Cfr. Ana Mendieta, Untitled (rape scene), 1973, fotografia su carta, Tate Gallery, London.
28
Cfr. Hannah Wilke, Intra Venus, 1993, fotografie e video, conservati presso l’Hannah Wilke collec-
tion & archives, Los Angeles.
19
3. Alejandro Jodorowsky: biografia
L’analisi della biografia di Alejandro Jodorowsky è interessante, se
non addirittura necessaria, per capire quali tappe della vita dell’autore
abbiano segnato la sua formazione emotiva e artistica, sia nei primi
anni di vita che in età più adulta. Jodorowsky infatti non diventa uomo
di teatro per scelta o per casualità. Gli eventi della vita, quelli che lui
chiama danza della realtà, compongono il suo bagaglio culturale a poco
a poco, come tessere di un puzzle, e i suoi lavori in campo artistico
scaturiscono dal concatenarsi di esperienze che confluiscono le une
nelle altre.
[…] tra bambini più grandi che, non sapendo leggere con la mia
disinvoltura, divennero miei nemici. Tutti quei bambini […]
avevano la pelle scura e il naso piccolo. Io, discendente da
emigranti ebrei-russi, avevo un ingombrante naso curvo e la
20
carnagione bianchissima. Il che fu sufficiente a farmi sopran-
nominare Pinocchio e a impedirmi per sempre, con le loro bat-
tute, di indossare i calzoni corti. [...] per alleviare la drammati-
ca mancanza di amichetti mi rinchiusi nella biblioteca municipa-
le, [...] passavo ore a leggere […].29
29
A. Jodorowsky, La danza della realtà, Feltrinelli, Milano, 2001, p. 8.
30
Ivi, p. 21.
31
derivato dall’odio per il fratello Benjamín, omosessuale, che “vivrà in coppia con sua madre, dor-
mendo nello stesso letto, fino alla morte di lei”. Ivi, p. 36.
32
Ivi, p. 18.
33
“Non so se mio padre si fosse reso conto che buttandomi giù dalla finestra avevo tentato di suici-
darmi.” Ivi, p. 19.
21
vento odontoiatrico senza anestesia 34. Nonostante l’essersi sottoposto
a queste prove estreme, Alejandro non otterrà mai il tanto desiderato
affetto paterno e riuscirà a superare completamente la rabbia e il sen-
so di rifiuto solo dopo moltissimi anni, grazie al teatro e alla pratica
psicomagica 35.
L’ateismo fanatico di Jaime causerà in futuro gravi problemi ad
Alejandro anche a livello “metafisico”: trovatosi da ragazzo a fare i
conti con il mistero dell’al di là Alejandro è incapace di trovare la con-
solazione che i credenti imparano sin da piccoli e vivrà per oltre qua-
rant’anni con l’angoscia della morte 36.
Anche dal lato materno Alejandro è carente di gesti d’affetto:
I rapporti con l’unica sorella, maggiore di due anni, sono del tutto
inesistenti e i genitori trattano i due figli in modo sbilanciato: mentre
Alejandro vive da reietto all’interno del suo stesso nucleo familiare,
Raquel cresce come una principessa, viziata dal padre che nutre per lei
un affetto e una gelosia a tratti incestuosi38 , il che condanna Alejandro
34
Ivi, p. 18 e seguenti.
35
Cfr. Paragrafo 5.6.
36
Cfr. i A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 147 e seguenti.
37
Ivi, p. 27.
38
Ivi, p. 51.
22
nel ruolo di perenne intruso 39.
Il deserto affettivo-emozionale in cui cresce Alejandro è mitigato
dalle letture, dalla sua grande fantasia e dalla presenza di due figure
che si rivelano non solo importanti per l’equilibrio emotivo del bambi-
no, ma probabilmente anche per la sua futura formazione artistica:
Moishe e Cristina.
Moishe, secondo marito della nonna materna, fisicamente del tut-
to simile a Gandhi, sottopone il nipote a quello che si può definire un
atto psicomagico ante litteram al fine di evitare che il piccolo Alejandro
cresca violento come il padre:
[…] era lei a farmi le carezze che mia madre mi rifiutava. […]
Mia madre creava in me un bisogno affettivo dolorosissimo, […]
ma Cristina […] fu un balsamo per il mio cuore ferito.
[…]Saranno state le tre di mattina quando mi svegliai […]. Cri-
stina […] seduta sulla panchetta davanti al tavolo vuoto, muo-
veva le mani nell’aria delicatamente […]. Sembrava modellare
39
Ivi, p. 47.
40
Ivi, p. 16.
23
qualcosa […] non riuscii a trattenermi: “Cosa fai Cristina?” […]
“Quando Dio si è portato via mia figlio, la Madonna del Carmine
è venuta a dirmi: fammi una scultura d’aria. Quando l’avrai
terminata […] il tuo bambino […] si alzerà dalla tomba” 41
41
Ivi, p. 198 e 199.
42
Data presunta. Nei suoi romanzi autobiografici Jodorowsky non offre sempre precise coordinate
spazio-temporali.
43
Ivi, p. 29.
44
Ivi, p. 34.
45
Figura immaginaria con cui Alejandro è solito dialogare mentalmente, in realtà proiezione in terza
persona dei suoi stessi pensieri.
24
psicomagico:
46
Ivi, p. 36.
47
Ivi, p. 38.
48
Ivi, p. 39.
25
La poesia operò un cambiamento fondamentale nel mio modo
di agire. Smisi di vedere il mondo attraverso gli occhi di mio
padre. Mi era consentito tentare di essere me stesso.49
49
Ivi, p. 40.
50
Cfr. nota n° 30.
51
A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 43.
26
A pochi anni di distanza dalla presa di coscienza di aver vissuto
assoggettato ad un potere fasullo, Alejandro inizia un processo di libe-
razione dai vincoli familiari che dopo un decennio lo porteranno ad ab-
bandonare la sua terra d’origine per cercare l’affermazione oltreocea-
no.
Durante gli anni del liceo riesce a superare i limiti imposti dalla
famiglia e si libera in poco tempo del peso fisico e spirituale. Dimagri-
sce, raccoglie tutte le fotografie del suo passato e conclude lo sciogli-
mento dei legami familiari con quello che si potrebbe definire il suo
primo atto psicomagico:
Per le nozze d’oro di Jashe e Moishe […] rimasi seduto per ore,
senza mangiare, in un angolo del cortile ombroso […] accanto a
un grande tiglio […] a cui era appoggiata una scure. […] Spinto
da un impulso irrefrenabile cominciai a colpire il tronco […]
avevo scavato metà del tronco. Shoske, la mia prozia, strillava
inorridita […]. Uscii in strada e presi a correre respirando ebbro
di felicità. Sapevo che quell’atto terribile segnava per me l’ini-
zio di una nuova vita. E più precisamente l’inizio della mia
52
Ivi, p. 55.
27
vita.53
53
Ivi, p. 81 e 82.
54
Ivi, p. 83 e 84.
28
sfazioni personali e professionali, tra cui anche occasione di entrare
nell’Università di Santiago del Chile e inaugurare con i suoi pupazzi un
nuovo laboratorio teatrale.
I burattini furono un’enorme occasione di crescita per Jodorowsky,
per tre motivi: gli permisero di scoprire la sua vocazione teatrale, di
vedere in una luce diversa le tragedie familiari passate facendo tacere i
rimorsi e di capire il potere magico degli oggetti (quest’ultimo punto
sarà un caposaldo della terapia psicomagica):
55
Ivi,, p. 84 e 85.
29
tanza è l’incontro con la poetessa e giornalista Stella Díaz Varin56 e,
poco dopo grazie ad ella, con Nicanor Parra57, uno dei padri della poe-
sia ispano-americana.
56
Stella Díaz Varin: La Serena 1929 - Santiago 2006. Poetessa e giornalista cilena collaborò con il
Gruppo Generación del 50, gruppo artistico e letterario cileno.
Per approfondimenti cfr. http://ow.ly/8y69H
57
Nicanor Parra: San Fabian, Cile, 1914. Poeta, noto per il sue antipoesie, viene considerato uno dei
più influenti poeti ispano americani. È fratello della più famosa Violeta Parra, pittrice, poetessa e
cantante. A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 202.
58
Ivi, p. 89 e 90.
59
Ivi, p. 101.
30
Le “Feste dell’atelier” aprivano le porte a chiunque fosse disposto
a pagare con la “ragione” il biglietto d’ingresso. Per accedere al capan-
none bisognava infatti bere d’un fiato un quarto di litro di vodka, ma
non sborsare denaro.
60
Ivi, p. 102.
61
Ivi, p. 103, virgolette dell’autore.
62
Per approfondimenti su Enrique Lihn cfr. Naín Nómez, Poesía chilena contemporánea: breve anto-
logía crítica. Andres Bello, 1992.
31
letture del già citato Parra, di Pablo Neruda, Gabriela Mistral, Pablo de
Rokha e di Vicente Huidobro. Proprio quest’ultimo, durante una confe-
renza tenuta a Madrid in quegli anni, diede ai giovani artisti una gran-
de lezione di estetica che diede la svolta alla loro ricerca:
63
Huidobro in A. Jodorowsky, Psicomagia, Einaudi, Torino 1997, p. 32.
64
Invece di “mai”: pochissime volte. Invece di “sempre”: sovente. “Infinito”: estensione ignota. A.
Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 104 e seguenti.
65
Ivi, p. 104 e seguenti. Cfr. anche par. 2.2.
32
Cruciale per l’attuazione dello scarto tra poesia e atto poetico con-
creto è anche la lettura di Marinetti e dei futuristi. In particolare la fra-
se “La poesia è azione” convincerà Jodorowsky e Lihn a consacrare la
loro attività artistica alla trasformazione della poesia in atto fisico 66.
Negli anni in cui gli atti poetici prendevano una forma via via
sempre più definita e coerente (senza però perdere le iniziali caratteri-
stiche di volontà di denuncia, di risveglio delle coscienze e di trasfor-
mazione del poetico in realtà), Jodorowsky e Lihn compiono anche un
certo numero di errori di valutazione nella realizzazione degli atti stes-
si. A volte infatti le loro incursioni artistiche non sortiscono l’effetto de-
siderato (grottesco, divertente, generatore e liberatorio), ma al contra-
rio si rivelano dei veri e propri disastri che mettono a repentaglio la sa-
lute mentale delle persone e la vita di poveri animali67 .
La constatazione di questo limite dell’atto poetico porta i due a fa-
re un’onesta analisi della loro esuberanza creativa e giungono alla con-
clusione che ogni atto poetico deve essere ben valutato nelle sue con-
seguenze, quindi anche negli effetti collaterali che può causare, al fine
di prevenirli. Parallelamente elaborano un dogma che si ripeterà in tut-
ta la produzione artistica di Jodorowsky:
66
Cfr. A. Jodorowsky, Psicomagia, op. cit., p. 29 e seguenti.
67
Come quando rubarono gli arti di un cadavere o quando distrussero un formicaio. Cfr. A. Jodo-
rowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 108 e seguenti.
33
re la manifestazione in bontà e bellezza di energie creative soli-
tamente represse […].68
[…] una tecnica che usasse il corpo con intelligenza per fargli
esprimere una vasta gamma di sentimenti e di idee. 71
68
Ivi, p. 109.
69
ballerino e coreografo tedesco emigrato dalla Germania di Hitler in seguito al rifiuto di ottemperare
alle richieste delle autorità naziste di epurare dalla sua compagnia tutti i danzatori ebrei. Cfr.
Suzanne Klara Walther, The Dance Theatre of Kurt Jooss, Harwook Academic, London 1998.
70
Danzatore della compagnia di Jooss, in seguito fondatore de EL BANCH, Ballet Nacional Chileno. Cfr.
http://ceac.uchile.cl/ballet-nacional-chileno.
71
A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit. p. 123.
34
altri.72
72
Ivi, p. 123 e seguenti.
73
Cfr. par.3.3.
74
A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 125.
35
compagnia come sostituto del toni75 Chupete, il pagliaccio bambino.
Come con il burattini, indossare i panni del toni opera una strana
forza su Jodorowsky:
75
nome usato in America Latina per definire il pagliaccio.
76
A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 131 e seguenti.
77
Ivi p. 135.
36
elabora in questo periodo la sua resistenza al teatro imitativo e inizia a
fondere l’idea di arte come guarigione a quella di atto poetico, in aper-
to scontro teorico quindi con il teatro realista:
78
Ivi p. 141 e seguenti.
37
za, accompagnata anche dallo studio dei testi di Gurdjieff79 e di Gaston
Bachelard 80, lo segna profondamente ed è con questa esperienza che
Jodorowsky riesce sia ad affinare la sua tecnica che ad approfondire la
sua ricerca poetica:
79
Georges Ivanovič Gurdjieff (Alexandropol, 14 gennaio 1872 – Neuilly, 29 ottobre 1949) è stato un
filosofo, scrittore, mistico e "maestro di danze" armeno. Il suo insegnamento combina sufismo e
altre tradizioni religiose in un sistema di tecniche psicofisiche che cerca di favorire il superamento
degli automatismi psicologici ed esistenziali che condizionano l'essere umano.
80
Gaston Bachelard (Bar-sur-Aube, 27 giugno 1884 – Parigi, 16 ottobre 1962) è stato un filosofo del-
la scienza e della poesia francese. Epistemologo illustre, è autore di numerose riflessioni legate
alla conoscenza e alla ricerca. Nella sua opera fondamentale, Il nuovo spirito scientifico (1934),
Bachelard compie un superamento del dibattito tra empirismo e razionalismo, simile a quello teo-
rizzato da Popper.
81
A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 153.
82
tanto che dopo il suo successo il teatro Alhambra verrà ribattezzato Theatre Maurice Chevalier.
38
chiens a Samuel Beckett, de [son-of-a-bich]. Ont a lui insulté,
ont a insulté a moi, on m’ai vomit… Tout la critique, tout le
monde a dégénéré. Et ils aussi ont été tout rouges parce que
Beckett a eu le Nobel, a été un scandale. Je fais Jonesco, “Le
Roi se Meurt”… [Those shows lasted for several years, I did
about a hundred plays]: Adamof, Beckett, Ionesco, Strindberg
et cetera… On a fait tous de theatre de l'absurde, Arrabal…83
83
Intervista a Ferdinando Arrabal e Alejandro Jodorowsky. Origine sconosciuta
http://www.youtube.com/watch?v=LMQ1QRx7H-c&feature=results_video&playnext=1&list=PL67A70
A9B564956D6
84
A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 156.
85
Ivi, p. 157.
86
Cfr. par. 5.4.
39
ganizzazione e senza pubblicità, fino a quando all’inizio degli anni Ses-
santa lo scrittore e giornalista Juan Lòpez Monctezuma lo invita a rea-
lizzare uno dei suoi effimeri all’interno della propria trasmissione tele-
visiva culturale trasmessa su un canale nazionale. Durante un’intera
ora, non interrotta da spazi pubblicitari, Jodorowsky distrusse a mar-
tellate un pianoforte a coda e si crocifisse sui resti dando così inizio ad
uno scandalo di portata enorme che lo rese un artista maledetto.
A seguito di questa esperienza memorabile e soprattutto viste le forti
reazioni del pubblico, Jodorowsky focalizza la propria attenzione sulla
realizzazione di effimeri di portata maggiore, più complessi e fruibili da
un grande pubblico; colpito dalla eco causata sulla popolazione messi-
cana dall’effimero televisivo, riflette sulla possibilità di utilizzare questo
nuovo strumento teatrale per aiutare le persone a cambiare in meglio:
87
A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 161.
40
tutti coloro che si avvicinassero a lui per ricevere suggerimenti su co-
me migliorare la propria esistenza 88.
