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APPUNTI DI SCIENZA

DELLE COSTRUZIONI

Giacomo Navarra
Università degli Studi di Enna "Kore"

FACOLTÁ DI INGEGNERIA ED ARCHITETTURA


INDICE

1 Introduzione 1
1.1 Cenni storici 2
1.2 La soluzione del problema strutturale 2

2 Proprietà meccaniche dei materiali 13


2.1 I materiali da costruzione 13
2.2 La prova di trazione monoassiale 14
2.3 Le tensioni e le deformazioni 15
2.4 La prova di trazione per i materiali duttili 19
2.5 La prova di compressione per i materiali fragili 22
2.6 Modellazione del legame costitutivo 22
2.7 Il metodo delle tensioni ammissibili 23
2.8 La prova a torsione 24

3 Caratteristiche statiche e cinematiche di strutture monodimensionali 27


3.1 Le caratteristiche cinematiche dei vincoli 28
3.2 Le caratteristiche meccaniche dei vincoli 31
3.3 Classificazione dei sistemi strutturali in base alla loro forma 33
3.4 Classificazione dei sistemi strutturali in base alla disposizione dei vincoli 34
3.5 La determinazione delle reazioni vincolari 37
3.5.1 Le equazioni cardinali della statica 38
iii
iv INDICE

3.5.2 L’approccio matriciale alle equazioni cardinali della statica 40


3.5.3 Sistemi con vincoli interni: metodo dell’equazione ausiliaria 45
3.5.4 Il caso dei vincoli interni caricati 48
3.5.5 I carichi ripartiti 49
3.6 La determinazione delle caratteristiche della sollecitazione 51
3.6.1 Il metodo diretto attraverso le equazioni di equilibrio 52
3.6.2 Le equazioni indefinite di equilibrio della trave ed il metodo
indiretto 58

4 Analisi dello stato di tensione nel continuo tridimensionale 67


4.1 Il continuo di Cauchy 68
4.2 Le equazioni indefinite di equilibrio del solido di Cauchy 70
4.3 La descrizione dello stato di tensione al variare della giacitura: il
teorema di Cauchy 73
4.4 Le tensioni principali e le direzioni principali di tensione 75
4.5 I cerchi di Mohr 80
4.6 Classificazione degli stati tensionali 83
4.6.1 Stati di tensione triassiali 83
4.6.2 Stati di tensione piani 84
4.6.3 Stati di tensione monoassiali 88

5 Cenni di analisi dello stato di deformazione nel continuo 91


5.1 Le componenti della deformazione 91
5.2 Le equazioni indefinite di congruenza del continuo 92
5.3 La misura della variazione di volume 98
5.4 Deformazione di una fibra in direzione generica 98
CAPITOLO 1

INTRODUZIONE

In termini generali si può definire costruzione qualsiasi insieme di elementi costituiti da materiali
opportuni in grado di sostenere e sopportare carichi
— Leone Corradi Dall’Acqua

La definizione di costruzione, nell’accezione del Prof. Corradi Dall’Acqua è volutamente


ampia allo scopo di comprendere, oltre ai normali esempi di costruzioni civili (edifici,
ponti, dighe) anche manufatti di tipo navale, meccanico o aeronautico. Tali costruzioni
hanno lo scopo di convivere in sicurezza con le azioni derivanti dalla specifica funzione
per cui sono progettati (carichi utili), dalle azioni trasmesse dall’ambiente in cui vengono
costruite (azioni derivanti dal vento, dalla neve, dal sisma o dal moto ondoso), oltre natu-
ralmente dai carichi connessi con la esistenza stessa delle strutture (peso proprio).
Nel presente capitolo, dopo un breve excursus storico sull’evoluzione della Scienza
delle Costruzioni e sulla descrizione sommaria dei materiali da costruzione, si porrà l’accen-
to sulla definizione del cosiddetto problema strutturale, ovvero si descriveranno le quantità
in gioco nell’analisi strutturale, fornendone una classificazione, e si delineeranno le classi
di equazioni utili alla soluzione del problema. Per meglio fissare i concetti esposti, ma
rinunciando per il momento ad una trattazione rigorosa, verranno esaminati tre esempi.

Appunti di Scienza delle Costruzioni, I revisione. 1


By Giacomo Navarra - 2016
2 INTRODUZIONE

1.1 Cenni storici

Dal punto di vista storico le costruzioni sono state fin dall’antichità edificate e proporzion-
ate sulla base di una serie di regole empiriche frutto, talvolta, di esperienze di crolli rovi-
nosi. Per secoli queste “regole del ben costruire” vennero esotericamente tramandate
all’interno di ristrette cerchie di adepti e la loro conoscenza venne tenuta segreta. Non
è a caso che il termine massoneria deriva da mason – muratore e i più antichi simboli
massoni come il compasso o la squadra fanno riferimento all’arte del costruire.
Fu solo in pieno Rinascimento che si tentò un approccio razionale alla comprensione
del comportamento dei materiali e delle strutture e si devono a Leonardo Da Vinci e a
Galileo Galilei le prime indagini sperimentali sistematiche e le prime teorie strutturali. Nel
XVII secolo Hooke enunciò la prima teoria dell’elasticità e successivamente nei due secoli
seguenti, con il progresso delle conoscenze matematiche e fisiche e con lo sviluppo del
calcolo infinitesimale, si andò delineando il corpo teorico della Scienza delle Costruzioni.
A questo fiorente periodo sono legati i nomi dei fratelli Bernoulli, di Eulero, di Lagrange,
di Navier, di Cauchy e di De Saint-Venant.
Con l’avvento della Rivoluzione industriale e con l’affermarsi dell’acciaio prima e del
calcestruzzo poi come materiali da costruzione, la Scienza delle Costruzioni ebbe un notev-
ole impulso, causato dalla necessità di costruire utilizzando i materiali in maniera più
razionale ed economica, resistendo a carichi maggiori e realizzando strutture sempre più
ardite. Vennero sviluppati modelli matematici sempre più complessi per la schematiz-
zazione sia delle più disparate forme strutturali, sia per tenere conto di comportamenti dei
materiali sempre più complessi.
Negli ultimi quaranta anni una ulteriore accelerazione è stata resa possibile dall’uso dei
calcolatori elettronici e dallo sviluppo di metodi di calcolo appositamente concepiti per
essi, come ad esempio il “Metodo degli Elementi Finiti”, che hanno reso possibile virtual-
mente l’analisi di qualsiasi tipologia strutturale. La ricerca ossessiva dell’ottimizzazione
strutturale e la realizzazione di strutture sempre più leggere e snelle ha recentemente aperto
le porte alla creazione di altre due branche della Scienza delle Costruzioni, ed in partico-
lare allo studio dei problemi di “instabilità dell’equilibrio” ed alla cosiddetta “sicurezza
strutturale”.

1.2 La soluzione del problema strutturale

In ogni costruzione è presente una struttura portante che gioca il ruolo di resistere alle
azioni. Oggetto della Scienza delle Costruzioni o, come viene definita nel mondo an-
glosassone, “Meccanica delle Strutture” è lo studio del comportamento meccanico delle
strutture sotto i carichi di progetto, ovvero la soluzione del problema strutturale.
In generale le variabili coinvolte in un problema strutturale possono essere classificate
come meccaniche o cinematiche e come interne o esterne. Si vengono pertanto a deter-
minare quattro classi di variabili che descrivono compiutamente le condizioni statiche e
cinematiche indotte dai carichi,; la soluzione del problema strutturale, quindi, coincide
con la conoscenza, per ogni punto della struttura, di queste variabili.
I legami funzionali che esistono tra le grandezze cinematiche esterne ed interne ver-
ranno chiamate equazioni di compatibilità cinematica o equazioni di congruenza, mentre
le relazioni intercorrenti tra le grandezze meccaniche interne ed esterne verranno denotate
come equazioni di equilibrio. Il mondo meccanico e quello cinematico, come si vedrà
meglio nel seguito, stanno tra loro in rapporto di dualità. Vi è, infine, un terzo gruppo
LA SOLUZIONE DEL PROBLEMA STRUTTURALE 3

O
j

r
r uy

A m e A'

ux

Figura 1.1 Pendolo deformabile. Configurazioni indeformata (nero) e deformata (rosso).

di equazioni che descrive il comportamento del materiale di cui sono costituiti gli ele-
menti strutturali. Questo gruppo di equazioni, che lega grandezze cinematiche interne a
grandezze meccaniche anch’esse interne, va, appunto, sotto il nome di equazioni costitu-
tive. In generale, la conoscenza di tutti e tre i citati gruppi di equazioni è necessaria per la
soluzione del problema strutturale.
Per meglio chiarire i concetti esposti e per condurre una sintetica panoramica sulla
natura dei problemi della Scienza delle Costruzioni, nel seguito verranno mostrati alcuni
esempi significativi.

ESEMPIO 1.1 IL PENDOLO DEFORMABILE

Consideriamo il caso illustrato in Figura 1.1 di un pendolo composto da una molla di lunghezza a
riposo r collegata ad un punto materiale A ad un estremo, ed ad un punto fisso O. Il vincolo in O è
tale da impedire le traslazioni della molla ma non le rotazioni.
Limitandoci per semplicità a considerare il sistema piano, esso possiede due gradi di libertà;
infatti, il pendolo pensato isolato nel piano possiede tre gradi di libertà di corpo rigido: le due
traslazioni e la rotazione attorno ad un punto arbitrario. Inoltre la molla è deformabile, ovvero può
variare la sua lunghezza e questo può essere considerato come un ulteriore grado di libertà di corpo
deformabile. D’altra parte, il vincolo in O, come si è detto, sopprime due gradi di libertà di corpo
rigido (le due traslazioni) per cui, in definitiva, il sistema è dotato di un grado di libertà di corpo
rigido (la rotazione ϕ attorno ad O) e di un grado di libertà di corpo deformabile (la lunghezza finale
ρ della molla).
Alla stessa conclusione circa il numero dei gradi di libertà del sistema si perviene, ovviamente,
considerando intuitivamente che il punto materiale A può occupare qualsiasi punto nel piano e,
quindi, la sua posizione nella configurazione deformata A’ è perfettamente individuata una volta
note le sue coordinate (ux , uy ) nel piano rispetto, ad esempio, al punto O. In questo caso, però,
nonostante si sia arrivati alla determinazione del numero di gradi di libertà del sistema in modo sem-
plice e diretto, non è possibile distinguere la natura dei gradi di libertà, se di corpo rigido o di corpo
deformabile.
L’insieme di tutte le configurazioni che il sistema può assumere nel rispetto dei vincoli e della
continuità strutturale rappresenta la classe delle configurazioni cinematicamente ammissibili del sis-
tema che, nel caso in esame, sono ∞2 . I parametri lagrangiani con cui possiamo descrivere tali
4 INTRODUZIONE

O
R Q
Q

b) d)

A
m F F Q
a) c)

Figura 1.2 a) Forza applicata; condizioni di equilibrio: b) del vincolo; c) della massa m; d) della
molla.

configurazioni possono essere scelti in modo arbitrario, purché essi siano tra loro indipendenti. Ad
esempio, entrambe le scelte di un sistema cartesiano (ux , uy ) o di un riferimento polare (ρ, ϕ) sono
valide.
Nel sistema di riferimento polare, inoltre, detto e l’allungamento della molla dopo la defor-
mazione, è possibile scrivere in maniera semplice una relazione tra le grandezze cinematiche che deve
valere affinché la configurazione deformata sia cinematicamente ammissibile, ovvero la seguente
equazione di congruenza:
ρ=r+e
in cui r è la lunghezza a riposo della molla. Nel riferimento cartesiano la stessa relazione avrebbe
assunto la forma u2x + u2y = (ρ + e)2 sicuramente più complicata.
Supponiamo adesso di applicare alla massa una forza F giacente sul piano, come mostrato in
Figura 1.2-a. Supponiamo che tale forza agisca quasi-staticamente in modo, cioè, da non destare
effetti di natura dinamica e che la sua direzione non cambi in seguito alle deformazioni subite dalla
molla.
Siamo interessati a conoscere le condizioni e le configurazioni di equilibrio della massa m, ossia
le configurazioni in cui il sistema, pur avendo la possibilità di muoversi, resta in quiete sotto l’effetto
delle forze applicate. La seconda legge di Newton

F = ma

ci assicura che condizione necessaria per l’equilibrio (corpo in quiete) del pendolo è che la risultante
delle forze ad esso applicate sia nulla, ovvero che il vincolo in O, attraverso la molla, trasmetta alla
massa m una reazione vincolare R uguale e contraria ad F (vedi Figura 1.2-b).
Ciò è evidente operando secondo il principio della sconnessione. Al fine di evidenziare le forze
interne agenti, una struttura può essere divisa in due o più parti mediante delle sezioni dette di scon-
nessione. Affinché venga mantenuto l’equilibrio di ogni singola parte, le parti della struttura devono
scambiarsi delle forze in corrispondenza di tali sezioni. Il metodo è efficace nel mettere in evidenza
tali forze.
Tornando al caso in esame, si opera mediante due sconnessioni alle estremità della molla. Poiché
ogni singola porzione della struttura deve essere in equilibrio, la molla deve trasferire alla massa m
una forza (interna) Q uguale e contraria alla forza (esterna) F applicata su di essa (vedi Figura 1.2-c).
LA SOLUZIONE DEL PROBLEMA STRUTTURALE 5

Figura 1.3 Configurazione di equilibrio del pendolo.

Allo stesso modo può dedursi che, affinché la molla resti in equilibrio, ai suoi capi debbano nascere
delle forze Q uguali e contrarie; ma queste, come evidenziato in Figura 1.2-d, non forniscono un
sistema di forze equilibrato in quanto sarà presente una coppia di forze aventi braccio diverso da zero
che produrrà una rotazione fintantochè le due forze non si allineeranno sulla stessa retta d’azione.
La condizione finale di equilibrio sotto la forza F sarà, quindi, quella descritta in Figura 1.3.
Le equazioni di equilibrio portano, quindi, alla determinazione della “forza interna” Q agente sulla
molla e della reazione vincolare R:
F=Q
R=Q

Riepilogando, a partire dall’esame del sistema sotto il punto di vista cinematico si è dedotta
una relazione tra le grandezze cinematiche esterne (spostamenti) e le grandezze cinematiche interne
(deformazioni). Esaminando, invece, il problema dal punto di vista meccanico, in maniera del tutto
indipendente, si sono determinate delle relazioni tra le grandezze meccaniche esterne (forze applicate
e reazioni vincolari) e grandezze meccaniche interne (sforzi nella molla).
Per pervenire alla soluzione del problema bisogna, adesso, mettere in relazione questi due aspetti
ed, in particolare, descrivere il legame esistente tra gli allungamenti e della molla e gli sforzi Q che
li determinano, il quale dipenderà dalla natura del materiale. In prima approssimazione possiamo
ipotizzare un legame lineare tra il modulo dello sforzo Q e l’allungamento e mediante una costante
di proporzionalità k che chiameremo rigidezza della molla; l’equazione costitutiva avrà la forma:

Q = ke

Adesso si hanno tutte le informazioni per risolvere il problema: dal punto di vista meccanico alla
forza F corrisponderanno la reazione R = F e lo sforzo interno Q = F, dal punto di vista cinematico,
invece, la massa m si porrà in una posizione descritta da un valore di ϕ pari all’inclinazione della
forza F e da un valore di ρ = r + F /k, in cui F è il modulo della forza F. Il problema è, pertanto,
risolto.
6 INTRODUZIONE

d d
l1 1 2 3
l2 l3

A
C
B

u = e1 F e2
e3

A' j B'
C'

Figura 1.4 Sistema strutturale dell’esempio 1.2. Configurazione iniziale (nero) e deformata (rosso).

ESEMPIO 1.2 LE FUNI DEFORMABILI

Consideriamo adesso il caso del sistema, descritto in Figura 1.4, composto da un’asta rigida vincolata
in modo da non potere subire spostamenti laterali e sostenuta da tre funi verticali equidistanti. L’asta
è soggetta ad una forza F verticale applicata in corrispondenza della fune centrale. Le lunghezze
delle funi li , cosı̀ come le loro rigidezze ki , sono a priori diverse.
Nel caso in cui l’asta rigida è completamente svincolata, essa possiede tre gradi di libertà di corpo
rigido nel piano che possono essere individuati nelle due traslazioni (orizzontale e verticale) e nella
rotazione. L’introduzione del carrello in A elimina la possibilità di traslare orizzontalmente, per
cui rimangono due gradi di libertà di corpo rigido, in altri termini la posizione dell’asta è definibile
univocamente una volta fissati due parametri. Si sceglie di assumere come parametri lagrangiani atti
a descrivere le configurazioni spostate l’abbassamento u del carrello e la rotazione ϕ dell’asta rigida,
cosı̀ come mostrato in Figura 1.4.
Assumendo di denotare con ei gli allungamenti subiti dalle funi, scriviamo adesso le equazioni di
congruenza che legano le variabili cinematiche esterne (u e ϕ) con quelle interne (ei ) in modo che
la configurazione finale sia cinematicamente ammissibile. Poiché l’asta è rigida, i punti A, B e C,
portandosi nel cambiamento di configurazione in A’, B’ e C’, devono mantenersi su una stessa retta,
e quindi possiamo scrivere: 
 e1 = u


e2 = u + d tan (φ) (1.1)

 e3 = u + 2d tan (φ)

Nell’ipotesi che gli spostamenti siano “piccoli”, ovvero almeno di un ordine di grandezza inferiori
rispetto alle dimensioni della struttura, è lecito confondere la tangente dell’angolo con il valore in
radianti dell’angolo stesso, per cui la (1.1) può scriversi:

 e1 = u


e2 = u + dφ (1.2)

 e3 = u + 2dφ

Risulta evidente che le sole equazioni (1.2) non consentono di risolvere compiutamente il problema
in quanto si hanno tre equazioni in cinque incognite.
LA SOLUZIONE DEL PROBLEMA STRUTTURALE 7

R1
R2 R3

Q1
Q2 Q3

Q2 Q3
Q1 C
B
HA A
F

Figura 1.5 Forze interne ed esterne agenti sul sistema.

Le configurazioni staticamente ammissibili possono essere descritte considerando una generica


configurazione deformata e operando con il principio della sconnessione, come mostrato in Figura
1.5. Con riferimento al corpo rigido è possibile scrivere tre equazioni di equilibrio, alla traslazione
orizzontale e verticale ed alla rotazione, ad esempio rispetto al punto B:
 


 H A = 0  HA = 0


F = Q1 + Q 2 + Q3 → F = Q2 + 2Q3 (1.3)
 
 Q1 d = Q3 d
  Q1 = Q 3

In corrispondenza di ognuno dei vincoli, inoltre, possiamo scrivere delle ulteriori relazioni di equi-
librio tra gli sforzi interni alle funi Qi e le reazioni vincolari Ri :

Ri = Q i i = 1, 2, 3

Dall’esame delle (1.3) si ottiene una soluzione staticamente indeterminata di grado 1, cioè esistono
∞1 soluzioni staticamente ammissibili (equilibrate) al variare, ad esempio, del valore di Q1 , questo
in quanto abbiamo 4 grandezze incognite (Q1 , Q2 , Q3 ed HA ) e tre sole equazioni.
L’ultimo gruppo di equazioni cui possiamo fare ricorso è quello delle equazioni costitutive che,
nelle ipotesi di comportamento lineare, possiamo esprimere come:

Q i = k i ei i = 1, 2, 3 (1.4)

Quindi, in sintesi, la soluzione del problema strutturale comporta la conoscenza di 9 incognite


[u, ϕ, HA , Q1 , Q2 , Q3 , e1 , e2 , e3 ] e 9 equazioni [3 di congruenza (1.2), 3 di equilibrio (1.3) e 3
costitutive (1.4)] che ci permettono di risolvere il problema. Infatti, sostituendo le (1.2) nelle (1.4) e
poi nelle (1.3) si perviene alla soluzione in termini delle grandezze cinematiche esterne:

k3
 u = 2ϕd k1 − k3


 F k1 − k3
 ϕ=


d k2 k3 + k1 (k2 + 4k3 )
8 INTRODUZIONE

Una volta noti lo spostamento u e la rotazione ϕ è possibile sostituirli nelle equazioni di congruenza
(1.2) per ricavare gli allungamenti ei e da questi, attraverso le equazioni costitutive (1.4) ricavare gli
sforzi interni Qi .

ESEMPIO 1.3 L’IPOTESI DI PICCOLI SPOSTAMENTI

Consideriamo adesso il caso del sistema strutturale riportato in Figura 1.6. Esso è composto da tre
aste incernierate agli estremi e concorrenti in un punto P sul quale è applicata una forza F, le cui
componenti cartesiane sono Fx e Fy .
Le configurazioni deformate possono essere definite univocamente una volta fissata la posizione
del punto P, ovvero il sistema possiede due gradi di libertà, questa volta entrambi di corpo deforma-
bile. Per scrivere le equazioni di congruenza ipotizziamo di fissare una generica configurazione

O1

l10 l1

ux
O3 l30 P
F
uy
l3
l20 P'
l2
O2

Figura 1.6 Sistema strutturale dell’esempio 1.3. Configurazione iniziale (nero) e deformata (rosso).

deformata definita dalla posizione del punto P’ in cui si porta il punto P per effetto del cambiamento
di configurazione. Le componenti cartesiane dello spostamento PP’ le chiameremo rispettivamente
ux e uy e possiamo determinare le relazioni intercorrenti tra tali spostamenti e gli allungamenti ei
nelle aste.
Denotando con li0 le lunghezze delle aste nella configurazione iniziale indeformata e con li la
lunghezza delle aste nella configurazione finale, possiamo scrivere:

ei = li − li0 i = 1, 2, 3 (1.5)

in cui le lunghezze delle aste nella configurazione finale sono date dalle:
 q
 l1 = u 2 + l 0 − u y 2

q x 1


 2
l2 = u2x + l20 + uy (1.6)

 q 2
l30 + ux + u2y

 l3 =

LA SOLUZIONE DEL PROBLEMA STRUTTURALE 9

R1

Q1

a1

a3 P Q1
R3 Q3 Q3 P'

Q2 F
a2
Q2
R2

Figura 1.7 Forze interne ed esterne agenti sul sistema strutturale dell’esempio 1.3.

Per descrivere le configurazioni staticamente ammissibili e, quindi, le equazioni di equilibrio, ipo-


tizziamo una generica configurazione deformata e applichiamo il metodo della sconnessione, come
mostrato in Figura 1.7. Dobbiamo imporre l’equilibrio alla traslazione del punto materiale P lungo
gli assi coordinati x e y:

 Q sin (α ) + Q sin (α ) + Q cos (α ) = F
1 1 2 2 3 3 x
(1.7)
 Q1 cos (α1 ) − Q2 cos (α2 ) + Q3 sin (α3 ) = Fy

Nell’ipotesi di materiale a comportamento lineare le equazioni costitutive possono scriversi come:

Q i = k 1 ei i = 1, 2, 3 (1.8)

È opportuno sottolineare che, nonostante il comportamento del materiale sia lineare, le equazioni di
governo del sistema sono fortemente non lineari e non è agevole trovare una soluzione, se non per
via numerica.
D’altra parte, le soluzioni di interesse nel campo della Scienza delle Costruzioni sono quelle
definite nell’ambito dei cosiddetti piccoli spostamenti, quando, cioè, il valore degli spostamenti è
”trascurabile” rispetto alle dimensioni significative della struttura.
In tali ipotesi, invece di considerare nelle equazioni di congruenza che il punto P debba trovarsi
lungo archi di cerchio tracciati dalle aste durante il loro cambiamento di configurazione, possiamo
supporre di potere leggere gli effetti delle rotazioni su una retta ortogonale alla congiungente con il
centro di rotazione, ovvero confondendo l’arco di cerchio con la sua tangente.
In termini analitici, questa approssimazione è equivalente a trascurare i termini di ordine superiore
al primo, ovvero a linearizzare le equazioni. Effettuiamo questa operazione espandendo in serie di
Taylor le equazioni di congruenza ed arrestando lo sviluppo al primo termine rispetto alle componenti
dello spostamento.
La lunghezza dell’asta 1, dall’equazione (1.6)-a potrà scriversi come:
s   2  2  
ux uy uy
q 2 0
l1 = u2x + l10 − uy = l1 1 + + − 2
l10 l10 l10
10 INTRODUZIONE

che, trascurando gli infinitesimi di ordine superiore al primo, possiamo scrivere come:
s  
∼ 0 uy
l1 = l1 1 − 2
l10

Sviluppando in serie di Taylor rispetto al valore uy = 0 avremo:



dl1
l1 ∼ l |
= 1 uy =0 + uy = l10 − uy
duy uy =0

Ripetendo un procedimento analogo per le altre due equazioni di congruenza potremo riscrivere le
(1.6) come: 
0
 l1 = l1 − u y


l2 = l20 + uy

 l3 = l 0 + u x

3

e, di conseguenza, le equazioni costitutive (1.5) assumono la forma:



 e1 = l1 − l10 = −uy


e2 = l2 − l20 = uy (1.9)

 e 3 = l3 − l 0 = u x

3

Passando all’esame delle equazioni di equilibrio, è immediato riconoscere che l’ipotesi di piccoli
spostamenti si riflette anche sugli angoli αi che descrivono le posizioni delle aste nella configu-
razione finale e che compaiono nelle equazioni di equilibrio (1.7). In particolare si avrà cos (αi ) ∼
=1
e sin (αi ) ∼
= 0. Le equazioni di equilibrio linearizzate diventano quindi:

 Q =F
3 x
(1.10)
 Q1 − Q2 = F y

Una volta eseguita l’operazione di linearizzazione, il problema in oggetto presenterà 8 incognite [ux ,
uy , Q1 , Q2 , Q3 , e1 , e2 , e3 ] e 8 equazioni lineari [3 di congruenza (1.9), 2 di equilibrio (1.10) e 3
costitutive (1.7)] che ci permettono pervenire ad una soluzione unica.

