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iustitia

ISSN 0021-3268

SOMMARIO
EDITORIALE
Giovanni Giacobbe, Che cosa aspettarsi da questo governo sul tema famiglia?
DOTTRINA
Marta Cartabia, Gli strumenti di tutela dei diritti fondamentali
Paolo Cavana, Laicità dello Stato: da concetto ideologico a principio giuridico
FORVM
Istituzioni pubbliche e garanzie del cittadino
Gianfranco Gaffuri, Garanzie di giustizia e diritto tributario: la capacità contributiva
Gianfranco Garancini, Le garanzie del giusto procedimento amministrativo
Bassano Baroni, Il silenzio della pubblica amministrazione
RECENSIONI
60
anni
Sale G., Il Vaticano e la Costituzione (M. Ferrero); Palazzani L. (a cura di), Le nuove tecnologie,
biodiritto e trasformazioni della soggettività (F. Zini); Casalone C.-Foglizzo P. (a cura di), Volare alla
4
giustizia senza schermi (G.M. Zanardi); Bruno R., Nietzsche e Pirandello. Il nichilismo mistifica gli
atti nei fatti (F. Chizzola); Pasquale G., Il principio di non-contraddizione in Aristotele (G. Tracuzzi) RIVISTA TRIMESTRALE DI CULTURA GIURIDICA FONDATA NEL 1948
ASTERISCHI ANNO LXI, OTTOBRE-DICEMBRE 2008
a cura di Caterina Villa
Cosa ci riserva il futuro politico? … la sorte dei cristiani in “questo” tempo … laici seguaci del
dubbio metodico?
OSSERVATORIO
Giorgio Floridia, Relazione di sintesi in conclusione del convegno celebrativo dei 60 anni di Iustitia
TESORI DI CASA NOSTRA
L’Unione Giuristi Cattolici Italiani: memoria delle origini - di Fabrizio Ciapparoni
L’incontro nazionale dei giovani Giuristi Cattolici a Maiori dal 3 al 5 ottobre 2008 - a cura di Antonio
Angelucci e Mattia Ferrero
TESTIMONIANZE
Domenico Coccopalmerio, Laudatio di Sua Santità Bartolomeo I, Patriarca ecumenico
PANORAMA
Andrés Ollero, Laicità spagnola
LIBRI RICEVUTI
SUL WEB
- Corte Costituzionale n. 103 del 23 marzo 2007 (citata in questo fascicolo; cfr. G. Garancini, Le
garanzie del giusto procedimento amministrativo, p. 457)
- Testo latino originale di “Adoro Te devote”

4/08
2008

GIUFFRÈ
Unione Giuristi Cattolici Italiani EDITORE PUBBL. TRIM. - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in a.p. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB (VARESE)
Direttore: BENITO PERRONE
Vicedirettore: GIOVANNI GIACOBBE
Comitato editoriale: G IUSEPPE A MADEO , P AOLO A LBERTO A MODIO ,
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SFRECOLA, PASQUALE STANZIONE
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R.O.C. n. 6569 (già RNS n. 23 vol. 1 foglio 177 del 2/7/1982).
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Rivista dei GIURISTI CATTOLICI ITALIANI

RIVISTA DEI
GIURISTI
CATTOLICI
ITALIANI 4/08
Rivista trimestrale di cultura giuridica dell’Unione Giuristi
Cattolici Italiani fondata nel 1948
Anno LXI N. 4 Ottobre/Dicembre 2008

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02/38.089.200 - fax 02/38009432
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RIVISTA TRIMESTRALE DI CULTURA GIURIDICA
DEI GIURISTI CATTOLICI ITALIANI
FONDATA NEL 1948

Iustitia, 4/2008

S O M MA R I O

EDITORIALE
Giovanni Giacobbe, Che cosa aspettarsi da questo governo sul tema famiglia? . 395

Parte prima

DOTTRINA
Marta Cartabia, Gli strumenti di tutela dei diritti fondamentali . . . . . . . . . . 399
Paolo Cavana, Laicita dello Stato: da concetto ideologico a principio giuridi-
co . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 411

FORVM
Istituzioni pubbliche e garanzie del cittadino
Gianfranco Gaffuri, Garanzie di giustizia e diritto tributario: la capacita contri-
butiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 429
Gianfranco Garancini, Le garanzie del giusto procedimento amministrativo . . 447
Bassano Baroni, Il silenzio della pubblica amministrazione . . . . . . . . . . . . . 461

RECENSIONI
Sale G., Il Vaticano e la Costituzione (M. Ferrero); Palazzani L. (a cura di), Le nuove
tecnologie, biodiritto e trasformazioni della soggettivita (F. Zini); Casalone C.-
Foglizzo P. (a cura di), Volare alla giustizia senza schermi (G.M. Zanardi); Bruno R.,
Nietzsche e Pirandello. Il nichilismo mistifica gli atti nei fatti (F. Chizzola); Pa-
squale G., Il principio di non-contraddizione in Aristotele (G. Tracuzzi) . . . . . 471

Parte seconda

ASTERISCHI
A cura di Caterina Villa
Cosa ci riserva il futuro politico? … la sorte dei cristiani in “questo” tempo …
laici seguaci del dubbio metodico? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 481

OSSERVATORIO
Giorgio Floridia, Relazione di sintesi in conclusione del convegno celebrativo
dei 60 anni di Iustitia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 483

V
TESORI DI CASA NOSTRA
L’Unione Giuristi Cattolici Italiani: memoria delle origini – di Fabrizio Ciappa-
roni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 495
L’incontro nazionale dei giovani Giuristi Cattolici a Maiori dal 3 al 5 ottobre
2008 – a cura di Antonio Angelucci e Mattia Ferrero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 501

TESTIMONIANZE
Domenico Coccopalmerio, Laudatio di Sua Santita Bartolomeo I, Patriarca ecu-
menico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 503

PANORAMA
Andrés Ollero, Laicita spagnola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 513

LIBRI RICEVUTI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 519

SUL WEB:
— Corte Costituzionale n. 103 del 23 marzo 2007 (Citata in questo fascicolo; cfr. G.
Garancini, Le garanzie del giusto procedimento amministrativo, p. 457)
— Testo latino originale di “Adoro Te devote”

ERRATA CORRIGE
Nel n. 3/2008 di Iustitia il correttore automatico del computer ha modificato in maniera errata
i nomi contenuti nella recensione di Edeo de Vincentiis al volume di Elvio Ciferri, Serafina
Brunelli. Vita, visioni e profezie della mistica di Montone.
Pertanto, a pag. 357:
Ignazio di Lodola si deve leggere: “Ignazio di Loyola”;
Tifermati illustri si deve leggere “Tifernati illustri”;
C. Ferri si deve leggere Ciferri.
Ce ne scusiamo con l’Autore e i lettori.

NOTA DI SERVIZIO: Articoli e contributi ulteriori che non compaiono in questo fascicolo sono
reperibili nel sito www.giuffre.it/riviste/iustitia cui possono accedere gli abbonati

VI
S ynthesis

EDITORIALE

Giovanni Giacobbe, CHE COSA ASPETTARSI DA QUESTO GO-


VERNO SUL TEMA FAMIGLIA?

Parte prima

DOTTRINA

Marta Cartabia, GLI STRUMENTI DI TUTELA DEI DIRITTI FONDA-


MENTALI
Nell’epoca contemporanea i diritti fondamentali sono soggetti ad un fenomeno di
proliferazione, sotto diversi aspetti. Anzitutto, i diritti fondamentali non sono più
appannaggio soltanto delle costituzioni nazionali, ma sono oggetto di tutela anche a
livello internazionale. In particolare nel continente europeo si è sviluppato un
sistema di tutela dei diritti fondamentali multilivello assai articolato e sofisticato che
mette in campo molti giudici e molte istituzioni, anche non giurisdizionali, incaricati
della tutela dei diritti. Dal punto di vista sostanziale, negli anni più recenti molti
nuovi diritti fondamentali sono stati affermati, soprattutto da giudici europei e
nazionali. Questi ultimi, utilizzando ampi criteri di risarcimento del danno esisten-
ziale affermato dalla Corte di cassazione, hanno riconosciuto nuove situazioni
soggettive, derivandole direttamente dall’art. 2 della Costituzione. Il risultato, per
molti aspetti problematico, è una dilatazione eccessiva della nozione di diritti
fondamentali, che finisce per deprimerne il significato normativo; a questo si accom-
pagna anche una evidente emarginazione delle istituzioni politiche dalle questioni
più delicate che lo sviluppo delle biotecnologie da un lato e le migrazioni dei popoli
verso il vecchio continente dall’altro mettono in campo.

Paolo Cavana, LAICITA DELLO STATO: DA CONCETTO IDEOLO-


GICO A PRINCIPIO GIURIDICO
L’articolo richiama in sintesi l’evoluzione storica del principio di laicità dello Stato,
individuando le sue radici nel principio evangelico della distinzione tra Dio e Cesare.
Il processo storico di secolarizzazione, che portò all’affermazione dello Stato laico, è
invece da farsi risalire al declino delle due autorità universali, Papato ed Impero, con
la contestuale affermazione delle monarchie nazionali in Europa. Nell’ambito di
questo processo storico-istituzionale la riforma protestante intervenne come fattore di

SYNTHESIS VII
frantumazione religiosa e politica dell’Europa cristiana, aprendo un lungo periodo di
crisi della coscienza europea. In questo contesto maturò, prima con la Rivoluzione poi
con la IIIo Repubblica in Francia, una concezione ideologica della laicità come
neutralità religiosa della sfera pubblica, che vede nella religione una minaccia
all’ordine pubblico e la rinchiude pertanto nel chiuso della coscienza individuale. Fu
solo con le costituzioni del secondo dopoguerra, fondate sul primato della persona
umana, che il principio di laicità assunse l’attuale significato di incompetenza dello
Stato nella sfera religiosa e di tutela della libertà in materia religiosa, come si evince
dalle esperienze francese e italiana, sommariamente richiamate, e anche dai più
recenti esiti del processo di unificazione europea.

FORUM
ISTITUZIONI PUBBLICHE E GARANZIE DEL CITTADINO

Gianfranco Gaffuri, GARANZIE DI GIUSTIZIA E DIRITTO TRIBUTA-


RIO: LA CAPACITA CONTRIBUTIVA
Il principio di capacità contributiva, previsto dall’art. 53, primo comma, della
Costituzione repubblicana, inserito nel titolo IV, assume un valore di difesa e di
garanzia per il contribuente, che risieda o non risieda nello Stato. Per effetto di tale
sua funzione, desunta dal sistema in cui l’art. 53 s’inserisce, il principio opera in due
direzioni: innanzitutto nella scelta dei presupposti imponibili e, in secondo luogo,
nella determinazione quantitativa del prelievo. Per quanto concerne il primo aspetto,
la regola costituzionale della capacità contributiva vieta al legislatore di assumere
quale oggetto del tributo eventi o situazioni che non manifestino forza economica,
giacché solo questa realtà consente al soggetto chiamato a contribuire di fronteggiare
il debito fiscale, traendo dallo stesso presupposto i mezzi necessari. Per quanto attiene
alla misura del tributo, il principio di capacità contributiva impedisce di fissarla a
tale elevatezza da determinare un pregiudizio allo sviluppo di quell’indice economico
soggetto al prelievo. L’etica fiscale e la giustizia esigono il rispetto di queste condi-
zioni, che definiscono l’ambito della capacità contributiva.
Oltre questi limiti insuperabili, il legislatore è libero di disciplinare il prelievo
discrezionalmente e col solo rispetto della ragionevolezza, e quindi anche d’intro-
durre nel sistema fiscale discriminazioni, tra diverse manifestazioni di ricchezza,
purché siano rispettose del principio d’uguaglianza.
È in atto un’evoluzione nel modo di interpretare la capacità contributiva, che viene
intesa come mero criterio di riparto del carico tributario e che non soffrirebbe limiti
precostituiti; ma la tesi non appare condivisibile, proprio in relazione alle fonti
normative del concetto giuridico di capacità contributiva.

Gianfranco Garancini, LE GARANZIE DEL GIUSTO PROCEDI-


MENTO AMMINISTRATIVO
Il diritto ad una buona amministrazione rispecchia, consolidandolo e trasforman-
dolo in una garanzia soggettiva, quel principio di buona amministrazione che è da
tempo un elemento di giudizio usuale nelle pronunce dei giudici comunitari e che è
diventato di valore corrente anche nell’insegnamento giurisprudenziale dei giudici
amministrativi italiani.

VIII SYNTHESIS
È questo un modo assai pregnante di riconoscere, da una parte, la soggettività a tutto
tondo del cittadino anche nei confronti della p.a.; e, dall’altra, la necessità che la
legislazione in tema di azione amministrativa e, in particolare, sul procedimento
amministrativo sia collegata — sia culturalmente sia funzionalmente — ai principi
costituzionali fondamentali, ai valori costituzionali, discendenti, appunto, per noi,
dagli artt. 97 e 98 Cost.
Diritto ad una buona amministrazione, Principio di buona amministrazione, Prin-
cipio del giusto procedimento, sono allora facce diverse e fra loro differenti dello
stesso nucleo di cultura giuridica e di espressione normativa che ruota intorno alla
affermazione della centralità del cittadino anche nell’ambito del procedimento am-
ministrativo.
Il principio di buona amministrazione si estende, con ulteriore efficacia precettiva,
anche al di là delle norme specifiche, conformando la condotta dell’Amministrazione
in termini assai più generali e (quasi) di deontologia amministrativa: è il caso del più
generale principio di correttezza e buona fede, o di “leale collaborazione”.
Per parte sua, il principio del giusto procedimento è quello in forza del quale, allorché
il legislatore decida di limitare i diritti dei singoli, deve prevedere ipotesi astratte e
predisporre un procedimento amministrativo nell’ambito del quale i privati possano
intervenire per esporre le proprie ragioni, e contribuire effettivamente al corretto
svolgimento dei poteri dell’amministrazione — che è “intermediario” fra la norma e
il suo effetto — nel suo momento dinamico.

Bassano Baroni, IL SILENZIO DELLA PUBBLICA AMMINISTRA-


ZIONE
Per lungo tratto della nostra storia amministrativa l’Ordinamento ha omesso di
adottare misure tese ad incidere sulla condotta omissiva od inerte della P.A. o per
disciplinarne gli effetti.
La scarsa attenzione legislativa sul punto è stato incisivamente modificata negli
ultimi 15-20 anni, per effetto di una serie di norme, susseguitesi nel tempo.
È venuto cosı̀ a configurarsi un nuovo assetto di misure idonee a consentire una più
spedita tutela giurisdizionale.
Il quadro è completato da provvedimenti accessori e strumentali, fra i quali meritano
di essere ricordati l’indennizzabilità della lesione causata dal mancato rispetto dei
termini di conclusione del procedimento, la possibile tutela risarcitoria contro il
silenzio, la riforma del reato di omissione di atti d’ufficio e diversi tipi di intervento
sostitutivo.

RECENSIONI
Sale G., Il Vaticano e la Costituzione (M. Ferrero); Palazzani L. (a cura di), Le
nuove tecnologie, biodiritto e trasformazioni della soggettivita (F. Zini);
Casalone C.-Foglizzo P. (a cura di), Volare alla giustizia senza schermi (G.M.
Zanardi); Bruno R., Nietzsche e Pirandello. Il nichilismo mistifica gli atti nei
fatti (F. Chizzola); Pasquale G., Il principio di non-contraddizione in Aristo-
tele (G. Tracuzzi)

SYNTHESIS IX
Parte seconda

ASTERISCHI
a cura di Caterina Villa
Cosa ci riserva il futuro politico? … la sorte dei cristiani in “questo”
tempo … laici seguaci del dubbio metodico?

OSSERVATORIO

Giorgio Floridia, RELAZIONE DI SINTESI IN CONCLUSIONE DEL


CONVEGNO CELEBRATIVO DEI 60 ANNI DI IUSTITIA
Sono qui raccolti — in presa diretta — i temi e i punti chiave degli interventi che —
in sequenza ordinata — si sono succeduti nel corso delle due intense giornate del
convegno tenutosi a Milano il 3 e 4 luglio 2008, con l’avvertenza dell’Autore che
« questa è una relazione di sintesi e non una sintesi delle relazioni ».

TESORI DI CASA NOSTRA

L’UNIONE GIURISTI CATTOLICI ITALIANI: MEMORIA DELLE


ORIGINI – di Fabrizio Ciapparoni
Il contributo prende l’occasione dell’incontro di studio organizzato in collaborazione
con la LUMSA dalla Unione Romana Giuristi Cattolici il 18 aprile del corrente anno,
diretto a rievocare il risultato elettorale conseguente alle prime elezioni politiche
tenutesi nella stessa data 60 anni prima, per tracciare anche la contemporanea
cronistoria dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani che ha avuto origine nello stesso
1948, su impulso dell’Azione Cattolica Italiana attraverso il Movimento Laureati di
Azione Cattolica.
Si è inteso, inoltre, rilevare, in un periodo di lacerante contrapposizione politica,
l’assunzione di responsabilità da parte dei cattolici giuristi attraverso l’attiva colla-
borazione alla gestione del risultato elettorale: attraverso la partecipazione al dibat-
tito scientifico-dottrinario ed attraverso l’esposizione personale nell’agone politico,
per dare risposte cristiane ai problemi politici e sociali. In questo modo sono stati
ricordati da un lato la nascita e la vita della rivista Iustitia e dall’altro l’elevazione
alle cariche ministeriali ed istituzionali dei tanti iscritti all’Unione.

L’INCONTRO NAZIONALE DEI GIOVANI GIURISTI CATTOLICI A


MAIORI DAL 3 AL 5 OTTOBRE 2008 – a cura di Antonio Angelucci
e Mattia Ferrero
In data 3-5 ottobre 2008 i Giovani Giuristi Cattolici hanno tenuto un convegno di
studio a Maiori, in collaborazione con l’Unione locale e con l’Università degli Studi
di Salerno. L’incontro è stato organizzato in modo da fornire ai partecipanti un’ap-
profondita disamina delle più rilevanti novità giurisprudenziali nei principali
settori del diritto.

X SYNTHESIS
TESTIMONIANZE

Domenico Coccopalmerio, LAUDATIO DI SUA SANTITA BARTOLO-


MEO I , PATRIARCA ECUMENICO
La Laudatio di Sua Santità Bartolomeo I, Arcivescovo di Constantinopoli-Nuova
Roma, è stata pronunciata in occasione del conferimento della Laurea Honoris
Causa in Scienze Internazionali e Diplomatiche, il giorno 5 marzo 2008, da parte del
prof. Domenico Coccopalmerio, Preside della Facoltà di Scienze Politiche dell’Uni-
versità di Trieste che ha insignito del titolo il Patriarca Ecumenico. I due aspetti
della laurea ad honorem sono da individuare nel tema delle relazioni internazionali
pubbliche e in quello delle relazioni internazionali ontologiche, o sostanziali, in cui
il Patriarca è pervenuto a un grado di meritata fama universale. Per ciò che concerne
il secondo aspetto, il Magistero di Bartolomeo I affonda le sue radici nel terreno
dell’ecologia della antropologia e della ecclesiologia. Ambiente uomo e Chiesa sono
analizzati nel loro reciproco rapporto e nelle loro relazioni con Dio. Approfondendo i
punti salienti della riflessione del Patriarca Ecumenico, la Laudatio giunge a
considerare il tema dei diritti umani nella versione assiologica che ne dà Sua
Santità, sino a stabilire l’ecogiustizia come punto di forza di una concezione del
diritto che, prima di essere norma positiva, è il bene ontologico delle persone e dei
popoli.

PANORAMA

Andrés Ollero, LAICITA SPAGNOLA


Non è possibile affrontare il problema della laicità senza aver prima definito cosa
significhi “laico”, e soprattutto, quale differenza intercorra tra “laicità” e “laicismo”.
Partendo da queste premesse, Andrés Ollero critica aspramente la concezione della
laicità maggiormente in voga in Spagna, sottolineando come una interpretazione
laicista sia del tutto incompatibile con gli articoli della Costituzione. Dopo aver
individuato i tre assiomi fondamentali su cui fondare una “laicità positiva” - in
grado di salvaguardare, ad un tempo, le legittime istanze dei credenti e la necessaria
aconfessionalità dello Stato - l’Autore analizza il “principio di cooperazione”, distin-
guendo attentamente la neutralità dello Stato dalle pretese di omologazione che si
mascherano, indebitamente, sotto di essa.

LIBRI RICEVUTI

SYNTHESIS XI
Hanno collaborato a questo numero:
ANTONIO ANGELUCCI, avvocato, borsista di ricerca presso la Facoltà di
teologia di Lugano
BASSANO BARONI, avvocato in Milano
MARTA CARTABIA, professore ordinario di diritto costituzionale nell’Uni-
versità di Milano-Bicocca
PAOLO CAVANA, associato di diritto ecclesiastico nella Libera Università
Maria Ss. Assunta (Lumsa) di Roma
FABRIZIO CIAPPARONI, già associato di storia del diritto medioevale e
moderno nell’Università di Teramo
DOMENICO COCCOPALMERIO, preside della facoltà di scienze politiche del-
l’Università degli Studi di Trieste
MATTIA FERRERO, avvocato, cultore di diritto canonico ed ecclesiastico
nell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
GIORGIO FLORIDIA, professore ordinario di diritto industriale nell’Univer-
sità Cattolica del Sacro Cuore di Milano, avvocato
GIANFRANCO GAFFURI, ordinario di diritto tributario nella facoltà di giu-
risprudenza dell’Università degli Studi di Milano, avvocato
GIANFRANCO GARANCINI, professore nell’Università degli Studi di Milano,
avvocato
GIOVANNI GIACOBBE, preside della Facoltà di giurisprudenza della Libera
Università Maria Ss. Assunta (Lumsa) di Roma, presidente del Forum delle
associazioni familiari
ANDREu S OLLERO, ordinario di filosofia del diritto presso l’Universidad Rey
Juan Carlos di Madrid
CATERINA VILLA, esperta di comunicazione
Recensioni a cura di:
FLAMINIA CHIZZOLA, dottoranda in storia e teoria del diritto presso l’Univer-
sità degli Studi di Roma Tor Vergata; MATTIA FERRERO, avvocato, cultore di
diritto canonico ed ecclesiastico nell’Università Cattolica del Sacro Cuore di
Milano; GIANLUCA TRACUZZI, dottorando di ricerca presso la scuola di dotto-
rato in giurisprudenza (Filosofia del diritto) presso l’Università di Padova;
GIAN MARCO ZANARDI, avvocato in Milano; FRANCESCO ZINI, assegnista di
ricerca in filosofia del diritto presso l’Università Lumsa di Roma

XIII
E ditoriale

CHE COSA ASPETTARSI


DA QUESTO GOVERNO SUL
TEMA FAMIGLIA?

di Giovanni Giacobbe

L’imponente manifestazione popolare definita Family Day ha


dimostrato che la famiglia italiana ha acquisito consapevolezza del
ruolo essenziale che essa realizza nella società italiana, secondo le
linee tracciate dalla Costituzione Repubblicana.
Non è contestato da alcuno che il Legislatore costituente ha
dedicato particolare attenzione alla famiglia — società naturale
fondata sul matrimonio — nella consapevolezza che l’aggregazione
familiare costituisce momento essenziale per l’evoluzione della so-
cietà civile verso forme organizzatorie istituzionali che caratterizzino
lo Stato democratico e solidarista delineato dalla Costituzione.
Nella prospettiva, che è tipica del disegno costituzionale, di
definire il raccordo tra enunciazioni di principio ed attuazioni con-
crete nella dinamica sociale, il Legislatore costituente, dopo avere
individuato i diritti della famiglia, nell’ambito della previsione del-
l’art. 29, si è dato carico di delineare, attraverso l’art. 31, un sistema
normativo che imponga alle istituzioni governative di rendere effet-
tivo il diritto dei giovani a formare una famiglia, di garantire alla
famiglia formata gli strumenti anche economici necessari per poter
realizzare le scelte operative di indirizzo familiare, di intervenire per
promuovere la finalità primaria della famiglia, rappresentata dalla
procreazione e, quindi, di determinare provvidenze operative che
consentano l’adempimento di quella funzione primaria che, secondo

GIOVANNI GIACOBBE 395


l’art. 30 comma primo della Costituzione, è individuata nel diritto e
dovere di istruire educare e mantenere i figli.
La univocità del dettato costituzionale è stata colta dalle forze
politiche di entrambi gli schieramenti nel corso della recente cam-
pagna elettorale, nell’ambito della quale, forse per la prima volta
nella storia repubblicana, tutti i partiti hanno posto a fondamento
del programma elettorale di ciascuno il tema della garanzia dei
diritti della famiglia, lungo la linea tracciata dal già richiamato art.
29 della Costituzione e nella prospettiva di applicazione dell’art. 31
della stessa Carta.
L’attuazione dei programmi elettorali deve essere valutata in
una molteplicità di aspetti.
Il primo dei quali è certamente individuabile nella predisposi-
zione di un sistema fiscale che tenga conto del principio, costituzio-
nalmente affermato, secondo cui l’educazione — intesa l’espressione
in senso lato — dei figli non può essere considerata come fatto
individuale e privato dei genitori, bensı̀ come interesse della collet-
tività.
Il secondo aspetto della attuazione dei programmi elettorali
coinvolge il tema più specifico della libertà delle scelte in ordine al
progetto educativo che ogni famiglia intende realizzare per adem-
piere al diritto e dovere di istruire, educare e mantenere i figli: in tale
contesto si impone che le istituzioni pubbliche, ed in particolare il
Governo, dando attuazione al precetto contenuto nell’art. 31 della
Costituzione, predispongano gli strumenti operativi, anche econo-
mici, che consentano in concreto alla famiglia di adempiere alla sua
funzione e, soprattutto, ai genitori di educare ed istruire i figli,
secondo una linea programmatica che tenga conto delle aspirazioni
rispettive degli uni e degli altri.
A distanza di circa quattro mesi dalla conclusione della campa-
gna elettorale, sembra legittimo prospettare serie perplessità relati-
vamente alla attuazione da parte del Governo — ma non meno
significativa è la responsabilità delle forze di opposizione, quanto
meno sul piano propositivo e stimolante dell’azione di Governo —
delle promesse elettorali, dovendosi rilevare che, in sede di program-
mazione della legge finanziaria, nonostante reiterate indicazioni
circa la predisposizione di un sistema fiscale a misura di famiglia —
che si articoli attraverso il meccanismo delle deduzioni per conse-
guire nel tempo l’attuazione del c.d. quoziente familiare — non
risulta siano state adottate misure che operino in tal senso. Eppure,

396 EDITORIALE
la raccolta di oltre un milione di firme a sostegno della petizione per
un fisco a misura di famiglia ha rappresentato un ulteriore segnale,
dopo il Family Day, della consapevolezza da parte della famiglia
italiana del ruolo essenziale che essa esercita nella società democra-
tica.
Non meno carente sembra l’intervento pubblico per garantire,
con adeguate provvidenze di ordine economico, il diritto dei genitori
— e quindi della famiglia — di realizzare un progetto educativo che
corrisponda alla impostazione personale e propria del nucleo fami-
liare.
Dunque, le famiglie italiane — soprattutto in questo momento di
grave crisi delle istituzioni economico — finanziarie — guardano con
grave preoccupazione al loro futuro.
I giuristi — ed in particolare i giuristi cattolici, la cui sensibilità
verso i problemi della famiglia costituisce elemento caratterizzante
della loro azione nella società civile — non possono non far sentire la
loro voce, nella misura in cui l’attuazione dei principi ai quali si è
fatto riferimento non può essere liquidata come espressione di una
impostazione ideologica — il che, peraltro, non potrebbe considerarsi
disdicevole — bensı̀ come necessaria ed integrale applicazione dei
principi di diritto positivo espressi nella Costituzione Repubblicana.
Non ci si nasconde che l’attuale situazione economico finanziaria
rende problematica e difficile la predisposizione di provvedimenti
idonei a sostenere le famiglie; tuttavia, sembra legittimo segnalare
che nella programmazione che il Governo dovrà realizzare, e nella
attività propositiva che spetta alle forze di opposizione, il sistema
costituzionale nel quale si opera impone che le problematiche atti-
nenti alla famiglia costituiscano priorità assoluta dell’azione di
Governo, peraltro in attuazione delle promesse che in sede di cam-
pagna elettorale sono state effettuate.

GIOVANNI GIACOBBE 397


P arte prima

Dottrina

MARTA CARTABIA

GLI STRUMENTI DI TUTELA


DEI DIRITTI FONDAMENTALI (*)

SOMMARIO: 1. Nuove Carte dei diritti, nuovi diritti fondamentali. — 2. I giudici dei diritti
fondamentali. — 2.1. La Corte europea dei diritti dell’uomo. — 2.2. La Corte di giustizia
dell’Unione europea. — 2.3. I dialoghi giurisdizionali trans-nazionali. — 2.4. I giudici
comuni e il risarcimento del danno non patrimoniale. — 3. Qualche considerazione criti-
ca.

1. L’attuale stagione dei diritti fondamentali è caratterizzata


da un fenomeno di proliferazione, che si manifesta in vari ambiti.
Vi è anzitutto una esponenziale moltiplicazione dei diritti fonda-
mentali che si esprime non soltanto nella proclamazione di nuove
Carte dei diritti fondamentali — di cui la più recente e nota è forse
la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea approvata a
Nizza nel 2000 — ma anche, e soprattutto, nella creazione per via
giurisprudenziale di “nuovi diritti fondamentali” ad opera delle au-
torità giurisdizionali.
In secondo luogo, in grande aumento sono anche i giudici dei
diritti negli ordinamenti contemporanei. Accanto al tradizionale
ruolo ricoperto in tale ambito dalle Corti costituzionali, sempre più
rilevante è l’attività delle Corti internazionali, in particolare della
Corte europea dei diritti dell’uomo e della Corte di giustizia del-
l’Unione europea di Lussemburgo. Per altro aspetto, i giudici comuni
* Relazione presentata al Convegno “Istituzioni pubbliche e garanzie del cittadino” il 3
luglio 2008. Il testo qui pubblicato riproduce quanto esposto in forma orale.

MARTA CARTABIA 399


sono spesso caricati di richieste di tutela dei diritti fondamentali più
frequentemente di quanto accadesse in passato.
Infine, negli anni più recenti si sta assistendo allo sviluppo di
forme non giurisdizionali di tutela e promozione dei diritti fonda-
mentali, attraverso l’istituzione di Agenzie dei diritti o di altri organi
incaricati di monitorare e prevenire le violazioni dei diritti fonda-
mentali con strumenti di natura amministrativa, attraverso la cd.
policy dei diritti fondamentali (Agenzia dei diritti fondamentali
dell’Unione europea, Vienna).
La domanda che sorge di fronte a tanta abbondanza di strumenti
giuridici è se essa comporti un effettivo incremento nella qualità
della vita e nella libertà dei cittadini, vero fine di ogni forma di tutela
dei diritti.
In questa relazione, non potendo trattare compiutamente di tutti
gli aspetti qui sommariamente enunciati, mi soffermerò principal-
mente sulla creazione per via giurisprudenziale di nuovi diritti
fondamentali e sulla moltiplicazione dei giudici dei diritti.
1.1. Dal secondo dopoguerra in poi si è assistito al moltiplicarsi
delle Carte dei diritti fondamentali.
I totalitarismi del Novecento e la seconda guerra mondiale ave-
vano lasciato dietro di sé una triste eredità, che suggeriva di raffor-
zare in ogni modo la tutela dei diritti dei cittadini. È cosı̀ che tutte le
Costituzioni dell’epoca tendono ad ispirarsi al principio di rigidità
della Costituzione e ad istituire un custode della Costituzione all’in-
terno di ciascun ordinamento, affinché i diritti fondamentali — fino
ad allora garantiti essenzialmente attraverso la riserva di legge e la
riserva di giurisdizione — abbiano un giudice specificamente dedi-
cato alla loro garanzia, anche nei confronti del legislatore e del
Parlamento. È ormai diffusamente riconosciuto che un tratto che
specificamente qualifica il costituzionalismo del secondo dopoguerra
è costituito proprio dalla comparsa sulla scena europea delle Corti
costituzionali e della giustizia costituzionale: i giudici delle libertà,
secondo la famosa definizione di Mauro Cappelletti.
Contemporaneamente, sulla scena internazionale compaiono di-
chiarazioni dei diritti e talora veri e propri sistemi internazionali di
tutela dei diritti fondamentali, diretti a creare una sorta di rete di
salvataggio nel caso in cui gli ordinamenti statali e i loro sistemi
interni di garanzia si rivelino insufficienti e manchevoli nella salva-
guardia dei diritti dei cittadini. È cosı̀ che nell’ambito dell’ONU è

400 DOTTRINA
stata approvata la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, e in
ambito europeo la Convenzione europea dei diritti dell’uomo del
1950, garantita dalla Corte dei diritti di Strasburgo. Pochi anni più
tardi, anche l’Unione europea, che nasceva originariamente sprovvi-
sta di un proprio catalogo di diritti fondamentali, si dotava di un
proprio sistema di tutela dei diritti destinato a intrecciarsi in vario
modo con la tutela assicurata dalle Costituzioni nazionali da una
parte e con la Convenzione europea dall’altra.
Nella seconda metà del XX secolo, è andato gradualmente for-
mandosi un sistema cd. “multilivello” di tutela dei diritti fondamen-
tali, che in ambito europeo vede intrecciarsi i cataloghi dei diritti
contenuti nelle Costituzioni nazionali, la Convenzione europea, la
Carta dei diritti dell’Unione europea, oltre a tutti gli strumenti
elaborati in sede internazionale, in particolare nell’ambito dell’ONU.
A livello sub-statale, anche le regioni, e non solo quelle italiane,
tendono a dotarsi di propri diritti, valori e principi di riferimento nei
rispettivi statuti.
Non è questa la sede per analizzare in modo approfondito i
rapporti che regolano i diversi strumenti di tutela dei diritti fonda-
mentali nell’ambito del sistema “multilivello” europeo. Basti qui
osservare che varie e reciproche sono le sovrapposizioni tra gli
strumenti esistenti. In vario modo e a vario titolo la Convenzione
europea produce effetti all’interno degli ordinamenti nazionali e nei
riguardi delle istituzioni dell’Unione europea; a sua volta la Carta
dell’Unione europea ha un ambito di applicazione che si sovrappone
almeno in parte a quello delle Costituzioni nazionali, e cosı̀ via.
1.2. Distinta dalla moltiplicazione delle Carte, anche se parzial-
mente correlata ad essa, è la proliferazione dei diritti fondamentali,
un fenomeno questo che si sta accentuando particolarmente negli
anni più recenti.
I “nuovi diritti” fondamentali sono opera soprattutto della crea-
tività giurisprudenziale. La matrice da cui nascono i nuovi diritti è
soprattutto il diritto alla privacy, evolutosi nel diritto alla autode-
terminazione, che trova come terreno privilegiato di esplicazione
quello dei rapporti personali e familiari.
All’origine di queste evoluzioni giurisprudenziali possono essere
forse collocate le famose decisioni della Corte suprema americana
Griswold (1965) e Roe versus Wade (1973), in materia di uso di
contraccettivi e di aborto.

MARTA CARTABIA 401


Né la Costituzione americana, né il successivo Bill of Rights
contengono esplicitamente il diritto alla privacy; esso è stato elabo-
rato per via giurisprudenziale attraverso una interpretazione molto
ampia di alcuni diritti di libertà. Il punto di riferimento per l’affer-
mazione del diritto alla privacy è il caso Griswold v. Connecticut
(1965), che liberalizza l’uso dei contraccettivi. I giudici della Corte
suprema ritengono che il diritto alla privacy si ritrovi “nella penom-
bra” di molti diritti costituzionalmente protetti, come la libertà di
educazione e altri, che indicano che la Costituzione americana si
basa sulla libertà di ogni individuo di effettuare le sue scelte perso-
nali, nella vita privata, senza interferenze del potere pubblico. In
questo modo Griswold letteralmente crea un diritto alla privacy
inteso come libertà di scelta nella vita privata, personale e familiare,
libertà da ogni forma di interferenza.
Inizialmente il diritto alla privacy ha la struttura tipica della
libertà negativa: lo Stato, il governo, il potere pubblico hanno l’ob-
bligo di non interferire con tali scelte. Poi tale obbligo assume un
connotato positivo: diventa obbligo per lo Stato di proteggere la
libertà di scelta individuale nella sfera riguardante la vita privata.
Nel caso Roe v. Wade (1973) la Corte suprema americana afferma
che il diritto fondamentale alla privacy comprende il diritto della
donna di scegliere se portare a termine una gravidanza o interrom-
perla: “The right to privacy is broad enough to encompass a woman’s
decision whether or not to terminate her pregnancy”.
Da quel momento in poi, il diritto alla privacy come diritto alla
libera scelta o autodeterminazione nelle scelte personali, sessuali,
familiari, di salute diventa il principio per affrontare tutte le que-
stioni: fecondazione assistita, eutanasia, suicidio, etc. Tra le più
recenti applicazioni del diritto alla privacy inteso come autodetermi-
nazione e libera scelta è la decisione della Corte suprema della
California dello scorso maggio 2008, che afferma il diritto degli
omosessuali a contrarre matrimonio, annullando per incostituziona-
lità la legge della Californa che aveva istituito le unioni civili regi-
strate, assimilabili ma non del tutto identificate con il matrimonio.
La base concettuale è la privacy, a sua volta capace di generare un
diritto all’autodeterminazione, alla libertà di scelta, fino a generare
un diritto al matrimonio inteso come libertà di scegliere il proprio
partner, indipendentemente dal sesso.
Questo tipo di dinamiche giurisprudenziali che portano all’emer-

402 DOTTRINA
gere di “nuovi diritti” non è confinato al solo ambito americano, ma
riguarda direttamente anche i nostri ordinamenti.
In particolare, è tramite la giurisprudenza della Corte di Stra-
sburgo che questi nuovi diritti nati dalla privacy e dall’autodetermi-
nazione dell’individuo vengono esportati anche negli ordinamenti
nazionali. Per menzionare qualche esempio recente, in nome del
diritto alla privacy, che nella Convenzione europea dei diritti ha
anche una base testuale, l’art. 8, è stato affermato il diritto all’ado-
zione da parte di una coppia di lesbiche (caso E.B. contro Francia,
gennaio 2008) ovvero in passato sono stati affermati i diritti dei
transessuali a vedersi riconosciuto il diritto di cambiare sesso (caso
Goodwin del 2002).
A sua volta la giurisprudenza della Corte europea dei diritti
dell’uomo influenza in misura assai significativa anche la giurispru-
denza della Corte di giustizia dell’Unione europea, che appare par-
ticolarmente recettiva agli orientamenti giurisprudenziali dell’alta
Corte europea e ne promuove i principali orientamenti. Cosı̀, ad
esempio, in materia di diritti dei transessuali si possono ricordare i
casi K.B. del 2004 e Richards 2006, che riecheggiano molto da vicino
gli argomenti e le posizioni della Corte di Strasburgo in Goodwin; e,
più recentemente, la decisione 1 aprile 2008, il caso Tadao Maruko
sul matrimonio delle coppie omosessuali.
Gli esempi dei nuovi diritti potrebbero essere moltiplicati, se solo
si volgesse l’attenzione ai problemi di inizio e fine vita, alla questione
dell’aborto, alla fecondazione assistita, all’eutanasia, al cd. diritto ad
ammalarsi o a non nascere, e cosı̀ via.
I nuovi diritti fondamentali hanno tutti origine da una conce-
zione antropologica “libertaria”, che non sempre corrisponde a quella
idea di “dignità umana”, vera e propria pietra miliare della costru-
zione giuridica, come ha ricordato Benedetto XVI nell’importantis-
simo discorso alle Nazioni Unite, che invece è alla base di molte
Carte dei diritti, a partire dalla Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo, fino alla nostra Costituzione del 1948.
Vi è una tensione che attraversa l’attuale stagione dei diritti
umani, come bene è stato evidenziato:
“la cultura contemporanea dei diritti dell’uomo non si alimenta
soltanto all’ispirazione cristiana. Essa deriva anche dal progetto di
autonomia assoluta del soggetto umano creato dalla modernità e
sfociante nell’individualismo edonista. L’attuale convergenza sui di-
ritti fondamentali si alimenta di questo dualismo antagonista. La

MARTA CARTABIA 403


matrice antropologica cristiana — anche laicizzata — che ha forte-
mente ispirato i documenti della metà del XX secolo tende a lasciar
posto ad un’altra lettura, quella che in nome della libertà, erige in
assoluto l’ego dell’essere umano, ridotto a capacità di godere dei beni
materiali senza altro freno che l’utilità sociale” (J. L. CHABOD,
L’Unione europea e i diritti dell’uomo, in La società, 2001).
Oggi si nota una tendenza ad affermare in termini di diritto
fondamentale ogni desiderio e ogni aspirazione umana, trasfor-
mando per tale via immediatamente in valore universale ogni aspi-
razione nata in un determinato momento e contesto storico, frutto di
una preferenza individuale.
2. La dinamica che abbiamo evidenziato, che porta alla inarre-
stabile proliferazione di nuovi diritti fondamentali si accompagna in
qualche misura al moltiplicarsi delle sedi giurisdizionali di tutela dei
diritti fondamentali.
Se fino a pochi anni orsono il sistema della tutela giurisdizionale
dei diritti fondamentali faceva leva sul ruolo della Corte costituzio-
nale, oggi si assiste ad una progressiva dislocazione di questo com-
pito, tramite una valorizzazione da un lato delle Corti europee, come
già si è avuto modo di accennare, e dall’altro dei giudici comuni.
Vorrei portare la riflessione su alcuni cambiamenti macroscopici.

2.1. La Corte europea dei diritti dell’uomo


Le sentenze n. 348 e 349 dell’ottobre 2007 della Corte costituzio-
nale segnano l’inizio di una nuova epoca nei rapporti con la Cedu,
valorizzando in modo assai significativo la portata normativa della
Convenzione europea nell’ordinamento italiano e soprattutto gli ef-
fetti delle sentenze della Corte di Strasburgo.
L’intervento della Corte costituzionale è stato da tempo prepa-
rato sotto la spinta di rilevanti evoluzioni, non prive di alcune
forzature, della giurisprudenza interna. Nel corso degli anni ’90, la
Convenzione europea e la giurisprudenza della Corte europea dei
diritti dell’uomo hanno acquisito un’autorevolezza crescente, sia
presso i giudici ordinari, sia presso la Corte costituzionale. Già da
molti anni i giudici ordinari, le magistrature supreme e la Corte
costituzionale tengono in adeguata considerazione le decisioni della
Corte di Strasburgo come elementi guida nell’interpretazione delle
leggi interne operando una sorta di “interpretazione conforme a
Convenzione”.

404 DOTTRINA
Con le sentenze n. 348 e 349 del 2007, la Corte fissa alcuni
principi fondamentali che qui può essere utile sottolineare. Il cuore
di queste sentenze sta nel seguente principio: d’ora in avanti le
norme della Convenzione europea costituiranno parametri interposti
nei giudizi di legittimità costituzionale delle leggi nazionali, in virtù
dell’art. 117, primo comma.
In questo modo, la Corte costituzionale ha irreversibilmente
esposto la prima parte della Costituzione italiana e i diritti fonda-
mentali in essa contenuti alle influenze della Cedu e più ancora alle
interpretazioni della Corte di Strasburgo. È chiaro infatti che
quando la Corte afferma che le norme della Convenzione europea
assumono il valore di parametro interposto nel giudizio di legittimità
costituzionale, essa non si riferisce soltanto alle disposizioni scritte
del testo della Convenzione, ma, appunto, alle norme Cedu nel
significato ad esse attribuito dalla interpretazione della Corte di
Strasburgo. In definitiva, il ruolo di parametro interposto nei giudizi
di costituzionalità sarà assunto dalle decisioni della Corte di Stra-
sburgo.
È vero che la Corte costituzionale si riserva di valutare, prima di
procedere all’applicazione dei principi formulati dalla Corte di Stra-
sburgo, la loro compatibilità con la Costituzione italiana e nel caso in
cui ne emerga un conflitto con le norme costituzionali interne, la
Corte si dichiara pronta a pronunciare l’“inidoneità” del principio
convenzionale ad integrare il parametro di costituzionalità e ad
espungerlo dall’ordinamento italiano. Tuttavia, è chiaro che grazie
alle potenzialità dell’interpretazione in riferimento ai testi costitu-
zionali — composti da principi più che da norme, e comunque
caratterizzati da un ampio respiro lessicale e scritti secondo una
tecnica redazionale “a maglie larghe” — il contenuto dei diritti
costituzionali sarà sempre più intensamente rimodulato in base agli
orientamenti elaborati a Strasburgo e l’intero disegno complessivo
della parte prima della Costituzione si trasfigurerà gradualmente
sotto l’influsso della cultura dominante nelle istituzioni europee.

