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Analisi Delle Forme Compositive II


Coro di Morti
Madrigale drammatico per voci maschili, tre pianoforti, contrabbassi e percussioni (1940)

di Goffredo Petrassi ( Zagarolo 1904 - Roma 2003 )

A cura di Giorgio Astrei


Matricola: B10632

Docente: Antonio D’Antò
Diploma accademico di II livello in Composizione

Percorso formativo: Musica dal 900 ad oggi


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Goffredo Petrassi

Goffredo Petrassi, nato a Zagarolo nei pressi di Roma nel 1904, ha avuto la ventura, non
frequentissima fra i compositori italiani del Novecento, di raggiungere il successo e la notorietà anche
sul piano internazionale, e di raggiungerlo presto, con la Partita per orchestra del 1932; le vicende
successive non hanno fatto che confermare quel brillante inizio e la sua longevità felicemente operosa
lo ha portato ad essere ora, all'inizio del nuovo secolo, il decano della moderna musica colta nel
nostro paese. Tale vicenda non è stata priva di mutamenti, di svolte, di quelle 'fasi' insomma in cui
spesso si ama a torto o a ragione incasellare l'attività di un artista. Ben presto si sentì una connessione
ideale fra il barocco romano, il clima artistico culturale della Controriforma cattolica e la musica di
Petrassi degli anni '30, per l'eloquenza solenne e grandiosa, lo splendore sonoro che spesso la
caratterizzò in quel periodo; diventò quasi un luogo comune quello della campagna romana delle sue
origini "apertasi a un dato momento della sua fanciullezza in navate di basiliche barocche, ritmate dagli
arabeschi antichi dei grandi polifonisti romani" (d’Amico). Il compositore stesso ebbe a spiegare di aver
cominciato ad avvertire ad un certo punto il bisogno di un contrappeso a quel tipo di clima spirituale
ed espressivo, e di averlo in qualche modo trovato nella riflessione laica dei moralisti francesi del
Seicento e in particolare nella poesia leopardiana. Il percorso stilistico di Petrassi si è rinnovato per
più di un cinquantennio, con grande ricchezza di aperture, continui mutamenti e organica coerenza. Al
successo della Partita seguono il Primo concerto per orchestra (1933 - 34) e Salmo IX (1936), opere
sotto la chiara influenza di Casella, Stravinskij e Hindemith. Con Magnificat e soprattutto Coro di
morti Petrassi abbandona la scrittura nettamente diatonica e giunge ad una svolta, coincidente con
uno dei suoi capolavori. Abbandonata l'opulenza barocca, tutto è magistralmente ridotto ad una
essenzialità rigorosa, tragica; ed è certamente vinta la sfida ardua che il linguaggio della musica affronta
quando si confronta con i testi della grande tradizione letteraria. Inizia poi un decennio decisivo, in cui
prosegue la costante corrosione dei legami con la tradizione, che culminerà in Noche oscura (1950 -
51) dopo due balletti e due atti unici, Il Cordovano e Morte dell’aria. Seguì una intensa concentrazione
sull’orchestra con il succedersi di cinque Concerti. Nel terzo si nota l’episodico uso della dodecafonia
e l’addensarsi di complesse ambiguità, in un gioco estroso e caleidoscopico. Particolare rilievo prestano
poi il quinto e il sesto concerto, ma tutta le serie di concerti per orchestra, che terminano con l’ottavo
nel 1972, sono è essenziale per comprendere la problematica del cammino di petrassi. Nei sette anni
che separano il sesto dal settimo concerto si profilano i primi risultati radicali della sua ricerca:
svuotando dall’interno la fiumara sonora, essa mette in discussione nessi ed atteggiamenti tradizionali
riducendoli a minimi residui o fantasmi nel conctesto di un astrattismo che si appropria in modo del
tutto personale delle tecniche della nuova musica, approdandovi però alla fine di un proprio logico
percorso, dove gradualmente is annulla la nozione di tema. L’ultimo Petrassi tende ad esiti più radicali
in opere cameristiche come Trio (1959), Estri (1966 - 67) e Tre per sette (1964), mentre dove
interviene la parte vocale si caratterizza per una scrittura più vicina alle esperienze precedenti: così ad
esempio nei Propos d’Alain (1960), nelle Beatitdues (1968) e nelle Orationes Christi (1974 - 75) per
coro, ottoni, viole e violoncelli.