Introdurre l’ipotesi di piccoli spostamenti ha avuto come effetti pratici innanzitutto la sem-
plificazione della scrittura delle equazioni di equilibrio e di congruenza e la loro lineariz-
zazione. Ma dal punto di vista fisico vi è di più.
Osservando la Figura 1.8, infatti, ci si può rendere conto della circostanza che scrivere
le equazioni di equilibrio linearizzate equivale ad imporre l’equilibrio direttamente nella
configurazione indeformata, nella incipienza del moto. Per quanto riguarda le equazioni
di congruenza, invece, la linearizzazione equivale a valutare gli allungamenti proiettando
le posizioni delle aste nella configurazione finale sulle rispettive aste nella configurazione
indeformata.
Prendendo spunto dall’esempio svolto, nel seguito si vuole fornire ai gruppi di equazioni
precedentemente descritti una forma più compatta e generalizzabile. Introducendo il vet-
tore delle deformazioni e, il vettore degli spostamenti u ed il vettore degli sforzi interni Q,
LA SOLUZIONE DEL PROBLEMA STRUTTURALE 11

R1

Q1

Q1
P
R3 Q3 Q3
Q2 F
Q2

R2

Figura 1.8 Equilibrio delle forze nella configurazione indeformata.

come:   
e1 " # Q1
  ux  
e=
 e2  ; u = u
 ; Q=
 Q2  ;

y
e3 Q3
è possibile scrivere i gruppi di equazioni di congruenza (1.9), di equilibrio (1.10) e costi-
tutive (1.8) in forma matriciale compatta:

e = Cu
CT Q = F (1.11)
Q = Ke

in cui le matrici C e K sono dette rispettivamente matrice di congruenza e matrice di


rigidezza. Con riferimento all’esempio precedente, tali matrici assumono i valori:
   
0 −1 k1 0 0
   
C=  0 1  K =  0 k2 0 
  
1 0 0 0 k3

È da notare che le equazioni riportate nella (1.11) in condizioni di linearità hanno una
validità del tutto generale e non dipendono dall’esempio proposto.
Dalla struttura matematica delle (1.11) emerge una realtà per certi versi sorprendente.
Infatti, finora le condizioni di congruenza e le condizioni di equilibrio sono state rica-
vate in maniera del tutto indipendente, riferendosi a questioni di carattere esclusivamente
cinematico, per le prime e meccanico per le seconde. Ebbene, l’introduzione dell’ipotesi
dei piccoli spostamenti con la conseguente linearizzazione delle equazioni, ovvero la loro
scrittura con riferimento alle condizioni indeformate, evidenzia la presenza di un operatore
lineare C che descrive le configurazioni cinematicamente ammissibili e, semplicemente
trasposto, è in grado di descrivere anche le configurazioni staticamente ammissibili. Questa
evenienza è del tutto generale non legata allo specifico esempio svolto.
12 INTRODUZIONE

Si vuole, inoltre, sottolineare che spesso le sole equazioni di equilibrio non possono
essere risolte indipendentemente, in quanto la matrice CT è rettangolare bassa, ovvero il
sistema di equazioni di equilibrio contiene più incognite che equazioni, di conseguenza
chiameremo questa struttura staticamente indeterminata.
D’altra parte, neanche le equazioni di congruenza possono essere risolte da sole, poiché
la matrice C è una matrice rettangolare alta, ovvero vi sono più equazioni che incognite, e
la struttura può essere denotata come cinematicamente impossibile.
La soluzione è, pertanto, ottenibile solo operando una sintesi tra i vari gruppi di equazioni
a disposizione. Sostituendo le equazioni di congruenza e costitutive nelle equazioni di
equilibrio si ottiene:  
CT KC u = F → K̂u = F (1.12)

con K̂ = CT KC che viene chiamata matrice di rigidezza della struttura assemblata.


L’equazione di governo della struttura (1.12) rende possibile la sua soluzione in termini
di spostamenti. Sostituendo successivamente nelle equazioni di equilibrio si possono de-
terminare gli sforzi interni Q e sostituendoli nelle equazioni costitutive si possono deter-
minare le deformazioni e, pervenendo alla soluzione completa del problema.
CAPITOLO 2

PROPRIETÀ MECCANICHE DEI


MATERIALI

Ut tensio, sic vis


— Robert Hooke

Tutte le strutture sono costituite da materiali deformabili le cui caratteristiche mecca-


niche possono essere desunte attraverso semplici prove di laboratorio. Nel seguito del
presente capitolo verranno dapprima descritte le caratteristiche principali dei materiali da
costruzione e si forniranno alcune definizioni utili alla loro classificazione.
In secondo luogo, verranno presentate le principali prove sperimentali per la determi-
nazione delle proprietà meccaniche dei materiali, se ne commenteranno i risultati e ver-
ranno introdotte le necessarie notazioni analitiche e le conseguenti interpretazioni mecca-
niche.

2.1 I materiali da costruzione

Una importante branca della Scienza delle Costruzioni è la cosiddetta “Meccanica dei
Materiali” in cui vengono analizzati i materiali di cui sono fatte le strutture e il loro com-
portamento viene schematizzato con opportune modellazioni analitiche.
In generale tutte le strutture sono composte da materiali più o meno deformabili che
possono essere classificati in base alla loro omogeneità, isotropia e duttilità. Un materiale
si dice omogeneo quando una qualunque porzione di esso possiede le medesime caratter-
istiche. Si dice isotropo un materiale le cui proprietà meccaniche e/o deformative non
Appunti di Scienza delle Costruzioni, I revisione. 13
By Giacomo Navarra - 2016
14 PROPRIETÀ MECCANICHE DEI MATERIALI

dipendono dalla direzione di osservazione. Un materiale anisotropo può essere ortotropo


se le sue caratteristiche sono diverse in base a determinate direzioni mutuamente ortogo-
nali. Un materiale è duttile se riesce a esplicare notevoli deformazioni prima di raggiungere
la rottura, altrimenti si dirà fragile.
Un esempio di materiale non omogeneo è il calcestruzzo, un materiale ortotropo è il
legno, i materiali lapidei sono fragili, mentre l’acciaio è omogeneo, isotropo e duttile.

2.2 La prova di trazione monoassiale

Supponiamo di volere studiare il comportamento di un materiale duttile e di confezionare


un provino come quello indicato nella Figura 2.1. Le dimensioni del provino, la sua forma

l0
N N

Figura 2.1 Provino a osso di cane per prova di trazione su materiale duttile.

e la sua sezione trasversale sono stabilite da apposite normative internazionali in funzione


del tipo di materiale e dell’elemento strutturare dal quale si estrae il provino.
I provini vengono inseriti su macchine di prova dette macchine universali e sono sot-
toposti a delle forze di trazione, dirette cioè in modo tale da provocare allungamenti nel
provino. Le estremità del provino hanno la particolare forma indicata in figura perché ven-
gono fissate alle ganasce della macchina, mentre la parte centrale è allungata in modo da
avere una distribuzione degli sforzi interni e delle deformazioni più omogenea possibile,
in modo da risentire poco del disturbo causato dalle ganasce. È proprio in questa parte
centrale che si effettueranno le misurazioni.
Come è intuitivo riconoscere, a seguito dell’applicazione di un carico N , il provino
si deformerà allungandosi e una base di misura posta sulla parte centrale del provino,
che inizialmente aveva lunghezza l0 , dopo la deformazione avrà una lunghezza finale l,
subendo, quindi, un allungamento ∆l = l − l0 .
È possibile mettere in relazione tale allungamento ∆l con il carico N che lo ha provo-
cato, come mostrato nel grafico di Figura 2.2, scoprendo che, almeno per valori modesti
del carico applicato, esiste un legame di proporzionalità diretta tra N e ∆l.
Un’altra evidenza sperimentale desumibile dalla prova descritta, consiste nel fatto che, a
seguito di una rimozione graduale del carico, si osserva una diminuzione dell’allungamento
fino a quando il provino, rimosso totalmente il carico, ritorna alle dimensioni originarie.
Ovvero il materiale mostra un comportamento di tipo elastico.
Ripetendo la stessa tipologia di prova per un secondo provino avente l’area della sezione
trasversale doppia rispetto al primo, si osserverà che gli allungamenti sono pari circa alla
LE TENSIONI E LE DEFORMAZIONI 15

2A0

A0

Dl

Figura 2.2 Relazione carico-allungamento per una prova di trazione.

metà, mentre se ripetessimo la prova per un altro provino avente lunghezza iniziale l0
doppia, registreremmo allungamenti doppi. Queste considerazioni, al fine di volere carat-
terizzare il comportamento non già del provino, ma del materiale di cui è costituito, ci
fanno comprendere la necessità di fare riferimento a delle grandezze interne, ossia non
dipendenti dalle specifiche dimensioni del provino e del carico applicato.

2.3 Le tensioni e le deformazioni

Al fine di definire il legame costitutivo di un materiale in termini di grandezze interne,


supponiamo di sezionare il nostro provino con un piano π ortogonale al suo asse e di
individuare la sezione trasversale Ω la cui area è pari ad A, come descritto nella Figura 2.3.

Affinché si mantenga l’equilibrio alla traslazione nella direzione del carico N appli-
cato per ognuna delle due parti createsi a seguito della sconnessione, devono nascere, sulla
superficie Ω, delle forze distribuite sulla sezione, che sono chiamate tensioni. Tali forze de-
vono equilibrare il carico esterno N . Immaginando che su ogni areola elementare dA della
sezione trasversale Ω agisca una forza elementare dN , è possibile definire analiticamente
il concetto di tensione mediante la seguente espressione:

dN
σ = lim
dA→0 dA
Si vuole studiare la distribuzione delle tensioni sulla superficie Ω. Innanzitutto si può
immaginare che se si operasse un’altra sezione con un altro piano Ω’, per ragioni di equi-
librio, la risultante di tutte le tensioni dovrà sempre equilibrare la medesima forza N , e
questo dovrà valere per ogni possibile sezione trasversale. Questo concetto può tradursi
analiticamente mediante le seguente equazione di equilibrio:
Z
N= σdA (2.1)
A
16 PROPRIETÀ MECCANICHE DEI MATERIALI

A0 dA
W
N

W
p

Figura 2.3 Sconnessione del provino con un piano π.

Supponiamo adesso di sezionare il nostro provino con un piano che contiene l’asse del
provino stesso, cosı̀ come mostrato in Figura 2.4. Quello che si osserva è che il comporta-

N N
2 2

N N
2 2

Figura 2.4 Sconnessione del provino con un piano longitudinale.

mento del provino per ognuna delle due porzioni è uguale, ovvero ognuna delle due parti
sarà soggetta ad un carico esterno pari a N/2 e sulle sezioni trasversali nasceranno delle
tensioni che dovranno equilibrare i carichi esterni; inoltre, l’allungamento ∆l sarà uguale
a quello manifestatosi nel caso precedente.
LE TENSIONI E LE DEFORMAZIONI 17

Portando questo ragionamento al limite, è possibile suddividere il provino in innu-


merevoli parti di area infinitesima dA sulle quali agirà una tensione σ = dN /dA uguale
in ognuna delle parti. In altri termini, è come se il provino fosse costituito da infinite
fibre longitudinali di area dA tutte soggette alla tensione σ che, pertanto, risulta essere
distribuita uniformemente sulla sezione trasversale Ω. Pertanto, sarà possibile riscrivere la
(2.1) come: Z Z
N
N= σdA = σ dA = σA0 → σ = (2.2)
A0 A0 A0

La (2.2) è una equazione di equilibrio e mette in relazione grandezze meccaniche esterne


(il carico N ) e grandezze meccaniche interne (le tensioni σ).
Le tensioni sono grandezze puntuali e questo tipo di tensione è chiamata tensione nor-
male perché agisce in direzione ortogonale alla sezione trasversale. Le tensioni si mis-
urano come forze per unità di superficie [F · L−2 ]. Nel sistema tecnico vengono misurate
in kg/cm2 , mentre nel S.I. in N/m2 = P a. In pratica, però, si usano dei convenienti
multipli come il N/mm2 = M P a.
La circostanza emersa dal ragionamento precedente, secondo la quale le tensioni σ
non subiscono variazioni al variare dell’ascissa x che definisce la posizione della sezione
trasversale Ω, porta a scrivere un’altra relazione di equilibrio in forma differenziale:

=0
dx
Per svincolarsi anche dalle dimensioni longitudinali della base di lettura individuata sul
provino, possiamo dividere l’allungamento ∆l per la lunghezza iniziale della base di let-
tura l0 , ottenendo una misura adimensionale (in quanto è un rapporto tra due lunghezze)
dell’allungamento che verrà chiamata deformazione longitudinale .
Il significato della deformazione è quello di misurare l’allungamento di un provino di
lunghezza iniziale unitaria. In termini analitici avremo:
∆l l − l0
= =
l0 l0
Dalla precedente definizione emerge che saranno positive le deformazioni che provocano
un allungamento (∆l > 0), mentre saranno negative le deformazioni che provocano un
accorciamento (∆l < 0). Allo stesso modo, si definiscono positive le tensioni che sono
dirette concordemente con la normale uscente dalla sezione e vengono dette di trazione. Le
tensioni in direzione discorde alla normale uscente dalla sezione saranno, invece, negative
e si dicono tensioni di compressione. Infine, si vuole sottolineare che tensioni positive
(di trazione) provocano deformazioni positive (allungamenti) e che tensioni negative (di
compressione) provocano deformazioni negative (accorciamenti).
La relazione intercorrente tra N − ∆l che avevamo schematizzato in precedenza, può
adesso riproporsi in termini di tensioni e deformazioni σ − . Poiché nel fare questo pas-
saggio dividiamo per delle grandezze costanti (A0 , l0 ) la relazione resterà lineare ma sarà
adesso rappresentativa del comportamento del materiale, e non del provino, dal momento
che coinvolge grandezze puntuali e interne, come mostrato in Figura 2.5.
Nel caso in cui la relazione tra tensioni e deformazioni, almeno per modesti valori delle
tensioni, abbia andamento lineare, il coefficiente di proporzionalità è una costante dipen-
dente dalle caratteristiche meccaniche del materiale e, con riferimento alla figura, vale:

tan (α) = = cost. = E
d
18 PROPRIETÀ MECCANICHE DEI MATERIALI

ds
de

a e

Figura 2.5 Relazione tensione-deformazione per una prova di trazione.

Questo coefficiente viene chiamato Modulo di elasticità longitudinale oppure Modulo di


Young e viene misurato in [F · L−2 ] in quanto è il rapporto tra una forza per unità di
superficie ed una quantità adimensionale.
Con rifermento ad un comportamento elastico lineare possiamo esprimere il legame
tra le grandezze meccaniche interne (le tensioni σ) e le grandezze cinematiche interne (la
deformazione ) mediante la seguente equazione costitutiva (legge di Hooke):

σ = E

L’ultimo gruppo di equazioni, quelle di congruenza, possono essere desunte supponendo


di avere un provino vincolato ad un estremo e soggetto ad una forza N nell’estremo libero
di ascissa x = L, come quello mostrato in Figura 2.6.
Da quanto detto in precedenza, nel provino si desterà un regime di tensioni σ uniformi
sia all’interno della singola sezione trasversale che al variare di x. Se il materiale è elastico
lineare anche le deformazioni  saranno distribuite in modo uniforme. Vogliamo conoscere
l’andamento della funzione spostamento u (x).
A causa della presenza del vincolo possiamo sicuramente affermare u (0) = 0 e, sapendo
che l’allungamento finale sarà pari a ∆l, possiamo porre u (L) = ∆l. La misura della de-
formazione sarà:
∆l u (L) − u (0)
= = (2.3)
L L
Se adesso valutiamo la deformazione con riferimento ad un tronco infinitesimo del provino,
delimitato da una sezione S di ascissa x e da una sezione S’ immediatamente vicina di
ascissa x + dx, possiamo riscrivere la (2.3) come:

u (x + dx) − u (x)
=
dx
e, passando al limite per dx → 0 si ottiene la seguente equazione di congruenza:

u (x + dx) − u (x) du
 = lim = (2.4)
dx→0 dx dx
LA PROVA DI TRAZIONE PER I MATERIALI DUTTILI 19

x dx Dl

u(x+dx)

u(x) L

Figura 2.6 Provino vincolato ad un estremo e soggetto ad una forza nell’estremo libero.

La relazione (2.4) indica il legame che deve sussistere tra le grandezze cinematiche esterne
(gli spostamenti u) e le grandezze cinematiche interne (le deformazioni ) perché il provino
possa deformarsi nel rispetto dei vincoli e senza creare lacerazioni o compenetrazioni nel
materiale.
Per risolvere il problema dell’equilibrio elastico si hanno, quindi, a disposizione tre
gruppi di equazioni, alcuni dei quali in forma differenziale, che per essere risolti hanno
bisogno di alcune condizioni al contorno.

2.4 La prova di trazione per i materiali duttili

Dopo avere definito nella precedente sezione le espressioni analitiche dei concetti di ten-
sione e deformazione, nel presente paragrafo si vogliono esaminare e commentare i risultati
di una prova monoassiale reale condotta su un provino costituito da un materiale duttile.
La prova viene condotta sottoponendo il provino ad una forza di trazione via via cres-
cente fino alla rottura. Nel seguito si esporranno le caratteristiche del comportamento del
materiale lungo le varie fasi che precedono il collasso.
In genere questo tipo di prove sperimentali possono essere condotte o a controllo di
forza, ovvero stabilendo valori del carico via via crescenti e misurando le corrispondenti
tensioni e deformazioni, oppure a controllo di spostamento, ovvero imponendo al provino
un livello di spostamenti via via crescente e misurando le forze e le tensioni necessarie per
ottenere gli spostamenti voluti e le corrispondenti deformazioni.
La differenza tra i due approcci sta nel fatto che, operando con il metodo a controllo di
forza, in corrispondenza delle condizioni di rottura, il provino non è in grado di assorbire
ulteriori incrementi di carico e la prova si arresta repentinamente con la rottura del provino
20 PROPRIETÀ MECCANICHE DEI MATERIALI

stesso. D’altra parte, operando secondo il controllo di spostamento, in corrispondenza del


valore di carico massimo si riescono ad imporre al provino degli ulteriori incrementi di
deformazione, a patto di ridurre il carico agente. In questo modo il metodo a controllo di
spostamento è in grado di cogliere anche il ramo post-rottura, detto ramo di softening.
Qualunque materiale per valori modesti del carico esterno esibisce un comportamento
caratterizzato da una relazione lineare ovvero di proporzionalità diretta tra le tensioni σ e
le deformazioni . Con riferimento alla Figura 2.7, questa prima fase è quella rappresentata

s
incrudimento
tensione di rottura
D softnening
B C

snervamento
A
limite elastico E

fase elastica lineare

a e
O

Figura 2.7 Diagramma σ −  per un materiale duttile soggetto a trazione.

dal tratto di curva OA ed è definita fase elastica lineare.


Aumentando il valore del carico esterno si entra in una fase in cui il comportamento è
ancora elastico, ovvero le deformazioni sono reversibili e rimuovendo il carico si riesce a
ripristinare le condizioni iniziali, ma la relazione σ −  non è più lineare. Questa fase è
rappresentata dal tratto di curva AB.
Il punto B viene chiamato limite elastico in quanto, una volta superatolo, si ha una fase
in cui la velocità di deformazione aumenta considerevolmente e il materiale fluisce plas-
ticamente a carico pressoché costante. Questa fase, individuata dal tratto BC, è detta fase
di snervamento e una parte delle deformazioni è irreversibile. L’aumento della velocità di
deformazione è dovuta alla rottura di alcuni legami molecolari con un conseguente rias-
setto della configurazione cristallina. La tensione corrispondente al punto B viene indicata
come tensione di snervamento.
Una volta raggiunta una nuova configurazione cristallina stabile il materiale è pronto
a subire ulteriori incrementi del carico esterno, incrementando sia le tensioni che le cor-
rispondenti deformazioni secondo la legge descritta dal tratto CD, detta fase di incrudi-
mento. È da notare che le pendenze della curva CD sono di gran lunga minori rispetto a
quella del tratto iniziale OA, segno che il materiale è ormai degradato. In corrispondenza
del punto D si ha il massimo valore di tensione che il materiale può sopportate e che viene
detta tensione di rottura.
Successivamente, se si opera in controllo di spostamento, si può osservare la cosiddetta
fase di softening, descritta dal tratto DE, in cui si ha una rapida caduta delle tensioni. Nella
zona centrale del provino durante le ultime fasi della prova si evidenzia la sezione nella
LA PROVA DI TRAZIONE PER I MATERIALI DUTTILI 21

quale avverrà la rottura attraverso la presenza di un restringimento della sezione trasversale


detto strizione.
Il processo di rottura dei legami molecolari avviene con dispersione di calore e l’area
sottesa al diagramma σ −  della Figura 2.7 rappresenta una misura dell’energia per unità
di volume spesa per la deformazione.

s
M D
B C

A
E

a a e
O T
ep eel

Fig. 2.8

Figura 2.8 Ciclo di isteresi per un materiale duttile.

In corrispondenza della fase elastica, ovvero fino al raggiungimento del punto B in


Figura 2.8, un processo di scarico della forza esterna avviene in modo tale da ripercorrere
lo stesso ramo della fase di carico. Quando il valore della forza residua si annulla, quindi,
non si registreranno deformazioni residue.
Se invece lo scarico si fa avvenire a partire da un punto M successivo al punto B, lo
scarico avverrà secondo una curva MT che può essere in prima approssimazione assimilata
ad una retta di pendenza pressoché identica alla retta di carico iniziale. Tale curva inter-
secherà l’asse delle deformazioni in un punto T cui compete un valore di deformazione
P . La deformazione corrispondente al punto M M , allora, viene solo in parte restituita
allo scarico e risulta essere composta da due aliquote: M = el + P , in cui el è la
porzione elastica della deformazione ed è reversibile, mentre P è l’aliquota plastica della
deformazione ed è irreversibile.
Se si opera con una nuova fase di carico a partire dal punto T si noterà che la curva rap-
presentativa dello stato del materiale seguirà un percorso TM quasi parallelo al tratto MT
ma tale che le due curve individuino l’area tratteggiata in Figura 2.8, detta area d’isteresi,
la cui superficie è proporzionale all’energia dispersa durante il ciclo e che si ritroverà sotto
forma di calore.
Il fenomeno della strizione, seppure in forme estreme, ha evidenziato la presenza di
una ulteriore componente di deformazione riferita alla direzione trasversale del provino.
Questa deformazione sarà di segno opposto alla deformazione longitudinale, ovvero si os-
servano delle contrazioni trasversali in corrispondenza a dilatazioni longitudinali e, vicev-
ersa, delle dilatazioni trasversali in corrispondenza alle contrazioni longitudinali. Inoltre,
la deformazione trasversale sarà proporzionale in modulo alla deformazione longitudinale.
22 PROPRIETÀ MECCANICHE DEI MATERIALI

Pertanto, indicando con l la deformazione longitudinale e con t la deformazione


trasversale varrà la seguente relazione:

t = −νl

in cui il coefficiente di proporzionalità ν viene definito come coefficiente di Poisson ed


è caratteristico del materiale. Può dimostrarsi che 0 ≤ ν ≤ 0.5 e, ad esempio, si avrà
ν = 0.10 per il calcestruzzo, ν = 0.30 per l’acciaio e ν = 0.50 per un fluido incomprimi-
bile.