2.2. La Corte di giustizia dell’Unione europea


A partire dalla approvazione della Carta dei diritti fondamentali
avvenuta a Nizza nel dicembre 2000 è stata inaugurata una signifi-
cativa stagione della tutela dei diritti nell’Unione europea, al punto
che uno fra i più acuti osservatori dell’integrazione europea ha

MARTA CARTABIA 405


affermato che sta prendendo forma in Europa una Grundrechtsge-
meinshaft, in cui i diritti fondamentali stanno assumendo il ruolo
fino ad ora ricoperto dal mercato interno e dai rapporti economici. In
effetti, benché la Carta non costituisca la prima forma di tutela dei
diritti fondamentali nell’Unione europea, ma al contrario si inserisca
in un percorso avviatosi sin dalla fine degli anni Sessanta e consoli-
datosi nel tempo, essa segna indiscutibilmente uno spartiacque, che
ha determinato una profonda differenza nella qualità e nella quan-
tità degli interventi della Corte di giustizia in materia di diritti
fondamentali. Oggi siamo di fronte certamente ad una significativa
tendenza espansiva della giurisprudenza comunitaria anche negli
ambiti di competenza degli Stati membri.
Originariamente, i diritti fondamentali nell’Unione europea non
avrebbero dovuto rimpiazzare quelli garantiti dalle Costituzioni na-
zionali, ma piuttosto affiancarsi ad essi, proteggendo i cittadini negli
ambiti in cui le Costituzioni nazionali non potevano agire, vale a dire
principalmente nei confronti degli atti delle istituzioni comunitarie.
Ben presto, però, la giurisprudenza della Corte di giustizia ha ini-
ziato a proiettarsi anche all’interno degli ordinamenti costituzionali
nazionali, secondo i principi della dottrina della incorporation, in
base alla quale i diritti fondamentali dell’Unione europea e la giuri-
sdizione della Corte di giustizia di Lussemburgo si espandono all’in-
terno degli Stati membri, quando le autorità nazionali intersecano
settori di competenza dell’Unione europea.
Oggi si assiste ad una progressiva erosione dei confini e ad una
sensibile irradiazione dei diritti fondamentali comunitari in molti
ambiti degli ordinamenti nazionali. L’effetto è un progressivo accen-
tramento della tutela dei diritti fondamentali in capo alla Corte di
giustizia con un inevitabile effetto di omogeneizzazione (su questo
punto mi permetto di rinviare a M. CARTABIA, L’ora dei diritti fonda-
mentali nell’UE, in I diritti in azione, Il Mulino, Bologna, 2007).

2.3. I dialoghi giurisdizionali transnazionali.


Un ulteriore fenomeno che si sta diffondendo riguarda l’uso dei
precedenti giudiziari tratti da esperienze estere, da parte dei giudici
nazionali. Non si tratta di una tendenza solo italiana, ma assai
diffusa e discussa in altre parti del mondo. Ad es. la Costituzione del
Sud Africa consente esplicitamente alla Corte suprema di prendere
in considerazione la “foreign law” nell’interpretazione della Carta dei

406 DOTTRINA
diritti. Negli Stati Uniti, dove la Corte suprema in alcuni casi si è
avventurata nell’uso del diritto comparato per la soluzione di casi
difficili in materia di diritti fondamentali — omosessuali, pena di
morte — la vicenda ha suscitato un vivacisimo dibattito. Invero, non
mi risulta che la Corte costituzionale italiana si sia ancora avventu-
rata in tale sperimentazione. Diversa si presenta, invece, la giuri-
sprudenza della Corte di cassazione che in più di un’occasione ha
fatto riferimento alla giurisprudenza straniera. Vorrei qui ricordare
almeno due casi perché hanno uno specifico tono costituzionale e
riguardano problemi inerenti ai diritti fondamentali. Il primo in
ordine temporale è un caso del 2004, riguarda il cd. “diritto a non
nascere”; il secondo è il notissimo caso Englaro dell’ottobre 2007.
È una prassi affascinante, che per certi aspetti può molto arric-
chire gli strumenti di tutela dei diritti e recare grandi benefici; per
altri aspetti può prestarsi a varie forme di abuso, come bene mette in
rilievo il dibattito americano, soprattutto se essa viene ridotta a
tecnica di giustificazione di decisioni già prese, anziché essere fina-
lizzata ad arricchire l’argomentazione razionale e giuridica. Spesso i
giudici vanno alla ricerca di precedenti stranieri che confermino una
decisione già predeterminata, specie in caso di deboli appigli norma-
tivi e giurisprudenziali nell’ordinamento di riferimento.

2.4. I giudici comuni e il risarcimento del danno non patrimoniale


Un fenomeno recente su cui è stata acutamente posta l’atten-
zione da parte della dottrina (E. Lamarque) è l’attivismo dei giudici
ordinari in materia di diritti fondamentali, attraverso la giurispru-
denza sul risarcimento dei danni non patrimoniali. Il riferimento è a
due importanti decisioni della Corte di cassazione del maggio 2003,
con cui si è avviata una lettura costituzionalmente orientata del
danno non patrimoniale ex art. 2059 cc. A partire da quei precedenti
si è diffuso un nutrito filone giurisprudenziale che assicura alla
potenziale vittima di un danno un risarcimento anche in casi non
previsti dalla legge, purché si ravvisi la lesione di un bene, un valore,
un diritto costituzionale. Spesso l’art. 2059 e il relativo danno non
patrimoniale è stato collegato direttamente all’art. 2 Cost. letto come
fattispecie aperta e indeterminata, con il risultato che il combinato
disposto delle due norme ha dato vita ad una corposa lista di nuovi
diritti fondamentali. Il risultato è per un verso un completamento del
sistema di tutela e la possibilità di far giungere i diritti dove né il

MARTA CARTABIA 407


legislatore né la Corte costituzionale hanno saputo arrivare. Per altri
aspetti, però, i risultati sono a dir poco stravaganti, come, giusto per
dare un’idea, quando sono state spacciate per violazione di diritti
fondamentali — e quindi risarcite come danno non patrimoniale —
“la violazione della libertà individuale causata dal un volantinaggio
martellante di messaggi pubblicitari nella casella postale”; la viola-
zione del “diritto al riposo e allo svago causata da un black-out”
durante l’intera giornata di Domenica o la “violazione del diritto
costituzionalmente garantito ad esplicare la propria personalità an-
che in vacanza derivante dalla perdita del bagaglio nel viaggio di
nozze” e cosı̀ via.
3. La panoramica qui sommariamente accennata rivela che sul
terreno dei diritti fondamentali si stanno svolgendo dinamiche epo-
cali sia in riferimento ai rapporti tra cittadini e autorità, sia sul
piano dei rapporti tra diversi tipi di istituzioni.
Tutte le nuove domande di giustizia tendono a riversarsi diret-
tamente nelle aule giudiziarie nella forma dei diritti fondamentali.
Questo fenomeno genera una serie di problemi che in conclusione
vorrei sommariamente accennare.
Anzitutto vi è una tendenza a esautorare completamente le
istituzioni politiche e la via legislativa nella ricerca a risposte ai
nuovi bisogni, che alla lunga può alterare il corretto rapporto tra
istituzioni politiche e istituzioni di garanzia, snaturando anche il
ruolo complessivo del potere giudiziario che nella Costituzione ita-
liana era stato voluto come potere debole, o meglio come “non potere”.
La lex cede il passo agli iura.
In secondo luogo, ad essere estromessa, insieme alla legge e al
Parlamento, è anche la Corte costituzionale, garante dei diritti nella
forma del giudizio sulle leggi. Sempre più raramente si legge nella
giurisprudenza costituzionale una sentenza riguardante in modo
chiaro e inequivoco i diritti della persona; la Corte è sempre più un
arbitro dei poteri.
La dispersione della garanzia dei diritti presso i giudici comuni e
presso le sedi europee può facilmente lasciare i diritti fondamentali
alla mercè delle preferenze soggettive del singolo giudice. Nei nostri
ordinamenti mancano elementi unificanti della giurisprudenza, pre-
senti invece nei sistemi di common law, perché il fattore unificante si
presupponeva che fosse la legge e il giudice delle leggi. La moltipli-
cazione dei formanti giuridici dei diritti fondamentali (Carte inter-

408 DOTTRINA
nazionali, Statuti regionali, giurisprudenze straniere, giurispru-
denze europee, etc.) posti direttamente nelle mani dei giudici comuni
amplificano la loro discrezionalità e alimentano la tendenza alla
creazione dei nuovi diritti, in modo diseguale e imprevedibile.
In questo contesto è assolutamente urgente che tutti i soggetti
istituzionali che si trovano a contatto con le richieste di tutela di
nuovi diritti fondamentali sappiano resistere alla tentazione di dila-
tare eccessivamente questa categoria giuridica, mantenendo i diritti
fondamentali entro gli argini di una “esperienza elementare univer-
sale”, riconoscibile per ogni persona umana, ad ogni latitudine e sotto
ogni cielo.
Occorre in altri termini porre chiaramente l’attenzione sul ri-
schio di confondere l’universalismo dei diritti fondamentali con l’uni-
versale che appartiene alla comune esperienza umana. L’analisi
precedente ha mostrato come la categoria dei diritti fondamentali
possa diventare una categoria formale, vuota e arbitraria, utilizzata
a piacimento per dare soddisfazione a pretese giuridiche prive di
altro fondamento normativo. Questa tendenza alla banalizzazione
dei diritti fondamentali può, però, portare qualche rischio. Se si
vuole mantenere un significato normativo del concetto di diritti
fondamentali, allora non è ammissibile che sia qualificata come
diritto fondamentale qualunque pretesa giuridica riconosciuta da un
qualunque giudice sul globo terrestre.
Occorre, come ammoniva Benedetto XVI nel discorso all’ONU
dello scorso aprile, sottoporre ad attento discernimento la richiesta di
nuovi diritti, cioè sottoporre la categoria stessa dei diritti fondamen-
tali al vaglio della ragione e dell’esperienza umana universale, af-
finché essi rimangano quello che la loro struttura esige che siano,
cioè primigeni strumenti di Giustizia.

MARTA CARTABIA 409


PAOLO CAVANA

LAICITA DELLO STATO:


DA CONCETTO IDEOLOGICO
A PRINCIPIO GIURIDICO (*)

SOMMARIO: 1. Le origini. Laicità dello Stato e cristianesimo. — 2. L’ideologia dello Stato laico
nella crisi dello spirito europeo. — 3. L’affermazione del regime di laicità in Francia. —
4. L’evoluzione del principio di laicità nell’esperienza francese. — 5. La laicità dello Stato
nell’esperienza italiana. I dibattiti in Assemblea costituente. — 6. Il principio di laicità
dello Stato nella giurisprudenza costituzionale. — 7. Le nuove sfide alla laicità dello
Stato.

1. Una riflessione, per quanto sintetica e necessariamente par-


ziale, sul principio di laicità dello Stato nell’esperienza giuridica
attuale non può prescindere da un minimo inquadramento storico,
che ci consenta di individuare l’origine e le principali fasi di un
percorso evolutivo che ha segnato la storia dell’Occidente.
Il principio di laicità dello Stato ha origini lontane, che risalgono
alla frantumazione dell’unità politica e religiosa del continente eu-
ropeo, consumatasi con la Riforma protestante, e alla progressiva
affermazione dello Stato moderno.
Si è trattato di un complesso processo storico, svoltosi per secoli
nell’alveo del principio dualista cristiano, che aveva affermato il
primato della persona umana, in quanto figlio di Dio e destinato alla
salvezza, contro ogni tentazione assolutizzante della religione (il
sabato per l’uomo, non viceversa; date a Cesare quel che è di Cesare)
e della politica (date a Dio quel che è di Dio), ispirando dopo
l’antichità tutta la storia e il pensiero dell’Occidente.
Sotto questo profilo la grande novità del cristianesimo, che ha
tanto inciso sulle categorie politiche e teologiche della nostra civiltà,
* Contributo destinato alla pubblicazione negli Studi in onore del Prof. Piero Pellegrino.

PAOLO CAVANA 411


non fu tanto di aver ripartito il potere fra due autorità, una religiosa
e l’altra secolare (ciò avveniva già in alcune esperienze del mondo
antico, ove la casta sacerdotale era distinta e con funzioni autonome
rispetto a quella del Re o dei magistrati civili, si pensi all’Egitto,
all’antico Israele o alla Roma repubblicana), quanto di aver intro-
dotto nella visione del mondo l’idea di un’assoluta irriducibilità
dell’uomo a qualsiasi potere umano, sia di carattere politico che
religioso, fosse questo finalizzato alla costruzione di un regime poli-
tico o religioso. Ciò in quanto ciascun uomo è già segnato ab origine,
in virtù della sua somiglianza con Dio e della sua chiamata alla
salvezza, da una radicale dignità (o natura, secondo s. Tommaso, o
normatività, secondo Rosmini, per il quale l’uomo è il “diritto sussi-
stente”) che ne trascende lo stesso destino terreno e si oppone ad ogni
tentativo di asservirlo e renderlo mero strumento di realizzazione di
progetti di dominio umano.
Nel celeberrimo passaggio evangelico “date a Cesare quel che è di
Cesare e a Dio quel che è di Dio”, l’uomo non è a metà strada, diviso
tra due antitetiche appartenenze, ma nella sua intima natura egli
appartiene a Dio: cioè — nel suo significato più profondo, che ri-
guarda anche i non credenti e ha posto le basi della moderna libertà
di coscienza — egli non appartiene a Cesare, al potere civile, che può
pretendere dall’uomo solo prestazioni materiali corrispondenti a
giuste esigenze di convivenza, non la rinuncia alla sua dignità
creaturale e originaria.
In questa prospettiva l’autorità della Chiesa non rappresenta
un’alternativa al potere dello Stato, ma in virtù della sua testimo-
nianza di fede è solo garante di fronte a quest’ultimo della superiore
dignità della persona umana e dei suoi diritti imprescrittibili. Il
ruolo dell’autorità civile è ampiamente riconosciuto, come si evince
anche dalle lettere di s. Paolo, non in quanto portatrice di meri
disegni e ambizioni di dominio terreno, ma in quanto si pone al
servizio della persona e della sua trascendente dignità, tutelandola
contro ogni forma di indebita aggressione e sostenendola nelle sue
giuste istanze di giustizia sociale.
2. Nel corso della storia europea l’ascesa delle Monarchie na-
zionali, il contestuale declino dell’autorità imperiale e la Riforma
protestante posero le basi per una nuova legittimazione del potere
secolare, che progressivamente andava svincolandosi dalla tesi uni-
versalista di un’unica fonte del potere di origine divina (Dante).

412 DOTTRINA
Anche alcune tesi teocratiche, elaborate in ambienti curiali e fiorite
nel corso dei secc. XI-XIII, che assegnavano al Pontefice un ruolo di
vertice nel sistema di governo della societas christiana (la c.d. pote-
stas directa Ecclesiae in temporalibus) tramontarono con il declino
dell’autorità imperiale.
Ma furono poi le sanguinose guerre di religione, dovute alle
divisioni tra i cristiani e che imperversarono per tutta Europa nel
sec. XVI e XVII soprattutto nei territori tedeschi, in Francia e Gran
Bretagna, che mostrarono per la prima volta agli occhi degli europei
la fede cristiana come fattore di divisione e conflitto, laddove per
secoli essa era stato il principale fattore di unità e di coesione delle
popolazioni europee.
In questa lunga e dolorosa fase di crisi dello spirito europeo, che
turbò e segnò intere generazioni (bastino i nomi di Montaigne, Grozio,
Cartesio, Thomasius) e le orientò, rassegnate e disilluse, verso l’ela-
borazione di un concetto di ragione e di razionalità avulso da ogni
riferimento alla natura e al destino trascendenti dell’uomo (il giusna-
turalismo razionalista e l’“etsi Deus non daretur”) (1), si situa l’origine
e l’idea dello Stato laico. Cioè di un’unica fonte suprema del potere (da
cui il concetto di sovranità, ad indicare un potere legibus solutus,
sciolto da ogni regola superiore, anche di carattere divino) che, nel-
l’esercizio delle sue funzioni di governo della comunità, prescinde dal-
l’appartenenza confessionale dei sudditi, rinunciando di porsi al ser-
vizio di una salvezza ultraterrena e riguardando l’individuo solo nella
sua dimensione secolare e nelle sue esigenze temporali.
All’apice di tale processo storico di secolarizzazione, sviluppatosi
nel segno del progressivo svuotamento metafisico dell’individuo, pri-
vato del suo radicamento trascendente, e della contestuale concen-
trazione di ogni potere nello Stato assoluto, l’equilibrio postulato dal
principio dualista cristiano si ruppe.
Nella cultura europea, diversamente da quanto avvenne nelle
colonie del Nord America, venne meno la fiducia nelle autonome
potenzialità dell’uomo, illuminato dalla fede, secondo il modello
trasmesso dalla tradizione cristiana, di trasformare dall’interno la
(1) Come noto, l’espressione deriva da un noto passaggio dei Prolegomena (n. 11) al De
iure belli ac pacis di Ugo Grozio (1583-1645), opera fondamentale che pose le basi del
giusnaturalismo razionalista e del diritto internazionale inteso in senso moderno. In esso si
afferma che il diritto naturale, in quanto discendente dai caratteri essenziali e specifici della
natura umana, sussisterebbe in qualche modo ugualmente “etiamsi daremus, quod sine
summo scelere dari nequit, non esse Deum, aut non curari ab eo negotia humana” (anche se
ammettessimo, cosa che non può farsi senza empietà gravissima, che Dio non esistesse o che
egli non si occupasse dell’umanità).

PAOLO CAVANA 413


realtà e i rapporti sociali secondo principi di giustizia. Racchiuso
l’uomo in un orizzonte di pura immanenza, prevalse la tentazione di
affidare allo Stato, espressione della Nazione e inteso come solo reale
protagonista della storia, il ruolo di artefice ed esecutore di un
progetto complessivo di emancipazione forzata dell’individuo da ogni
asserito vincolo di carattere sociale, culturale e religioso, ponendo la
sua autorità anche al di sopra della persona umana e della società
civile, rappresentata come il luogo delle diseguaglianze sociali e della
sopraffazione tra gli uomini (cfr. Il contratto sociale di J.J. Rous-
seau).
Questo travaglio culturale e istituzionale ebbe il suo culmine nella
Rivoluzione francese, che in alcuni dei suoi testi fondamentali, in par-
ticolare la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789,
espose le basi concettuali di una nuova società politica fondata sui
principi della rappresentanza elettiva e del primato della legge, come
espressione della volontà generale (art. 6), ma conferendo a questi
istituti tali caratteri di assolutezza che solo l’annullamento dell’indi-
viduo — come portatore di un proprio originario valore e significato
trascendente la storia — poteva giustificare ed ammettere (2).
In tal senso è emblematica la formulazione dell’art. 3 di tale
Dichiarazione: “Le principe de toute souveraineté réside essentielle-
ment dans la nation. Nul corps, nul individu ne peut exercer d’auto-
rité qui n’en émane expressément”, ove, accanto al superamento della
monarchia di diritto divino e dei relativi privilegi, viene affermato il
fondamento di un potere assoluto, sia pure a base elettiva, di fronte
al quale sia l’individuo che la società civile perdono di ogni consi-
stenza e autonomo fondamento. In questa visione l’uomo in quanto
tale, dotato di diritti e doveri che gli derivano dalla sua natura
(2) Premesse ed esiti molto diversi ebbe invece, sul piano delle dottrine politiche, la
Rivoluzione americana, ossia il processo di indipendenza politica delle colonie americane dalla
Corona inglese (1776-1783), che pose le basi di un costituzionalismo che si sviluppò senza mai
rinnegare la propria fiducia nelle autonome potenzialità dell’individuo e nella sua libertà,
ponendola anzi alla base di un nuovo modello di società politica, espressa nella Dichiarazione
di indipendenza del 1776. In essa infatti si affermano come “verità per sé evidenti” che gli
uomini “sono dotati dal loro Creatore di certi inalienabili diritti fra i quali quelli alla vita, alla
libertà e al perseguimento della felicità”, con una formulazione che rende esplicito il loro
fondamento trascendente e i limiti invalicabili dello Stato. In questa prospettiva il primo
emendamento alla Costituzione americana (1791), che inaugurò l’elenco dei diritti o Bill of
Rights, affermò il principio della libertà religiosa e quello di incompetenza dello Stato a
intervenire in tale materia (separatismo statunitense), come suprema garanzia dell’individuo
e delle confessioni religiose contro eventuali abusi o concessione di privilegi da parte del
legislatore. Non a caso il concetto di laicità o di Stato laico è estraneo alla cultura anglosassone
e soprattutto nordamericana, che conosce piuttosto quello di secularity o secularism, a indicare
la sfera di competenza dell’autorità civile come circoscritta alle esigenze temporali dell’indi-
viduo (cfr. J. LOCKE, Lettera sulla tolleranza, 1689).

414 DOTTRINA
trascendente la storia, scompare e al suo posto si afferma il cittadino,
non più suddito di fronte all’autorità sovrana e formalmente parte-
cipe della sua volontà, la legge, da cui viene però a dipendere in
concreto ogni suo diritto e libertà.
In questo contesto anche la religione e la fede cristiana, sulla
base dell’esperienza confessionista dell’Ancièn Règime, furono talora
percepite come fattori di oppressione dell’individuo e di ostacolo alla
piena affermazione dello Stato sovrano, inteso come potere assoluto
sull’intera società. In particolare la Chiesa e la religione cattolica,
che opposero sempre la maggiore resistenza ai tentativi di assimila-
zione politica e culturale, furono per questi motivi oggetto da parte
degli Stati, prima liberali poi totalitari, di legislazioni ostili, e talora
persecutorie, volte alla loro sostanziale emarginazione nella società.
3. L’esperienza nazionale più emblematica in tal senso è quella
della Francia, ove il termine “laı̈cité” emerse nella seconda metà
dell’Ottocento (Terza Repubblica, 1871), sullo sfondo di una dram-
matica situazione sociale interna, per indicare un preciso progetto
politico di rimozione della religione cristiana dalla sfera pubblica,
che si tradusse concretamente nelle leggi scolastiche del 1882 e del
1886, le quali estromisero ogni insegnamento, personale e simbolo
religioso dalla scuola pubblica, e nella legge di separazione del 1905,
che ridusse le confessioni religiose a mere “associazioni di culto”
disciplinate dallo Stato, vietando ogni forma di finanziamento pub-
blico, soppresse le congregazioni religiose e introdusse alcuni forti
limiti, sanzionati penalmente, ai diritti civili del clero.
Non è questa la sede per approfondire le complesse ragioni
storiche e politiche che portarono a tali vicende, nelle quali trovò
sbocco il secolare conflitto — che attraversò la storia d’oltralpe fin
dalle guerre di religione (sec. XVI) — tra cattolici legittimisti, fedeli
alla monarchia, e altre componenti sociali (in successione calvinisti
ugonotti, illuministi e liberi pensatori, socialisti) divenute fautrici
della Repubblica (la “guerre de deux France”).
Preme piuttosto ricordare che, sulla base di queste leggi (“les
deux blocs laı̈cs”), maturate negli ultimi anni del sec. XIX, principio
cardine del regime di laicità in Francia divenne la tutela della libertà
di coscienza dell’individuo (cfr. art. 1, legge del 1905: “La République
assure la liberté de conscience. Elle garantit le libre exercice des cultes
sous les seuls restrictions édictées ci-après dans l’intérêt de l’ordre
public”) contro ogni tentativo di condizionamento confessionale che

PAOLO CAVANA 415


possa pregiudicarne il vincolo di fedeltà esclusiva allo Stato e alle sue
leggi: un tempo contro la Chiesa cattolica e la sua influenza sulla vita
pubblica e sociale, oggi contro l’Islam e la manifestazione pubblica
della propria appartenenza confessionale, simboleggiate dalla que-
stione del velo nella scuola pubblica. Ne deriva un concetto ideologico
di laicità inteso come neutralità religiosa dello spazio pubblico, di cui
fa le spese innanzitutto (ma non solo: si pensi alla libertà di espres-
sione e alla vocazione pluralista della scuola pubblica) il diritto di
libertà religiosa, che viene garantito solo nell’accezione restrittiva di
“libertà di culto” ed entro i limiti dell’ordine pubblico stabilito dalla
legge, vale a dire nella sola sfera privata dell’individuo, non ricono-
sciuto come diritto fondamentale dell’uomo e come espressione della
sua personalità.
Questa accezione militante e ideologica della laicità, denominata
läicisme d’Etat, ostile alla religione e alla sua rilevanza pubblica, ha
dominato per lungo tempo in Europa, confondendosi con le politiche
persecutorie e repressive di alcuni Stati totalitari del Novecento.
4. Solo con le Costituzioni del secondo dopoguerra gli ordina-
menti giuridici contemporanei si sono progressivamente aperti al
riconoscimento del primato della persona umana e alle istanze della
società civile, ponendo le premesse anche per un’evoluzione del
principio di laicità.
In tal senso occorre innanzitutto far cenno, ancora una volta,
all’esperienza francese.
Nei dibattiti che si svolsero in Assemblea Nazionale per l’appro-
vazione della Costituzione del 1946, ove compare l’enunciazione del
carattere laico della Repubblica (3), si affermò, come patrimonio
condiviso dalle principali forze politiche e sociali (4) e in un clima di
ritrovata concordia nazionale, una concezione della laicità che, su-
(3) « La France est une République indivisibile, laique, démocratique et sociale » (art. 1,
Costituzione della Quarta Repubblica, 27 ottobre 1946).
(4) Cfr. Dichiarazione dell’Assemblea dei cardinali e degli arcivescovi di Francia, 13
novembre 1945 (La Documentation Catholique, t. 43, n. 955, 6 janvier 1946, coll. 6-8), ove la
laicità dello Stato veniva positivamente accolta nel duplice significato di « souvraine autonomie
de l’Etat dans son domaine de l’ordre temporel, son droit de régir seul toute l’organisation
politique, judiciaire, administrative, fiscale, militaire, de la société temporelle » e come rispetto
della libertà di coscienza dei credenti, nel senso che « dans un pays divisé de croyances, l’Etat
doit laisser chaque citoyen pratiquer librement sa religion »; veniva invece condannata se
intesa come « une doctrine philosophique qui contient toute une conception matérialiste et athée
de la vie humaine et de la société », ovvero « un système de gouvernement politique qui impose
cette conception aux fonctionnaires jusque dans leur vie privée, aux écoles, à la nation tout
entière », e ancora come « la volonté de l’Etat de ne se soumettre à aucun morale supérieure et
de ne reconnaı̂tre que son intérêt comme règle de son action ».

416 DOTTRINA
perando la sua accezione ristretta di mera separazione tra lo Stato e
i culti (“läicité-separation”), venne accolta in termini più ampi come
neutralità dello Stato rispetto a tutte le convinzioni non solo reli-
giose, ma anche politiche, filosofiche e ideologiche: “contre toute
philosophie d’Etat”.
Questa posizione fu sostenuta in Assemblea costituente nella
seduta del 3 settembre 1946 da Maurice Schumann del MRP (Movi-
mento Repubblicano Popolare di ispirazione democratico-cristiana),
secondo il quale la laicità dello Stato significava “son indépendence
vis-à-vis de toute autorité qui n’est pas reconnue par l’ensemble de la
nation, afin de lui permettre d’être impartial vis-à-vis de chacun des
membres de la communauté nationale et de ne pas favoriser telle ou
telle partie de la nation”. Essa era pertanto da intendersi come “une
garantie de véritable liberté (…). L’Etat a le devoir, alors que la
nation est composée de personnes qui n’ont pas les mêmes croyances,
de permettre a chacun de vivre conformément aux exigences de sa
conscience”.
In questa concezione nuova della laicità s’inscriveva pertanto
non solo la separazione tra lo Stato e le chiese, ma innanzitutto la
neutralità filosofica dello Stato e la garanzia della libertà di co-
scienza, con precise conseguenze pratiche. In tal senso Schumann
concludeva il suo intervento: “En votant pour la läicité nous votons,
en même temps, pour la séparation entendue dans son vrai sens, en
même temps pour la neutralité, c’est à dire contre toute philosophie
d’Etat, pour la liberté de conscience, c’est à dire pour le libre choix de
l’enseignement”.
La costituzionalizzazione del principio di laicità nell’ordina-
mento francese non si limitò quindi a recepirne i contenuti storici
affermatisi a fine ottocento e consacrati nella legge di separazione
del 1905, ma incise sulla sua interpretazione complessiva, afferman-
done un’accezione più rispettosa delle istanze di libertà religiosa:
“une nouvelle laı̈cité plus souple et ouverte sur la liberté” (Barbier).
Questa poi si tradusse, nella Costituzione del 1958, in un’inte-
grazione dell’art. 2, ove, accanto alla qualifica laica della Repubblica,
fu altresı̀ affermato che essa “assure l’égalité devant la loi de tous les
citoyens sans distinction d’origine, de race ou de religion. Elle res-
pecte toutes les croyances” (5); un’integrazione, voluta personalmente
dal presidente De Gaulle, destinata a riequilibrare in positivo l’ori-
(5) « La France est une République indivisible, laı̈que, démocratique et sociale. Elle
assure l’égalité devant la loi de tous les citoyens sans distinction d’origine, de race ou de

PAOLO CAVANA 417


ginaria valenza negativa del concetto di laicità come mera neutralità
religiosa dello Stato e che aprı̀ la strada l’anno successivo alla legge
Debré (31 gennaio 1959) sul finanziamento pubblico delle scuole
private confessionali, segnando un’ulteriore svolta nell’evoluzione
complessiva del principio di laicità.
Questa legge infatti non si giustifica con il mero ricorso alla
libertà di coscienza (“le libre choix de l’enseignement”), ma realizza
un intervento attivo dello Stato a sostegno di concrete istanze di
libertà religiosa degli alunni e delle loro famiglie. Inoltre essa com-
porta l’instaurazione di rapporti di cooperazione tra lo Stato e l’in-
segnamento privato confessionale, che, superando un’interpreta-
zione stretta della laicità in termini di separazione o neutralità,
riflettono a loro volta una trasformazione delle relazioni tra lo Stato
e la società.
Il concetto di laicità perdeva in tal modo quella univocità di
contenuti e l’impronta laicista che ne aveva caratterizzato l’afferma-
zione storica nella legislazione della Terza Repubblica, assumendo
come parte del suo contenuto la tutela del diritto di libertà religiosa
(laı̈cité-liberté). Si è aperta cosı̀ una fase nuova nel complesso pro-
cesso di instaurazione della laicità nell’ordinamento francese.
5. Nell’esperienza italiana l’affermazione del principio di laicità
dello Stato si è avuta in tempi più recenti e con contenuti e modalità
assai differenti.
A tale riguardo va innanzitutto ricordato che la storia della
penisola non ha conosciuto le dilacerazioni delle guerre di religione,
conservando una sostanziale uniformità confessionale grazie all’ade-
sione popolare alla religione e alla Chiesa cattolica, che non venne
mai meno anche durante il processo di unificazione nazionale e
durante il fascismo. Inoltre la presenza sul territorio della Sede
Apostolica, con il suo respiro universale, se da un lato ha forse
rallentato la formazione dello Stato nazionale, dall’altro ha però
evitato abbracci troppo stretti e ingombranti con i regimi politici che
si sono succeduti nella penisola e che altrove portarono alla forma-
zione di chiese nazionali, più esposte ai condizionamenti del potere
politico.
La stessa cultura italiana, profondamente intrisa nel corso dei
secoli dai valori della fede cristiana, non ha mai assunto un carattere
religion. Elle respecte toutes les croyances » (art. 2, Costituzione della Quinta Repubblica, 4
ottobre 1958).

418 DOTTRINA
antireligioso ma semmai, in alcuni suoi protagonisti, ha talora
espresso critiche o venature anticlericali nelle quali si è manifestato
piuttosto il senso di un asserito tradimento da parte dell’istituzione
ecclesiastica o di suoi importanti esponenti degli originari ideali
evangelici, non mai il loro rifiuto o derisione.
Nell’ambito di questo differente contesto storico e culturale
vanno inquadrate le ragioni, legate alle più recenti vicende politiche
del paese e alla complessa situazione internazionale, per le quali
l’Assemblea Costituente, eletta il 2 giugno 1946 per redigere la
nuova Costituzione, non affrontò direttamente, in modo unitario e
sistematico, in vista di un’eventuale esplicita qualificazione in tal
senso della Repubblica, il tema della laicità dello Stato, che all’epoca
conservava un significato ideologico ambiguo, su cui pesava il ricordo
dei laceranti conflitti ottocenteschi e l’esperienza di regimi totalitari
del Novecento autoproclamatisi laici.
La figura dello Stato laico fu peraltro evocata in Assemblea
Costituente in due occasioni: nell’ambito della discussione sui Prin-
cipi dei rapporti sociali (culturali), svoltasi nella Io Sottocommissione
nell’ottobre 1946 e che ebbe principalmente per oggetto il delicato
tema del rapporto tra istruzione pubblica e istruzione privata, e
durante la discussione in Assemblea del progetto di Costituzione nel
marzo del 1947.
In particolare nella seduta dell’11 marzo 1947, replicando all’in-
tervento dell’on. Nenni, contrario all’inserimento dell’art. 7 nella
Costituzione in base alla concezione di derivazione francese dello
Stato laico, che rinchiude la religione nella sfera della coscienza
individuale, l’on. Giorgio La Pira affermava:
“Che significa Stato laico?” — e proseguiva: “Non esiste uno Stato
agnostico: come si concepisce la realtà umana, come si concepisce la
società, cosı̀ si costruisce la volta giuridica. Ora, se l’uomo ha questa
orientazione intrinsecamente religiosa, senza una qualifica, ed al-
lora, che significa laico, se lo Stato è l’assetto giuridico della società?
Se l’uomo ha questa intrinseca orientazione religiosa, se necessaria-
mente questa intrinseca orientazione si esprime in comunità reli-
giose, non esiste uno Stato laico. Esiste uno Stato rispettoso di
questa orientazione religiosa e di queste formazioni religiose asso-
ciate, in cui esso si esprime”. E concludeva: “Non dobbiamo fare uno
Stato confessionale, uno Stato, cioè, nel quale i diritti civili, politici
ed economici derivino da una certa professione di fede; dobbiamo solo
costruire uno Stato che rispetti questa intrinseca orientazione reli-

PAOLO CAVANA 419


giosa del singolo e della collettività e che ad essa conformi tutta la
sua struttura giuridica e la sua struttura sociale”.
Nella seduta del 13 marzo l’on. Aldo Moro evidenziava, in questa
visione del ruolo dello Stato, il primato del principio personalista, che
aveva come corollari il principio pluralista e quello democratico: “uno
Stato non è veramente democratico se non è al servizio dell’uomo, se
non ha come fine supremo la dignità, la libertà, l’autonomia della
persona umana, se non è rispettoso di quelle formazioni sociali nelle
quali la persona umana liberamente si svolge e nelle quali essa
integra la propria personalità”.
Sarebbe poi spettato all’on. Giuseppe Dossetti declinare queste
affermazioni nella formula dell’art. 7 Cost., che recepiva da un lato la
più avanzata elaborazione canonistica, dottrinale (Maritain) e ma-
gisteriale (Leone XIII, lett. enc. Immortale Dei, 1885) sui rapporti tra
la Chiesa e lo Stato, dall’altro la teoria della pluralità degli ordina-
menti giuridici di Santi Romano, superando la concezione positivi-
stica e statualistica del diritto che aveva dominato — con le codifi-
cazioni — per tutto l’Ottocento e assecondato l’affermazione nel
Novecento dello Stato totalitario.
Su queste premesse teoriche veniva affermato, nel primo comma
dell’art. 7 (“Lo Stato e la Chiesa Cattolica sono, ciascuno nel proprio
ordine, indipendenti e sovrani”), il principio della originarietà del-
l’ordinamento canonico, da cui conseguiva, con consequenzialità lo-
gica, il principio pattizio, poi esteso con l’art. 8 alle altre confessioni
religiose: “Qui, onorevoli colleghi, nel riconoscimento della necessità
di una disciplina bilaterale delle materie di comune interesse, è la
vera separazione fra Chiesa e Stato, la vera indipendenza reciproca,
la vera laicità, la vera libertà di coscienza (On. Dossetti, seduta del
21 marzo 1947).
In conclusione il nostro Costituente respinse la concezione, pro-
pria della dottrina liberale e condivisa da alcuni settori della sinistra
in Assemblea (ma non dall’on. Togliatti, allora segretario del PCI,
che ne colse l’origine borghese incentrata sull’asserita separazione
tra Stato e società civile), della laicità come mera neutralità dello
Stato in materia religiosa, con le premesse filosofiche (la religione
come fatto privato e di coscienza) e le conseguenze giuridiche (regime
di separazione ostile tra Stato e Chiesa) ad essa strettamente con-
nesse.
Accolse invece, sia pure implicitamente, una versione della lai-
cità dello Stato fondata, oltre che sul riconoscimento dei diritti

420 DOTTRINA
inviolabili dell’uomo (art. 2) e della libertà religiosa (art. 19), sul
principio della distinzione degli ordini tra Stato e Chiesa, su quello di
bilateralità nella disciplina dei loro rapporti (art. 7) e sulla eguale
libertà di tutte le confessioni religiose (art. 8), manifestando una
considerazione dei valori religiosi come fattori positivi di sviluppo
della persona umana, pertanto meritevoli di tutela e promozione
secondo lo spirito dello Stato sociale di democrazia pluralista, non in
funzione privilegiaria ma di anticipo e sostegno di tutte le altre
libertà (Berlingò).
6. Si dovette però attendere più di quarant’anni perché questa
concezione della laicità dello Stato fosse esplicitamente recepita
come principio di rilevanza costituzionale nell’esperienza del nostro
paese.
Prima fu infatti necessario il compimento del procedimento di
revisione del Concordato lateranense (1984), che attuò l’armonizza-
zione costituzionale della disciplina dei rapporti tra lo Stato e la
Chiesa, la stipulazione delle prime Intese con le altre confessioni
religiose e il crollo dei regimi comunisti nell’Europa dell’Est, che
tolsero l’ambiguità che aveva per lungo tempo accompagnato la
nozione di Stato laico.
Solo con la sentenza n. 203 dell’11 aprile 1989 la nostra Corte
costituzionale, respingendo l’asserita illegittimità della nuova disci-
plina dell’insegnamento delle religione cattolica nella scuola pub-
blica (art. 9, Acc.), individuò formalmente il principio supremo di
laicità dello Stato come “uno dei profili della forma di Stato delineata
nella Carta costituzionale della Repubblica”, desumendolo dall’in-
sieme delle disposizioni costituzionali concernenti il fattore religioso,
ossia gli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 Cost.
Secondo la Corte tale principio “implica non indifferenza dello
Stato dinanzi alle religioni, ma garanzia dello Stato per la salva-
guardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessio-
nale e culturale” (sent. n. 203/1989) e legittima “interventi legislativi
a protezione della libertà di religione” (sent. n. 508/2000) poiché allo
Stato “spetta soltanto il compito di garantire le condizioni che favo-
riscono l’espansione della libertà di tutti e, in questo ambito, della
libertà di religione” (sent. n. 334/1996).
Da ciò derivano innanzitutto fondamentali contenuti di garanzia,
che consistono essenzialmente nell’affermazione del carattere acon-
fessionale dello Stato e del suo ordinamento, nel senso che essi non

PAOLO CAVANA 421


fanno propria ufficialmente alcuna religione, fede o ideologia, evi-
tando in tal modo di farne discendere disparità di trattamento per i
cittadini. Con la conseguenza, valida sia per i credenti che per i non
credenti, che “in nessun caso il compimento di atti appartenenti,
nella loro essenza, alla sfera della religione, possa essere l’oggetto di
prescrizioni obbligatorie derivanti dall’ordinamento giuridico dello
Stato” (sent. 334/1996).
Concorrono poi a strutturare tale principio contenuti promozio-
nali altrettanto importanti, nei quali — sempre secondo la Corte —
si riflette “l’attitudine laica dello Stato-comunità, che risponde non a
postulati ideologizzati ed astratti di estraneità, ostilità o confessione
dello Stato-persona o dei suoi gruppi dirigenti, rispetto alla religione
o ad un particolare credo, ma si pone a servizio di concrete istanze
della coscienza civile e religiosa dei cittadini” (sent. 203/1989). Da cui
la legittimità della previsione dell’insegnamento religioso su base
volontaria nella scuola pubblica, la rilevanza civile del matrimonio
religioso e delle sentenze canoniche di nullità matrimoniale in pre-
senza di condizioni che ne assicurino la non contrarietà all’ordine
pubblico italiano (sent. 421/1993), il sostegno all’edilizia di culto
(sent. 195/1993) e altri istituti miranti al soddisfacimento degli
interessi religiosi della popolazione (sistema di finanziamento attra-
verso l’otto per mille; artt. 46 ss., l. n. 222/1985), estesi attraverso la
legislazione pattizia ad altre confessioni religiose.
In tali affermazioni si riflette l’evoluzione o metamorfosi del
principio di laicità, che da concetto ideologico ed astratto dello Stato-
apparato, imposto dall’alto ai consociati secondo il postulato di una
rigida separazione tra Stato e società civile, tende sempre più a
riflettere negli ordinamenti contemporanei i valori dello Stato-comu-
nità, sviluppandosi dal basso secondo le concrete istanze della co-
scienza civile e religiosa dei cittadini e imponendo un loro graduale
coinvolgimento nella determinazione dei suoi contenuti concreti. In
questa prospettiva anche il richiamo alle tradizioni storiche e reli-
giose del paese, che concorrono a strutturarne l’identità culturale e
costituiscono importanti fattori di coesione sociale, se formulato con
modalità compatibili con i principi costituzionali di libertà e di
eguaglianza, può assumere rilievo nella misura in cui rifletta la
persistente adesione della popolazione attorno a condivisi valori di
convivenza (6).
(6) Cfr. art. 9, n. 1, Accordo di revisione concordataria (legge n. 121/1985), ove l’inse-

422 DOTTRINA
Sulla base di questo principio la Corte costituzionale ha avviato
una giurisprudenza riformatrice che ha progressivamente rimosso
gli ultimi residui confessionisti nella legislazione italiana, in parti-
colare in materia penale, giungendo a parificare la tutela penale
delle confessioni religiose sulla base della pari dignità di ogni cre-
dente.
7. Nei singoli ordinamenti nazionali l’affermazione del principio
di laicità dello Stato ha conosciuto differenti percorsi evolutivi, stret-
tamente intrecciati alla storia politica, istituzionale e religiosa di cia-
scun paese. Problemi nuovi, come il confronto con l’Islam e il progresso
biotecnologico, pongono nuove sfide, talora riproponendo visioni pre-
giudiziali della laicità che alimentano artificiose polemiche tra laici e
credenti, tutti membri a pieno titolo della comunità civile.
Il problematico confronto con l’Islam da un lato ha costretto
alcuni ordinamenti contemporanei — e prima ancora alcune culture
politiche tradizionalmente ostili in Europa al ruolo delle chiese — ad
impostare su basi rinnovate, al di fuori di ogni ipotesi confessionista,
il rapporto con le religioni, sulla base di una necessaria presa d’atto
della loro rilevanza pubblica e del ruolo centrale da esse assunto
nelle politiche di integrazione delle nuove popolazioni immigrate. Da
qui l’avvertita necessità di instaurare relazioni con i rappresentanti
delle comunità religiose, sulla base di un reciproco riconoscimento e
dell’adesione a condivisi principi di convivenza. Da cui il sostanziale
abbandono del modello separatista di matrice ottocentesca e l’ap-
prodo verso sistemi pattizi o di “collaborazione selettiva” con le
comunità religiose, che rappresentano oggi una soluzione sostanzial-
mente condivisa dai vari paesi europei.
Dall’altro ha reso manifesto lo stretto legame che intercorre tra
la laicità dello Stato e determinati presupposti pre-giuridici che
rimandano al principio dualista cristiano e al primato della persona
umana, al di fuori dei quali la costruzione dello Stato laico rischia di
declinare in laicismo, ossia in una ideologia di Stato ostile alla libertà
religiosa e alle sue manifestazioni pubbliche.
È emblematica in tal senso la questione dei simboli religiosi, e in
particolare l’uso del velo islamico nei luoghi pubblici, che è stata
talora l’occasione — come in Francia e in Turchia — per la ripropo-
sizione di una versione militante della laicità dello Stato (laicità
gnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche è fondato anche sulla constatazione
che “i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano”.