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Coro di morti madrigale drammatico per voci maschili, tre pianoforti, contrabbassi e percussioni

Petrassi estrapola da il Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie tratto dalle Operette Morali
di Giacomo Leopardi la prima parte, un testo poetico presentato sotto il titolo di Coro di morti nello
studio di Federico Ruysch. La scelta del testo e la dedica a se stesso sono spie dell’impegno di una
riflessione grave e amara, in una meditazione di stoico pessimismo. Tutto sembra dunque far supporre
la presenza di una nuova atmosfera emotiva. E in effetti sullo sfondo della tragedia bellica, e sotto il
segno della fredda disperazione del testo leopardiano, la strumentazione e il linguaggio musicale
creano un’atmosfera sonora gelida e come allucinata, che dà voce ad un fondo di angoscia esistenziale
cui nessuna fede religiosa può dare risposta. Il poeta prende spunto da una figura realmente vissuta,
uno scienziato olandese che fra Sei e Settecento divenne famoso per una sua speciale tecnica di
conservazione dei cadaveri umani, proprio per questo immagina che eccezionalmente i morti possano
per qualche minuto esprimersi come se fossero tornati in vita. Il dialogo - le domande dello scienziato,
le risposte dei morti - permette a Leopardi di dare forma narrativa a riflessioni già altrove svolte sul
tema della morte, e soprattutto di sfatare certi pregiudizi inveterati: quello in particolare che la morte
sia dolore, quando piuttosto si rivela come uno scivolare nel non essere che è simile al sonno, e
analogamente fonte, nonché di dolore, semmai di qualche dolcezza e sollievo.
Il componimento è composto da ventuno settari e undici endecasillabi, in una lingua semplice e secca;
le parole sono di misura sillabica ridotta, spesso parole bisillabe. L’unica presenza in tutto il coro di
parole quadrisillabe è data dai termini «paurosa» (v. 14) e «ricordanza» (v. 17). La prevalenza di
settenari e il frequente uso di parole bisillabe o di parole di misura sillabica ridotta, dà al coro la
semplicità e monotonia di nenia stanca e disanimata; un’altra caratteristica ritmica del Coro è
l’associazione, pressoché costante, di aggettivo trisillabo e di sostantivo bisillabo, con effetto di studiata
monotonia e di pronuncia lenta e solenne: «creata cosa» [v.2], «antico dolor» [v.6], «Profonda
notte» [v.6], «Confusa mente» [v.7], «arido spirto» [v.9], «sudato sogno» [v.15], «ignota morte»[v.26].
Con queste abilità tecniche la canzone risulta completamente organizzata e controllata.

Sola nel mondo eterna, a cui si volve confusa ricordanza:


ogni creata cosa, tal memoria n’avanza
in te, morte, si posa del viver nostro: ma da tema è lunge
nostra ignuda natura; il rimembrar. Che fummo?
lieta no, ma sicura Che fu quel punto acerbo
dall’antico dolor. Profonda notte che di vita ebbe nome?
nella confusa mente Cosa arcana e stupenda
il pensier grave oscura; oggi è la vita al pensier nostro, e tale
alla speme, al desio, l’arido spirto qual de’ vivi al pensiero
lena mancar si sente: l’ignota morte appar. Come da morte
così d’affanno e di temenza è sciolto, vivendo rifuggia, così rifugge
e l’età vote e lente dalla fiamma vitale
senza tedio consuma. nostra ignuda natura;
Vivemmo: e qual di paurosa larva, lieta no ma sicura,
e di sudato sogno, però ch’esser beato
a lattante fanciullo erra nell’alma nega ai mortali e nega a’ morti il fato.