2.5 La prova di compressione per i materiali fragili

Per quanto riguarda il comportamento fino a rottura dei materiali fragili, essi sono caratter-
izzati dal non possedere una fase plastica e, quindi, si perviene alla condizione di rottura
in maniera repentina appena esaurita la fase elastica, in modo da non potere distinguere tra
tensione di snervamento e tensione di rottura.
Un’altra importante differenza rispetto i materiali duttili è costituita dal fatto che, men-
tre i materiali duttili esibiscono lo stesso tipo di comportamento se sottoposti a sforzi di
trazione o di compressione, per i materiali fragili il comportamento è radicalmente dif-
ferente. In particolare, la resistenza a trazione della maggior parte dei materiali fragili
naturali (materiali lapidei) o artificiali (calcestruzzo, ghisa) è moto piccola rispetto la cor-
rispondente resistenza a compressione. Nella Figura 2.9 è riportata una caratteristica curva
σ −  per i materiali fragili.

E
A

BD

Figura 2.9 Diagramma σ −  per una prova su un materiale fragile.

2.6 Modellazione del legame costitutivo

Nella pratica progettuale il legame σ − , derivato da una prova sperimentale e descritto


nelle sezioni precedenti, è difficile da gestire dal punto di vista computazionale. Per cui,
IL METODO DELLE TENSIONI AMMISSIBILI 23

s s s

a) e b) e c) e

Figura 2.10 Diagramma σ −  per una prova su un materiale fragile.

salvo nei casi in cui l’importanza delle opere o dei rischi connessi siano particolarmente
elevati, si fa sempre riferimento ad una modellazione semplificata dei legami costitutivi.
Nella Figura 2.10 vengono riportate alcune delle modellazioni semplificate più ricor-
renti. Con la lettera a) è descritta una modellazione che prevede, alla fine del ramo elastico
pensato lineare, una fase perfettamente plastica in cui le deformazioni crescono indefini-
tamente a carico costante. Il legame costitutivo cosı̀ descritto è chiamato elastico perfet-
tamente plastico. In Figura 2.10-b viene invece riportata una semplificazione del legame
σ− che, per tenere conto della fase di incrudimento, modella il legame costitutivo con una
bilatera tale che la pendenza del secondo ramo è notevolmente inferiore a quella del primo
ramo elastico. Questo modello si chiama elasto-plastico incrudente. Infine, la Figura 2.10-
c riporta una modellazione in cui la fase elastica non viene considerata e il materiale avrà
un comportamento rigido fintantochè non venga raggiunta una soglia di tensione, oltre
la quale il materiale fluirà plasticamente a carico costante. Tale modellazione esprime il
legame costitutivo rigido-plastico.

2.7 Il metodo delle tensioni ammissibili

Oltre alle considerazioni relative alla resistenza del materiale, il progettista dovrà an-
che considerare i limiti imposti alla deformabilità delle strutture per poterne garantire la
fruibilità, a maggior ragione quando la tipologia strutturale o i materiali impiegati con-
sentono l’adozione di elementi strutturali particolarmente snelli.
Nella Scienza delle Costruzioni, in genere, ci si limita ad utilizzare il materiale all’inter-
no del tratto elastico lineare iniziale. Questo avviene, oltre alle ovvie ragioni legate alla
sicurezza delle strutture, al fine di semplificare notevolmente i procedimenti di calcolo e di
analisi strutturale.
Inoltre, per mantenere un ragionevole margine di sicurezza rispetto al limite di pro-
porzionalità elastica, si introduce il concetto di tensione ammissibile che è, appunto, la
massima tensione alla quale si potrà utilizzare il materiale. Detta σ0 il valore della ten-
sione di snervamento o di limite elastico e s un opportuno coefficiente di sicurezza (s ≥ 1,
in genere s = 3), la definizione di tensione ammissibile è data dalla:
σ0
σamm =
s
Per quanto riguarda i materiali fragili, in genere si prescinde del tutto dal considerare
una resistenza a trazione (s → ∞, σamm = 0) e si applica un opportuno coefficiente di
sicurezza alle tensioni di rottura a compressione.
24 PROPRIETÀ MECCANICHE DEI MATERIALI

2.8 La prova a torsione

Consideriamo adesso un altro tipo di prova sperimentale. Supponiamo di avere un provino


costituito da un cilindro cavo, tale cioè che la sua sezione trasversale è di tipo anulare con
simmetria polare. Ipotizziamo che una delle due facce di estremità del cilindro sia fissata
rigidamente e che l’altra estremità sia libera ma soggetta ad un momento torcente, ovvero
avente asse parallelo all’asse geometrico del provino, come mostrato nella Figura 2.11-
a. Indichiamo con R il raggio esterno della sezione trasversale e con s il suo spessore,

q
g qdC
x a
R s
Mt Mt

Rq
p

a) b)

Figura 2.11 Prova a torsione su un cilindro cavo e sezione trasversale.

nell’ipotesi che s sia piccolo rispetto a R.


Per ogni valore del momento torcente Mt applicato è possibile misurare lo spostamento
dei punti dell’estremità libera e cercare di determinare il regime deformativo. Supponendo
che il materiale di cui è costituito il provino sia elastico, lineare ed isotropo, è ragionev-
ole supporre che la deformazione avvenga mantenendo piane le sezioni trasversali e, per
piccoli valori del momento torcente, che le fibre longitudinali del provino si mantengano
rettilinee e non varino la propria lunghezza. La deformazione, allora, è governata dal solo
valore della rotazione rigida che sopporta ogni sezione trasversale e che indichiamo con
θ (x).
Dal punto di vista meccanico, operando una sconnessione del cilindro con un piano π1
ortogonale all’asse x e passante per un punto di ascissa generica x1 , è immediato riscon-
trare che sulla sezione cosı̀ individuata devono aversi delle tensioni disposte in modo da
equilibrare il momento torcente Mt . Queste tensioni non possono avere una componente
della loro risultante disposta in direzione normale alla sezione trasversale, perché la risul-
tante dei carichi esterni in direzione dell’asse x è nulla; un ulteriore motivo per cui non
possono esserci tensioni dirette lungo l’asse x è che si è postulato che le fibre longitudinali
non variano la propria lunghezza. Le tensioni presenti, quindi, devono giacere sul piano
della sezione trasversale e per questo motivo vengono dette tensioni tangenziali. Esse sono
responsabili delle deformazioni che provocano la rotazione delle sezioni trasversali.
Considerando un altro piano π2 parallelo al precedente ed intersecante l’asse x in un
punto di ascissa x2 , sarebbe possibile svolgere nuovamente le considerazioni fatte in prece-
LA PROVA A TORSIONE 25

s,t

s-e

t-g

e,g

Figura 2.12 Confronto tra i diagrammi σ −  per le tensioni normali e τ − γ per le tensioni
tangenziali.

denza per cui si può concludere che lo stato di sollecitazione nel cilindro non dipende
dall’ascissa considerata ed è pertanto uniforme. Inoltre, per ragioni di simmetria, le ten-
sioni tangenziali τ non possono dipendere dall’anomalia α e, dato che lo spessore s  R,
possiamo considerarle contanti lungo lo spessore s e dirette in direzione tangente alla cir-
conferenza media della sezione trasversale, come mostrato in Figura 2.11-b.
Il loro valore deve essere tale da essere equilibrare il momento torcente Mt per cui,
considerando il contributo infinitesimo della forza elementare q agente sul tratto dC, essa
darà luogo ad un contributo infinitesimo di momento torcente pari a:

dMt = qdCR = qR2 dα

ricordando che dC = Rdα. Integrando su tutta la sezione trasversale si ha:

Z2π
Mt = qR2 dα = 2πqR2
0

Dal punto di vista dimensionale, per ottenere il valore della tensione tangenziale τ è nec-
essario dividere q per lo spessore s ottenendo la seguente equazione di equilibrio:

q Mt
τ= =
s 2πR2 s
La deformazione corrispondente alla tensione τ è detta scorrimento γ e corrisponde alla
variazione di angolo tra due fibre che nella configurazione indeformata erano ortogonali. Il
significato geometrico dello scorrimento per il caso in esame è riportato nella precedente
Figura 2.11.
Per ricavare le equazioni di congruenza possiamo descrivere l’andamento delle rotazioni
θ (x). Nell’estremo vincolato la rotazione sarà nulla per cui θ (0) = 0. Nell’estremo libero
avremo invece θ (L) = Θ. Per quanto detto in precedenza il regime tensionale è uniforme
in tutto il cilindro e, nell’ipotesi di materiale elastico lineare, sarà uniforme anche lo stato di
26 PROPRIETÀ MECCANICHE DEI MATERIALI

deformazione che risulta essere individuato dal solo valore dello scorrimento. Tale valore,
con riferimento ancora alla Figura 2.11, può essere ricavato da semplici considerazioni
geometriche. Per la sezione di estremità deve aversi: γ (L) L = ΘR da cui:

ΘR
γ (L) = γ =
L
e poiché lo scorrimento è costante, per la generica sezione di ascissa x si avrà:

γ (x) x = θ (x) R

da cui si ricava:
Θx
θ (x) =
L
che rappresenta la ricercata equazione di congruenza.
L’ultimo gruppo di equazioni è quello che regola il legame tra le tensioni tangenziali
agenti e lo scorrimento prodotto. La linearità del materiale ci assicura che esisterà un
legame di proporzionalità diretta per cui possiamo scrivere le seguenti equazioni costitu-
tive:
τ = Gγ
in cui G prende il nome di modulo di elasticità tangenziale e, come si vedrà nel seguito,
può essere espresso in funzione del modulo di Young E e del coefficiente di Poisson ν.
Nella Figura 2.12 è riportato in via semplificata il confronto tra il legame σ −  ricavato
da una prova di trazione e quello τ − γ ricavato da una prova di torsione sullo stesso
materiale. È immediato constatare che gli andamenti sono simili anche se numericamente
differenti.
CAPITOLO 3

CARATTERISTICHE STATICHE E
CINEMATICHE DI STRUTTURE
MONODIMENSIONALI

Si intende per sistema materiale un qualsiasi aggregato di punti materiali a prescindere


dalle sue proprietà fisiche o meccaniche. La cinematica dei sistemi materiali studia la ge-
ometria dei sistemi materiali durante il corso della loro deformazione. Chiamiamo configu-
razione di un sistema l’assetto geometrico di ognuno dei punti che compongono il sistema.
Allora la cinematica dei sistemi materiali studia le configurazioni cinematicamente am-
missibili, ovvero la classe di configurazioni che un dato sistema può assumere nel rispetto
dell’integrità del materiale e nel rispetto dei vincoli.
Tali configurazioni possono essere descritte fissando un numero minimo di parametri
lagrangiani, cioè dei parametri tra loro indipendenti che descrivono univocamente la con-
figurazione stessa. Vi sono diverse possibili scelte dei parametri lagrangiani, ma il loro nu-
mero dipende soltanto dalle caratteristiche cinematiche del sistema materiale. I parametri
lagrangiani vengono anche detti gradi di libertà del sistema e possono essere identificati
con le possibilità di spostamento semplici che il sistema possiede.
Ad esempio, un corpo rigido nel piano possiede tre gradi di libertà. Infatti, con riferi-
mento allo schema riportato in Figura 3.1, è possibile identificare univocamente qualsiasi
sua configurazione fissando tre parametri lagrangiani che possono essere le coordinate del
suo baricentro xG e yG e l’angolo ϕ che il segmento GP forma con l’asse x.
Sono possibili diverse scelte per i parametri lagrangiani ma il loro numero sarà sempre
pari a tre; a titolo esemplificativo si potrebbero scegliere le quattro coordinate dei punti A
e B del corpo rigido, ma esse non saranno parametri indipendenti in quanto la distanza AB
deve mantenersi inalterata durante i cambiamenti di configurazione e pertanto tra queste

Appunti di Scienza delle Costruzioni, I revisione. 27


By Giacomo Navarra - 2016
28 CARATTERISTICHE STATICHE E CINEMATICHE DI STRUTTURE MONODIMENSIONALI

y
A'

y'G G'
j'
P'
A B'
yG P j=0
G
B
x
xG x'G

Figura 3.1 Determinazione delle configurazioni di un corpo rigido nel piano.

quattro coordinate esiste la relazione:


2 2 2
AB = (xB − xA ) + (yB − yA )

che fa sı̀ che in realtà i parametri liberi non siano più quattro bensı̀ tre. La condizione di
corpo rigido può, quindi, essere vista come una limitazione alla possibilità di movimento,
ovvero come un vincolo interno.

3.1 Le caratteristiche cinematiche dei vincoli

Generalizzando, un vincolo è un dispositivo atto a limitare delle possibilità di movimento


del sistema materiale cui è applicato, riducendo di fatto le classi di configurazioni ammis-
sibili e, quindi, i gradi di libertà del sistema. L’entità della riduzione dei gradi di libertà
dipende dalla tipologia del vincolo e viene definita molteplicità cinematica del vincolo.
I vincoli possono, quindi, essere classificati in base alla loto molteplicità: essi possono
essere semplici, doppi, tripli, ecc. a seconda del numero di gradi di libertà che sottraggono
al sistema. Nello spazio un corpo formato da infiniti punti materiali (corpo deformabile)
possiede ∞6 gradi di libertà (∞3 nel piano), ma se il corpo è rigido i gradi di libertà si
riducono a 6 (3 nel piano).
I vincoli oggetto della Scienza delle Costruzioni sono sempre considerati come pun-
tiformi, ovvero non hanno estensione fisica. Essi possono essere anche classificati secondo
altri criteri. Si chiamano vincoli olonomi quelli le cui condizioni di vincolo possono es-
sere espresse tramite equazioni o disequazioni in termini finiti, mentre sono detti vincoli
anolonomi quelli esprimibili mediante formulazioni differenziali.
Un altro elemento di classificazione porta a distinguere tra vincoli monolateri e bilateri;
i primi esplicano la loro funzione cinematica solo nei riguardi di un verso degli spostamenti
impediti, mentre consentono lo spostamento opposto. Per questi vincoli la condizione ana-
litica è rappresentata da una disequazione. Al contrario, i vincoli bilateri impediscono en-
trambi i versi degli spostamenti cui si riferiscono e sono espressi analiticamente mediante
delle equazioni.
LE CARATTERISTICHE CINEMATICHE DEI VINCOLI 29

Inoltre, i vincoli possono essere classificati come rigidi o perfetti se eliminano total-
mente le possibilità di movimento elementare cui sono applicati oppure come cedevoli se
ne consentono una quantità residua. Nella Scienza delle Costruzioni si fa di norma rifer-
imento a vincoli olonomi, bilateri e lisci (nel senso che non generano forze di attrito) e
perfetti (salvo quando indicato espressamente).
Passiamo adesso ad esaminare le caratteristiche dei vincoli più comuni dal punto di vista
cinematico, ovvero stabilire quali spostamenti vengono impediti o consentiti da ogni tipo
di vincolo. Per semplicità ci si riferirà al caso piano, ovvero i gradi di libertà posseduti dai
corpi che considereremo sono le due traslazioni in direzione x e y di un punto del corpo e
la rotazione ϕ. L’estensione al caso generale spaziale è ovvia.

¥
y
y y
A

A A
x
O
x x
a) b) c)

¥
y y Ø

A y
A
A
x x
d) e) f) x

Figura 3.2 Caratteristiche cinematiche delle tipologie comuni di vincolo; a) carrello; b) biella; c)
quadri pendolo; d) bipendolo; e) cerniera; f) incastro.

Nella Figura 3.2 sono riportati i vincoli più comuni nello studio della Scienza delle
Costruzioni. In a) è rappresentato il carrello in cui il punto A del corpo rigido è vincolato
a scorrere lungo un piano parallelo all’asse x e la rotazione attorno al punto A è consentita.
Di fatto questo vincolo impedisce soltanto la traslazione in direzione ortogonale al piano
di scorrimento (direzione y) ed è pertanto un vincolo semplice.
In b) è rappresentato il pendolo semplice o biella. Il punto A può muoversi lungo
una circonferenza di raggio OA ma, per piccoli spostamenti, possiamo confondere tale
circonferenza con la sua tangente. Inoltre, poiché l’unico spostamento impedito risulta
essere quello in direzione radiale, ed essendo consentita la rotazione, anche questo sarà un
vincolo semplice.
30 CARATTERISTICHE STATICHE E CINEMATICHE DI STRUTTURE MONODIMENSIONALI

Il vincolo rappresentato in c) è detto doppio bipendolo o quadripendolo; in regime di


piccoli spostamenti, dal momento che gli assi dei pendoli sono a due a due paralleli, ma le
coppie di assi non sono tra loro parallele, tale vincolo consentirà entrambe le traslazioni e
impedirà soltanto la rotazione, per cui anche questo vincolo può essere classificato come a
semplice molteplicità.
In d) viene rappresentato un vincolo che si chiama bipendolo ed è formato da due bielle
unite da una piastra. Gli assi delle bielle sono paralleli tra loro e, pertanto, questo vin-
colo consentirà la traslazione nella direzione ortogonale agli assi. La traslazione nella
direzione parallela agli assi delle bielle è impedita dalla indeformabilità assiale delle bielle
stesse, mentre la rotazione è anch’essa impedita in quanto causerebbe una variazione della
lunghezza delle bielle. Il bipendolo, allora, è un vincolo a molteplicità doppia.
Il vincolo rappresentato in e) è detto cerniera fissa o appoggio; il punto A non può subire
traslazioni ma solo una rotazione. Il vincolo in oggetto è quindi a doppia molteplicità.
L’ultimo vincolo da esaminare è quello illustrato in f) ed è detto incastro. Tale vincolo
elimina qualsiasi possibilità elementare di movimento del punto A impedendo entrambe le
traslazioni (x e y) e la rotazione (ϕ); l’incastro, quindi, ha molteplicità tripla. Un corpo
rigido nel piano (che quindi possiede tre gradi di libertà) vincolato in un suo punto con un
incastro perde tutte le possibilità di movimento.
Se i vincoli collegano la struttura in esame al suolo o a punti fissi vengono detti vincoli
esterni, mentre se sono interposti agli elementi strutturali si dicono vincoli interni. Le con-
siderazioni in merito alle molteplicità dei vincoli, svolte in precedenza con riferimento ai
vincoli esterni, e quindi relativamente agli spostamenti assoluti che ogni vincolo impediva
o consentiva, possono essere adesso ripetute per quanto riguarda i vincoli esterni facendo
riferimento agli spostamenti relativi tra le membrature connesse dal vincolo.

A
A

a) b)

Figura 3.3 Vincoli interni; a) cerniera interna; b) incastro interno.

Per chiarire meglio questo concetto consideriamo i vincoli interni rappresentati nella
Figura 3.3. Il vincolo contraddistinto con la lettera a) è detto cerniera multipla interna;
nel piano le n (tre in questo caso) aste concorrenti nel punto A possiedono tre gradi di
libertà ciascuna, per cui l’intero sistema in assenza di vincoli possiede 3n gradi di libertà.
Per quanto riguarda gli spostamenti assoluti il punto A può assumere qualunque configu-
razione, ma il punto A pensato appartenente all’asta 1 e il punto A pensato appartenente
all’asta 2 devono necessariamente coincidere, e lo stesso vale per ogni altra coppia di aste.
Il vincolo cerniera multipla interna, quindi, impedisce le traslazioni relative nelle due
direzioni di un’asta assunta arbitrariamente rispetto alle n − 1 aste restanti. Allora il grado
di molteplicità di questo vincolo è pari a 2 (n − 1).
Nel caso del vincolo riportato in Figura 3.3-b, detto incastro interno o vincolo di conti-
nuità, vengono impedite, oltre alle traslazioni relative, anche le rotazioni relative e, seguendo
un ragionamento del tutto analogo a quello visto in precedenza, si arriva alla conclusione
LE CARATTERISTICHE MECCANICHE DEI VINCOLI 31

che per n aste concorrenti il vincolo deve avere una molteplicità pari a 3 (n − 1) . Da
ciò si deduce che se più aste sono connesse tra loro mediante un incastro interno, esse si
comportano come un unico corpo rigido, mantenendo solamente tre gradi di libertà nel
piano.
Come detto in precedenza, ogni vincolo si caratterizza per il tipo di spostamento che
consente. Una visione alternativa di ciò è data dal concetto di centro di istantanea ro-
tazione, ovvero il punto del piano, proprio od improprio, attorno al quale il sistema strut-
turale che si muove per come consentito dal vincolo, può ruotare. Nella Figura 3.2 vengono
riportati in blu i luoghi geometrici dei centri di istantanea rotazione ammessi da ogni vin-
colo.
Ad esempio, il carrello, consentendo traslazioni in direzione x e rotazioni ϕ ammet-
terà centri di istantanea rotazione posti lungo una retta passante per il punto A e parallela
alla direzione y. Allo stesso modo la cerniera fissa, consentendo solo rotazioni, ma non
traslazioni, ammetterà che il centro di istantanea rotazione possa coincidere solamente con
il punto di vincolo stesso. In maniera analoga possono essere ricavati le possibili posizioni
dei centri di istantanea rotazione per ognuno degli altri vincoli.

3.2 Le caratteristiche meccaniche dei vincoli

Dal punto di vista meccanico i vincoli esplicano la loro funzione attraverso la nascita di
alcune forze dette appunto reazioni vincolari. Queste forze possono essere viste come la
controparte meccanica del vincolo stesso.
Per fornire una spiegazione sommaria del comportamento meccanico dei vincoli pos-
siamo condurre il seguente ragionamento. Se ipotizziamo che una struttura vincolata è
soggetta ad alcune forze esterne, per fare sı̀ che nella direzione dello spostamento impedito
dal vincolo non si inneschi un atto di moto è necessaria la presenza, sul punto vincolato, di
una forza di reazione opposta alla forza agente, in modo che il sistema di forze complessivo
risulti essere in equilibrio.
Sembra opportuno sottolineare che non basta la presenza di un vincolo affinché esista
una corrispondente reazione vincolare, ma è necessario che il sistema abbia effettivamente
la tendenza a compiere quegli spostamenti che il vincolo non consente.
Nel caso ricorrente di vincolo puntiforme, la reazione vincolare è costituita da una forza
(in senso generalizzato) concentrata applicata sul vincolo stesso e quindi, nel piano, è
descrivibile con tre parametri.
In realtà esiste una precisa connessione tra la funzione cinematica e la funzione mecca-
nica di un vincolo: i parametri meccanici (le componenti della reazione vincolare) diversi
da zero corrispondono alle molteplicità cinematiche (componenti dello spostamento im-
pedite) del vincolo.
Ad esempio, per il caso del carrello che, ricordiamo, impedisce solo la traslazione in
direzione y, nascerà una reazione che avrà solamente una componente in direzione y che
denoteremo con Ry , mentre le componenti della reazione nella direzione degli spostamenti
consentiti saranno nulle.
Nella Figura 3.4, seguendo lo stesso ordine seguito nel caso della determinazione del
comportamento cinematico dei vincoli, vengono evidenziate le componenti meccaniche
delle reazioni vincolari. A fini riepilogativi, nella Tabella 3.1, per ogni vincolo, si riportano
le caratteristiche cinematiche e meccaniche.
Riunendo in un vettore h i
uT = ux uy φ
32 CARATTERISTICHE STATICHE E CINEMATICHE DI STRUTTURE MONODIMENSIONALI

y
y y
A M
Ry Ry
A A
x
O
x x
a) b) c)

y y
Ry Ry
A M y
A
Rx A
Ry
x
M
x Rx x
d) e) f)

Figura 3.4 Caratteristiche meccaniche delle tipologie comuni di vincolo; a) carrello; b) biella; c)
quadri pendolo; d) bipendolo; e) cerniera; f) incastro.

le componenti di spostamento del punto vincolato e in un vettore


h i
RT = Rx Ry M

le componenti meccaniche della reazione vincolare, si può verificare che ad una compo-
nente di u nulla corrisponde una componente di R non nulla, e viceversa. In altri termini,
si dice che i due vettori u e R sono ortogonali, infatti vale la:
uT R = 0

Tabella 3.1 Caratteristiche meccaniche e cinematiche dei vincoli comuni.