PAOLO CAVANA 423


protetta), che intende le religioni, in particolare l’Islam, come un
pericoloso fattore di disgregazione e sopraffazione sociale, da conte-
nere forzatamente nella sfera privata e di coscienza dell’individuo
(cfr. legge sui simboli religiosi in Francia).
Nel nostro paese anche le tematiche bioetiche, come pure la
questione antropologica, sono divenute terreno di acceso confronto
sulla laicità, ritenendo da parte di alcuni che le proposte normative
in materia ispirate ai principi di una fede o di una morale confessio-
nale, sarebbero per sé stesse lesive della laicità dello Stato, a pre-
scindere da ogni verifica circa la loro compatibilità costituzionale o
plausibilità scientifica e razionale: opinione a dir poco curiosa, che,
sulla base di un’artificiosa contrapposizione tra morale laica e mo-
rale confessionale, precluderebbe ai soli credenti di poter fare valere
le proprie idee e convinzioni nel dibattito pubblico.
Simili argomentazioni non hanno però fondamento sul piano
dell’ordinamento, ove il principio di laicità dello Stato è posto innan-
zitutto a presidio della libertà religiosa (art. 19 Cost.) e della stessa
libertà di espressione (art. 21 Cost.), che costituiscono pertanto —
prima ancora delle garanzie pattizie e concordatarie (art. 2 Acc.) —
il più sicuro fondamento della libertà di magistero delle chiese, in
Italia come in Europa (art. 9 CEDU).
Si tenga inoltre presente, a tale riguardo, che su tali tematiche la
Chiesa cattolica fonda i suoi interventi sulla legge morale naturale,
non su premesse di fede, ponendosi pertanto — come “una delle voci
della ragione etica dell’umanità” (Benedetto XVI) — su un terreno di
incontro con la ragione laica e affermando principi condivisibili o
meno ma accessibili a chiunque, anche in quanto riconducibili alla
comune tavola di valori espressi dalle Costituzioni contemporanee,
prima fra tutti quella italiana (diritto alla vita, primato della per-
sona umana, obiezione di coscienza, principio del consenso consape-
vole e informato ai trattamenti sanitari, etc.).
In tale senso è particolarmente significativo che anche l’Unione
Europea abbia di recente recepito il “dialogo aperto, trasparente e
regolare” come fondamento dei suoi rapporti con le chiese, legitti-
mando pienamente il loro ruolo pubblico sulla base del pieno ricono-
scimento della loro “identità” e del loro “contributo specifico” al
dibattito democratico (art. 16 c, Trattato di Lisbona, 13 dicembre
2007), la cui garanzia costituisce il cuore pulsante dello Stato costi-
tuzionale contemporaneo.

424 DOTTRINA
Bibliografia essenziale

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(Catanzaro) 1996; AA.VV., La laı̈cité, Paris 1960; BARBERA A., Il cammino della laicità, in AA.VV.,
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Pubbl., VI, Torino 1991, 454 ss.; BO} CKENFO} RDE E.-W., La formazione dello Stato come processo di
secolarizzazione, a cura di M. Nicoletti, Brescia 2006; CARDIA C., Le sfide della laicità. Etica,
multiculturalismo, islam, Cinisello Balsamo (Milano) 2007; CASUSCELLI G., Le laicità e le
democrazie: la laicità della “Repubblica democratica” secondo la Costituzione italiana, in
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costituzionale, Bologna 2006; D’AGOSTINO F., DALLA TORRE G., CARDIA C., BELARDINELLI S., Laicità
cristiana, a cura di F. D’Agostino, Cinisello Balsamo (Mi) 2007; DALLA TORRE, G. (a cura di),
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1992; DOMIANELLO S., Sulla laicità nella Costituzione, Milano 1999; FERRARI S., Religione civile
in Europa. Laicità asimmetrica, in Regno-Att., 6/2006, 200 ss.; FUMAGALLI CARULLI O., “A Cesare
ciò che è di Cesare, a Dio ciò che è di Dio”. Laicità dello Stato e libertà della Chiesa, Milano
2006; GUERZONI L., Note preliminari per uno studio della laicità dello Stato sotto il profilo
giuridico, in Arch. Giur., 1967 (1//2), 61 ss.; HABERMAS J. – RATZINGER J., Ragione e fede in
dialogo, a cura di G. Bosetti, Venezia 2005; MACIOCE F., Una filosofia della laicità, Torino 2007;
MARGIOTTA BROGLIO F., La laicità dello Stato, in Le ragioni dei laici, a cura di G. Preterossi,
Roma-Bari 2005, 79 ss.; MIRABELLI C., Prospettive del principio di laicità dello Stato, in Quad.
dir. pol. eccl., 2001/2, 331 ss.; POULAT Eu ., Notre laı̈cité publique, Paris 2003; PRODI P., Una storia
della giustizia. Dal pluralismo dei fori al moderno dualismo tra coscienza e diritto, Bologna
2000; RATZINGER J., L’Europa nella crisi delle culture, conferenza tenuta il 1o aprile 2005 a
Subiaco, in www.ratzinger.it; ID., Chiesa, ecumenismo e politica. Nuovi saggi di ecclesiologia,
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secularisation des sociétés européennes aux XIX et XX siècle (1789-1998), Paris 1998; TORTAROLO
E., Il laicismo, Roma-Bari 1998; VENTURA M., La laicità dell’Unione europea. Diritti, mercato,
religione, Torino 2001.

PAOLO CAVANA 425


Forum

ISTITUZIONI PUBBLICHE
E GARANZIE DEL CITTADINO (*)

* Il forum riporta alcune delle “testimonianze” esposte rese in occasione del Convegno di
Iustitia che si è svolto nel Palazzo dei Giureconsulti di Milano, in data 3-4 luglio 2008. Il
Convegno, dal titolo “Istituzioni pubbliche e garanzie del cittadino”, ha voluto essere una prova
di ripensamento della realtà istituzionale italiana, nell’ottica dei bisogni e dei diritti dei
cittadini. Il percorso offerto ha preso avvio dall’esame delle strutture fondamentali del rapporto
cittadino - istituzioni in uno stato democratico; ha approfondito, quindi, il contenuto normativo
e la prassi applicativa di alcuni fra i più significativi strumenti predisposti a servizio dei
cittadini, indagando difficoltà e punti di crisi. Nella consapevolezza della complessità e della
delicatezza dei problemi, sia sul piano istituzionale sia su quello sociale, i contributi proposti
hanno inteso fornire a tutti, e in particolare a coloro che nella società civile avvertono la
responsabilità del bene comune, una base di riflessione per l’elaborazione di rimedi sostenibili
e proposte adeguate.
L’interesse e l’attualità dei temi trattati rendono ragione dell’opportunità di pubblicare gli
atti; nel precedente fascicolo si trovano, oltre alla prolusione di Lorenzo Ornaghi, Rettore
dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, le testimonianze di qualificati rappresentanti delle
istituzioni e di eminenti studiosi quali Gian Valerio Lombardi, Prefetto di Milano, Mario
Zevola, Presidente della IX sezione civile del Tribunale di Milano, ora presidente del Tribunale
dei minorenni, Lucio Nardi, Giudice tutelare del Tribunale di Milano, Flavio Curto, Difensore
civico della Regione Valle d’Aosta.
Nel presente fascicolo, oltre alla relazione di Marta Cartabia, sono pubblicate quelle di
Gianfranco Gaffuri, Gianfranco Garancini e Bassano Baroni nonché la relazione di sintesi di
Giorgio Floridia.
GIANFRANCO GAFFURI

GARANZIE DI GIUSTIZIA E
DIRITTO TRIBUTARIO: LA CAPACITA
CONTRIBUTIVA
La razionalità e la giustizia tributaria, che sono profonde
aspirazioni dell’etica sociale, sono governate,
nell’ordinamento giuridico, dai principi sommi del sistema nor-
mativo.
Questo tema intendo, per l’appunto, approfondire.

SOMMARIO: 1. Il significato della disposizione costituzionale riguardante la capacità contribu-


tiva. — 2. La funzione del principio di capacità contributiva. — 3. Significato della
capacità contributiva: sua identificazione con indici di forza economica. — 4. La capacità
contributiva quale principio garantista contro prelievi con effetti eversivi. — 5. Gli
indirizzi più rilevanti della giurisprudenza e l’evoluzione della dottrina.

1. L’art. 53, 1o comma, della Costituzione repubblicana pro-


clama che « tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in
ragione della loro capacità contributiva ».
La norma, secondo il suo tenore letterale, ha un contenuto vario
e molteplice.
Si afferma, innanzitutto, la tendenziale universalità dell’imposi-
zione; non sono dunque tollerabili, in linea di principio, esclusioni o
riduzioni del tributo che costituiscano deroghe alla naturale esten-
2008

sione della fattispecie imponibile. Viceversa, non si conciliano, di


norma, col dettato costituzionale aggravamenti del prelievo tributa-
4

rio che non siano generali (pur essendo eventualmente conformi a


criteri di progressività, preferiti dal legislatore costituente: come si
desume dal secondo comma dell’art. 53, a mente del quale « il sistema

GIANFRANCO GAFFURI 429


tributario » — quindi l’ordinamento nel suo complesso — « è infor-
mato a criteri di progressività »).
Tuttavia l’art. 53, 1o comma, deve essere coordinato con altre
disposizioni comuni della Carta costituzionale, che non solo consen-
tono, ma addirittura esigono diversità di disciplina — e quindi anche,
occorrendo, di trattamento fiscale — nel caso in cui effettive discre-
panze giustifichino eccezioni all’uniformità. L’uguaglianza, che è
predicata dall’art. 3 della Costituzione e che è anche un aspetto della
giustizia fiscale, non necessariamente coincide con l’assenza di re-
gimi speciali concernenti categorie di persone o gruppi di casi; essa
consente, invece, discriminazioni giustificate da reali differenze. È
indubbio, però, che, nella materia tributaria e proprio per l’affermata
esigenza che tutti sostengano il costo delle spese pubbliche, le devia-
zioni dalle regole ordinarie devono essere ammesse con estremo
rigore e solo per un indubbio bisogno di equità: sui rapporti tra
principio di capacità contributiva e principio di uguaglianza si veda
più avanti.
In secondo luogo l’art. 53, 1o comma, prevede che la partecipa-
zione del singolo alle spese predette sia concorrente con quella degli
altri, in ragione — specifica la norma — della capacità contributiva
individuale. Il concorso presuppone che il costo del servizio non sia
suscettibile di divisione fra i beneficiari o che, di fatto, non sia diviso,
ma sia sostenuto dall’intera collettività: se ne è dedotto, come ha
fatto la stessa Corte costituzionale a proposito della tassa, tipico
tributo suscettibile di ripartizione individuale (cfr. la sentenza n.
30/1964, in Giur. cost., 1964, p. 250), che il principio di capacità
contributiva — sul quale indugerò tra breve — non attiene ai casi in
cui quella suddivisione sia possibile e il prelievo, a carico del singolo,
sia effettivamente regolato in tal senso.
Dallo stesso art. 53, 1o comma, e dalla sua centralità nel sistema
dei tributi si può desumere, allora, la più attendibile definizione del
prelievo propriamente fiscale, il quale si qualifica, rispetto a tutte le
altre obbligazioni coattive, dal suo essenziale rapporto con un fatto
2008

rivelatore di capacità contributiva. Se invero il sacrificio patrimo-


niale, correlato alla prestazione singola di un servizio pubblico è
ragguagliato al costo di questa — conformemente ad uno degli
4

schemi tipici del prelievo autoritario di ricchezza — è estraneo


all’ambito di applicazione del principio costituzionale, che connota
essenzialmente la fiscalità in senso tecnico, le tasse e i contributi i

430 FORUM
quali presuppongono la divisione (oltre che la divisibilità) del servi-
zio stesso e del relativo costo, non sono propriamente tributi.
La norma è intuitivamente di natura programmatica: essa non è
dunque idonea a porre precetti immediatamente efficaci, ma vincola
il legislatore al suo rispetto e consente all’individuo di denunciare il
discostamento dal principio in essa enunciato.
Il fulcro della norma costituzionale in esame e dell’intero ordine
tributario è costituito dal principio di capacità contributiva che, nel
contesto della norma, funge da misura della partecipazione popolare
allo sforzo finanziario complessivo per le spese pubbliche non divisi-
bili o non trattate come tali.
L’attitudine alla contribuzione — sinonimo di capacità contribu-
tiva — designa sinteticamente quegli eventi e quelle condizioni che
manifestano la possibilità di far fronte al pagamento dei tributi.
Poiché, in teoria, ogni espressione della realtà può essere giudicata
indice di quella attitudine, ad una prima, immediata lettura, la
formula cui è ricorso il costituente dà l’impressione di essere una
vuota affermazione di principio; più ancora qualsiasi tentativo di
definirne il contenuto potrebbe apparire tautologico. Ma una simile
interpretazione, sebbene ad essa abbia voluto indulgere la dottrina
negli anni immediatamente successivi all’entrata in vigore della
Costituzione (si vedano, significativamente, G. BALLADORE PALLIERI, La
nuova Costituzione italiana, Milano, Marzorati, 1948, p. 63, e Diritto
costituzionale, Milano, Giuffrè, 1955, p. 370; G. INGROSSO, I tributi
nella nuova costituzione italiana, in Arch. fin., 1950, p. 158; A.D.
GIANNINI, I rapporti tributari, in Commentario sistematico alla Costi-
tuzione italiana, vol. I, Firenze, Barbera, 1950, p. 273) non appare
corretta.
Il costituente, infatti, stabilendo il dovere comune di concorrere
alle spese pubbliche in ragione della capacità contributiva, ha inteso
proclamare l’esigenza di attenersi, nell’imposizione dei tributi, ad un
criterio razionale che consenta una più giusta distribuzione del-
l’onere relativo. Quell’esigenza necessariamente implica una discri-
minazione poiché, in riferimento ad essa, non tutti i fatti della vita o
2008

non in tutta la loro dimensione possono rivelare attitudine contribu-


tiva.
La locuzione contenuta nella norma in esame ha dunque un
4

significato peculiare, nonostante la sua apparente genericità. Anzi,


questo carattere è, a ben vedere, un pregio della disposizione costi-
tuzionale, poiché con essa, affermando un ideale di giustizia nell’at-

GIANFRANCO GAFFURI 431


tività tributaria, si è ad un tempo evitato opportunamente d’irrigi-
dire il significato del principio che deve essere sensibile, pur nel
quadro della Costituzione, allo sviluppo della coscienza sociale.
Quindi, se rispetto all’art. 25 dello Statuto albertino (il quale
faceva riferimento agli « averi »), quella disposizione perde senza
dubbio in concretezza, essa tuttavia costituisce un sensibile miglio-
ramento, tanto più che la natura della Costituzione repubblicana
non avrebbe consentito deroghe di sorta all’eventuale definizione
normativa dell’attitudine alla contribuzione. D’altra parte, non si
potrebbe neppure eccepire che il costituente, con una formula cosı̀
generica, abbia in sostanza concesso un illimitato potere discrezio-
nale nella scelta dei criteri cui deve ispirarsi l’istituzione dei tributi,
addirittura mettendo pericolosamente al servizio di qualsiasi inter-
pretazione politica della realtà tributaria, l’efficacia di una norma
costituzionale.
Certamente l’elaborazione del concetto di capacità contributiva è
lasciata all’iniziativa dell’interprete; ma questi non è del tutto libero
nella sua opera. In primo luogo, infatti, a determinare il significato
ideale del principio concorrono, insieme, la tradizione dottrinale e la
coscienza economico-sociale. In secondo luogo e principalmente, il
contenuto di quel principio non solo non deve contrastare con alcuna
norma contenuta nella Costituzione, ma deve attuare di questa lo
spirito nell’ambito dell’attività tributaria, come si dirà.
Ne consegue, altresı̀, che la capacità contributiva non è l’idoneità
a sopportare il peso tributario che i presupposti impositivi scelti dal
legislatore di volta in volta esprimono complessivamente, in modo
uniforme o contraddittorio, ma consiste in un principio unitario, che
prescinde dalle singole ipotesi di prelievo e che, investendo l’intero
ordinamento fiscale, costituisce il criterio di selezione delle gravezze
fiscali. Quand’anche, in una condizione ideale, tutti i tributi prescelti
fossero concordi con il principio in questione, non per questo si
potrebbe affermare che tale principio coincide con gli aspetti comuni
e qualificanti dei tributi stessi. Si tratterebbe, infatti, di una coinci-
2008

denza accidentale, poiché il principio prescinde dalle singole deter-


minazioni normative e le supera, condizionandole, anzi, posto che il
legislatore deve uniformarsi ad esso.
4

2. L’art. 53, 1o c., opera quindi nell’ambito dei prelievi tributari,


qualora accada una partecipazione concorsuale all’onere imposto
dall’ente pubblico.

432 FORUM
Volendo ora approfondire l’analisi e indagare intorno agli effetti
pratici del principio, solo apparentemente indeterminato, è oppor-
tuno rammentare che l’istituzione di un tributo — attività legislativa
sulla quale propriamente agisce, per sua natura, la norma costitu-
zionale programmatica — si concreta, con riguardo al suo contenuto,
in due operazioni fondamentali: la scelta del presupposto imponibile
— ovverosia dell’evento, circostanza, situazione o bene ai quali si
riferisce l’obbligo fiscale — con il coinvolgimento fatale del soggetto
protagonista, e la determinazione della misura entro la quale si
compie il prelievo.
Come già ebbe a insegnare la Corte a proposito di una modifica-
zione retroattiva dell’imposta di famiglia (nella decisione n. 45/1964,
in Giur. it., 1964, I, 1, c. 1109, e specialmente c. 1111), per il giudizio
di capacità contributiva non hanno rilevanza tutte le altre specifica-
zioni che sogliono essere contenute nelle leggi istitutive dei tributi,
perché esse costituiscono semplici modalità che non attengono alla
sostanza del prelievo.
Si sogliono distinguere l’aspetto sostanziale e quello formale dei
gravami tributari comprendendo, nel primo, la costituzione e la
determinazione del debito tributario e, nel secondo, tutti gli atti
integrativi che ne completano la disciplina.
In questo contesto appare evidente che il principio costituzionale
— enunciato in una norma programmatica — non può riguardare
l’intero regolamento del tributo, che deve essere fissato discrezional-
mente dal legislatore ordinario, ma i suoi aspetti essenziali, nei quali
si esprime l’incidenza del sacrificio imposto dalla norma tributaria e
che quindi esigono un controllo di conformità all’attitudine contribu-
tiva prescritto dalla Costituzione.
Questo criterio di massima deve, peraltro, adattarsi al modo nel
quale la pressione fiscale si manifesta in concreto, giacché può
accadere che una regola apparentemente strumentale (si pensi, per
esempio, ad un’anticipazione rilevante del termine fissato per il
pagamento dell’imposta, che è aspetto del procedimento d’esazione
estraneo, di per sé, all’ambito in cui opera il principio costituzionale)
2008

nasconda una sostanziale variazione del sacrificio imposto al contri-


buente. In tal caso non si può escludere che muti la stessa configu-
razione dell’oggetto imponibile.
4

Preme, altresı̀, rilevare che nel rapporto fisiologico fra vincolo


costituzionale, non immediatamente precettivo, e libera determina-
zione politica, che è prerogativa sovrana del legislatore, il principio

GIANFRANCO GAFFURI 433


di capacità contributiva, cui deve informarsi il prelievo tributario
indivisibile o, comunque, indiviso, funge, e non potrebbe essere
altrimenti, da criterio che fissa il limite minimo oltre il quale non può
spingersi la scelta, concessa al legislatore, dei presupposti imponibili
o la fissazione della misura in cui il prelievo è attuato.
Il primo comma dell’art. 53 erge, dunque, una barriera invalica-
bile a protezione del singolo contro un’invadenza fiscale non rispet-
tosa delle manifestazioni di attitudine contributiva, sia perché l’ele-
mento imponibile non la rivela, sia perché questo, pur essendo
adeguatamente sintomatico di tale attitudine, è sottoposto ad una
pressione fiscale eccessiva.
Cosı̀ concepita — in consonanza con i criteri esegetici che sono
parsi i più attendibili — la capacità contributiva ha un carattere, per
cosı̀ dire, oggettivo o reale, nel senso che presiede alla corretta
individuazione dei fatti imponibili prescrivendo che questi siano
indici idonei di forza economica, nonché alla determinazione quan-
titativa del prelievo, in misura che sia sopportabile: di tanto si dirà
oltre.
La Corte costituzionale, del resto, ha più volte avuto occasione di
ribadire questa concezione, anche se, nelle decisioni giurispruden-
ziali, è parsa e pare più apodittica o intuitiva che meditata (si
possono citare, tra le più significative decisioni: n. 315/1994, in Giur.
it., 1995, I, c. 434; n. 143/1995, in Riv. dir. tribut., 1995, II, p. 470; n.
155/2001, in Riv. dir. tribut., 2001, II, p. 589; ancora n. 156/2001, in
Dir. prat. tribut., 2001, II, p. 659, sulla quale si tornerà; n. 16/2002,
in Giur.it. 2002, 1788; vagamente n. 103/2002, in Giur. cost., 2002, p.
853).
Appare quindi perfino affetta da astrattezza accademica la dia-
triba — suscitata di recente dalla decisione riguardante l’imposta
regionale sulle attività produttive (n. 156/2001, innanzi citata) — che
ha investito la nozione del principio costituzionale in esame, da
taluno inteso in modo perentoriamente oggettivo e, da altri, quale
idoneità soggettiva a sopportare il peso dei tributi (in tema si veda M.
2008

BASILAVECCHIA, Sulla costituzionalità dell’Irap; un’occasione non del


tutto perduta, in Rass. tribut., 2002, p. 292, in nota a Corte cost. n.
156/2001, già citata, ove si trovano ampi riferimenti di dottrina e
4

giurisprudenza; nonché S. LA ROSA, Riflessioni sugli “interventi


guida” della Corte Costituzionale in tema di uguaglianza e capacità
contributiva, in L’evoluzione dell’ordinamento tributario italiano,

434 FORUM
Atti del convegno: I settant’anni di “Diritto e pratica tributaria”,
Padova, Cedam, 2000, p. 185).
In realtà, quest’ultima condizione non è altro che la risultante
naturale del presupposto imponibile prescelto ed è propria dell’indi-
viduo che è coinvolto (e anche di altri, che siano eventuali compri-
mari). Ne consegue che, da un canto, per capacità contributiva si
deve intendere l’attitudine soggettiva alla sopportazione del peso
fiscale che sia consentito dedurre dal presupposto imponibile — in
quanto la sua sintomaticità economica garantisce l’esistenza, nella
fattispecie astratta, di mezzi sufficienti per fronteggiare l’obbligo
fiscale —; dall’altro che è estranea al principio costituzionale in
esame la considerazione di qualunque stato soggettivo non connesso
con il fatto imponibile (si vedano, sul punto, le decisioni della Corte
costituzionale n. 201/1975, in Giur. cost., 1975, p. 1563, e n. 155/
2001, innanzi citata).
Non vi è, dunque, un reale contrasto tra concezione soggettiva e
nozione oggettiva della capacità a contribuire, giacché entrambe
sono aspetti coessenziali riferiti al presupposto imponibile; piuttosto,
come si vedrà, il problema pratico riguarda il limite quantitativo del
prelievo che non deve generare effetti eversivi.
Il principio di capacità contributiva agisce in ogni caso, quantun-
que con lo specifico prelievo il legislatore abbia avuto di mira il
raggiungimento di scopi extrafiscali, anche di indubbio valore etico.
Si definiscono tali tutti gli obiettivi pratici che il legislatore si
propone di conseguire mediante lo strumento fiscale e che sono
diversi dal reperimento e dalla raccolta di danaro da destinare ai
fabbisogni dello Stato; esempio tipico di fine extrafiscale perseguito
con il prelievo tributario è la difesa dei prodotti nazionali contro la
concorrenza delle merci straniere, attuata con imposte doganali di
tale elevatezza da scoraggiare l’importazione di quelle merci. Si noti
che, in questo caso, addirittura, il successo della misura protettiva è
inversamente proporzionale al rendimento finanziario del tributo.
Altro fine extrafiscale può consistere nella redistribuzione della
ricchezza, cioè nell’eliminazione, con l’ausilio di opportune manovre
2008

tributarie — particolarmente con imposte selettive e tributi sul


reddito caratterizzati da un’accentuata progressività — delle diffe-
renze inique e intollerabili nel possesso dei mezzi economici. In
4

questi casi, in genere, il fine extrafiscale non è incompatibile con


quello propriamente tributario.
Ebbene, ogni fine sociale o, più genericamente, politico, caratte-

GIANFRANCO GAFFURI 435


rizzato da meritevolezza, può essere legittimamente perseguito an-
che con manovre fiscali; tutto peraltro deve compiersi nel rispetto del
principio imprescindibile della capacità contributiva di cui più oltre
indicherò il significato.
Per questa ragione non può essere condivisa la tesi espressa da
una parte della dottrina (cfr., in particolare, F. MOSCHETTI, Il principio
della capacità contributiva, Padova, Cedam, 1973, passim) secondo
la quale il principio di capacità contributiva non è altro che l’espres-
sione, nella materia fiscale, del più generale principio di solidarietà
sociale. Infatti, se è vero che quest’ultimo indica una linea di ten-
denza dell’intero ordinamento, è altrettanto indubbio che la sua
efficacia non può essere tale da indebolire il significato proprio della
regola posta dall’art. 53, 1o comma, della Costituzione o addirittura
da pregiudicare il suo effetto garantista, alterandone la rilevanza.
Del resto, per la prevalenza della norma speciale su quella
generale, il principio di capacità contributiva, messo specificamente
a presidio del singolo nei confronti dello Stato impositore, non può
essere posposto a un precetto comune, quale è la proclamata esi-
genza di solidarietà, sebbene il legislatore, nell’esercizio del suo
legittimo potere di scelta, debba anche preoccuparsi di rispettare
quella esigenza, affinché l’esercizio del potere d’imporre i tributi non
travalichi il limite del principio costituzionale richiamato.
Naturalmente la natura garantista, nel senso innanzi specifi-
cato, della norma costituzionale, segna anche il confine della sua
efficacia, all’interno del quale essa opera, tuttavia, incondizionata-
mente.
Da un lato, dunque, è indifferente per il rispetto di quella norma
(ovviamente) qualunque disposizione in largo senso favorevole alla
parte debitrice. Non si tratta, nonostante le apparenze di una spe-
cificazione tautologica: si dovrebbe infatti concludere in termini
diametralmente opposti se fosse vero che l’art. 53, 1o comma, è una
particolare applicazione del principio di solidarietà sociale. In tal
caso anche una disposizione favorevole al contribuente potrebbe
essere tacciata d’incostituzionalità. È indifferente, altresı̀, l’interesse
2008

sostanziale del contribuente a non subire tassazioni eccessive: si


pensi, ad esempio, ad una regola procedurale più gravosa, ma che
non trascini con sé, surrettiziamente, un ulteriore sacrificio econo-
4

mico.
D’altra parte, e viceversa, il precetto contenuto nell’art. 53, 1o
comma, proibisce qualsiasi disposizione legislativa che comunque

436 FORUM
provochi un inasprimento ingiusto del tributo, ancorché non riguardi
direttamente le componenti essenziali di questo. Ho già avuto occa-
sione di accennare al tema; cito qui, ulteriormente esemplificando,
l’allargamento del termine utile per esercitare i controlli fiscali
dell’autorità amministrativa, con ampiezza tale da allontanare in-
sopportabilmente la tassazione, che deriva da quei controlli, rispetto
all’accadimento del fatto imponibile (sebbene una simile dissocia-
zione non sia in sé contraddittoria con il principio garantista, giacché
una rigorosa coincidenza temporale fra evento tassabile e prelievo
tributario è impossibile e velleitaria).
Ancora, infine, la norma costituzionale, poiché funge da usbergo
contro inique pressioni fiscali, riguarda anche la disciplina delle
diverse relazioni che la legge stessa istituisce fra il contribuente e i
terzi, a causa e in riferimento al prelievo fiscale.
Un caso emblematico è rappresentato dalla sostituzione fiscale,
in virtù della quale un soggetto è tenuto, in luogo del contribuente
naturale, a pagare l’imposta, col diritto e, sovente, con l’obbligo di
rivalersi nei confronti dell’altro. Questo rapporto di rivalsa, nono-
stante i dubbi che potrebbero essere in astratto espressi, non è e non
può essere estraneo alla sfera d’influenza del principio garantista
posto dalla Costituzione; di conseguenza, proprio l’azione di regresso
consentita al terzo, che ha pagato in luogo del contribuente reale,
rende conforme a quel principio il sacrificio imposto solo tempora-
neamente al terzo medesimo.
Nel quadro del rapporto tra vincolo costituzionale della capacità
contributiva e libertà di scelta attribuita al legislatore, si colloca la
giusta soluzione del tributo ambientale, cioè di quel prelievo tribu-
tario il cui scopo è quello di concorrere, insieme con altre misure
normative, a reprimere fenomeni tollerabili (se fossero intollerabili
sarebbero, infatti, semplicemente repressi), ma dannosi d’inquina-
mento (in argomento si veda F. GALLO-F. MARCHETTI, I presupposti
della tassazione ambientale, in Rass. tribut., 1999, p. 115).
Fermo rimanendo, dunque, il rispetto del principio costituzio-
2008

nale, il legislatore potrebbe assoggettare ad un prelievo specifico le


immissioni inquinanti, avendo cura di non violare il principio di
uguaglianza (che agisce, naturalmente, anche nell’ambito fiscale) e
4

di non impedire, di fatto, lo stesso svolgimento dell’attività, merite-


vole di contenimento, non di repressione.
3. La capacità contributiva, posta dalla Costituzione a fonda-

GIANFRANCO GAFFURI 437


mento del dovere di concorrere alle spese pubbliche, indica un’entità
concettuale e pratica che appartiene esclusivamente all’ordine eco-
nomico. L’affermazione, lungi dall’essere arbitraria, deriva da un
rilievo immediato che la natura stessa dell’imposizione suggerisce.
Se questa si concreta in un prelievo di ricchezza, l’attitudine a
sopportarne il peso consiste nel possesso di essa, ovverosia proprio di
quella sostanza che può essere sottratta dall’ente impositore me-
diante il tributo: la capacità contributiva non ha ragionevolmente
diverso significato, qualora l’interprete non voglia prescindere dal-
l’espressione normativa e dal senso comune delle parole che la
compongono.
Siffatta interpretazione, logica e letterale insieme, dell’attitu-
dine alla contribuzione, trova conferma, come ha opportunamente
segnalato la dottrina (si veda I. MANZONI, Il principio della capacità
contributiva nell’ordinamento costituzionale italiano, Torino, Giap-
pichelli, 1965, p. 67, ss.; G. GAFFURI, L’attitudine alla contribuzione,
Milano, Giuffrè, 1969, p. 63; E. GIARDINA, La capacità contributiva
degli enti collettivi non personificati, in Riv. dir. fin., 1962, I, p. 272),
nello stesso principio di progressività dei tributi, sancito dal capo-
verso dell’art. 53, ed è altresı̀ suffragata dai lavori preparatori
relativi all’articolo citato e dai suoi precedenti storici. Si è osservato
che la disposizione costituzionale, secondo la quale il carico indivi-
duale dei tributi deve crescere in maniera più che proporzionale alla
ricchezza, postula che la capacità contributiva sia concepita in senso
economico, poiché, in caso contrario, difetterebbero le condizioni
indispensabili per l’applicazione di aliquote progressive.
Che la forza economica sia unico indice della capacità contribu-
tiva appare, quanto meno in prima approssimazione, incontestabile:
il pensiero può vantare un fondamento razionale e considerarsi
fedele interprete della realtà normativa anche sulla scorta dei pre-
cedenti storici. Peraltro, la possibilità di fronteggiare il tributo, dalla
quale si è dedotto il carattere economico del principio accolto dall’art.
53, è riferibile non già all’obbligazione tributaria, cioè al rapporto
giuridico intercorrente tra il soggetto passivo e l’amministrazione
2008

finanziaria, rapporto che del prelievo tributario è la concreta veste


formale, ma a questo, colto nella sua realtà prenormativa, allorché
esso è assunto nella norma istitutiva del tributo. Si tratta, dunque,
4

di un’astratta capacità di pagamento, la cui rilevanza si risolve


esclusivamente entro la previsione normativa ovvero nella relazione
essenziale posta dalla legge fra un tributo e una determinata mani-

438 FORUM
festazione di ricchezza. Questa, se in pratica è suscettibile di dive-
nire mezzo per soddisfare il tributo stesso, non necessariamente deve
essere cosı̀ destinata. In tal senso l’esistenza di mezzi economici utili
per il soddisfacimento dell’imposta è condizione indispensabile affin-
ché, da un punto di vista logico e nel rispetto della norma costitu-
zionale, il prelievo avvenga secondo la capacità contributiva del
soggetto che sopporta l’onere tributario.
Si è, dunque, potuto stabilire che il prelievo tributario per essere
conforme all’art. 53, 1o comma, deve trovare il suo fondamento in una
manifestazione di ricchezza e che il legislatore è tenuto a ricercare le
fattispecie imponibili in questo settore della realtà sociale.
Occorre ora verificare come la capacità contributiva, cosı̀ intesa,
influisca concretamente sulla configurazione della norma tributaria,
ovvero come questa debba essere congegnata, affinché si possa con-
siderare adempiuto il precetto costituzionale.
In primo luogo la relazione fra tributo e ricchezza deve atteg-
giarsi, nell’ambito — si badi — della previsione testuale, in modo che
sia certa, in riferimento ai tributi, e nei limiti dell’astrattezza legi-
slativa, l’esistenza dei mezzi economici per soddisfarlo. Tale condi-
zione di certezza si attua, indubbiamente, nel caso in cui lo stesso
presupposto indicato nella formula legislativa sia un fatto econo-
mico, una manifestazione di ricchezza suscettibile — si diceva — di
essere in astratto destinata al soddisfacimento del tributo. In questa
ipotesi l’obbligazione tributaria che si fonda sul presupposto stesso,
direttamente o attraverso il suo accertamento, non sarà mai di-
sgiunta dal possesso della ricchezza, appunto perché il fatto econo-
mico, posto a base del tributo, la contiene. Infatti, allorché si avvera
il presupposto e, quindi, si costituisce l’obbligo di pagare il tributo,
immediatamente o per effetto del suo accertamento poco importa, è
anche certa l’esistenza della capacità di farvi fronte.
Tuttavia una simile struttura della norma non è necessaria per
garantire l’esistenza certa, nel quadro dell’astrattezza legislativa,
dei mezzi di pagamento. Si può anche ipotizzare il caso in cui un
determinato bene costituisca il parametro di commisurazione di un
2008

tributo che ha come presupposto un evento non economico.


Sulla legittimità costituzionale di un simile caso non sembra
possibile nutrire dubbi. L’esistenza certa dei mezzi di pagamento si
4

deduce, invero, dalla ricchezza alla quale è commisurato l’ammon-


tare del tributo e tale principio sarebbe sempre rispettato perché,
quand’anche si verificasse il presupposto del tributo, ma non vi fosse

GIANFRANCO GAFFURI 439


la ricchezza che funge da base di calcolo, il tributo stesso, matema-
ticamente, corrisponderebbe a zero.
Concorde col principio di capacità contributiva appare, altresı̀, il
tributo che afferisce, secondo il linguaggio tradizionale, a indici
indiretti di capacità contributiva. Il dubbio sulla possibile mancanza
di certezza, posto che la relazione mediata tra il prelievo e la
ricchezza sintomatica d’attitudine contributiva potrebbe mancare, in
realtà non è giustificato. È lo stesso contenuto economico dell’evento
imponibile (si pensi al trasferimento di un bene o al suo consumo) che
esprime capacità contributiva e appare superfluo a ricorrere a colle-
gamenti problematici fra quell’evento e la ricchezza indirettamente
rivelata dallo stesso. In realtà, dunque — per quanto attiene al
principio di capacità contributiva — la distinzione tra imposta di-
retta e imposta indiretta è meramente descrittiva e di comodità
burocratica.
La certezza che esistano i mezzi utili per il pagamento dell’im-
posta, se è requisito necessario per assicurare il rispetto del principio
di capacità contributiva inteso quale forza economica generica, non è,
peraltro, a tal fine sufficiente. Per rendere l’imposizione adeguata
alla ricchezza di colui che è obbligato a corrispondere il tributo,
occorre che il rapporto fra questo e tale ricchezza sia effettivo e non
meramente eventuale. L’esigenza, insita nel concetto di capacità
contributiva come necessario requisito della sua natura, si appaga
sul piano legislativo, unico rilevante per il problema che si sta
affrontando, con l’esclusione di qualsiasi norma che, pur presuppo-
nendo in astratto un fatto economico alla base dell’imposta, regoli la
nascita del debito relativo senza avere riguardo ad una reale capa-
cità contributiva.
Sotto questo aspetto appaiono discutibili quelle misure legisla-
tive che, per rendere più agevole il prelievo, supplendo alle difficoltà
d’accertamento e di controllo che incontra la pubblica amministra-
zione, o per soddisfare più prosaicamente esigenze di cassa, fissano
presunzioni, tuttavia controvertibili, o predeterminano elementi di
prova in favore del fisco, suscettibili peraltro di smentita, o, ancora,
2008

anticipazioni del debito tributario, per sua natura a consuntivo,


ragguagliate a esiti reddituali di esercizi precedenti.
Il giudizio sulla conformità di siffatti provvedimenti normativi al
4

principio in esame, del quale si sono indicate le prerogative, non può


essere condotto, però, con assolutezza dogmatica.
Se si dovesse intendere con rigore astratto i requisiti della

440 FORUM
certezza e dell’effettività, le predette deroghe all’accertamento ana-
litico del presupposto o alla disciplina del tributo che ne preveda il
prelievo a conclusione del periodo fiscale stabilito, sarebbero incosti-
tuzionali.
In realtà, come ha anche riconosciuto il Giudice delle leggi (cfr. le
decisioni n. 103/1967, in Giur. it., 1968, I, 1, c. 120; n. 200/1976, in E.
DE MITA, Fisco e Costituzione I. Questioni risolte e questioni aperte,
1957-1983, Milano, Giuffrè, 1984, p. 483; n. 103/1983, in Giur. it.,
1983, I, 1, c. 1762; n. 283/1987, ivi, 1988, I, 1, c. 906; n. 41/1999, ivi,
1999, p. 2189), le predette misure normative sono rispettose del
principio di capacità contributiva, colto in tutta la sua pregnanza, sia
perché sono fondate su nessi attendibili e ragionevoli tra la circo-
stanza nota e il possesso della ricchezza desunto da quella circo-
stanza, sia perché il contribuente può sempre dimostrare che, nel
caso concreto, quel nesso, per eventi eccezionali, è manchevole, sı̀
che, mancando questa possibilità, la norma è incostituzionale.
Ugualmente, per quanto attiene alle anticipazioni dell’obbligo
fiscale — in sé estranee all’ambito in cui opera il principio in esame,
giacché attengono alla disciplina degli adempimenti — non sono
comunque irrazionali o vessatorie (e dunque sono conciliabili con la
norma costituzionale), posto che il contribuente può adeguare la
determinazione dell’acconto al reale svolgimento della gestione eco-
nomica, che sia possibile intuire concretamente già nel momento in
cui vi è l’obbligo di corrispondere l’anticipazione: cosı̀ ha ritenuto la
Corte costituzionale con le decisioni n. 77/1967, in Giur. it., 1967, I,
1, c. 1238 e n. 103/1967, già citata; si veda anche la n. 200/1976, pure
citata, che specifica i limiti e le condizioni del prelievo anticipato.
Del pari, è stato giudicato conforme al principio in esame il
regime catastale (si vedano le decisioni della Corte costituzionale n.
16/1965, in Giur. cost., 1965, p. 169 e n. 263/1994, in Riv. dir. tribut.,
1994, II, p. 521). Tale regime, infatti, si riferisce a rilevazioni medie
e ordinarie del reddito immobiliare, fondate su stime ragionevoli.
A stretto rigore, poi, l’imposta retroattiva — quella che colpisce
fattispecie economiche accadute anteriormente all’istituzione del
2008

tributo — non si concilierebbe col principio di capacità contributiva,


poiché manca nel fatto storicamente avvenuto (quantunque sia stato
un indice di ricchezza) il requisito dell’attualità e quindi dell’effetti-
4

vità.
Tuttavia, anche a questo proposito, la giurisprudenza costituzio-
nale ha sempre assunto un atteggiamento compromissorio, stabi-

GIANFRANCO GAFFURI 441


lendo che è incostituzionale il tributo retroattivo qualora — secondo
l’id quod plerumque accidit, ovverosia la probabilità previsionale
degli eventi — abbia perduto, attualmente, un’adeguata relazione
con la ricchezza allora esistente, ma ormai verosimilmente trascorsa
(si vedano, in proposito, le decisioni della Corte costituzionale n.
44/1966, in Giur. cost., 1966, p. 737, la prima e la più importante
pronuncia in materia, e, successivamente, con pedissequo adegua-
mento, la decisione n. 315/1994, citata).
4. Si è visto che la norma costituzionale in esame funge, innan-
zitutto, da criterio selettivo per la scelta del presupposto imponibile
(che deve essere ricercato tra le inequivoche manifestazioni di ric-
chezza). Essa opera, altresı̀, da baluardo contro gravezze il cui
presupposto, pur essendo economicamente apprezzabile o sintoma-
tico, sia configurato in modo da generare l’erosione progressiva
dell’oggetto cui è riferita l’imposta; oppure contro prelievi che sot-
traggano integralmente la stessa ricchezza tassata o in una misura
che possa fondatamente minacciare l’equilibrio tra i bisogni finan-
ziari del settore pubblico (quello non economicamente autonomo) e
l’interesse dei singoli.
Si consideri, a questo proposito, che la legge fondamentale della
Repubblica esprime, nel suo impianto generale, un sapiente bilan-
ciamento tra la costruzione di uno Stato sociale, con ampi settori
d’intervento che esigono idonee disponibilità finanziarie, e la difesa
del privato — intendendo per tale ogni soggetto che è chiamato a
sostenere, in concorso con altri, il peso delle spese collettive — e della
sua indipendenza economica. Se si tiene contro, altresı̀, che questa
impostazione di fondo costituisce il criterio ineludibile per l’interpre-
tazione di tutte le regole di principio contenute nella Costituzione,
non si tarda a comprendere che l’art. 53, 1o comma, non può non
proibire qualunque imposizione con effetti sostanzialmente espro-
priativi, nel senso di una sottrazione progressiva o, addirittura,
istantanea del bene, mediante un prelievo reiterato. Si ricorderà, in
proposito, che secondo il principio di capacità contributiva corretta-
2008

mente inteso, i mezzi per fronteggiare il peso del tributo provengono,


e non possono non provenire, dallo stesso presupposto imponibile,
poiché ogni riferimento ad altra fonte finanziaria esula dal giudizio
4

di conformità alla norma costituzionale.