A seguito di queste esperienze formative, Jodorowsky approfondi-
rà per lo più la propria ricerca sul tema della guarigione, esplorando le
possibilità dell’inconscio e dell’applicazione dei principi teatrali al fine di
elaborare una metodologia specifica dell’uso del teatro e dei tarocchi
come sostegno della persona.
88
Cfr. par. 3.1.3.
41
za poiché ne era rimasto completamente affascinato 89 e questa fasci-
nazione si mantenne costante per tutta la durata della sua vita e lo
porterà negli anni a collezionare più di mille differenti mazzi di taroc-
chi, a conoscerne profondamente il significato, ad applicarli nelle prati-
che di guarigione e a restaurarne una versione francese (Le tarot de
Marseille)90 che tuttora utilizza nelle sue audizioni e che continua ad
insegnare a tutti coloro che vogliono intraprendere la strada della taro-
logia. Non è però solo Alejandro ad essere legato ai tarocchi: le carte
infatti fanno parte dell’eredità della famiglia già dai suoi nonni, in par-
ticolare da Aleksandr Prullansky, nonno paterno, che, secondo diversi
racconti familiari, teneva sempre la carta VII - Il Carro - nel taschino
della camicia, proprio sopra al cuore.
Il percorso formativo dello Jodorowsky tarologo parte quindi da
un’infantile infatuazione per la figura di un libro e negli anni giovanili
viene stimolato anche dall’incontro con Marie Lefèvre, una francese re-
sidente a Santiago che offriva gratuitamente al giovane poeta Alejan-
dro e ai suoi amici la lettura delle carte e un piatto di zuppa calda in
cambio delle loro chiacchiere.
89
A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 9.
90
Cfr. introduzione a A. Jodorowsky e M. Costa, La via dei Tarocchi, Feltrinelli, Milano, 2004.
91
A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 201.
42
ti alla generosità e all’amore senza limiti.92
92
A. Jodorowsky e M. Costa, La via dei Tarocchi, op. cit., p. 14.
93
A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 63.
43
I punti di rottura che lo conducono a questa conclusione sono
due: l’improvvisa presa di coscienza in età giovanile che nell’educazio-
ne tradizionale impartita dalla famiglia c’erano dei limiti fortissimi per
la personalità e una crisi spirituale in età adulta (la terza) che gli rivela
la necessità di legare arte e terapia.
94
Ivi, p. 76-77.
95
Ivi, p.161 e seguenti.
44
guendo le “operazioni chirurgiche” di Pachita, una guaritrice messicana
che operava in trance sotto la guida del “Fratellino”, l’incarnazione di
Cuauthémoc96 , l’ultimo imperatore azteco che si oppose all’occupazio-
ne spagnola di Tenochtitlán:
96
Cfr. A. Jodorowsky, Psicomagia, op. cit., p.111
97
A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p.232 e seguenti.
98
Ivi, p.236 e seguenti.
45
magico di Jodorowsky e forse anche la più famosa di tutto il Messico,
ma non fu la sola; Jodorowsky entrò infatti in contatto con moltissimi
altri guaritori, messicani in particolare, come Don Carlos Said inventore
del magico profumo “Sette Maschi”, il guaritore dei ricchi Don Ernesto,
l’indio huichol Don Toño, la medium Soledad e Don Rogelio, devoto di
San Luca Evangelista, solo per citarne alcuni99 .
L’insegnamento che Jodorowsky trae dalle sue magiche frequenta-
zioni, le ultime di stampo “didattico” dopo le quali si muoverà autono-
mamente nel modo della psicomagia, non è la convinzione che i guarito-
ri abbiano effettivamente dei poteri soprannaturali, quanto il concetto
che per modificare la propria salute, mentale e fisica, il primo passo è
quello di cambiare il proprio punto di vista. Quasi tutti i guaritori di fron-
te ad un fallimento infatti affermavano che la causa stava nel rifiuto del
paziente di voler guarire:
99
Cfr. Maghi, misteri, sciamani e ciarlatani in A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p.198.
100
A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 253.
46
risollevate le proprie finanze continuò, presso un caffè parigino, a pra-
ticare per quattro anni e gratuitamente le letture di tarocchi e, dopo
poco tempo, a ogni lettura Jodorowsky fece seguire un incontro pubbli-
co in cui commentava le letture eseguite, i maggiori testi spirituali e
alcune storie iniziatiche. Nacque così il Cabaret Mystique e la pratica
sistematica delle letture. Cabaret Mystique era uno spettacolo a metà
tra il teatro e la terapia di gruppo il cui scopo era quello di aiutare i
partecipanti a sviluppare una coscienza profonda e a migliorare il rap-
porto con loro stessi e con le altre persone. Basandosi sullo stesso
principio del riso beffardo che caratterizzava gli atti poetici di gioventù
o le feste paniche 101 egli cercava di accompagnare il pubblico attraver-
so il mistero della vita, provando ad essere una guida capace di svela-
re come abbattere la paura di vivere e portando così l’accettazione del-
la vecchiaia e della morte. Gli incontri del Cabaret Mystique si tennero
per moltissimi anni, fino a che l’età avanzata non ha obbligato Jodo-
rowsky a sospendere questo impegno per dedicarsi solo alle più legge-
re sedute di tarologia, tutt’ora in atto ogni mercoledì presso il Café La
Temerarie di Parigi.
101
Cfr. par. 3.1 e 5.5.1.
47
4. Il movimento “Panico”
Sebbene il lavoro di Jodorowsky sia noto principalmente per per le
sue produzioni in veste di cineasta e sceneggiatore di fumetti, è nel
teatro che la sua poetica affonda le proprie le radici ed è al teatro che
egli riconosce spiccate capacità terapeutiche.
Il movimento “Panico” è un contesto poetico e culturale di matrice
dadaista/surrealista all’interno del quale si sviluppa il pensiero teatrale
di Alejandro Jodorowsky, molto vicino alle performance dell’arte visiva
e all’happening che rese famoso il Living Theatre e da cui parte il suo
lavoro verso il teatro della guarigione. Per questa ragione è necessario
delinearne il profilo storico e analizzarne le caratteristiche.
102
Fernando Arrabal, Panique, Manifeste pour le troisième millénaire, Punctum, Paris 2006, p. 60/61.
103
Con Roland Topor e A. Jodorowsky, uno dei tre fondatori del Movimento Panico.
48
un solo movimento “Panico”, ma tre, uno per ogni componente dell’an-
ti-movimento (quello di Arrabal, quello di Jodorowsky e quello di To-
por104):
104
Topor però fu generalmente estraneo al teatro, dedicandosi per lo più al disegno.
105
Fernando Arrabal, Panique, Manifeste pour le troisième millénaire, op. cit., p. 208.
106
Cfr. Frédéric Aranzueque-Arrieta, Panique, L’Harmattan, Paris, 2008.
107
Fernando Arrabal, Le nouveau “nouveau theatre”, in La tour de Babel, Christian Bourgois Editeur,
Paris, 1976. Traduzione del redattore.
49
nel mondo dell’arte. Jodorowsky conosce Arrabal quando gli chiede di
poter mettere in scena il suo dramma Fando y Lis e Arrabal conosce
Topor in quanto ammiratore dei suoi disegni. Una volta riuniti capisco-
no velocemente la loro comunanza di orizzonti e intraprendono strade
parallele, seppur personali, tutti e tre accomunati dalla forza creativa e
distruttiva di Pan.
- Alejandro Jodorowsky
108
Intervista a Ferdinando Arrabal e Alejandro Jodorowsky. Origine sconosciuta
http://www.youtube.com/watch?v=LMQ1QRx7H-c&feature=results_video&playnext=1&list=PL67A70
A9B564956D6
50
niti, così come i predecessori e i fondatori di esso, la sua catalogazione
storiografica non è possibile.
Il Movimento Panico infatti non può essere definito un’avanguardia
storica. Questo sia per ragioni temporali (nasce più tardi, nel ’62) che
per mancanza di affinità con esse (non ha componenti definiti, né un
organo, né un manifesto ufficiale). Si può dire quasi con certezza che
“Panico” altro non è stato se non una parola utilizzata da tre autori in
testa o in calce ai propri lavori per segnalarne la genesi all’interno di
un confine condiviso. Condiviso ma non comune, in quanto i percorsi
individuali di Arrabal, Topor e Jodorowsky si sono realizzati in un gene-
rico accordo sulle linee teoriche della pratica artistica, ma ognuno con
particolari intenti, mezzi e motivazioni.
Anche a livello contenutistico, sebbene molte delle loro numero-
sissime produzioni fossero catalogate come “paniche”, un’effettiva co-
munione di contenuti è avvenuta solo in una fase limitata della loro
collaborazione, come se tre strade distinte per un momento calcassero
percorsi gemelli.
L’indipendenza delle singole menti fa parte intrinsecamente anche
delle necessità che spinsero i tre verso lo stesso orizzonte comune:
l’anarchia creativa che accompagnava le loro produzioni si era imposta
fin dall’inizio come condizione basilare di esistenza del “non-gruppo”
panico. Una contraddizione in pieno stile panico: per non essere un
gruppo si riuniscono e cercano di creare l’anarchia creativa.
Il Movimento Panico si autodefinisce anti-movimento principal-
mente perché la sola regola che prevede è quella di rompere le altre
regole (dell’Arte, delle società, dell’abitudine). Questa non dogmaticità,
necessaria per il gruppo è ben chiara nelle parole di Arrabal:
51
Tout le monde peut se dire «panique», se proclamer créateur
du mouvement, écrire «la» théorie panique.
- Fernando Arrabal110
Per comprendere in linea generale quello che sta alla base del Mo-
vimento Panico si può partire dall’analisi etimologica del suo nome da
cui si ricavano alcune informazioni su quali siano le radici culturali e ar-
tistiche che hanno guidato la sua genesi.
Panico deriva da:
109
Alain Schifres, Entretiens avec Arrabal, Pierre Belfond, Paris, 1969, p. 39.
110
in F. Aranzueque-Arrieta, Panique, op. cit., p. 9.
52
condamnation, d'excommunication, par trop fréquentes dans les
théories politiques et littéraires en général”111.
• Pan: dio greco metà uomo e metà capra che ben si presta ad essere
il portavoce del dualismo critico/generativo che muove il Movimento
Panico e tutta la cultura artistica degli anni ’60. Un misto di riso bef-
fardo e paura che ben illustra gli effetti ricercati dalle opere del Mo-
vimento Panico al fine di ottenere quella ”explosion de la raison” di
cui parla Arrabal.
- Alejandro Jodorowsky
111
Alain Schifres, Entretiens avec Arrabal, op. cit., p. 40.
112
Ibid.
53
Panico. Indefinibile movimento artistico che definisco con note-
voli differenze almeno una volta all’anno. Muta e trasmuta
giorno e notte, ieri e domani, fisicamente e spiritualmente.
113
In Antonio Bertoli, Panico!, Giunti Citylights, Firenze, 2010, p. 116.
114
Ivi, p. 117.
115
Intervista a Ferdinando Arrabal e Alejandro Jodorowsky. Origine sconosciuta
http://www.youtube.com/watch?v=LMQ1QRx7H-c&feature=results_video&playnext=1&list=PL67A70
A9B564956D6
54
nico, gli artisti partono da un bagaglio culturale vario che ha la sua
eredità sia in movimenti artistici recenti, come il Dada ed il Surreali-
smo 116 e radici più antiche. Soprattutto analizzando il lavoro di Jodo-
rowsky si deve tenere presente la notevole influenza della cultura co-
mica popolare derivata realismo grottesco caratteristico della festa di
epoca medioevale.
116
Arrabal subisce anche gli influssi del postismo, un movimento radicato in Spagna, ma non lo trat-
teremo in questa sede in quanto legato esclusivamente a questo autore e non agli altri due.
117
Guy Debord, La società dello spettacolo, Dalai Editore, Milano, 2001.
55
re dell’oggetto, ma all’ostentazione di esso all’interno della società, alla
spettacolarizzazione della proprietà e del possesso 118.
L’ideologia del consumo, derivante dal nuovo modello industriale e
sociale fordista/keynesiano propone nuovi miti sociali (del possesso,
del successo…) e mette in difficoltà la cultura accademica, ripercuoten-
dosi anche sull’arte. A causa del processo di industrializzazione della
produzione artistica infatti la figura dell’artista perde il suo prestigio e
la sua autenticità. Il progetto di emancipazione e di civilizzazione tra-
mite la cultura e l’educazione entra in crisi e gli artisti in questo perio-
do si ripropongono di combattere attivamente l’appiattimento culturale
e creativo in cui l’uomo moderno si sta perdendo.
La riflessione sull’Arte diventa così una più ampia riflessione sulla
vita e si prefigge come obiettivo la riconquista della funzione magica
del lavoro artistico dai meccanismi industriali e tecnocratici della socie-
tà moderna e irrompe sul versante politico opponendosi all’appiatti-
mento della classe borghese, limitata nella sua espressione dai dogmi
della società.
Come è facile intuire, la reazione degli artisti ai soprusi del mondo
fordista/borghese si manifesta con una forte carica polemica e con ci-
fre stilistiche accomunate in ogni caso da una grande violenza comuni-
cativa. Nell’arte, questa reazione investe il corpo, che diventa terreno
di scontro delle rinate necessità artistiche 119; anche nel teatro c’è una
visibile invasione di tematiche legate all'attualità ed alla politica e
sempre più spesso l’attività teatrale esce dai luoghi deputati per inva-
dere i luoghi della società addormentata e scuoterli dall’interno, tra-
sformandosi in performance o in happening. Come afferma anche Jo-
118 Secondo Debord “lo spettacolo è il capitale ad un tale grado di accumulazione da divenire imma-
gine”, in Guy Debord, La società dello spettacolo, op. cit.
119
Cfr par. 2.1.2 e 2.2.
56
dorowsky si risponde al bisogno di far uscire l’arte dai musei eciarla-
taini il teatro dal teatro 120.
In tutti i campi artistici si cerca la trasgressione delle regole, il su-
peramento dei limiti la totale libertà di esprimere (e di portare il pub-
blico a poter esprimere) la propria interiorità, il vero sé.
In questo clima di creatività (che si trasformerà verso la fine del
decennio in una vera e propria rivoluzione giovanile totale), ricerca e
rivolta, nasce il Movimento Panico.
120
A. Jodorowsky, «Tirar fuori il teatro dal teatro», in Antonio Bertoli, Panico!, op. cit., p.191/203.
57
zione dei vizi della società.
Dada puntava alla creazione della tabula rasa: un abbattimento
completo della storia, una rottura totale con la tradizione, una bomba
atomica sul passato per eliminare tutte le limitatezze e le costrizioni di
leggi pregresse stratificate di stampo “borghese” e reazionario. Il Sur-
realismo allo stesso modo rompe con il passato, con la storia prece-
dente, ma la sua opposizione al conformismo tradizionale restava co-
munque legata a interessi per le teorie antiche, specialmente sul ver-
sante filosofico (i Surrealisti apprezzavano molto sia pensatori del pas-
sato come Parmenide o Eraclito, che teorici più recenti come ad esem-
pio Hegel, Marx e Freud). Inoltre i Surrealisti si pongono apertamente
schierati sul piano politico (militarono per lo più nelle forze della sini-
stra non stalinista), mentre i Dada, nella loro tabula rasa, comprende-
vano ovviamente anche tutti gli schieramenti politici.
Già queste puntualizzazioni sono sufficienti per farci capire l’im-
possibilità di una “parentela” tra queste due correnti. Analizzando però
le tappe che portarono alla loro creazione si evince non solo che le due
si svilupparono in parallelo, ma anche che ogni affermazione che le
mette in rapporto di subordinazione temporale è totalmente errata.