Vincolo Caratteristiche cinematiche Caratteristiche meccaniche molteplicità
a) carrello ux 6= 0; uy = 0; φ 6= 0; Rx = 0; Ry 6= 0; M = 0; 1
b) pendolo o biella ux 6= 0; uy = 0; φ 6= 0; Rx = 0; Ry 6= 0; M = 0; 1
c) bipendolo ux 6= 0; uy = 0; φ = 0; Rx = 0; Ry 6= 0; M 6= 0; 2
d) doppio bipendolo ux 6= 0; uy 6= 0; φ = 0; Rx = 0; Ry = 0; M 6= 0; 1
e) cerniera fissa ux = 0; uy = 0; φ 6= 0; Rx 6= 0; Ry 6= 0; M = 0; 2
f) incastro ux = 0; uy = 0; φ = 0; Rx 6= 0; Ry 6= 0; M 6= 0; 3

Per quanto riguarda i vincoli interni, in precedenza si è fatto riferimento agli spostamenti
relativi delle membrature connesse. Adesso, per valutare le reazioni vincolari, si devono
CLASSIFICAZIONE DEI SISTEMI STRUTTURALI IN BASE ALLA LORO FORMA 33

considerare, in funzione della tipologia di vincolo, delle coppie di azione e reazione interne
alla struttura, agenti mutuamente sulle membrane connesse dal vincolo stesso. Tali forze
saranno dette, pertanto, reazioni vincolari interne. La disposizione di tali forze sarà chiarita
nel seguito mediante opportuni esempi.

3.3 Classificazione dei sistemi strutturali in base alla loro forma

I sistemi materiali di cui si è parlato sono sistemi del tutto generali per forma e dimen-
sione. Volendo circoscrivere la nostra attenzione ai sistemi strutturali è lecito introdurre
delle schematizzazioni. A tale scopo è possibile operare una classificazione delle strutture
secondo la forma e la funzione.
Tutti i sistemi, in ultima analisi, sono tridimensionali, tuttavia in alcuni casi è lecito
trascurare alcune dimensioni quando esse sono molto piccole rispetto alle altre. È il caso
dello spessore delle lastre o dei gusci sottili, trascurabili rispetto le altre due dimensioni,
o delle dimensioni trasversali delle aste o delle funi rispetto alla loro lunghezza. Quando
si trattano tali elementi è utile semplificare il problema meccanico e fare riferimento a
modelli bidimensionali o monodimensionali, rispettivamente.
Una struttura monodimensionale può essere pensata come generata da una porzione
di superficie piana (sezione trasversale S) che si muove nello spazio mantenendosi per-
pendicolare ad una curva L descritta dal suo baricentro, cosı̀ come mostrato in Figura 3.5.
Durante il movimento la superficie S può cambiare forma e dimensione, ma con regolarità.
La linea L si chiama asse geometrico della trave. Affinché tale schematizzazione non si

asse geometrico
sezione trasversale
z
solido monodimensionale y
x

Figura 3.5 Strutture monodimensionali.

discosti molto dalla situazione reale è necessario che le dimensioni della sezione trasver-
sale S siano piccole rispetto allo sviluppo dell’asse geometrico. In questo caso è lecito
trascurare le dimensioni trasversali del solido generato e attribuire alla linea L le proprietà
geometriche e fisico-meccaniche del solido.
Se il solido monodimensionale appena descritto è sollecitato da forze trasversali esso si
chiamerà trave. Se la linea L, cosı̀ come i carichi applicati, sono contenuti in un piano, la
trave si dirà piana. Se L è un segmento di retta, la trave si dirà rettilinea, se L è una linea
curva avremo una trave ad arco. Se un solido monodimensionale, in genere prismatico, è
sollecitato da forze agenti in direzione dell’asse L allora avremo un tirante se queste forze
sono di trazione, o un puntone se sono di compressione. Infine, se la sezione trasversale S
è talmente piccola rispetto lo sviluppo dell’asse geometrico da non offrire alcuna resistenza
34 CARATTERISTICHE STATICHE E CINEMATICHE DI STRUTTURE MONODIMENSIONALI

alle forze che tendono a piegare o a comprimere il solido, allora si dirà che siamo di fronte
ad un filo o ad una fune.

3.4 Classificazione dei sistemi strutturali in base alla disposizione dei vin-
coli

Siamo adesso interessati a studiare gli effetti della presenza e della disposizione dei vincoli
sulle travi. Per semplicità faremo riferimento a travi piane e rettilinee, per cui il numero
dei gradi di libertà della struttura non vincolata è pari a tre per ogni asta. In questo caso
si fa riferimento solamente ai cosiddetti gradi di libertà di corpo rigido e si ipotizza di non
considerare i gradi di libertà di corpo deformabile.
Infatti, essendo questi ultimi in numero infinito, comunque non potrebbero essere elim-
inati da vincoli puntiformi. Allora è lecito, in prima istanza, trattare il corpo materiale
come rigido. La condizione affinché questo corpo non subisca rototraslazioni nel piano
è che non vi sia nessun punto, proprio od improprio, che possa essere identificato come
centro di istantanea rotazione. Nell’esempio seguente si chiarirà meglio questo concetto.

ESEMPIO 3.1

Con riferimento al caso riportato nella Figura 3.6, la trave sconnessa dai vincoli (a) possiede tre
gradi di libertà; Supponiamo di aggiungere un carrello all’estremo A, cosı̀ come riportato in (b).
Il vincolo ha molteplicità semplice e quindi sopprime un grado di libertà alla struttura; il centro di
istantanea rotazione (C.I.R.) dell’asta, a seguito dell’introduzione del carrello, deve trovarsi sulla
retta r passante per la verticale condotta dal punto A. La struttura ha due gradi di libertà residui (ad
es. la traslazione orizzontale e la rotazione rispetto al punto A).

r B'
A B A A' B
GdL=3 GdL=2
a) b)

¥
K K'' t
K B'
r r s
s K'
GdL=0
A A' B'' A C
GdL=1 B B
c) d)

Figura 3.6 Cinematica di una trave vincolata.

Supponiamo adesso di aggiungere una biella inclinata all’estremo B della trave, cosı̀ come mostrato
in (c). Questo è un vincolo a molteplicità semplice e sopprime un ulteriore grado di libertà del sis-
tema. Il C.I.R., per effetto della biella, deve trovarsi lungo la retta s parallela all’asse della biella, ma
anche sulla retta r per la presenza del carrello, e pertanto si troverà nel punto K, loro intersezione
CLASSIFICAZIONE DEI SISTEMI STRUTTURALI IN BASE ALLA DISPOSIZIONE DEI VINCOLI 35

che può essere propria od impropria. Le possibilità residue di movimento della trave possono quindi
essere identificate da una rotazione (in senso generale) rigida attorno al punto K.
Per eliminare questa ulteriore possibilità di movimento possiamo inserire, ad esempio, un carrello
nel punto C, cosı̀ come evidenziato in (d). Anche tale vincolo ha una molteplicità semplice e quindi,
se ben disposto, eliminerà l’ultimo grado di libertà della trave.
Per verificare se ciò accade, constatiamo che, in seguito all’introduzione del carrello in C, il C.I.R.
deve trovarsi sulla retta t passante per la verticale del punto C. Tale retta, però, non passa per il punto
K, quindi per questa disposizione dei vincoli, non esiste un punto tale che tutte e tre le rette r, s e t
si intersechino in esso, ma esistono tre punti (K, K’ e K”) in cui tali rette si intersecano a due a due.
In particolare K” è un punto improprio perché le rette r e t sono parallele. Non esistendo un centro
istantaneo di rotazione allora il sistema non può compiere nessuna rototraslazione e non presenta
nessun grado di libertà residuo.

Vale la pena di sottolineare che una rotazione attorno ad un punto improprio è equivalente
ad una traslazione in direzione ortogonale a quella individuata dal punto improprio, quindi
si potrà sempre parlare di rotazioni in senso generalizzato attorno ad un punto.
Nel seguito si opererà una classificazione le strutture in base alla disposizione dei vin-
coli. Detto ν il cosiddetto grado di vincolo, ovvero il numero complessivo delle molteplicità
possedute dai vincoli, e a il numero di aste elementari di cui è composta la struttura in
esame, denoteremo con q il numero residuo dei gradi di libertà della struttura, definito
come:
q = 3a − ν (3.1)
In funzione del numero di aste componenti la struttura e della disposizione dei vincoli può
verificarsi una delle tre condizioni:

q > 0: il numero dei gradi di libertà sottratto dai vincoli è inferiore al numero dei
gradi di libertà del sistema. Vi sono ancora gradi di libertà residui. Il sistema è detto
ipercinematico o labile;

q = 0: il numero delle molteplicità vincolari è pari al numero dei gradi di libertà del
sistema. Questa rappresenta una condizione necessaria perché il sistema sia isocine-
matico o isostatico. La condizione sufficiente è che i vincoli siano ben disposti;

q < 0: il vincoli sottraggono al sistema un numero di gradi di libertà maggiore a


quelli posseduti. Il sistema è detto ipocinematico o iperstatico.

Vale la pena di soffermarsi sul concetto che i vincoli devono essere ben disposti, ovvero
devono essere effettivamente in grado di sottrarre un numero di gradi di libertà al sistema
pari alla molteplicità posseduta. Per evidenziare questo aspetto si considerino i seguenti
esempi.

ESEMPIO 3.2

Nella struttura riportata in Figura 3.7 il parametro q = 3 − (2 + 1) = 0 in quanto il vincolo in A


è a doppia molteplicità, mentre quello in B è un vincolo semplice. Per affermare che il sistema è
isostatico proviamo a determinare se esiste il C.I.R: il punto A è un punto fisso del sistema e quindi
il C.I.R., se esiste, deve coincidere con esso. D’altra parte questo deve essere anche un punto della
retta r ortogonale al piano di scorrimento del carrello in B. Si deduce che, poiché la retta r passa per
A, il C.I.R. coincide proprio con A e il sistema, nonostante abbia un numero di molteplicità vincolari
36 CARATTERISTICHE STATICHE E CINEMATICHE DI STRUTTURE MONODIMENSIONALI

pari al numero dei gradi di libertà, mantiene ancora una possibilità di movimento. Il sistema sarà
allora labile.

K ¥
r A K A B C
B

r s t

Figura 3.7 Esempio 3.2. Figura 3.8 Esempio 3.3.

ESEMPIO 3.3

Consideriamo il caso riportato nella Figura 3.8. Possiamo sicuramente affermare che il parametro
q = 3 − (1 + 1 + 1) = 0 ma i vincoli sono ben disposti? Il C.I.R. deve passare per le rette r, s
e t tutte ortogonali al piano di scorrimento dei carrelli. Queste rette, effettivamente, sono tra loro
parallele e concorrono tutte in un punto che è il punto all’infinito della loro direzione. Questo sarà il
C.I.R. e il sistema possiede una possibilità di movimento residuo identificabile come una rotazione
attorno al C.I.R. improprio, ovvero come una traslazione parallela al piano di scorrimento dei carrelli,
ed è quindi labile. Se invece uno dei due carrelli fosse stato ruotato, ad esempio di 45°, avremmo
avuto la stessa situazione descritta nel precedente Esempio 3.1 ed il sistema sarebbe stato isostatico.

ESEMPIO 3.4

Nell’esempio di Figura 3.9 sono presenti due aste vincolate al suolo con due cerniere fisse in A e C
e vincolate tra loro attraverso lacerniera interna in B. Il parametro Il parametro q nel presente caso
assume il valore q = (2 · 3) − 2 + 2 + 2 (2 − 1) = 0. Cerchiamo il C.I.R: le cerniere in A e C
sono dei punti fissi, quindi i C.I.R. dell’asta 1 e 2, se esistono, devono coincidere rispettivamente con
A e C.
Nel caso in esame siamo invece di fronte ad un sistema isostatico detto arco a tre cerniere. L’unica
condizione per cui il sistema possa muoversi è che anche il punto B sia allineato con A e C (caso delle
tre cerniere allineate che producono un cinematismo). Infatti in questo caso, descritto dalla Figura
3.10, sia l’asta 1 che l’asta 2 possono ruotare attorno a A e B, rispettivamente, in quanto per tali
rotazioni il punto B può muoversi in direzione ortogonale alle aste stesse. E’ immediato riconoscere
che ciò può avvenire solo se vi è una sola direzione contemporaneamente ortogonale ad entrambe le
aste, ovvero se esse sono allineate.

Un altro metodo per verificare la bontà della disposizione dei vincoli è quello di sconnettere
la struttura da tutti i vincoli e poi, aggiungendone uno alla volta, determinare se rimangono
residue possibilità di movimento. Gli esempi seguenti illustrano il metodo.
LA DETERMINAZIONE DELLE REAZIONI VINCOLARI 37

1
A
2
A B
1

C 2 C

Figura 3.9 Esempio 3.4. Figura 3.10 Arco a tre cerniere allineate

ESEMPIO 3.5

Nell’esempio di Figura 3.11 sono presenti due aste. La prima è vincolata al suolo con incastro
nell’estremo A e con un bipendolo nell’estremo B alla seconda asta, la quale è vincolata
 al suolo con
un carrello nell’estremo C. Il parametro q vale q = (2 · 3) − 3 + 1 + 2 (2 − 1) = 0.
Supponiamo di considerare la prima asta connessa all’incastro in A. Poiché il vincolo ha moltepli-
cità tripla, non vi saranno gradi di libertà residui. Connettiamo adesso l’asta 2 mediante il bipendolo
interno. Esso ha molteplicità m = 2 e toglie alla seconda asta la possibilità di avere traslazioni
orizzontali e rotazioni relative rispetto l’asta 1. Rimane la possibilità di avere una traslazione relativa
verticale dell’asta 2 rispetto l’asta 1. Questo movimento, però, comporterebbe uno spostamento ver-
ticale del punto C che è reso impossibile dall’introduzione del carrello in C. Pertanto, non rimanendo
nessuna possibilità residua di movimento e poiché si ha q = 0, il sistema è isocinematico.

ESEMPIO 3.6

Consideriamo il sistema di Figura 3.12. Per esso si ha: q = (2 · 3) − [3 + 2 + 2 + 1] = −2 ed il


sistema, per computo dei vincoli, sarebbe ipocinematico di grado 2.
Cerchiamo di capire se i vincoli sono disposti in maniera efficace: il corpo 1 (aste ABCD) è
rigido e l’incastro in A sopprime tutte le possibilità di movimento. Il vincolo in B risulta quindi
essere sovrabbondante e non efficace. L’asta 2 non può subire traslazioni orizzontali e verticali
relative rispetto l’asta 1 grazie alla doppia molteplicità della cerniera interna in D, ma può ruotare con
centro in D. Questa rotazione, nell’ipotesi di piccoli spostamenti, si traduce in E in uno spostamento
ortogonale alla congiungente ED e quindi in uno spostamento orizzontale. Il carrello in E non è in
grado di bloccare questa possibilità di movimento per cui il sistema è labile.

3.5 La determinazione delle reazioni vincolari

La conoscenza della risposta strutturale di un sistema materiale può ritenersi acquisita nel
momento in cui, nota la geometria del sistema, i carichi su di esso applicati e le caratter-
istiche del materiale di cui è costituito, è possibile determinare in ogni punto i valori del
campo di spostamenti e deformazioni subite e il valore delle azioni interne. Questo per-
38 CARATTERISTICHE STATICHE E CINEMATICHE DI STRUTTURE MONODIMENSIONALI

a)
A 1 B 2 C 1 C D

b) 2
A B E
1 2 C B

Figura 3.11 Esempio 3.5. Figura 3.12 Esempio 3.6

corso di conoscenza che si svolgerà nei prossimi capitoli ha necessariamente inizio dalla
determinazione delle reazioni vincolari.
Nel paragrafo precedente ci si è soffermati sulle caratteristiche cinematiche dei sistemi
in funzione del numero e della disposizione dei vincoli, ma non si è fatto riferimento ad
una specifica condizione di carico. Nel presente paragrafo, invece, si vogliono delineare i
criteri mediante i quali, sotto opportune condizioni, è possibile determinare le reazioni dei
vincoli attraverso considerazioni che coinvolgono solo l’equilibrio.

3.5.1 Le equazioni cardinali della statica


Esaminando il comportamento di un sistema materiale da punto di vista statico, si può
applicare il cosiddetto Postulato fondamentale della Meccanica secondo il quale è possi-
bile sostituire i vincoli di un sistema con le reazioni vincolari che essi esplicano. Queste
reazioni vincolari, a priori incognite, devono essere in equilibrio con i carichi cui è soggetto
il sistema.
Per imporre le condizioni di equilibrio si fa ricorso alle cosiddette Equazioni Cardinali
della Statica le quali affermano che un sistema vincolato soggetto a carichi è in equilibrio
se e solo se l’insieme delle forze attive (azioni esterne) e reattive (reazioni vincolari) ha
risultante nulla e momento risultante nullo rispetto a qualsiasi punto nel piano, ovvero se
sono verificate le: P
F=0
(3.2)
MO = 0 ∀O ∈ R3
P

Quindi, in generale, nello spazio 3D possiamo scrivere sei equazioni scalari, in numero
pari ai gradi di libertà di corpo rigido nello spazio. Riferendosi, invece, al caso piano, le
equazioni cardinali della statica diventano le tre seguenti:
P
Fx = 0
P
Fy = 0 (3.3)
Mz,O = 0 ∀O ∈ R2
P
LA DETERMINAZIONE DELLE REAZIONI VINCOLARI 39

Negli esempi seguenti verrà mostrato l’utilizzo delle equazioni cardinali della statica (o più
semplicemente equazioni di equilibrio) nella ricerca delle reazioni vincolari.

ESEMPIO 3.7

Consideriamo il sistema di Figura 3.13-a. Dal punto di vista cinematico possiamo affermare che il
parametro q vale: q = 3 − [1 + 1 + 1] = 0, i vincoli sono ben disposti e il problema è isocine-
matico. Sostituiamo ai vincoli le corrispondenti reazioni vincolari assunte ipotizzandone un verso.
In questo ambito, valendo l’ipotesi di piccoli spostamenti, è possibile imporre l’equilibrio rispetto la
configurazione indeformata iniziale (Figura 3.13-b).
I carrelli in A e in B reagiscono ciascuno con una forza ortogonale al piano di scorrimento, mentre
la biella in C reagisce con una forza diretta lungo l’asse della biella stessa. Imponendo l’equilibrio
attraverso la (3.3) si ha un sistema di tre equazioni e tre incognite che avrà una soluzione univoca per
ogni valore della forza F (il sistema è isostatico in quanto i vincoli sono ben disposti):

R =0
 C
 P  

 −RC cos α = 0
 P Fx = 0;

F (b − L)

  
VA =
 
Fy = 0; → −VA − VB + F − RC sin α = 0 → L (3.4)
  
 P Mz,C = 0;
  −2VA L − VB L + F b = 0
 

 F (2L − b)
 VB =

L
Ponendo, per esempio, b = L/2 si ricava: RC = 0, VA = −F /2 e VB = 3F /2, come mostrato
nella Figura 3.13. Il valore negativo trovato per la reazione vincolare VA va inteso nel senso che il
verso ipotizzato della reazione era errato.

F F
A B C a A
b B
L L
a) L L a) 2 2

F F
A B C
RC A
a HA B HB
VA VB
b) VA
b)

F
A B C
1 3
2F 2F
c)

Figura 3.13 Esempio 3.7. Figura 3.14 Esempio 3.8.

ESEMPIO 3.8

Sia dato il sistema di Figura 3.14, già considerato in precedenza e per il quale risultava q = 0, ma
era labile in quanto i vincoli risultavano essere mal disposti. Ci si chiede come si traduce questa
circostanza in termini di equazioni di equilibrio.
40 CARATTERISTICHE STATICHE E CINEMATICHE DI STRUTTURE MONODIMENSIONALI

Sostituendo ai vincoli le corrispondenti reazioni vincolari ed imponendo l’equilibrio attraverso la


(3.3) si ha: 
 P
 HB = HA

 P Fx = 0;

 


Fy = 0; → −VA + F = 0 (3.5)

 P  FL

 Mz,A = 0; 
 =0
2

Il sistema (3.5) ha tre equazioni e tre incognite ma la terza equazione conduce ad una identità mai
verificabile, mentre dalle altre due non si riesce a ricavare univocamente il valore delle reazioni vin-
colari. La labilità del sistema è quindi mostrata dalla impossibilità di verificare in nessuna condizione
di carico la terza equazione, d’altra parte le prime due equazioni formano un sistema in tre incognite
che è segno di una iperstaticità (vi sono più incognite che equazioni).

3.5.2 L’approccio matriciale alle equazioni cardinali della statica


Per ottenere una classificazione del sistema strutturale in esame può applicarsi esiste il
cosiddetto approccio matriciale che consiste nello scrivere le equazioni di equilibrio in
forma matriciale CR = F, in cui indichiamo il vettore delle incognite con R, il vettore dei
carichi con F e la matrice dei coefficienti con C. La soluzione di questa equazione è

R = C−1 F (3.6)

Dalla Geometria sappiamo che “Condizione Necessaria e Sufficiente perché un sistema


lineare ammette una soluzione unica è che la matrice dei coefficienti C sia quadrata e
a rango pieno, ovvero che il suo determinante sia diverso da zero”. A partire da questo
approccio possono svolgersi delle interessanti considerazioni.

ESEMPIO 3.9

F
A B C
a) a =p2

F
A B C
b) a =p2
VA VB RC

Figura 3.15 Condizione di labilità.

Considerando ancora l’Esempio 3.7, è possibile scrivere le equazioni di equilibrio (3.4) in forma
matriciale:
     
 −RC cos α = 0

 0 0 − cos α VA 0
    
−VA − VB + F − RC sin α = 0 →   −1 −1 − sin α    VB  =  −F 
   

 −2VA L − VB L + F b = 0

−2L −L 0 RC −F b
LA DETERMINAZIONE DELLE REAZIONI VINCOLARI 41

in cui la forma compatta CR = F è ottenuta attraverso le seguenti posizioni:


     
VA 0 0 0 − cos α
     
R =  VB  F =  −F  C =  −1
     −1 − sin α 

RC −F b −2L −L 0

La CNS affinché tale sistema ammetta una sola soluzione è espressa dalla:

det (C) = −L cos α + 2L cos α = L cos α 6= 0

che è verificata per α 6= π/2. Quindi, affinché il sistema sia isostatico (ammetta una sola soluzione)
è necessario che α 6= π/2,ovvero il pendolo in C non deve assumere la posizione verticale.
Nel caso in cui α = π/2, dalla Figura 3.15 le rette r, s e t contenenti il C.I.R. per ognuno dei
vincoli sarebbero tutte parallele e, pertanto, esisterebbe un C.I.R. nel punto all’infinito della direzione
verticale. Il sistema potrebbe, quindi, traslare in direzione orizzontale.
Per posizioni dei pendoli diverse da quella verticale, la soluzione del sistema di equazioni esiste
ed è unica ed il suo valore è:
       
VA − tan α 1 −1/L 0 F 1 + b/L
R = C−1 F → 
       
 VB  =  2 tan α −2 1/L    −F  =  −F 2 + b/L  ;
     
RC − sec α 0 0 −F b 0

Si vuole fare notare che la matrice C contiene solamente informazioni di natura geomet-
rica e cinematica e, pertanto, lo studio delle condizioni di isostaticità non dipende dalla
particolare condizione di carico ma solo dalla geometria del sistema e dalla disposizione
dei vincoli.
Il metodo matriciale assume delle proprietà interessanti quando viene applicato allo
studio di sistemi labili o iperstatici, come viene mostrato dagli esempi seguenti.

ESEMPIO 3.10

Si consideri il sistema di Figura 3.16-a. Esso è composto da un’asta vincolata nel solo punto A con
una cerniera fissa. Il parametro q vale: q = 3 − (2) = 1, quindi il sistema in esame possiede un
grado di libertà residuo che può essere identificato con la rotazione dell’asta attorno all’estremo A.
Il sistema è pertanto detto ipercinematico o labile.
Si supponga che il sistema sia soggetto ad una forza F in mezzeria ed inclinata di un angolo α
rispetto la direzione orizzontale. È possibile scrivere le equazioni di equilibrio nella forma:


 HA − F cos α = 0
 HA = F cos α

 

 
VA − F sin α = 0 → VA = F sin α

 FL 
 identità mai verif icata

sin α = 0


2

La terza equazione, che esprime l’equilibrio alla rotazione rispetto al punto A, degenera in una iden-
tità mai verificata sebbene dalle altre due equazioni è possibile determinare il valore delle reazioni
vincolari. Questo comporta che, oltre alla labilità già riscontrata, non sono presenti delle iperstaticità.
42 CARATTERISTICHE STATICHE E CINEMATICHE DI STRUTTURE MONODIMENSIONALI

F
A a
a)
L L
2 2

F
A a
b)
HA
VA

A F
c)
a =0
L L
2 2

Figura 3.16 Esempio 3.10.