Contraddice allora lo spirito della norma in esame il tributo che
sia tale o di tale misura — come si diceva — da minacciare o

442 FORUM
pregiudicare la continuità o la sopravvivenza o anche solo un ragio-
nevole progresso dell’economia privata, concepita, in simile contesto,
quale entità soggetta alla pressione fiscale dello Stato.
Affermare che l’economia privata, nel senso predetto, deve essere
garantita nei confronti dell’imposizione tributaria, non significa af-
fatto riconoscere l’esistenza di un primato di tale economia. Con
quell’espressione, invece, si intende fare riferimento a ciò che emerge
dalla norma costituzionale, al modo cioè col quale è stata disciplinata
e composta la dialettica fra le opposte esigenze della finanza pub-
blica, da una parte, e dell’economia privata, dall’altra, argomentando
da qui che, di fonte al prelievo tributario, debba essere garantita la
sussistenza della seconda. Pertanto, una formula (quella, appunto,
della capacità contributiva) comunemente ricca di significati meta-
giuridici, nel caso discusso è assunta in un’accezione rigorosamente
formale e politicamente neutra, per indicare la ricchezza dalla quale
l’Ente pubblico attinge i mezzi necessari alla sua vita e che si
definisce « economia privata » per antonomasia, giacché non tutti i
componenti di tale economia si possono considerare privati nel senso
tecnico della parola, sebbene questi ne costituiscano la maggior
parte.
La tutela accordata dalla norma costituzionale ai soggetti che
subiscono la pressione fiscale opera, dunque, in due direzioni:
• innanzitutto nella scelta di oggetti imponibili, la cui parziale
sottrazione possa conciliarsi con la salvaguardia dell’organizzazione
economica succube del prelievo;
• in secondo luogo nella determinazione quantitativa del tributo,
in dose tale da non generare effetti demolitori, tenendo conto anche
di pesi concomitanti.
Nel primo caso — e per tentare qualche esemplificazione —
potrebbe essere discorde con la norma costituzionale un’imposta che
sia ragguagliata ad un risultato gestionale spurio, non depurato cioè
dai (o da tutti) i costi di produzione e, dunque, ad una grandezza che
non è, almeno interamente, indice di attitudine contributiva.
Sotto questo aspetto non pare costituzionalmente legittimo un
2008

prelievo come l’imposta regionale sull’attività produttiva — salvata


dalla Corte costituzionale con la decisione n. 156/2001, già citata,
peraltro incompiutamente attenta a questo profilo — la quale è
4

commisurata ad un parametro non completamente decantato dai


costi di produzione.
Per quanto attiene alla misura del prelievo è impossibile prede-

GIANFRANCO GAFFURI 443


terminare — con riferimento ad ogni singola gravezza — il limite
insuperabile, che pure esiste e che dovrà essere accertato in concreto,
con un giudizio di fatto tipico dello scrutinio costituzionale.
Si può ritenere — sempre per esemplificare — che un’imposta
patrimoniale, come è quella locale sugli immobili, commisurata alla
rendita catastale capitalizzata con il coefficiente 100 e la cui aliquota
massima è del 7‰, equivalente, dunque, al 70% della rendita base,
sia conforme al principio costituzionale, soprattutto se si considera
che la rendita stessa è già soggetta al prelievo reddituale diretto, la
cui aliquota minima è del 23%.
5. Le pronunce della Corte costituzionale sul tema della capa-
cità contributiva — ad eccezione dei responsi citati nelle pagine
precedenti — non appaiono molto significative. Il Giudice delle leggi
è sempre sfuggito al compito di vagliare la conformità di un prelievo,
nel suo assetto complessivo e nelle sue linee costitutive generali,
quantunque le ordinanze di rimessione investissero i punti qualifi-
canti della sua disciplina, sostenendo la genericità della denuncia
che avrebbe reso inammissibile l’esame giudiziale.
Un certo sforzo, peraltro reticente e superficiale, di analizzare la
struttura portante del prelievo sottoposto al giudizio della Corte, si
nota nella decisione riguardante l’imposta regionale sulle attività
produttive, che ha suscitato molto interesse critico nella letteratura,
prima e dopo la stessa decisione (n. 156/2001), già citata e commen-
tata nel paragrafo precedente.
I giudizi della Consulta, nei quali, almeno formalmente, il prin-
cipio di capacità contributiva era il parametro di riferimento, hanno
riguardato questioni marginali o puntuali (si vedano, a titolo d’esem-
pio, le decisioni già citate) o situazioni paradossali (cfr. la decisione
n. 233/1993, in Riv. dir. tribut., 1994, II, p. 340, relativa ad un caso
nel quale il regime fiscale agevolato, obbligatoriamente applicabile,
produceva non un vantaggio, secondo le intenzioni del legislatore,
ma un danno sensibile, poiché determinava, di contro, una riduzione
dei costi detraibili, con un incremento della pressione fiscale vana-
2008

mente ridotta in forza dell’agevolazione). In ogni caso, la giurispru-


denza costituzionale si è attenuta ad una nozione rigorosamente
oggettiva del principio in esame, ritenendo che ogni fatto economi-
4

camente apprezzabile o rivelatore di ricchezza sia indice adeguato di


attitudine alla contribuzione, addirittura svalutando il rapporto ne-
cessario con il soggetto protagonista, non necessariamente l’unico al

444 FORUM
quale il tributo può far carico secondo la citata opinione giurispru-
denziale (particolarmente significativa, in proposito, la decisione n.
143/1995, citata).
Del resto, ben raramente il principio di capacità contributiva è
stato applicato in modo autonomo e in virtù della sua specifica
rilevanza. Quasi sempre — ad eccezione dei casi risolti con le deci-
sioni già segnalate — la Corte costituzionale si è riferita congiunta-
mente all’art. 53, 1o comma, e all’art. 3, considerando il primo una
mera specificazione del secondo in materia tributaria (si vedano, a
titolo esemplificativo, le decisioni n. 167/1976, in E. DE MITA, Fisco e
Costituzione I. Questioni risolte e questioni aperte, 1957-1983, cit., p.
450; n. 103/1991, già citata; n. 258/2002, in Giur. cost., 2002, p. 1891;
anche la celebre pronuncia n. 42/1980, in E. DE MITA, Fisco e Costi-
tuzione I. Questioni risolte e questioni aperte, 1957-1983, cit., p. 535,
insigne per ricchezza argomentativa e dignità letteraria, che ha
dichiarato illegittima l’imposta locale sui redditi, oggi soppressa,
limitatamente al lavoro autonomo, in realtà si fonda su una consta-
tata disparità di trattamento fiscale con il lavoro subordinato, irri-
spettosa del principio di uguaglianza).
A sua volta, negli ultimi approdi, la dottrina finisce per este-
nuare il concetto di capacità contributiva. Secondo talune manifesta-
zioni ideologiche estreme, la norma costituzionale proclamerebbe
l’esigenza di distribuire il carico tributario, senza predeterminare
alcun criterio vincolante, giacché il legislatore potrebbe riferirsi a
qualunque circostanza, evento o situazione significativa, non neces-
sariamente indice di ricchezza (cfr., con varie sfumature, F. GALLO,
Ratio e struttura dell’irap, in Rass. tribut., 1998, p. 627: l’insigne
Autore considera peraltro ancora essenziale il nesso con elementi di
rilievo genericamente economico, anche se non sia effettivamente
sintomatico della capacità di fronteggiare, senza effetti eversivi, il
peso fiscale; A. FEDELE, Relazione sull’irap, in Riforma tributaria
1998. Analisi dei decreti legislativi in vigore nel 1998, Atti del
seminario di studi a cura dell’Ordine dei Dottori commercialisti di
Roma, nonché in Dovere tributario e garanzie dell’iniziativa econo-
2008

mica e della proprietà nella costituzione italiana, in Riv. dir. tribut.,


1999, I, p. 971).
La relativizzazione — se è consentito questo neologismo, peraltro
4

espressivo — del concetto di capacità contributiva è dunque l’esito (o,


comunque, il rischio) delle ultime riflessioni dottrinali, peraltro non
completamente condivisibili.

GIANFRANCO GAFFURI 445


GIANFRANCO GARANCINI

LE GARANZIE DEL GIUSTO


PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
L’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali UE, ora trasfuso
nell’art. II-101 del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa,
ha trasformato il “Principio di buona amministrazione” in un “Diritto
ad una buona amministrazione”: “1. Ogni individuo ha diritto a che
le questioni che lo riguardano siano trattate in modo imparziale ed
equo, ed entro un termine ragionevole, dalle istituzioni, organi e
organismi dell’Unione. 2. Tale diritto comprende in particolare: a) il
diritto di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti
venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudi-
zio; b) il diritto di ogni persona di accedere al fascicolo che la
riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del
segreto professionale; c) l’obbligo per l’amministrazione di motivare le
proprie decisioni. 3. Ogni persona ha diritto al risarcimento da parte
dell’Unione dei danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti
nell’esercizio delle loro funzioni conformemente ai principi generali
comuni agli ordinamenti degli Stati membri. 4. Ogni persona può
rivolgersi alle istituzioni dell’Unione in una delle lingue della Costi-
tuzione e deve ricevere una risposta nella stessa lingua”.

L’art. 20.2 della Costituzione della Repubblica Greca del 9 giugno


1975 (con emendamenti del 6 marzo 1986) riconosce il diritto della
2008

persona interessata ad una audizione preliminare, che “si applica


ugualmente a tutti gli atti o le misure amministrative assunti a
detrimento dei suoi diritti e dei suoi interessi”.
4

L’art. 105 della Costituzione del Regno di Spagna del 27 dicem-


bre 1978 dispone che “la legge regolerà: A) il diritto dei cittadini ad

GIANFRANCO GARANCINI 447


essere ascoltati, direttamente o tramite le organizzazioni e associa-
zioni riconosciute dalla legge, nel procedimento di elaborazione delle
misure amministrative che li riguardano. B) l’accesso dei cittadini
agli archivi e registri amministrativi, salvo per quanto riguarda la
sicurezza e la difesa dello Stato, le indagini sui reati e la riservatezza
delle persone. C) la procedura di formazione degli atti amministra-
tivi, garantendo, quando lo si giudichi opportuno, udienza all’inte-
ressato”.

Non sono che esempi.


Non va dimenticato, per altro, che la Costituzione della Repub-
blica Italiana del 22 dicembre 1947 in vigore dal 1º gennaio 1948,
all’art. 97, primo comma, prevede che “i pubblici uffici sono organiz-
zati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il
buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”; mentre al-
l’art. 117, primo comma, come sostituito dall’art. 3 della legge costi-
tuzionale 18 ottobre 2001, n. 3, prevede che la potestà legislativa è
esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione,
“nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli
obblighi internazionali”.

Quel diritto ad una buona amministrazione, dunque, potrebbe —


proprio in virtù dell’applicazione dell’art. 117, primo comma, della
Costituzione — essere già ora un diritto di rango costituzionale.

Il diritto ad una buona amministrazione rispecchia, consolidan-


dolo e trasformandolo in una garanzia soggettiva, quel principio di
buona amministrazione che è da tempo un elemento di giudizio
usuale nelle pronunce dei giudici comunitari e che è diventato di
valore corrente anche nell’insegnamento giurisprudenziale dei giu-
dici amministrativi italiani. Anche qui soltanto a mo’ di esempio,
sarà interessante riprendere quanto ha scritto la prima Sezione del
TAR per il Lazio, Roma, 28 dicembre 2007, n. 14141: “la discrezio-
nalità amministrativa è facoltà di scelta per il soddisfacimento del-
2008

l’interesse pubblico e per il perseguimento di un fine rispondente alla


causa del potere esercitato. L’interesse pubblico da perseguire, nella
realtà fattuale, non esiste mai da solo, ma convive, ora confliggendo
4

ora collimando, con altri interessi sia pubblici sia privati. L’ammi-
nistrazione è, quindi, tenuta ad esercitare la propria discrezionalità,
e cioè a dettare con il provvedimento la regola del caso concreto,

448 FORUM
attraverso la ponderazione complessiva di più interessi; e, al fine di
garantire la correttezza delle scelte comparative e di evitare che un
potere funzionale quale quello pubblico possa trasformarsi in un
potere libero e perciò arbitrario, è predisposto, ora, in via generale
attraverso le norme di cui alla L. 241/90, il meccanismo di procedi-
mentalizzazione dell’attività amministrativa. Di tal che la funzione
pubblica, e cioè la traduzione del potere amministrativo in atto, deve
svolgersi attraverso il procedimento — il quale, per tale ragione, è
stato definito forma della funzione — che costituisce il luogo deputato
all’acquisizione, alla valutazione e alla parametrazione degli inte-
ressi pubblici e privati coinvolti dall’azione amministrativa, nel
quale avviene la conseguente scelta della soluzione ritenuta maggior-
mente rispondente al fine pubblico affidato alle cure dell’autorità
procedente dalla norma attributiva del potere”.

Il procedimento, dunque, è il luogo della comparazione e della


ponderazione dei diritti e degli interessi in gioco: sia quelli della p.a.,
sia quelli dei cittadini. È questo un modo assai pregnante di ricono-
scere, da una parte, la soggettività a tutto tondo del cittadino anche
nei confronti della p.a. (in questo senso non manca chi riconosce come
il principio dell’art. 98, primo comma, Cost., secondo il quale “i
pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”, fornisca
qui un ulteriore sostegno al diritto ad una buona amministrazione e,
con vedremo, al principio del giusto procedimento); e, dall’altra, la
necessità che la legislazione in tema di azione amministrativa e, in
particolare, sul procedimento amministrativo sia collegata — sia
culturalmente sia funzionalmente — ai principi costituzionali fon-
damentali, ai valori costituzionali, discendenti, appunto, per noi,
dagli artt. 97 e 98 Cost. (cfr. — ma ne parleremo a lungo più avanti
— Corte Costituzionale, sentenza 23 marzo 2007, n. 104).
***
Diritto ad una buona amministrazione, Principio di buona am-
2008

ministrazione, Principio del giusto procedimento, sono allora facce


diverse e fra loro differenti dello stesso nucleo di cultura giuridica e
di espressione normativa che ruota intorno alla affermazione della
4

centralità del cittadino anche nell’ambito del procedimento ammini-


strativo (cfr., per es., quanto scrive F. TRIMARCHI BANFI, Il diritto ad
una buona amministrazione, in AA.VV., Trattato di diritto ammini-

GIANFRANCO GARANCINI 449


strativo europeo, diretto da Mario P. Chiti e Guido Greco, II ed.,
Milano 2007, parte generale, tomo I, pp. 49-86).

Per vero, il principio di buona amministrazione ha una esten-


sione maggiore rispetto al diritto ad una buona amministrazione
codificato nell’art. II-101 del Trattato costituzionale: il principio di
buona amministrazione riguarda essenzialmente i c.d. diritti proce-
dimentali, quali quelli affermati nel nostro ordinamento dalla legge
7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i., ma si estende, con ulteriore efficacia
precettiva, anche al di là delle norme specifiche, conformando la
condotta dell’Amministrazione in termini assai più generali e (quasi)
di deontologia amministrativa: è il caso del più generale principio di
correttezza e buona fede che, anche nell’assenza di un’apposita
disciplina, si traduce nel dovere per la p.a. di agire secondo corret-
tezza e buona fede, dovere che “non è assolto dalla p.a. soltanto con
il compimento di atti previsti in specifiche disposizioni di legge, ma si
deve realizzare anche con comportamenti non individuati normati-
vamente e che, però, con riferimento alle singole situazioni di fatto
siano necessari per evitare l’aggravamento della posizione del « cit-
tadino » debitore” (cfr. TAR per la Lombardia, Milano, sez. II, 23
gennaio 2008, n. 155; TAR per la Basilicata, 23 gennaio 2006, n. 4).

Per parte sua, il principio del giusto procedimento è quello in


forza del quale, allorché il legislatore decida di limitare i diritti dei
singoli, deve prevedere ipotesi astratte e predisporre un procedi-
mento amministrativo nell’ambito del quale i privati possano inter-
venire per esporre le proprie ragioni. Si verifica qui la “dinamica
giuridica” secondo lo schema “norma-potere-effetto”, in ragione del
quale l’effetto non risale immediatamente alla legge ma è necessaria
l’intermediazione di un soggetto che pone in essere un atto, espres-
sione di una scelta, mediante il quale si regolamenta il fatto e si
produce la vicenda giuridica. Lo svolgimento dei poteri dell’ammini-
strazione — che è quell’“intermediario” fra la norma e il suo effetto —
nel suo momento dinamico integra esattamente quella serie di atti e
2008

di operazioni, serie che nel suo complesso acquisisce rilevanza giu-


ridica e viene chiamato procedimento.
Il principio del giusto procedimento — se richiede che per la
4

realizzazione dell’effetto sia previamente attribuito all’amministra-


zione un potere il cui esercizio produce la vicenda giuridica (che è la
modalità di sviluppo di quel rapporto tra “previo disporre” e “concreto

450 FORUM
provvedere”, come diceva Vezio Crisafulli) e che si esplica nel proce-
dimento — per converso costituisce nel cittadino, privato interlocu-
tore della p.a., una posizione giuridica che lo caratterizza specifica-
mente, sia essa posizione di interesse legittimo o di diritto soggettivo;
infatti, se “la distinzione tra interessi legittimi e diritti soggettivi deve
essere riferita alla finalità perseguita dalla norma alla quale l’atto si
collega”; e se, anche nel caso in cui la norma definisca in modo
puntuale i presupposti e il contenuto dell’attività amministrativa,
indicando come obiettivo in via diretta e immediata finalità di inte-
resse pubblico, l’interesse legittimo è ugualmente riconosciuto ai
sensi dell’art. 113 Cost., per quanto riguarda la tutela giurisdizio-
nale, allora il riconoscimento della dignità di tale posizione si
estende anche nel riconoscimento del diritto di intervento nel proce-
dimento amministrativo proprio in base al principio del giusto pro-
cedimento, in relazione agli artt. 97 e 98 Cost.. È stato scritto infatti
che “l’interesse legittimo, che è una posizione sostanziale al pari del
diritto soggettivo e che di quest’ultimo ha pari dignità ricevendo
dall’ordinamento un’uguale protezione, si caratterizza perché è la
posizione giuridica di cui è titolare il soggetto inciso da un provvedi-
mento amministrativo, vale a dire è la posizione in cui versa il
destinatario di un atto, o il soggetto che comunque riveste una
posizione differenziata e di qualificato interesse rispetto ad un atto,
emanato da una pubblica amministrazione nell’esercizio del potere
pubblico o, anche prima dell’adozione dell’atto, il soggetto che entra
in un rapporto giuridicamente qualificato con l’esercizio della fun-
zione amministrativa. In altre parole, l’interesse legittimo è la situa-
zione giuridica soggettiva che ‘dialoga’ con l’amministrazione che sta
esercitando o ha esercitato un pubblico potere e che, quindi, con un
atto unilaterale ed autoritativo, è in grado di incidere ex se sulla sfera
giuridica contrapposta, per cui può dirsi che detta situazione ha la
sua fonte nella norma attributiva del potere pubblico dell’ammini-
strazione” (TAR per il Lazio, Roma, sez. I, 1 febbraio 2007, n. 756).

È per questo che si è venuto sempre più consolidando come


2008

principio generale (“sulla base dei principi garantistici introdotti


dalla legge n. 241/1990”) quello secondo il quale prima dell’adozione
di un provvedimento amministrativo incidente sulle posizioni sog-
4

gettive (interessi legittimi o diritti soggettivi) di altri soggetti, non


solo deve essere dato ingresso al contraddittorio con i destinatari
dell’atto, ma deve anche essere compiuta un’apposita istruttoria,

GIANFRANCO GARANCINI 451


delle cui risultanze va dato atto nelle motivazioni del provvedimento
medesimo, insieme con l’indicazione dei presupposti e delle ragioni
giuridiche che lo determinano.

Ma non basta. Se è vero che nell’ambito dei rapporti fra privato


e p.a. risulta centrale il principio di leale collaborazione che si
sostanzia in un preciso dovere per l’Amministrazione di collabora-
zione con i cittadini al fine di contribuire a realizzarne, nei margini
consentiti dall’ordinamento, le legittime aspettative (cfr. ex permul-
tis, TAR per la Sardegna, sez. II, 17 gennaio 2006, n. 16), è altret-
tanto importante l’affermazione che la partecipazione del privato al
procedimento amministrativo risponde non soltanto ad una ratio di
tutela degli interessi del privato, appunto, ma anche ad una ratio di
efficienza, ovvero all’esigenza che la p.a. provveda tenendo presenti
tutti gli elementi (anche quelli prospettati dallo stesso privato)
idonei a condurre all’adozione di atti legittimi, e altresı̀ alla ratio di
evitare contenziosi attraverso la preventiva valutazione e composi-
zione degli interessi coinvolti nell’azione amministrativa (cfr. TAR
per la Sicilia, Catania, sez. I, 21 settembre 2007, n. 1462).

E dunque il principio del giusto procedimento è principio fonda-


mentale posto a tutela della uguale dignità dei cittadini di fronte alla
p.a., naturalmente tenendo conto delle differenziate posizioni giuri-
diche che essi incarnano, specialmente nel caso in cui si tratti di dare
esecuzione a norme attributive di potere pubblico.

Il principio del giusto procedimento — che, nonostante un lungo


dibattito e un ancor più lungo contrasto (come vedremo), affonda le
sue radici nell’art. 97 Cost. — garantisce dunque il diritto di parte-
cipazione dei soggetti interessati al procedimento: “in tal modo la
p.a. può effettuare le proprie scelte, le proprie decisioni alla luce delle
rappresentazioni delle ragioni manifestate dagli interessati e del loro
apporto, anche collaborativo. Il cittadino cambia il ruolo all’interno
2008

del procedimento amministrativo in modo attivo nell’ottica dello


snellimento dell’attività amministrativa. Lo scopo del legislatore è
evidente: l’azione amministrativa deve essere tale da creare un rap-
4

porto di fiducia tra i cittadini e le p.a.” (V. FERA, Il principio del giusto
procedimento alla luce della legge 15 del 2005, in Giustizia Ammi-
nistrativa, rivista on line, n. 3/2005).

452 FORUM
I vari passaggi della disciplina del procedimento indicati dalla
legge n. 241/1990 e s.m.i. (comunicazione di avvio del procedimento;
diritto ad intervenire nel procedimento; comunicazione dei motivi
ostativi all’accoglimento dell’istanza; possibilità di accordi integra-
tivi o sostitutivi del provvedimento; obbligo di istruttoria e di moti-
vazione del provvedimento, e cosı̀ via) segnano di necessità — dise-
gnando in concreto l’attuazione del principio del giusto procedimento
— un corpus di garanzie per il privato cittadino al corretto funzio-
namento dell’attività amministrativa con il riconoscimento del di-
ritto di partecipazione attiva al procedimento. Tale tutela è, oggi,
rafforzata rispetto al passato: nel momento in cui il legislatore ha
sancito il diritto alla partecipazione al procedimento amministrativo
da parte del cittadino, ne ha sancito altresı̀ la possibilità di tutela
giurisdizionale che, dal principio generale dell’art. 113 Cost., si è
articolata attraverso la definizione sempre più complessa e partico-
lareggiata della giurisdizione del giudice amministrativo. In tal
modo il legislatore crea una vera e propria “agevolazione” del citta-
dino nei confronti della p.a., contemporaneamente dettando per la
p.a. norme sull’azione amministrativa che debbono essere lette non
solo come vincoli ad essa, ma altresı̀ — e di più — come modalità più
sicure e definite per un suo corretto svolgimento.

Se, infatti, le garanzie a tutela del privato si vengono sempre più


rafforzando già a partire dalla fase istruttoria, anticipandone la
soglia stessa (si pensi alla tensione fra comunicazione di avvio del
procedimento e “preavviso di diniego”; si pensi all’obbligo per la p.a.
di comunicare i termini di conclusione del procedimento, o i rimedi
esperibili, o, addirittura, l’autorità giudiziaria avanti la quale essi
possono essere esperiti), questo porta a dire che — quantomeno
nell’astratto disegno della norma — il cittadino si trova in posizione
paritaria nel rapporto con la p.a., e gode di una tutela rafforzata
rispetto al passato.
***
2008

In passato, per vero, il principio del giusto procedimento non era


cosı̀ pacifico e tutelato.
4

La sentenza della Corte Costituzionale 2 marzo 1962, n. 13 (che


riguardava la questione di incostituzionalità di una legge di una
Regione a statuto speciale che non prevedeva alcuna indicazione

GIANFRANCO GARANCINI 453


istruttoria per la apposizione di vincoli idrogeologici) contestò tale
legge regionale proprio sulla base dell’affermazione di un principio
che ritenne essere “un principio generale dell’ordinamento giuridico
dello Stato”: “questo principio generale consiste nella esigenza del
giusto procedimento. Quando il legislatore dispone che si apportino
limitazioni ai diritti dei cittadini, la regola che il legislatore normal-
mente segue è quella di enunciare delle ipotesi astratte, predispo-
nendo un procedimento amministrativo attraverso il quale gli organi
competenti provvedano ad imporre concretamente tali limiti, dopo
avere fatto gli opportuni accertamenti, con la collaborazione, ove
occorra, di altri organi pubblici, e dopo aver messo i privati interes-
sati in condizione di esporre le proprie ragioni sia a tutela del proprio
interesse, sia a titolo di collaborazione nell’interesse pubblico”. Vero
è che il legislatore statale ha derogato tante volte dalla esigenza di
stabilire un giusto procedimento, rilevò poi la Corte, “ma ciò non
infirma il principio generale dianzi esposto. D’altra parte il legisla-
tore statale non è tenuto al rispetto dei principi generali dell’ordina-
mento, quando questi non si identifichino con norme o principi della
Costituzione, mentre il legislatore regionale è vincolato al rispetto
delle norme costituzionali e dei principi dell’ordinamento giuridico
dello Stato”.

Con questa sentenza la Corte Costituzionale aveva bensı̀ affer-


mato il principio del giusto procedimento, ma aveva altresı̀ — per
converso — limitato di molto la portata del principio, negandogli quel
rango costituzionale che avrebbe inseguito per oltre quarant’anni.

La giurisprudenza amministrativa per lungo tempo, anche dopo


l’entrata in vigore della legge n. 241 del 1990, insistette nell’affer-
mazione che “il c.d. principio del giusto procedimento, il quale ri-
chiede che i procedimenti amministrativi vengano attivati in contrad-
dittorio o comunque con la partecipazione dei soggetti privati o delle
amministrazioni interessate, non assume rango di principio costitu-
zionale e, prima della legge L. 7 agosto 1990, n. 241, non poteva
2008

neppure considerarsi generalmente immanente nel nostro ordina-


mento giuridico. Esso, invero, è desumibile dall’art. 97 Cost. che,
però, rimette all’ampia discrezionalità di valutazione del Parlamento
4

organizzare i pubblici uffici ‘in modo che siano assicurati il buon


andamento e l’imparzialità della Amministrazione’” (C. di Stato, sez.
VI, 24 agosto 1996, n. 1072); questa rigida decisione cosı̀ concludeva:

454 FORUM
“non sussiste, in conclusione, un precetto costituzionale che imponga
al legislatore ordinario l’introduzione di fasi procedimentali in guisa
da integrare nella loro successione cronologica e nel loro specifico
rilievo gli estremi del c.d. ‘giusto procedimento’, al quale, per altro,
anche la citata legge n. 241 del 1990, che pure gli attribuisce portata
di principio generale, prevede importanti deroghe”.

Anche se nel frattempo la dottrina leggeva la legge n. 241 del


1990 come un deciso atto di costituzionalizzazione del principio del
giusto procedimento, elevando “il diritto di partecipazione” al rango
di diritto soggettivo avente rilevanza costituzionale perché raccor-
dato al perseguimento dei diritti sociali enunciati dalla Costituzione
stessa; e veniva ad affermare, con Sabino Cassese, che la legge n.
241/1990 non era altro che “una parte della Costituzione”, atteso che
— nella sua ricostruzione — “le leggi sul procedimento amministra-
tivo sono la continuazione naturale delle costituzioni delle repubbli-
che moderne”, la giurisprudenza rimaneva particolarmente sorda a
questo movimento che, come recentemente è stato affermato (F.
CASTIELLO, Il principio del giusto procedimento dalla sentenza n. 13
del 1962 alla sentenza n. 104 del 2007 della Corte Costituzionale, in
Foro Amministrativo - CdS, 1/2008, pp. 269 ss., a p. 270, citando G.
Morbidelli), veniva istituendo “tra disposizioni costituzionali e dispo-
sizioni di legge ordinaria un processo circolare per cui le indicazioni
della Costituzione vengono riprese e sviluppate dal legislatore ordi-
nario e quest’ultimo, a sua volta, contribuisce alla determinazione del
significato delle disposizioni costituzionali”.

Tuttavia l’adunanza plenaria del Consiglio di Stato 15 settembre


1999, n. 14 intervenne ad affermare che la legge n. 241/1990 aveva
esteso il giusto procedimento, anzi la partecipazione, alla genera-
lita dei procedimenti amministrativi, fatta eccezione per quelli
eccepiti dallo stesso art. 13 della legge. Di seguito a questa consta-
tazione, l’adunanza plenaria affermava che la legge n. 241 del 1990
“ha una duplice valenza. Per un verso, il giusto procedimento ammi-
2008

nistrativo, pur non essendo, allo stato, un principio costituzionale...,


è pur sempre un criterio di orientamento per il legislatore e per
l’interprete. ( ... ) Allo stesso modo, l’inapplicabilità della medesima
4

disposizione è divenuta, a dispetto della ritenuta non costituzionaliz-


zazione del giusto procedimento, il presupposto interpretativo per
affermare con sentenza di accoglimento l’illegittimità costituzio-

GIANFRANCO GARANCINI 455


nale delle disposizioni che non prevedono la partecipazione de-
gli interessati, per contrasto con il fondamentale canone di ra-
zionalità normativa e con il principio di buon andamento
dell’amministrazione”: di tal che, sembra di poter dire, sia a cagione
di quell’inciso (“allo stato”), sia a cagione di quel richiamo all’affermata
(se pur in una materia marginale) illegittimità costituzionale delle
disposizioni che non prevedono la partecipazione degli interessati, che
l’adunanza plenaria del 1999, nonostante tutto, avesse compreso il
rilievo se non proprio, allo stato, normativamente, certo culturalmente
costituzionale della legge n. 241 del 1990. A conferma di ciò, conti-
nuava l’adunanza plenaria del 1999, “per altro verso, tale disposizione
introduce, nell’attività amministrativa del Paese, un elemento di ri-
qualificazione di grande rilievo civile: l’innesto nel procedimento am-
ministrativo della cultura della dialettica processuale, fatto più ever-
sivo di quanto non fosse stato, alla fine degli anni ’60, l’inserimento
della comunicazione giudiziaria all’indiziato e delle altre garanzie di
difesa nel processo penale inquisitorio del Codice di procedura penale
abrogato. Alla prassi della definizione unilaterale del pubblico inte-
resse, oggetto, nei confronti dei destinatari di provvedimenti restrittivi,
di un riserbo ad excludendum già ostilmente preordinato a rendere
impossibile o sommamente difficile la tutela giurisdizionale, subentra
cosı̀ il sistema della democraticità delle decisioni e della ac-
cessibilità dei documenti amministrativi, in cui l’adeguatezza
dell’istruttoria si valuta anzitutto nella misura in cui i desti-
natari sono stati messi in condizione di contraddire”.
***
La Corte Costituzionale, tuttavia, è rimasta a lungo al di qua
della soglia della “costituzionalizzazione” del principio del giusto
procedimento, tanto da far dire a Vincenzo Caianiello ancora nel
1998 che rimaneva “inspiegabile e sconcertante” l’insistenza della
Corte Costituzionale a non voler cambiare orientamento, ricono-
scendo che il principio del giusto procedimento derivava diretta-
mente dall’art. 97 Cost. che, a garanzia del cittadino nei confronti
2008

della p.a., opponeva e oppone — prima ancora della tutela giurisdi-


zionale — i principi della imparzialità e del buon andamento.
4

Non solo, ma la dottrina era venuta elaborando una concezione


del principio del giusto processo e, ancora di più, del principio/diritto
di partecipazione, come di un vero e proprio principio costituzionale

456 FORUM
a sé stante, “un’istruzione specifica per l’amministrazione in attua-
zione dell’acquis politico racchiuso (almeno) negli artt. 2, 3, 4 e 97
Cost.” (Forte). Varrebbe la pena di ricordare, tuttavia, come all’art. 2,
all’art. 3, all’art. 4 e all’art. 97 si possano aggiungere, come riferi-
menti fontali del principio del giusto procedimento e di quello della
partecipazione, gli artt. 24 e 113 e, dopo la novella, l’art. 111, nella
marcata analogia (per lo meno a livello di politica del diritto) fra le
ragioni del giusto processo e quelle del giusto procedimento.

Il giusto procedimento, in ogni caso, si è venuto affermando in


dottrina in maniera pressoché univoca come principio costituzionale
(cfr, per un’utile ricostruzione, M.C. CAVALLARO, Il giusto procedi-
mento come principio costituzionale, in ‘Foro Amministrativo’, 2001,
pp. 1829 ss.).

Anche la Corte Costituzionale, però, ha riconosciuto di recente il


rango costituzionale del principio del giusto procedimento.

Lo ha fatto con due sentenze coeve (19/23 marzo 2007, n. 103,


Pres. Bile, Red. Quaranta (1); 19/23 marzo 2007, n. 104, Pres. Bile,
Red. Cassese), che si sono occupate di spoils system, l’una in rela-
zione agli incarichi dei dirigenti generali, l’altra in relazione agli
incarichi dei dirigenti non apicali.

Al di là della questione specifica (sulla quale, fra le tante crona-


che e i tanti commenti, si può vedere G. GARANCINI, Ancora in tema di
spoils system: le più recenti pronunce della Corte Costituzionale, in
Iustitia, n. 3/2007, pp. 285 e ss.) ciò che importa è che ambedue le
sentenze hanno dichiarato l’incostituzionalità di alcune norme della
legge 15 luglio 2002, n. 145, sia perché violano i principi di continuità
e di buon andamento dell’azione amministrativa centrati sul nuovo
modello di amministrazione che si basa sulla distinzione fra gestione
amministrativa e indirizzo politico amministrativo, sia perche vio-
2008

lano i principi del giusto procedimento e della trasparenza,


come desumibili dalla legge n. 241/1990 e s.m.i..
4

La sentenza n. 103 cosı̀ si esprime: “La norma impugnata —


prevedendo un meccanismo (cosiddetto spoils system una tantum) di
(1) La sentena de qua è riportata nel testo integrale nel sito web del presente fascicolo.

GIANFRANCO GARANCINI 457


cessazione automatica, ex lege e generalizzata degli incarichi diri-
genziali di livello generale al momento dello spirare del termine di
sessanta giorni dell’entrata in vigore della legge in esame — si pone
in contrasto con gli artt. 97 e 98 della Costituzione”. Da una parte,
infatti, viola, in carenza di garanzie procedimentali, prima di tutto le
leggi di recente riforma della pubblica amministrazione; in secondo
luogo — ed è quello che qui ci interessa particolarmente — viola il
principio del giusto procedimento. Infatti “la revoca delle fun-
zioni legittimamente conferite ai dirigenti ..., può essere conseguenza
soltanto di una accertata responsabilità dirigenziale in presenza di
determinati presupposti e all’esito di un procedimento di garanzia
puntualmente disciplinato”.

“Deve pertanto ritenersi necessario che ... sia comunque ga-


rantita la presenza di un momento procedimentale di con-
fronto dialettico tra le parti, nell’ambito del quale, da un lato, l’Am-
ministrazione esterni le ragioni ... per le quali ritenga di non consentire
la prosecuzione [del rapporto dirigenziale] sino alla scadenza contrat-
tualmente prevista; dall’altro, al dirigente sia assicurata la possibilità
di far valere il diritto di difesa, prospettando i risultati delle proprie
prestazioni e delle competenze organizzative esercitate per il raggiun-
gimento degli obiettivi posti dall’organo politico e individuati, ap-
punto, nel contratto a suo tempo stipulato. L’esistenza di una pre-
ventiva fase valutativa si presenta essenziale anche per
assicurare, specie dopo l’entrata in vigore della L. 7 agosto 1990
n. 241 ..., come modificata dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15, il
rispetto dei principi del giusto procedimento, all’esito del quale
dovrà essere adottato un atto motivato che, a prescindere dalla
sua natura giuridica, di diritto pubblico o di diritto privato,
consenta comunque un controllo giurisdizionale. Ciò anche al
fine di garantire — attraverso l’esternazione delle ragioni che
stanno alla base della determinazione assunta dall’organo po-
litico — scelte trasparenti e verificabili, in grado di consentire
la prosecuzione dell’attività gestoria in ossequio al precetto co-
2008

stituzionale della imparzialità dell’azione amministrativa”


(punto 9.2.). E questo richiamo sia pure implicito al rapporto diretto
fra art. 97 Cost. e applicazione delle norme del giusto procedimento,
4

di cui alla legge n. 241/1990 e s.m.i., costituisce il primo elemento


costruttivo della definitiva costituzionalizzazione del principio del giu-
sto procedimento.

458 FORUM
Il richiamo al rapporto fra art. 97 Cost. e giusto procedimento
diviene diretto e, ormai, indiscutibile, con la sentenza n. 104/2007.

Questa, dopo avere affermato che il principio di imparzialità di


cui all’art. 97 Cost. — unito quasi in endiadi con quelli di legalità e
buon andamento — costituisce un valore essenziale cui deve unifor-
marsi l’organizzazione dei pubblici uffici, che si riflette immediata-
mente in altre norme costituzionali, quali l’art. 51, sull’accesso ai
pubblici uffici dei cittadini, e l’art. 98, sul collegamento con il servizio
alla Nazione dei pubblici impiegati, esplicitamente afferma che le
disposizioni censurate (quelle relative allo spoils system anche dei
dirigenti non apicali) “violano l’art. 97 Cost., sotto il duplice
profilo dell’imparzialità e del buon andamento dell’Ammini-
strazione” (punto 2.8.).

Sulla base di questo richiamo la sentenza conduce una sintetica


ma precisa ricostruzione dei principi costituzionali relativi alla p.a.
come, tutti, derivanti dal principio di imparzialità, richiamando in
questo senso la giurisprudenza della medesima Corte sia in subiecta
materia sia, più in generale, in ordine all’ulteriore principio costitu-
zionale della efficienza della Amministrazione, che si esplica in una
serie di regole che riguardano la razionale organizzazione degli uffici,
il loro corretto funzionamento, la garanzia della regolarità e conti-
nuità dell’azione amministrativa; nonché in ordine all’applicazione
dei principi ancora più generali di imparzialità, funzionalità, flessi-
bilità, trasparenza, tutti richiamati al rango costituzionale e alla
relativa tutela in quanto “figli” dell’art. 97 Cost..

“Agli stessi principi si riporta la disciplina del giusto


procedimento, specie dopo l’entrata in vigore della legge 7
agosto 1990, n. 241 ... come modificata dalla legge 11 febbraio
2005, n. 15, per cui il destinatario dell’atto deve essere infor-
mato dell’avvio del procedimento, avere la possibilità di in-
tervenire a propria difesa, ottenere un provvedimento moti-
2008

vato, adire un giudice” (punto 2.9., in fine). La conclusione è


chiarissima: “l’imparzialità e il buon andamento dell’Amministra-
zione esigono che la posizione del direttore generale sia circondata da
4

garanzie; in particolare, che la decisione dell’organo politico relativa


alla cessazione anticipata dall’incarico del direttore generale di ASL
rispetti il principio del giusto procedimento. La dipendenza

GIANFRANCO GARANCINI 459


funzionale del dirigente non può diventare dipendenza politica. Il
dirigente è sottoposto alle direttive del vertice politico e al suo giudi-
zio, ed in seguito a questo può essere allontanato. Ma non può essere
messo in condizioni di precarietà che consentano la deca-
denza senza la garanzia del giusto procedimento” (punto 2.10).
Ne deriva l’assunzione del “giusto procedimento” nella categoria
concettuale del buon andamento e dell’imparzialità, valori costituzio-
nali sanciti dall’art. 97 Cost., e, pertanto, la sua costituzionalizzazione.
***
Il principio del “giusto procedimento” ha, pertanto, assunto rango
costituzionale.
Si può dire, dunque, che le garanzie del cittadino anche di fronte
alla pubblica amministrazione e anche in ordine alla disponibilità di
un giusto procedimento — oltre al “diritto ad una buona ammini-
strazione” (diritto affermato nelle norme comunitarie, e pertanto
costituente anche sotto questo profilo vincolo di carattere costituzio-
nale in ragione dell’applicazione dell’art. 117, primo comma, Cost.);
oltre al principio di buona amministrazione e di tutte le regole che ne
sono corollario — hanno fondamento e tutela nei valori costituzio-
nali, e nelle norme della Carta fondamentale.

Al termine di un lungo cammino il principio del “giusto procedi-


mento”, da “semplice” principio dell’ordinamento come era (e anche
qui non senza contrasto) ritenuto in partenza, è divenuto elemento
integrante del nostro sistema costituzionale e della complessiva
Carta dei diritti del cittadino.

Con questo, non vogliamo certo cadere nella “fallacia naturali-


stica” di chi crede che sia sufficiente un’affermazione teorica di un
principio perché questo sia sempre e comunque automaticamente
realizzato e rispettato. Crediamo, tutt’al contrario, che anche in
questo campo i diritti debbano necessariamente essere fatti valere,
perché essi siano “presi sul serio” e perché, mercé la dimenticanza, o
2008

la disparità di posizioni, o la “supremazia speciale” (vecchio arnese


mai davvero messo da parte), anche i diritti più elementari non siano
tralasciati o, peggio, travolti.
4

Gli strumenti ci sono, legislativi e operativi. È, comunque, sempre


necessario porvi mano perché diventino — e restino — vivi e vitali.

460 FORUM
BASSANO BARONI

IL SILENZIO DELLA
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

SOMMARIO: 1. Aspetti generali. — 2. Liberalizzazione di attività. — 3. La Denuncia di Inizio


Attività. — 4. Il silenzio accoglimento ed il silenzio rifiuto. — 5. Altre misure.

1. Il tema del silenzio della Pubblica Amministrazione e, più in


generale, il tema del tempo entro cui deve svolgersi e concludersi
l’azione amministrativa, ha rappresentato, per molti decenni, uno
degli aspetti più delicati dei rapporti fra Stato e cittadini, partico-
larmente alla luce di un contesto giuridico in cui risultava crescente,
per la stes sa possibilità di esercizio di attività e di rapporti civili,
l’esigenza di provvedimenti abilitativi da rila-sciarsi dalla P.A.
In sostanza, le attività dei cittadini risultavano, in modo cre-
scente, collegate a varie forme di assenso della P.A. (nullaosta,
permessi, concessioni, autorizzazioni, ecc.) e la possibilità accordata
alle pubbliche Amministrazioni di mantenere un atteggiamento di
inerzia e di silenzio si traduceva in una evidente condizione degra-
data della posizione dei cittadini.
Dottrina e giurisprudenza hanno considerato il silenzio come
l’omissione di qualsiasi comportamento, come inerzia della P.A. di
fronte a richieste di provvedimenti avanzate dai cittadini (1).
Il silenzio — secondo concezioni tradizionali e pacifiche — non
2008

può assumere, di per sé solo, alcun significato, né positivo né nega-
tivo (qui tacet neque negat neque utique fatetur).
Affinché il silenzio possa assumere un determinato signi-ficato e
4

possa assumere il ruolo di manifestazione tacita dalla quale sia già

(1) G. VIRGA, Il provvedimento amministrativo, Giuffrè 1998.

BASSANO BARONI 461


consentito desumere la volontà dell’Amministrazione, è necessario
che ricorra una delle seguenti alternative:
— che la legge stessa attribuisca, al silenzio osservato per un
certo periodo di tempo, un valore positivo o negativo;
— che il silenzio sia osservato in circostanze tali da con-ferirgli
il necessario significato di atto convalidante (2).
Per lungo tratto della nostra storia amministrativa l’Ordina-
mento ha omesso di adottare misure tese ad incidere sulla condotta
omissiva od inerte della P.A. o per disciplinarne gli effetti.
La prima concreta misura legislativa in materia è stata rappre-
sentata, come è ampiamente noto, dall’art. 5 del T.U.L. C.e P.
383/1934 che ha introdotto la possibilità — a seguito e per effetto di
un congegno di diffida — di attribuire alla mancata decisione il
valore di un atto di diniego, consentendo, cosı̀, l’esperimento dei
normali rimedi giurisdizionali previsti contro gli atti amministrativi
ritenuti illegittimi; in senso conforme anche art. 25 T.U. 3/1957.
Le disposizioni portate dall’art. 5 della Legge comunale e provin-
ciale e dall’art. 25 T.U. 3/1957 sono rimaste, per molto tempo, le
uniche fonti normative in materia, anche se accompagnate dal con-
tinuo indirizzo di dottrina e giurisprudenza per l’elevazione delle
regole portate dalla legge comunale e provinciale a principio gene-
rale e, pertanto, di regole estensibili alla generalità delle condotte
omissive osservate dalla P.A.
Lo stato di tradizionale scarsa attenzione legislativa sul silenzio
della P.A. è stato incisivamente modificato negli ultimi 15-20 anni,
per effetto di una serie di misure legislative, susseguitesi nel tempo.
L’intervenuto ed incisivo processo riformatore trae origini dal
principio generale portato dall’art. 97 della Costituzione, e si è
sviluppato attraverso una serie successiva di provvedimenti legisla-
tivi (tutti caratterizzati da una tendenziale progressiva accentua-
zione delle garanzie dei cittadini) ed ha portato a risultati — per
alcuni aspetti ancora non definitivi — realmente innovativi rispetto
all’Ordinamento tradizionale.
2008

Le misure che concorrono alla costituzione del nuovo assetto sono


riconducibili a questi essenziali filoni:
— misure tese alla piena liberalizzazione di numerose attività;
4

— misure volte a sostituire o abolire la tradizionale esigenza del


(2) G. VIRGA, op. cit., p. 192; S. CASSESE, Diritto Amministrativo, Giuffrè 2000, p.
794.