Sebbene infatti il Dadaismo sia stato sempre correttamente identi-
ficato nel tempo e nello spazio 121, il Surrealismo viene traslato tempo-
ralmente troppo avanti e la data della sua nascita viene fatta coincide-
re spesso con la stesura del I manifesto, nel 1924. In realtà le prime
tappe della genesi surrealista sono da far risalire almeno a 10 anni
prima, tra il 1914 e il 1916, quando Breton legge quelli che veloce-
mente diventeranno i capisaldi della sua poetica: Rimbaud, Jarry, Apol-
linaire e Freud.
121
Cfr. però nota n° 122.
58
A testimonianza dell’assenza di parentela tra queste due correnti
c’è anche il carteggio tra Breton e Tzara del 1918 dal quale si evince
che non c’era alcuna reciproca influenza tra i due per il semplice fatto
che ignoravano entrambi quasi totalmente le attività artistiche e lette-
rarie reciproche 122.
Questa precisazione di natura storiografica è importante al fine di
sottolineare l’assenza di un confluire temporale e logico del Dadaismo
nel Surrealismo e quindi nel Movimento Panico. Quest’ultimo quindi
non è figlio del secondo e nipote del primo, ma è una creatura auto-
noma che trae la sua linfa vitale da entrambi i movimenti senza però
esserne dipendente, in un’anarchia panica che inglobò tutto quello che
le passava a tiro, soprattutto se si trattava di un’idea rivoluzionaria,
come in questo caso.
4.2.1. Il Dada
122
Cfr. «Correspondance inédite Breton-Tzara-Breton», in Michel Sanoillet, Dada à Paris, Cnrs, Paris
2005, p. 439-465.
123
ad essere precisi più però è necessario ricordare che in riferimento ai Dada di Zurigo il movimento
diventa in modo completo quello che noi conosciamo solo nel 1918, quando Tzara si unisce al
gruppo di Zurigo e pubblica il Manifeste Dada 1918. Prima di allora Dada è un movimento generi-
camente innovatore, poco differente dalle altre avanguardie storiche. Se invece ci riferiamo a tutte
le produzioni artistiche ascrivibili anche posteriormente a Dada, allora bisogna notare che i primi
exploit dello spirito si hanno già nel 1912, in occasione della pubblicazione a Parigi di «Maintenant,
prototipo di pubblicazione Dadaista». Cfr. Arturo Schwarz, dAdA e Surrealismo riscoperti, Skira,
Milano, 2009.
59
Con Dada infatti si può dire che niente è più vero:
124
Frederic Aranzueque-Arrieta, Panique, L’Harmattan, Paris 2008.
125
Si pensi al collage, tecnica tipicamente dadaista, fatta di sovrapposizioni quasi casuali di brandelli
di materiali differenti prima massacrati con tagli e strappi e poi ricostituiti in un nuovo ordine sor-
prendente e inaspettato.
126
Fred S. Kleiner; Christin J. Mamiya, Gardner's Art Through the Ages, Wadsworth Publishing, 2004.
127
Tristan Tzara, Manifesti del dadaismo e Lampisterie, Einaudi, Torino, 1990.
128
È a questo che si riferisce Laurie Anderson nella prefazione a RoseLee Goldberg, Performance, l’art
en action, op. cit. (Cfr. Nota n° 19).
60
Come anche il Surrealismo, Dada cerca di proporre una nuova fi-
losofia della vita, in contestazione non solo con la società, ma anche
con la stessa arte, nella misura in cui essa è sperimentazione formale
e specializzata dell’artista, un prodotto fine a sé stesso creato senza
una vera relazione né con la realtà né con l’arte in senso più generale.
Di conseguenza quindi, i due movimenti, sebbene ovviamente con
enormi differenze, non cercavano solo un rinnovamenti artistico, ma
puntavano ad una globale una rivoluzione culturale. È per questo che
dadaisti e surrealisti non erano movimenti esclusivamente pittorici, ma
artistici in senso allargato: poeti, letterati, drammaturghi e anche arti-
sti visivi partecipavano attivamente all’applicazione della poetica co-
mune.
Diversamente nei modi, ma come il Surrealismo, Dada puntava a
colmare lo iato tra arte e vita. È stato per fare questo Marcel Duchamp
ideò il Readymade, ossia la trasformazione dell’arte retinica (termine
con cui egli si riferiva alla pittura “imitativa”, realista o meno che fos-
se) in arte mentale, attraverso l’elevazione di oggetti della quotidianità
a opera d’arte solo grazie alla consacrazione dell’artista.
Per comprendere come questa operazione non fosse una banale
provocazione (come quella di emulatori successivi), ma il frutto di un
vero, originale pensiero creativo, Duchamp sottostava rigidamente a
quattro condizioni necessarie e molto precise di sua ideazione: lo
spaesamento decontestualizzante, la creazione di un nuovo nome per
l’oggetto eletto, la pianificazione dell’incontro con l’oggetto e la limita-
zione della scelta degli oggetti nell’arco dell’anno. Non la semplice ap-
posizione della firma su un oggetto trovato sotto mano quindi, ma un
vero rituale creativo.
In comune con Dada, il Movimento Panico condivide e mutua l’as-
sedio al dominio della realtà e il rifiuto dei divieti e delle norme che la
61
regolano. Entrambi cercano di abbattere le forme di autorità, gli inse-
gnamenti accademici, ma non in modo passivo, non come semplice ri-
fiuto, bensì attraverso un’attività interventistica e radicale sui meccani-
smi del potere pregresso, minando così la base stessa a fondamento
della cultura e delle istituzioni.
A differenza dei Dada però, che si limitavano a polemizzare (sep-
pur concretizzando la polemica in azioni artistiche) contro il modo di
vivere contemporaneo, il Movimento Panico cerca di andare oltre, di
superare il limite dell’assurdità della vita che era stato reso palese dal
susseguirsi delle due guerre mondiali129. Il Panico non si limita quindi a
sottolinerare il confine della vita demonizzandolo, aggredendolo come
fecero i Dada, ma cerca di andare attivamente fino alla radice dell’as-
surdo al fine di dividere gli estremi che si raggiungono oltre l’orizzonte
del visibile e che generano quel circolo vizioso che è la realtà.
129
Il Movimento Panico porta sulle spalle l’esperienza di entrambe le guerre mondiali, al contrario del
Dada che si estingue prima della seconda guerra mondiale.
130
Frederic Aranzueque-Arrieta, Panique, op. cit., p. 22.
62
Un désastre social si complet, un tel désordre organique, ce
débordement de vices, cette sorte d'exorcisme total qui presse
l’âme et la pousse à but, indiquent la présence d’un état qui est
d’autre part une force extreme et où celle-ci va a accomplir
quelque chose d’essentiel.131
4.2.2. Il Surrealismo
131
Antonin Artaud, Le théâtre et son double, Gallimard, Paris, pag. 39.
132
André Breton, Manifesti del surrealismo, Einaudi, Torino, 2003.
133
Antonin Artaud, Messages révolutionnaires, Gallimard, Folio, Paris, 1971, p. 9.
63
reazione quindi alle catene che ingabbiano l’essere e lo costringono a
rimanere sola apparenza.
Scandagliare quindi il corpo e l’anima per smettere di sottostare
alle regole innaturali della società per obbedire alle esigenze del pro-
prio Essere, ecco l’obiettivo del Surrealismo; un’esperienza intima che
diventa possibile attraverso un’Arte, non più considerata come bello
estetico, ma come strumento metafisico per sondare ciò che c’è al di
là134 , nel mondo onirico, invisibile e proibito del nostro spirito.
Allontanandosi dall’assoluta e costante negazione dei Dada, il
Simbolismo afferma non che la realtà sia falsa, ma che essa sia solo
contingente. Non è possibile per l’uomo vedere la realtà, ma una real-
tà, la propria, a patto ovviamente di cercarla. E per farlo il Surrealismo
esige che l’immaginazione prenda pieno possesso della creatività, che
sia scevra da regole e che trovi la sua realizzazione in un qualunque
tipo di linguaggio artistico.
La ricerca di esperienze inedite135 era per i surrealisti talmente ba-
silare che venne istituito addirittura un Ufficio di Ricerche Surrealiste
(diretto per il primo periodo da Antonin Artaud), i cui lavori venivano
pubblicati anche su riviste scientifiche e che presentavano un modo di
fare arte e di concepire l’estetica totalmente differenti dal solito, poi-
ché creati basandosi sui criteri di “scienza esatta”, un esercizio poi
molto praticato da Arrabal.
Il Surrealismo si proponeva come una rivoluzione, come la possi-
134
Il Surrealismo nasce contemporaneamente alla psicanalisi e ovviamente trae grande ispirazione
dalle teorie dei sogni di Freud. Sogni, metafore, simboli, pulsioni, desideri occulti. Tutto rifiorisce
quando ci si libera dei lacci della ragione e si inizia ad esplorare il mondo onirico. Cfr. Prologo in
Antonio Bertoli, Panico!, op. cit.
135
Ivi, p. 26: “Improvvisamente si scopre invece che basta allentare i lacci sempre strettamente an-
nodati della ragione e del controllo razionale per originare esperienze inedite, assolutamente po-
tenti sul piano individuale; che la mano e la bocca, la mente e il cuore, il corpo, se lasciati liberi,
originano ed esplorano mondi inauditi e inimmaginabili, dove finalmente l’essere umano si ritrova
senza vincoli e può dedicarsi alla costruzione della sua vera essenza ed opera, la sua vita”.
64
bilità di ottenere un mondo migliore con l’aiuto dell’immaginazione li-
bera.
Questa ricerca intima, unita alla costante riflessione filosofica che
ne consegue coinvolgendo sia il modus operandi che il campo di ricerca
personale dell’artista, affascinarono molto i fondatori del gruppo Panico
che ne frequentarono le riunioni dal ’60 al ’64:
136
Aranzueque-Arrieta, Panique, op. cit. p. 25.
65
una nuova ricerca, meno sclerosata su posizione dogmatiche.
Arrabal affermava di non sopportare “le côté vaticaniste et bol-
chevique du groupe surréaliste” 137, a Topor non erano mai piaciuti per-
ché li riteneva assoggettati al totalitarismo di Breton e Jodorowsky in-
vece accettava come artistiche anche manifestazione invise a Breton,
come la pornografia o la musica rock.
Indubbiamente però, il limite surrealista, anche prima dello scon-
tro tra “ortodossi e riformatori”, consisteva già da anni nel disequilibrio
tra componente filosofica e componente d’azione: mentre i primi sur-
realisti restarono troppo legati ad una matrice intellettuale, i secondi, e
di conseguenza anche il Movimento Panico, cercarono di andare al con-
creto e invertirono la marcia della sperimentazione surrealista; non più
la ricerca dell’assoluto, dell’arte, a partire dalla realtà contingente, dal-
la vita, bensì il contrario: utilizzare l’arte per intervenire sulla realtà. La
differenza tra i due gruppi sta proprio nella volontà di azione dei se-
condi e questo è lampante se si analizza il modus operandi del Movi-
mento Panico, in questo senso più vicino al Dada che al Surrealismo.
La differenza è evidente se si cita un episodio biografico di Jodo-
rowsky, la conversazione telefonica tra lui e Breton avvenuta in tempi
non sospetti, l’8 ottobre 1953 alle 2:40 del mattino, poco dopo dello
sbarco di Jodorowsky nella capitale francese:
- Oui? […]
- È André Breton?
- Sì. E lei chi è?…
- Sono Alejandro Jodorowsky e vengo dal Cile per salvare il
Surrealismo…
- Ah, bravo. Vuole incontrarmi?
- Subito!
137
Philippe Krebs, Entretien panique avec Fernando Arrabal, 22 agosto 2003, www.hermaphrodite.fr
66
- Adesso no, è molto tardi, sono già a letto. Venga a casa mia
domani a mezzogiorno.
- No, non domani, adesso!
- Glie lo ripeto: non è l’ora delle visite. Venga domani e mi farà
piacere chiacchierare con lei.
- Un vero surrealista non si lascia guidare dall’orologio. Adesso!
- Domani!
- Allora mai! 138
- Fernando Arrabal139
[We broke off with surrealism] parce que Breton avait crée une
respectabilité surréaliste que on voulait dépasser. Lui voulait
pas de la science fiction, il voulait le fantastique, le poétique. Il
n’aimait pas le rock, […] Il n’aimait pas ce que fait le monde.
138
A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 151.
139
Fernando Arrabal, La Pierre de la folie, Maelstörm, Bruxellex, 2004, p. 121.
67
Le surréalisme a devenu un petit bourgeois incroyable.
140
Intervista a Ferdinando Arrabal e Alejandro Jodorowsky. Origine sconosciuta
http://www.youtube.com/watch?v=LMQ1QRx7H-c&feature=results_video&playnext=1&list=PL67A70
A9B564956D6
141
Antonio Bertoli, Panico! op. cit., p. 94.
142
Alejandro Jodorowsky in ivi, p. 134.
68
per un breve periodo (circa un decennio) hanno un comune cammino
all’interno del quale in ogni caso, anche se va delineandosi un “movi-
mento”, non vi è e non vi sarà mai un corpus concettuale unico, piutto-
sto una serie di azioni individuali che si realizzano su uno sfondo co-
mune. Il punto di incrocio fra i tre consiste quindi esclusivamente nella
pratica dell’esercizio panico o “pan-estetico” in cui arte e vita si mesco-
lavano in un’unica soluzione totalizzante, pan-ica, appunto.
Sebbene il punto di unione fra i tre artisti sia mutevole, sfuggente
e variegato, ben più chiaro è il loro tratto dissonante, che ci appare
ancor più chiaro se non si trascende dalla provenienza sociale e cultu-
rale dei tre artisti.
La profonda differenza infatti tra Jodorowsky da un lato e Arrabal
e Topor dall’altro non è frutto dei loro studi teorici o della tipologia del-
l’arte che padroneggiavano (teatro, scrittura e disegno), ma deriva più
anticamente dal loro background d’origine.
Arrabal e Topor sono dei “normali” europei avanguardisti che por-
tano sulle spalle l’eredità di secoli di evoluzione della cultura e quella
dell’esperienza di due guerre mondiali, sono figli di una comune storia
continentale, la loro sensibilità si nutre della medesima eco di secoli di
storia pregressa, di filosofia e di scienza 143.
Il loro forte legame con l'avanguardia europea viene stravolto dal-
l’arrivo di Jodorowsky, che proveniente da un continente nuovo, con
una storia e delle esperienze decisamente diverse sia sul versante so-
cio-politico che culturale:
143
Non è un caso infatti che ad esempio Arrabal provi tutt’ora a stilare manifesti del Movimento Pani-
co lasciandosi sedurre dagli strumenti tipici delle stesse avanguardie da cui aveva preso le mosse.
69
l’assoluta necessità ed impellenza di realizzazione.
La poesia, l’arte, sono davvero nella vita di Jodorowsky, e la
vita è davvero un’opera d’arte, anzi la più grande la più vera,
unica opera d’arte. Ciò che fa incontrare Jodorowsky, Arrabal e
Topor è esattamente ciò che li farà separare poco più tardi e ne
costituisce a tutt’oggi la distanza enorme.144
144
Antonio Bertoli, Panico! op. cit., p. 95.
145
Filippo Tommaso Marinetti, «Manifesto futurista», in Giordano Bruno Guerri, Filippo Tommaso Ma-
rinetti, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2009.
146
Antonio Bertoli, Panico! op. cit., p. 97.
70
rimbalza costantemente dall’arte alla vita e viceversa, dall’una all’altra,
senza sosta né pentimenti né rimpianti”147.
La ricerca della nuova coscienza panica, intesa come modo di pen-
sare e quindi di vivere artisticamente/panicamente, parte dall’abban-
dono delle convenzioni dualistiche, approda al crollo delle strutture
storiche e mentali e dalle rovine della ragione spicca il volo verso una
nuova dimensione autentica dell’esistenza.
Sintetizzando quindi, possiamo affermare con Bertoli che:
147
Antonio Bertoli, Panico! op. cit., p. 104 - 105.