Se si pongono le equazioni di equilibrio nella forma matriciale si ottiene la forma compatta CR =


F in cui valgono le seguenti posizioni:
   
F cos α 1 0
 
HA    
R=  F=  F sin α  C= 0 1 
VA    
F L/2 sin α 0 0

La matrice dei coefficienti C contiene più righe (numero di equazioni) che colonne (numero di
reazioni vincolari incognite) e viene detta matrice rettangolare alta. Ovviamente questa matrice
non è invertibile e il suo rango è 2. Di conseguenza il sistema non ammette soluzioni staticamente
ammissibili (è ipostatico).
È interessante ricercare le condizioni di carico sotto le quali il sistema possiede delle soluzioni.
Per fare questo è necessario imporre che la terza equazione di equilibrio possa essere verificata come
identità:
F L/2 sin α = 0 → sin α = 0 → α = 0 ± kπ (k ∈ N)
La Figura 3.16-c mostra una delle due configurazioni del carico per la quale il sistema può essere
considerato isostatico per condizioni di carico.

ESEMPIO 3.11

Si consideri il sistema di Figura 3.17. Esso è composto da un’asta vincolata ad incastro nell’estremo
A e con un carrello semplice all’altro estremo B. Essa è soggetta ad una forza F inclinata di un
angolo α rispetto la direzione orizzontale ed agente a distanza a dall’incastro. Il parametro q vale:
q = 3 − (3 + 1) = −1, quindi il sistema in esame può essere classificato come ipocinematico.
LA DETERMINAZIONE DELLE REAZIONI VINCOLARI 43

F
A a B
a
a) L

MA
A B
HA
VA VB
b)

Figura 3.17 Esempio 3.11.

Si sostituiscano i vincoli con le rispettive reazioni vincolari e si scrivano le equazioni di equilibrio


in forma compatta:
 
   HA  
 HA − F cos α = 0 1 0 0 0  F cos α

 
   VA  
  
VA + VB − F sin α = 0 → CR = F →   0 1 1 0 
 =  F sin α 


 MA + VB L − F a sin α = 0
 V B 
0 0 L 1 F a sin α
  
MA

Si può notare che adesso la matrice C dei coefficienti presenta più colonne (reazioni vincolari
incognite) che righe (equazioni di equilibrio) ed ha rango pari a 3. Il sistema possederà, quindi ∞1
soluzioni staticamente ammissibili. In altri termini sarà possibile fissare arbitrariamente il valore di
una delle reazioni vincolari e determinare di conseguenza il valore delle rimanenti altre. Per questo
motivo i sistemi come questo vengono anche detti iperstatici.

ESEMPIO 3.12

Si consideri il caso riportato in Figura 3.18. Le due aste AB e BC sono connesse in B da un vincolo
interno di continuità (incastro interno) che sopprime tre gradi di libertà, per cui il parametro q assume
il valore q = (2 · 3) − (1 + 2 + 3) = 0. Alla stessa determinazione si arriva considerando le due
aste AB e BC come un’unica asta, trovando q = 3 − (1 + 2) = 0.
Le equazioni di equilibrio, una volta sostituiti i vincoli con le reazioni vincolari incognite come
mostrato in Figura 3.18-b, possono essere poste nella forma:

 F + RA cos 45◦ − HC = 0


RA sin 45◦ − VC = 0 → CR = F →

 F L/2 + VC L − HC L = 0

44 CARATTERISTICHE STATICHE E CINEMATICHE DI STRUTTURE MONODIMENSIONALI

a) L b) VC
C
B B C HC

F F
L

A A
RA
a =45° a =45°

Figura 3.18 Esempio 3.12.

    
cos 45◦ −1 0 RA F
 ◦
   
→
 sin 45 0 −1 
  HC  =  0
   

0 −L L VC −F L/2
Il sistema ammette una soluzione unica se e solo se la matrice C dei coefficienti è a pieno rango,
ovvero se il determinante è diverso da zero. Ma, poiché det (C) = L sin 45◦ − L cos 45◦ = 0, il
sistema non ammette soluzione, ovvero non esiste una configurazione di reazioni vincolari atte ad
equilibrare una qualunque disposizione dei carichi esterni; il sistema è pertanto labile.
A questa conclusione si poteva giungere considerando che la biella in A ammette la possibilità
di avere un C.I.R. disposto lungo la retta contenente la biella stessa. Questa retta, passando per la
cerniera in C, identifica il C.I.R. dell’intero sistema proprio in corrispondenza del punto C. Nella
Figura 3.18-a viene anche evidenziata una possibile configurazione spostata.
La circostanza che il parametro q sia pari a zero sembra contraddire la classificazione delle
strutture svolta in precedenza. In realtà, nel caso in oggetto, alla labilità appena evidenziata è da
aggiungersi anche una iperstaticità. Uno dei vincoli, infatti, è disposto in modo da impedire uno
spostamento già reso impossibile da un altro vincolo.

Dall’esame degli esempi precedenti può concludersi che le condizioni di isostaticità di un


sistema strutturale dipendono solamente dalla geometria e dalla cinematica del sistema.
D’altra parte, tali attitudini devono essere in qualche modo “attivate” dalla particolare con-
dizione di carico cui il sistema è soggetto.
Per chiarire meglio il concetto è utile riferirsi all’esempio illustrato in Figura 3.19. Il sis-
tema descritto alla lettera a) è chiaramente ipercinematico in quanto q = 3 − (1 + 1) = 1 e
presenta una possibilità residua di movimento da individuarsi nella traslazione orizzontale.
Questa possibilità, però, deve essere attivata dal carico, ovvero affinché vi sia movimento
è necessario che il carico presenti una componente orizzontale diversa da zero. Nel caso
illustrato, non essendo presente tale componente, siamo di fronte ad un sistema labile ma
isostatico per condizioni di carico.
LA DETERMINAZIONE DELLE REAZIONI VINCOLARI 45

F
A B
a)

F F
2 2
F
A B
b)
F F
2 2

F
A B
c)
F
F 2
2

Figura 3.19 Condizioni cinematiche attivate dai carichi.

Il sistema descritto alla lettera b) riporta un caso per certi versi opposto al precedente.
Il parametro q vale q = 3 − (2 + 2) = −1 ed il sistema può essere classificato come
ipocinematico in quanto, in generale, le tre equazioni di equilibrio associate ai gradi di
libertà di corpo libero non sono sufficienti alla determinazione delle quattro reazioni vin-
colari incognite. In particolare, è possibile mostrare che le due componenti orizzontali
delle reazioni vincolari restano indeterminate, ma, in assenza di componenti orizzontali
del carico, queste reazioni non si attivano (hanno valore nullo) e le due equazioni di equi-
librio residue (alla traslazione verticale ed alla rotazione) sono sufficienti a determinare
le componenti verticali delle reazioni vincolari. Il sistema cosı̀ descritto si denota come
iperstatico ma isostatico per condizioni di carico.
Il sistema denotato con la lettera c) è invece effettivamente isostatico dal momento che
il parametro q vale q = 3 − (2 + 1) = 0 ed i vincoli sono ben disposti. È possibile ottenere
una soluzione ammissibile sia cinematicamente che staticamente in corrispondenza di ogni
configurazione di carico e, per la configurazione di carico descritta, tutti e tre i sistemi
ammettono la medesima soluzione.

3.5.3 Sistemi con vincoli interni: metodo dell’equazione ausiliaria


Nell’esempio 3.12 è stato affrontato per la prima volta il caso di un sistema con più aste.
Dal momento, però, che esse erano connesse tra loro con un vincolo interno di continuità,
è stato ancora possibile applicare il metodo di soluzione fin qui proposto.
Nel caso in cui, invece, i vincoli interni abbiano molteplicità inferiore è necessario
scrivere le equazioni di equilibrio tenendo conto della presenza del vincolo interno. Nel
seguente esempio verranno discussi due possibili procedimenti.

ESEMPIO 3.13

Si consideri il caso riportato in Figura 3.20-a. Le due aste I e II sono connesse in B da una cerniera
interna che sopprime 2 (n − 1) = 2 gradi di libertà; le cerniere esterne fisse in A ed in C sopprimono
ognuna due gradi di libertà, per cui il parametro q assume il valore q = (2 · 3) − (2 + 2 + 2) = 0.
Se i vincoli sono ben disposti il sistema è isostatico. Il caso illustrato può essere considerato come un
46 CARATTERISTICHE STATICHE E CINEMATICHE DI STRUTTURE MONODIMENSIONALI

arco a tre cerniere ed è staticamente determinato se e solo se, come nel caso presente, le tre cerniere
non sono allineate.
Per ricavare le equazioni di equilibrio è necessario sostituire i vincoli con le rispettive reazioni vin-
colari incognite, trattando i vincoli interni allo stesso modo dei vincoli esterni, ovvero introducendo
una reazione vincolare incognita per ogni componente cinematica impedita.

F F VB
B HB
B HB
I II I II
VB
L

A h A
HA
L L VA

C C
a) b) HC
VC

Figura 3.20 Esempio 3.13.

Dal momento che la cerniera interna impedisce gli spostamenti relativi orizzontali e verticali
dell’asta II rispetto l’asta I, le corrispondenti azioni meccaniche sono le forze orizzontali e verticali
con cui il sistema I agisce sul sistema II e le rispettive forze orizzontali e verticali con cui il sistema
II agisce sul sistema I, quest’ultime ovviamente uguali e contrarie alle prime due per il principio di
azione e reazione.
La configurazione delle reazioni vincolari è riportata in Figura 3.20-b. Il punto B sarà quindi il
centro di rotazione relativa dell’asta I rispetto l’asta II. In virtù di quanto affermato, le equazioni di
equilibrio del sistema sono:




 HA − H C = 0

VA + VC − F = 0 (3.7)

 F L
+ HC (L − h) − 2VC L = 0


2

L’esame del sistema di equazioni (3.7) porta a considerare che, nonostante il sistema strutturale in
oggetto sia isostatico, si ha un sistema di tre sole equazioni in quattro incognite che non ammette una
soluzione unica. Va, però, notato che le equazioni di equilibrio appena determinate non contengono
alcuna informazione sulle peculiari condizioni di vincolo del punto B.
Per determinare qualche informazione aggiuntiva che ci consenta di risolvere il sistema possiamo
ricordare che, affinché una struttura possa essere considerata in equilibrio lo deve essere sia global-
mente (come espresso imponendo le equazioni cardinali della statica), sia localmente. In altri termini
ognuna delle parti in cui possiamo suddividere la struttura deve essere in equilibrio.
LA DETERMINAZIONE DELLE REAZIONI VINCOLARI 47

Nel caso in oggetto, quindi, possiamo pensare di isolare ad esempio l’asta I, come mostrato nella
Figura 3.21-a e scriverne le equazioni di equilibrio.




 HA − HB = 0

VA + VB = F (3.8)

 FL
− HB L − VB L = 0


2

In questo modo abbiamo altre tre equazioni disponibili, ma si sono anche introdotte altre due

VB
B HB

F II
a)
B
I HB
VB

A
HA C
VA b) HC
VC

Figura 3.21 Equilibrio locale dei tronchi.

nuove incognite. Complessivamente, considerando unitamente il sistema (3.7)+(3.8) si avranno sei


equazioni in sei incognite che ammetterà la soluzione unica:

FL Fh F (2L − h)
HA = HB = HC = VB = VC = VA = (3.9)
2 (h + L) 2 (h + L) 2 (h + L)
Alternativamente, imponendo l’equilibrio dell’asta II, come mostrato nella Figura 3.21-b, potevano
scriversi le seguenti: 
 HB − HC = 0


VB − VC = 0 (3.10)

 HB h − VB L = 0

e considerando in modo analogo il sistema (3.7)+(3.10) si poteva giungere alla stessa soluzione.
Infine, poteva operarsi sin dall’inizio sconnettendo il sistema in due tronchi e scrivendo le equazioni
di equilibrio per ognuno di essi. Si sarebbe ottenuto il sistema (3.8)+(3.10) il quale, ovviamente am-
mette la medesima soluzione (3.9).
Nel caso in cui non si fosse in prima battuta interessati alle reazioni vincolari interne, è possibile
utilizzare un approccio alternativo che consente di ridurre le equazioni del sistema risolvente e di
semplificarne la soluzione. Il sistema di equazioni di equilibrio globale (3.7), può essere risolto
imponendo una sola ulteriore equazione. L’equazione mancante, detta equazione ausiliaria, è quella
che tiene conto delle caratteristiche meccaniche del vincolo interno.
Nel caso in oggetto, la cerniera interna consente la rotazione relativa tra i due tronchi della strut-
tura e, pertanto, non è in grado di assorbire nessun momento. Allora è possibile ricavare l’equazione
ausiliaria imponendo che la totalità delle forze attive a sinistra (tronco I) o a destra (tronco II) della
48 CARATTERISTICHE STATICHE E CINEMATICHE DI STRUTTURE MONODIMENSIONALI

cerniera interna non devono produrre momento risultante rispetto al punto B:


X
MB = 0 → VC L − HC h = 0 (3.11)

Il sistema (3.7)+(3.11), composto da quattro equazioni in quattro incognite, ammette la medes-


ima soluzione (3.9) in termini delle reazioni vincolari esterne. Per determinare le reazioni vincolari
interne è comunque necessario procedere all’equilibrio di uno dei tronchi, ma il metodo porta delle
indubbie semplificazioni di calcolo.

3.5.4 Il caso dei vincoli interni caricati


Nel caso affrontato nel paragrafo precedente le reazioni vincolari incognite della cerniera
interna potevano essere determinate sostituendo tale vincolo con una coppia di forze gen-
eralizzate di azione e reazione per ognuna delle molteplicità del vincolo interno. Ciò è
valido fintantoché sul vincolo stesso non agiscano delle forze concentrate.
In caso contrario, quando cioè un vincolo interno risulta essere caricato, è necessario
isolarlo dalla struttura e determinare le reazioni vincolari che esso trasmette alle porzioni
di struttura che collega, imponendo le condizioni di equilibrio del vincolo. Nell’esempio
seguente è mostrato questo procedimento in relazione ad una struttura avente la stessa
geometria di quella appena esaminata, ma in cui una forza concentrata agisce sul vincolo
interno.

ESEMPIO 3.14

Si consideri il caso riportato in Figura 3.22-a. Le due aste I e II sono connesse in B da una cerniera
interna e su di essa agisce una forza concentrata F. Il sistema, identico a quello dell’esempio prece-
dente, è chiaramente isostatico.

V''B
F B H''B

B II
B
I II H'B
I
V'B
L

A h F
A H'B H''B
L L HA V'B B V''B
VA C
C HC
VC
a) b)

Figura 3.22 Esempio 3.14.

Per determinare il valore delle reazioni vincolari è possibile considerare separatamente i singoli
tronchi I e II, come mostrato in Figura 3.22-b, tenendo però conto del fatto che adesso le reazioni
LA DETERMINAZIONE DELLE REAZIONI VINCOLARI 49

vincolari interne della cerniera in B non saranno più uguali a destra ed a sinistra, ma saranno tali
che la cerniera, pensata isolata dal resto, sia in equilibrio sotto l’azione della forza F e delle reazioni
trasmesse dal resto della struttura. Le equazioni di equilibrio del primo tronco sono, quindi:

0
 H A − HB

 =0
VA + VB0 = 0

 H0 L + V 0 L = 0

B B

mentre le equazioni di equilibrio del secondo tronco si scrivono come:



00
 HB − HC = 0


VC − VB00 = 0

 H 00 h − V 00 L = 0

B B

Questi due sistemi ci forniscono sei equazioni in otto incognite e, al fine di arrivare ad una soluzione,
è necessario imporre anche l’equilibrio della cerniera:

 H 0 − H 00 = 0
B B
 VB0 + F − VB00 = 0

Queste ultime due equazioni non introducono ulteriori incognite e conducono alla soluzione del
sistema.

3.5.5 I carichi ripartiti


Fin qui ci siamo occupati di carichi che abbiamo modellato come forze o coppie concen-
trate, agenti cioè su un singolo punto del nostro sistema strutturale. È ovvio che questa è
un’astrazione in quanto qualunque sia la natura del carico, esso sarà comunque agente su
una porzione della struttura che, per quanto possa essere limitata, non sarà mai puntiforme.
Esistono, però, esempi di carichi che non possono essere modellati utilizzando il con-
cetto di forza concentrata. Ad esempio, in ogni sistema strutturale sarà sempre presente il
carico dovuto al peso proprio del sistema stesso; possiamo considerare questo carico come
un insieme di forze concentrate infinitesime applicate ad ognuna degli infiniti volumi ele-
mentari di cui è composta la nostra struttura. In altri termini, la forza peso è come se agisse
in maniera distribuita su tutto il volume.
Se invece facciamo riferimento al carico trasmesso dal vento alla vela di una imbar-
cazione, esso agisce in maniera più o meno uniforme su tutta la superficie della vela, ovvero
è distribuito su tutta l’area. Infine, se consideriamo una fune sospesa tra due punti fissi, ci
accorgiamo che essa si disporrà lungo una curva in funzione del fatto che su ogni elemento
di lunghezza infinitesima, graverà una forza concentrata verticale, ovvero una forza peso
distribuita sulla lunghezza.
Si è cosı̀ introdotto il concetto di forza distribuita ovvero di carico ripartito. È da notare
che la unità di misura
h  del carico
i ripartito è la cosiddetta densità dihforza che assume diverse
 i
unità misura: sarà F L3 nel caso di forza per unità di volume, F L2 nel caso di forza
 
per unità di superficie, e infine F /L nel caso, per noi più frequente, di forza per unità di
lunghezza. Nell’esempio seguente verrà mostrato come eseguire il calcolo delle reazioni
vincolari in caso di presenza di carichi ripartiti.
50 CARATTERISTICHE STATICHE E CINEMATICHE DI STRUTTURE MONODIMENSIONALI

ESEMPIO 3.15

Si consideri il caso, riportato in Figura 3.23-a, in cui una mensola è soggetta ad un carico uniforme-
mente ripartito in direzione verticale di intensità q. Per determinare il valore delle reazioni vincolari
si impongono le equazioni di equilibrio con riferimento al caso generale in cui l’andamento del carico
ripartito non è costante ma può essere espresso come q (x). La soluzione all’esempio proposto potrà
poi essere ricavata come caso particolare:
 
 HA = 0

  HA = 0


RL
VA − 0 q (x) dx = 0 → VA = q̄L = Q
 MA − R L q (x) xdx = 0  MA = q̄L2 = QL

 

0 2 2

È immediato ravvisare che agli stessi risultati si sarebbe potuti pervenire sostituendo il carico dis-
tribuito q (x) con la sua risultante che è una forza concentrata di modulo pari all’integrale del carico
ripartito e posizionata sul baricentro di esso, come mostrato in Figura 3.23-b.
Questa ultima affermazione è di validità del tutto generale e può essere verificata con riferimento
al caso riportato in Figura 3.24-a in cui l’andamento del carico ripartito ha forma triangolare.

q q

A B A B
a) L a) L

MA Q=qL MA Q=qL/2
A B A B
HA HA
VA L VA L
b) 2 b) 3

Figura 3.23 Carico ripartito uniforme. Figura 3.24 Carico ripartito triangolare.

In questo caso è possibile descrivere l’andamento dell’intensità del carico ripartito mediante la
funzione:
L−x
q (x) = q̄
L
e le equazioni di equilibrio assumono la forma:
 
H A = 0  HA = 0

 

 R L L−x
VA − 0 q̄ L dx = 0 → VA = q̄L2
=Q
 MA − L q̄ L−x xdx = 0  MA = q̄L2 = QL

 R 

0 L 6 3

È opportuno ribadire che SOLAMENTE al fine di determinare le reazioni vincolari è lecito


sostituire i carichi distribuiti con dei carichi concentrati di intensità pari alla risultante
LA DETERMINAZIONE DELLE CARATTERISTICHE DELLA SOLLECITAZIONE 51

del carico distribuito e aventi punto di applicazione passante per il baricentro del carico
distribuito. In altri termini, è lecito sostituire il sistema dei carichi ripartiti con un sistema
di forze concentrate ad esso equivalente, tale cioè che si abbia la stessa risultante e lo stesso
momento risultante.

3.6 La determinazione delle caratteristiche della sollecitazione

Fino ad ora abbiamo usato le equazioni cardinali della statica nell’ipotesi di piccoli sposta-
menti (ovvero imponendo l’equilibrio delle aste sulla configurazione indeformata) allo
scopo di determinare le reazioni vincolari, ovvero le grandezze meccaniche esterne incog-
nite, del sistema strutturale in esame.
Il passo successivo nel cammino della conoscenza della risposta strutturale di un sistema
materiale è quello di procedere alla determinazione del valore delle azioni meccaniche
interne in ogni punto del sistema strutturale. A tale scopo supponiamo di considerare il
tronco di trave illustrato in Figura 3.25.

p(x3)

m(x3)

n(x3) x3
x1
x2
p

Figura 3.25 Tronco di trave soggetto ad una sistema di carichi generico.

Fissando l’attenzione su una particolare sezione trasversale, è possibile definire un sis-


tema di riferimento come in figura in cui l’asse x3 è tangente all’asse geometrico della
trave, mentre x1 e x2 giacciono sul piano π ortogonale a x3 che contiene la sezione trasver-
sale.
Supponiamo che la trave sia caricata da un sistema di azioni distribuite contenute nel pi-
ano x2 -x3 e che, nel modo più generale possibile, tali azioni possano essere descritte da una
componente distribuita assialmente n (x3 ), da una componente distribuita trasversalmente
all’asse p (x3 ) e da una componente di coppie distribuite m (x3 ). Inoltre, supponiamo che
il tronco di trave soggetto ai carichi appena descritti sia in equilibrio. Stabiliremo, infine,
per convenzione che tali componenti dei carichi saranno da considerarsi positive se con-
cordi con gli assi del sistema di riferimento e per quanto riguarda la componente m (x3 )
faremo riferimento all’asse momento.
Un sistema siffatto si dice sistema piano in quanto esiste un piano (nel caso in esame il
piano x2 -x3 ) che contiene sia l’asse geometrico della trave che tutti i carichi. Inoltre, l’asse
52 CARATTERISTICHE STATICHE E CINEMATICHE DI STRUTTURE MONODIMENSIONALI

p(x3)

m(x3) M(x3)

n(x3) x3 N(x )
3
x1
x2
p
T(x3)

Figura 3.26 Caratteristiche della sollecitazione.

geometrico della trave durante il cambiamento di configurazione dovuto all’applicazione


dei carichi sarà sempre contenuto nel medesimo piano.
Immaginiamo di sezionare il tronco di trave con il piano π e di rimuoverne la porzione
di destra. Dal momento che il solido era in equilibrio, per potere mantenere questo stato
anche dopo la sconnessione è necessario che attraverso il piano π le due porzioni della
trave che si sono venute a creare si scambino un sistema di forze, come mostrato in Figura
3.26.
In altri termini, una volta eliminato il tronco di trave a destra del piano π, per garantire
l’equilibrio, è necessario ripristinare le forze che le due parti del solido si scambiavano at-
traverso la sezione trasversale in π. In generale, queste forze sono distribuite puntualmente
in un modo che le conoscenze fin qui maturate non ci consentono di determinare ma, al fine
di garantire l’equilibrio, è sufficiente determinare la risultante di questo sistema di forze,
che penseremo applicato al baricentro della sezione trasversale, e il momento risultante
rispetto allo stesso baricentro.
Sarà possibile scomporre la risultante in una forza diretta lungo l’asse x3 e quindi or-
togonale rispetto alla sezione trasversale che sarà chiamata sforzo normale N (x3 ), ed in
una forza diretta lungo l’asse x2 quindi giacente sul piano della sezione trasversale che
sarà chiamata sforzo di taglio T (x3 ). Il momento risultante, avente asse momento diretto
parallelamente all’asse x1 è detto momento flettente M (x3 ). Queste tre componenti ven-
gono definite caratteristiche della sollecitazione e sono delle azioni meccaniche interne
che danno informazioni su come vengono canalizzati i carichi esterni all’interno degli ele-
menti strutturali per essere scaricati sui vincoli.

3.6.1 Il metodo diretto attraverso le equazioni di equilibrio


La soluzione completa del problema strutturale consisterà anche nella determinazione
dell’andamento delle caratteristiche della sollecitazione in ogni sezione del nostro sistema,
che potrà effettuarsi attraverso considerazioni che riguardano l’equilibrio.
Operando la sconnessione attraverso il piano π si sono ottenuti due solidi che, nella
configurazione originaria, avevano in comune la medesima sezione trasversale. Riferen-
LA DETERMINAZIONE DELLE CARATTERISTICHE DELLA SOLLECITAZIONE 53

T(x3)
M(x3)
N(x3)
N(x3) x3
M(x3) T(x3)

x2

Figura 3.27 Caratteristiche della sollecitazione.

doci alla Figura 3.26 assumeremo convenzionalmente che la faccia la cui normale uscente
è concorde con l’asse x3 sarà indicata come faccia di normale positiva, mentre la stessa
sezione pensata appartenente alla porzione di solido rimossa, la cui normale uscente è dis-
corde con l’asse x3 sarà indicata come faccia di normale negativa. Ovviamente, in virtù
del principio di azione e reazione, le caratteristiche della sollecitazione agenti sulle due
facce saranno uguali.
I versi delle caratteristiche della sollecitazione si assumeranno positivi per convenzione
se sulla faccia di normale positiva risultano essere concordi con gli assi di riferimento.
Nella Figura 3.27 vengono riportati i versi positivi delle caratteristiche di sollecitazione
per la faccia di normale positiva e per la faccia di normale negativa. Negli esempi seguenti
si traccerà un metodo per la determinazione dell’andamento delle caratteristiche della sol-
lecitazione per sistemi strutturali isostatici.