462 FORUM
provvedimento favorevole espresso col nuovo e diverso istituto della
Denuncia di Inizio Attività;
— misure tese ad assicurare la speditezza del procedimento
amministrativo, coll’introduzione dell’obbligo di conclusione in ter-
mini brevi;
— misure tese ad attribuire, al silenzio protrattosi per un certo
periodo, il valore di provvedimento positivo (silenzio assenso);
— misure volte a facilitare la reazione contro il silenzio-diniego;
— misure volte a consentire una spedita tutela giurisdizionale
contro il diniego.
Il quadro è completato da provvedimenti accessori e strumentali,
fra i quali meritano di essere ricordati l’indennizzabilità della lesione
causata dal mancato rispetto dei termini di conclusione del procedi-
mento, la possibile tutela risarcitoria contro il silenzio, la riforma del
reato di omissione di atti d’ufficio e diversi tipi di intervento sosti-
tutivo.
Ognuno dei ricordati interventi ha caratteri e problemi partico-
lari, sui quali paiono opportuni separati cenni.
2. Il quadro normativo esistente alla vigilia degli anni novanta
era caratterizzato da una notevole restrinzione degli spazi delle
attività liberamente esercitabili dai privati al di fuori ed in assenza
di qualsiasi ingerenza della P.A.; crescente, invece, era risultata la
tendenza ad assoggettare attività, originariamente libere, al regime
autorizzatorio della P.A., il cui intervento veniva giustificato in
relazione alla supposta esigenza della verifica della compatibilità
dell’interesse privato all’esercizio dell’attività richiesta con interessi
pubblici ritenuti preminenti (3).
A partire dagli anni novanta si assiste, viceversa, alla introdu-
zione di un crescente regime opposto, basato sul pieno riconosci-
mento della libertà di iniziativa privata e che si concretizza nella
piena liberalizzazione di certe e definite attività e nell’integrale
recesso dello Stato da ogni ingerenza a fini autorizzatori.
La liberalizzazione piena di attività un tempo soggette ad auto-
2008

rizzazione governativa costituisce, al presente, non una affermazione


generale (valevole, cioè, per ogni tipo di attività) ma si traduce in
affermazioni circoscritte a determinate materie, a seguito della va-
4

lutazione delle possibili interferenze con reali e preminenti interessi


pubblici.
(3) F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, Giuffrè 2005, 1330.

BASSANO BARONI 463


Sembra, tuttavia, affermabile che il processo di liberalizzazione
piena — per quanto già giunto ad esiti significativi — sia suscettibile
di ulteriori sviluppi, come, del resto, appare desumibile da concor-
danti enunciazioni programmatiche dei diversi orientamenti politici.
3. Per altri tipi di attività — per le quali si è ravvisata l’esi-
genza di verifiche di requisiti, essenzialmente posti a tutela della
salute o della sicurezza pubblica — è stato introdotto il nuovo istituto
della Denuncia di Inizio di Attività.
Sul piano delle posizioni soggettive l’istituto è fortemente inno-
vativo in quanto riconosce una posizione di originaria appartenenza
di un certo diritto al cittadino, senza, cioè, alcun potere amministra-
tivo di incidere in senso costitutivo-accrescitivo sulla posizione dei
privati (4).
Al privato è fatto obbligo di denunciare l’avvio di una certa
attività, dichiarando, sotto la propria responsabilità, la sussistenza
della condizione e dei requisiti voluti dalla legge; all’Amministra-
zione è riservato di verificare, in termine breve, l’esistenza dei
requisiti occorrenti e di emettere, in caso di accertamento negativo,
un provvedimento motivato per inibire la prosecuzione dell’attività.
L’istituto della D.I.A. è stato introdotto, inizialmente, per mate-
rie enumerate (essenzialmente in virtù dell’art. 19 della L. 241/90 e
di leggi di settore).
Il relativo campo di applicazione è stato progressivamente am-
pliato, dapprima coll’art. 2 c. II L. 537/93 e, poi, per effetto dell’art. 3
c. I D.L. 35/2005 conv. con L. 80/2005, che ha sostanzialmente
elevato la DIA ad istituto di carattere generale per quel genus di casi
in cui l’esercizio di una attività imprenditoriale, commerciale od
artigianale, dipende esclusivamente dall’accertamento di requisiti o
presupposti voluti dalla legge o da atti amministrativi generali;
in tali casi le Denunce di Inizio Attività recanti la dichiarazione
di possesso dei requisiti sostituiscono ogni sorta di autorizzazione,
concessione, permesso, nullaosta o simili, previsto dalla presente
normativa (5).
2008

In tema di DIA — che è, ormai, istituto di larga sfera di incidenza


— va rilevato un dissidio giurisprudenziale esistente in tema di
4

natura ed effetti della DIA; secondo Cons. St., VI, 5 aprile 2007 n.
(4) F. CARINGELLA, op. cit., p. 1133.
(5) R. GIOVAGNOLI, I silenzi della P.A. dopo la legge n. 80/2005, Giuffrè 2005, p.
249 e ss.

464 FORUM
1550 (6) il passaggio di trenta giorni dalla presentazione della DIA
porterebbe alla formazione di un provvedimento amministrativo
abilitativo; di contro, secondo Cons. St., IV, 22 luglio 2005 n. 3916 (7)
e Cons. St. 22 febbraio 2007 n. 948 (8) la DIA è inerente ad atti ed
attività di carattere meramente ed esclusivamente privato, cui non è
collegato alcun potere di partecipazione costitutiva dell’Amministra-
zione ma la sola attribuzione, alla P.A., di una funzione inibitoria da
esercitarsi in termini decadenziali.
È evidente che la seconda tesi (che sembra trovare crescenti con-
sensi) è ulteriormente accrescitiva delle garanzie dei cittadini, proprio
perché il gruppo delle attività da assoggettare a DIA viene, in realtà,
attratto nel genus delle iniziative di stretta e piena spettanza privata.
L’inesistenza, poi, di un provvedimento abilitativo potrebbe, a
prima vista, rivelarsi pregiudizievole per il terzo, certamente non
abilitato ad esperire ricorsi contro atti inesistenti (9); la giurispru-
denza ha, tuttavia, già posto in evidenza che la posizione del terzo è
tutelabile attraverso i meccanismi di diffida per l’esercizio dei poteri
repressivi di cui l’Amministrazione dispone per reprimere attività
espressamente prive dei presupposti richiesti dalla legge; dal che si
fa discendere la conseguenza che l’Amministrazione può esercitare i
poteri repressivi senza esigenza di previ interventi di autotutela (10).
4. Nonostante la liberalizzazione ricordata, certamente riman-
(6) Cons. St., VI, 5 aprile 2OO7 n. 155O:
“La d.i.a. non è uno strumento di liberalizzazione dell’attività, ma rappresenta una
semplificazione procedimentale che consente al privato di conseguire un titolo abilitativo, sub
specie all’autorizzazione implicita di natura provvedimentale, a seguito del decorso di un
termine (30 giorni) dalla presentazione della denunzia, ed è impugnabile dal terzo nell’ordi-
nario termine di decadenza di 60 giorni, decorrenti dalla comunicazione al terzo del suo
perfezionamento, ovvero, dalla conoscenza del consenso (implicito) all’intervento oggetto della
stessa”.
(7) Secondo Cons. St. 3916/2005 “la Dia si pone come atto di” parte che poi in assenza di
un quadro normativo di vera e propria liberalizzazione dell’attività consente al privato di
intraprendere un’attività in correlazione all’inutile “decorso di un termine cui è legato pena di
decadenza il potere dell’Amministrazione correttamente definito inibitorio dell’attività”.
(8) Cons. St. 22 febbraio 2007 n. 948 ripete, in termini, anche letterali, del tutto uguali,
il principio contenuto in Cons. St., IV, 396/2005.
(9) È inammissibile il ricorso giurisdizionale allorquando con lo stesso si chiede l’annul-
lamento di un atto — la d.i.a. — che continua ad avere natura di atto del privato e di strumento
2008

di liberalizzazione delle attività pur dopo le modifiche apportate all’art. 19, l. n. 241 del 1990
(in specie al comma 3 di tale articolo) con l’art. 3, d.l. n. 35 del 2005, conv. con l. n. 80 del 2005.
(T.A.R. Lomb., MI, II, 1 maggio 2007 n. 2894; T.A.R. Lomb., MI, II, 29 novembre 2007 n. 6519;
ecc.).
4

(10) Cons. St., IV, 12 settembre 2007 n. 4828:


“La p.a., anche a seguito del decorso del termine di 30 giorni, previsto dalla legge al fine
del consolidamento del titolo legittimante l’inizio dei lavori, non perde il potere di inibire ai
privati la realizzazione degli interventi, oggetto della denuncia, non ancora iniziati, nel caso in
cui accerti la difformità degli stessi rispetto al paradigma normativo”.

BASSANO BARONI 465


gono numerose ipotesi in cui è sicuramente necessario l’intervento di
un provvedimento positivo espresso; anche per questa ipotesi, l’ordi-
namento ha recentemente predisposto mezzi e strumenti significa-
tivi per la tutela delle posizioni soggettive contro l’inerzia dell’Am-
ministrazione; e ciò attraverso la ridefinizione legislativa dell’istituto
del silenzio-assenso nonché attraverso la diversa configurazione del
silenzio-rifiuto e della sua impugnabilità.
In tema di silenzio-assenso si è in presenza di una tendenza
progressivamente liberalizzatrice; l’art. 20 della L. 241/90 aveva
introdotto l’istituto del silenzio-assenso e, cioè, l’attribuzione di un
effetto equivalente al provvedimento espresso di accoglimento, al
silenzio tenuto dall’Amministrazione oltre il temine previsto per la
conclusione del procedimento; tale istituto, nell’impostazione della L.
241/1990, era, peraltro, riferito ad una serie delimitata di ipotesi, da
definirsi con appositi provvedimenti (11).
Il quadro si è notevolmente allargato colla riforma dell’art. 20
operata dall’art. 3 c.c. VI ter del D.L. 35/2005 (come modificato con L.
80/2005) nel senso che il silenzio assenso viene ora esteso a tutti i
provvedimenti ed istanze di parte, colla sola eccezione di pochi
provvedimenti espressamente indicati dalla legge in quanto corri-
spondenti ad interessi particolarmente qualificati (difesa nazionale,
pubblica sicurezza, immigrazione, patrimonio culturale e paesaggi-
stico, ambiente, ecc.) (12).
Le innovazioni legislative non solo hanno fortemente ristretto la
sfera degli atti relativamente ai quali l’inerzia della P.A. continuava
a mantenere un valore non provvedimentale, ma, anche relativa-
mente a tali residue e ad indistinte ipotesi, ha introdotto regole e
misure che hanno fortemente migliorato la condizione dei cittadini.
In particolare, segnatamente a seguito della riforma attuata con
la L. 80/2005 rispetto all’iniziale testo della L. 241/1990, gli articoli 2
e 20 hanno introdotto il nuovo principio che l’inerzia protratta oltre
il termine (normalmente 90 giorni) assegnato per la conclusione del
procedimento equivale a provvedimento esplicativo di rigetto della
domanda e che, contro il silenzio-rigetto, è immediatamente esperi-
2008

bile il rimedio del ricorso giurisdizionale senza alcuna necessità di


preventive diffide (come era invece previsto dall’art. 5 L.C.e P. 1934);
4

(11) F.G. SCOCA, Il silenzio della P.A.: ricostruzione dell’istituto in una prospet-
tiva evolutiva, in Inerzia della pubblica amministrazione e tutela giurisdizionale.
Una prospettiva comparata, Giuffrè 2002; V. PARISIO, Inerzia della P.A. e simili,
Milano 2002, p. 20 e segg.
(12) R. GIOVAGNOLI, op. cit., p. 283 e segg.

466 FORUM
particolarmente significativa è anche la disciplina del nuovo testo
dell’art. 2 della L. 241/1990 per i ricorsi proposti contro il silenzio-
rigetto, atteso che il V c. del detto articolo sancisce che, nel ricorso
proposto contro il silenzio, il Giudice “può conoscere della fondatezza
dell’istanza”; in sintesi, cioè, nel nuovo sistema, il Giudice A. non solo
può esprimersi in ordine alla sussistenza della violazione dell’obbligo
della P.A. di provvedere sull’istanza del cittadino ma può, diretta-
mente, entrare nell’esame di merito dell’istanza del cittadino, valu-
tandone la fondatezza, particolarmente laddove si è in presenza di
istanze che erano dirette ad ottenere l’emissione di provvedimenti
vincolanti (13).
5. I provvedimenti ricordati indubbiamente rivelano un cre-
scente e forte indirizzo della legislazione recente sia a liberalizzare le
attività dei cittadini riducendo gli ambiti di ingerenza e di parteci-
pazione della P.A. (e quindi anche a prevenire i rischi dell’inerzia) sia
ad accrescere — laddove tuttora occorrano interventi o provvedi-
menti della Amministrazione — a forme di tutela e di garanzia
contro il pericolo della inerzia o di comportamenti omissivi dell’Am-
ministrazione.
Va, ora, soggiunto che le misure in precedenza esposte non
esauriscono la gamma degli istituti che il legislatore ha progressiva-
mente introdotto, negli anni recenti, per rafforzare il complesso dei
congegni volti a dare concreta attuazione al disegno fondamentale di
accrescimento della condizione del cittadino di fronte alla P.A.
In primo luogo, si torna a ripetere che evento di particolare
rilievo è certamente costituito dall’avvenuta introduzione di un ter-
mine breve e certo per la conclusione dei procedimenti amministra-
tivi originati da istanze di parte e simili anche nel caso in cui l’inizio
debba avvenire d’ufficio (14).
Il termine generale di conclusione — ove un diverso termine non
sia stabilito dalle disposizioni legislative di settore per specifici tipi
di procedimenti — è stato fissato in 30 o 90 giorni (con oscillazioni
2008

(13) T.A.R. Lomb., Milano, I, 7 febbraio 2007 n. 179: “Nel processo instaurato per fare
constare l’illegittima inerzia della pubblica amministrazione, il giudice amministrativo può
valutare la fondatezza dell’istanza solo in caso contrario, la sentenza deve limitarsi alla
4

declaratoria dell’obbligo di provvedere”.


(14) È discusso se il termine breve opera solo in caso di silenzio-rifiuto per provvedimenti
ampliativi della sfera giuridica del privato o anche (come la prevalente dottrina ritiene) per i
provvedimenti restrittivi; al riguardo ved. R. GIOVAGNOLI, op. cit., p. 341 e segg.; F. GOISIS,
La violazione dei termini ex art. 2 L. 241/90; in Dir. proc. amm. 2004, p. 571 e segg.

BASSANO BARONI 467


legislative sul punto), termine che è suscettibile di brevi differimenti
solo in presenza di circostanze qualificate.
La protrazione del termine, fra l’altro, rappresenta il dato o
parametro essenziale per la formazione — senza l’esigenza di alcuna
diffida procedurale — di rilevanti motivi di silenzio-rifiuto immedia-
tamente impugnabile.
Il secondo aspetto, che indubbiamente rivela l’attenzione legisla-
tiva per la tassativa evasione delle istanze dei cittadini, è rappre-
sentato dalla introduzione — ad opera dell’art. 17 lett. f) della L.
57/1997 — di un indennizzo automatico e forfettario a favore dei
soggetti richiedenti il provvedimento “per i casi di mancato rispetto
del termine del procedimento o di ritardata adozione del provvedi-
mento”.
L’istituto dell’indennizzo automatico — secondo la prevalente
interpretazione (15) — opera in sola presenza del ritardo nel provve-
dere, indipendentemente, cioè, da ogni indagine sulla spettanza del
bene della vita e mira a risarcire i soli danni conseguenti allo stato di
incertezza circa il rilascio o meno del provvedimento richiesto.
L’istituto dell’indennizzo ha, ancora, avuto scarso effetto pratico,
a causa della mancata adozione dei provvedimenti legislativi volti a
fissare i criteri per la determinazione quantitativa dell’indennizzo.
In terzo luogo si è posto il tema se — al di là dell’indennizzo
forfetario — sia prefigurabile l’obbligo del risarcimento del danno
ulteriore; la questione — che è stata oggetto di diverse opinioni — è
stata, con Ordinanza del Consiglio di Stato, Sezione IV, del 7 marzo
2005 n. 875 (16) rimessa al vaglio dell’Adunanza Plenaria, partico-
larmente sotto il profilo della possibile pregiudizialità del ricorso
contro il silenzio-rifiuto rispetto all’azione risarcitoria.
A sua volta l’Adunanza Plenaria, con decisione 15 settembre
2005 n. 7, ha dato al quesito risposta parzialmente affermativa,
(15) M. CLARICH, Termine del procedimento e potere amministrativo, Giappichelli
1995, p. 256; SCOLA, Risarcimento ed interesse legittimo, p. 35; F. TRIMARCHI BANFI,
Tutela specifica e tutela risarcitoria degli interessi legittimi, Giappichelli 2001, p. 91;
R. GIOVAGNOLI, I silenzi della P.A. dopo la legge 80/2005, Giuffrè 2005; ecc.
(16) Cons.St. 7 marzo 2005 n. 875:
2008

“Va rimessa alla decisione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato — involgendo
profili giuridici di rilevante portata che possono dar luogo, e in parte hanno dato luogo, a
contrasti giurisprudenziali — la risoluzione delle seguenti questioni:
a) se sussista o meno la giurisdizione del giudice amministrativo, nel caso in cui sia
4

stato chiesto il risarcimento del danno da ritardo della P.A.;


b) se sia risarcibile il mero danno da ritardo, a prescindere dalla fondatezza del-
l’istanza presentata dal privato;
c) se l’azione per il risarcimento del danno da ritardo possa essere proposta autono-
mamente rispetto al ricorso contro il silenzio-rifiuto”.

468 FORUM
dichiarando che il risarcimento del danno può competere nel solo
caso in cui risulti positivamente stabilito che il provvedimento
omesso risulti sicuramente dovuto e legittimo (17).
Un quarto profilo di attenzione legislativa in materia è rappre-
sentato dalla riforma del reato di omissione di atti d’ufficio di cui
all’art. 38 c.p.
La riforma — operata coll’art. 14 della L. 86/1990 — ha, per
qualche aspetto, ridotto, col 1o comma, le ipotesi punibili di maggiore
rilevanza penale, mentre, col 2o comma, ha generalizzato una più
contenuta punibilità penale di ogni sorta di comportamento omis-
sivo.
Un quinto aspetto riguarda l’introduzione — nell’ambito del
processo amministrativo — di un procedimento speciale, regolato
dall’art. 2 L. 205/2001 (ora art. 21 bis L. 1034/1971), caratterizzato
dalla previsione di un procedimento semplificato e celere proprio ai
fini dell’immediatezza dell’intervento giurisdizionale per correggere
gli effetti dell’indebito silenzio dell’Amministrazione (18).
Un sesto aspetto che ritengo utile di qualche sottolineatura è
rappresentato dall’attribuzione (in specie: ex D.Lgvi 29/93 e 80/98) di
speciali poteri sostitutivi di dipendenti per assumere la gestione e la
definizione di procedimenti amministrativi caratterizzati da stati di
(17) Cons. St. Ad. Pl. 15 settembre 2005 n. 7:
“Il sistema di tutela degli interessi pretensivi — a seguito di positiva statuizione
giurisdizionale — accede alla forma del risarcimento cd. per equivalente solo quando tali
interessi non trovino realizzazione nell’emanazione dell’atto, unitamente all’interesse pubblico
ad essa sotteso; deve pertanto escludersi il risarcimento del danno da ritardo della p.a. nel caso
in cui i provvedimenti adottati in ritardo risultino di carattere negativo per colui che ha
presentato la relativa istanza di rilascio e le statuizioni in essi contenute siano divenute
inoppugnabili”.
Cons. St. IV 29 gennaio 2008 n. 248:
“La condanna della p.a. al risarcimento del danno subito dal privato per l’omesso esercizio
di un potere autoritativo nei termini prefissati dalla legge presuppone il riconoscimento del
diritto del ricorrente al bene della vita inutilmente richiesto che nelle materia in cui la p.a.
dispone di ampia discrezionalità amministrativa, e non solo tecnica, non può essere affidato ad
un giudizio necessariamente prognostico del giudice ma presuppone che la p.a., riesercitato il
proprio potere, abbia riconosciuto all’istante il bene stesso, in questo caso riducendosi il
risarcimento al solo pregiudizio determinato dal ritardo nel conseguimento di detto bene”.
(18) È tuttora controverso se l’intervento giurisprudenziale debba limitarsi alla dichia-
razione di illegittimità del silenzio oppure possa estendersi alla pronuncia sulla fondatezza
2008

della pretesa del cittadino.


In prevalenza si reputa che la pronuncia del Giudice sulla pretesa sostanziale del
cittadino possa essere resa solo in presenza di attività vincolata; cosı̀:
“Nel processo instaurato per fare constare l’illegittima inerzia della pubblica ammini-
4

strazione, il giudice ammini — strativo può valutare la fondatezza dell’istanza solo ove
l’attività che essa avrebbe dovuto porre in essere abbia carattere vincolato; in caso contrario,
la sentenza deve limitarsi alla declaratoria dell’obbligo di provvedere”.
(T.A.R. Lombardia, Milano, Io, 7 febbraio 2007 n. 179; tuttavia, parzialmente contraria :
Cons. St., VI, 2 febbraio 2007 n. 427).

BASSANO BARONI 469


inerzia dei sottoposti e dei diretti responsabili dei procedimenti
amministrativi.
Presumibilmente possono essere compiuti passi ulteriori sulla
strada della liberalizzazione della libera attività nonché sotto il
profilo della tutela della posizione dei cittadini; pare tuttavia dove-
roso riconoscere — alla luce dei vari istituti via via ricordati — che il
legislatore italiano, negli ultimi 15-20 anni, ha compiuto concreti e
significativi interventi per la introduzione di strumenti di tutela del
privato a fronte dell’inerzia o del comportamento omissivo della P.A.,
non solo per colpire la piena mancanza di interventi provvedimentali
ma per evitare che si provveda con ingiustificato ritardo.
2008
4

470 FORUM
Recensioni
GIOVANNI SALE S.I., Il Vaticano e la Costituzione, Editoriale Jaca Book, Milano
2008, pp. 306, E 24,00

Il padre Sale de La Civiltà Cattolica, in sede costituente (rapporti tra Stato e


ha consegnato alle stampe una nuova confessioni religiose, famiglia, scuola e
opera in cui esamina l’attività della libertà religiosa) cui si aggiunge una cor-
Santa Sede in relazione all’Assemblea posissima appendice documentale che
Costituente, dando particolare rilievo ai da sola rappresenta un contributo di no-
rapporti intercorsi tra la Curia Romana e tevole interesse. Essa, infatti, da una
la Democrazia Cristiana, offrendo cosı̀, a parte consente di seguire (attraverso gli
parere di chi scrive, un pendant del vo- scambi epistolari o i rapporti sugli in-
lume del medesimo Autore dedicato a contri avvenuti) i contatti intercorsi tra
“Fascismo e Vaticano prima della Conci- esponenti vaticani e personalità politi-
liazione”. In quest’ultimo, infatti, lo sto- che, di estrazione democristiana e non;
rico gesuita aveva illustrato i tempi e gli dall’altra, offre al lettore gli inediti pro-
uomini che prepararono i Patti Latera- getti di costituzione redatti dai padri de
nensi, nella fase di declino dello Stato li- La Civiltà Cattolica, su incarico di Pio
berale (con la scomparsa del partito di XII. Progetti e non progetto, perché i
don Sturzo) e di ascesa del Fascismo, con padri gesuiti della rivista si erano preoc-
gli scontri ma anche le aperture tra il re- cupati di delineare tre possibili pro-
gime e la Chiesa cattolica. Qui, invece, grammi: un programma desiderabile
egli prende in considerazione il lasso tem- volto alla realizzazione di uno Stato cat-
porale immediatamente anteriore all’al- tolico, un programma accettabile o me-
tro grande snodo nella storia dei rapporti dio, che riconosceva al cattolicesimo un
tra Stato italiano e Chiesa nel XX secolo, « altissimo valore storico nella vita del
rappresentato dalla Costituzione che, popolo italiano », ed, infine, un pro-
pur facendo salvi gli accordi del ’29, dà gramma non accettabile, ma tollerabile
valorizzazione alla persona umana, po- come un minus malum e sul quale i
nendo fine allo Stato prevaricatore e on- cattolici, pervia autorizzazione dell’au-
nipotente. torità ecclesiastica, avrebbero potuto
Il libro in esame è diviso in due collaborare con le altre forze politiche.
parti: la prima dedicata ai protagonisti Tali documenti erano stati elabo-
(dedicando un capitolo a Dossetti ed un rati non tanto al fine di offrire all’auto-
altro a De Gasperi), la seconda alle varie rità ecclesiastica utili informazioni sulla
materie “sensibili” oggetto di trattazione materia costituzionale, bensı̀ onde for-

RECENSIONI 471
nire direttive agli esponenti politici de- riconosciuto un ampio diritto di libertà
mocristiani che in sede costituente religiosa perché vi era la consapevolezza
avrebbero dovuto “contrattare” sulle che da parte statunitense venivano eser-
materie di interesse della Santa Sede. Il citate pressioni in tal senso, al fine di
volume del padre Sale concentra, dare ampio ingresso a “sette prote-
quindi, la sua attenzione non tanto sul- stanti” nel nostro Paese, secondo uno
l’attività dei cattolici nell’Assemblea Co- schema che, allora come ora, prevedeva
stituente (profilo, questo, ormai esa- l’uso da parte della potenza nordameri-
minato diffusamente in letteratura) cana di movimenti religiosi per diffon-
quanto, piuttosto, sull’aspetto sinora dere ideali politici e concezioni economi-
poco noto dei rapporti “interni” al mondo che ad essa favorevoli.
cattolico e, in particolare, tra DC e Va- A dimostrazione dell’attenzione con
ticano. cui la Santa Sede seguiva l’evolversi del
Ripercorrere qui i contenuti (anche dibattito costituente merita osservare
solo quelli salienti) della trattazione del- come la Segreteria di Stato ebbe a ri-
l’Autore è cosa impossibile ma vale la chiamare lo stesso Dossetti, come si
pena concentrare la propria attenzione legge in una nota interna: « All’on. Dos-
su alcune questioni, sicuramente inte- setti più di una volta è stato detto di
ressanti e in alcuni casi anche curiose. attenersi al Concordato. Riterrei, però,
Emerge dalla lettura del libro come opportuno, al punto in cui stanno le cose,
la Santa Sede aspirasse ad una costitu- che l’on. Dossetti fosse invitato in Segre-
zionalizzazione dei Patti Lateranensi teria e autorevolmente dall’Ecc.mo Supe-
cui s’aggiungeva l’indicazione ai costi- riore gli si ripetesse la medesima cosa ».
tuenti democristiani di « far entrare Dossetti in realtà — e lo mette bene
nella Costituzione il maggior numero in evidenza il padre Sale — fu sempre
possibile di affermazioni cattoliche » fedele al mandato della Santa Sede, pro-
mentre all’interno della DC le posizioni pugnando la costituzionalizzazione dei
al riguardo erano più articolate: Dos- Patti Lateranensi e la cedevolezza del-
setti e i “professorini” fermi nel difen- l’ordinamento interno di fronte alle
dere il richiamo ai Patti Lateranensi e norme concordatarie e perorando sem-
nel volere menzionata l’indissolubilità pre le proposte che gli giungevano da
del matrimonio (civile, s’intende) ma oltre Tevere, ma non poche volte si trovò
aperti al compromesso con i social-comu- in difficoltà a causa della non identità di
nisti in punto di programmazione econo- vedute all’interno della Democrazia Cri-
mica e controllo sociale della vita econo- stiana sulle questioni che stavano a
mica del Paese; i degasperiani, invece, cuore alla Santa Sede (vedi, ad esempio,
intransigenti sull’economia di libero l’indissolubilità del matrimonio di cui s’è
mercato ma disposti a trattare sulla detto).
“stabilità” del matrimonio ed attenti ad Per queste ragioni godeva di consi-
escludere il carattere confessionale della derazione e buona fama nei Palazzi Va-
nuova Costituzione sia per ragioni in- ticani anche se era nota la sua sensibi-
terne (evitare di irrigidire il Fronte Po- lità alle questioni di giustizia sociale,
polare) sia esterne (per non dare l’im- ma fu vittima degli scontri correntizi che
pressione all’estero di scarsa autonomia già allora connotavano la vita dei par-
del “partito dei cattolici”). titi. Dopo aver svolto un incessante ed
E a proposito di rapporti internazio- infaticabile lavoro di collegamento tra il
nali, va evidenziata la preoccupazione Vaticano e la DC durante la prima parte
della Santa Sede affinché non venisse della Costituente (si pensi solo all’elabo-

472 RECENSIONI
razione dell’articolo 7 della Costitu- rente verso la Santa Sede. Aggiunse,
zione), in seguito alla rottura tra dega- però: « Ma nella risposta a mons. Nunzio
speriani e dossettiani, nel marzo 1947 è bene non fare cenno di ciò », avendo
Dossetti fu escluso da De Gasperi quale probabilmente compreso quali erano i
interlocutore della Santa Sede. A fronte nuovi rapporti di forza all’interno della
della richiesta del nunzio in Italia, DC e che non sarebbe stata la stima di
mons. Borgongini Duca, di indicare una cui godeva in Vaticano Dossetti a far
personalità con cui relazionarsi, il Pre- cambiare idea a De Gasperi. Cominciò
sidente del Consiglio ebbe a dire: « Dos- da qui il percorso che avrebbe portato
setti, no, egli ha qualche volta espresso il
Giuseppe Dossetti ad abbandonare po-
parere che non bisogna ascoltare le rea-
chi anni dopo la politica attiva, per riti-
zioni reazionarie del Vaticano. E nem-
rarsi nella vita monastica.
meno Moro che ... ha nella Costituente
sostenuto articoli sociali di sinistra. Altri uomini ed altri tempi verrebbe
Questi professori hanno combinato qual- da dire e la lettura di questo volume
che guaio ». Informato di tale colloquio, costituisce un monito ed un invito ad
mons. Dell’Acqua osservò che non inten- accogliere l’esortazione di Benedetto
deva mettere in dubbio quanto riferito al XVI perché cresca « una nuova genera-
nunzio da Da Gasperi, tuttavia ricordò zione di laici cristiani impegnati », an-
che tutte le volte che si era incontrato che mettendoci sulle spalle dei giganti
con lui per discutere della Costituzione, raccontati dal padre Sale in questo suo
Dossetti si era dimostrato assai defe- ultimo libro. (Mattia Ferrero)

LAURA PALAZZANI (a cura di), Le nuove tecnologie, biodiritto e trasformazioni


della soggettivita , Roma, Studium, 2007, 194, E 18,00

La collana dei Quaderni della Lu- non solo genetiche o biotecnologiche, ma


msa, con la sua attiva sezione del Centro anche normative. Questa tematica della
Studi Biogiuridici, offre un ulteriore frammentazione del corpo è affrontata
contributo di notevole interesse su que- anche nel contributo di Agata Amato C.
stioni di stretta attualità. I diversi con- Mangiameli, “Dai corpi docili ai corpi
tributi permettono di comprendere come gloriosi”, in cui emerge come le trasfor-
le biotecnologie modificano il profilo mazioni del corpo, apportano un’espro-
della soggettività giuridica. Il testo col- priazione del corpo degradato dalle bio-
lettaneo si presenta diviso in tre parti. tecnologie. La seconda parte riguarda le
La prima affronta la tematica delle tra- nuove biotecnologie tra soggetti umani e
sformazioni del corpo tra biodiritto e bio- non umani in cui, fin dal primo contri-
politica. Bruno Montanari sottolinea buto di Laura Palazzani, si sottolinea
l’impatto sociale delle biotecnologie come la bioetica contemporanea abbia
come la questione della partecipazione dato un nuovo significato ai diritti
sociale alle scelte della ricerca biotecno- umani con l’oggettivazione del corpo
logica. L’etica della scienza ha determi- umano e la soggettivazione dei corpi non
nato un nuovo ed originale biopotere a umani. Questa situazione comporta una
cui si è aggiunta, come rimarcato da nuova ritematizzazione dei diritti
Salvatore Amato, una biopolitica del umani che riveda una concezione che
corpo, utilizzato per sperimentazioni separa la ratio del diritto e dei diritti

RECENSIONI 473
dalla natura umana. Emmanuel Agius la soggettività è oramai ibrida e digitale.
concentra la sua attenzione sul tema Internet ha definitivamente modificato
delle generazioni future e la dimensione l’identità e il territorio in cui l’individuo
intergenerazionale della soggettività si muove. Lo spazio virtuale è la nuova
partendo dallo svantaggio delle genera- terra: questa è rivoluzione in atto. Fabio
zioni future che subiranno le scelte irre- Macioce riflette nel suo contributo “Il
sponsabili della generazione precedente. postumanesimo tra scienza e diritto”
Il rischio può essere contemperato solo sull’efficacia e il fondamento dei limiti
in ottica relazionale mettendo al centro biogiuridici alle biotecnologie. Le tra-
ad esempio il patrimonio genetico co- sformazioni che investono i corpi sono
mune dell’umanità e ristabilire un li- sia organiche (genetiche) che transorga-
mite alla ricerca biotecnologica. niche (culturali e antropologiche). Il
L’aspetto della tutela è specificato da ruolo del diritto si manifesta, non nel-
Francesco Viola che ribadisce il bisogno l’inseguire le modificazioni apportate
di una regolamentazione che individui dalle biotecnologie con limiti estrinseci,
non solo i fini e i mezzi della tutela, ma ma nel gestire la salvaguardia della
ponga in evidenza l’ambiente inteso dignità umana secondo nuove forme e ca-
come ecosistema. L’ultima parte af- tegorie giuridiche. Infine Giovanni Ven-
fronta la questione delle nuove biotecno- timiglia affronta il tema della soggetti-
logie e il soggetto post umano. Jesùs vità virtuale, scorporata secondo un
Ballesteros analizza le frontiere dell’in- processo di smaterializzazione sempre
telligenza artificiale, in cui la medicina più denso e diffuso. Le biotecnologie of-
rigenerativa e le manipolazioni geneti- frono una sfida di notevole interesse per
che tentano di superare l’homo sapiens. la riflessione biogiuridica poiché vanno a
Il disprezzo dell’ambiente e dell’evolu- incidere sul senso stesso della natura
zione nel postumanesimo pongono le umana che rimane fragile e definita se-
biotecnologie come vero e autentico pa- condo un modello valoriale che riconosce
radigma dell’epoca contemporanea. Lo intrinsecamente il significato della sog-
stesso Stephane Bauzon evidenzia come gettività, anche quella metafisica.
possono divenire una minaccia per il L’apertura alle biotecnologie appare ine-
corpo umano. La fabbrica umana al- vitabile secondo una misura che il diritto
l’Università di Oxford stravolge i valori è chiamato a definire e a far rispettare.
dell’umanesimo per condurre ad un Questo testo ci aiuta a comprendere l’ap-
transumanesimo. Lo statuto genetico proccio filosofico giuridico alle biotecno-
dei cyborg è costruito artificiosamente logie individuando delle originali tracce
secondo uno schema riduzionista. Per da seguire su cui riflettere approfondita-
questo motivo afferma Guido Saraceni mente. (Francesco Zini)

CARLO CASALONE - PAOLO FOGLIZZO, Volare alla giustizia senza schermi, Milano,
Vita & Pensiero, 2007, 183, E 15,00

Il tema della giustizia ha da sempre Si tratta del resto di un tema assai pro-
suscitato (e continua a suscitare) grande mettente, potentemente evocativo, fo-
attenzione non solo in ambito teoretico, riero di considerevoli aspettative dal
ma anche nell’opinione pubblica. Su di momento che afferisce all’essere umano
esso si riflette, si dibatte, ci si interroga. stesso nella sua connotazione di sog-

474 RECENSIONI
getto capace di autodeterminarsi in li- due attengono al piano che potremmo
bertà e chiama direttamente in causa dire fondativo, verticale, mentre il terzo
l’agire in rapporto alla dignità di cui (che assomma il maggior numero di con-
l’essere umano in quanto tale è latore. Si tributi) attiene al piano che potremmo
potrebbe anche dire che l’essere umano, dire funzionale, orizzontale. In partico-
per il solo fatto di esistere e di sperimen- lare il piano fondativo (verticale) in-
tarsi libero, è di per sé un interrogativo tende cogliere, secondo il noto insegna-
vivente sulla giustizia. Peraltro l’atten- mento socratico, cosa la giustizia sia o,
zione che si concentra su questo tema è detto altrimenti, cosa ultimamente la
oggi in costante crescita. L’epoca dell’in- connoti, quale ne sia l’essenza; il piano
formazione globalizzata in cui tutti noi funzionale intende cogliere il funziona-
stiamo vivendo favorisce la conoscenza, mento della giustizia nei vari ambiti del-
in tempo reale e sovente nient’affatto l’esistenza, ossia come la giustizia si de-
generica ma dettagliata con dovizia, di clini in ciascuno di tali ambiti. Non si
innumerevoli realtà generalmente per- tratta di due piani giustapposti ed irre-
cepite, in vario modo e grado, come in- lati (e tanto meno contrapposti), bensı̀
giuste. Ciò non fa che vieppiù acuire, tra loro intersecati, compenetrati e re-
rispetto al passato, l’esigenza di giusti- lati. L’uno non è senza l’altro, l’uno ri-
zia e ne rilancia con maggiore forza la manda all’altro in una sorta di circolo
domanda. Se sta questo, la questione virtuoso. Del resto, come sottolineano in
della giustizia è implicata (e ciò è perce- prefazione i curatori dell’opera, lo stesso
pito anche dall’uomo comune) in tutti gli papa Benedetto XVI nell’enciclica “Deus
ambiti della vita e quindi nelle varie caritas est” ha ricordato l’urgenza e l’im-
forme in cui l’umana esistenza si attua. prescindibilità di articolare questi due
Se quindi la tematica della giustizia at- piani poiché l’interrogativo « come rea-
tiene all’umano in tutte le sue innume- lizzare la giustizia qui ed ora? » (quindi
revoli espressioni, non può sorprendere nei più diversi ambiti) implica necessa-
ch’essa sia sempre stata oggetto di un riamente domandarsi « che cosa è la giu-
approccio multidisciplinare. Ne è una stizia? ». La sottolineatura non sembra
recentissima dimostrazione l’opera in di poco conto poiché evidenzia come non
commento; si tratta infatti di una sorta si possa affrontare un qualsivoglia di-
di simposio ove, da prospettive diverse, scorso pratico sulla giustizia a prescin-
si tenta di focalizzare il concetto di giu- dere da una idea (come direbbe Platone)
stizia con riferimento ai rispettivi am- o da una precomprensione (come direbbe
biti di studio. Hanno contribuito giuri- Heidegger) della giustizia in quanto tale
sti, economisti, sociologi, filosofi, teologi. e, peraltro, evidenzia come quest’ultima
Ricco è altresı̀ l’assortimento degli am- resti un’astrazione se non si declina sul
biti in cui gli autori dei diversi contributi versante pratico. Ciò trova puntuale ri-
operano; vi sono infatti avvocati, docenti scontro nell’opera in commento (e que-
universitari, dottori e dottorandi di ri- sto, a parere di chi scrive, ne evidenzia il
cerca, ricercatori, giornalisti. L’opera, pregio) dal momento che offre un ap-
impreziosita dall’autorevole premessa proccio sistematico, non già riduttivo e
che il Card. Martini ha scritto a Gerusa- frammentario, al tema della giustizia.
lemme (città emblematica riguardo al Attraverso i contributi pratici emerge
discorso cristiano in punto di giustizia), esplicitamente o implicitamente la pre-
si compone di dieci contributi. Questi comprensione dei rispettivi autori su
ultimi sono riconducibili a tre approcci: cosa sia la giustizia e tale precompren-
Teologico, filosofico ed empirico. I primi sione si risolve in una presa di posizione

RECENSIONI 475
verso quanto emerge dalla riflessione deve orientare queste realtà e non già
dei contributi filosofici e teologici su cosa esserne orientata. Poiché la giustizia at-
sia la giustizia. Sotto il profilo metodo- tiene strettamente alla salvaguardia
logico, l’attuale contesto post-moderno, della dignità dell’essere umano, ne viene
che proclama la debolezza della ragione come anche questa dignità non si riduca
e si rifugia nel dato empirico, chiede che ad un prodotto storico-culturale. I si-
i molteplici approcci disciplinari al tema stemi giuridici, politici, economici, so-
della giustizia (ivi compresi quelli teolo- ciali e, in una parola, i sistemi tutti in
gici e filosofici) assumano quale punto di cui è organizzata la vita umana, non
partenza sufficientemente solido e con- sono concepibili, in questa prospettiva,
diviso l’esperienza, il dato concreto, il come sistemi chiusi ed autoreferenziali,
fenomeno (l’impostazione può essere ri- bensı̀ come sistemi aperti ad un criterio
condotta ad Edmund Husserl per ermeneutico veritativo che, in quanto
quanto concerne la filosofia e a Karl ontologicamente fondato, li trascende e
Rahner per quanto concerne la teologia i li rende giusti. Inoltre, proprio per que-
quali, ciascuno nei rispettivi ambiti, pe- sto, la giustizia non è scindibile dal-
raltro reagiscono ai riduzionismi del de- l’etica e quindi dall’antropologia; in una
bolismo post-moderno). Di ciò offrono prospettiva ontologicamente fondata,
valida testimonianza gli stessi apporti quale quella che emerge dai contributi
filosofici e teologici contenuti nell’opera; filosofici e teologici dell’opera qui esami-
da essi infatti non emerge una struttura nata (si noti che anche Reichlin non
argomentativa (quale quella utilizzata prende le distanze dalla metafisica “tout
da San Tommaso nel ben diverso conte- court”, ma dall’essenzialismo eccessiva-
sto della grande scolastica) che procede mente astratto e disincarnato di “certa
dall’a priori metafisico della giustizia ai tradizione metafisica”), l’etica si pone
concreti ambiti in cui la giustizia si dà, propriamente come via alla giustizia ed
ma una struttura argomentativa che anzi, si configura come la giustizia
procede dagli ambiti concreti in cui si stessa nella sua valenza orientativa del-
articola l’esistenza con l’intento di mo- l’essere umano verso ciò che originaria-
strare la possibilità e la plausibilità di mente e costitutivamente lo connota
una fondazione metafisica ed ontologica (quel che propriamente ne realizza il
della giustizia. In altri termini si consi- bene). In questa prospettiva la giustizia
derano gli ambiti concreti della vita per può essere quindi intesa come trascen-
cogliere come essi lascino risuonare la dentale etico del diritto, della politica,
questione della giustizia, ossia come in dell’economia e di ogni altra forma del-
essi la questione della giustizia sia im- l’agire pratico. Nella prospettiva ontolo-
plicata e tuttavia per cogliere altresı̀ gicamente fondata le varie forme del-
come la questione della giustizia non sia l’agire pratico sono realmente al servizio
riducibile a tali ambiti. Questa irriduci- dell’essere umano (di tutto l’uomo e di
bilità, che preserva e dischiude l’oriz- tutti gli uomini) solo quando sono etica-
zonte metafisico della giustizia, di per sé mente giuste. Una sottolineatura a
non è affatto di poco momento; da essa parte credo vada riservata alla focaliz-
discende infatti che, se la giustizia non è zazione, di cui si fa carico sia il contri-
riducibile all’agire umano nei vari am- buto teologico di Pietro Bovati e Carlo
biti della vita, non è parimenti riducibile Casalone sia il contributo filosofico di
alla cultura e alla storia propriamente Massimo Reichlin, dei due livelli in cui
nel senso che non ne è un prodotto. Se si struttura la giustizia, quello della mi-
non ne è un prodotto, la giustizia può e sura (il “reddere unicuique suum” che,