148
Ivi, p. 127.
149
Alejandro Jodorowsky, «Metodo Panico (1963-66)», in ivi, p. 142.
71
teatrale panico di Jodorowsky avviene hic et nunc, è definito (più che
limitato) nel tempo e nello spazio e non è replicabile, è effimero; si
contrappone quindi alla drammaturgia di Arrabal, che in quanto dram-
maturgia è votata alla replicabilità della rappresentazione.
150
Cfr. Carl Gustav Jung, prefazione a I Ching Il libro dei mutamenti, Adelphi, Milano, 1995.
72
completezza panica del mistero della vita e quindi la possibilità di solu-
zionare i problemi.
È all’interno di questa nuova realtà possibile e con l’obiettivo di
raggiungere la realizzazione che agisce l’uomo panico: non le scelte
estetiche e artistiche stanno alla base delle azioni paniche di Jodo-
rowsky, ma tutte le scelte possibili. Per Jodorowsky, agire panicamente
significa ristabilire tutte le istanze al medesimo momenti, conciliare la
brutalità e la leggerezza, la danza e la zoppia in un tutto che è in gra-
do di ridarci la nostra vera essenza, la nostra totalità sopita.
La liberazione dalle limitazioni della ragione non è ovviamente un
ritorno allo stato di natura, ma un'elevazione ad un grado superiore di
coscienza, in cui godere di tutte le possibilità della vita. Questa nuova
capacità però non può essere raggiunta se non con sofferenza: liberar-
si dalle abitudini irrazionali è possibile solo all’interno di uno status di
minaccia, di terrore causato proprio dalla stessa simultaneità dei con-
trari che dopo averci fatto cadere ci eleva.
73
5. Il teatro di Alejandro Jodorowsky
All’interno del mondo “panico”, Alejandro Jodorowsky si pone sia
come teorico che come uomo di teatro completo. Regista, attore e
drammaturgo, è nel clima creativo, caotico, contraddittorio e libero de-
nominato Movimento Panico che elabora i suoi atti teatrali, le sue
drammaturgie più rappresentative e le teorie poetiche che sono con-
fluite successivamente in opere teatrali contemporanee, come ad
esempio La scuola dei ventriloqui, o l’Opera Panica, di impianto più
tradizionale, ma comunque fedeli allo spirito “panico” dei primi lavori.
Nell’epoca delle frequentazioni con Arrabal, Topor e i Surrealisti,
Jodorowsky elabora la pratica dell’effimero panico, una tipologia sceni-
ca originale - affine all’happening, ma lontano da esso per dichiarazio-
ne stessa dell’artista - che gli permetterà di gettare le basi del teatro
della guarigione e delle teorie psicomagica e psicosciamanica.
L’epoca della rappresentazione degli effimeri panici termina con il
Melodramma Autosacramentale del 1965, ultimo e più completo effi-
mero della carriera di Jodorowsky, che è la summa e il momento più
alto di tutta la teoria panica propria dell’autore, a seguito della quale
l’impianto teatrale di Jodorowsky subirà un cambio di rotta tale da al-
lontanarlo da questo tipo di azioni teatrali per dedicarsi, come abbiamo
detto, a drammi di impianto più tradizionale e alle letture psicomagi-
che.
74
sciamanica della guarigione ritualizzata ad opera di santoni tipici delle
tradizioni popolari ancestrali latinoamericane. A seguito di queste mol-
teplici esperienze, l’applicazione di teorie e pratiche non convenzionali
all’interno dell’attività artistica si pone per Jodorowsky come “una co-
stante ricerca dell’uno con tutti e dell’uno in tutti”, in pieno spirito pa-
nico, come afferma Bertoli151 commentando il seguente passaggio:
151
Alejandro Jodorowsky in Antonio Bertoli, Panico! op. cit., p. 56.
152
Ibid.
75
si) di Jodorowsky è quello di accompagnare l’aspirante uomo panico in
questo percorso di abbandono della quotidianità, per poi lasciarlo avvi-
cinarsi autonomamente all’illuminazione. Come afferma infatti l’autore
a proposito del cinema, ma riferendosi in realtà a tutte le sue produ-
zioni:
153
Ivi, p. 57.
154
ricordando però che “Non proclamiamo l’irrazionalità, ma la de-razionalizzazione, il dissolvimento
di una ragione nell’esistenza”. Alejandro Jodorowsky, «Metodo Panico (1963-66)», in ivi, p. 144.
155
Ivi, p. 57.
76
Jodorowsky vuole esagerare, strappare gli abiti borghesi della mi-
sura e della compostezza e quindi eliminare il falso ego, la personalità
deformata della razionalità della vita quotidiana, per vivere l’esistenza
appieno con arte, creatività e autenticità.
77
nique a besoin d’une logique qui procède par élimination des
possibilités. Les multiples principes de cette logique peuvent
être contradictoires, cependant, le Panique les affirme en
bloc.156
156
Alejandro Jodorowsky in Fernando Arrabal, Panique, Manifeste pour le troisième millénaire, op.
cit., p. 66.
157
Cfr. par. 5.3.1.
158
Alejandro Jodorowsky in Fernando Arrabal, Panique, Manifeste pour le troisième millénaire, op.
cit., p. 66.
78
ne tra arte e vita, recuperando l’autenticità dell’esistenza. Trasgredire
le regole della logica, della ragione e della morale sarà quindi un pas-
saggio necessario per l’uomo panico, ma dovrà essere effettuato all’in-
terno di un rituale che altri non è se non la festa. Jodorowsky quindi
crea il metodo panico ascrivendo la libertà d’azione entro i limiti della
gestualità rituale, creando così il concetto di effimero panico. Panico
perché inserito nella logica di eliminazione delle possibilità e effimero
perché realizzato nei limiti temporali della sola festa panica (più avanti
vedremo anche che questo risponde a criteri di non riproducibilità del-
l’atto effimero).
Sintetizzando, si può dire che il metodo di Jodorowsky è fondato
su tre capisaldi: la teatralità, ovvero l’azione espressiva esemplare di
corpo e voce; l’arte, la componente magica che permette di superare i
limiti della logica e della ragione; la festa, una particolare situazione
limitata nel tempo e nello spazio entro cui è possibile scardinare i tabù
grazie al sacrificio della ragione159.
159
“Everywhere a sacrifice involves a feast and a feast cannot celebrated without a sacrifice.” in
Sigmund Freud, Totem and taboo, International Library of Psychology, Rutledge, London, 1999, p.
134.
79
messinscena precedenti, Jodorowsky recupera lo spirito greco del far
teatro e ripropone nei suoi lavori il concetto di καθαρσις, di liberazione
dallo status di sofferenza, tramite l’esperienza (in questo caso “pani-
ca”) del teatro. La sua concezione teatrale infatti continua a seguire i
principi di simultaneità, contraddizione e immaginazione propri del Mo-
vimento Panico, ricalcando quindi il fondamentale principio della ricer-
ca di tutte le soluzioni possibili al fine di trovare un miglioramento fe-
condo per il proprio status, ma arricchisce il suo pensiero approfon-
dendo il concetto di “utilità” della soluzione.
Jodorowsky afferma che nel cercare una sola soluzione al proble-
ma, la soluzione che nel momento contingente può rivelarsi (non per
forza erroneamente) quella più utile, non facciamo altro che innescare
una catena di nuovi problemi collegati tra loro dallo stesso rapporto di
causa-effetto che stiamo cercando di scardinare. Ragionando infatti
secondo il principio aristotelico, nell’analisi di un problema si valutano
solo le caratteristiche contingenti di esso, momentanee, quindi la solu-
zione più logica sarà contingente perché ricalcherà i rapporti causali
che hanno generato il problema e di conseguenza sarà necessariamen-
te la più limitata proprio perché bloccata entro il limiti della realtà
temporanea. Una volta che il problema subirà le modifiche a cui è sog-
getto per il solo fatto di esistere all’interno della realtà quotidiana e
mutevole (o come direbbe Jodorowsky, di essere soggetto alla danza
della realtà), la soluzione trovata, prima così perfetta e logica, non
avrà più alcuna connessione con la realtà e ci troveremo di nuovo alla
disperata ricerca di un’alternativa plausibile alla soluzione “scaduta”.
È in questo modo che si crea la continuità dei problemi che ci af-
fligge, senza mai lasciarci la speranza di trovare l’uscita.
80
sendo cambiata la situazione, smette di essere utile. L’impor-
tante è la soluzione utile, non quella che la ragione trova
“vera”.160
160
Alejandro Jodorowsky, Tutto il teatro, Giunti Citylights, Firenze, 2008, p. 20.
161
Ivi, p. 20-21.
81
riore possibile solo grazie alla componente magica del teatro, alla sua
irrazionale profondità.
162
Ivi, p. 21.
163
Ivi, p. 21.
164
Ivi, p. 20.
82
5.3.2. Poetica
Finora il teatro non ha trovato i suoi veri mezzi di espressione
[…] ha copiato, in modo rudimentale, la filosofia, la politica e la
teologia. Questa confusione proviene dal fatto che il teatro è
considerato una ”arte” e viene pertanto attribuita ad esso la
“durata” delle altre arti. Quelli che fanno teatro si sono sempre
irritati per il carattere effimero del proprio lavoro e per l’impos-
sibilità di una rappresentazione scenica perfetta. […] Riunendo
gli elementi di una messinscena si ottiene sempre un risultato
diverso per ogni rappresentazione. Gli sforzi per creare un ce-
rimoniale che possa essere ripetuto con precisione meccanica
sono stati accompagnati da un sotto-testo di “errori”. Gli inci-
denti che sempre appaiono come ombre, e contro i quali la
gente di teatro combatte perché li considera “imperfezioni”, un
malinteso che fa loro ignorare l’essenza reale del linguaggio
teatrale, il quale è
LA PROVOCAZIONE DEGLI ACCIDENTI
Il teatro dovrebbe basarsi su quelli che fino ad ora sono stati
chiamati a “errori”: l’accidente effimero. Accettando il suo ca-
rattere effimero, il teatro scoprirà che è proprio questo caratte-
re ciò che lo distingue da qualsiasi altra arte. Tramite questa
accettazione, arriverà alla sua essenza. Le altre arti lasciano
pagine scritte, registrazioni […] Il teatro, al contrario, non deve
durare più di un giorno nella vita di un uomo. Con la sua nasci-
ta avviene anche la sua morte. L’unica traccia che deve lasciare
è quella che imprime negli esseri umani e si manifesterà in essi
tramite un cambiamento psicologico. Se l’obiettivo delle altre
arti è creare delle opere, l’obiettivo de teatro è cambiare diret-
tamente gli uomini. Se il teatro non è una scienza della vita,
non è un’arte.165
165
Alejandro Jodorowsky, The goal of theatre, edited by Lawrence Ferlinghetti, City Lights Journal
n°3, City Lights Book, 1966, p. 72, 73. Traduzione del redattore.
83
Secondo queste parole contenute in uno scritto intitolato “Lo sco-
po del teatro”, Jodorowsky puntualizza tre concetti che sono fonda-
mentali per comprendere appieno la base poetica che muove il suo
teatro: la crisi della parola di matrice artaudiana (cfr. par. 2.1.1),
l’estemporaneità e non riproducibilità dell’azione teatrale e, infine, il
legame tra rappresentazione teatrale e vita, sotteso a entrambi.
Il teatro di Jodorowsky, ispirato - tra le altre - dalle teorie artau-
diane, è concepito come luogo della differenza: poiché quello che av-
viene all’interno dell’azione teatrale, volenti o nolenti, è di fatto una
rappresentazione della realtà, l’autore tenta di esasperare le sue azioni
sceniche e drammaturgiche fino a raggiungere il limite massimo della
finzione e quindi anche il limite massimo della realtà. In pratica Jodo-
rowsky, distruggendo artaudianamente il linguaggio, il lavoro tecnico
dell’attore, la prossemica, la prassi scenica e perfino l’edificio teatrale
in sé medesimo, costringe la magia della vita ad entrare nell’hic et
nunc teatrale contaminando la falsità della rappresentazione con l’au-
tenticità della vita. Nella logica jodorowskyana, poiché il progressivo
formalismo tecnico ha reso sterile la comunicazione teatrale, l’estre-
mizzazione shoccante di questa formalizzazione e al contempo la sua
distruzione premeditata riusciranno a riaccendere la comunicazione. O
detto con le parole di Bertoli:
84
esce a darsi per davvero. Il teatro è il luogo della differenza. 166
166
Antonio Bertoli, Panico! op. cit., p. 91.
167
Fernando Arrabal, Panique, Manifeste pour le troisième millénaire, op. cit., p 86.
168
nel trattare l’effimero non esistono le figure teatrali della prassi scenica tradizionale, quindi per
semplificazione chiameremo agenti tutte le persone che agiscono all’interno di esso.
169
Antonio Bertoli, Panico!, op. cit., p. 92.
85
che la sua manovra di liberazione dalla struttura razionale non è volta
ad affermare l’irrazionalità (“Nous ne somme pas pour l’absurde. Nous
ne somme pas des fanatiques de l'absurde, nous ne somme pas des
fanatiques du mystère, nous ne somme pas des soldates de la confu-
sion” afferma infatti anche Arrabal170), ma piuttosto la de-razionalizza-
zione: il dissolvimento di una ragione esistente contrapposta quindi al-
la logica aristotelica, responsabile della creazione di una forma del
pensare affatto “concettuale”, centro delle mire distruttive del Panico.
Secondo Jodorowsky continuare ad affermare i fatti e a catalogarli se-
condo le regole della logica significa perdere di vista ciò che veramente
accade intorno a noi, ossia non riuscire a cogliere il costante muta-
mento dell’essere in relazione alle reazioni emozionali che l’interiorità
scatena di fronte agli avvenimenti della vita. Catalogare, analizzare e
razionalizzare la vita significa depauperarne la potenza onirica e quindi
intraprendere un cammino opposto a quello dell’uomo panico, un
cammino che difficilmente ci condurrà alla trasformazione della vita in
autenticità.
Come scrive Jodorowsky:
170
Intervista a Ferdinando Arrabal e Alejandro Jodorowsky. Origine sconosciuta
http://www.youtube.com/watch?v=LMQ1QRx7H-c&feature=results_video&playnext=1&list=PL67A70
A9B564956D6
171
Alejandro Jodorowsky, «Metodo Panico (1963-66)», in Antonio Bertoli, Panico! op. cit., p.146.
86
della scrittura drammaturgica fissa e preconcetta e l’abbandono del
linguaggio tradizionale fanno parte della necessità di estemporaneità
del teatro panico, passaggio fondamentale nella comprensione del me-
todo. Jodorowsky sottolinea enormemente l’aspetto di finitezza tempo-
rale dell’atto panico e ne fa uno dei capisaldi della propria realizzazione
artistica in nome del legame che deve instaurarsi tra la vita e l’arte. La
promozione dell’accidente a componente fondamentale del teatro è
giustificata dalla convinzione di Jodorowsky che tutto ciò che è imper-
fetto è umano ed è quindi grazie alla messa in scena dell’umanità, al-
l’accettazione dell’impulso intimo e alla liberazione dalle briglie della
razionalità che si può arrivare ad un livello di coscienza superiore, mi-
gliorando quindi il proprio status. Per spiegare la necessità dell’effime-
ro, Jodorowsky si oppone al concetto di perpetrazione della memoria
che da secoli l’uomo razionale cerca di raggiungere con le proprie azio-
ni. Secondo quanto scritto in Metodo Panico172 , il desiderio dell’uomo di
rimanere, per opere o per fama, impresso nella memoria collettiva ab
aeterno è il frutto dell’affermazione di un io individualista e materiali-
sta che è causa stessa dell’immobilità dell’essere: cercando di essere
ricordato attraverso simboli precostituiti e riconosciuti universalmente
dai posteri, l’uomo si priva della possibilità di allargare i limiti della co-
scienza e avanzare verso il futuro. La memoria (concetto affatto inviso
ad Arrabal) è un’àncora indissolubile gettata sul passato, sull’immobili-
tà e sull’impossibilità di crescere ed è per questo che l’uomo panico
deve liberarsene per vivere la vita in autenticità e non nell’imitazione
di linguaggi e simboli che continuano a perpetrare gli errori accumulati
nei secoli passati (concetto che condivide anche nel metodo del teatro
consiglio, basato sulla psicogenealogia, la tecnica che permette di libe-
172
Alejandro Jodorowsky, «Panico e pollo arrosto (1964)», in ivi, p.173 e seguenti.