ESEMPIO 3.16

Si consideri il semplice caso, riportato in Figura 3.28-a, in cui una trave incastrata nel punto A
è soggetta ad una forza concentrata verticale di intensità F nell’estremo libero B. Il parametro di
vincolo vale q = 3 − 3 = 0, i vincoli sono ben disposti e quindi il sistema è isostatico.
Applichiamo le equazioni cardinali della statica per determinare le reazioni vincolari, come
mostrato in Figura 3.28-b:
 
 HA = 0

  HA = 0


VA − F = 0 → VA = F
 
 MA − F L = 0
  MA = F L

Fissando un sistema di riferimento con origine nel punto A, al fine di determinare le caratteristiche
della sollecitazione effettuiamo una sconnessione in una sezione di ascissa generica x3 . Isoliamo la
parte della trave a sinistra della sezione di sconnessione e ipotizziamo la presenza delle caratteristiche
della sollecitazione sulla sezione terminale di questo tronco, come mostrato in Figura 3.28-c. Il verso
delle caratteristiche della sollecitazione è quello positivo per una faccia di normale positiva.
54 CARATTERISTICHE STATICHE E CINEMATICHE DI STRUTTURE MONODIMENSIONALI

F
A
x3
B
a)
a) L
N(x3)

MA F
A
F x3
HA B
b)
VA
b) x3 T(x3)

FL M(x3 )
A FL
N(x3 ) c) x3
F T(x3 ) M(x3)
c) x3

Figura 3.28 Sistema strutturale dell’esempio Figura 3.29 Andamento delle caratteristiche
3.16. della sollecitazione.

Per determinare il valore delle caratteristiche della sollecitazione nella sezione di ascissa x3 im-
poniamo l’equilibrio del tronco, utilizzando come polo per i momenti proprio la sezione di ascissa
x3 :  
 N (x3 ) = 0

  N (x3 ) = 0


T (x3 ) − F = 0 → T (x3 ) = F (3.12)
 
 M (x3 ) + F L − F x3 = 0
  M (x3 ) = F (x3 − L)

Poiché i valori delle caratteristiche della sollecitazione adesso trovati sono stati determinati per
una generica sezione, i risultati ottenuti possono essere considerati validi per tutte le sezioni come
funzioni di x3 . Allora è possibile tracciare l’andamento delle caratteristiche della sollecitazione
lungo lo sviluppo della trave, come riportato in Figura 3.29.
In particolare lo sforzo normale è identicamente nullo su tutta la trave, lo sforzo di taglio risulta
essere costante e positivo e quindi va disegnato al di sotto dell’asse x3 , il momento flettente ha un
andamento lineare e per tracciarlo è necessario conoscere il valore in due punti. Particolarizzando
l’ultima delle (3.12) per i punti A e B si ottiene:

M (0) = −F L
M (L) = 0

Il valore del momento flettente è quindi dappertutto negativo e pertanto va tracciato al di sopra
dell’asse x3 .
Il segno del momento flettente ed il relativo diagramma hanno inoltre un significato fisico preciso.
Infatti, durante il processo deformativo che accompagna la presenza del momento flettente, alcune
fibre della trave si allungheranno e risulteranno essere tese, mentre altre si accorceranno e risulter-
anno essere compresse. Il diagramma del momento flettente verrà tracciato sempre dal lato delle
fibre tese.
LA DETERMINAZIONE DELLE CARATTERISTICHE DELLA SOLLECITAZIONE 55

M
A
x3
B
a)
a) L
N(x3)

MA M
A x3
HA B b)
VA
b) x3 T(x3)

M M(x3 )
A M
N(x3 ) c) x3
T(x3 ) M(x3)
c) x3

Figura 3.30 sistema strutturale dell’esempio Figura 3.31 Andamento delle caratteristiche
3.17. della sollecitazione.

ESEMPIO 3.17

Si consideri il, riportato in Figura 3.30-a, in cui una trave incastrata nel punto A è soggetta ad una
coppia concentrata nell’estremo libero B di intensità M . Il parametro q = 3 − 3 = 0, i vincoli sono
ben disposti e quindi il sistema è isostatico.
Le reazioni vincolari vengono determinate imponendo le equazioni di equilibrio, come mostrato
nella Figura 3.30-b.  


 H A = 0  HA = 0


VA = 0 → VA = 0
 
 MA − M = 0
  MA = M

Per determinare le caratteristiche della sollecitazione operiamo una sconnessione in una sezione di
ascissa generica x3 e imponiamo l’equilibrio del tratto a sinistra, come mostrato in Figura 3.30-c. Si
ottiene:  
 N (x3 ) = 0  N (x3 ) = 0

 

T (x3 ) = 0 → T (x3 ) = 0
 
 M (x3 ) + M = 0
  M (x3 ) = −M

L’unica sollecitazione diversa da zero è il momento flettente che è negativo e quindi le fibre superiori
risulteranno tese. I diagrammi delle caratteristiche della sollecitazione sono mostrati nella Figura
3.31.

L’esempio seguente mostra un caso leggermente più complesso in cui è presente un carico
uniformemente ripartito.
56 CARATTERISTICHE STATICHE E CINEMATICHE DI STRUTTURE MONODIMENSIONALI

ESEMPIO 3.18

Si consideri il caso, riportato in Figura 3.32-a, in cui una trave incastrata nel punto A è soggetta ad
un carico uniformemente ripartito di intensità q. Il parametro q = 3 − 3 = 0, i vincoli sono ben
disposti e quindi il sistema è isostatico.
Le reazioni vincolari possono essere determinate imponendo le condizioni di equilibrio, come
mostrato nella Figura 3.32-b, una volta sostituito il carico ripartito con una forza concentrata di
intensità qL posta in mezzeria:
 


 HA = 0 

 HA = 0
 
VA − qL = 0 → VA = qL
 L  qL2
 MA − qL = 0
 
  MA =

2 2
Considerando una sezione di sconnessione di ascissa generica x3 e guardando a sinistra, possiamo
imporre l’equilibrio e determinare le caratteristiche della sollecitazione, come mostrato in Figura
3.32-c.
 
N (x ) = 0
 N (x3 ) = 0
3

 


 R x3 
T (x3 ) = qL − 0 qdx̄ → T (x3 ) = q (L − x3 )
 qL2 R x3  q 2
 M (x3 ) = − (L − x3 )
 
 M (x3 ) +
 − qLx3 + 0 q (x3 − x̄) dx̄ = 0 
2
2
Nelle sezioni terminali in A ed in B dove x3 = 0 e x3 = L, rispettivamente, si ha:
 
N (0) = 0
 N (L) = 0

 

 
in A T (0) = qL ; in B T (L) = 0
2
 M (0) = − qL
 

  M (0) = 0

2
L’andamento delle caratteristiche della sollecitazione è riportato nella Figura 3.33. Lo sforzo nor-
male è nullo dappertutto, mentre lo sforzo di taglio ha un andamento lineare ed il momento flettente
ha un andamento parabolico. In corrispondenza del punto A le caratteristiche della sollecitazione
hanno valore pari alle reazioni vincolari, mentre nel punto B sono tutte nulle. Anche in questo caso
il momento è negativo in tutta la trave e le fibre tese sono quelle superiori.

Nell’esempio che segue si tratterà il caso di un sistema strutturale composto da due aste:

ESEMPIO 3.19

Consideriamo adesso il sistema strutturale riportato in Figura 3.34-a. Esso è costituito da due
aste ortogonali unite con un vincolo di continuità in B e vincolate a terra con una cerniera fissa
in A e con un carrello con piano di scorrimento orizzontale nel punto C. Tale sistema è soggetto
ad una forza concentrata orizzontale F posta in mezzeria dell’elemento verticale. Il parametro
q = 2 · 3 − (3 + 2 + 1) = 0 e i vincoli sono ben disposti; quindi il sistema è isostatico.
LA DETERMINAZIONE DELLE CARATTERISTICHE DELLA SOLLECITAZIONE 57

q
A x3
B
a) L
N(x3)
L
2
MA Q=qL
A qL x3
HA B
VA
b) x3 T(x3)

q
qL² M(x3 ) qL2
qL²

2 A 2 2

N(x3 ) x3
qL T(x3 ) M(x3)
c) x3

Figura 3.32 Esempio 3.18. Figura 3.33 Andamento delle caratteristiche


della sollecitazione.

Sostituendo i vincoli con le loro reazioni vincolari ed imponendo l’equilibrio, come mostrato in
Figura 3.34-b, si ottiene:

  HA = F
HA = F
 

F

 

 
VA − VC = 0 → VA =
2
 L 
 F − VC L = 0 F

 

2  VC =


2
Per determinare l’andamento delle caratteristiche della sollecitazione nel caso in esame è neces-
sario considerare tre sezioni di sconnessione. Riferendosi agli schemi riportati nella Figura 3.34-c,
si impone l’equilibrio per ogni schema e si può trovare l’andamento delle caratteristiche della sol-
lecitazione:
 
N (x 3 ) = −F
F 
 N (x3 ) = − F

 N (x3 ) = −

 
 
F 2

  

T (x3 ) = −
  2
S1 ) 2 S2 ) T (x3 ) = F S 3 ) T (x3 ) = 0
 


F

 L 

 M (x3 ) = F x3 −  M (x3 ) = 0
  
 M (x3 ) = − x3
 
2

2
Adesso si hanno tutte le informazioni per tracciare i diagrammi che vengono riportati nella Figura
3.35.

In generale si deve considerare una sezione di sconnessione ogni volta che:

si incontra un vincolo (esterno o interno), ivi compresi i vincoli interni di continuità;


è presente una forza concentrata o una coppia concentrata.
58 CARATTERISTICHE STATICHE E CINEMATICHE DI STRUTTURE MONODIMENSIONALI

VA
A B A B
HA
S1
L
L/2 S2

F F

S3
L/2

C C
a) b)
VC

N(x3 )
VA M(x3 ) VA S3 T(x3 )
A A B M(x3 )
HA
x3
S1 N(x3 ) HA x3
S2 C
x3 T(x3)
T(x3 ) M(x3 ) VC
c) N(x3 )

Figura 3.34 Esempio 3.19. Reazioni vincolari e sezioni di sconnessione.

È da notare che l’espressione analitica delle funzioni che descrivono l’andamento delle
caratteristiche della sollecitazione dipende dal sistema di riferimento scelto, mentre i dia-
grammi finali saranno ovviamente invarianti rispetto a questa scelta.

3.6.2 Le equazioni indefinite di equilibrio della trave ed il metodo indiretto


Nel presente paragrafo siamo interessati a conoscere i legami, se esistono, tra le diverse
caratteristiche della sollecitazione e tra esse ed i carichi esterni. Per fare ciò ci apprestiamo
a scrivere le equazioni di equilibrio di un tratto infinitesimo del nostro solido monodi-
mensionale. Dal momento che il nostro sistema continuo è deformabile, esso avrà infiniti
gradi di libertà e, pertanto, otterremo un numero infinito di equazioni di equilibrio. In altri
termini scriveremo le equazioni di equilibrio non in forma finita ma differenziale.
Supponiamo di avere una trave rettilinea piana i cui estremi x3 = 0 e x3 = L siano vin-
colati in modo arbitrario. La trave, rappresentata in Figura 3.36, è soggetta ad un sistema
piano di forze e coppie distribuite le cui intensità variano da punto a punto e possono essere
descritte mediante le funzioni n (x3 ) per il carico disposto in direzione assiale, p (x3 ) per
il carico disposto trasversalmente all’asse del solido e da m (x3 ) per il carico costituito da
coppie distribuite.
Operando due sconnessioni su sezioni vicinissime, come mostrato in Figura 3.37, è
possibile estrarre dalla trave un tronco di lunghezza infinitesima dx3 . Le porzioni a destra
e a sinistra del tronco estratto, per garantire l’equilibrio, devono scambiare con esso due
sistemi di forze attraverso le due sezioni di sconnessione. Possiamo identificare tali sistemi
di forze con le rispettive risultanti, ovvero con le caratteristiche della sollecitazione.
LA DETERMINAZIONE DELLE CARATTERISTICHE DELLA SOLLECITAZIONE 59

F F/2 FL/2
B B
A A A B

N(x3) T(x3) M(x3)


F

C C C
F/2

Figura 3.35 Esempio 3.19. Andamento delle caratteristiche della sollecitazione.

p(x3)

x3
m(x3)
n(x3)
L

Figura 3.36 Trave rettilinea piana soggetta ad un sistema generico di forze.

Sulla faccia di sinistra agiranno quindi: N (x3 ), T (x3 ) e M (x3 ), mentre sulla faccia
di destra saranno presenti le forze: N (x3 + dx3 ), T (x3 + dx3 ) e M (x3 + dx3 ). Sul
concio, inoltre, agiranno anche i carichi distribuiti esterni n (x3 ), p (x3 ) e m (x3 ), con
x3 < x3 < x3 + dx3 . Imponendo l’equilibrio del tronco infinitesimo si ha:


N (x3 + dx3 ) − N (x3 ) = −n (x̄3 ) dx3


T (x3 + dx3 ) − T (x3 ) = −p (x̄3 ) dx3

M (x3 +dx3 )−M (x3 )−T (x3 ) dx3 = −p (x̄3 ) dx3 (x3 +dx3 − x̄3 )−m (x̄3 ) dx3

(3.13)
60 CARATTERISTICHE STATICHE E CINEMATICHE DI STRUTTURE MONODIMENSIONALI

p(x3)

T(x3)
M(x3+dx3)
n(x3) N(x3+dx3)
N(x3) m(x3)
M(x3) T(x3+dx3)

dx3

Figura 3.37 Equilibrio di un tronco infinitesimo estratto dalla trave soggetta a carichi distribuiti.

Dividendo entrambi i membri delle equazioni (3.13) per dx e trascurando l’infinitesimo di


ordine superiore nella terza equazione, si ottengono le seguenti:

N (x3 + dx3 ) − N (x3 )
= −n (x̄3 )





 dx3


T (x3 + dx3 ) − T (x3 )

= −p (x̄3 ) (3.14)

 dx3


M (x3 + dx3 ) − M (x3 )


= T (x3 ) − m (x̄3 )



dx3

È immediato riconoscere che i primi membri delle (3.14) sono dei rapporti incrementali,
per cui mediante un passaggio al limite per dx3 → 0 (ovviamente sarà anche x3 → x3 ), si
ottengono le seguenti equazioni indefinite di equilibrio delle travi rettilinee:

0
 N (x3 ) = −n (x3 )


0
T (x3 ) = −p (x3 ) (3.15)

 M 0 (x3 ) = T (x3 ) − m (x3 )

Tali equazioni valgono in tutto il campo omogeneo x3 ∈ (0, L) purché non vi siano pre-
senti forze concentrate. In particolare, l’ultima delle (3.15) ci assicura che, in assenza di
coppie distribuite m (x3 ), il taglio T (x3 ) è la derivata del momento flettente M (x3 ), cosı̀
come il carico trasversale p (x3 ) è la derivata dello sforzo di taglio T (x3 ) a meno del
segno.
Le (3.15) sono delle equazioni differenziali e, per essere risolte, necessitano di oppor-
tune condizioni al contorno. Poiché i punti di estremità del dominio di validità sono quelli
in cui sono in genere applicate forze concentrate, studiamo adesso il caso in cui sul concio
di trave di lunghezza 2dx3 , riportato in Figura 3.38, agisca un sistema generico di forze
concentrate. Imponendo l’equilibrio si ricava:
LA DETERMINAZIONE DELLE CARATTERISTICHE DELLA SOLLECITAZIONE 61

P
T(x3-dx3)
M(x3+dx3)
Q N(x3+dx3)
N(x3-dx3)
C T(x3+dx3)
M(x3-dx3)

2dx3

Figura 3.38 Equilibrio di un tronco infinitesimo estratto dalla trave in presenza di forze concentrate.


→  N (x3 + dx3 ) − N (x3 − dx3 ) = −Q


↓ T (x3 + dx3 ) − T (x3 − dx3 ) = −P (3.16)

 M (x3 + dx3 ) − M (x3 − dx3 ) − 2T (x3 − dx3 ) dx3 = −C − P dx3

Mediante un passaggio al limite per dx3 → 0, i termini della terza equazione che con-
tengono il taglio T (x3 − dx3 ) e la componente trasversale della forza concentrata P ten-
dono a zero. Inoltre, ci si accorge che i valori delle caratteristiche della sollecitazione nella
sezione di ascissa x3 presentano una discontinuità ed è possibile individuare un valore
di tali caratteristiche immediatamente a sinistra delle forze concentrate ed un altro valore
immediatamente a destra.
In altri termini, la presenza di carichi concentrati induce dei salti sul valore delle carat-
teristiche della sollecitazione. Denotando con Q la generica componente della sollecitazio-
ne, tali discontinuità possono essere indicate come

∆Q (x3 ) = Q (x3 + dx3 ) − Q (x3 − dx3 )

e le (3.16) possono essere cosı̀ riscritte:



→   ∆N = −Q

↓ ∆T = −P (3.17)

∆M = −C

Le (3.17) sono equazioni di equilibrio che valgono in tutte le sezioni in cui sono applicate
forze concentrate, ivi comprese le reazioni vincolari. Tali equazioni assicurano che, in
presenza di forze concentrate, le caratteristiche delle sollecitazioni subiranno dei salti pari,
a meno del segno, all’entità della corrispondente componente delle forze concentrate.
Sostituendo le precedenti equazioni (3.15) nelle (3.17) è possibile ricavare una quarta
equazione:
∆M 0 = −P
62 CARATTERISTICHE STATICHE E CINEMATICHE DI STRUTTURE MONODIMENSIONALI

Quest’ultima equazione asserisce che una forza concentrata trasversale all’asse P , oltre
a provocare una discontinuità del taglio T (x3 ), provocherà anche una cuspide (o punto
angoloso) nel momento flettente M (x3 ).
Integrando le equazioni (3.15) ed utilizzando le equazioni (3.17) per porre le condizioni
al contorno è possibile trovare per ogni tratto del sistema strutturale in esame l’andamento
delle caratteristiche della sollecitazione in forma analitica, secondo il cosiddetto metodo
indiretto. Nel seguito si forniranno alcuni esempi per l’applicazione di questo metodo.

ESEMPIO 3.20

Si consideri il sistema riportato in Figura 3.33-a già affrontato in precedenza mediante il metodo
diretto. Adesso se ne propone la soluzione utilizzando il metodo indiretto. Assumendo note le
reazioni vincolari, si applicano al tratto (0, L] le equazioni indefinite di equilibrio (3.15) e si procede
con la loro integrazione:
  
 N 0 (x3 ) = −n (x3 )
  N 0 (x3 ) = 0
  N (x3 ) = c1


  
0
T (x3 ) = −p (x3 ) → 0
T (x3 ) = −q → T (x3 ) = −qx3 + c2

 M 0 (x3 ) = T (x3 ) − m (x3 )

 M 0 (x3 ) = T (x3 )
 qx2
 M (x3 ) = − 3 + c2 x3 + c3
  

2
Per determinare l’andamento delle caratteristiche della sollecitazione sono pertanto necessarie tre
costanti di integrazione. Per determinarle possiamo considerare le reazioni vincolari nella sezione di
incastro x3 = 0 come delle forze concentrate e quindi può scriversi:
  


 N (0) = ∆N = −H A = 0 

 c 1 = 0  N (x3 ) = 0


  
T (0) = ∆T = − (−VA ) = qL → c2 = qL → T (x3 ) = q (L − x3 )
2 2 2 2


 M (0) = ∆M = − qL 

 c =− qL  M (x ) = − qx3 + qLx − qL


  3  3 3
2 2 2 2

Nell’esempio che segue si tratterà il caso di un’asta semplicemente appoggiata soggetta ad


una forza concentrata in mezzeria.

ESEMPIO 3.21

Si consideri il sistema riportato in Figura 3.39. Sulla isostaticità del sistema si è già detto in prece-
denza, mentre le reazioni vincolari possono essere determinate imponendo le equazioni di equilibro,
trovando HA = 0, VA = F /2 e VB = F /2. A causa  della forza concentrata in mezzeria, la
trave è divisa in due campi omogenei 0, L/2 e L/2, L . Per ognuno dei due intervalli possiamo
applicare le (3.15):
 
0
 NI (x3 ) = −n (x3 ) = 0  NI (x3 ) = c1

 

0
TI (x3 ) = −p (x3 ) = 0 → TI (x3 ) = c2
 
 M 0 (x3 ) = TI (x3 ) − m (x3 )
  MI (x3 ) = c2 x3 + c3

I

 
0
 NII (x3 ) = −n (x3 ) = 0  NII (x3 ) = c4

 

0
TII (x3 ) = −p (x3 ) = 0 → TII (x3 ) = c5
 
 M 0 (x3 ) = TII (x3 ) − m (x3 )
  MII (x3 ) = c5 x3 + c6

II
LA DETERMINAZIONE DELLE CARATTERISTICHE DELLA SOLLECITAZIONE 63

x3
N(x3)
F
HA=0 A B F/2
F/2 x3
F
F
VA = F
2 VB = 2 T(x3)

x3
M(x3) FL/4

Figura 3.39 Esempio 3.21. Figura 3.40 Esempio 3.21. Andamento delle
caratteristiche della sollecitazione.

È possibile determinare le costanti


 di integrazione imponendo le condizioni al contorno. In partico-
lare, sul primo tratto 0, L/2 si possono imporre delle condizioni in x3 = 0, mentre nel secondo
tratto L/2, L è possibile imporre delle condizioni in x3 = L/2, sfruttando le (3.17):
  
 NI (0) = ∆N = −HA = 0

  c1 = 0

  NI (x3 ) = 0


TI (0) = ∆T = − (−VA ) = F /2 → c2 = F /2 → TI (x3 ) = F /2
  
 MI (0) = ∆M = 0
  c3 = 0
  MI (x3 ) = F x3 /2

     
 ∆N = NII L/2 − NI L/2 =0  NII L/2 = NI L/2 = 0

 


∆T = TII L/2 − TI L/2 = −F → TII L/2 = TI L/2 − F = −F /2
 
 ∆M = MII L/2 − MI L/2 = 0
  MII L/2 = MI L/2 = F L/4

Le altre tre costanti di integrazione possono quindi essere determinate come:


 


 c 4 = 0  NII (x3 ) = 0


c5 = −F /2 → TII (x3 ) = −F /2
 
 c6 = F L/4 + F L/4 = F L/2
  MII (x3 ) = −F x3 /2 + F L/2 = F (L − x3 )2

Una volta ottenute le espressioni analitiche, è possibile tracciare i diagrammi delle caratteristiche
della sollecitazione riportati in Figura 3.40.

Con riferimento all’esempio appena presentato, si può verificare che le caratteristiche della
sollecitazione determinate rispettino tutti i vincoli posti dalle equazioni (3.15) e (3.17).
Infatti, in assenza di carico distribuito il taglio è costante, mentre il momento varia lin-
earmente. Inoltre, le reazioni vincolari possono essere lette come le caratteristiche della
sollecitazione per le sezioni di estremità, a patto di valutare il loro segno in base alla con-
venzione del concio di Figura 3.28. Infine, il carico concentrato F , oltre a provocare una
64 CARATTERISTICHE STATICHE E CINEMATICHE DI STRUTTURE MONODIMENSIONALI

discontinuità in T (x3 ) pari ad F , provoca una discontinuità angolare (cuspide o punto


angoloso) nell’andamento del momento flettente M (x3 ).
In generale, al fine di determinare le condizioni al contorno, è possibile prendere spunto
dalle caratteristiche meccaniche e cinematiche dei vincoli. Ad esempio, per la cerniera del
punto A nel caso precedente il momento flettente sarà sempre nullo, mentre per il carrello
in B potremo scrivere che, oltre al momento flettente, dovrà essere nullo anche lo sforzo
normale. Nella seguente Figura 3.41 si riportano alcuni tra i casi più ricorrenti.