476 RECENSIONI
ovviamente, non è da intendersi solo in giudizio di valore (anzi, il valore, “ciò che
senso materiale) e quello superiore del- vale”, ciò che decide della bontà o meno
l’oltre misura (il livello del dono e del di qualcosa, viene a coincidere proprio
per-dono, il livello del servizio all’altro al con l’aspetto formale-procedurale). Il
di là di ogni sinallagma). Il primo di proceduralismo è del resto figlio del sog-
questi livelli corrisponde a quello delle gettivismo proprio del pensiero moderno
virtù cardinali mentre il secondo corri- che vede in Kant la sua espressione più
sponde a quello delle virtù teologali. Si alta (l’aggettivo “categorico” che connota
tratta, come evidenziato nei contributi, il suo imperativo etico sta appunto ad
di due livelli che non si escludono; se indicare come quest’ultimo sia svinco-
infatti il primo trova nel secondo il pro- lato da ogni istanza eteronoma e dunque
prio naturale compimento, il secondo si ponga come auto-nomo, legge a se
implica l’attuarsi del primo (chi non ha stesso) e trova nuova linfa nel relativi-
ancora ciò che gli spetta, in termini di smo post-moderno. Giusto, in base ad un
dignità prima ancora che di averi, non è approccio siffatto, può essere tutto e il
ovviamente nelle condizioni di ricevere suo contrario; i confini del giusto e del-
il di più). Reichlin, in particolare, con- l’ingiusto divengono sfumati sino a dile-
clude il suo contributo osservando che guarsi del tutto. Per quanto concerne i
solo con l’articolazione di questi due li- contributi concernenti le discipline che
velli “alla dignità umana è resa davvero si muovono sul piano pratico-funzionale
una piena ed effettiva giustizia”. Del re- (quello appunto afferente al funziona-
sto “giustizia” è un sostantivo relazio- mento della giustizia nei vari ambiti del-
nale essendo possibile solo in presenza l’esistenza), la prospettiva in merito alla
di più persone che interagiscono tra loro; giustizia espressa dai contributi filoso-
stante l’imprescindibile legame, dianzi fici e teologici dell’opera emerge espres-
evidenziato, tra la giustizia e l’antropo- samente in taluni di essi, in altri è im-
logia, la giustizia dischiude la qualità plicita, in altri è di fatto negata
relazionale dell’essere umano (che, non esplicitamente o implicitamente. In par-
per nulla, Genesi indica ad immagine e ticolare, nel primo contributo “Diritto e
somiglianza di Dio il quale, appunto, è giustizia” di Luca Perfetti la via ontolo-
icasticamente presentato da San Tom- gica al diritto è negata, la questione fon-
maso come relazione sussistente). L’ol- dativa messa tra parentesi e il problema
tre misura si precisa quindi quale com- sembra ridursi a come armonizzare le
pimento della relazione e quindi della diverse concezioni di giustizia qualun-
giustizia. È sembrato opportuno a chi que ne sia il fondamento. Nel contributo
scrive sottolineare questi aspetti poiché “La giustizia tra economia e finanza” di
dischiudono una prospettiva del tutto Luigi Campiglio e Carlo Bellavite Pelle-
antitetica rispetto a quella procedurali- grini si sottopone a critica la pretesa
sta inserendo l’opera in commento nel autoreferenzialità del sistema econo-
vivo del più ampio orizzonte del dibat- mico; vi si afferma chiaramente come
tito contemporaneo; una sintesi delle senza giustizia non vi sia mercato ma,
principali correnti proceduraliste è of- una volta escluso che la giustizia possa
ferta peraltro dal contributo di Reichlin fondarsi sul sistema economico stesso,
il quale non manca di lumeggiarne i resta incerto su cosa debba fondarsi. Nel
limiti e i riduzionismi; il proceduralismo contributo “Istituzioni internazionali:
infatti eleva a giustizia ciò che emerge giustizia, equità, legalità” di Marco Ar-
dalle procedure, dalle dinamiche proprie none ed Eleni Iliopulos si evidenzia che
di ciascun sistema prescindendo da ogni se da una parte il proceduralismo è l’ap-

RECENSIONI 477
proccio dominante in questo campo, dal- irriflessa la fondazione degli stessi. Nel
l’altra esistono giudizi di valore, o meta- contributo “Società e giustizia” di Paolo
regole non scritte, di cui si fa costante Corvo si coglie bene l’indissolubile le-
applicazione. Questo comune modo di game tra giustizia ed etica; vi si afferma
sentire, a parere di chi scrive, lascia espressamente come la dimensione etica
intravedere un implicito riferimento on- sia pre-sociale ed ontologicamente fon-
tologico. Nel contributo “politica e Giu- data. Il pregio dell’opera è, a parere di
stizia” di Fabio Sciola e Chiara Tintori chi scrive, fuori discussione. Vi si racco-
emerge invece espressamente l’idea di glie l’anelito universale sintetizzato nel
una giustizia ontologicamente fondata,
titolo “volare alla giustizia senza
irriducibile alla politica e proprio per
schermi” tratto da un celeberrimo verso
questo criterio ermeneutico veritativo
dantesco (Divina Commedia, Purgato-
della politica stessa. Nel contributo “In-
formazione e (in)giustizia” di Marina rio, canto X). Si tratta senz’altro di un
Villa, la giustizia è ricondotta al rispetto opera che invita tutti, specialisti e gente
di taluni principi nel campo dell’infor- comune, a riflettere su ciò che mette in
mazione ma essi vengono semplice- gioco la qualità propriamente umana del
mente affermati mentre resta oscura e nostro vivere. (Gian Marco Zanardi)

BRUNO ROMANO, Nietzsche e Pirandello. Il nichilismo mistifica gli atti nei fatti,
Torino, G. Giappichelli, 2008, 128, E 11,00

La domanda sul senso della vita ha come i soli soggetti imputabili del di-
attraversato tutta la cultura occidentale ritto” (pp. 101-102).
fino a giungere a un punto conclusivo Il nichilismo, con la sua marea
che non conclude: il nichilismo. Infatti, nientificante, dissolve la libertà nella ca-
se per Nietzsche la vita non ha uno scopo sualità, “la responsabilità degli atti esi-
perché, se “ne avesse uno, sarebbe già stenziali” nella “innocenza di fatti vitali”
stato raggiunto” (Il nichilismo europeo, (p. 16), la verità nella menzogna, l’uomo
Milano 2006, p. 14), per Pirandello “la in un ‘animale mal riuscito’ al tempo
vita non conclude” (Uno, nessuno e cen- stesso ‘uno, nessuno e centomila’, porta-
tomila, Firenze, 1994, p.144). tore di ‘un superfluo che di continuo lo
Con la morte di Dio (Nietzsche) e tormenta’ (L. Pirandello, L’umorismo,
con la morte dell’Io (Pirandello), il nichi- Milano, 2004, p. 12) insinuando in lui le
lismo ha posto bruscamente fine a quella domande, biologicamente inutili, sul
ricerca della verità che aveva animato senso, sulla verità, sulla giustizia. Da
l’uomo fin dal sorgere della filosofia. La tale ‘superfluo’ sgorga l’opera istituente
verità, da Socrate concepita come “giu- l’ordine giuridico.
sta qualità della relazione dialogica tra La vita è un eterno e informe fluire.
gli uomini” (p. 57), si trasforma nei pen- “Verità, soggettività, diritto” sono, in-
satori nichilisti in “una finzione che vece, “forme-fissità della vita” che “ne
serve al funzionamento del vivere in- arrestano lo scorrere e dunque ne se-
sieme di una molteplicità di uomini” (p. gnano l’estinzione, perché — come scrive
93), considerati “privi di una soggetti- Pirandello — « ogni forma è una
vità che possa prendere le distanze dai morte »” (p. 57) e il diritto è una forma
sistemi biologici e mostrare gli uomini menzognera, uno strumento dell’utile

478 RECENSIONI
biologico volto alla conservazione della classico ius quia iustum si è sostituito
vita nella sua “impersonale a-soggetti- quello nichilistico-formale: ius quia ius-
vità” (p. 44), sum.
Il diritto viene ridotto alla “sistema- L’uomo nietzschiano, travolto da un
zione logico-funzionale delle norme” (p. fluire cieco e proteiforme, si fonde con
55), che non traducono più il principio di l’uomo pirandelliano, che incarna egli
giustizia, bensı̀ quello di effettività. Si stesso tale fluire mutevole e insensato:
afferma il primato dei fatti vitali sugli come la vita è un caleidoscopio di fatti,
atti esistenziali, del “formalismo mono- cosı̀ l’uomo è un mosaico di volti. Nella
logico delle norme” sulla “esistenzialità
visione nichilista non esiste la durata, la
dialogica dell’amministrazione della
relazione, non esistono ancor di più gli
giustizia” (p. 23). Il nichilismo si evol-
atti esistenziali, bensı̀ solo i fatti vitali.
verà in campo giuridico nel formalismo,
indifferente quanto alla selezione di Ma è proprio la “controfattualità” a co-
ogni contenuto che possa essere assunto stituire il “senso esistenziale del diritto”,
dalle norme di diritto positivo. La legge a mostrarne “la genesi nel passaggio dai
è la forma della fattualità vincente, fatti agli atti”. Il nichilismo giuridico si
espressa (…) dalla ‘Norma fondamen- costruisce solo attraverso la riduzione
tale’ di Kelsen. È la norma presupposta della contro-fattualità a un sintomo dei
come valida, coincidente con il ‘Fatto fatti vincenti, che però non consentireb-
fondamentale’ (p. 70). “L’arte del giuri- bero che si affermi il diritto dei deboli
sta è trasformata nella ragioneria del- come un diritto non debole” (p. 60). (Fla-
l’utile biologico” (p. 72); al paradigma minia Chizzola)

GIANLUIGI PASQUALE, Il principio di non-contraddizione in Aristotele, Torino,


Bollati Boringhieri, 2008, 88, E 13,00

Il volume in commento è una rivisi- mente confrontati con i contraddittori


tazione di una precedente versione del- (essere e non-essere): solo questi ultimi
l’autore (Aristotle and the Principle of fanno rilevare l’opposizione più netta.
Non-Contradiction, 2006) sull’effettiva L’avvertenza iniziale ed essenziale è,
natura del PNC ed il suo vero oggetto pertanto, quella di non confondere i ter-
(l’essere in quanto tale), che chiarisce, mini contrari con i contraddittori. In-
stimola, innova. Suscitando interessi fatti i due concetti, al di là di un’isolata
trasversali (si pensi, ad esempio, all’at- eccezione (p. 18), esprimono significati
tività del giudice ed alla sua interpreta- diversi.
zione del fatto nell’ambito della fenome- Il PNC definisce e protegge il sog-
nologia giuridica). getto esistente, nell’unità (sostanza) e
Prendendo le mosse dalla teoria ari- molteplicità (accidenti) del suo essere.
stotelica dell’opposizione, Pasquale ri- Ciò significa che lo stesso non-essere, al
costruisce, con rigore sistematico, una di là delle osservazioni formulate da
formulazione del PNC. I termini relativi Parmenide, indica tutto quello che esiste
(il doppio e la metà), contrari (il male e il al di fuori dell’essere determinato.
bene), privazione e possesso (cecità e vi- Le osservazioni critiche dell’autore
sta), affermazione e negazione (sta sedu- si fanno — almeno ai nostri occhi —
to/non sta seduto) vengono intensa- stringenti e illuminanti, soprattutto con

RECENSIONI 479
riferimento al concetto del tempo (“nel “ciò che è”, che è reale, che è veramente,
medesimo tempo”) che, cosı̀ come inteso cercando di percepire “i principi più so-
da Aristotele nella Metafisica, non è una lidi di tutte le cose”.
parte fondante del PNC (in tal senso Il filosofo, che per Aristotele è anche
anche Berti), perché non essenziale al un dialettico (p. 51), deve pertanto im-
divenire. pegnarsi nel conoscere il principio primo
Il libro considera le più autorevoli di tutte le scienze dimostrative, che non
posizioni dottrinali, ad eccezione del- si svela mediante il ricordo, ma piuttosto
l’originale quanto solitaria teoria di attraverso un’analisi consapevole del
Giannantoni (secondo cui Aristotele non saldo legame che intercorre tra la cono-
parla di “principio di non-contraddi- scenza intuitiva e le argomentazioni dia-
zione”, bensı̀ di “principio di contraddi- lettiche.
zione”. Cfr. La logica di Aristotele, in Il metodo dialettico ci libera, gra-
www.emsf.rai.it). Pasquale accoglie dualmente, dall’ignoranza del pensiero
(cosı̀ è per le considerazioni di Upton) o (Fisichella), facendoci percepire l’aporia
rigetta (cosı̀ è per l’accusa di “psicologi- (sul significato del termine aporia, si
smo in logica” mossa ad Aristotele da veda Plato, Menone, 80 a-c) dell’autocon-
Łukasiewicz), sempre motivando e con traddizione. Ciò permette di distinguere
garbo, tirando fuori gli artigli solo l’oggetto conosciuto dalla sua negazione:
quando serve (cfr. la dura risposta all’er- ecco la realtà che spalanca le porte. L’in-
rata interpretazione delle sue pagine di tuizione, infatti, non è un ambiguo con-
Halper a p. 41, n. 49). flitto tra verità ed errore, ma incontro
Scrive Aristotele: “Spetta al filosofo virtuoso tra mente e realtà.
conoscere il principio di non-contraddi- Il PNC è indimostrabile, pur es-
zione” (Metafisica IV 3, I005b9-I4). Ma il sendo conoscibile come principio primo e
filosofo — si badi — non è una figura anteriore. E non va confuso con le ipotesi
mitologica e onnisciente. Tutt’altro: è (supposizione o postulato), sulle quali —
chiunque decida di trovarsi a metà ci permettiamo di aggiungere — sembra
strada tra la sapienza e l’ignoranza. In- poggiare la deriva scientista dei nostri
vero la filosofia è la consapevolezza di giorni (cfr. il pensiero di P. ODIFREDDI, Il
non sapere ma è, al tempo stesso, desi- matematico impertinente, 2005).
derio ardente di sapere (cfr. F. GEN- Il PNC è la legge dell’essere, che ci
TILE, Filosofia del Diritto, 2006). In consente, puramente e semplicemente,
questa sua condizione umile quanto am- di descrivere la realtà, cosı̀ come essa “è”
biziosa, il filosofo si sforza di riconoscere (Tarski). (Gianluca Tracuzzi)

480 RECENSIONI
P arte seconda

Asterischi
(A CURA DI CATERINA VILLA)

Cosa ci riserva il futuro politico?


« Non sappiamo cosa ci riserva il futuro politico di questo Paese che sembra
preoccupato solo del proprio presente. Non si lavora più con la prospettiva di lasciare
un segno nella storia, di un domani che si dovrebbe considerare un nuovo passo verso
la giustizia e la pace fra i popoli, ma ci si accontenta o si litiga pensando a un oggi
personale, di categoria, di partito senza vedere più in là.
Avendo scambiato gli ideali per ideologie li abbiamo annullati e siamo rimasti
senza difesa. Ora abbiamo davanti a noi un popolo di giovani smarriti perché non
sappiamo più offrire loro la prospettiva di un mondo da continuare a costruire, a
migliorare, a condividere. Un mondo da amare. Se non vogliamo vederli soffocare
nelle sabbie mobili della irresponsabilità personale, del bene da consumare oggi, di
un tempo governato dalla matematica di un computer senza spazio per quelle virtù
dell’anima che nei momenti difficili hanno sempre combattuto per l’indipendenza e la
libertà dell’uomo, dobbiamo insegnare loro ad alzare la testa a difendere la propria
dignità. Non si studia per un posto, ma per costruire sé stessi. Questa è la differenza
tra il pensare solo all’oggi da consumare presto o a un futuro ricco di valori ». (Maria
Romana De Gasperi, in Avvenire di sabato 19 gennaio 2008)

… la sorte dei cristiani in “questo” tempo …


« … penso alla sorte che “questo” tempo riserva ai cristiani. Parlo qui non certo
di “persecuzione” propriamente detta (sarebbe un’idiozia), ma di quella derisione
beffarda che pervade la nostra epoca e agita i media, soprattutto a sinistra, dove si
situano perlopiù i miei amici. Si ama indicare chi si palesa credente come se fosse
uno zombi arcaico, amputato di una parte di sé, votato a una credulità che fa
sorridere o addirittura scatena ostilità. Negli ambienti filosofici e scientifici la messa
al bando è d’obbligo. Come potrebbe pretendere di pensare razionalmente chi si
commuove ancora con queste “favole”? Può porsi come interlocutore e ricercatore serio
chi non è riuscito a rompere una volta per tutte con l’eredità delle superstizioni o non
si è augurato di farlo? Ma pensa! Preoccuparsi ancora di significato, ontologia,
metafisica!
Non è la vivacità ostile di questi discorsi che mi colpisce. I cristiani, dopo tutto,
di fronte alla disputa che accompagna fin dalle origini la storia del cristianesimo non
si sono mai tirati indietro. Il confronto con un discorso ostile, anche violento, è

481
un’evenienza di cui occorre accettare la durezza. Forse anche rallegrarsene. Qualun-
que convinzione non deve forse “dare ragione” di sé, salvo rimanere nell’oscurantismo
o nel sentimentalismo? » (Jean Claude Guillebaud in Agorà di Avvenire di mercoledı̀
10 settembre 2008, p. 33)

… laici seguaci del dubbio metodico?


« ... Ma perché da veri laici seguaci del dubbio metodico non prendere in
considerazione un’altra ipotesi, e cioè che non è il Papa che dilaga nella sfera politica,
ma quest’ultima che ormai si occupa di temi da sempre e da tutte le culture
considerati appartenenti alla sfera spirituale e religiosa dell’umanità, cioè la nascita
e la morte, l’essere uomo e l’essere donna? E magari, sempre seguendo il benefico
pungolo del dubbio, perché non chiedersi che conseguenza possa avere, alla lunga,
negare la cultura di cui siamo figli e rifiutare ogni confronto con i suoi rappresen-
tanti, anche i più accreditati? È cosı̀ scontato che debba essere solo la scienza a
influenzare le nostre decisioni? » (Lucetta Scaraffia in Calendario del Corriere della
sera di martedı̀ 22 gennaio 2008, p. 47)

482
Osservatorio
GIORGIO FLORIDIA

RELAZIONE DI SINTESI
IN CONCLUSIONE DEL CONVEGNO
CELEBRATIVO DEI 60 ANNI DI IUSTITIA
Questa ve una relazione di sintesi e non una sintesi delle relazioni perché è stata
redatta ascoltando le relazioni e nell’immediatezza dello svolgimento del convegno.
Due giorni di straordinaria intensità. Nessuno può dirlo meglio di me dato che,
per fare questa relazione di sintesi, non ho potuto distrarmi neppure un minuto.
Tutti i momenti sono stati particolarmente coinvolgenti a cominciare dai saluti
che non sono mai stati di circostanza. Benito Perrone ha presentato il Convegno
osservando che normalmente si parla delle istituzioni per sottolinearne l’inadegua-
tezza e che i cittadini si lamentano continuamente di tale inadeguatezza ma
raramente parlano dei loro doveri. Il Convegno — secondo Perrone — si è assegnato
il compito di fornire una corretta informazione ed un esame critico delle situazioni
più difficili.
Poiché Sangalli non ha potuto intervenire, è stato sostituito da Gianni Deodato
il quale, parlando al posto di Sangalli, ha dato ai partecipanti il saluto della Camera
di Commercio. Ha ringraziato Iustitia per l’occasione di approfondimento dei temi
concernenti la modernizzazione delle istituzioni. Si è riferito ai nove milioni di
imprese medie e piccole ed ai lavoratori autonomi che si attendono un percorso di
modernizzazione basato sul federalismo e sulla partecipazione. Ha sottolineato che
bisogna potenziare le nuove tecnologie come quella del nuovo Registro delle Imprese
che ha invertito il flusso dei rapporti fra le imprese e la Camera di Commercio, dato
che ora è la Camera di Commercio che si reca presso le imprese. Ha lodato l’arbitrato
e la conciliazione ed ha auspicato che si faccia “sistema” fra chi fa le leggi e chi le
attua. Ha concluso auspicando che la Camera di Commercio sia una istituzione
leggera al servizio delle imprese e dei cittadini.
Ha preso la parola l’Assessore Pillitteri che ha portato i saluti del Sindaco
impedito a partecipare. L’Assessore Pillitteri ha sottolineato che il tema del Conve-
gno è fondamentale per chi lo affronta al di fuori della polemica politica quotidiana

GIORGIO FLORIDIA 483


e, mettendosi dal punto di vista del suo Assessorato, ha rivendicato il merito della
messa in qualità con ISO-9000 della organizzazione dei servizi del Comune a favore
dei cittadini per il soddisfacimento dei loro diritti: procedura di messa in qualità che
è servita e serve alla stessa Amministrazione Comunale per prendere autocoscienza
della funzione amministrativa che svolge.
È intervenuto a questo punto il Presidente dell’Ordine degli Avvocati milanesi,
Paolo Giuggioli, che ha stigmatizzato l’inefficienza della giustizia e si è augurato una
trattazione meno astratta e più attenta alle innovazioni anche piccole purché
significative. Ha informato che l’Ordine degli Avvocati ha attivato uno sportello al
quale i cittadini possono rivolgersi per ottenere tutte le informazioni di cui hanno
bisogno, e la conciliazione forense.
A questo punto hanno preso posto sul palco i Prefetto ed il prof. D’Agostino e la
direzione dei lavori è passata al Presidente Chieppa.
Ha preso la parola il Prefetto Lombardi che ha ringraziato per l’invito ed ha
fatto una riflessione sui sessant’anni della Costituzione Repubblicana per chiedersi
se essa è ancora uno strumento attuale. Ha risposto bensı̀ affermativamente ma
sottolineando che la Costituzione è il prodotto di un contesto specifico che è neces-
sario conoscere per capire. Ha ricordato che cattolici e comunisti si sono confrontati
nella costituente e che hanno chiesto di istituire uno Stato debole. Celiando l’Ora-
tore ha rimarcato che l’Italia è nata gracile e con una debole costituzione. A
sessant’anni di distanza si può dire che è stato organizzato lo stato di diritto sulla
base di una democrazia parlamentare che tuttavia per funzionare correttamente
deve garantire, con l’immunità, l’indipendenza dei parlamentari rispetto alla Ma-
gistratura. Si è detto perciò favorevole al ripristino dell’immunità parlamentare. Ha
continuato ricordando che anche il Governo è soggetto al controllo del Parlamento,
della Corte dei conti e dello stesso Presidente della Repubblica. Le autonomie locali
furono per lungo tempo soggette al controllo istituito su di esse ma, con la modifica
costituzionale del 2001, i controlli sono stati eliminati cosı̀ come sono stati eliminati
più in generale tutti gli organismi delegati a realizzare il raccordo fra lo Stato e le
Autonomie locali. La Riforma del 2001 ha creato — secondo l’Oratore — un sistema
confuso caratterizzato da eccessiva frammentazione. Anche l’organizzazione giudi-
ziaria dovrebbe essere riformata e per convincersene — ha rimarcato l’Oratore —
basta pensare alla obbligatorietà dell’azione penale che non potendo essere eserci-
tata nella sua pienezza si traduce in una selezione discrezionale ed immotivata da
parte del Pubblico Ministero. Se non è possibile potenziare l’organizzazione giudi-
ziaria per applicare il principio della obbligatorietà dell’azione penale occorrerà —
secondo l’Oratore — fare una selezione annuale per dare la precedenza a questa o a
quella categoria di reati. Ha proseguito sottolineando che vi è squilibrio fra i pesi ed
i contrappesi e soprattutto fra i doveri e le responsabilità ed ha concluso auspicando
l’abolizione del bicameralismo perfetto, il rafforzamento dell’esecutivo ed il riequi-
librio dei poteri. Insomma è stato critico nei confronti della Costituzione dicendo che
essa necessita di un restyling.
Il Presidente Chieppa ha ringraziato il Prefetto ed ha ricordato che nella
costituente si era cercato il bene comune ascoltando tutti, che vi era stato un apporto
delle Magistrature superiori e dell’Università. Ha voluto rimarcare che negli Uffici
Giudiziari nei quali vi è collaborazione fra il giudice e l’avvocato e vi è rispetto
reciproco si realizza una produttività completamente soddisfacente ed ha ricordato
che la Costituzione opera anche mediante l’interpretazione costituzionalmente

484 OSSERVATORIO
orientata delle norme ordinarie. Ha auspicato il ritorno al dialogo ed al rispetto
reciproco per evitare l’insorgenza di conflitti che creano forti diseconomie. Dopodiché
ha dato la parola al Rettore dell’Università Cattolica prof. Ornaghi.
Questi ha fatto un excursus storico e politologico del quale è impossibile dare
conto anche solo nei punti salienti. Si è trattato di una riflessione scientifica che
certamente fornisce stimoli potenti per comprendere la situazione nella quale versa
il rapporto fra lo stato di diritto e i diritti dei cittadini: ma è evidente che ciascuno
di noi dovrà recepire questi stimoli sulla base del testo scritto che il prof. Ornaghi ha
messo a disposizione pubblicandolo sul n. 3/2008 di questa Rivista.
Il Presidente Chieppa ha commentato la relazione del prof. Ornaghi sottoli-
neandone un passaggio, e cioè quello della impersonalità dell’esercizio del potere,
che è stata una grande conquista dell’istituzione dello stato di diritto, ma per
rimarcare che oggi l’esercizio del potere trascende in una perniciosa personalizza-
zione. Questa personalizzazione a%igge anche l’amministrazione della giustizia ed
il protagonismo di chi esercita il potere giudiziario costituisce una vera e propria
offesa alla persona umana.
Personalmente coglierei un ulteriore spunto di riflessione.
Lo stato di diritto — ci ha spiegato Ornaghi — ha avuto storicamente il suo più
importante referente nella “nazione” e questa a sua volta è costituita — com’è noto
— da un insieme di valori etico-sociali e religiosi coesi e territorialmente ben
radicati. Non c’è dunque da meravigliarsi se la crisi dello stato di diritto si verifica
oggi come effetto di processi di globalizzazione. Un fatto è certo — a mio avviso —
ed è l’indebolimento della sovranità nazionale non soltanto nei rapporti esterni
nell’ambito della comunità internazionale, ma anche nei rapporti interni e perciò nei
confronti dei cittadini e dei loro diritti. Procedendo da una società (nazionale)
omogenea lo Stato può facilmente garantire ai suoi cittadini la libertà di cui essi
hanno bisogno mentre, procedendo da una società disomogenea, può solo esercitare
la necessaria costrizione giuridica, cosı̀ perdendo in parte la sua stessa legittima-
zione sostanziale.
Venuto il suo turno, la prof.ssa Cartabia ha preso le mosse dal rilievo del prof.
Ornaghi concernente l’insaziabilità dei diritti fondamentali, per rimarcare che tale
insaziabilità crea la loro banalizzazione. Ha sottolineato il paradosso per cui da una
parte vi è un moltiplicarsi dei diritti fondamentali mediante la loro enunciazione
nelle carte, quivi compresi gli Statuti regionali, e dall’altra parte vi è un moltipli-
carsi del novero dei diritti fondamentali. Ha sottolineato che il ruolo della Corte
Costituzionale — centro di tutela dei diritti fondamentali — è ora indebolito a causa
dell’intervento delle Corti internazionali e di quello diretto dei giudici ordinari. Ha
sottolineato poi la tendenza a spostare la tutela dei diritti fondamentali fuori dalla
giurisdizione. Focalizzando l’attenzione sulla moltiplicazione dei diritti e dei giudizi,
ha rimarcato che la nascita di nuovi diritti fondamentali è avvenuta nel laboratorio
americano mentre in Europa si era contrari alla moltiplicazione dei diritti fonda-
mentali. I nuovi diritti, secondo la dottrina europea, avrebbero indebolito i diritti già
riconosciuti. Alla metà degli anni Sessanta due sentenze della Suprema Corte
americana, per liberalizzare il diritto alla contraccezione ed all’aborto, hanno in-
ventato il diritto alla privacy che pure non era menzionato nella Carta Costituzio-
nale americana. Dal diritto alla privacy sono nati tutti i nuovi diritti fondamentali
perché il significato di quel diritto è quello della libertà di scelta, senza interferenze
da parte dei pubblici poteri. Tutti i nuovi diritti hanno la loro matrice nel diritto alla

GIORGIO FLORIDIA 485


privacy come spazio di libertà. La tendenza che si è cosı̀ manifestata non è estranea
a quello che avverrà anche in Europa ed in Italia, considerando la giurisprudenza
della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ha già condannato la Francia per
avere essa sacrificato diritti fondamentali originati dal diritto alla privacy. I nuovi
diritti fondamentali — secondo l’Oratrice — sono davvero insaziabili ed hanno
origine da una concezione antropologica liberatoria. Vi è nella cultura contempora-
nea dei diritti, che non si alimenta più soltanto della tradizione cristiana ma di una
concezione edonistica, la tendenza alla moltiplicazione dei diritti medesimi. Oggi
non sono soltanto le Corti Costituzionali ad occuparsi dei diritti fondamentali. Vi è
ora anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, dato che la Corte Costituzionale
italiana ha affermato che la giurisprudenza della Corte di Strasburgo avrà la
rilevanza di parametro di proteggibilità anche in Italia dei diritti suddetti. La Corte
Costituzionale italiana non ha ceduto la tutela dei diritti fondamentali alla Corte di
Strasburgo sic et simpliciter, perché si è riservata di decidere, ma ugualmente ha
aperto una via che provocherà una reinterpretazione. Altra protagonista della
reinterpretazione è stata ed è la Corte di Giustizia di Lussemburgo la quale non si
limita a garantire i diritti fondamentali verso le istituzioni comunitarie, ma li
garantisce nei confronti delle leggi nazionali. Si perviene cosı̀ ad un sistema
multilivello alimentato anche dal fatto che i giudici nazionali sono portati a curio-
sare nelle giurisprudenze straniere. Un ultimo fenomeno è quello del ruolo del
giudice ordinario nella protezione dei diritti fondamentali: ruolo che viene accen-
tuato dalla interpretazione orientata alla Costituzione, dall’applicazione delle pro-
nunce straniere ed ora dal riconoscimento della risarcibilità del danno non patri-
moniale ogniqualvolta si possa ravvisare una violazione di un bene
costituzionalmente garantito. Per l’Oratrice tuttavia non bisogna confondere l’uni-
versalismo dei diritti con l’universalismo della persona umana ed occorre saper
distinguere ciò che è fondamentale per la persona umana prescindendo dall’univer-
salismo dei diritti.
Il prof. D’Agostino ha sostituito Giuseppe Dalla Torre per parlare dell’obiezione
di coscienza come diritto fondamentale spiegando che essa sta implodendo e che
occorre salvarne ciò che merita di essere salvato. Etica e diritto nell’epoca premo-
derna non erano realtà diverse mentre ora fra di esse vi è frattura. Il riferimento alla
coscienza oggi crea disordine non solo nel contesto pubblicistico ma anche nell’am-
bito strettamente privato, perché crea la necessità di continui esami di coscienza.
Dopo avere illustrato tutte le difficoltà connesse al riconoscimento della obiezione di
coscienza, D’Agostino si chiede se sarebbe il caso di sopprimere tale diritto. Risponde
negativamente, ma propone di rivedere l’obiezione di coscienza considerandola come
obiezione di scienza. È obiezione di scienza — secondo l’Oratore — quella che fa
riferimento, per esempio, alle medicine alternative e, nella bioetica, è la scienza e
non la morale che viene in causa per attestare — per esempio — se l’embrione sia già
un individuo o non ancora.
È intervenuta a questo punto Anna Sammassimo che ha posto un paio di
questioni al prof. D’Agostino, la prima delle quali è se sia possibile creare un
paradigma dell’obiezione di coscienza. Il prof. D’Agostino ha risposto che meno si
parla dell’obiezione di coscienza meglio è. Esemplificando con l’episodio della pillola
del giorno dopo ha spiegato che il medico avrebbe potuto evitare di invocare
l’obiezione di coscienza ponendo l’alternativa fra la funzione contraccettiva oppure
la funzione abortiva della pillola. Il medico avrebbe potuto appellarsi al fatto che la

486 OSSERVATORIO
ragazza chiedeva un aborto che avrebbe potuto fare nelle forme della Legge 194;
avrebbe potuto dire che non era sicuro che la pillola non recasse pregiudizio e, cosı̀
facendo, avrebbe evitato di risolvere il problema in termini di “io interiore”.
È intervenuto l’avv. Antonio Angelucci il quale ha chiesto se il diritto all’obie-
zione di coscienza possa farsi discendere dal diritto alla privacy. La prof.ssa Carta-
bia ha escluso tale possibilità perché i due diritti operano in ambiti completamente
diversi.
Il Presidente Chieppa è intervenuto sottolineando che l’obiezione di coscienza
può essere fondata sul diritto di professare, e cioè praticare, la propria religione.
È intervenuto l’avv. Mauro Giovannelli il quale ha ringraziato la prof.ssa
Cartabia. Evocando l’art. 2 della Costituzione ha sottolineato che La Pira nella sua
qualità di Sindaco di Firenze si era mostrato molto più interessato alla tutela del
diritto fondamentale al lavoro di quanto non lo fosse nei riguardi del valore della
solidarietà consacrato dall’art. 2 Cost.. La prof.ssa Cartabia si è detta d’accordo sulla
necessità di considerare i diritti fondamentali evitando di banalizzarli per ottenere
il risarcimento del danno derivante dalla perdita di una valigia nell’aeroporto ma, al
tempo stesso, non ha potuto fare a meno di sottolineare che sempre di meno si parla
dei diritti sociali ed economici come diritti fondamentali perché la crisi economica ed
i limiti di bilancio rendono molto meno praticabile il ricorso alla tutela dei diritti
sociali in relazione ai quali non si vuole promettere ciò che non si può mantenere.
È intervenuto l’avv. Pugliese per rimarcare che la tutela dei diritti fondamen-
tali deve prendere le mosse dalla considerazione dei propri stessi personali diritti.
Infine l’avv. Pellizzari è intervenuto per dire che il Convegno dovrebbe essere
interpretato come verifica della tutela praticabile nei confronti dei pubblici poteri.
Evocando l’intervento del Prefetto di Milano ha chiesto al prof. Chieppa di dire se,
più che riformare la Costituzione, non sarebbe opportuno realizzarla attuando per
esempio la regolamentazione dei partiti politici e dei sindacati. Il Presidente
Chieppa ha risposto che la Costituzione deve essere realizzata nel suo complesso.
Nella mattina del 4 luglio la Presidenza del Convegno è stata affidata — come
da programma — a Guido Romanelli, Presidente dell’Unione Romana dei Giuristi
Cattolici il quale ha introdotto presentando il libro di recente pubblicazione di Padre
Sale. Ha dato quindi la parola al prof. Gianfranco Gaffuri dell’Università degli Studi
di Milano al quale era stato chiesto di illustrare il tema delle garanzie di giustizia
nel sistema tributario.
Gaffuri ha esordito affermando che fra la giustizia ed il sistema tributario
intercorre una voragine perché vi è una frontale contrapposizione fra l’ente pubblico
ed il cittadino privato. Se già Paolo di Tarso esortava a pagare i debiti auspicando
tuttavia una redistribuzione, l’art. 53 della Costituzione enuncia solennemente che
tutti devono concorrere alle spese pubbliche secondo la propria capacità contribu-
tiva. La norma — osserva Gaffuri — è collocata fra i diritti fondamentali come quello
politico ma, secondo Balladore Pallieri, il principio della capacità contributiva è una
declamazione senza significato. Gaffuri preferisce immaginare che il principio della
capacità contributiva sia un argine al potere impositivo dello Stato e, per esempli-
ficare l’inosservanza di tale principio, ricorda che l’imposta patrimoniale è insensi-
bile alla produttività del cespite e perciò pone il cittadino nella condizione di non
sapere come pagarla. I mezzi per il pagamento del tributo devono essere tratti dalla
stessa base imponibile, e, se ciò non è possibile, allora si verifica un effetto espro-
priativo per se stesso ingiusto. La stessa situazione si può verificare quando

GIORGIO FLORIDIA 487


l’imposta sul reddito supera certe determinazioni quantitative. In questa logica —
ad esempio — l’ICI è ridotta alla metà quando un immobile è assolutamente
improduttivo di reddito. Il principio della finalità redistributiva viene applicato ma
senza alcuna chiarezza o coerenza sul criterio della redistribuzione. Per esempio —
sottolinea Gaffuri — applicando il principio redistributivo è stata istituita l’Imposta
Regionale sulle Attività Produttive ma, giudicando legittima questa imposizione, la
Corte Costituzionale ha dovuto teorizzare la relatività del principio stesso della
capacità contributiva. La giustizia tributaria è dunque un concetto difficilmente
utilizzabile. Per il resto l’Oratore ha rimandato alla sua ricca relazione scritta.
Se un’osservazione può essere fatta a caldo dopo avere ascoltato la relazione di
Gaffuri, è che Egli abbia messo in evidenza, con impeccabile approfondimento
tecnico, gli elementi che contraddicono il senso della giustizia all’interno dello stesso
sistema tributario. Ma la più grande ingiustizia che produce questo sistema è quella
originata dall’evasione fiscale che non solo determina una plateale disparità di
trattamento fra i cittadini ma crea una grande difficoltà proprio ai cittadini che
osservano il precetto tributario dal momento che essi vengono inevitabilmente
gravati di ciò che lo Stato non riesce a percepire dagli evasori.
L’avv. Guido Romanelli ringrazia il prof. Gaffuri anche per la citazione di Paolo
di Tarso, e passa la parola a Gianfranco Garancini affinché parli del giusto proce-
dimento nel rapporto fra i cittadini e l’Amministrazione.
Dopo avere ricordato l’art. II-101 del Trattato dell’Unione, che ha trasformato
il principio della buona amministrazione in un diritto, Garancini ha osservato che
nelle più recenti costituzioni questo diritto è stato codificato come diritto al giusto
procedimento, mentre nel nostro Paese per spiegare la costituzionalizzazione del
diritto in questione è necessario un lungo discorso illustrativo di un processo storico
che Garancini ha magistralmente ripercorso. La Legge n. 241 ha codificato un
complesso di indicazioni procedimentali che segnano un significativo avanzamento
nel diritto alla buona amministrazione. In sostanza la teorizzazione del diritto parte
dal presupposto della prevaricazione e perciò le citazioni giurisprudenziali che
sembrano avere accolto il principio del giusto procedimento dovrebbero essere
rapportate alla realtà effettiva per verificare che questa si stia modificando nel senso
auspicato. Storicamente il principio del giusto procedimento compare in una sen-
tenza costituzionale del 1962 a proposito di una legge della Regione Valle d’Aosta
che imponeva il vincolo ambientale su tutto il territorio regionale. La Corte ha
espresso l’esigenza che le limitazioni dei diritti dei cittadini fossero assunte per
mezzo di un giusto procedimento. La Corte Costituzionale conferma che il diritto al
giusto procedimento non è garantito dalla Costituzione e perciò potrebbe essere
violato bensı̀ dalla legge dello Stato ma non dalla legge regionale. Il Consiglio di
Stato ha confermato che non vi è un obbligo costituzionale del legislatore di
procedimentalizzare l’azione amministrativa (1996) ma successivamente, nel 1999,
con ordinanza plenaria ha esteso il principio del giusto procedimento come presup-
posto per sindacare una norma che non lo applicasse per contrasto con l’art. 97 Cost..
Conclude ricordando le due sentenze della Corte Costituzionale del 2007 che si
occupano dell’applicazione del c.d. spoil system introdotto dalla c.d. Legge Frattini:
sentenze che hanno dichiarato l’incostituzionalità di alcune norme di tale legge
perché vı̀olano i principi del giusto procedimento e della trasparenza introdotti dalla
Legge n. 241; l’automatismo dello spoil system vı̀ola dunque — per la Corte Costi-
tuzionale — gli artt. 97 e 98 della Costituzione. Il principio del giusto procedimento

488 OSSERVATORIO
non è più dunque un principio generale dell’ordinamento ma è un principio costi-
tuzionale al quale deve adeguarsi anche lo Stato.
Nella seconda sessione della mattinata la Presidenza del Convegno è stata
assunta da Giuseppe Grechi, Presidente della Corte d’Appello di Milano, il quale ha
introdotto ricordando la magnifica prolusione del Rettore dell’Università Cattolica e
sottolineando che i cittadini oggi non hanno diritti, tanto meno nei confronti
dell’amministrazione della giustizia vittima di gravi inadempienze delle istituzioni.
Dopo avere lodato l’iniziativa dell’avv. Benito Perrone ha passato la parola al
difensore civico della Valle d’Aosta, Flavio Curto.
Questi, presa la parola, si è compiaciuto che nel Convegno sia stato riservato
uno spazio alla difesa civica. I legislatori regionali hanno cercato di porre rimedio
alla crisi di fiducia dei cittadini con l’istituzione della difesa civica la quale deve
garantire i loro diritti ed il buon andamento dell’Amministrazione. Ha messo in luce
i pregi ed i difetti della difesa civica. In Italia — ha osservato — non esiste un
difensore civico nazionale come invece in molti altri paesi. La difesa civica —
secondo l’Oratore — integra gli estremi di una difesa non giurisdizionale. Come non
esiste un difensore civico nazionale cosı̀ non esiste una legge nazionale a riguardo
della difesa civica. Sono state le Regioni ad istituire i difensori civici regionali con
una competenza limitata al territorio della Regione stessa ed alla comunità locale.
Con la Legge c.d. Bassanini 2, la competenza dei difensori civici regionali è stata
estesa alle organizzazioni periferiche dello Stato. Flavio Curto ha proseguito illu-
strando la figura del difensore civico comunale, contemplata negli statuti comunali.
L’istituzione del difensore civico è facoltativa con la conseguenza — ha sottolineato
l’Oratore — che meno del 10% dei Comuni ha provveduto ad istituire il difensore
civico anche se poi l’Oratore riconosce che l’istituzione di 8.500 difensori civici
porrebbe problemi evidenti. Suggerisce perciò ai Comuni di procedere con i c.d.
convenzionamenti. Trae la conclusione che l’operatività della difesa civica si svolge
a “macchia di leopardo” e che nessun cittadino è tutelato dalla difesa civica nei
confronti dell’Organizzazione Centrale dello Stato. Il difensore civico può costituirsi
parte civile nei procedimenti penali che coinvolgono disabili ed ha il potere di
nominare un Commissario ad acta se il Comune omette atti obbligatori per legge. Il
difensore civico è un’autorità nominata dall’Assemblea che, senza vincoli gerarchici,
coniuga la difesa dei diritti dei cittadini con il buon andamento e l’imparzialità
dell’Amministrazione. Il difensore civico può intervenire nel corso del procedimento
amministrativo e prima che il provvedimento sia adottato e può intervenire anche a
posteriori ed anche se sono decorsi i termini per la difesa giurisdizionale. Egli
stimola l’esercizio del potere di autotutela della Pubblica Amministrazione ed
eventualmente riferisce all’Assemblea Regionale. È un organo indipendente ma
occorre che la nomina sia disposta dall’Assemblea con maggioranza qualificata che
garantisce anche la minoranza ed impedisce — altresı̀ — che sia inopportunamente
esercitato il potere di revoca.
A questo punto il Presidente del Convegno attribuisce la parola a Lucio Nardi,
giudice tutelare.
Questi esordisce spiegando che il giudice tutelare non è tenuto a giudicare nel
conflitto fra soggetti ed interessi contrapposti, ma a provvedere nell’interesse di
determinati soggetti. Le funzioni del giudice tutelare sono tante e sono poco cono-
sciute e forse anche poco apprezzate. Il giudice tutelare deve essere specializzato e
fornito di una preparazione interdisciplinare comprensiva di nozioni sociologiche,

GIORGIO FLORIDIA 489


psicologiche, mediche etc. etc.. Il Relatore ha illustrato le funzioni del giudice
tutelare a favore degli incapaci. Ha ricordato simpaticamente le sue esperienze di
amministratore delle sostanze della sua stessa madre. Ha lodato l’amministrazione
di sostegno come alternativa alla interdizione. Ha sottolineato l’importanza dei
controlli sui rendiconti che non devono essere soltanto contabili ma funzionali al
benessere del soggetto tutelato. Il compito del giudice tutelare — conclude l’Oratore
— è di assicurare condizioni di vita migliori al beneficiario della sua azione ed
auspica il riassetto dell’organizzazione che gestisce l’amministrazione di sostegno.
Anche il Presidente Grechi, commentando brevemente la relazione del giudice
tutelare, ha espresso il suo apprezzamento per la legge sulla amministrazione di
sostegno ed ha dato la parola all’avv. Angelucci, in sostituzione del dott. Mario
Zevola, che ha letto la relazione di quest’ultimo sul giudice della famiglia.
L’avv. Angelucci ha spiegato che le forme della famiglia sono due: quella
fondata sul matrimonio e quella di fatto purché con figli. Ha auspicato l’istituzione
del Tribunale della famiglia come giudice specializzato, dotato di saperi anche non
giuridici, cosı̀ accorpando le competenze del giudice tutelare, del Tribunale dei
minorenni e del Tribunale ordinario.
Orbene, questo suggerimento è assolutamente prezioso e posso testimoniarlo
considerando l’enorme progresso della gestione giudiziale dei diritti di proprietà
industriale affidata ora alle Sezioni specializzate. Avendo vissuto in prima persona
la vicenda relativa alla istituzione delle Sezioni specializzate di diritto industriale,
ho ben presente la difficoltà che si incontra nel tentativo di accreditare il criterio
della specializzazione come presupposto per conseguire risultati nettamente mi-
gliori nella amministrazione della giustizia. Come è noto, i magistrati, la loro
associazione e, di riflesso, lo stesso Consiglio Superiore della Magistratura hanno
nutrito, e probabilmente nutrono anche adesso, una profonda avversione verso ogni
forma di specializzazione della magistratura. All’origine — probabilmente — vi è il
divieto costituzionale della istituzione di giudici speciali come antidoto contro
deviazioni autoritarie. Ma è evidente che questa originaria giustificazione non ha
più alcuna ragion d’essere non soltanto perché il tempo trascorso ha reso sostan-
zialmente evanescente il riferimento all’origine storica del divieto ma anche, e
soprattutto, perché è ben evidente la differenza fra l’istituzione di un giudice
speciale e l’apertura dell’organizzazione giudiziaria a forme di specializzazione
tanto più necessarie quanto più l’ordinamento giuridico accentua giorno per giorno
la sua articolazione e la sua complessità.
La gestione di una materia cosı̀ dedicata e multidisciplinare come è quella del
diritto di famiglia si avvantaggerebbe enormemente qualora si procedesse — come
suggerisce l’avv. Angelucci — all’accorpamento della molteplicità delle competenze
ed all’attribuzione di tali competenze ad un giudice specializzato.
A questo punto il Presidente Grechi ha dato la parola alla prof.ssa Maria Laura
Basso, dell’Università di Bari, alla quale è stato affidato il compito di trattare il
tema del curatore speciale del minore.
La prof.ssa Basso ha esordito ricordando che si tratta di un istituto a tutela di
un soggetto debole non ignoto all’ordinamento prima dell’introduzione della Legge n.
149 che conosceva — infatti — la figura del curatore speciale del minore al quale era
affidato il compito di intervenire in determinate fattispecie. Anche nell’ordinamento
processuale è prevista la nomina di un curatore speciale del minore in fattispecie
ben individuate ma, rispetto a questi precedenti normativi, la Legge n. 141/2001 ha