87
rarsi dei propri blocchi mentali analizzandone la genesi e la ripetitività
perpetrata all’interno del nucleo familiare). Per vivere e agire in modo
panico bisogna eliminare quindi la memoria, agire nei limiti dell’hic et
nunc e rielaborare in ogni momento un linguaggio originale e persona-
le che sia l’affermazione della propria sensibilità e non la reiterazione
di emozioni ereditate dal passato.
Al fine di procedere lungo il percorso di scoperta dell’autenticità
della vita quindi, gli strumenti che il metodo panico ci chiede di usare
per scoprire la nostra natura panica devono essere coerenti con essa,
ovvero tutte le azioni paniche devono essere un tentativo di estremiz-
zazione della realtà e quindi degli episodi dell’esistenza personale che
come tali sono definiti nello spazio temporale; di conseguenza, così
come tutte le esperienze umane sono finite e irripetibili, anche l’azione
panica teatrale deve essere tale: un breve, intenso e unico atto com-
piuto che, come un’evento che ci ha cambiato la vita una volta per tut-
te e che ci ha condotto ad un nuovo stato mentale, scuota e risvegli la
parte sopita del nostro animo; l’effimero infatti è un’epifania che ci in-
troduce in un nuovo periodo dell’esistenza, più consapevole e più au-
tentico.
Come spiega Bertoli:
173
Ivi, p. 99.
88
Quello che ne risulta da queste basi è che per poter realizzare nel-
l’individuo un cambiamento radicale della percezione della realtà e di
se stesso tale da permettergli di raggiungere il nuovo status di “uomo
panico” è possibile solo dentro e per mezzo di un atto extra-ordinario
come solo l’effimero teatrale è.
174
Huidobro in A. Jodorowsky, Psicomagia, Einaudi, Torino 1997, p. 32.
175
Cfr. par. 3.1, p. 31.
89
utilizzare il valore simbolico delle azioni teatrali e aumenta il contenuto
psicologico/emozionale delle sue performance, dando maggior atten-
zione agli effetti che le rappresentazioni potevano avere sul pubblico;
gli atti poetici vanno così via via delineandosi come performance, come
veri e propri effimeri panici.
La maggior parte degli effimeri veri e propri viene realizzata in
Messico a partire dal 1959, a seguito della decisione di Jodorowsky di
non far rientro in Francia dopo la conclusione delle tournée americane
di Marceau a cui aveva preso parte 176
. In Messico, paese magico per
Jodorowsky, egli pone le basi per fondare una nuova compagnia tea-
trale, con l’obiettivo di mettere in scena le proprie idee registiche spe-
rimentali. A questo scopo fonda nel 1958 il Teatro de Vanguardia e con
esso realizza molte produzioni teatrali, ma non è con una compagnia
che sperimenterà gli effimeri, bensì con persone comuni, in locali qual-
siasi, solitamente prestati da conoscenti.
L’effimero era come una grande festa aperta a tutti in cui la libertà
espressiva personale era la vera protagonista. La discrezione con cui
venivano organizzati e realizzati i “rituali” era garantita dalla totale as-
senza di pubblicità e di recensioni sulla stampa locale e la mancanza di
legami con la burocrazia statale riusciva mantenere la feroce censura
messicana alla larga dagli effimeri, altrimenti di certo bloccati e con-
trastati dalle autorità (gli eventi erano completamente gratuiti e la
forma “privata” in cui si svolgevano non richiedeva che venissero ri-
chieste autorizzazioni; la gratuità inoltre faceva sì che la loro realizza-
zione sfuggisse alle briglie dello stato).
Prima della creazione del Gruppo Panico nel 1960, Jodorowsky
realizzò almeno 27 effimeri e la loro notorietà in America Latina fu tale
176
Cfr. par. 3.1, p. 39.
90
che all’autore venne richiesto di realizzarne anche al di fuori del terri-
torio messicano. L’esperienza degli effimeri terminò nel 1965, quando
Jodorowsky, da tempo in contatto con Arrabal e con Topor a seguito
della messinscena di Fando y Lis, decise di tornare definitivamente in
Francia e lì presentò l’unico effimero europeo, ultimo della sua carriera
teatrale.
Solitamente l’effimero non si realizzava seguendo un canovaccio
prestabilito, ma Jodorowsky offriva, a chi volesse farlo, i mezzi per in-
scenare un desiderio segreto, una creazione frustrata, un feticismo
vergognoso, qualunque cosa fosse libera espressione del proprio esse-
re. Alcuni esempi:
177
Alejandro Jodorowsky, Tutto il teatro, op. cit., p. 442.
91
pornografico, sempre per evitare problemi con la censura), la distru-
zione delle barriere dell’educazione borghese e del pudore, ma anche e
soprattutto la potenza catartica dell’uso ragionato della violenza.
Quello che Jodorowsky vuole esprimere con l’atto effimero è
un’evoluzione di quello che aveva già intuito con la realizzazione del-
l’atto poetico:
È questa intuizione che genera gli effimeri: degli atti che scuotono
le basi della percezione, che mettono in discussione la realtà e che si
manifestano come l’esplosione positiva delle energie:
178
Alejandro Jodorowsky, Psicomagia, op. cit., p. 38.
179
Ibid.
92
manifestazione complessiva di una ribellione cieca.180
180
Ibid.
93
sta nella positività necessaria dell’effimero: l’agente è sì collegato ai
propri fantasmi e orientato verso l’apertura dei cancelli dell’anima, ma
la detonazione della violenza repressa è orientata su un percorso di
creazione, di crescita, di raggiungimento di uno stato mentale, psicolo-
gico ed emotivo più elevato. La forza dell’ombra deve muoversi verso
la luce e non trascinare verso l’abisso.
181
Ivi, op. cit., p. 47.
94
misura in cui esso è una cifra stilistica che meglio aiuta a comprendere
il suo teatro sia dal punto di vista dell’attuazione del happening/per-
formance che nel suo uso del paradosso e della risata beffarda che
svela il mistero della vita. Fortemente legato al carnevale, il realismo
grottesco è effettivamente una manifestazione di Pan, in quanto ecce-
de i limiti, rompe le regole, investe tutti gli strati della società e si ma-
nifesta nella forma della festa popolare.
In arte il grottesco è uno stile decorativo di derivazione classica 182
caratterizzato principalmente da ibridazione e anarchia. Sebbene nelle
decorazioni romane si trovasse solo in forma di ornamento architetto-
nico, il grottesco viene usato appieno, come tematica, nella pittura
fiamminga del XVI secolo, specialmente nei lavori di Hieronymus
Bosch. Nelle sue opere si trova la società reale, ma trasformata e ibri-
data in modo che non possa più essere decifrata secondo una chiave
razionale ed emozionale. Si vede il reale ma non lo si può capire: i
quadri di Bosch in cui enormi uccelli mangiano uomini, preti e prostitu-
te convivono, piante ed esseri umani mescolano le loro caratteristiche
morfologiche in un caos illogico che non riflette le gerarchie sociali a
cui si è abituati; il paradosso che si scatena nella simultaneità dei con-
trari evoca nei fruitori un misto di riso e orrore, di inquietudine
panica.183 La follia di queste trasfigurazioni ha un unico scopo, del tut-
to condiviso dal Movimento Panico: gettare un nuovo sguardo sul
mondo.
I punti più importanti del realismo grottesco (riso, tempo, corpo e
paradosso) si ritrovano simmetricamente nelle opere paniche di Jodo-
182
Le decorazioni grottesche erano utilizzate nell'antichità e dopo il ritrovamento di queste decorazio-
ne nella Domus Aurea di Nerone (1480), sotto pretesto della imitatio antiquitatis, vennero ripropo-
ste.
183
La certezza dell’ispirazione che il gruppo Panico ha tratto dalla la pittura di Bosch è comprensibile
già dal fatto che una delle più famose opere di Arrabal (La pietra della follia ) porta lo stesso nome
di una delle più famose opere di Bosch (Estrazione della pietra della follia).
95
rowsky ed è quindi necessario conoscere la potenza di questi elementi
per decifrare le opere dell’autore.
Riso
96
fissati dalla fisiologia per aprirsi al mondo onirico. Nella festa grottesca
medievale così come nel teatro panico il corpo non è mai un corpo rea-
le: i caratteri sessuali o alcune parti del corpo sono aumentati in modo
sproporzionato e simbolico, l’umano è innestato con l’animale o con il
vegetale, il sopra e il sotto si scambiano, la deformità diventa accetta-
bile ed è fondamentale per scatenare il riso grottesco. Non è più un
corpo in cui identificarsi, ma un corpo universale in cui riconoscersi
contemporaneamente tutti nell’uno e ognuno in tutti in un paradosso
collettivo.
Paradosso
All’interno del travestimento carnevalesco, come nella performan-
ce panica, le gerarchie sono rimosse, i personaggi si rapportano tutti
sullo stesso piano e non esiste organizzazione sessuale, anagrafica o
sociale. I preti si accompagnano alle prostitute, le figlie corteggiano i
padri, le coppie non sono legate da vincoli legali o religiosi, i morti
possono vivere nuovamente e tutto si svolge nell’anarchia gioiosa della
festa. Grazie alla maschera che cela l’identità quotidiana e che elimina
la posizione sociale (maschera carnevalesca per la festa medievale,
maschera attorale per la rappresentazione panica) gli istinti e le pul-
sioni possono essere simbolicamente soddisfatti e l'illiceità è legittima-
ta dalle non-regole della festa, i valori qualitativi di positivo e negativo
sono annullati, l’impossibile diventa possibile in un clima affatto alieno
alla quotidianità.
Concludendo, possiamo dire che nelle performance del teatro pa-
nico si attua nuovamente ciò che avveniva nella festa grottesca del
carnevale medievale. In questa situazione estranea alla quotidianità è
possibile dare alle persone una possibilità di rigenerarsi, di liberarsi
dell’oppressione vissuta tutti i giorni e si crea un organismo sociale
unico in cui spettatori e attori si abbracciano in un solo corpo universa-
97
le di cui ridere e le convenzioni sociali sono rimosse.
A ben vedere esiste solo una differenza tra carnevale medievale e
festa panica: la presenza del dolore come componente della perfor-
mance. La festa medievale era una liberazione totale, un crogiolo di vi-
zi messi in atto, una festosa anarchia capace di lambire le ferite della
condizione sociale dei partecipanti, mentre la festa panica ha il preciso
scopo di guarire le ombre che le persone reprimono mettendole alla
luce, obbligando i partecipanti a prenderne atto e dando infine la pos-
sibilità di guarirsi.
184
Alejandro Jodorowsky, Psicomagia, op. cit., p. 44.
185
Fernando Arrabal, Panique, Manifeste pour le troisième millénaire, op. cit. p.89.
98
L’esperienza teatrale diventa quindi una porzione di vita in co-
stante metamorfosi che nasce, si trasforma, muore e rinasce conti-
nuamente, diventando così una metafora della vita e uno specchio del-
l’esistenza quotidiana. Libero da tutti i dettami della tecnica accademi-
ca e della tradizione artistica, il teatro panico si ribella necessariamen-
te all’opposizione attore/spettatore e per realizzare la comunione espe-
rienziale tra i due partecipanti dell’atto scenico deve necessariamente
liberarsi della struttura preconcetta dell’edificio teatrale stesso, uscen-
do all’aperto:
186
Ivi, p.88.
99
(il teatro di strada) certamente non è un genere inteso in senso
tradizionale con forme e stilemi codificati […] (ma è) un feno-
meno che porta alle estreme conseguenze la crisi architettonica
del teatro, che si reinventa di volta in volta gli spazi per tornare
agli inizi, alla parata […] che si sparge oltre l’orizzonte della pa-
rola letteraria, rinnovando i gesto e dilatando le potenzialità del
corpo e della voce. […] (una necessità muove quest’arte, ossia)
La convinzione […] che il teatro di strada, più di ogni altra for-
ma scenica, assomigli alla vita, vi aderisca, ne abbia i palpiti, le
speranze e la fatica; che passi attraverso i muri delle vie e del-
le piazze che diventano circo e arena e festa, che sia lo stesso
alito di vita che anima le quotidiane vicende umane delle quali
sono stati testimoni. […] questo microcosmo che è il teatro di
strada contiene […] briciole di vita e quindi frammenti della
storia dell’Uomo.187
187
Fabrizio Cruciani, Clelia Falletti (a cura di), Promemoria del teatro di strada, Edizioni TEATRO TA-
SCABILE - Bergamo / TEATRO TELAIO - Brescia, Brescia, 1989, p. 5 - 6
188
Fabrizio Cruciani, Clelia Falletti (a cura di), Promemoria del teatro di strada, op. cit., p. 12
189
Jacques Copeau, «Nota per una conferenza ad Amsterdam», 21 gennaio 1922, in Appels, Gali-
mard, Paris, 1974, p. 274
100
no delle forme di linguaggio teatrale, un linguaggio teatrale che trova
nella libertà espressiva la propria cifra stilistica e nella nuova situazio-
ne spaziale un nuovo motore per la drammaturgia.
190
da Alejandro Jodorowsky, Psicomagia, op. cit., p. 51: “Negli Stati Uniti, nell’ambito degli happe-
ning, era frequente abbandonarsi a una sorta di orge collettive, durante le quali i partecipanti an-
davano avanti ad accarezzarsi mentre fumavano marijuana. In numerose occasioni sono stato in-
vitato a feste di questo genere a New York o in altri luoghi, ma ho sempre declinato l’invito perché
mi sono reso conto in fretta che si trattava di vicolo cieco. In definitiva, tutto ciò si traduceva in
una forma di pornografia occulta. Ebbene, la pornografia non è costruttiva, ma distruttiva: sotto
un’apparenza di libertà, quello che in realtà ci propone è una nuova forma di schiavitù.”
101
concorso alla definizione dei tratti somatici dell’effimero panico e, in
effetti.
Degli happening come trattati dalla teatrologia attuale, una delle
esperienze più significative nella formazione di questo genere fu cer-
tamente Untitled Event di Cage/Cunningham realizzato in un college
americano nel 1952. Durante questa sperimentazione, il pubblico - po-
sizionato al centro dello spazio - fa un’esperienza di “sincronicità” delle
cinque arti fuse in un unico elemento in cui esse, pur partecipando ad
un evento globale, mantengono fortemente la loro individualità espres-
siva. Sulla scena di Untitled Event si vedono contemporaneamente il
musicista David Tudor suonare il pianoforte da un lato dello spazio
scenico, il pittore Robert Rauschenberg azionare una victrola 191 davanti
ad un’esposizione dei suoi stessi quadri, Cage leggere alcuni brani trat-
ti dai testi tradizionali del buddismo zen, i poeti Charles Olson e Mary
Richards recitare i loro versi e Merce Cunningham danzare occupando
la scena e fungendo da legame a tutti gli altri elementi fissi. Ogni
membro del gruppo realizzava autonomamente la propria esibizione,
ma la fusione sincronica e lo sviluppo diacronico delle cinque singole
arti rendevano possibile fare esperienza di una sesta arte totale, collet-
tiva.