A B NB = 0 A B TA = 0
a)
TB = 0 b)
NB = 0
MB = 0 MB = 0
F NB = 0 F TA = −F
A A B
B TB = F NB = 0
c) d)
MB = 0 MB = 0
NA = −RA cos α
F M NA = 0 RB
A A RA B TA = RA sin α
B TA = −M /L f)
e) a b NB = RB cos β
MB = −M
TB = RB sin β

Figura 3.41 Casi ricorrenti di condizioni al contorno.

ESEMPIO 3.22

Si consideri il caso riportato in Figura 3.42. Le reazioni vincolari possono essere determinate impo-
nendo le equazioni di equilibro, trovando HA = 0 e VA = VB = M /L. A causa della presenza
della coppia concentrata nella sezione di ascissa x3 = a la trave è divisa in due campi omogenei
(0, a) e (a, L). Per ognuno dei due intervalli possiamo applicare le (3.15), mente nella sezione di

x3
N(x3)
a
HA=0 A M B M/L
x3
T(x3)
VA=M
L VB=M
L
M
x3
M(x3)
a

Figura 3.42 Esempio 3.22. Figura 3.43 Esempio 3.22. Andamento delle
caratteristiche della sollecitazione.
LA DETERMINAZIONE DELLE CARATTERISTICHE DELLA SOLLECITAZIONE 65

interfaccia si possono applicare le (3.17):


 
0
 NI (x3 ) = −n (x3 ) = 0  NI (x3 ) = c1

 

TI0 (x3 ) = −p (x3 ) = 0 → TI (x3 ) = c2
 
 M 0 (x3 ) = TI (x3 ) − m (x3 )
  MI (x3 ) = c2 x3 + c3

I

 
0
 NII (x3 ) = −n (x3 ) = 0  NII (x3 ) = c4

 

0
TII (x3 ) = −p (x3 ) = 0 → TII (x3 ) = c5
 
 M 0 (x3 ) = TII (x3 ) − m (x3 )
  MII (x3 ) = c5 x3 + c6

II

È possibile determinare le costanti di integrazione imponendo le condizioni al contorno. In partico-


lare, sul primo tratto (0, a) si possono imporre delle condizioni in x3 = 0, mentre nel secondo tratto
(a, L) è possibile imporre delle condizioni in x3 = a:
  


 N I (0) = ∆N = −H A = 0 

 c 1 = 0  NI (x3 ) = 0


TI (0) = ∆T = −VA = −M /L → c2 = −M /L → TI (x3 ) = −M /L
  
 MI (0) = ∆M = 0
  c3 = 0
  MI (x3 ) = −M x3 /L

 
 ∆N = NII (a) − NI (a) = 0  NII (a) = NI (a) = 0

 

∆T = TII (a) − TI (a) = 0 → TII (a) = TI (a) = −M /L
 
 ∆M = MII (a) − MI (a) = M
  MII (a) = MI (a) + M = (L − a) M /L

Le altre tre costanti di integrazione possono quindi essere determinate come:


 
 c4 = 0  NII (x3 ) = 0

 

c5 = −M /L → TII (x3 ) = −M /L
 
 c6 = (L − a) M L + M a/L = M
  MII (x3 ) = −M x3 /L + M = M 1 − x3 /L

Una volta ottenute le espressioni analitiche, è possibile tracciare i diagrammi delle caratteristiche
della sollecitazione riportati in Figura 3.43. Ancora una volta è possibile constatare che, per carico
distribuito nullo, il diagramma del taglio è costante ed il momento flettente ha un andamento lineare.
La coppia concentrata provoca un salto sul momento flettente ma, poiché il taglio è costante, la
pendenza dei due tratti del diagramma del momento flettente è uguale.
CAPITOLO 4

ANALISI DELLO STATO DI TENSIONE NEL


CONTINUO TRIDIMENSIONALE

L’analisi fin qui svolta ha riguardato lo studio dei sistemi monodimensionali piani che pre-
sentano uno stato di sollecitazione semplificato rispetto al caso più generale di solido tridi-
mensionale. L’analisi di questo ultimo caso, quindi deve necessariamente essere condotta
con riferimento ad una configurazione di sforzi interni decisamente più complessa.
Per avere una prima idea dello stato tensionale all’interno di un solido, ci si può riferire
al seguente esempio. Quando si è descritta la prova di trazione e si è indagato sul legame
tra variabili meccaniche e cinematiche interne, ipotizzando una sconnessione mediante un
piano ortogonale allo sviluppo del provino, si è riusciti a mettere in evidenza la presenza
delle cosiddette tensioni normali, dirette cioè secondo la normale al piano di sconnessione
del solido trave esaminato.
Riconsiderando tale esempio, si vuole adesso valutare lo stato tensionale agente su una
superficie ottenuta sezionando il nostro solido secondo un piano inclinato di un angolo α
qualsiasi, come riportato in Figura 4.1. Si isoli una porzione di fibra longitudinale avente
superficie infinitesima dA mediante due sconnessioni ravvicinate, la prima ottenuta con
un piano ortogonale all’asse del provino e la seconda con un piano inclinato di un angolo
α. Dal momento che la porzione di solido cosı̀ determinata deve essere in equilibrio, si
evidenzia che nella sezione di sinistra deve nascere la forza infinitesima di modulo dF =
σdA di cui avevamo già postulato l’esistenza, mentre nella sezione di destra essa sarà
equilibrata da un vettore tensione tn .
Indicando con il versore n la normale uscente dalla superficie di sconnessione, ci si ac-
corge che il vettore tensione tn può essere scomposto in due componenti: una componente

Appunti di Scienza delle Costruzioni, I revisione. 67


By Giacomo Navarra - 2016
68 ANALISI DELLO STATO DI TENSIONE NEL CONTINUO TRIDIMENSIONALE

N a N

s tns
tn
tnn
n

Figura 4.1 Provino soggetto a trazione. Tensioni normali e tensioni tangenziali.

tnn parallela alla direzione n e denotata come tensione normale e una componente tns
giacente sul piano di sconnessione e denotata come tensione tangenziale.
Emerge, pertanto, che la descrizione dello stato tensionale dipende, oltre che dal punto
materiale del solido che si vuole descrivere, anche dalla particolare giacitura che si consid-
era. È necessario quindi affrontare in maniera più generale il problema della descrizione e
della determinazione dello stato tensionale in un punto appartenente ad un continuo tridi-
mensionale e stabilire le relazioni con le particolari giaciture di osservazione.

4.1 Il continuo di Cauchy

Si consideri un solido tridimensionale di forma generica, come quello rappresentato in


Figura 4.2, sul quale agiscono, nella massima generalità, dei carichi superficiali pn e delle
forze di volume b. Inoltre, la sua superficie laterale sia in parte libera di subire spostamenti
(SL ) ed in parte vincolata in modo quanto più generale (SU ). Il solido sia riferito ad un
sistema cartesiano levogiro (O, x1 , x2 , x3 ) e sia infine in condizioni di equilibrio con i
carichi esterni.
Si supponga di sezionare il solido con un piano π di posizione ed orientamento qual-
siasi e di isolare un elemento di areola infinitesima dA sulla superficie di sconnessione.
Sull’elemento di area dA agirà un sistema di forze allo stato attuale incognito che, in gen-
erale, potrà essere rappresentato da una forza ed un momento risultanti. Introducendo
l’ipotesi di Cauchy, l’azione che la materia circostante esercita sull’areola dA è ricon-
ducibile solamente ad una forza risultante dF applicata in un punto interno alla areola dA.
In altri termini, l’ipotesi di Cauchy esclude la presenza, a livello dell’areola, di un momento
risultante.
Considerando il rapporto tra la risultante infinitesima dF e l’areola dA su cui agisce
e operando un passaggio al limite per dA → 0, si ottiene la seguente definizione della
tensione:
dF
lim = tn
dA→0 dA
IL CONTINUO DI CAUCHY 69

pn n

SU SL
dA
n
SU
dF

p
b
x3

x2
x1

Figura 4.2 Solido tridimensionale di forma generica.

Per quanto detto in precedenza il valore di tn dipenderà anche dall’orientamento della gi-
acitura n, oltre che dalla posizione del punto P (x1 , x2 , x3 ). Per questa ragione si vuole
adesso descrivere lo stato tensionale nell’intorno del punto P utilizzando tre giaciture mutu-
amente ortogonali e parallele agli assi del sistema di riferimento cartesiano (O, x1 , x2 , x3 )
che sarà chiamato riferimento speciale.
Per evidenziare meglio dal punto di vista grafico le tre giaciture, consideriamo pertanto
di estrarre dal solido un elemento avente forma di parallelepipedo, come quello riportato in
Figura 4.3. Si denoti con ti il vettore tensione che agisce sulla faccia avente normale diretta
parallelamente all’asse xi . Tale vettore, in generale, è disposto in maniera tale da avere tre
componenti rispetto il riferimento speciale. Indicando con ii il generico versore dell’asse

x3
t33 t3
E F
t31
t32
dx2
A B dx3 t2
t21
t23
i3 t22
P i2
i1 t12 G x2
t13 dx1
D t11
C
x1 t1

Figura 4.3 Vettori tensioni agenti su tre giaciture mutuamente ortogonali.


70 ANALISI DELLO STATO DI TENSIONE NEL CONTINUO TRIDIMENSIONALE

xi , possiamo descrivere il vettore tensione agente sulle faccia di normale x1 come:

t1 = t11 i1 + t12 i2 + t13 i3

allo stesso modo, con riferimento alle facce di normale tensioni x2 e x3 si ha:

t2 = t21 i1 + t22 i2 + t23 i3


t3 = t31 i1 + t32 i2 + t33 i3

È possibile fornire anche una rappresentazione vettoriale delle tensioni ti :


     
t11 t21 t31
     
t1 = 
 t12  ; t2 =  t22  ; t3 =  t32  ;
    
t13 t23 t33

in cui si indicano con tij le cosiddette componenti speciali di tensione, ovvero le compo-
nenti in direzione j della tensione agente sul piano di normale parallela al versore ii .
Raccogliendo le componenti speciali di tensione in una matrice si ottiene il cosiddetto
tensore doppio delle tensioni o tensore degli sforzi riferito al riferimento speciale, che
descrive compiutamente lo stato tensionale nell’intorno di un punto P. Le nove componenti
speciali cosı̀ definite sono funzione soltanto del punto P:
 
t11 t21 t31
 
T=  t12 t22 t32  ;

t13 t23 t33

4.2 Le equazioni indefinite di equilibrio del solido di Cauchy

È di notevole interesse conoscere le relazioni che devono sussistere tra le componenti spe-
ciali di tensione ed i carichi agenti sul solido di Cauchy, affinché sia verificato l’equilibrio.
Supponiamo quindi di estrarre dall’interno del volume del solido un elemento esaedrico
nell’intorno di un punto P (x1 , x2 , x3 ) avente gli spigoli orientati come il riferimento spe-
ciale e di lunghezza pari rispettivamente a dx1 , dx2 e dx3 .
Su questo elemento prismatico agiranno le forze di volume b applicate al punto P e, at-
traverso le sei facce, saranno presenti tutte le componenti di tensione che, al fine di garan-
tire l’equilibrio, la porzione restante del solido scambia con l’elemento estratto. Vale la
pena di sottolineare che i vettori tensione ti applicati a ciascuna faccia, cosı̀ come mostrato
in Figura 4.4, sono funzioni vettoriali delle coordinate della faccia stessa. Pertanto, ad es-
empio, sulla faccia ABCD, faccia di normale positiva (avente verso concorde con l’asse)
parallela a x1 è presente la tensione t1 (x1 + dx1 , x2 , x3 ), mentre sulla faccia opposta
EFGP, faccia di normale negativa (avente verso discorde con l’asse) parallela a x1 è pre-
sente la tensione t1 (x1 , x2 , x3 ) che ha diverso valore rispetto la precedente. Lo stesso può
dirsi per le altre due coppie di facce parallele.
Perché sia garantito l’equilibrio del cubetto estratto dal solido devono essere verificate
le equazioni cardinali della statica, ovvero possono scriversi tre relazioni di equilibrio alla
traslazione nelle direzioni degli assi del riferimento speciale e tre equazioni di equilibrio
alla rotazione attorno ai medesimi tre assi.
LE EQUAZIONI INDEFINITE DI EQUILIBRIO DEL SOLIDO DI CAUCHY 71

x3
t3(x1,x2,x3+dx3)
E F
t1(x1,x2,x3)

A B dx3
t2(x1,x2+dx2,x3)

P
t2(x1,x2,x3) G x2
dx1
D
b dx2 C
x1
t1(x1+dx1,x2,x3) t3(x1,x2,x3)

Figura 4.4 Esaedro infinitesimo estratto dal solido tridimensionale.

Con riferimento alla equazione di equilibrio alla traslazione lungo x1 , si può scrivere la
seguente relazione:

t11 (x1 + dx1 , x2 , x3 ) dx2 dx3 − t11 (x1 , x2 , x3 ) dx2 dx3 +


+t21 (x1 , x2 + dx2 , x3 ) dx1 dx3 − t21 (x1 , x2 , x3 ) dx1 dx3 +
+t31 (x1 , x2 , x3 + dx3 ) dx1 dx2 − t31 (x1 , x2 , x3 ) dx1 dx2 + b1 dx1 dx2 dx3 = 0

Ipotizzando che le funzioni che descrivono la variazione nello spazio delle componenti spe-
ciali di tensione siano continue e derivabili, sarà possibile utilizzare le seguenti espansioni
in serie di Taylor troncate al primo termine:
∂t11
t11 (x1 + dx1 , x2 , x3 ) = t11 (x1 , x2 , x3 ) + dx1
∂x1
∂t21
t21 (x1 , x2 + dx2 , x3 ) = t21 (x1 , x2 , x3 ) + dx2
∂x2
∂t31
t31 (x1 , x2 , x3 + dx3 ) = t31 (x1 , x2 , x3 ) + dx3
∂x3
Sostituendo queste ultime espressioni nella equazione di equilibrio e dividendo per dV =
dx1 dx2 dx3 , si ottiene la prima delle:
∂t11 ∂t21 ∂t31
+ + + b1 = 0
∂x1 ∂x2 ∂x3
∂t12 ∂t22 ∂t32
+ + + b2 = 0 (4.1)
∂x1 ∂x2 ∂x3
∂t13 ∂t23 ∂t33
+ + + b3 = 0
∂x1 ∂x2 ∂x3
mentre le ultime due relazioni possono essere ricavate, operando in maniera analoga, im-
ponendo l’equilibrio rispetto alle direzioni x2 e x3 .
72 ANALISI DELLO STATO DI TENSIONE NEL CONTINUO TRIDIMENSIONALE

Le equazioni (4.1) appena ricavate prendono il nome di equazioni indefinite di equilib-


rio del continuo e sono equazioni lineari alle derivate parziali che mettono in relazione le
componenti speciali di tensione tij con i carichi esterni. Il loro campo di validità coin-
cide con il volume V del solido di Cauchy e per essere integrate necessitano di apposite
condizioni al contorno.
Ulteriori informazioni per la determinazione del campo delle tensioni possono essere
ricavate dall’imposizione dell’equilibrio alla rotazione del cubetto infinitesimo attorno agli
assi considerati. Ad esempio, per garantire tale equilibrio attorno all’asse x1 , ci si può
riferire allo schema riportato in Figura 4.5 in cui tutte le componenti di tensione e le forze
di volume agenti sul cubetto sono state proiettate su un piano ortogonale all’asse x1 e si
è valutato l’equilibrio rispetto al punto A. Dalla figura è chiaro che tutte le forze parallele

x3 ¶t32
t32 + dx3
¶x3

dx2

A dx3 ¶t23
t23 t23 + dx2
¶x2

b2
x1 x2
P t32
b3

Figura 4.5 Equilibrio alla rotazione attorno all’asse x1 .

all’asse x1 (quindi le forze dovute alle componenti di tensione t11 , t21 e t31 , nonché alla
componente della forza di volume b1 ) non contribuiranno alla rotazione attorno all’asse
x1 . Inoltre, le forze dovute alle tensioni t22 , t33 , t12 e t13 avranno braccio nullo rispetto al
punto A.
Considerando le forze dovute alle rimanenti componenti di tensione t23 e t32 ed alle
forze di volume b2 e b3 sarà possibile scrivere la seguente equazione di equilibrio:
 
dx2 ∂t23 dx2 dx3
t23 dx1 dx3 + t23 + dx2 dx1 dx3 − t32 dx1 dx2 +
2 ∂x2 2 2
dx2 dx2
 
∂t32 dx3
− t32 + dx3 dx1 dx2 + b2 dx1 dx2 3 − b3 dx1 2 dx3 = 0
∂x3 2 2 2
Trascurando gli infinitesimi di quarto ordine rispetto a quelli di terzo ordine e dividendo
per dV = dx1 dx2 dx3 si ottiene la prima delle seguenti relazioni:
t23 = t32
t13 = t31
t12 = t21
mentre le altre due possono essere ottenute operando in maniera analoga per le equazioni
di equilibrio alla rotazione rispetto agli assi x2 e x3 . Queste equazioni affermano che
LA DESCRIZIONE DELLO STATO DI TENSIONE AL VARIARE DELLA GIACITURA: IL TEOREMA DI CAUCHY 73

le componenti speciali di tensione tij e tji hanno modulo uguale tra loro e ciò va sotto
il nome di principio di reciprocità delle azioni tangenziali. A seguito dell’imposizione
dell’equilibrio alla rotazione il tensore delle tensioni di Cauchy T sarà dunque simmetrico:
 
t11 t12 t13
 
T=  t12 t22 t23 
 (4.2)
t13 t23 t33

Sembra opportuno sottolineare che, dal momento che si hanno solamente tre equazioni a
fronte delle sei componenti incognite del tensore degli sforzi, il problema dell’equilibrio
del continuo tridimensionale è un problema internamente iperstatico.
Introducendo la notazione di divergenza di un campo vettoriale ti come:
3
X ∂tij ∂ti1 ∂ti2 ∂ti3
div ti = ∇ti = = + +
j=1
∂xj ∂x1 ∂x2 ∂x3

e valutandola per tutte le colonne del tensore T, le equazioni indefinite di equilibrio pos-
sono sintetizzarsi nella elegante forma:
divT + b = 0 (4.3)

4.3 La descrizione dello stato di tensione al variare della giacitura: il teo-


rema di Cauchy

Una volta analizzato il problema dell’equilibrio del cubetto infinitesimo estratto dal volume
del solido si ha a disposizione uno strumento per studiare l’andamento del campo vettoriale
delle tensioni al variare della posizione del punto P nel volume. Resta da studiare come
varia il vettore tensione tn al variare della giacitura n, una volta noto il tensore T riferito
ad una terna speciale nell’intorno del punto P.
A tale scopo è necessario descrivere le condizioni di equilibrio di un solido di volume
infinitesimo in cui tre facce sono identificate da normali parallele agli assi del sistema di
riferimento, mentre la quarta faccia è ottenuta traslando parallelamente a se stessa di una
quantità infinitesima un piano di normale generica passante per il punto P. Il volume che
si viene a creare è quindi un tetraedro come quello illustrato nella Figura 4.6.
Sulle facce di normale negativa del tetraedro (quelle aventi normali parallele agli assi
del sistema di riferimento) agiranno le tensioni t1 , t2 e t3 , rispettivamente sulle facce PBC,
ACP e ABP. Sulla quarta faccia ABC di normale n agirà invece la tensione tn . Sul punto
P, infine, possiamo pensare concentrata la forza di volume b.
Si denotino con dAi le aree delle tre facce del tetraedro rispettivamente di normale xi
mutuamente ortogonali tra loro e con dAn l’area della faccia inclinata. Indicate con ni
le componenti della direzione normale n nel sistema di riferimento speciale, è possibile
dimostrare che le aree delle facce dAi possono essere messe in relazione all’area della
faccia inclinata di area dAn secondo le relazioni:

dAi = ni dAn , i = 1, 2, 3 (4.4)


Poiché l’elemento di volume tetraedrico è estratto da un continuo in equilibrio sotto i
carichi, anch’esso dovrà risultare equilibrato. Possiamo quindi imporre l’equilibrio alla
traslazione in direzione di ognuno dei tre assi xi .
74 ANALISI DELLO STATO DI TENSIONE NEL CONTINUO TRIDIMENSIONALE

x3

C
tn
t1

dx3
n
t2 P dx2
B x2
dx1

A
b t3
x1

Figura 4.6 Tetraedro di Cauchy.

Facendo riferimento alla traslazione nella direzione x1 , l’equazione di equilibrio tra


tutte le forze coinvolte fornisce la seguente relazione:

−t11 dA1 − t12 dA2 − t13 dA3 + tn1 dAn + b1 dV = 0

trascurando il termine relativo alle forze di volume in quanto infinitesimo di ordine superi-
ore e ricordando la (4.4), dopo opportune semplificazioni si perviene alla relazione:

tn1 = t11 n1 + t12 n2 + t13 n3

Operando analogamente per le direzioni x2 e x3 si ottengono altre due relazioni di equilib-


rio:
tn2 = t21 n1 + t22 n2 + t23 n3
tn3 = t31 n1 + t32 n2 + t33 n3
Le precedenti relazioni vanno sotto il nome di relazioni di Cauchy e consentono di deter-
minare le componenti del vettore tensione agente secondo una qualsiasi giacitura n, note
che siano le componenti speciali di tensione rispetto un qualsiasi riferimento cartesiano.
Ricordando la definizione di tensore degli sforzi (4.2) e la definizione della direzione
normale n:  
n1
 
n=  n2 

n3
è possibile esprimere le relazioni di Cauchy in forma compatta:
    
tn1 t11 t12 t13 n1
    
 tn2  =  t12 t22 t23   n2  → tn = Tn (4.5)
    
tn3 t13 t23 t33 n3

La notevole relazione (4.5), unitamente alle (4.3), consente di studiare l’andamento dello
stato tensionale all’interno di un volume di un solido continuo quando ci si sposta all’interno
LE TENSIONI PRINCIPALI E LE DIREZIONI PRINCIPALI DI TENSIONE 75

del volume oppure quando si vari in maniera arbitraria la giacitura rispetto alla quale si
vuole determinare il vettore tensione.
Le relazioni di Cauchy hanno un valore notevole anche perché consentono di ricavare
delle condizioni al contorno per le equazioni di equilibrio (4.3). Infatti, come mostrato
in Figura 4.7, in prossimità del contorno su cui agisce una pressione di superficie pn è
possibile considerare un elemento tetraedrico tale che la sua faccia inclinata approssimi
localmente la superficie laterale del volume. In questo caso le relazioni di Cauchy possono
scriversi come:
Tn = pn ∀P ∈ SL

x3

C
pn t1
SU SL n pn

SU n

P
B x2
x3

x2 A
x1 t3
x1

Figura 4.7 Condizioni al contorno del solido di Cauchy.

4.4 Le tensioni principali e le direzioni principali di tensione

Riconsiderando il vettore tensione tn agente sulla faccia inclinata del tetraedro di Cauchy,
è evidente che esso non risulterà in generale parallelo alla generica direzione normale n.
È quindi possibile scomporlo in una componente normale alla faccia inclinata tnn ed in
una componente tns , detta componente tangenziale, che giace sulla faccia stessa, come
mostrato in Figura 4.8.
Dal punto di vista analitico la componente normale può essere espressa come:
tnn = λn
in cui λ è un parametro generico che ne esprime il modulo, mentre la componente tan-
genziale può essere considerata come la differenza vettoriale tra il vettore tensione tn e la
componente normale tnn ; ricordando le reazioni di Cauchy si ha:
tns = tn − tnn = Tn − λn (4.6)
Si è adesso interessati a ricercare, se esistono, delle particolari giaciture n per le quali il
vettore tensione tn ammetta solamente componente normale, ovvero per le quali la compo-
nente tangenziale sia nulla. Dalla (4.6) eguagliando a zero si ricava un sistema di equazioni
76 ANALISI DELLO STATO DI TENSIONE NEL CONTINUO TRIDIMENSIONALE

x3

tn
n
tns
tnn

P
x2

x1

Figura 4.8 Componenti della tensione tn sul tetraedro di Cauchy.

omogeneo nelle incognite ni :

Tn − λn = 0 → (T − λI) n = 0 (4.7)

in cui con I si è indicata una matrice identità di ordine tre.