490 OSSERVATORIO
aperto — secondo la Relatrice — una nuova prospettiva. Si prevede infatti la difesa
tecnica del minore come parte del procedimento civile minorile, con una estensione
della tutela già prefigurata dalla Carta Costituzionale. Il minore dunque, pur
essendo parte sostanziale non aveva nel processo una presenza capace di esprimere
un valore sostanziale. È avvenuto cosı̀ che a partire dalla difesa tecnica e dalla
capacità processuale del minore sia emersa la figura, nel processo civile minorile, del
curatore speciale. La figura è contemplata dalla Convenzione di Strasburgo che
prevede la nomina del curatore speciale quando vi sia conflitto di interessi fra il
minore ed i genitori. Anche la Convenzione di New York prevede il diritto del minore
di essere ascoltato sia direttamente sia per mezzo del suo rappresentante che può
essere anche un avvocato. La Relatrice descrive le diverse soluzioni dei diversi
problemi presso i diversi Tribunali, con riferimento alla nomina ed alle funzioni
svolte dal curatore speciale e conclude auspicando l’intervento del curatore speciale
nei procedimenti di separazione e di divorzio, soprattutto con riguardo alle scelte
affidative del giudice, anche per attuare la parità di trattamento fra le coppie
coniugate e quelle di fatto.
La sessione mattutina del giorno 4 luglio si è conclusa con la relazione del
coordinatore dei giudici di pace di Milano, Vito Dattolico, al quale — ovviamente —
è stato affidato il compito di illustrare la figura in questione.
Dopo avere illustrato l’evoluzione storico-normativa del giudice di pace, l’incre-
mento delle sue competenze e dei suoi compensi l’avv. Vito Dattolico si è detto
fermamente convinto che la risposta alla richiesta proveniente dalla società civile di
una giustizia efficiente in tempi ragionevoli presuppone che i magistrati onorari
siano sempre più qualificati professionalmente sin dal momento del reclutamento
attraverso una selezione accurata che si fondi sulla verifica delle conoscenze e delle
attitudini dei candidati. Secondo l’avv. Dattolico occorre procedere ad un’analisi
complessiva della funzione della magistratura onoraria che non può prescindere
dalla constatazione della sostanziale diversità ontologica — almeno nell’attuale
ordinamento — tra la figura del giudice di pace ed altre figure — come ad esempio
quella del GOT e del VPO — che esprimono esigenze completamente diverse e che
danno luogo ad interventi disomogenei. In questa ottica il Relatore ha auspicato che
i consigli giudiziari siano riformati prevedendo presso di essi un’apposita sezione
composta di componenti elettivi rappresentanti della categoria. A questo punto il
Relatore ha formulato ben nove proposte dirette a ridisegnare l’Istituto: proposte
che ciascuno può leggere nella relazione per una personale meditazione ed un
adeguato approfondimento.
La sessione pomeridiana del giorno 4 è stata presieduta da Ezio Siniscalchi,
Presidente della 1a Sezione Civile del Tribunale di Milano il quale si affianca a Luigi
Ferrarella, giornalista del Corriere della Sera, per introdurre l’argomento del “giusto
processo” facendo il punto della situazione.
Ai due relatori la crisi della giustizia civile appare irreversibile ed il paradosso
è che tale crisi non impedisce tuttavia l’incremento dei compiti affidati alla giuri-
sdizione. Siniscalchi dichiara di rifiutare lo svolgimento da parte sua di una difesa
d’ufficio dei magistrati i quali — secondo il Relatore — avranno certamente le loro
responsabilità e potrebbero fare di più. Senonché l’entusiasmo a fare di più sta
lentamente decadendo. Quanto alla tutela dei diritti, è certo che essi devono farsi
largo in un mare di cause che spesso costituiscono esse stesse il risultato di un
abuso. La giurisdizione viene utilizzata talvolta perché la giustizia è lenta. La

GIORGIO FLORIDIA 491


giustizia ha un costo che è aumentato anche ai fini del semplice accesso, cosı̀
allontanando proprio quelli che ne avrebbero più bisogno. Quello che è certo è che la
causa di separazione introdotta da un esponente di primo piano del capitalismo
nazionale ha un costo uguale a quello che deve sostenere un “povero diavolo”. Viene
evocato il problema della proliferazione dei riti i quali, tuttavia, rimangono sempre
molto complessi anche quando la causa sia di infimo valore.
Dopo questa introduzione ha preso la parola il dr. Ferrarella, autore di un libro
sulla giustizia (1), il quale esordisce ricordando che 70 centesimi è ciò che spetta al
testimone che si reca all’ufficio giudiziario che lo ha convocato partendo da una città
diversa: circostanza significativa per esemplificare molte altre situazioni ugual-
mente paradossali. Si parla della sicurezza ma il Casellario Giudiziario è tenuto a
mano in forma cartacea con un accumulo incredibile di schede non riempite. La
lentezza delle procedure giudiziarie si è ormai tradotta in assenza di fiducia ed in
gravi diseconomie se è vero che un imprenditore che deve far osservare un contratto
è svantaggiato rispetto a qualsiasi altro imprenditore di qualsiasi altro paese.
A questo punto è iniziata la tavola rotonda ed ha preso la parola il prof.
Colesanti il quale — dicendosi precettato dall’avv. Perrone — si è ripromesso di dire
poche cose dal momento che, illustrare esaurientemente il principio del giusto
processo, è impossibile e bisogna accontentarsi di considerazioni banali e brevi. Il
nuovo testo dell’art. 111 della Costituzione nulla dice di nuovo per il giudizio civile.
Per quanto concerne la garanzia dei diritti, occorre distinguere — secondo il
Relatore — il piano normativo da quello operativo. Quello normativo è soddisfacente
perché offre sufficienti garanzie. Poi però è accaduto che i procedimenti speciali
siano andati moltiplicandosi e si sia posto il problema di stabilire se le garanzie
presenti nel rito della cognizione ordinaria fossero presenti anche nei riti speciali.
Conclude che le garanzie ci sono. Il vero problema dunque non è quello che si
manifesta sul terreno normativo ma quello che si manifesta sul terreno applicativo.
La causa di questo fallimento è stata un tacito accordo fra i giudici e gli avvocati
preordinato allo scopo di non darsi reciprocamente fastidio. Tutti hanno la respon-
sabilità di avere complicato il processo in modo tale che esso è diventato ingiusto. In
un mondo globalizzato la giustizia che procede come un gambero determina la
sfiducia di tutti. Peraltro bisogna rendersi conto che il processo non è un valore in se
stesso e che la pronuncia in rito segna il fallimento del suo scopo. La Corte di
Cassazione — secondo il Relatore — deve elaborare il diritto vivente anziché essere
impegnata ad emettere 35.000 sentenze all’anno.
A questo punto ha preso la parola il prof. Mario Pisani il quale esordisce
recitando il passo 16-18 del Deuteronomio che invita Mosè ad attivare il giusto
processo ed a realizzare la giustizia. Il nuovo testo dell’art. 111 Cost. fa prevalente
riferimento al processo penale. Il Relatore illustra la genesi dell’art. 111 della
Costituzione e sottolinea che il suo scopo è precisamente quello di costituzionaliz-
zare i principi del giusto processo penale.
Presa a sua volta la parola il dr. Raffaele Iannotta, Presidente della 5a Sezione
del Consiglio di Stato, parla della giurisdizione di merito nel giudizio amministra-
tivo per le ipotesi predeterminate che la ammettono. Il giudice applica criteri di
opportunità e di convenienza. La giustizia di merito si aggiunge a quella di legitti-

(1) L. FERRARELLA, Fine pena mai. L’ergastolo dei tuoi diritti nella giustizia italiana,
Milano, Il Saggiatore, 2007.

492 OSSERVATORIO
mità ed è consentita dalla Costituzione. Il prof. Benvenuti disse — a suo tempo —
che il giudizio amministrativo deve partire dalla sostituzione dell’atto impugnato.
Nel ’70 si sostenne che dovesse essere eliminata la giurisdizione di merito. Se si
considerano le ipotesi in cui viene esercitata la giurisdizione di merito si constata
che lo scopo è quello di risolvere la controversia con criteri giuridici. Il giudizio di
ottemperanza non ha nulla a che fare con la convenienza. Vi sono ipotesi nelle quali
la giurisdizione di merito postula l’applicazione di criteri di convenienza. E illustra
infine il percorso storico dei rapporti fra giurisdizione di legittimità e giurisdizione
di merito.
Il Convegno si conclude con la relazione, pubblicate in questo numero di
IUSTITIA, dell’avv. Baroni che tratta il tema del silenzio della Pubblica Ammini-
strazione.

GIORGIO FLORIDIA 493


Tesori di casa nostra
FABRIZIO CIAPPARONI

L’UNIONE GIURISTI CATTOLICI ITALIANI:


MEMORIA DELLE ORIGINI
Il 18 aprile di questo 2008 dopo esattamente sessanta anni l’Unione Romana
Giuristi Cattolici, attraverso un incontro di studio organizzato in collaborazione con
la LUMSA, ha inteso rievocare le prime elezioni politiche della Repubblica Italiana,
tenutesi appunto il 18 aprile 1948, invitando a parteciparvi coloro che vissero
direttamente l’evento (1).
Maria Romana De Gasperi, Giulio Andreotti, don Lucio Migliaccio, Luciano Vio-
lante hanno partecipato agli intervenuti alla manifestazione i loro ricordi personali
in merito alla preparazione e alla successiva attuazione del risultato elettorale.
Non è superfluo ricordare che in quell’anno si collocano avvenimenti di non
modesta importanza: dall’entrata in vigore della Costituzione a quella consultazione
elettorale che eleggendo con una determinata maggioranza il primo parlamento
repubblicano ha inciso profondamente sulla futura vita politica e sociale italiana
determinando una precisa collocazione internazionale. Ma a questi eventi, affettuo-
samente, non possiamo non associare la effettiva nascita della nostra Unione
Giuristi Cattolici Italiani.
Come è noto l’impulso per la costituzione della nostra Unione, secondo quanto
indicato dallo statuto dell’Azione Cattolica Italiana, è stata promosso dal Movi-
mento Laureati di Azione Cattolica intorno agli anni 1945-1947 (2) congiuntamente

(1) L’incontro di studio sul tema “18 aprile 1948 un patrimonio comune” si è tenuto a
Roma nell’Aula Magna della Lumsa: il Comitato promotore era costituto da Giuseppe Dalla
Torre, Raffaele Iannotta, Guido Romanelli, Fabrizio Ciapparoni; sono in atto le procedure per
la stampa delle relazioni.
(2) Infatti lo Statuto dell’ A.C. dell’11 ottobre 1946 all’articolo 91 disponeva: “Il Movi-
mento dei Laureati di Azione Cattolica promuove la costituzione di Unioni Professionali … Le
Unioni rimangono collegate al Movimento per tutte le attività comuni ai laureati. A tale scopo
i Presidenti delle varie Unioni Professionali fanno parte del Consiglio Centrale dell’Associa-
zione (il Movimento), e il Presidente Centrale potrà nominare un Segretario per le Unioni
Professionali facente parte della Presidenza Centrale.”; in proposito Iustitia 1948, 1-2 ottobre
novembre, pag. 12; cfr. E. PREZIOSI (a c.) Gli statuti dell’Azione Cattolica Italiana, Ave Roma

FABRIZIO CIAPPARONI 495


a quello per altre professioni liberali le quali, all’aprirsi del 1948, “hanno raggiunto
da tempo una normale solidità organizzativa e svolgono in conseguenza un’attività
piena, sia al centro che in periferia”, mentre, “l’Unione Giuristi, benché costituita, è
ancora in fase di assestamento e di sviluppo”, “perché le persone che dovevano
occuparsene al Centro erano costantemente molto assorbite dagli impegni profes-
sionali” e, di fatto, “con il ’47 il Comitato Centrale costituito all’inizio era, per cosı̀
dire, spontaneamente andato in desuetudine”.
Le Unioni professionali allora in piena attività sono quelle degli Artisti (UCAI),
Farmacisti (UCFI), Insegnanti medi (UCIIM), Medici (AMCI) e Tecnici (UCIT) (3).
Tuttavia, nel settembre del 1948, sempre su iniziativa del Movimento Laureati
di A.C, l’U.G.C.I. può iniziare la sua autonoma attività a seguito dell’approvazione
di uno Statuto provvisorio e la nomina del Comitato Provvisorio Centrale in
funzione sino alla convocazione del Congresso Nazionale che “decida sullo statuto
definitivo e proceda all’elezione dei dirigenti statutari”: il comitato è composto
dall’avvocato Giuseppe Cassano, dal dottore Marcello Dondona, dal professore
Francesco Santoro-Passarelli, dal dottore Salvatore Zingale e dal dottore Francesco
Di Piazza il quale, dallo stesso Comitato, viene incaricato di reggere la Segreteria
Centrale: Consulente ecclesiastico è monsignore Franco Costa (4).
Contemporaneamente, sotto la responsabilità del Segretario Di Piazza, prende
vita la rivista Iustitia — “Organo dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani”, con ca-
denza mensile, che nel suo primo doppio numero, in formato 26 x 36 (circa) relativo
ai mesi di ottobre e novembre 1948, si avvale della collaborazione di Gennaro
Rispoli, Giorgio Del Vecchio, Gabrio Lombardi, Adriano De Cupis, Lorenzo Spinelli,
Pio Ciprotti, Giuseppe Cassano, Leopoldo Rubinacci, Francesco Santoro-Passarelli,
Marcello Dondona (5).
La rivista ha una impostazione rigorosamente culturale e attraverso gli scritti
ospitati si occupa soprattutto dei maggiori problemi giuridici relativi alle esigenze
sociali e politiche fondamentali nella quotidiana vita professionale, con un attento
occhio, però, all’attività parlamentare; tuttavia, tra le diverse rubriche presenti
all’interno della pubblicazione appare quella relativa alla “Vita dell’Unione” che
riporta le deliberazioni degli organi centrali e locali insieme alle notizie sull’attività
delle varie associazioni periferiche. Con l’annata 1952 Iustitia modifica il suo
aspetto esteriore assumendo il formato comune agli altri periodici; nel successivo
anno la rivista diviene bimestrale e quella rubrica interna si trasforma in una au-

2003, pp. 205 s. L’attuale statuto dell’A.C. è in vigore dal 2003. Nel 1980 il Movimento dei
laureati diviene Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale (MEIC).
(3) Quanto riportato nel testo è tratto da Iustitia 1948 appena citato e 1949, 1 gennaio,
pag. 7.
(4) L’attività cosı̀ iniziata nel 1948 viene considerata assolutamente inedita se nel
necrologio dell’avvocato Pietro Mosconi, nel ricordare il suo impegno viene usato il termine
“ricostituita” sia pure indirizzandolo alla “Unione romana dell’ U.G.C.I.”: Iustitia, 1949, 10-12
ottobre dicembre, pag. 96.
(5) Iustitia, 1948 già ricordato. Nella riunione del Consiglio centrale del 30 ottobre 1950
si è discusso sull’opportunità di modificare il formato della rivista portandolo alla dimensione
18 x 24, ma è stato deliberato di rinviare la decisione ad epoca successiva: Iustitia, 1950, 11-12
novembre dicembre, pag. 131. “Ma Di Piazza non si è arreso e, col nostro consenso, ha indetto
il noto referendum” riferisce nella sua relazione il Presidente centrale all’Assemblea dei
Delegati del 15 novembre 1951. Il referendum proposto attraverso la rivista a tutti i suoi lettori
si conclude con una plebiscitaria risposta favorevole al nuovo formato (89,90% sul 56,10% dei
lettori votanti): in proposito Iustitia, 1951, 11-12 novembre dicembre, pagg. 84, 95 e 101.

496 TESORI DI CASA NOSTRA


tonoma pubblicazione (formato circa 18 x 24), -“bollettino mensile dell’U.G.C.I.”- con
lo stesso titolo, da inviare gratuitamente agli iscritti come “agile foglio mensile di
collegamento, affidato all’amico Berri, Vicepresidente Centrale, il quale farà il pos-
sibile, coadiuvato dall’infaticabile Di Piazza, affinché ‘Vita dell’Unione’ esca entro il
15 di ogni mese” (6): è la culla dell’attuale foglio di notizie “L’Unione informa”.
Lo Statuto provvisorio composto di 12 articoli detta alcune linee programma-
tiche ed una essenziale struttura ancora abbastanza dipendente dagli organi del
Movimento Laureati di A.C. che designano componenti tanto nel Consiglio Centrale
quanto in quelli locali e nominano i Consulenti ecclesiastici.
In attesa del primo Congresso nazionale previsto dall’articolo 12 di questa
Carta provvisoria, attraverso il quale verranno sanciti lo Statuto e l’organigramma
definitivi dell’U.G.C.I., il 3 gennaio 1949 dal Comitato Provvisorio viene indetta a
Roma “una riunione ristretta di Dirigenti locali dell’Unione e di amici che potranno
occuparsi attivamente di essa … per uno scambio di idee e di esperienze e per una
vicendevole collaborazione al fine di impostare un piano di azione che possa dare
vasto impulso allo sviluppo della base (specie nelle grandi sedi)”. Nel corso dell’adu-
nanza si considera lo stato dell’organizzazione del momento, tanto centrale quanto
locale illustrato dalla segreteria, sono posti in discussione gli indirizzi futuri del-
l’Unione e, soprattutto, la convocazione del Congresso nazionale fissato prima entro
luglio e poi nell’ottobre 1949 da preordinare con una doppia struttura, “di convegno
per la parte culturale-formativo-generale” e “di assemblea rappresentativa e deli-
berativa”, da tenersi a Napoli o a Roma (7) .
Iustitia del luglio 1949 nel comunicare che il Congresso si svolgerà a Roma da
domenica 30 ottobre a martedı̀ 1o novembre, “per facilitare i lavori delle adunanze
organizzative” pubblica un progetto di statuto elaborato dal Comitato Provvisorio di
14 articoli che — realisticamente — “reca poche varianti rispetto allo Statuto
provvisorio vigente” (8).
Il Congresso invece ha luogo, sı̀ a Roma, ma da venerdı̀ 4 a domenica 6
novembre — giorni della settimana forse più favorevoli rispetto allo svolgimento
dell’attività professionale — presso l’Istituto Universitario di Magistero “Maria
Assunta” in via Traspontina, 21 (9).
“Durante i lavori del Congresso, negli intervalli fra le sedute generali, si
riunisce più volte l’Assemblea dei Delegati per procedere, prima, alla discussione e
all’approvazione dello Statuto definitivo dell’U.G.C.I., e, poi, all’elezione dei diri-
genti nazionali in base alle norme risultanti dallo stesso statuto approvato. Alle
riunioni organizzative per lo statuto e per le elezioni partecipano i « delegati » delle
seguenti Unioni locali: Belluno, Bologna, Catania, Cosenza, Genova, Milano, Napoli,
Padova, Piacenza, Pisa, Roma, Salerno, Torino, Venezia”. Le riunioni dell’Assem-
blea sono presiedute alternativamente dal senatore Mario Riccio e dal professore
Francesco Santoro-Passarelli: in quella conclusiva del 6 novembre viene acclamato
Presidente Onorario a vita dell’Unione il professore Francesco Carnelutti, viene
eletto il Consiglio Centrale ed, inoltre, viene portata a conoscenza dei partecipanti
lo Statuto, approvato dalla stessa Assemblea, nella sua formulazione definitiva. Lo

(6) Vita dell’Unione, 1953, 1, pag. 1.


(7) Iustitia, 1949, 1 gennaio, pag. 8
(8) Iustitia, 1949, 7 luglio, pagg. 59 s.
(9) Iustitia, 1949, 8-9 agosto settembre, pag. 72 ove è riportato il programma definitivo
del Convegno oltre le indicazioni e le notizie utili per la partecipazione.

FABRIZIO CIAPPARONI 497


Statuto ratificato nel 1949 e composto da 19 articoli rimane l’ossatura dei successivi
sino ad oggi (10).
Mi sia consentita una debolezza conseguente alla mia appartenenza, per ricor-
dare che, a ridosso del Consiglio nazionale, “la Unione romana ha avuto una
vigorosa ripresa e si è data una stabile costituzione con una adunanza che si è svolta
il 18 ottobre 1949”: dalla apposita successiva riunione sono risultati eletti il Presi-
dente avvocato Lorenzo Romanelli ed i Vice Presidenti professore Pio Ciprotti ed il
dottore Marcello Dondona (11).
Sull’interpretazione, a posteriori, delle vicende relative all’inizio dello svolgi-
mento della piena attività dell’U.G.C.I. forse non è un caso che oggi esse siano state
avvicinate alla consultazione elettorale per la prima legislatura della Repubblica ed
al clima politico di dura contrapposizione che si era creato prima e dopo la votazione
che imponeva il compattamento delle forze cristiane e democratiche in presenza di
un pericolo reale che minacciava le radici nazionali, civili e religiose di milioni di
cittadini italiani. Si trattava di una mobilitazione anticomunista alla quale avreb-
bero dovuto partecipare i cattolici a tutti i livelli sociali e professionali per la
gestione del risultato elettorale che aveva scelto un determinato indirizzo politico
nazionale ed internazionale.
Di fronte alla esigenza di rendere testimonianza dei valori cristiani nella vita
politica e scientifica i cattolici operatori del diritto hanno sentito il dovere profes-
sionale e civile di costituire un corpo attivo attraverso il superamento dei superficiali
impedimenti iniziali. E l’impulso è certamente scaturito dalla secolare tradizione
per la quale i giuristi sono stati i preziosi collaboratori e moderatori dei “potenti”,
tuttavia rivendicando sempre per se la interpretazione e l’applicazione del diritto.
Nel 1948 i cattolici giuristi si sono, quindi, intesi in prima linea nella creazione
del nuovo paese uscito dalla Costituente e dalla consultazione elettorale, muniti
soltanto dei propri ideali e della loro professionalità.
Dalle pagine della nostra rivista, cogliendo l’occasione del sessantennio dalla
pubblicazione di Iustitia, Giuseppe Dalla Torre nel valutarne i contributi ha messo
in luce “il grado di elaborazione culturale dei fondatori e dei primi soci intorno alle
tematiche, tipicamente novecentesche, dell’identità e del ruolo del laicato cattolico
nella particolare situazione della vita professionale”. Ugualmente Benito Perrone ha
ricordato gli “ideali, vissuti e comunicati, dei fondatori dell’U.G.C.I.: servire la
società italiana e il bene comune con gli strumenti di chi, secondo le diverse
sensibilità e a tutti i livelli, è persona di diritto”. Francesco D’Agostino individuando
la distinzione fra gli operatori del diritto afferma che “per il giurista non cattolico

(10) Iustitia, 1949, 10-12 ottobre-dicembre, è totalmente dedicato al primo Congresso


nazionale dell’U.G.C.I. riportando integralmente le relazioni ed i resoconti delle adunanze
organizzative. Per completezza di informazione si riporta la composizione dei primi organi
centrali dell’Unione: F. SANTORO-PASSARELLI (Presidente del Consiglio Centrale), M. BERRI, G.
CASSANO (Vice Presidenti), F. DI PIAZZA (Tesoriere e Segretario), G. ASTUTI, G. AULETTA, G.
AZZARITI, D. BARBERO, T. CANGINI, M. DONDONA, E. GATTO, E. MINOLI, E. NASALLI ROCCA, F. PERGOLESI,
A. PIOLA, U. RADAELLI, M. RICCIO, A. TRABUCCHI, C. VARELLI (componenti); mons. F. COSTA (Consu-
lente ecclesiastico); G. AULETTA e U. RADAELLI sono anche membri designati dalla Presidenza
Centrale del Movimento Laureati di A.C.. Il Comitato esecutivo è composto dai Consiglieri
SANTORO-PASSARELLI, BERRI, CASSANO, DI PIAZZA, ASTUTI, DONDONA, RICCIO.
(11) Iustitia, 1950, 2-3 febbraio marzo, pag. 28. Quella romana non è la prima Unione
locale a costituirsi regolarmente e ad eleggere gli organi statutari, ma è stata fra le prime
costituite, preceduta, di certo, da Napoli (cfr. Iustitia, 1949, 4-5 aprile maggio, pag. 48), Pisa e
Venezia (cfr. Iustitia, 1949, 6 giugno, pag. 60).

498 TESORI DI CASA NOSTRA


l’azione giuridica ha una sua assoluta compiutezza e non rinvia ad altro al di fuori
di sé; per noi invece il diritto è la prima e necessaria parola di apertura alla carità
e attraverso ogni azione giuridica si può aprire la possibilità di una relazione tra
soggetti di diritto, ma tra esseri umani in grado di riconoscersi come fratelli” (12).
Ma non è stato solo il carattere scientifico-culturale che ha caratterizzato
l’impegno civile dell’U.G.C.I., ma è rilevante il cammino compiuto da molti suoi
associati nella vita politica partecipando alle istituzioni ed agli organi istituzionali
a tutti i livelli.
Fra i tanti.
Cosa dire — che non sia già stato ampiamente e contraddittoriamente detto- del
senatore a vita Giulio Andreotti, da decenni giurista cattolico dell’Unione romana,
che per oltre cinquanta anni ha primeggiato nella politica italiana dai tempi
dell’Assemblea costituente: sette volte Presidente del Consiglio, otto volte Ministro
della Difesa, cinque volte Ministro degli Esteri, due volte delle Finanze, del Bilancio
e dell’Industria, una volta Ministro del Tesoro e una Ministro dell’Interno, sempre
in Parlamento dal 1945 ad oggi.
Antonio Azara è stato Ministro di Grazia e Giustizia nel governo Pella del 1953,
in questa veste propose l’indulto e l’amnistia per i tutti i reati politici commessi
entro il 18 giugno 1948.
Il senatore a vita Emilio Colombo, deputato all’Assemblea costituente e più
volte Sottosegretario di Stato, Presidente del Consiglio nel 1970 e Presidente del
Parlamento europeo, ha ricoperto gli incarichi di Ministro dell’Agricoltura e Foreste,
Commercio con l’estero, Industria, Tesoro, Finanze, Esteri, Bilancio e Programma-
zione economica. Ha collaborato attivamente all’attuazione della Riforma agraria
messa a punto da Antonio Segni.
L’allora più giovane Sottosegretario di Stato Francesco Cossiga ha mantenuto
questa sua caratteristica negli ulteriori incarichi di governo, Ministro degli Interni
e Presidente del Consiglio, confermandola poi anche nella Presidenza del Senato ed
in quella della Repubblica: ha di certo caratterizzato trenta anni di vita politica
italiana.
Silvio Gava, Sottosegretario al Ministero del Tesoro e poi del Bilancio dal 1948
al 1951, assume cariche ministeriali, Ministeri dell’Industria e Commercio, del
Tesoro, di Grazia e Giustizia e della Riforma per la Pubblica Amministrazione, sino
al 1974.
Fra il 1957 ed il 1973 Guido Gonella è otto volte Ministro di Grazia e Giustizia
dopo avere ricoperto la carica di Ministro della Pubblica Istruzione dal 2o governo De
Gasperi nel 1946 sino al 1951. Come Guardasigilli programmaticamente si preoc-
cupò di fissare dei principi da seguire per una riforma della magistratura e del suo
Consiglio superiore.
Rosa Iervolino Russo dopo avere ottenuto la titolarità dei dicasteri degli Affari
Sociali e della Pubblica Istruzione è stata la prima donna ad assumere in Italia, nel
1998, la carica di Ministro degli Interni, molto sensibile verso la disciplina dell’uso
degli stupefacenti.
Nel 1971 viene eletto Presidente della Repubblica Giovanni Leone, in prece-
denza aveva fatto parte dell’Assemblea Costituente, divenendo, in seguito, prima

(12) Iustitia, 2008, rispettivamente 1 pagg. 1 ss., 5 s.; 2 pagg. 125 ss.

FABRIZIO CIAPPARONI 499


Vice Presidente, poi, Presidente della Camera dei Deputati, quindi Presidente del
Consiglio.
Protagonista agli anni del difficile consolidamento della libertà e della demo-
crazia nel nostro Paese, assicurando con imperturbabilità la sicurezza interna, è
Mario Scelba con l’assunzione del dicastero degli Interni, che ha tenuto senza
interruzioni dal 1947 al 1953 per poi tornarvi nel 1954 e nel 1960: la sua prima
carica governativa risale al 1945 con il Ministero delle Poste e Telecomunicazioni;
inoltre ha ricoperto la Presidenza del Consiglio e quella del Parlamento Europeo.
L’impostazione della riforma agraria del 1950 è legata al nome di Antonio Segni
il quale aveva già fatto parte dell’Assemblea Costituente, in seguito Sottosegretario
quindi Ministro dell’Agricoltura e Foreste, cui seguono gli altri incarichi governativi:
Ministro della Pubblica Istruzione, della Difesa, degli Interni, degli Esteri poi
Presidente del Consiglio; infine Presidente della Repubblica nel 1962.
Ed ora, in conclusione, un solo e conciso elenco di giuristi cattolici che hanno
assunto la carica di Giudici Costituzionali: Astuti, Capotosti, Chieppa, De Siervo,
Elia, Maddalena, Mengoni, Mirabellli, Mortati, Santosuosso, Saulle.
Alla luce di tutto ciò possiamo con soddisfazione concludere con l’affermazione
che i giuristi cattolici hanno rappresentato uno dei basilari pilastri nella costruzione
della giovane Repubblica Italiana, fornendo attraverso la loro competenza giuridica
le risposte cristiane ai problemi politici.

500 TESORI DI CASA NOSTRA


ANTONIO ANGELUCCI E MATTIA FERRERO
(A CURA DI)

L’INCONTRO NAZIONALE DEI GIOVANI


GIURISTI CATTOLICI A MAIORI,
DAL 3 AL 5 OTTOBRE 2008
In data 3-5 ottobre 2008, con il supporto e l’indicazione dei Presidenti Riccardo
Chieppa e Raffaele Iannotta, i Giovani dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani hanno
organizzato a livello nazionale un convegno di studio che si è tenuto a Maiori, in
provincia di Salerno, presso il Convento San Francesco dei Frati Minori.
La preparazione dell’evento si è svolta sotto la direzione di un Comitato
Scientifico composto dal Presidente centrale prof. Francesco D’Agostino, dai Vice-
presidenti centrali prof. Maria Laura Basso dell’Università di Bari e avv. Benito
Perrone del Foro di Milano, Direttore di Iustitia, dai Consiglieri centrali prof.
Riccardo Chieppa, Presidente Emerito della Corte Costituzionale, dott. Raffaele
Iannotta, Presidente Titolare della V Sezione del Consiglio di Stato, prof. avv.
Pasquale Stanzione, Preside della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di
Salerno e Gianfranco Garancini dell’Università di Milano, oltre che dai professori
avvocati Salvatore Sica e Virgilio D’Antonio della medesima Università di Salerno.
Sono intervenuti, in qualità di relatori, la prof. avv. Basso, il prof. avv. Luigi
Battista dell’Università di Teramo, l’avv. Mario Capolupo dell’Avvocatura Generale
dello Stato, il prof. avv. Garancini, il dott. Iannotta, l’avv. Silverio Sica del C.N.F.,
il prof. avv. Sica, la prof. avv. Virginia Zambrano dell’Università di Salerno.
L’evento si è svolto in collaborazione con l’Unione locale di Salerno e con la
Facoltà di Giurisprudenza e con il Dipartimento dei Rapporti Civili ed Economici nei
Sistemi Giuridici Contemporanei dell’Università degli Studi di Salerno.
La Banca della Campania S.p.A. ha offerto il suo prezioso patrocinio, mentre il
Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Salerno ha accreditato il convegno ai fini
della formazione professionale continua, permettendo ai partecipanti che ne hanno
fatto richiesta di beneficiare di nove crediti formativi.
L’incontro è stato organizzato in tre sessioni di lavoro (sabato mattina e
pomeriggio e domenica mattina), di tre ore ciascuna, volte a fornire ai partecipanti
un’approfondita disamina delle più rilevanti novità giurisprudenziali nei principali
seguenti settori del diritto: amministrativo, civile e processuale civile, tributario e
lavoro. Un’ora dei lavori è stata, inoltre, dedicata alla deontologia forense.

ANTONIO ANGELUCCI E MATTIA FERRERO 501


Le lezioni sono state strutturate in moduli. Quanto al metodo, sono stati
individuati alcuni giovani dell’Unione (professionisti e docenti universitari) che
hanno raccolto per ciascuna delle materie e degli argomenti sopra indicati un dossier
delle pronunce giurisprudenziali più recenti, con qualche riga di commento ed
eventualmente indicando o offrendo qualche contributo dottrinale particolarmente
significativo. Nel corso dell’incontro, è stato distribuito il dossier, in parte in forma
cartacea, in parte su supporto multimediale. Dopo l’esposizione delle lezioni è
sempre stato dedicato uno spazio per il dibattito.
Sabato mattina, dalle 9.30 alle 12.30, ha presieduto la prof. avv. Basso, che ha
anche letto la comunicazione di saluto che l’avv. Perrone ha rivolto ai Giovani
Giuristi Cattolici. Sono intervenuti, in qualità di relatori per il diritto amministra-
tivo e processuale civile e amministrativo, il dott. Iannotta e il prof. avv. Garancini,
che si sono soffermati in particolar modo sul riparto di giurisdizione.
Sabato pomeriggio, dalle 16.00 alle 19.00, ha presieduto il prof. Chieppa
coordinando la prof. Basso che ha trattato l’affidamento condiviso, l’avv. Sica che ha
parlato delle ultime modifiche del codice deontologico (art. 17, 17 bis e 18) e l’avv.
Capolupo che in materia tributaria ha, fra l’altro, completato il discorso in tema di
riparto di giurisdizione.
La domenica mattina, dalle 9.30 alle 12.30, sotto la presidenza del prof. avv.
Stanzione, hanno concluso i lavori il prof. Battista con il commento alla sentenza
della Suprema Corte n. 13217/2008 e l’analisi delle ultime novità legislative (fra cui
il d.l. n. 112 del 25 giugno 2008), il prof. Sica che ha riferito delle recenti pronunce
in materia di danno e la prof. avv. Zambrano che ha presentato un’interessante
riflessione dottrinale sugli aspetti giuridici della convivenza.
L’incontro si è concluso con la Santa Messa celebrata dal Vescovo di Amalfi S.E.
Mons. Orazio Soricelli, con la supplica alla Regina del SS. Rosario di Pompei,
occasionata dalla solennità mariana, e con il pranzo che è stato anche l’opportunità
per una riflessione sul passato e sul futuro dei giovani giuristi cattolici. In partico-
lare, cogliendo spunto dal discorso del Papa citato dall’avv. Perrone (1), si è ritenuto
importante organizzare, durante le pause del prossimo Convegno Nazionale di
Roma, un momento di discussione assembleare dedicato ad hoc, ove poter fare tesoro
delle parole del Pontefice e programmare con rinnovata attenzione l’attività dei mesi
a venire.

(1) Benedetto XVI, nelle invocazioni a Maria, ha chiesto che, con la sua intercessione,
« Cristo sia incontrato dai giovani, portatori per loro natura di nuovo slancio, ma spesso vittime
del nichilismo diffuso, assetati di verità e di ideali proprio quando sembrano negarli. »; la
Santa Vergine « vi renda capaci di evangelizzare il mondo del lavoro, dell’economia, della
politica, che necessita di una nuova generazione di laici cristiani impegnati, capaci di cercare
con competenza e rigore morale soluzioni di sviluppo sostenibile ».

502 TESORI DI CASA NOSTRA


Testimonianze
DOMENICO COCCOPALMERIO

LAUDATIO DI SUA SANTITA


v BARTOLOMEO I
PATRIARCA ECUMENICO

SOMMARIO: 1. Premessa. — 2. Le relazioni internazionali pubbliche. — 3. Le relazioni interna-


zionali ontologiche. — 4. Il discorso ecologico nella prospettiva teologica. — 5. Doron e
antidron. — 6. Il primo Vivente (Adamo) e il secondo Vivente (l’uomo storico). — 7. Galileo
Galilei e il primo manifesto della modernità. — 8. Per un codice etico di condotta ambientale:
metanoia enkcrateia theosis. — 9. Lavorare e custodire la terra: comunionalità dell’unica
famiglia umana. — 10. Precetti divini e diritti umani. — 11. Conclusione augurale.

Santità, Eccellenze, Magnifico Rettore, Professori, Studenti

1. Non senza emozione prendo la parola per pronunciare la laudatio di


Bartolomeo I, perché ci troviamo al cospetto di uno dei più autorevoli leader morali
del mondo.
In questa laudatio, che mi è stata affidata dal Magnifico Rettore, vorrei
distinguere due aspetti del profilo formale della laurea ad honorem, cioè le scienze
internazionali, giacché ciò che è veramente internazionale, è veramente ecumenico
e ciò che è veramente ecumenico, è veramente unificante.
In verità si può ben dire che le scienze internazionali sono le scienze delle
relazioni internazionali e le relazioni internazionali sono o relazioni pubbliche o
relazioni ontologiche. E, in entrambe, Bartolomeo I è pervenuto ad un grado di
meritata fama.

2. Per quanto riguarda le relazioni internazionali pubbliche, si deve ricordare


che, dopo la sua elezione nel 1991 al Trono Patriarcale, si è tenuto il primo incontro
dei Patriarchi delle Chiese ortodosse (Istanbul 1992), a cui sono seguiti quelli di
Patmos (1995) e di Betlemme (1999 e 2000). Il Patriarca Ecumenico ha presieduto
anche alcuni Sinodi maggiori: per la soluzione della Chiesa di Albania, ricostituitasi

DOMENICO COCCOPALMERIO 503


dopo la caduta del potere comunista; per i problemi interni alla Chiesa di Bulgaria;
per quelli relativi al Patriarcato di Gerusalemme; per la soluzione dell’Arcivesco-
vado nella Chiesa di Cipro.
Inoltre, è intervenuto per la soluzione dei “Dittici”, ossia dell’ordine canonico
tra le Chiese ortodosse, riportando l’ordine di precedenza tra le varie Chiese
dell’Ortodossia. Si è reso altresı̀ attivo per la soluzione canonica della Chiesa di
Estonia, nonché per le problematiche riguardanti la Chiesa in Ucraina, riportando
nella canonicità le Chiese ucraine della diaspora. Attualmente, si sta adoperando, in
modo particolare, per la soluzione dei problemi che vedono contrapposti, in Molda-
via, i Patriarcati di Mosca e di Romania.

3. Per quanto attiene al secondo campo, quello delle relazioni internazionali


ontologiche o sostanziali, il discorso, molto complesso, abbraccia il magistero di
Bartolomeo I ed entra nel terreno dell’ecologia, della antropologia e della ecclesio-
logia, cioè della sua concezione dell’ambiente, dell’uomo e della Chiesa nei loro
rapporti reciproci e nei loro rapporti con Dio. Cercherò di sintetizzarlo nel breve
tempo a disposizione.
Il tema ecologico è uno dei cavalli di battaglia del dibattito culturale contempo-
raneo. Il Patriarca ecumenico precisa cosı̀ la sua posizione rispetto all’ecologia: “la
nostra prospettiva non è quella di uno scienziato né di un economista; i nostri principi
scaturiscono dall’altare della Chiesa e dal cuore della teologia” (discorso del 14 luglio
2006 in apertura del “Sesto simposio internazionale sul Rio delle Amazzoni”) (1).
L’insegnamento ecologico del Patriarca Ecumenico, amabilmente presentato da
qualcuno come il Patriarca verde, si apre con una splendida e grandiosa metafora:
quella della tunica indivisa. Nella lectio magistralis presso la Southern Methodist
University (5 novembre 1997), Egli ha detto: “la nostra fede cerca di comprendere
l’intero cosmo e tutto ciò che esso contiene, come se fosse la tunica senza cuciture
della vasta creazione di Dio”. “La tunica senza cuciture della creazione divina colloca
la persona umana al punto di incontro tra il Creatore e la creazione. Il divino e
l’umano si incontrano in ogni uomo e in ogni più piccolo dettaglio del mondo creato.
L’individuo è la finestra della volontà di Dio nella creazione” (2).
In realtà, questa tunica inconsutile, questa tela senza cuciture è una duplice
tunica, è una duplice tela: la prima tunica riguarda il rapporto tra l’uomo e il creato,
che è il suo oikos, la sua casa, la sua abitazione naturale, feriale e festiva, la quale
scopre, nel racconto biblico della Genesi, la variopinta e straordinaria biodiversità
delle specie.
La seconda tunica riguarda invece il rapporto dell’uomo, che è il dominus
dell’universo, con Dio. Ma la centralità dell’uomo nel creato, la sua apicalità
creaturale, avverte Bartolomeo I, non va intesa, e quindi fraintesa, come antropo-
monismo, bensı̀ come antropocentrismo. L’antropomonismo, infatti, è una forma di
riduttivismo e di egocentrismo (Lettera Enciclica, I settembre 2006) (3).
Esso porta, dritto dritto, a quella che il Patriarca Ecumenico chiama, con il suo
linguaggio spesso politicamente e culturalmente scorretto, l’eresia moderna. Contro

(1) J. CHRYSSAVGIS (a cura di), Grazia cosmica. Umile preghiera. La visione ecologica del
Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, Libreria editrice fiorentina, 2007, d’ora in
poi convenzionalmente utilizzato con la sigla GC/UP, p. 331.
(2) GC/UP, pp. 187-189.
(3) GC/UP, pp. 56-57.

504 TESTIMONIANZE
di essa egli chiama a combattere una vera e propria crociata a favore dell’ambiente
che abbiamo trascurato per egoismo: moderna eresia, moderna crociata (Lettera
Enciclica, I settembre 2004) (4).
L’antropocentrismo rettamente inteso, dunque, non l’antropomonismo, ri-
manda alla metafora della seconda tunica, cioè al corretto rapporto tra Dio e l’uomo,
fatto a sua immagine e somiglianza (Gen, 1, 26 e Col, 1, 15).
Entrambe le tuniche, però, sottolinea Bartolomeo, sono fondate sul principio
sinergico, cioè non sono separabili tra loro e formano un tutto inscindibile, che è il
piano originario di Dio.

4. Nella prima tunica il rapporto tra l’uomo e l’ambiente si concretizza in due


compiti e si manifesta in due figure simboliche. I compiti dell’uomo verso la sua casa
sono quelli del rispetto e della protezione. Le figure simboliche, in cui questi compiti
si manifestano e con cui l’uomo assume il suo ruolo nel creato, sono quelle del
ministro e del custode. Il ministro è colui che serve; il custode è colui che salvaguarda
il dono che gli è stato dato, l’eredità che ha ricevuto, non solo quella naturale,
biofisica, ma anche quella culturale nelle sue varie forme: musica, iconografia,
architettura (lectio magistralis « Le belle arti nella prospettiva ortodossa », Bologna-
Ravenna, 19 novembre 2005).
Queste, sul punto, sono le parole del Patriarca Ecumenico: “oggi parlano tutti
dei mille pericoli che minacciano l’ecosistema, pochi però fanno il benché minimo
accenno al Dio che ha stabilito tutte le cose. Vi sono quelli che ansiosamente
registrano la continua diminuzione dei depositi degli elementi costituenti la vita;
ancora una volta (purtroppo) senza dire una parola su Dio che, nella sua infinita
bontà e benevolenza, è il depositante di tutti i beni creati a nostro uso e consumo”
(Lettera Enciclica, I settembre 1992) (5).