In questa prima esperienza, come nelle successive realizzazioni di
happening, l’esperienza teatrale/artistica esce dai luoghi ad essa tradi-
zionalmente deputati e pian piano invade gli atelier, poi le gallerie d’ar-
te e tutti gli altri luoghi, per riversarsi infine in strada. Questo sposta-
mento aggredisce lo spettatore, il quale vede il suo spazio invaso da
un mix esplosivo di ibridazioni e convivenze artistiche e non è in grado
di affrontare questa potenza comunicativa. La nuova forma del fare
191
Fonografo incassato in un mobile di design realizzato a partire dal 1906 dalla casa discografica
Victor.
102
teatro pone quindi un problema di natura teorica del tutto nuovo, che
mette in discussione non solo l’idea di spazio teatrale, ma lo stesso
fondamento del teatro: il principio di riproducibilità:
- Salvador Dalì192
192
in Le Nouvel Observateur, n° 80, Paris, 25 maggio 1966, p. 28.
193
Cfr. Alejandro Jodorowsky, Tutto il teatro, op. cit. p. 18.
103
ne supera la semplice demistificazione del linguaggio e della logica
espressiva già esplorate da Ionesco e Beckett), la critica contenuta ne-
gli happening quindi non investe una sola particolare tematica, ma è
tutta l’intera struttura sociale ad essere messa sotto esame. La diffe-
renza fondamentale tra le esperienze precedenti e il lavoro dell’happe-
ning teatrale o della performance visuale sta nel fatto che i nuovi arti-
sti non cercano di creare solo un nuovo linguaggio scenico o un nuovo
metodo di comunicazione, ma puntano a rivoluzionare lo statuto del-
l’arte stessa trasformandola in uno strumento di critica socio-culturale.
Di conseguenza quindi l’happening/performance comprende la tra-
sformazione in azione fisica di un punto di vista intimo e personale
talmente ampio e complesso che non può essere espresso con in tradi-
zionali mezzi artistici, ma necessita di un concerto, di un mélange di
mezzi e linguaggi espressivi; per questo happening e performance non
sono ad esclusivo appannaggio dell’analisi teatrale e visuale/plastica,
ma sfociano nella poesia, nella psicologia, nella politica ecc.
Un così forte accanimento sulla realtà, una critica tanto violenta
espressa con l’uso sincronico di più tecniche artistiche e libera dalle
briglie del “lecito” e del “bello” rende happening e performance mani-
festazioni in un certo senso pericolose per il pubblico, perché mettono
in crisi l’integrità del personaggio “uomo”, vero protagonista della mes-
sinscena. È proprio sulla crisi dell’uomo come falsa rappresentazione
che Jodorowsky vuole lavorare e ottenere grazie al teatro panico la
crescita spirituale dell’uomo:
[…] le panique soutient que l'objet doit être plus éphémère que
l’homme, et qu’à son tour celui-ci doit perdre l'atavisme de
“passer à l'histoire”, produit du moi individualiste angoissé.194
194
Fernando Arrabal, Panique, Manifeste pour le troisième millénaire, op. cit. p. 65.
104
Il nuovo linguaggio teatrale non si pone più quindi come oggetto
da guardare, come esposizione frontale di contenuti prestabiliti e per lo
più creati in tempi lontani, ma si mescola con gli spettatori, li ingloba,
ne accetta i condizionamenti e smuove attivamente la loro sensibilità,
aspettandosi una risposta da essi: non solo lo spettatore percepisce il
messaggio dell’attore, ma anche l’attore gestisce la sua performance a
seconda della risposta del pubblico, in un concerto di suggestioni bi-
univoche soggetto fortemente agli accidenti del caso e quindi mai re-
plicabile, ma unico in ogni messinscena.
Volendo cercare di capire cosa spinga Jodorowsky a volersi distac-
care da quegli artisti che dichiaratamente realizzavano happening, a
parte la rovina pornografica 195, possiamo sintetizzare così le differenze
fondamentali:
195
Cfr. nota n°184.
196
Fernando Arrabal in Aranzueque-Arrieta, Panique, op. cit., p. 90.
197
ibid.
198
ibid.
105
• La possibilità è parte integrante della drammaturgia e l’effimero se-
gue le regole della possibilità più che quelle della drammaturgia;
Le hasard intervient quand se produit une circonstance magi-
que. Cette situation magique est elle-même le fruit de difficul-
tés survenues dans la marche de la cérémonie.199
199
Ibid.
200
Ivi, p. 90.
106
di Jodorowsky e della nuova applicazione della καθαρις.
Poiché viene realizzato a cavallo tra il periodo messicano, pre-pa-
nico, e i periodo francese, panico, esso può essere definito come il
punto di svolta dell’esperienza artistica di Jodorowsky; è infatti l’inizio
di un periodo di allontanamento dalle scene terminato nel 1970201 e
l’inizio della nuova ricerca artistica in campo cinematografico che por-
terà l’autore a notorietà internazionale.
5.2.1. Trascrizione
Uno spazio scenico dal quale sono stati tolti tutti i tiri, le sce-
nografie, ecc. In altre parole, una scena priva di tutte le sue
futilità: muri nudi.
Tutto è dipinto di bianco, perfino il suolo.
Un’automobile nera (in buono stato); i vetri sono rotti in modo
che vi si possano tenere dentro degli oggetti, utilizzare quello
spazio come camerino, come posto per riposare, ecc.
Due scatole bianche sulle quali sono disposti degli oggetti bian-
chi.
Un tavolo da macellaio, una piccola ascia.
Un boccione con dell’olio che bolle su un fornellino elettrico.
Prima di alzare il sipario si brucia una grande quantità di incen-
so.
Tutte le donne sono a seno nudo.
Due di loro, stese a terra, sono completamente dipinte di bian-
201
Cfr. Alejandro Jodorowsky, Tutto il teatro, op. cit. p. 468.
202
Alejandro Jodorowsky e Gilles Facet, La Tirchierie Sacre, Dervy-Livres, Paris, 1989, p. 58.
107
co.
Un’altra donna, dipinta di nero, è sul tetto dell’automobile nera.
Vicino a lei, un’altra, dipinta di rosa. Entrambe hanno i piedi
dentro una piccola giara d’argento.
Una donna con un vestito lungo argentato e i capelli pettinati a
forma di mezzaluna si appoggia su due stampelle. Il suo intero
viso mascherato, perfino il naso e la bocca. Due buchi sul vesti-
to rivelano i capezzoli, un altro rivela la sua peluria pubica. Por-
ta con se un gran paio di forbici d’argento.
Un’altra donna ancora, che usa un cappuccio da boia, grandi
stivali di cuoio, una grossa cintura. Ha una frusta in mano. I
suoi seni sono ricoperti con uno scialle nero.
Gruppo di rock’n’roll: sei ragazzi con i capelli all’altezza delle
spalle.
Nessuno deve aver preso delle droghe, tranne i musicisti.
Una rampa unisce la scena al pubblico. Gli oggetti e i costumi
utilizzati durante lo spettacolo saranno lanciati agli spettatori.
Apertura improvvisa e roboante del sipario. La calma prima
della tempesta.
Appaio io, vestito con un abito di plastica nera luccicante, pan-
taloni alti come quelli di un netturbino, stivali di caucciù, guanti
di cuoio, grosse lenti di plastica.
Sulla testa un casco da motociclista, bianco, come un grande
uovo.
Due oche bianche. Taglio la loro gola. Esplode la musica: ca-
scata di chitarre elettriche.
Gli uccelli deambulano, agonizzanti. Le piume volano. Il sangue
spruzza sulle due donne bianche. Trance. Ballo con loro. Le
colpisco con i cadaveri. Rumore di morte. Sangue.
(Avevo previsto di sgozzare gli uccelli sul tavolo da macellaio.
Ma nel mio stato di trance, portato da una forza strana, ho tira-
to loro il collo con le mani con la stessa facilità con cui avrei
stappato una bottiglia).
108
La donna rosa, sempre coi piedi nella giara, muove le anche
mentre quella nera come una schiava, comincia a coprirle il
corpo con del miele.
Distruggo le oche sul tavolo da macellaio .
La donna argentata apre e chiude violentemente le forbici. Ah,
quel rumore metallico!
Passa le forbici alle due donne bianche che cominciano a taglia-
re la plastica nera mi distruggono il vestito. Perdo gli stivali e i
guanti. Curiosamente possedute anch’esse, le due donne fini-
scono strappandomi il vestito con le sole mani.
Il mio corpo è allora rivestito con venti libbre di bistecche, cuci-
te come una camicia.
Ululando, le donne si scagliano sulla carne rossa e la rompono
in piccoli pezzi. Li danno alla donna argentata. Con un enorme
cucchiaio argentato, questa introduce con calma le bistecche
nell’olio bollente. (la vicinanza del fornelletto e dei corpi sudati
delle donne produce delle scariche elettriche).
Ogni pezzo di carne fritto è messo su un piatto bianco; le don-
ne offrono i piatti alla vista del pubblico. Io continuo vestito con
dei pantaloni di cuoio nero. Un fallo fatto della stessa materia è
appeso perpendicolarmente al suolo. Ho dei braccialetti di cuoio
ai polsi e alle caviglie: omaggio a Maciste, l’ercole del paese
italiano. Concentrazione. Karate-kata.
Raccolgo l’ascia e taglio a colpi il mio fallo di cuoio sul tavolo da
macellaio.
La donna nera, cosciente del suo scheletro, danza, muove le
proprie ossa come un burattino, mentre io rompo i piatti bian-
chi a martellate.
Le donne bianche danzano senza fermarsi. Quando si sentono
stanche, adottano la posizione di zazen.
Prendo una cornice di metallo. Lentamente alzo lo scialle nero
che copre i seni del boia. La pelle non è dipinta. Ha dei seni for-
ti e sani, un corpo potente.
109
Le passo la cornice attorno al collo, dando la schiena al pubbli-
co.
La donna mi da una frustata. Traccio una linea rossa sul suo
seno destro con un rossetto. Seconda frustata. La linea comin-
cia nel plesso solare e discende fino alla sua vagina.
(la prima frustata fu forte, ma non abbastanza: c’era bisogno
di più. Cercavo uno stato psicologico che mi era sconosciuto
fino ad allora. Doveva sanguinare per trascendermi, per rom-
pere la mia propria immagine. Il secondo colpo mi marcò istan-
taneamente. Quindi il boia perse il controllo, perché aveva so-
gnato molte volte di dare delle frustate ad un uomo. La terza
volta, completamente eccitata, mi diede una frustata con tutte
le forze. La ferita ci mise due settimane a guarire).
La donna vuole continuare a colpirmi, mi spinge con tutte le
forze. Con l’apparato attorno al collo, mi rigiro e cado per terra.
(avrei potuto rompermi le vertebre cervicali, ma nello strano
stato emozionale in cui mi trovato il tempo diventava lento e,
come se mi trovassi dentro un film a rallentatore, riuscii a rial-
zarmi senza farmi assolutamente niente). Le torno il seno per
calmarla. Calma.
La donna nera mi porta dei limoni. Ah, quel colore giallo!
Li dispongo per terra a cerchio. Mi inginocchio al centro.
Un parrucchiere professionista, quasi paralizzato dalla paura, si
avvicina per tagliarmi i capelli.
La donna coperta di miele scende dal tetto dell’automobile. Bal-
lo con lei. Ballo con lei.
Desideri sessuali, con una forza onirica. Le sue calze sembrano
riassumere tutta l’ipocrisia sociale. Glie le sfilo senza preambo-
li. Scivolano sulle sue cosce piene di miele. Api. L’impatto del
suo pube nero. La sottomissione della donna. I suoi occhi semi-
chiusi. La sua accettazione naturale della nudità. Libertà. Pu-
rezza. Lei si inginocchia vicino a me. Sul suo corpo, partendo
dal ventre, appiccico i capelli che mi tagliano.
110
Voglio dare l’impressione che i suoi peli pubici crescano come
un bosco e invadano tutto il suo corpo. Le mani del parrucchie-
re sono paralizzate per l’ansia. È il boia che deve finire di ra-
dermi la testa.
Due modelle di Catherine Hurley, aliene a tutto quello che sta
succedendo e piene di panico all’idea di sporcare i loro vestiti di
seta molto costosi (affittati per l’occasione) vanno e vengono
portando in scena 250 grandi pani.
In quel momento il mio cervello è in fiamme. Tiro fuori da un
fisco d’argento quattro serpenti neri. All’inizio cerco di attac-
carmeli sulla testa con del nastro adesivo, a mo’ di capelli, ma
cedo alla tentazione di dispormeli sul petto come due croci vi-
ve. Il sudore me lo impedisce.
I serpenti mi ondulano attorno alle mani come acqua viva.
Nozze.
Inseguo la donna rosa con i serpenti. Lei si nasconde nell’auto.
Come una tartaruga nel suo guscio. Ci balla dentro. Mi sembra
un pesce dentro un acquario.
Spavento una delle due modelle. Lei lascia cadere il pane e sal-
ta all’indietro.
Uno spettatore ride. Le butto il pane sul viso. (Durante un Ri-
cevimento, alcuni giorni dopo, quella donna mi si avvicinò e mi
disse che, al ricevere il pane in pieno vivo, aveva sentito la
sensazione di comunicarsi, come se io le avessi introdotto una
gigantesca ostia attraverso il cranio).
All'improvviso, lucidità: vedo il pubblico seduto lì sulle poltrone,
persone paralizzate, isteriche, eccitate, però immobili, senza
partecipazione corporale, terrorizzate dal caos che sta per divo-
rarli: devo lanciar loro i serpenti o farli esplodere.
Mi trattengo. Respingo lo scandalo facile di un panico collettivo.
Calma. Violenza della musica. Gli amplificatori a tutto volume.
Mi vesto con dei pantaloni, una camicia e delle scarpe arancio-
ni. Il colore di un buddista brucato vivo. Esco e ritorno con una
111
pesante croce fatta con due travi di legno. Sulla croce, un pollo
crocifisso a testa in giù, il culo verso l’alto, con due chiodi sulle
zampe, come un cristo decapitato. L’ho lasciato marcire per
una settimana. Sulla croce, due cartelli stradali: in basso un
cartello con un freccia e la scritta: “Uscita in alto”; sopra il pollo
un cartello con la scritta: “ Uscita interdetta”. Consegno la cro-
ce alla donna argentata. Ne porto un’altra. Due cartelli stradali:
sempre uno sotto che indica verso l’alto; sempre uno sopra che
proibisce di uscire.
Passo la croce ad una delle donne bianche. Porto una terza cro-
ce. La consegno all’altra donna bianca.
Le due donne cavalcano le croci trasformandole in giganteschi
falli; lottano tra di loro; una di esse introduce la punta della
croce attraverso la finestra dell’automobile, simula i movimenti
di una atto sessuale con l’automobile.
Dispongo la giara di fronte alla croce. Il pollo crocifisso è scos-
so al di sopra delle teste degli spettatori. Lasciamo cadere le
croci.
Scelgo tra i musicisti quello che ha i capelli più lunghi. Lo alzo.
È più rigido di una mummia. Lo vesto con un abito da papa. Lo
copro con la stola.
Le donne, in ginocchio, aprono la bocca e turano fuori la lingua
il più possibile.
Compare un nuovo personaggio: una donna vestita con un abi-
to tubolare, come un lombrico in piedi. Tramite quest’abito vo-
glio suggerire l’idea di una “forma papale” in decomposizione.
Un papa trasformato in camembert.
Il musicista, imitando i movimenti di un sacerdote apre una lat-
tina di frutta sciroppata. Mette mezza pesca gialla dentro la
bocca di ognuna delle donne. Queste la inghiottono in un sol
boccone.
Ostia imbevuta di sciroppo!
Fa la sua apparizione una donna incinta. Pancia di cartone. Il
112
papa nota che ha una mano di gesso. Prende l’ascia la rompe
in mille pezzi. Le apre lo stomoaco servendosi di una forbice
(devo controllarlo per evitare che la ferisca realmente).