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La poesia, per genere e forma interna, sembra sfuggire a una classificazione immediata, in realtà consta
di un’unica lunga strofe di 32 versi, che può essere vista come la prima sperimentazione da parte di
Leopardi della stanza o canzone ‘libera’, in anticipazione delle soluzioni metriche della stagione pisano-
recanatese. Nel testo possiamo individuare tre movimenti: 


• nel primo (vv. 1-13) compare l’iniziale proposizione del tema di fondo (vv. 1-6 metà): la tensione
universale dei viventi verso la morte, attraverso uno sguardo impersonale che osserva come
dall’esterno lo sprofondare cosmico della vita nella morte. A metà del verso 6 siamo introdotti in un
‘altrove’ rappresentato dal ‘sentimento’ della morte, visto questa volta dall’interno: scivoliamo nella
«profonda notte» della «confusa mente» dei morti, che esplora e descrive se stessa. Alla patina
grigia del presente acronico, che vela tutta questa prima parte, fa riscontro così la specularità dei
due diversi punti di vista (esterno/interno): quello cosmico-universale del «mondo» e quello del
«pensier grave» dei morti. 


• Nel secondo movimento (vv. 14-26 metà) si piomba all’improvviso in un’altra dimensione temporale
ed esistenziale, la condizione di ‘vivi’ contro quella di ‘morti’. Anche questo movimento ripropone
una duplice partizione individuata quasi nel mezzo al v. 20, un verso segnato a metà da una cesura
forte; ancora una volta il motivo viene proposto, enunciato nella prima parte e come sviluppato,
‘scavato’, nella seconda, che riconduce inesorabile all’immagine della morte, stavolta dal punto di
vista dei vivi.


• Il terzo e ultimo movimento (vv. 26 metà–32) si genera a metà del v. 26, che porta in qualche modo
le voci e il sentimento dei morti a riattraversare all’indietro il confine tra la percezione della vita,
anche se solo sul piano del ricordo, e quella della morte. Leopardi risolve questo passaggio così
delicato con una soluzione di grande complessità ed efficacia: riprende l’ultima immagine della parte
precedente, quella dell’«ignota morte», così come è percepita dai vivi e ne rovescia il punto di vista
temporale ed esistenziale; la lega con l’ultima similitudine e l’ultima immagine, quella della «fiamma
vitale», a quella iniziale (l’«ignuda natura»), ‘ricucendo’ il testo su se stesso. “[…] Il punto e virgola alla
fine del verso 30 isola l’ultima coppia di versi, sempre in rima baciata, che va così a costituire la gnome
finale della poesia («Però ch’esser beato / Nega a’ mortali e nega a’ morti il fato »). [ … ]”1

A scandire la forma dell’opera in Petrassi è senza dubbio il testo. Preso per intero dal compositore
senza alcun intervento delinea nettamente le sezioni del brano. Vengono così generati tre episodi
corali, ai quali si contrappongono due scherzi strumentali a delineare il centro del brano, mentre negli
episodi estremi sono due brevi transizioni a dare il giusto respiro, “[…] il respiro della musica e quello
del testo coincidono. […]”2 


1 Michele Tartaglia - Coro di morti, letteratu.it

2 Massimo Mila, introduzione analitica, Partitura - Edizioni Suvini Zerboni - Milano


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Forma musicale Testo

Introduzione

[ misure 1 - 11 ]

Sola nel mondo eterna, a cui si volve [ versi 1 - 13 ]


I episodio 
 Ogni creata cosa,
[ misure 12 - 24 ] In te, morte, si posa
Nostra ignuda natura;
Lieta no, ma sicura
Dall'antico dolor.
A
Transizione


[ 25 - 34 ]
[ misure 1 - 72 ]
Profonda notte
Nella confusa mente
Il pensier grave oscura;
[ misure 35 - 72 ]
Alla speme, al desio, l'arido spirto
Lena mancar si sente:
Così d'affanno e di temenza è sciolto,
E l'età vote e lente
Senza tedio consuma.

I intermezzo strumentale 

SCHERZO
[ 73 - 124]

Vivemmo: e qual di paurosa larva, [ versi 14 - 26 ]


E di sudato sogno,
B III episodio
A lattante fanciullo erra nell'alma

 Confusa ricordanza:
[ misure 125 - 158 ]
[ misure 125 - 158 ] Tal memoria n'avanza
Del viver nostro: ma da tema è lunge
Il rimembrar.