5. C’è, negli scritti di Bartolomeo, un’altra bellissima metafora, questa volta


tratta dalla liturgia: il doron e l’antidoron. Doron, in greco, significa dono e antido-
ron è il contraccambio del dono ricevuto. “Doro e antidoro, ha affermato il Patriarca
Ecumenico, sono termini liturgici che definiscono la visione teologica ortodossa sulla
questione ambientale in modo chiaro e conciso. Da un lato, l’ambiente naturale è il
doron irripetibile che Dio, uno e trino, ha fatto all’umanità. Dall’altro lato, il giusto
antidoron dell’umanità al suo divino Artefice sono il rispetto e la custodia di questo
dono, oltre ad un suo uso corretto e responsabile” (6).
6. Ma in che cosa consiste, nella seconda tunica, cioè nel rapporto tra l’uomo
e Dio, il principio unificante della sinergia? Leggiamo la risposta ancora nella
Bibbia: “Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti
gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo per vedere come li avrebbe chiamati: in
qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva
essere il suo nome. Cosı̀ l’uomo impose i nomi (a tutto il creato)” (Gen, 2, 19).
Adamo, dunque, come lo definisce San Paolo (1 Cr, 15, 45), è il primo uomo, il
primo Vivente (primus homo in animam viventem). E, in quanto primo uomo, primo
Vivente, egli conosce direttamente e immediatamente le essenze delle cose, conosce

(4) GC/UP, pp. 51-53.


(5) GC/UP, p. 26.
(6) GC/UP, p. 345.

DOMENICO COCCOPALMERIO 505


i noumeni, perché alle cose ha imposto il nome. Imponendo il nome alle cose, ante
culpam, Dio, in qualche modo, ha associato a sé Adamo nell’atto creativo e lo ha reso
parimenti ministro e custode del giardino dell’Eden. Ecco dove sta la sinergia della
seconda tunica che in realtà è, in ordine ontologico, la prima, anzi, in ultima analisi,
la tunica è unica.
Se Adamo è il primo Vivente, il secondo Vivente siamo noi che, post culpam,
sfruttiamo spesso il giardino dell’Eden in modo rapace e rovinoso per fini predomi-
nanti di natura utilitaristica e consumistica, cioè per pura convenienza (Lettera
Enciclica, I settembre 2004) (7).
Contro la logica della convenienza nell’uso dei beni del creato, la critica del
Patriarca Ecumenico è incessante e quasi martellante. Ascoltiamo queste sue parole
pronunciate in apertura del Summit su “Religioni e tutela ambientale”, svoltosi ad
Adami, in Giappone, il 5 aprile 1995: “la logica della distruzione dell’ambiente
rimane esattamente la stessa di quella della protezione dell’ambiente. Entrambe
queste “logiche” guardano alla natura come ad un bene esclusivamente utilitari-
stico. Cosı̀ la differenza tra queste due logiche (ovvero tra quella della distruzione e
quella della protezione dell’ecosistema) è, in definitiva, solo quantitativa. Gli ecolo-
gisti chiedono di sfruttare l’ambiente naturale in un modo limitato e controllato
(ovvero chiedono una riduzione quantitativa) che consenta di sfruttarlo ancora più
a lungo. Chiedono una limitazione razionale di un uso irrazionale; in altre parole,
una specie di razionalismo consumistico che sia più “ecologicamente corretto” di
quello su cui si basa l’attuale sfruttamento della natura. Chiedono, in ultima analisi,
una moderazione consumistica del consumismo” (8).
Ma allora questi giudizi del Patriarca Ecumenico spingono ad una domanda
radicale: comportarci in questo modo verso la Terra significa essere veramente figli
di Adamo, il padre delle essenze; significa davvero essere coerenti con lui, a lui
inerenti, suoi fedeli coeredi? La risposta è, senza alcun dubbio, negativa.
Noi, che siamo il secondo Vivente, dobbiamo prendere come punto di riferi-
mento l’Adamo primo Vivente, ante culpam, nell’atto di imporre il nome alle cose e
di renderle perciò conoscibili.
Certamente noi, il secondo Vivente, non conosciamo, post culpam, l’essenza
delle cose (i noumeni) come Adamo, primo Vivente, le conosceva intrinsecamente.
Noi conosciamo le cose, come confessava San Paolo, “per speculum et in aenigmate”,
ossia in uno specchio e nella nebbia (I Cr, 13, 12). Non solo non le conosciamo in sé,
le cose, ma neppure dobbiamo presumere di conoscerle.

7. Già il sommo Galileo raccomandava, nella Terza lettera intorno alle mac-
chie solari, di non “tentare l’essenza”. Queste sono le sue precise parole: “il tentar
l’essenza, l’ho per impresa non meno impossibile, e per fatica non men vana nelle
sustanze elementari che nelle remotissime e celesti” (9).
Ma cosa significa non “tentare le essenze”, questo primo e fondamentale mani-

(7) GC/UP, pp. 51-53.


(8) GC/UP, p. 138.
(9) G. GALILEI, Istoria e Dimostrazioni intorno alle Macchie Solari e loro Accidenti,
comprese in tre lettere scritte all’Illustrissimo sig. Marco Velseri Duumviro d’Augusta da
Galileo Galilei Nobile fiorentino, Filosofo e Matematico Primario del Serenissimo Duca Cosimo
II Gran Duca di Toscana, 1613, ora in Opere Complete di Galileo Galilei, III, Società editrice
fiorentina, 1843, p. 462.

506 TESTIMONIANZE
festo della modernità? La locuzione può significare almeno due cose: in primo luogo
noi, il secondo Vivente, possiamo conoscere le essenze solo con il linguaggio delle
“scienze matematiche pure”. Al riguardo il Patriarca Ecumenico riconosce che “la
grande sfida che la coscienza ecclesiastica ortodossa è chiamata ad affrontare oggi è
la sorprendente realtà della fisica contemporanea, è l’affascinante cosmologia che
deriva dallo studio della meccanica quantistica. Il linguaggio della fisica rivela oggi
la realtà universale come un logos (cioè come una realtà avente un fine e un significato),
che si attualizza solo nel suo incontro con il logos personale dell’uomo” (10).
Allora, veramente, si può ritenere, a ragione, che il linguaggio matematico sia
il linguaggio internazionale, ecumenico, superetnico, postbabelico (Gen, 11, 1-9). Le
“scienze matematiche pure” sono la struttura parallela del logos. Esse sono come
una teologia immanente nei fenomeni a noi teoreticamente accessibili. Esse possono
essere il luogo di transito alla teologia della trascendenza.
Rileggiamo ancora, in proposito, a conferma, un passo di Galileo nel Dialogo dei
massimi sistemi: “l’intelletto divino, egli scrive, ne sa bene infinite proposizioni, di
più (di noi), perché le sa tutte; ma di quelle poche (proposizioni) intese dall’intelletto
umano, credo, che la (nostra) cognizione agguagli la divina nella certezza obiettiva,
poiché arriva a comprenderne la necessità sopra la quale non par che possa esser
sicurezza maggiore” (11).
Ma l’ammonimento di Galileo a non “tentare le essenze” è rivolto anche, in
secondo luogo, a non tradire Adamo, che ha reso conoscibili le cose come icone di Dio
(Col, 1, 16-18), rendendole irriconoscibili con la nostra ricerca.
Per il pensiero teologico-biblico, il degrado in atto del creato, la cosiddetta crisi
ecologica, denunciata con insistenza ed efficacia dal Patriarca Ecumenico, è un’of-
fesa non solo di Dio creatore, ma altresı̀ di Adamo, in quanto in qualche modo a Dio
associato nella nominazione delle essenze, in quanto suo delegato alla costruzione
concettuale e archetipica dell’universo, in quanto, più esattamente, de-nominatore
delle cose, poiché de-nominare è trarre le essenze alla luce dalla luce del Logos
increato e sorgente di tutte le idee.
Il mondo è sı̀ pensiero di Dio, ma insieme è pensiero di Adamo, padre delle
essenze. Prescindere da Adamo è amputare il disegno originario. Dal punto di vista
teologico-biblico, la ricerca scientifica (si potrebbe dire) è una continua esplorazione
e scoperta della mente di Adamo.
Infatti, se si vuole essere coerenti con il racconto biblico, dobbiamo spingerci fino
al punto di affermare che Adamo conosceva perfettamente e adeguatamente le leggi
della fisica quantistica (per riprendere la citazione di Bartolomeo) in quanto appunto
a Dio consociato, come padre dei nomi, nella creazione del mondo (quaedam parte-
cipatio similitudinis divinae mentis). Al contrario, noi dobbiamo faticosamente rico-
struirle e interpretarle perché conosciamo solo in speculum et in aenigmate. Adamo
è, in certo qual modo, coautore del libro delle scienze; noi ne siamo solo i lettori.
Allo stesso modo, difendere, proteggere, rispettare, avere cura amorevole e devota
del Pianeta, esserne veramente ministri e custodi significa onorare non solo Dio, ma
lo stesso Adamo; significa realizzare noi in lui; significa glorificare la nostra umanità
nella sua ancora immacolata umanità primigenia a immagine e somiglianza alla Per-

(10) GC/UP, p. 123.


(11) G. GALILEI, Dialogo dei massimi sistemi, 1630, ora in Opere Complete di Galileo
Galilei, I, Società editrice fiorentina, 1842, p. 116.

DOMENICO COCCOPALMERIO 507


sona trinitaria. Significa altresı̀ compartecipare, nei millenni della storia, alla re-
sponsabilità fondativa della terra, ab initio, tramite il nostro lavoro nella catena vitale
e solidale delle generazioni (Lettera Enciclica, I settembre 2005) (12).

8. È sulla base di questa consanguineità con Adamo nel rispetto delle essenze
da lui denominate e nell’uso retto delle cose a lui affidate che Bartolomeo condanna
senza appello la arroganza e la presunzione di una certa tecnoscienza di oggi senza
freni morali, senza limiti oggettivi, irresponsabile, perché rende irriconoscibile lo
stesso volto di Adamo impresso nel creato, sfigurandolo.
“Noi non ci opponiamo, ha affermato il Patriarca Ecumenico in un discorso del
12 giugno 2002 per il conferimento in Oslo del prestigioso Premio Sophie, alla
conoscenza, ma evidenziamo la necessità di procedere con discernimento. Sottoli-
neiamo, inoltre, i possibili pericoli di interventi prematuri che possono portare al
“desiderio di diventare più grandi degli dei”, cosa che, nell’antichità, con Euripide,
i Greci definivano hybris, cioè violenza. Una tale discordia distrugge l’armonia
interiore che caratterizza la bellezza e la gloria del mondo che San Massimo il
Confessore chiamava liturgia cosmica” (13).
L’antidoto più efficace a tale hybris contro il creato è l’adozione di un “codice di
condotta ambientale”, il cui manifesto principale (altro esempio concreto di inter-
nazionalità e quindi di ecumenicità) può essere considerata la Dichiarazione con-
giunta firmata da Giovanni Paolo II e da Bartolomeo I, collegati per via satellitare
il 10 giugno 2002, a conclusione del Quarto simposio internazionale e interreli-
gioso (14). In essa si legge che “il problema ecologico non è meramente economico e
tecnologico, ma è di ordine morale e spirituale. Si può (infatti) trovare una soluzione
a livello economico e tecnologico solo se, nell’intimo del nostro cuore, avverrà un
cambiamento quanto più possibile radicale” (15).
Questa etica ambientale, presupposto ineliminabile di ogni politica ambientale,
destinata altrimenti al fallimento, è stata sintetizzata dal Patriarca Ecumenico in
tre principi:
1) quello della metánoia o conversione dello spirito;
2) quello della enkráteia o adozione di uno stile di vita sobrio, umile, solidale;
3) quello della théosis o della santificazione dell’esistenza (lezione al Primo
simposio internazionale sul tema “Rivelazione e ambiente”, 1995) (16).

9. Ma un altro rilevante tema del magistero del Patriarca Ecumenico merita


di essere riferito. Nella conferenza tenuta ai giovani nell’Università di Bologna il 18
novembre 2005, egli ha sviluppato questo concetto: Dio ha comandato all’uomo di
lavorare e di custodire il creato. Tale comandamento lavorare e custodire vale per
tutta la terra che è diventata abitazione del genere umano. « Abbiamo, dunque, il
diritto di nutrirci, di vestirci e di procurarci dalla terra tutto il necessario possibile
(in questo consiste il comandamento lavorare), abbiamo però anche l’analogo obbligo
e dovere di effettuare questo sfruttamento in modo che sia conservata la capacità

(12) GC/UP, pp. 54-55.


(13) GC/UP, pp. 295-296.
(14) GC/UP, pp. 288-291.
(15) GC/UP, p. 289.
(16) GC/UP, pp. 147-149.

508 TESTIMONIANZE
della terra di produrre anche in futuro gli stessi beni, per il mantenimento di quanti
nasceranno dopo (questo è il contenuto del comandamento custodire) ».
C’è, in questo brano, una precisa concezione del tempo e della storia. Infatti, in
un’epoca di globalizzazione come quella che viviamo, il tempo viene frantumato e
quasi parcellizzato; esso diventa puntiforme nell’attimo fuggente a inclinazione e a
tentazione consumistica e utilitaristica. L’ora prevale sul giorno, il giorno sul mese,
il mese sull’anno.
In una parola, il tempo è percepito come un fatto intragenerazionale e non più,
come una volta, alla stregua di un’esperienza intergenerazionale di solidarietà tra
padri, figli, nipoti e perciò come un’esperienza di comunionalità parentale e sociale.
Prima c’era qualcosa da risparmiare, qualcosa da consegnare, qualcosa da
tramandare, qualcosa da riservare per i venturi vicini e lontani. Ora, invece, ognuno
vive più per sè che per gli altri e la memoria si accorcia e il futuro si chiude nel
presente mosso da impulsi di vita immediata ed egoistica.
All’opposto, la visione del tempo e della storia che il Patriarca Ecumenico ci
prospetta e a cui ci invita, in una metánoia, cioè in un cambiamento di condotta, è
ben altra. Essa consiste in una concezione unitaria del tempo (di passato, presente
e futuro) e in una visione non frazionabile della tradizione di popoli, nazioni, paesi.
Essi, nel loro peregrinare storico di generazione in generazione, sono semen aeter-
nitatis. Essi hanno pari dignità di convivenza laboriosa e pacifica e di libero accesso
alle condivise e preziose risorse ambientali ancora disponibili. Il loro destino, infine,
è la tranquillitas ordinis di agostiniana memoria, cioè sono la giustizia e la pace
nella casa comune del creato abitato e salvaguardato dall’unica famiglia umana.

10. A questo punto, in conclusione, possiamo estendere l’alto magistero di


Bartolomeo I dai temi della ecologia ai temi dei diritti umani, di cui, a più riprese,
si è occupato, distinguendo, tra l’altro, tra precetti divini e diritti umani (Lettera
Enciclica, 1 settembre 1993) (17).
Questo dei diritti umani è un argomento di gran moda come quello ecologico, di
cui tutti vogliono appropriarsi, parlandone e straparlandone. Ma, in queste condi-
zioni, quando la parola è abusata e il semantema è chiacchierato, esso è inevitabil-
mente banalizzato e strumentalizzato.
E, come per l’ecologia, cosı̀ per i diritti umani il punto di partenza e il
fondamento sono sempre gli stessi. Si tratta del passo biblico del Genesi 1,31: “E cosı̀
avvenne. Dio vide quanto aveva fatto; ed ecco, era cosa molto buona”.
Illustrando questo racconto biblico, il Patriarca Ecumenico ci insegna: le cose
del creato come sono uscite dalle mani di Dio, secondo il suo disegno, sono molto
buone, sono realtà positive. Trattale come tali e lasciati penetrare da esse, prima che
tu le governi con il tuo lavoro ricreatore. Non strappare, non lacerare la tunica
inconsutile (ambiente e diritti umani, creato e persona).
Ebbene, anche quelli che chiamiamo, nel linguaggio corrente, in modo forse
improprio e ambiguo, i diritti umani, sono, in verità, i beni primordiali, adamitici,
dell’uomo; sono i suoi beni più preziosi, più alti, irrinunciabili, perché egli possa
raggiungere il suo posto equilibrato, ortodosso, nella Terra: sono, innanzitutto, la
vita, la libertà, la proprietà, la salute, l’istruzione, il lavoro.
Questi beni esistono non per un atto di potestà del legislatore storico, non

(17) GC/UP, pp. 28-30 e pp. 185-186.

DOMENICO COCCOPALMERIO 509


perché concessi ex voluntate viri, ma perché esiste il creato come opera buona di Dio
e perché, nel creato, l’uomo è l’omega della sua evoluzione.
In tal modo Bartolomeo si schiera contro il positivismo e il volontarismo
giuridici ancora dominanti nella cultura e nella pubblica opinione contemporanee; si
batte contro la concezione a base convenzionalistica e pattizia dei diritti umani che
li rende vulnerabili e li abbandona alla merce’ degli Stati sovrani e delle loro logiche
di convenienza.
Viceversa, egli proclama una visione assiologica dei diritti umani e propugna
una ecogiustizia intesa come sinergia fra la Terra e i suoi abitatori. Cosı̀ facendo,
Bartolomeo conferisce ai diritti umani la vera stabilità e la possibilità concreta,
perché condivisa nelle coscienze, di una loro effettiva dimensione internazionale ed
ecumenica.
C’è un parallelismo tra la consapevolezza sempre più diffusa del problema
ecologico come armonia tra il creato e l’uomo, evidenziata nella Dichiarazione
congiunta sull’etica ambientale del 2002, da un lato, e, dall’altro, la consapevolezza
crescente che i diritti umani, prima che norme, sono beni; essi sono norme perché
sono beni; essi sono i beni regali della persona, la quale, per Bartolomeo, è addirit-
tura un concetto biblico (18).
Credo che il Patriarca Ecumenico sottoscriverebbe in toto la definizione del
diritto data da Antonio Rosmini, secondo il quale “la persona dell’uomo è il diritto
umano sussistente: quindi anco l’essenza del diritto” (19). La persona però, non
l’individuo, distingue nettamente Bartolomeo. “L’individuo infatti vede gli esseri
umani e le cose solo se potrà trarre profitto da essi” (20), mentre la persona “si pone
al di sopra delle condizioni, degli interessi, dei fini della propria esistenza biologica,
sociale, psicologica” (21).
La persona, afferma il Patriarca Ecumenico, è capace di due superamenti, uno
ascensionale verso l’alto, l’altro discensionale verso il basso. Il superamento ascen-
sionale porta l’uomo verso i valori, verso i beni che culminano nel Bene supremo. Il
superamento verso il basso lo porta a liberare quella che il Patriarca Ecumenico
chiama “la parola silenziosa dell’Universo”, cioè, appunto, lo porta a dare un nome,
un’anima agli esseri viventi, rendendoli conoscibili e quindi spirituali (22). Questi
due movimenti possono, anzi dovrebbero ispirare anche la struttura della politica e
del diritto nella loro operatività concreta.
A questi due movimenti della persona, inoltre, Bartolomeo ha assegnato precisi
compiti, per esempio nella allocuzione alla sessione plenaria del Parlamento euro-
peo (Strasburgo, 19 aprile 1994).
Pertanto, secondo Bartolomeo, il movimento della persona verso il basso ha
come compiti prioritari sia la lotta contro la disoccupazione “che a%igge l’Europa ai
nostri giorni” sia la lotta contro la crisi ecologica a cui occorre dare “una risposta
paneuropea”, anticipando una strategia complessiva di azione coordinata dei Paesi
appartenenti all’Unione europea anche in altri ambiti, p.e. quelli della politica
estera, dell’immigrazione, della sicurezza, della ragionevole durata dei processi.

(18) Lectio Doctoralis tenuta all’Università di Aix-Marsiglia il 7 novembre 1995, ora in


BARTHOLOMEOS I, Gloria a Dio per ogni cosa, Comunità di Bose, 2001, p. 69.
(19) A. ROSMINI, Filosofia del diritto, I, Edizioni Cedam, 1967, p. 191.
(20) BARTHOLOMEOS I, Gloria a Dio per ogni cosa, cit., p. 69.
(21) Op. cit., p. 71.
(22) Op. cit., p. 71.

510 TESTIMONIANZE
Per cogliere la portata enorme di questi impegni globalizzati, basti rileggere le
seguenti parole di Bartolomeo: “il problema ecologico odierno richiede una rivalu-
tazione radicale della nostra concezione del mondo nella sua globalità” (23).
Ma la persona (si è accennato) è il centro di impulso anche di un movimento
verso l’alto, perché essa è datrice del senso dell’essere sempre e dovunque: nel
piccolo e nel grande, nel particolare e nell’universale, nell’umile cronaca di ognuno
di noi e negli imponenti processi della storia mondiale.
La civiltà, infatti, altro non è se non dare un senso alle cose, altro non è se non
un “approfondimento dell’esistenza”, ha detto Bartolomeo, riprendendo un’espres-
sione di Kierkegaard (24).
Questo darsi un senso, questo possedere un senso dell’essere e della vita, per
Bartolomeo, è l’esigenza più profonda e più urgente dell’Europa nel terzo millennio.
L’Europa, infatti, non può costruirsi “sul primato assoluto della nozione (globali-
stica) di sviluppo, definita soltanto in termini economici (25), ma deve diventare una
“comunità costituita da persone”, deve diventare un “Bund, una alleanza, una
società a livello spirituale: questo è ciò che furono il Cristianesimo medioevale o
l’Europa dell’Illuminismo francese” (26), respirando però sempre con due polmoni,
quello dell’Occidente e quello dell’Oriente (27).
Molte altre cose si potrebbero dire in una laudatio del magistero e dell’operato
del Patriarca Ecumenico. Ma il tempo è tiranno.

11. Santità, questa Università si congratula con Lei per il nuovo titolo acca-
demico che essa ha l’onore di conferirLe oggi; questa Università che, in tempi
drammatici della nostra storia patria, ha fatto brillare la stella della nostra identità
nazionale attraverso le parole e l’azione di un grande Rettore come Ermanno
Cammarata di cui sono stati di recente pubblicati alcuni inediti per meritoria
iniziativa del nostro Magnifico Rettore, Francesco Peroni, che gli è succeduto nella
cattedra rettorale; questa Università che ogni giorno intreccia e rinnova le sue
energie poste al servizio eccellente dello studio, della ricerca, della educazione, La
ringrazia per l’impegno profuso negli anni a difesa dell’ambiente e per il Suo
altissimo magistero di educazione delle coscienze al dialogo interreligioso, intercon-
fessionale, interdisciplinare e alla pace tra i popoli, assicurandoLa che La accom-
pagnerà sempre, con affetto e riconoscenza, quale preclaro dottore del suo coro
accademico.

(23) Op. cit., pp. 83-86.


(24) Op. cit., p. 72.
(25) Op. cit., p. 83.
(26) Op. cit., pp. 84, 73.
(27) AA.VV., Un ponte tra Occidente e Oriente, Centro Ambrosiano, 1998. Sull’attuale
svuotamento spirituale dell’Europa e sulla strategia terapeutica per fronteggiarlo in un’ottica
antropologica di « bene umano in quanto percepibile nella sua oggettività e comunicabile nella
sua dimensione di valore », che trova nella dignità della persona umana il suo fondamento
metapolitico, cfr. F. D’AGOSTINO, Benedetto XVI e l’Europa, in “Iustitia”, 2006, pp. 385-396. Cfr.
anche il discorso di Benedetto XVI alle Nazioni Unite nell’aprile 2008, in cui egli afferma il
principio della responsabilità della difesa dei diritti-beni fondamentali delle persone-popoli
come priorità etica della azione dei Governi nazionali.

DOMENICO COCCOPALMERIO 511


Panorama
ANDREu S OLLERO

LAICITA SPAGNOLA (*)

SOMMARIO: 1. Introduzione. — 2. Laicità positiva. — 3. Il principio di cooperazione. — 4. Con-


clusioni.

1. Il termine “laicismo” fa riferimento ad una particolare concezione della res


publica. La maggiore preoccupazione dei sostenitori di questa teoria non è l’indi-
pendenza o l’autentica neutralità dello Stato, ma la “non contaminazione” tra
religione e politica.
In realtà, relegare ogni convinzione religiosa nell’intimo della coscienza indivi-
duale, proponendo una netta separazione tra Stato e fede, può voler dire rifiutare
che la religione faccia parte della società. Infatti, la versione “patologica” del
laicismo potrebbe addirittura implicare che i cittadini vengano discriminati in
ragione della loro fede.
Ancor di più, alcune proposte politiche potrebbero essere etichettate come
“confessionali” semplicemente perché coerenti con la morale o con la dottrina di una
determinata religione. Eppure, non c’è nulla di meno laico che evitare il confronto
con una legittima istanza della società civile, affermando che una legge ispirata da
questa necessità comporti l’indebita ingerenza della Chiesa negli affari pubblici.
La Costituzione Spagnola del 1978 non contiene, né nel preambolo né nell’ar-
ticolato, alcun riferimento a Dio. Da ciò possiamo inferire che la Spagna è uno stato
laico?
Non è possibile rispondere a questa domanda senza esaminare i diritti e le
libertà fondamentali stabilite dalla stessa Carta Costituzionale e senza precisare, in
via preliminare, cosa si intende per “laico” (1).
Il significato di questo aggettivo qualificativo può essere interpretato in modi
molto diversi e portare alla “laicità”, o al “laicismo”. Eppure, se leggiamo attenta-

* tr. it. G.S.


(1) Mi sono già occupato del tema in ¿España, un Estado laico? La libertad religiosa en
perspectiva constituxional, Civitas, Madrid 2005.

ANDREu S OLLERO 513


mente l’articolato, ci rendiamo conto che il tenore letterale dell’art. 16.1 della
Costituzione Spagnola risulta incompatibile con il “laicismo”: “è garantita la libertà
ideologica, religiosa e di culto degli individui e delle comunità”.
In effetti, non è possibile interpretare il testo in senso ’individualista’; come se
la Costituzione identificasse la libertà religiosa con una mera libertà di coscienza,
senza contemplare anche l’aspetto pubblico e collettivo della fede.
Infatti, l’articolo 16.1 garantisce un certo ambito di libertà ed una determinata
sfera di “agere licere” con assoluta immunità dalla coazione, senza prevedere, per
l’esercizio di questa libertà, ”altre limitazioni, nelle sue manifestazioni, che quelle
necessarie per il mantenimento dell’ordine pubblico”.
A tutto ciò dobbiamo aggiungere che la giurisprudenza costituzionale ha fatto
spesso riferimento ad una dimensione “negativa” ed “esterna” della libertà ideolo-
gica e religiosa. La dimensione negativa della libertà religiosa è prevista dall’arti-
colo 16.2 che proibisce modalità investigative di stampo inquisitorio: “nessuno potrà
essere sottoposto ad interrogatorio circa la propria ideologia, religione o fede”.
A ben vedere, la laicità non è che una delle conseguenze elementari e dirette di
questo principio costituzionale. Per di più, al fine di preservare il pluralismo, è bene
che siano accettati due presupposti fondamentali: 1) non esiste proposta legislativa
proveniente dalla società civile che non si basi (in modo più o meno diretto) su di una
qualche teoria in auge all’interno del corpo sociale; 2) l’eventuale fondamento
religioso di questa dottrina deve risultare del tutto irrilevante.
In tal modo confutiamo la tendenza laicista a proporre una concezione mani-
chea dell’opinione pubblica; soprattutto nel momento in cui viene proclamato e
difeso il principio per cui non è corretto imporre le proprie idee agli altri.
In primo luogo, la maggioranza delle norme giuridiche esistono proprio per
obbligare qualcuno a tenere un determinato comportamento, a prescindere dal fatto
che il destinatario della norma sia o meno convinto della giustezza del precetto (che
si tratti di rubare, di evadere le tasse o seminare terrore per conseguire obiettivi
politici...)
In secondo luogo, non esiste alcun motivo per redarguire solo coloro i quali
manifestano idee religiose, come se gli altri fossero meno convinti delle proprie
teorie e non provassero, comunque, ad ottenere leggi coerenti con i propri convinci-
menti.
Sebbene le religioni, sia al loro interno che nei confronti della società —,
possano — o debbano — evitare di scadere nell’ideologia, è indubbio che lo Stato non
debba trattare la religione peggio di come tratta l’ideologia. A tal proposito, la
Costituzione spagnola paragona esplicitamente le “libertà ideologica, religiosa e di
culto”, evitando, in tal modo, che sia possibile fondare sul testo costituzionale la
seguente teoria laicista: relegare la religione all’ambito privato e del culto, riser-
vando il dibattito pubblico al libero conflitto tra le ideologie, scevre da ogni sospetto.
Non c’è nulla di più estraneo alla laicità che trasformare il laicismo in una religione
civile.

2. Possiamo evitare ogni interpretazione laicista del testo costituzionale sulla


base del terzo paragrafo, poiché quest’ultimo protegge quello specifico ambito di
libertà che il Tribunale ha definito, in modo frequente (2) come “laicità positiva”;

(2) SSTC 46/2001 F.4, 128/2001 F.2, infine, 154/2002 F.6. e 101/2004, F.3.

514 PANORAMA
paradossalmente, è lo stesso Tribunale a fornire una definizione negativa del
concetto, parlando, ad esempio, di “aconfessionalità”: “nessuna confessione avrà il
carattere statuale”. La laicità realmente “positiva” viene presa in considerazione in
seguito, quando la stessa Costituzione afferma che “i poteri pubblici riserveranno
attenzione alle convinzioni religiose della società spagnola e manterranno congrue
relazioni di cooperazione con la chiesa cattolica e con le altre religioni”.
Ci troviamo di fronte ad uno Stato che si impegna ad essere neutrale e,
contemporaneamente, al servizio di una società che non è neutra né deve essere resa
tale (nella misura in cui si intenda rispettarne il pluralismo) (3).
Tutto ciò risulta assolutamente incompatibile con la concezione della laicità
dominante nel diciannovesimo secolo, ovvero, con l’idea che la laicità significhi
agnosticismo, relativismo e laicismo. In base all’articolo citato, lo Stato si comporta
laicamente quando considera la religione come un fattore sociale al pari degli altri.
Questa teoria risulta compatibile con un atteggiamento di carattere positivo, che
comporta che alla religione venga riservato un “favor iuris” simile a quello dovuto
all’arte, al risparmio, alla ricerca, allo sport, etc.
Al riguardo, è bene ricordare che, in più di un idioma, la parola “laico” è
sinonimo di “profano”: in tal modo viene normalmente identificato il comune citta-
dino (in quanto ignora alcune conoscenze specifiche normalmente non accessibili ai
‘comuni mortali’).
Se lo intendiamo cosı̀, il laico è un cittadino titolare di diritti, e non il mero
ricettore passivo delle decisioni adottate dai rappresentanti istituzionali di turno (a
prescindere dal fatto che questi ultimi facciano parte della gerarchia di specifica
confessione, oppure siano meri funzionari statali).
La concezione positiva della laicità, che attribuisce al concetto un contenuto
precipuo, trova un contrappunto adeguato in qualsiasi attitudine classificabile come
“clericale”, tanto nella sua dimensione politica di relazione confessione/stato, quanto
nella dimensione ecclesiale di relazione gerarchia-fedeli.
Clericalismi a parte, lo Stato sarà davvero laico quando metterà al centro della
discussione politica i diritti dei cittadini, consentendo loro di essere, effettivamente,
“laici”.
Al contrario, lo Stato cesserà di essere laico, per divenire confessionale o
laicista, quando proverà ad imporre ai “sudditi” una specifica teoria culturale,
fondata su di una specifica ideologia politica: ancora una volta “cuius regio eius
religio” o, per meglio dire, “cuius regio eius non - religio”.
Riassumendo, la laicità si fonda su tre assiomi:
1. I poteri pubblici non solo devono rispettare le convinzioni dei cittadini, ma
devono fare in modo che questi siano “liberamente orientati” dalle confessioni alle
quali appartengono.
2. I credenti, una volta formata in tutta libertà la propria coscienza personale,
devono rinunciare in ambito pubblico ad ogni argomento di autorità, ragionando in
termini comprensibili da chiunque e sentendosi responsabili essi stessi dei problemi
che angosciano la società (senza addossare tutta la responsabilità alla gerarchia
ecclesiastica).

(3) R. NAVARRO VALLS si basa sulla giurisprudenza tedesca per affermare che “il richiamo
alla libertà religiosa negativa non può determinare una lesione della libertà religiosa positiva”
— Justicia constitucional y factor religioso in La libertad religiosa y de conciencia ante la
justicia constitucional Granada, Comares, 1998, 31 e nota numero 25.

ANDREu S OLLERO 515


3. Gli agnostici e gli atei non possono sottrarsi alla necessità di giustificare le
proprie convinzioni, anche loro devono elaborare argomentazioni valide a supporto
del proprio pensiero. Ciò significa che gli atei non possono utilizzare l’argomento
della non — autorità, poiché questo argomento conduce, solitamente, ad una sorta
di caccia alle streghe con riguardo alla natura (più o meno religiosa) delle proposte
di legge avanzate dai loro concittadini.
Il riferimento esplicito alla chiesa cattolica è stato uno dei momenti più delicati
nella stesura della Carta Costituzionale, l’empasse fu superato grazie al sostegno, a
dire il vero poco convinto, dei deputati comunisti (a fronte della manifestata ostilità
dei deputati socialisti) (4).
Il reale portato della cooperazione prevista dalla Costituzione e la possibile
discriminazione delle religioni minoritarie restarono, tuttavia, problemi irrisolti.
Per questo motivo, lo Stato Spagnolo firmò, nel gennaio del 1979 una serie di accordi
con la Santa Sede, seguiti, nel 1992, dagli accordi sottoscritti con la Federazione
delle Comunità Religiose Evangeliche, la Federazione delle Comunità Israelite e la
Commissione Islamica.
Il mandato di cooperazione manifesta la sua dimensione “positiva” quando
viene messo in relazione, nella letteratura accademica e nella giurisprudenza
costituzionale, con la dimensione “promozionale” dell’articolo 9.2 CE: “spetta ai
poteri pubblici promuovere le condizioni in base alle quali la libertà e l’uguaglianza
dell’individuo e dei gruppi dei quali fa parte siano reali ed effettive”.
In tal modo, la Costituzione Spagnola va oltre la dimensione “negativa”, propria
della c.d. “prima generazione dei diritti e delle libertà” di netta impronta liberale.
E’stato detto che ciò rappresenta una novità, poiché implica che la religione venga
riconosciuta non solo nel circoscritto ambito della coscienza individuale, ma anche
come fatto sociale, collettivo e plurale; ovvero, la Costituzione suppone che sia presa
in considerazione la realtà sociale in quanto elemento vincolante per i poteri
pubblici. La Carta Costituzionale avrebbe preteso, dunque, una “laicità positiva”,
caratterizzata da una fattiva cooperazione, mentre la laicità meramente negativa
implica solo indifferenza (5).

3. Una volta impostato il problema in questi termini, diviene necessario


stabilire i contorni e la portata effettiva della cooperazione, il che significa analiz-
zarne in particolar modo tre aspetti:
1) il rispetto del mandato di aconfessionalità;
2) la necessità di rendere compatibile la cooperazione con la libertà di coscienza
dei pubblici funzionari;
3) la adeguata proporzionalità nella cooperazione con tutte le religioni.
Il dibattito relativo alla possibile discriminazione tra la chiesa cattolica e le

(4) Con riguardo alle modifiche apportate al progetto di legge, Constitución Española.
Trabajos parlamentarios Madrid, Cortes Generales, 1980, t. I, pp. [10, 396, 146, 180, 183, 197,
242, 320, 485 e 515]; circa il dibattito parlamentare, t. I, pp. [680, 719 1020, 1027 e 1028]; t. II,
pp. [1885, 2046, 2052 e 2065]; per quel che concerne il dibattito e gli emendamenti proposti al
Senato, t. III, pp. [2677, 2792, 2839, 2854, 2910, 3222, 3224-3226 e 3230-3231]; t. IV, pp.
[4416-4418 e 4422].
(5) Lo stesso Tribunale Costituzionale afferma che oggi “si esige dai poteri pubblici una
attitudine positiva, nel nome di una prospettiva che potremmo definire assistenziale o presta-
zionale” - STC 46/2001, F.4.

516 PANORAMA
altre religioni ha ricevuto un forte impulso nel 1981, a seguito della approvazione di
un regolamento sull’assistenza religiosa nelle forze armate. I deputati che proposero
il ricorso ritenevano che il provvedimento fosse incostituzionale, anche “per omis-
sione”, dato che non prevedeva la presenza di ministri di un culto diverso da quello
cattolico.
Questo ragionamento, sviluppato in una evidente prospettiva laicista, potrebbe
essere definito come un argomento ’ad absurdum’(dato che suppone una parità tra
le religioni di fatto non raggiungibile). Se viene intesa in questo modo, la propor-
zionalità può essere ottenuta solo attraverso un “livellamento verso il basso” (6).
Il Tribunale Costituzionale, all’unanimità, ha dato risposta negativa al ricorso,
limitandosi a rilevare, in seguito, che non esiste alcun carattere discriminatorio
nella norma, dato che “la legge non esclude la assistenza religiosa ai membri di altre
confessioni, nella misura e proporzione adeguata”; solo se lo Stato “ignorasse le
richieste” di altre religioni potrebbe configurarsi una lesione del principio di ugua-
glianza (7).
Questa sentenza è particolarmente importante, dato che affronta in modo
diretto il rapporto tra libertà ed eguaglianza. Al riguardo, la soluzione fornita dalla
Corte non avrebbe potuto essere più nitida: “in questa materia, il principio di
uguaglianza deve essere inteso come una conseguenza del principio di libertà” (8).
Il primo ed il secondo principio a cui abbiamo fatto riferimento — ovvero la
aconfessionalità e la libertà religiosa dei funzionari — potrebbero entrare in con-
flitto con la legge nel caso in cui si verificasse una eccessiva proliferazione delle
cerimonie religiose nei campi militari, soprattutto laddove non fosse semplice capire
se si tratta, effettivamente, di cerimonie religiose o di rituali militari a contenuto
religioso.
Siamo di fronte a una delle subdole conseguenze della vecchia confessionalità o
non si tratta, al contrario, del nuovo principio di collaborazione?
La Corte affermò che “l’articolo 16.3 non impedisce alle forze armate di cele-
brare le festività o di partecipare a cerimonie religiose”, ciò che conta è che sia
sempre rispettato il principio di “volontaria partecipazione” (9).
Dopo diversi anni, lo stesso Tribunale stabilı̀ che l’art. 16.3 CE, “formulando
una dichiarazione di neutralità [...] considera la componente religiosa rilevante
all’interno della società spagnola e ordina ai poteri pubblici di mantenere « congrue
relazioni di collaborazione con la chiesa cattolica e con le altre religioni » (10). Il
riferimento alla neutralità è particolarmente importante, dato che uno degli argo-
menti maggiormente utilizzati dal laicismo consiste nel richiedere che lo Stato

(6) Nel voto a sfavore viene evidenziato un significato ’obiter dictum’, non diverso dalla
teoria fatta propria dalla maggioranza, infatti, secondo il magistrato Jiménez de Parga, l’art.
16 non rende la Spagna “uno Stato laico, nel senso francese del termine”, in base al quale “ogni
religione, in quanto manifestazione della intima coscienza del cittadino, deve essere conside-
rata allo stesso modo e determinare eguali diritti e doveri” – il voto ottenne tre adesioni (STC
46/2001).
(7) STC 24/1982, F.4.
(8) STC 24/1982, F.1.
(9) Si insiste sul punto nella successiva STC 101/2004. Non può essere condivisa, invece,
l’affermazione secondo cui “non ogni atto lesivo di un diritto fondamentale è un delitto”, per cui,
anche se i militari “violarono l’aspetto negativo della libertà di religione”, questa condotta non
“integra, necessariamente, una fattispecie penale” - STC 177/1996, F.10 y 11.
(10) STC 46/2001, F.4.

ANDREu S OLLERO 517


mantenga una attitudine neutrale nei confronti di tutte le religioni, evitando
qualsiasi atteggiamento di parzialità, poiché sarebbe potenzialmente dannoso per la
società.

4. Nel contesto della cooperazione, il neutrale non può essere identificato con
il neutro; per questo motivo, dobbiamo scartare, immediatamente, ogni suggestione
neutralizzante. Esiste, dunque, un modo positivo di intendere la libertà di religione,
questa teoria implica che il contenuto della libertà non venga sacrificato nel nome
dell’uguaglianza.
Dato che la libertà di religione è un diritto che attiene alla persona, il laicismo
è molto attento alle sue inevitabili ripercussioni sociali; per questo motivo, finisce
per anteporre ossessivamente l’eguaglianza alla libertà, sino al punto di rendere
quest’ultima pubblicamente irrilevante (11).
Detto in altre parole, la teoria laicista implica un comportamento più “neutra-
lizzante” che neutrale. La differenza tra essere neutrali o neutri è una eco della
differenza che esiste tra la ”neutralità di propositi” (in base alla quale lo Stato “deve
astenersi da qualsiasi attività che favorisca o promuova qualsiasi dottrina partico-
lare a scapito di altre”), e la “neutralità di effetti o di influenze”; poiché è impossibile
che l’intervento statuale non abbia ripercussioni sul modo in cui le religioni si
espandono e fanno proseliti (12).
Nessuno ritiene che sia necessario spiegare cosa si intenda, esattamente, con il
termine ’libertà ideologica’, allo stesso modo, non è affatto difficile descrivere cosa
sia la “libertà religiosa”. Risulta invece opportuno domandarsi se il pluralismo, in
quanto valore fondamentale dell’ordinamento, risulti o meno compatibile con l’egua-
glianza ideologica, che persegue una completa omologazione degli effetti prodotti
dalle dottrine vigenti in seno alla società. Non c’è nulla di meno pluralistico che una
pluralità organizzata in modo da garantire la assoluta omogeneità culturale.
Avrà ancora meno senso, dunque, perseguire una sorta di “uguaglianza reli-
giosa”, capace di parificare gli effetti prodotti dall’intervento dei poteri pubblici sulle
diverse confessioni.
Difendere la cooperazione ed il pluralismo non significa organizzare un finto
pluralismo, significa prendere in seria considerazione le credenze religiose profes-
sate dai cittadini, anche se queste ultime, essendo un frutto della libera volontà dei
credenti, saranno prevedibilmente diseguali.
Il passaggio dalla confessionalità cattolica del regime franchista al sistema di
cooperazione sembra aver trasformato, attraverso una concezione positiva della
laicità, la costituzione del 1978 in uno strumento efficace per la garanzia e la
promozione della libertà religiosa. Non è corretto affermare che la religione catto-
lica, pur essendo la confessione di gran lunga più diffusa in Spagna, sia stata la
unica beneficiaria del nuovo regime, al contempo, non risulta affatto accettabile una
interpretazione laicista del testo costituzionale.

(11) Ho avuto modo di occuparmi di questo aspetto della laicità in Christianisme,


sécularisation et droit moderne: le débat de la loi espagnole de mariage civil de 1870 tr.it.,
Cristianesimo, secolarizzazione e diritto moderno (a cura di L. Lombardi Vallauri e G. Dilcher)
Giuffrè, Milano 1981, t. II, pp. 1099-1140.
(12) In tal senso, J.RAWLS, rifiuta, in quanto impossibile, una neutralità procedurale
nell’ambito pubblico - El liberalismo polı́tico (1993) Crı́tica, Barcelona 1996, pp. 226-228.

518 PANORAMA
Libri ricevuti
In questa rubrica indichiamo le novità pervenute dagli Editori, che ringra-
ziamo. L’annuncio bibliografico non comporta alcun giudizio ed è indi-
pendente dalle recensioni che saranno pubblicate secondo le possibilità
e lo spazio disponibile

GIORGIO BERTI, Diritto Amministra- l’esodo. Vademecum per il pellegrinaggio


tivo. Memorie e argomenti, Padova, CE- al Sinai, Milano, Grafiche Boniardi,
DAM, 2008, 330, E 30,00 2000, 160
MICHELE MADONNA (a cura di), Patri- MICHELE BONETTI, Ministro della Giu-
monio culturale di interesse religioso in stizia e azione penale - Quaderni de
Italia. La tutela dopo l’intesa del 26 gen- “L’indice penale” a cura di Mario Pisani,
naio 2005, Venezia, Marcianum Press, Padova, CEDAM, 2008, 97, E 10,00
2007, 279, E 25,00
CHERUBINO MARIO GUZZETTI, Islám, que-
GIOVANNI MARIA GAREGNANI, Etica d’im- sto sconosciuto. Fede e vita del’islam,
presa e responsabilità da reato. Dal- Torino, Elledici, 2007, 152, E 10,00
l’esperienza statunitense ai “modelli or-
ganizzativi di gestione e controllo”, FABIO MACIOCE, Una filosofia della lai-
Milano, Giuffrè, 2008, XIII-233, E 25,00 cità, Torino, Giappichelli, 2007, X-195,
E 18,00
GUIDO ALPA, L’avvocato. I nuovi volti
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