Le mette le mani dentro lo stomaco, dal quale estrae delle
lampadine elettriche. La donna grida come se stesse partoren-
do. Si alza, ira fuori dal seno un bebè di caucciù e con questo
colpisce il papa in pieno petto. Il bambolotto cade a terra. La
donna si ritira. Raccolgo il bebè gli apro il ventre con uno scal-
pello ed estraggo da suo interno un pesce vivo nelle convulsioni
dell’agonia.
Fine della musica. Assolo brutale di batteria.
Il pesce continua a contorcersi; il batterista scuote alcune bot-
tiglie di champagne fino a che esplodono. Vedendo come la
schiuma ricopra tutto, il papa ha un attacco di epilessia. Il pe-
sce muore. La batteria tace. Lancio l’animale al di sopra della
rampa. Cade in mezzo al pubblico. Presenza della morte.
Tutti escono di scena tranne me.
Musica ebrea. Inno atroce. Lentezza.
Due immense mani bianche mi lanciano una testa di vacca. Pe-
sa otto chili. La sua bianchezza, la sua umidità; i suoi occhi, la
sua lingua…
Le mie braccia sentono il suo gelo. Io stesso divento gelido. Per
un attimo, mi trasformo un quella testa.
Sento il mio corpo: un cadavere sotto la forma di una testa di
vacca. Cado in ginocchio. Voglio ululare. Non riesco a farlo per-
ché la bocca della vacca è chiusa. Introduco l’indice nei suoi
occhi. Le mie dita scivolano sulle pupille. Non sento niente, a
parte il mio dito - satellite sensibile che gira intorno ad un pia-
neta morto. Mi sento come la testa della vacca: cieco. Deside-
rio di vedere.
Buco la lingua con un punzone; apro le mandibole. Tiro la lin-
gua. Dirigo la testa, con la bocca aperta verso il cielo, allo stes-
so tempo in cui alzo la mia con la bocca aperta.
113
Esce un ululato, ma non da me, bensì dal cadavere. Guardo il
pubblico un’altra volta. Immobile, gelido, fatto di pelle di vacca
morta. Tutti siamo quel cadavere. Lancio la testa in mezzo alla
sala. Questa diventa il centro del nostro cerchio.
Entra un rabbino, le immense mani bianche erano sue.
Porta sistemato un cappotto nero, un cappello nero, una barba
bianca tipo Vecchio Pascuero. Cammino come Frankenstein.
Sta in piedi su una giara d’argento. Tira fuori tre bottiglie di lat-
te da una valigia di cuoio. La versa nel suo cappello. Gli sfrego
la guancia contro la sua. Il suo viso è bianco. Facciamo un ba-
gno di latte. Battesimo.
Mi prende per le orecchie e mi dà un bacio appassionato sulla
bocca. Le sue mani mi afferrano le natiche. Il bacio duira vari
minuti. Tremiamo, elettrizzati.
Kaddish.
Con un matita nera mi traccia due linee dagli angoli della bocca
fino al mento. La mia mandibola sembra ora quella di una
bambola ventriloqua. Lui è seduto sul tavolo da macellaio. Una
delle sue mani mi è appoggiata alla schiena come se volesse
passare attraverso di essa, tagliarmi la colonna vertebrale, in-
trodurre le sue dita dentro la mia scatola toracica e pressarmi i
polmoni per forzarli a gridare o a pregare. Mi obbliga a muo-
vermi. Mi sento come una macchina, come un robot. Angoscia.
Devo smettere di essere una macchina. Lascio cadere la mano
tra le sue gambe. Gli apro la patta. Introduco la mano e con
una forza inusitata estraggo una zampa di chancho203, simile
all’immagine del fallo di mio padre quando avevo cinque anni.
Ritiro l’altra mano impugnando un paio di testicoli di toro. Apro
le braccia a forma di croce. Il rabbino ulula come se fosse stato
castrato. Sembra morto.
La musica ebrea diventa più forte; ogni volta più malinconica.
Appare un macellaio, vestito con un cappello, un cappotto, ha
203
maialino da latte.
114
un barba nera, il grembiule pieno di sangue.
Stende il rabbino e comincia l’autopsia: introduce le mani nel
cappotto ed estrae un enorme cuore di mucca. Odore di carne.
Inchiodo il cuore sulla croce. Lungo pezzo di budella. L’inchio-
do.
Il macellaio esce. Terrorizzato, alzo il cappello del rabbino. Tiro
fuori il cervello di mucca. Me lo faccio scoppiare sulla testa.
Prendo la croce e la metto vicino al rabbino. Tiro fuori dalla va-
ligia un lungo nastro di plastica rossa e lego all’uomo alla croce
coperta di budella.
Alzo tutto l’insieme: legno, carne, vestiti, corpo, e lo lascio ca-
dere per la rampa che scende fino al pubblico. (il peso totale è
di 125 kg: però nonostante la violenza del colpo, l’uomo non
sentì niente, né si fece il minimo graffio).
Entrano le donne bianche, nere, rosa ed argentata.
Si inginocchiano.
Attesa.
Entra un nuovo personaggio: una donna coperta di raso nero
tagliato a triangoli, una specie di ragnatela. Un canotto di
gomma di tre metri di lunghezza va legato al suo vestito e
sembra un'enorme vulva. Plastica arancione gonfiata ad aria. Il
fondo del gommone è di plastica bianca.
Simbolo: l’imene.
Danza. Lei mi fa dei segni. Quando mi avvicino, lei mi respinge.
Quando mi allontano, lei mi segue. Si arrampica su di me. Il
gommone mi copre completamente. Prendo l’ascia. Rompo il
fondo bianco. Ululato. Spacco il tessuto e mi rifugio nella vagi-
na. Rimango tra le sue gambe, nascosto nel satin nero. Da un
sacco nascosto vicino al sui ventre estraggo quaranta tartaru-
ghe vive che lancio sul pubblico.
Sembrano uscire dall’enorme vagina. Come pietre vive, si di-
rebbe.
Comincio a nascere. Grida di una donna che partorisce. Cado
115
per terra in mezzo al vetro delle lampadine elettriche, dei pezzi
di piatto, delle piume, del sangue, delle esplosioni, dei fuochi
d’artificio (mentre mi radevano la testa accesi 36 fuochi, uno
per ciascun anno della mia vita), pozzanghere di miele, pezzi di
pesca, limoni, pane, latte, carne, stracci, schegge di legno,
chiodi, sudore: rinasco in questo mondo. Le mie grida sono si-
mili a quelle di un neonato o di un anziano. Il vecchio rabbino
con enormi sforzi, esegue piccoli salti a destra e a sinistra, le-
gato alla croce come un maiale agonizzante, si libera dal nastro
di plastica. Esce.
La donna-madre spinge verso di me la donna nera. La alzo. La
porto verso il centro della scena, lai ha le braccia aperte a for-
ma di croce. Un cadavere-croce. La pittura nera suggerisce una
cremazione: la mia propria morte.
Dandomi la vita, la donna ha buttato la morte tra le mie brac-
cia. Macchiato dal trucco della mia compagna, comincio a di-
ventare completamente nero, il mio viso sembra quello di un
uomo bruciato.
Le donne ci legano l’un l'altro con delle bende. Sono legato a lei
per la vita, le braccia, le gambe e il collo. Questo cadavere os-
suto è incastrato dentro di me e io sono incastrato in lei. Sem-
briamo due siamesi: come se fossimo una sola persona. Len-
tamente, improvvisiamo una danza. Ci lasciamo cadere a terra.
I movimento non sono né miei né suoi, bensì contemporanea-
mente di entrambi. Possiamo controllarli.
Le donne bianche e rosa ci spruzzano con sciroppi di menta, di
cassis e limone. Il liquido viscoso, verde, rosso e giallo ci rico-
pre; mescolato con la polvere, forma una specie di fango.
Magma.
Il sipario comincia a scendere lentamente. I nostri due corpi si
aggrappano l’uno all’altro, come due colonne. Vogliamo alzarci,
cadiamo.
Si liberano trecento uccelli vivi che volano per tutto il teatro.
116
Si chiude il sipario.
5.2.2. Analisi
204
Alejandro Jodorowsky, Tutto il teatro, op. cit. p. 455.
117
spirituale 205, la messinscena riesce a realizzare tutti gli obiettivi teoriz-
zati: la creazione del caos, il sacrificio, la violenza catartica ecc.
Per comprendere al meglio la forza vincente di questo evento è
necessario analizzarne approfonditamente ogni punto, iniziando dal ti-
tolo, che già in partenza ci indica qual è il motore principale dello spet-
tacolo. Melodramma e Autosacramentale sono infatti due tipi di spetta-
colo molto importanti nella storia del teatro e in questo caso vengono
utilizzati come titolo poiché fungono da coordinate nella comprensione
del messaggio di Jodorowsky. Il melodramma nasce come intratteni-
mento drammatico accompagnato da una partitura musicale che verso
il XIX secolo acquisirà il senso più ampio di dramma popolare, caratte-
rizzato da intrighi ed episodi violenti; quindi, soprattutto in area fran-
cese dove trovò ampi margini di sviluppo drammaturgico, la nomencla-
tura melodramma suggerisce che il tipo di spettacolo rappresentato
sarà caratterizzato da azioni violente e da un’importante componente
musicale. Inoltre melodramma, grazie al lavoro di Molière sui tipi fissi
del melodramma e sull’evoluzione caratteriale dei personaggi, suggeri-
sce l’idea di una trama in cui il male e l’angoscia dei personaggi viene
purificata e l’elemento generatore del caos viene ricondotto all’ordine.
Quindi grazie al richiamo al melodramma dovremmo intuire che l’effi-
mero realizzato sarà caratterizzato da personaggi universali, da un
processo che porta dal caos all’ordine, da un buona dose di violenza e
dalla musica.
Anche autosacramentale è un termine denso di significato: riman-
da ai tableaux vivent di tema religioso utilizzati (in forma embrionale)
fin dal Medioevo in occasione delle feste religiose (ad esempio Il Quem
quaeritis? usato durante le celebrazioni pasquali). L’idea dell’autosa-
205
Mentre invece ne esiste un numero cospicuo che afferma la buona riuscita dello shock teatrale,
una su tutte quella di Ferlinghetti.
118
cramentale è quindi principalmente legato ad un’idea di liturgia eccle-
siastica e di sacramento, quindi introduce l’elemento di solennità, ri-
tualità e sacralità dell’effimero, che di fatto è la celebrazione della mor-
te del falso ego a vantaggio della nascita di un nuovo uomo, l’uomo
panico. La nascita ufficiale dell’autosacramentale inteso in senso defi-
nitivo si ha in corrispondenza del Siglo de Oro spagnolo (non a caso
uno dei momenti della storia del teatro più apprezzati da Jodorowsky
ed Arrabal), quando la produzione di spettacoli avveniva in occasione
della celebrazione del Corpus Domini in particolare a partire dalla metà
del XVI secolo, quando la festa liturgica venne regolamentata dalla ri-
forma cattolica che mette fine alle rappresentazioni paraliturgiche e ri-
stabilisce una rigorosa morale cristiana all’interno di queste manifesta-
zioni festose, di fatto assorbendo il teatro profano in quello religioso. Il
primo autosacramentale con drammaturgia definita debutta nel 1677
con le opere di Félix Lope de Vega e raggiunge l’apice con Pedro Calde-
ron de la Barca. Nell’autosacramentale le tematiche principali sono
quelle della morale religiosa, ma si possono generalizzare affermando
che alla base di ogni idea drammaturgica vi era la volontà di rappre-
sentare il dramma metafisico della lotta tra la natura oscura dell’anima
e la luce divina. Anche in questo genere, come nel melodramma, c’è la
presenza di figure portatrici di caratteri universali, in questo caso addi-
rittura la personalizzazione di concetti astratti come la Giustizia, la Ve-
rità, la Salvezza ecc. Quindi il richiamo all’autosacramentale da un lato
ci suggerisce l’ispirazione a rappresentazioni barocche grandiose come
quelle del Siglo de Oro e dall’altro ci suggerisce che quello che avverrà
in scena è un rituale sacro, che permetterà a chi ne prende parte di
entrare in contatto con una dimensione superiore e di riuscire così ad
ottenere l’illuminazione e un’elevazione del proprio status.
Per analizzare con dovizia di particolari lo svolgimento dell’effime-
119
ro del ’65, possiamo suddividerlo in 15 momenti fondamentali:
1. Apparizione
2. Sacrificio animale
3. Uscita dalla quotidianità
4. Recupero dell’animalità
5. Abbandono dei vizi terreni
6. Supplizio
7. Primo passo nel “tempio”
8. Concepimento
9. Eucarestia
10. Sacrificio del primo nato
11. Battesimo
12. Parricidio
13. Ri-nascita
14. Unione con la morte
15. Liberazione spirituale
Apparizione
120
casco e dai grossi occhiali. I vestiti di plastica nera lucida lo fanno
sembrare un grande scarafaggio umano, una forma di vita tra le più
basse, e allo steso tempo come un uomo completamente isolato da ciò
che lo circonda, sterile. Il casco bianco sul corpo nero risulta come
un’aureola protettrice o come la cima di un totem moderno. La grande
quantità di strati sintetici che coprono il corpo di Jodorowsky sembra
volerci dire che l’epoca moderna ci ha insegnato a tenerci alla larga da
quello che ci circonda, fino a farci vivere in modo asettico, privo di
contaminazioni con l’esterno.
Sacrificio animale
121
ne dalla protezione dall’esterno, costituita da abiti comuni (stivali di
gomma, occhiali da operaio, guanti da lavoro) suggerisce che per
compiere questo percorso non solo è necessario spogliarsi delle proprie
certezze, ma anche dell’immobile quotidianità, dalla civiltà.
Recupero dell’animalità
206
omaggio a Maciste l’eroe di infinita forza e bontà nato con Cabiria, celebre kolossal italiano del
1914, diretto da Giovanni Pastrone e interpretato da Bartolomeo Pagano.
122
un fallo di cuoio. Mentre le donne offrono al pubblico la carne strappata
dalla giacca della scena precedente, Jodorowsky attua un’automutila-
zione del finto sesso e lo distrugge con un’ascia per poi continuare l’at-
to di distruzione rivolgendosi ai piatti con cui era stata offerta la carne
al pubblico.
Supplizio
123
riore.
Concepimento
Eucarestia
207
Il miele nell’intera opera di Jodorowsky è sempre simbolo della pace, dell’amore e delle buone in-
tenzioni. Elemento fondamentale nella psicomagia, il miele viene prescritto in tutti gli atti psico-
magici in cui è prevista una rappacificazione tra elementi in contrasto e quindi è sempre caricato di
forza positiva.
124
rowsky introduce il personaggio del Papa e quello del Papa decompo-
sto, rappresentati nell’ordine da un musicista vestito di una stola e da
un altro attore vestito con un costume da lombrico simile a quelli usati
negli spettacoli di Alvin Nikolis (un travestimento obiettivamente poco
incisivo). Il Papa comunica le donne presenti in scena dando loro una
mezza pesca, altro elemento di colore giallo che prelude all’età dell’oro
alla fine dello spettacolo e che ne aumenta l’aspetto cerimoniale.
125
zione del percorso da intraprendere per giungere all’illuminazione ca-
tartica è il tentativo personale dell’autore di superare il proprio blocco
nei confronti della morte 208.
La scena non termina con questo primo tentativo di catarsi, ma prose-
gue in un’immedesimazione di Jodorowsky con una testa di vacca lan-
ciata in scena dalle quinte. Difficilmente le sensazioni provate dall’au-
tore durante la manipolazione della testa furono capite dal pubblico,
ma di certo era chiaro che Jodorowsky si stava trasformando nella
prossima vittima sacrificale.