II intermezzo strumentale

SCHERZO

[ 159 - 204]

Che fummo? [ versi 26 - 32 ]


Che fu quel punto acerbo
Che di vita ebbe nome?
IV episodio
Cosa arcana e stupenda
[ misure 205 - 239 ]
Oggi è la vita al pensier nostro, e tale
Qual de' vivi al pensiero
L'ignota morte appar.
C Transizione


 [ misure 240 - 243 ]
[ misure 205 - 277 ]
Come da morte
Vivendo rifuggia, così rifugge
[ misure 244 - 266 ] Dalla fiamma vitale
Nostra ignuda natura;
Lieta no ma sicura,
Però ch'esser beato
Nega ai mortali e nega a' morti il fato.

Coda

[ misure 266 - 277 ]

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Sono interessanti da notare le proporzioni costruite da Petrassi, il quale crea con il secondo episodio
corale un vero e proprio asse di simmetria generando una seconda parte del brano esattemene a
specchio, espandendo ciò che in qualche modo fa già Leopardi stesso.

13 versi 6 versi 13 versi

Intro A I INTER B II INTER C Coda

11 misure 61 misure 52 misure 34 misure 46 misure 62 misure 11 misure

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Scelta timbrica e materiali musicali

L’organico scelto dal compositore romano è già un punto di partenza analitico. Il coro maschile
presenta un piano sonoro nettamente distino dal gruppo strumentale formato da tre pianoforti,
ottoni, contrabbassi e percussione, trattato in modo da creare un colore opaco, allucinato, livido.
Evidente i richiamo a Stravinskij e Bartòk, sembrerebbe quasi una fusione di organici tra alcune opere:
come in Sinfonia dei Salmi, di soli dieci anni prima, anche il compositore mantiene negli archi solo i
contrabbassi, ancor di più avviene in Le Noces, in cui troviamo coro, soli, quattro pianoforti e
percussioni; nel compositore ungherese invece non si può non citare la Sonata per due pianoforti e
percussioni, solamente di tre anni precedente.

Nell’opera di Petrassi il coro esclusivamente maschile è certamente obbligato dal testo, da ciò il
compositore sviluppa ed amplifica il concetto ragionano sulla tessitura grave delle voci e sull’impasto
sonoro molto più adatto agli ottoni che agli orchi. Proprio per questo elimina con un chiaro gesto anti
romantico i principali strumenti dell’orchestra creando un timbro fin dalle prime misure unico. La
scelta dei tre pianoforti è figlia dell’assenza di frequenze acute, così avendone tre a disposizione è un
unico timbro ad apparire in quel registro molto particolare per la freddezza in cui vengono usati, quasi
come strumenti a percussioni.

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Proprio l’inizio del brano è affidato al timbro del pianoforte nella suo registro più grave. L’articolazione
staccata e per ottave ricorda una percussione, avendone a disposizione più di uno mischiando le
articolazioni si possono avere diversi tipi di effetti. Nelle prime misure è il III pianoforte ad eseguire
quello che sarà il motore del brano mentre il secondo nello stesso registro inizia pedalizzando uno
staccato e presente già nella seconda misura una delle principali cellule melodico - tematiche. Un in
crescendo strumentale con l’aggiunta del I pianoforte sovrapponendo ed incastrando in diverso modo
ma scandendo ogni singola unità di tempo (concetto che andrà avanti fino a misura 32) un’improvvisa
apparizione degli ottoni genera l’apice della curva introduttiva, così il successivo scemare degli
strumenti e della dinamica prepara al meglio l’ingresso del coro. 


Il coro è molto spesso ritmico e prosodico, oscillando tra omofonia e imitazione quasi rinascimentale:
l’intento è la chiara messa in evidenza della parola. L’ingresso del coro è costituito su una triade di la
minore assieme alle note tenute di corni e contrabbassi, ma nascosta dal continuo motore dei
pianoforti nel registro grave e dall’impasto timbrico. L’inizio è all’ottava, poi l’intervallo si ristringe nella
quinta sempre parallela, due sillabe sulla terza minore e poi la sorpresa con quattro voci e un nuovo
tipo di armonia non a caso alla parola “morte”, per poi ripercorre rapidamente a ritroso il percorso
tornando su una quinta vuota. Questi comportamenti vocali verranno riproposti in tutta l’opera, un
continuo ampliamento di registro e di suoni per poi richiudersi su intervalli più antichi.
Questo concetto quasi di inspirazione ed espirazione musicale viene riportato esteticamente dal
compositore nell’uso di materiali musicali arcaici, come gli intervalli di quinta e quarta, le imitazioni, il
canone e il ribattuto per poi plasmare il tutto in un ottica moderna e novecentesca.