Battesimo
Parricidio
208
Cfr. par. 3.
126
machismo paterno e poi, una volta terminata l’operazione del rabbino
che ormai sembra morto, inscena la crocifissione del cadavere su una
delle croci con cui le donne simulavano precedentemente l’atto sessua-
le. La scena è quella con maggior componente autobiografica (e quindi
catartica) poiché riassume in pochi atti tutta la sofferenza infantile del-
l’autore, i condizionamenti familiari che hanno reso negli anni necessa-
rio il processo di totale emancipazione dalla famiglia fin anche all’orga-
nizzazione dell’effimero stesso. Il rabbino infatti non è solo castrato e
ucciso, ma subisce anche una lunga autopsia, come a voler dire che
l’autore ha analizzato ogni singolo episodio della propria vita legato a
suo padre, e più in grande alla famiglia, e l’ha superato (o cerca di su-
perarlo) con grande sacrificio, per raggiungere un nuovo status di co-
scienza e di conoscenza.
Ri-nascita
127
ad affrontare la vita e la morte conscio di tutti gli elementi che com-
pongono entrambe. Appena nato, danza con una donna dipinta di nero
che toccandolo lo macchia della stessa pece di cui è coperta. La donna
è la personificazione della morte e Jodorowsky, accettando di danzare
con lei e di lasciarsi contaminare dal colore suo corpo vuole comunica-
re che il percorso è giunto al termine e la paura dell’aldilà è scompar-
sa, ma anzi è entrata di diritto a far parte della nuova vita come pro-
cesso necessario per la liberazione.
Liberazione spirituale
5.2.3. Commento
128
la prima volta. L’effimero panico non utilizza linguaggi specifici, ma
suggestioni personali che vanno dall’esoterico al mistico e mette in
scena un nuovo sistema che agisce sul regista in primis oltre che sul
pubblico. Dalla materia fecale, status dell’uomo comune assoggettato
ai condizionamenti della vita quotidiana, all’oro, la purezza raggiunta
da chi ha ripreso possesso delle proprie facoltà oniriche; non è la fine
del percorso il punto centrale della messinscena, ma il processo creati-
vo che ha permesso di raggiungerlo.
Dal punto di vista della reazione di pubblico il pensiero di Jodo-
rowsky si rivela molto distante da quella teorizzata dalla sociologia del-
lo spettacolo 209 e si avvicina all’istintualità, a una dimensione primitiva
in cui vita e morte sono i motori delle emozioni: “On ne vas pas au
théâtre pour fuir, mais pour reprendre contact avec le mystère que
nous sommes.” Sebbene, come detto, non ci siano testimonianze certe
delle reazioni di pubblico, si può notare un grande sforzo da parte del-
l’autore per rendere possibile la comunione dell’esperienza teatrale e
rompere l’indifferenza dello spettatore: principalmente la giuntura tra
scena e sala realizzata tramite la pedana inclinata, poi l’offerta di cibo
da parte degli attori agli spettatori (i pani, la carne fritta), la noncuran-
za della direzione degli spruzzi di sangue provenienti dalle oche sgoz-
zate, l’abbandono del “cadavere” crocifisso del rabbino sulla pedana in
modo che scivolasse verso la platea e infine il lancio di tutti gli oggetti
di scena al pubblico, che nelle intenzioni di Jodorowsky avrebbe dovuto
portarsi via dal teatro ogni singolo pezzo della scenografia.
Oltre all’agognato cambiamento di pubblico però, il vero cambia-
mento è quello del protagonista, Jodorowsky, che evolve, cresce, sof-
fre e cambia sulla scena le sorti della sua stessa vita. Salta subito al-
209
Cfr. Guy Debord, La società dello spettacolo, op. cit.
129
l’occhio che è il corpo ad essere il centro focale e il motore dell’azione,
il linguaggio è invece assolutamente epurato dallo spettacolo, a testi-
monianza del fatto che il tentativo di raggiungere la vita panica, di re-
cuperare la dimensione onirica dell’esistenza e trasformare le proprie
azioni in arte, non ha bisogno della mediazione della parola, ma deve
vivere della piena forza delle sensazioni fisiche e mentali, senza filtri,
senza spiegazioni. Conteso tra carnefici fuori controllo, donne suadenti,
padri titanici, il corpo dell’artista passa tutte le fasi del processo al-
chemico, subisce ogni passaggio del cambiamento e disteso tra la pace
della trance e la frusta del carnefice vive in uno stesso dilatato mo-
mento tutte le possibilità dell’essere in modo finalmente panico.
210
Mira Kim in Ante Glibota, Arrabal Espace, Editions de L’Amoureuse, Paris, 1994
130
6. Dal panico alla ricerca della serenità
Le esperienze di Jodorowsky sono state molteplici e differenti nel
loro modo di approcciare agli stili, alle teorie e ai mezzi di comunica-
zione, ma nel corso degli anni si può dire che la vena artistica dell’au-
tore sia andata via via affievolendosi nella sua potenza creativa. Que-
sto non per mancanza di ispirazione, ma perché la necessità principe
dell’artista, ovvero la volontà di fare dell’arte uno strumento per la
guarigione (presente già dai primi giorni delle sue espressioni pratiche,
il motore alla base di tutte le sue produzioni) si è fatta preponderante
ed è divenuta l’unico attuale interesse di Jodorowsky.
211
August Strindberg in Alejandro Jodorowsky, Tutto il teatro, Giunti Citylights, op. cit., p. 20.
131
un passaggio dello scritto “Il sogno senza fine”:
212
«Il sogno senza fine», ivi, p. 20.
132
[…] voyons le problème de la violence. L’abstrait recréera ce
sentiment au moyen de couleurs, de lignes et de volumes. En
échange, le concret déchirera la toile ou aplatira un mécanisme
identifiable, ne figurant pas la silence mail laissant des mar-
ques d’un act réel. En résumé: l’un exprime l’acte, l’autre le
commet.213
213
Alejandro Jodorowsky in Fernando Arrabal, Panique, Manifeste pour le troisième millénaire, op.
cit., p. 84.
133
il passo iniziale, la rottura semplice con la quotidianità. Quello che ser-
ve in seguito è canalizzare le ombre scatenate dallo shock in un per-
corso di liberazione, in modo che possano liberare la loro forza per in-
nalzare e non per sopraffare il pubblico. La violenza quindi deve legarsi
con altri mezzi espressivi, come la musica, il simbolo, la danza che,
realizzati con la tipica simultaneità panica, riescano a scatenare il sen-
so dello humour, infatti:
214
Antonio Bertoli, Panico!, op. cit., p. 56.
215
Cfr. par. 3.3 per cronologia.
134
senza sosta, con interesse e dedizione crescenti.
Sempre legato all’idea originaria che l’arte debba curare, motore
principale della ricerca artistica dell’autore e a maggior ragione anche
della sua attività “magica”, Jodorowsky è attualmente dedicato in
modo quasi esclusivo ai tarocchi, un’inusuale forma di teatralità con la
quale, come vedremo in seguito, si prodiga ad assistere chiunque ab-
bia bisogno di un consiglio su come gestire una fase difficile della pro-
pria vita. Le letture di tarocchi sono solo l’ultima delle pratiche psico-
magiche che Jodorowsky ancora mette in atto e fanno parte di un
esteso e ramificato percorso di ricerca sulle credenze popolari, sui gua-
ritori e sulle possibilità taumaturgiche della “menzogna sacra”. Jodo-
rowsky ha infatti per molti anni seguito gli insegnamenti di numerosis-
simi guaritori popolari216 , soprattutto messicani, e ha compreso che un
ponderato uso della teatralità può essere in grado di risolvere problemi
di natura sia mentale che organica (o meglio psicosomatica). Moltissi-
mi sono gli esempi riportati nei suoi saggi e romanzi, sia ad opera di
“veri” ciarlatani che ad opera dello stesso Jodorowsky e non si limitano
solo alla lettura dei tarocchi, ma anche a quello che egli definisce “psi-
cosciamanesimo”.
Qual è la differenza tra psicomagia e psicosciamanesimo?
Esse si basano sugli stessi principi teorici, ma la prima inizialmen-
te agisce a livello verbale per poi trasformarsi in un atto fisico, la se-
conda invece si sviluppa con le stesse caratteristiche di una seduta di
guarigione sciamanica.
216
Cfr. par. 3.3 e «Maghi, misteri, sciamani e ciarlatani» in Alejandro Jodorowsky, La danza della real-
tà, op. cit., p.198.
135
culture più antiche lo sapevano bene. Per i’inconscio, interveni-
re su di una fotografia, una tomba, un capo d’abbigliamento o
qualsiasi oggetto personale (un dettaglio può simboleggiare il
tutto) equivale a intervenire sulla persona in carne e ossa. […]
l’unico modo per liberarsi della pulsione è realizzarla… ma lo si
può fare anche metaforicamente. 217
217
Alejandro Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 280.
218
Ivi, p. 256-7.
219
Ivi, p. 258.
136
nella definizione di un atto, il cosiddetto atto psicomagico, che va ese-
guito alla lettera come un sortilegio e che, grazie alla forte presenza di
numerosi simboli, riesce sempre a liberare le energie negative repres-
se nell’animo del soggetto fino a ripristinarne l’equilibrio psicofisico. Gli
atti sono tutti inventati da Jodorowsky al momento stesso dell’audizio-
ne, ma si avvalgono di un numero (limitato) di simboli fissi molto po-
tenti come ad esempio l’uso del miele per sottolineare che l’atto com-
piuto è fatto per riparare a un torto fatto o subìto, del latte per ripristi-
nare il collegamento con la madre, dell’argilla simbolo del corpo umano
in quanto materiale usato da Dio per creare suo figlio e così via. L’atto
psicomagico deve essere eseguito alla lettera, come un copione, pena
la mancata riuscita dell’atto stesso.
Complice l’esperienza, attualmente la procedura di lettura dei ta-
rocchi e suggerimento dell’atto da compiere è snella e immediata e si
svolge al tavolo di un bar (nel 2011, all’età di 82 anni, Jodorowsky è in
grado di compiere dalle 15 alle 20 letture di tarocchi in 2 ore), ma al
momento della sua nascita era più articolata.
Lo psicosciamanesimo invece è una vera e propria messinscena
durante la quale Jodorowsky, avvalendosi sempre di simboli ma anche
della comunicazione empatica e delle energie vitali di ognuno, cura il
corpo malato come facevano gli stregoni incontrati in Messico. La diffe-
renza sostanziale però sta nel fatto che sebbene sia gli stregoni che
Jodorowsky agiscano in una sorta di trance 220, ma i primi manipolano il
corpo del paziente e prescrivono medicinali casalinghi, mentre lo psi-
comago non entra mai in diretto contatto con il corpo del malato: tra-
mite i gesti, “finge” di manipolarne l’anima (o meglio, come spiega Jo-
220
Per Jodorowsky è una trance recitata, un’alterazione voluta al fine di attuare l’uscita dalla realtà
necessario per la realizzazione dell’atto panico; per i guaritori è una trance vera e propria, come
una possessione divina o demoniaca.
137
dorowsky, non l’anima, ma un secondo corpo immateriale, fatto di
energie, che sta intorno al corpo fisico). A proposito di questo, Jodo-
rowsky spiega:
221
Alejandro Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 321.
222
La lettera con cui certificano a Jodorowsky di aver compiuto tutto l’atto nel modo più pedissequo
possibile e che costituisce il compenso dello psicomago.
138
pressione: si tratta di farlo ubbidire. […] Uscire dalle nostre dif-
ficoltà implica modificare profondamente la relazione con noi
stessi e con tutto il nostro passato. Date queste le premesse,
chi sarà veramente disposto a cambiare?223
223
Alejandro Jodorowsky, Psicomagia, op. cit., p. 140.
224
Alejandro Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p.161 e seguenti.
139
Perché la presa di coscienza di un problema fosse davvero effi-
cace dovevo obbligare l’altro ad agire […] e gli prescrivevo del-
le azioni ben precise senza per questo assumermene la tutela o
diventandone la guida per tutta la vita. È nato così l’atto psi-
comagico, nel quale si coniugano tutte le esperienze che ho as-
similato nel corso degli anni […].225
225
Ivi, p. 361.
226
Cfr. Par. 5.3.2 pag. 85.
140
Seguiva un’improvvisazione di dialoghi in un rituale di stampo assolu-
tamente drammatico:
227
Alejandro Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 361.
228
Jacob Levi Moreno, Psicodramma e vita, Rizzoli, Milano, 1973.
141
re il corpo organico del paziente, quanto piuttosto a mettersi in con-
tatto con la sua anima, con la proiezione del suo corpo nel mondo oni-
rico. Jodorowsky utilizzava questa pratica, fisicamente molto difficile
da realizzare e per la quale aveva sempre necessità di essere assistito
da suo figlio Cristobal, per risolvere nodi psicologici talmente forti da
essere sfociati in problemi psicosomatici difficili da trattare, come i tic
nervosi. Mettendosi quindi nei panni del guaritore e inscenando
un’operazione chirurgica simbolica Jodorowsky riesce a far cadere il
paziente in trance e quindi a trovare quali blocchi emotivi sono alla ba-
se del problema organico.
Per comprendere in fine la motivazione di Jodorowsky si può dire
che egli, sempre legato fortemente all’arte ma stufo della sua sterilità,
non voleva che essa fosse circoscritta entro i limitati confini di una de-
finizione, ma preferiva che essa si sprigionasse in ogni luogo e che il-
luminasse con la luce del caos tutto quello che era schiavo di leggi e
norme aprioristiche.
L’irruzione della vita nell’arte, meta tanto agognata dalla triade
panica, trova quindi qui finalmente il suo riscontro: nel tarocco, nella
psicomagia e nello psicosciamanesimo di Jodorowsky. Il metodo panico
continua a fare irruzione alla radice dell’essere, alla parte nascosta di
noi, alla nostra più profonda realtà psichica continuando a rimbalzare
tra l’arte e la vita, tra la vita e l’arte.
142
7. Cronologia
• 1958: Fondazione del Teatro de Vanguardia; Messico.
• 1970: Uscita dei primi due film panici: Viva la muerte di Arrabal e
Fando y Lis di Jodorowsky; Messico.
143
8. Iconografia
144
145
146
147
Bibliografia
Volumi bibliografici
‣ ll nuovo Zingrelli, Zanichelli Editore, Milano, 1991
‣ RoseLee Goldberg, Performance, l’art en action, Thames & Hudson, Paris 1999
‣ Naín Nómez, Poesía chilena contemporánea: breve antología crítica. Andres Bello,
1992
‣ Suzanne Klara Walther, The Dance Theatre of Kurt Jooss, Harwook Academic, Lon-
don 1998
‣ Fred S. Kleiner; Christin J. Mamiya, Gardner's Art Through the Ages, Wadsworth
Publishing, 2004
‣ Carl Gustav Jung, I Ching Il libro dei mutamenti, Adelphi, Milano, 1995
148
‣ Fernando Arrabal, Panique, Manifeste pour le troisième millénaire, Punctum, Paris,
2006
‣ Fabrizio Cruciani, Clelia Falletti (a cura di), Promemoria del teatro di strada, Edi-
zioni TEATRO TASCABILE - Bergamo / TEATRO TELAIO - Brescia, Brescia, 1989
‣ Naín Nómez, Poesía chilena contemporánea: breve antología crítica. Andrés Bello,
1992
Articoli e video
‣ Alejandro Jodorowsky, The goal of theatre, edited by Lawrence Ferlinghetti, City
Lights Journal n°3, City Lights Book, 1966, p. 72, 73
149
‣ Jacques Copeau, Nota per una conferenza ad Amsterdam, 21 gennaio 1922, in
“Appels”, Galimard, Paris, 1974
‣ Memoria hCilena
https://www.facebook.com/pages/Memoria-Chilena/128759210496506
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Ringraziamenti
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