Ottimo esempio ne sono i due intermezzi strumentali che circondano il secondo episodio corale. 

L’apparizione del primo è quasi fastidiosa dopo il contesto creato nelle misure precedenti. Inaspettata
e quasi fuori luogo è il fugato barocco creato su intervalli di quota e quinta, in un clima festante e
brioso. Il soggetto della fuga forse richiama la fuga dell’Op. 110 di Beethoven, spalancando così porte
antiche nel modo di fare petrassiano.

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Vivemmo: e qual di paurosa larva,
E di sudato sogno,
A lattante fanciullo erra nell'alma
Confusa ricordanza:
Tal memoria n'avanza
Del viver nostro: ma da tema è lunge
Il rimembrar.

Alessandro Solbiati spiega questa scelta in relazione al testo circondato dai due intermezzi.
Ironia e cinismo vengono riportate da Leopardi, tutto ciò che ci sembra importante nella vita dopo la
morte perdono significato diventando un pallido ricordo. É la memoria la chiave di lettura: il primo
scherzo appare essere qualcosa di molto reale, un fugato vero ed enfatico. Il secondo scherzo è l’eco
del primo ma lacerato, distorto e dissonante. La collocazione di questi due momenti amplifica il
significato del testo leopardiano, aggiungendo graffio a graffio.3

Nella seconda parte, rispetto all’asse di simmetria di cui abbiamo parlato, si apre con “Che fummo?”,
ed ogni inizio di sezione è riconoscibile per il trattamento melodico. 

Entrambe le prime due “Sola nel mondo eterna” e “Vivemmo” sono all’ottava su un ipotetico tono di
la minore di cui abbiamo già parlato. L’ultima sezione invece si apre con lo stesso profilo melodico
affidato ai tenori mentre i bassi procedono per moto contrari una quinta sopra rispetto alle
precedenti.

Di nuovo di nuovo l’intervallo di quinta e le creazioni di triadi nascoste appaiono. Proprio queste
ultime vengono estraniante da un impianto tonale ed usate come puro suono, come ricordo di una
triade minore: come i morti ricordano la vita. Proprio il “Che fummo?” è l’unica licenza poetica presa
dal compositore, il quale ripete questa domanda alterandola ai versi successivi. Gradualmente da qui
riparte il potere iniziale affidato ai pianoforti preparando la conclusione dell’opera. Da misura 256 il
coro inizia un breve momento tonale che porta all’argomento dei valori arrivando così all’apice del
brano misure 234 - 239: il gioco di imitazioni, il registro occupato, il testo ripetuto “l’ignota morte”

3 Lezioni di Musica - del 26.04.2014 - Radio 3 - Rai - Radiotelevisione Italiana Spa - Roma
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giunti circa ai 4/5 del brano. 


Per l’ultima sezione i valori nella parte del coro restano già lunghi, mentre gli strumenti come a
rompersi gradualmente ognuno diminuiscono di intensità interrompendo i disegni e fraseggi costruiti. Il
coro torna nel grave allargano molto le distanze tra i vari interventi, concedendo più tempo alle
risposte questa volta melodiche degli ottoni.Le voci, dopo l’apice, si ricompaiano fino ad arrivare ai
soliti intervalli: ottava, quinta e quarta, formando così un’accordo vuoto sul quale termina il testo. 


Alle undici misure introduttive rispondo le medesime conclusive. Viene quindi definitivamente rotto
l’ostinato pianistico, allargandolo progressivamente nei valori e sovrapponendo il secondo timbro nel
registro acuto; gli ottoni svaniscono una nota tenuta dai corni. Rullante, gran cassa, timpani e
contrabbasso fa allontanare i morti, in un dimenando dal pp fino al nulla.

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