Il sistema (4.6), cosı̀ come il (4.7), esprimono il cosiddetto problema agli autovalori in
cui si cercano le condizioni per cui il generico operatore T applicato al vettore n restituisca
un vettore parallelo a n. Se ciò si verifica, λ è detto autovalore dell’operatore T e risulta
essere associato all’autovettore n.
Il problema agli autorvalori (4.7) ammette, ovviamente, la soluzione banale n = 0 di
nessun interesse né significato fisico. Per potere determinare ulteriori soluzioni bisogna
imporre che il problema ne abbia una infinità e questo si ottiene imponendo che la matrice
dei coefficienti non sia a pieno rango, ovvero che il suo determinante sia nullo:

det (T − λI) = 0 → P (λ) = λ3 − I1 λ2 + I2 λ − I3 = 0 (4.8)

in cui P (λ) è detto polinomio caratteristico e la (4.8) è detta equazione secolare dello
stato di tensione.
I termini I1 , I2 e I3 si chiamano rispettivamente invariante lineare, quadratico e cubico
di tensione. Questi termini si dicono invarianti perché il loro valore non dipende dal par-
ticolare sistema di riferimento adottato ma soltanto dalla qualità dello stato tensionale. È
possibile verificare che il valore degli invarianti nel sistema di riferimento speciale è quello
riportato di seguito:

I1 = tr (T) = t11 + t22 + t33



I2 = t11 t22 + t22 t33 + t11 t33 − t212 + t213 + t223
I3 = det (T)

In corrispondenza di ogni soluzione λi del polinomio caratteristico è possibile deter-


minare le corrispondenti soluzioni in termini di direzioni ni attraverso la sostituzione di
λi nella (4.7). Ovviamente, dal momento che si è imposta la (4.8), si otterranno infinite
LE TENSIONI PRINCIPALI E LE DIREZIONI PRINCIPALI DI TENSIONE 77

soluzioni in termini di ni . Tra queste si selezionerà l’unica che restituisce un vettore ni di


modulo unitario, ricordando il significato di versore della ni , ovvero associando alla (4.8)
la seguente equazione:
nT
i ni = 1
L’equazione secolare (4.8) è di terzo grado e, in virtù del teorema fondamentale dell’Al-
gebra, ammetterà tre soluzioni nel campo complesso. Dal momento che le soluzioni dei
polinomi devono essere complesse e coniugate a coppie, ne discende che almeno una delle
soluzioni è reale. Vale il seguente teorema:
Teorema 4.1. Gli autovalori del tensore degli sforzi sono tutti e tre reali.

Dimostrazione: Assumiamo per assurdo che una soluzione sia reale λ1 ∈ R mentre le
altre due soluzioni siano complesse e coniugate λ2 ∈ C e λ3 = λ∗2 ∈ C. Esisteranno,
pertanto, tre direzioni n1 ∈ R3 , n2 ∈ C3 e n∗2 = n3 ∈ C3 per le quali deve valere la (4.7),
dal momento che esse sono soluzioni del problema agli autovalori.
In particolare, in corrispondenza delle due soluzioni complesse e coniugate si ricavano
le seguenti equazioni (
Tn2 = λ2 n2
Tn∗2 = λ∗2 n∗2
Premoltiplicando la prima per n∗T T
2 e la seconda per n2 e trasponendo quest’ultima si
ottiene: ( (
n∗T ∗T
2 Tn2 = n2 λ2 n2 n∗T ∗T
2 Tn2 = n2 λ2 n2
∗ T ∗ ∗

nT2 Tn2 = n2 λ2 n2 n∗T T ∗T ∗
2 T n2 = n2 λ2 n2
Sottraendo membro a membro queste ultime si ottiene:
 
n∗T
2 T − TT n2 = n∗T ∗
2 (λ2 − λ2 ) n2

La quantità a primo membro è nulla in virtù della simmetria del tensore T e pertanto,
poiché in generale n∗T ∗
2 n2 6= 0, deve aversi necessariamente λ2 = λ2 , da cui discende
3
immediatamente λ2 ∈ R e n2 ∈ R . La terza soluzione, di conseguenza, dovrà essere
anch’essa reale.
In funzione di quanto dimostrato, è possibile affermare che esisteranno almeno tre piani
individuati dalle loro normali ni , ottenute in corrispondenza delle tre soluzioni λi , tali
che il vettore tensione valutato rispetto ad essi ammetta solo componente normale. Tali
direzioni vengono dette direzioni principali di tensione e le tensioni normali ivi agenti
vengono dette tensioni principali. Vale il seguente
Teorema 4.2. Se il problema agli autovalori ammette tensioni principali distinte, esse
agiscono su piani mutuamente ortogonali.
Dimostrazione: Si supponga di ottenere dalla (4.8) due soluzioni tra di loro distinte λ1 6=
λ2 . Per ognuna di esse deve essere verificata la (4.7) per cui si hanno le seguenti due
equazioni: (
Tn1 = λ1 n1
Tn2 = λ2 n2
Premoltiplicando la prima per nT T
2 e la seconda per n1 e trasponendo quest’ultima si ot-
tiene: ( (
nT T
2 Tn1 = n2 λ1 n1 nT T
2 Tn1 = n2 λ1 n1

nT T
1 Tn2 = n1 λ2 n2 nT T
2 Tn1 = n2 λ2 n1
78 ANALISI DELLO STATO DI TENSIONE NEL CONTINUO TRIDIMENSIONALE

Sottraendo membro a membro le ultime due equazioni si ottiene:

0 = (λ1 − λ2 ) nT
2 n1

Affinché tale relazione sia soddisfatta, poiché per ipotesi è λ1 6= λ2 , deve aversi necessari-
amente nT 2 n1 = 0, ovvero le direzioni n1 e n2 devono essere ortogonali.
Ovviamente, allo stesso risultato si perviene considerando le altre coppie di soluzioni
tra loro distinte λ1 6= λ3 e λ2 6= λ3 , per cui si può concludere che ad autovalori distinti
corrispondono direzioni principali mutuamente ortogonali.
In generale, quindi, postulando la presenza di tre tensioni principali distinte, esistono
tre direzioni principali mutuamente ortogonali tra loro su cui agiscono solo componenti
normali di tensione. Queste direzioni principali costituiscono una nuova base per lo spazio
vettoriale delle tensioni nell’intorno del punto P. Considerando tre assi ξi aventi versori
coincidenti con le direzioni principali ni , è possibile definire un nuovo sistema di riferi-
mento, detto riferimento principale, (P, ξ1 , ξ2 , ξ3 ) tale che un cubetto infinitesimo avente
spigoli paralleli agli assi coordinati sia soggetto sulle sue facce solo a componenti normali
di tensione, come illustrato in Figura 4.9.

x3
t33
l3 l2

x3 t31
t32 x2

t21
t23
t22
P
t12 x2
t13
t11 l1
x1 x1

Figura 4.9 Stato di tensione nel sistema di riferimento principale.

Il tensore degli sforzi definito rispetto al sistema principale sarà:


 
λ 0 0
 1
T0 = 

 0 λ2 0  (4.9)
0 0 λ3

Nel passare dal riferimento speciale a quello principale il tensore degli sforzi risulterà
essere diverso, ma il polinomio caratteristico, dal momento che dovrà ammettere le medes-
ime soluzioni, dovrà mantenersi uguale, ovvero i suoi coefficienti Ii , non dipenderanno dal
particolare sistema di riferimento utilizzato per descrivere lo stato tensionale nell’intorno
del punto P, ma soltanto dalla sua qualità. Per questo motivo essi sono stati denotati come
invarianti di tensione.
LE TENSIONI PRINCIPALI E LE DIREZIONI PRINCIPALI DI TENSIONE 79

Il valore di tali invarianti nel sistema principale è facilmente calcolato:

I1 = tr T0 = λ1 + λ2 + λ3


I2 = λ1 λ2 + λ2 λ3 + λ1 λ3
I3 = det T0 = λ1 λ2 λ3


Le tensioni principali godono di una ulteriore proprietà di cui si vuole dare dimostrazione.

Teorema 4.3. Le tensioni principali sono sono estremanti delle tensioni normali.
Dimostrazione: Si vuole dimostrare che tra le tensioni principali vi saranno sia il valore
massimo che il valore minimo di tensione normale tra tutti quelli che possono verificarsi
nella stella di piani di centro P.
Per semplicità di dimostrazione ci si riferirà al caso piano, descritto in Figura 4.10, in
cui n1 e n2 sono due direzioni principali su cui agiscono le tensioni principali λ1 e λ2 .

x2
s tn
n

tns tnn
f
l1

P x1
l2

Figura 4.10 Andamento delle componenti di tensione al variare della giacitura.

Considerando una generica giacitura descritta dalla normale n, su di essa agirà la ten-
sione tn avente una componente normale tnn di direzione n e una componente tangenziale
tns di direzione s.
Le direzioni n e s possono essere espresse in funzione dell’angolo φ che la normale n
forma rispetto all’asse ξ1 :
" # " #
cos φ − sin φ
n= ; s= ;
sin φ cos φ

In virtù della relazione di Cauchy (4.5) la tensione tn al variare della normale n, e


quindi dell’angolo φ, può essere espressa come:
" # " #" # " #
tn1 λ1 0 cos φ λ1 cos φ
tn = Tn → tn = = =
tn2 0 λ2 sin φ λ2 sin φ
80 ANALISI DELLO STATO DI TENSIONE NEL CONTINUO TRIDIMENSIONALE

Pertanto, i valori delle componenti normale tnn e tangenziale tns della tn possono essere
rispettivamente determinati come:

tnn = nT tn = λ1 cos2 φ + λ2 sin2 φ


(4.10)
tns = sT tn = (λ2 − λ1 ) sin φ cos φ

Volendo determinare per quali giaciture il valore delle componenti normale e tangenziale
risulterà massimo, bisognerà eguagliare a zero il valore delle derivate rispetto all’angolo
φ:
∂tnn
= 0 → 2 (λ2 − λ1 ) sin φ cos φ = 0 → 2tns = 0
∂φ
(4.11)
∂tns  
= 0 → (λ2 − λ1 ) cos2 φ − sin2 φ = 0 → (λ2 − λ1 ) cos 2φ = 0
∂φ
Dalla prima delle (4.11) è evidente che le tensioni normali ammetteranno i loro valori
estremi (massimo o minimo) per quei piani tali per cui si annulla il valore della tensione
tangenziale tns , ovvero in corrispondenza delle giaciture individuate dalle direzioni princi-
pali. In altri termini si dice che le tensioni principali sono estremanti delle tensioni normali
al variare della giacitura.
La seconda delle (4.10), invece, mostra che i valori estremi delle tensioni tangenziali si
verificano per valori per cos 2φ = 0, ovvero per φ = ±π/4, e quindi per giaciture inclinate
di 45°rispetto alle direzioni principali.

4.5 I cerchi di Mohr

Da quanto fin qui osservato, è evidente che lo stato di tensione nell’intorno del punto P può
essere definito conoscendo in modo alternativo o le tensioni agenti su tre facce mutuamente
ortogonali, ovvero determinando le tensioni e le direzioni principali.
Dal punto di vista applicativo è molto utile la rappresentazione grafica dello stato di
tensione dovuta a Mohr. Continuando per semplicità a considerare un riferimento princi-
pale e fissando l’attenzione su un fascio di piani avente come retta di sostegno l’asse x3 ,
possiamo esprimere le componenti di tensione normale e tangenziale agenti su un piano
ruotato di un generico angolo φ attraverso le relazioni (4.10), come mostrato in Figura
4.10. Ricordando le seguenti identità trigonometriche:
1 + cos 2φ 1 − cos 2φ
sin 2φ = 2 sin φ cos φ; cos2 φ = ; sin2 φ =
2 2
ed indicando le componenti normali e tangenziali rispettivamente con σn e τn , si ottiene:
λ1 + λ2 λ1 − λ2
σn − = cos 2φ
2 2 (4.12)
λ1 − λ2
τn = − sin 2φ
2
Quadrando e sommando membro a membro queste ultime si ottiene la relazione:
 2  2
λ1 + λ2 λ1 − λ2
σn − + τn2 = (4.13)
2 2
I CERCHI DI MOHR 81

tn
E
tnn t22 t11
t21 t12
t11 A x2
tns B A x1
t12
l2 2f l1
S2 t21 C S 1 sn
t11
B t22 t12 t21 t22
P

a) D b)

Figura 4.11 Cerchi di Mohr.

che, nel cosiddetto piano di Mohr (σn , τn ) rappresenta l’equazione della circonferenza C3
di centro nel punto C e di raggio R, mostrata in Figura 4.11-a, in cui:
 
λ1 + λ2 λ1 − λ2
C= ,0 ; R =
2 2

Si noti che la eq. (4.12) può essere considerata come l’equazione parametrica della
stessa circonferenza C3 . Le relazioni precedenti, quindi, stabiliscono una corrispondenza
biunivoca tra lo stato di tensione, determinato dai valori delle tensioni normali σn e delle
tensioni tangenziali τn , per un generico valore dell’angolo φ e un punto sul piano di Mohr.
Inoltre, al variare della giacitura individuata dall’angolo φ tali punti descrivono una circon-
ferenza detta cerchio di Mohr.
L’esame delle eq.(4.12) mostra che un angolo φ nel riferimento speciale (vedi Figura
4.10) corrisponde ad un angolo 2φ nel piano del Mohr (Figura 4.11-a). Due stati tensionali
agenti su due giaciture tra loro ortogonali (i punti A e B in Figura 4.11-b), quindi, am-
metteranno come rappresentazione sul cerchio di Mohr due punti tra loro diametralmente
opposti.
Dalla Figura 4.11-b, inoltre, è evidente che i punti S1 e S2 , ottenuti come intersezione
dell’asse σn con la circonferenza, sono rappresentativi degli stati tensionali agenti sui piani
principali (τn = 0) e che per tali punti si verificano i valori estremanti delle tensioni
normali.
Le tensioni tangenziali estremanti, invece, sono rappresentate dai punti D e E, posti
a 90°dai punti S1 e S2 nel cerchio di Mohr. Da ciò si ottiene l’ulteriore conferma che le
tensioni tangenziali massime si verificheranno nei piani orientati a 45°rispetto alle direzioni
principali.
Il valore applicativo e la conseguente diffusione della rappresentazione dello stato ten-
sionale nell’intorno di un punto P mediante i cerchi di Mohr è dato dalla circostanza che
tali cerchi possono essere tracciati senza dover prima risolvere il problema agli autovalori
(4.7), e che le tensioni e le direzioni principali possono anzi essere ricavate a valle del trac-
ciamento dei cerchi di Mohr, come verrà mostrato nella seguente costruzione geometrica.
82 ANALISI DELLO STATO DI TENSIONE NEL CONTINUO TRIDIMENSIONALE

tn

x2
t22
t22 N
t21 A(t11,t12)
b
t12 l2 l1
t11
a S2 C S1 sn
x1
l1
P x2 B(t22,t21)
x1
l2
M
a) b) nm

Figura 4.12 Costruzione dei cerchi di Mohr e del polo delle normali.

Si supponga di conoscere lo stato di tensione nell’intorno di un punto P attraverso la


determinazione delle tensioni normali e tangenziali agenti su due giaciture mutuamente
ortogonali a e b, cosı̀ come mostrato in Figura 4.12-a, e di riportare in un piano di Mohr
i corrispondenti punti A e B. A tal fine, si utilizza la cosiddetta convenzione del Mohr
secondo la quale alle tensioni tangenziali t12 e t21 si attribuisce rispettivamente segno
positivo o negativo a seconda che esse formino con l’origine del riferimento un momento
orario o antiorario, rispettivamente.
Il segmento delimitato dai punti A e B, rappresentativi di stati tensionali agenti su giac-
iture ortogonali, sarà un diametro del cerchio di Mohr e ciò basta ad identificare univoca-
mente il cerchio stesso, cosı̀ come riportato in Figura 4.12-b.
I punti S1 e S2 di intersezione del cerchio con l’asse σn = 0 sono rappresentativi dello
stato di tensione sui piani principali ed è immediato quantificare le tensioni principali λ1
e λ2 . Per quanto riguarda, invece, la determinazione delle direzioni principali valgono le
seguenti considerazioni.
Si tracci a partire dal punto A una retta parallela alla normale che identifica la giacitura
a e dal punto B una retta parallela alla normale che identifica la giacitura b. Tali rette si
incontreranno su un punto N del cerchio, detto polo delle normali che gode di una notevole
proprietà. Infatti, congiungendo il punto N con un qualsiasi punto M del cerchio, si ottiene
la direzione normale alla giacitura m su cui agisce lo stato tensionale rappresentato dal
punto M stesso.
Le direzioni principali ξ1 e ξ2 , pertanto, possono essere immediatamente individuate
congiungendo i punti S1 e S2 con il polo delle normali N.
Le considerazioni fin qui svolte e che hanno portato a ricavare le equazioni (4.13) con
riferimento ad un fascio di piani aventi come sostegno l’asse x3 , possono essere analoga-
mente ripetute in corrispondenza dei fasci di piani aventi assi di sostegno x1 e x2 . Si
CLASSIFICAZIONE DEGLI STATI TENSIONALI 83

tn

l3 l2 l1
sn

C1 C3

C2

Figura 4.13 Arbelo del Mohr.

perverrà, quindi, alla determinazione delle equazioni di altre due circonferenze C1 e C2 :


 2  2
λ2 + λ3 2 λ2 − λ3
σn − + τn =
2 2
(4.14)
 2  2
λ1 + λ3 λ 1 − λ 3
σn − + τn2 =
2 2
che possono essere rappresentate sul piano del Mohr, cosı̀ come illustrato in Figura 4.13.
È possibile dimostrare che su tutte quelle giaciture che appartengono alla stella di piani
di centro P, ma che non appartenengono ai tre fasci appena descritti, agiscono stati ten-
sionali che, nel piano di Mohr, trovano rappresentazione nei punti della zona campita in
Figura 4.13 detta arbelo di Mohr.

4.6 Classificazione degli stati tensionali

Nelle sezioni precedenti è stato dimostrato che lo stato di tensione nell’intorno di un punto
può essere biunivocamente associato alla equazione secolare pertinente o alla configu-
razione dei cerchi di Mohr. Nel seguito, si procederà alla classificazione degli stati ten-
sionali in funzione del valore assunto dagli invarianti e dalle tensioni principali.

4.6.1 Stati di tensione triassiali


Lo stato di tensione triassiale è il più generico stato di tensione e si verifica quanto tutti gli
invarianti sono diversi da zero:
I1 6= 0; I2 6= 0; I3 6= 0;
In genere si hanno tre radici dell’equazione secolare (tensioni principali) λi distinte tra
loro e tre direzioni principali ni mutuamente ortogonali. La rappresentazione dello stato
tensionale attraverso i cerchi di Morh è simile a quella descritta in Figura 4.13.
84 ANALISI DELLO STATO DI TENSIONE NEL CONTINUO TRIDIMENSIONALE

In funzione dei particolari valori che possono assumere le soluzioni λi possono presen-
tarsi due casi particolari, di seguito analizzati.
STATO DI TENSIONE CILINDRICO
Lo stato di tensione cilindrico si verifica quando due delle radici dell’equazione secolare
sono coincidenti (ad es. λ1 6= λ2 = λ3 ). In questo caso si avrà la presenza di una di-
rezione principale n1 distinta mentre tutte le direzioni contenute nel piano π ortogonale a
n1 saranno direzioni principali, come mostrato in Figura 4.14. A causa di questo partico-
lare stato di simmetria lo stato di tensione si definisce cilindrico.
Sul piano di Mohr (Figura 4.14-b), il cerchio C1 degenera in un punto (tutti i piani del
fascio avente come sostegno l’asse x1 hanno τn = 0 e sono piani principali), mentre i
cerchi C2 e C3 coincidono.

tn

n3

P
n2 l2=l3 l1
sn
C1

n1

C2=C3
a) b)

Figura 4.14 Stato di tensione cilindrico.

STATO DI TENSIONE IDROSTATICO


Lo stato di tensione idrostatico si verifica quando tutte e tre le radici dell’equazione sec-
olare coincidono (λ1 = λ2 = λ3 ). In questo caso tutte le direzioni saranno principali
(Figura 4.15-a) e lo tato di tensione viene detto idrostatico perché è quello che si verifica
in un fluido in quiete, o anche sferico a causa della particolare simmetria. Sul piano di
Mohr (Figura 4.15-b), tutti e tre i cerchi degenerano in un punto e tutti i piani della stella
di centro P hanno τn = 0 e sono piani principali.

4.6.2 Stati di tensione piani


Lo stato di tensione piano si verifica quando si annulla l’invariante cubico di tensione:

I1 6= 0; I2 6= 0; I3 = 0;

In questo caso l’equazione secolare assume la forma

λ3 − I1 λ2 + I2 λ = 0
CLASSIFICAZIONE DEGLI STATI TENSIONALI 85

tn

n3

P l1=l2=l3
n2
sn
n1 C1=C2=C3

a) b)

Figura 4.15 Stato di tensione idrostatico o sferico.

che ammette le seguenti soluzioni


p
I1 I12 − 4I2
λ1,2 = ± ; λ3 = 0;
2 2

La direzione principale n3 corrispondente alla soluzione nulla λ3 = 0 individua un piano


su cui non agisce nessuna tensione, detto piano scarico. Le altre due soluzioni, λ1 e λ2 ,
individuano due direzioni principali n1 e n2 ortogonali a n1 . Lo stato tensionale, pertanto,
da tridimensionale diventa piano.
Per comprendere meglio questo concetto, consideriamo l’elemento tetraedrico mostrato
in Figura 4.16 in cui le tre facce mutuamente ortogonali sono orientate secondo le direzioni
principali. Su due di queste facce, quindi, agiranno solo le tensioni normali λ1 e λ2 , mentre
la terza faccia è scarica, dal momento che λ3 = 0.
Considerando una generica giacitura individuata dalla direzione normale n, la tensione
tn agente su questa faccia inclinata può essere determinata dalla relazione di Cauchy (4.5):

     
tn1 λ 0 0 n λ 1 n1
   1  1   
tn = Tn →   =
 tn2   0
 λ2 0   n2
   =  λ 2 n2 
  
tn3 0 0 0 n3 0

È immediato osservare che per qualsiasi direzione n (per ogni piano della stella di centro P)
il vettore tensione ammette componente t3 = 0 e quindi sarà contenuto nel piano [n1 , n2 ]
ortogonale a n3 . Per questo motivo lo stato di tensione si dice piano.
Lo stato di tensione piano è presente in alcuni degli elementi strutturali di uso più fre-
quente. Nel seguito sono riportati alcuni casi notevoli.
STATO DI TENSIONE DELLA TRAVE PIANA
Nel caso della trave piana illustrato nella Figura 4.17, come si vedrà nei capitoli successivi,
86 ANALISI DELLO STATO DI TENSIONE NEL CONTINUO TRIDIMENSIONALE

x3

l1
n

l2
P
tn x2

x1

Figura 4.16 Piano scarico.

il tensore degli sforzi assume la forma:


 
0 0 t31
 
T= 0
 0 t32 

t31 t32 t33

in cui con x3 si è indicata la direzione dell’asse geometrico della trave. Gli invarianti
assumono le seguenti espressioni:

I1 = t33 ; I2 = − t231 + t232 ; I3 = 0;

mentre il valore delle tensioni principali è:


q 
t33 t233 + 4 t231 + t232
λ1,2 = ±
2 2
Nella Figura 4.17 è anche illustrata la configurazione dei cerchi di Mohr per questo stato
di tensione.
STATO DI TENSIONE DELLA PIASTRA O DELLA LASTRA
Le lastre e le piastre sono degli elementi bidimensionali nei quali, cioè, la terza dimen-
sione è trascurabile rispetto le altre due. Tali elementi vengono chiamati lastre quando i
carichi agenti sono contenuti nel piano geometrico dell’elemento, mentre sono dette piastre
quando i carichi agiscono ortogonalmente al piano geometrico dell’elemento. In entrambi
i casi di lastra e piastra il tensore degli sforzi è illustrato nella Figura 4.18 e vale:
 
t11 t12 0
 
T=  t12 t22 0 

0 0 0
CLASSIFICAZIONE DEGLI STATI TENSIONALI 87

tn
x3
t33
t31
t32

t23 l3=0 l1
l2 t33/2 sn
P
x2 C1
t13

x1
a) b) C3
C2

Figura 4.17 Stato tensionale della trave piana.

Gli invarianti assumono le seguenti espressioni:

I1 = t11 + t22 ; I2 = t11 t22 − t212 ; I3 = 0;

mentre il valore delle tensioni principali è:


r
t11 + t22 t11 − t22
λ1,2 = ± + t212
2 2

Nella Figura 4.18 è anche illustrata la configurazione dei cerchi di Mohr per questo stato
di tensione.

tn
x3

t21 l3=0 l1
t12 t22 l2 (t11+t22)/2 sn
P x2 C1
t11

x1
a) b) C3
C2

Figura 4.18 Stato tensionale della lastra o della piastra.


88 ANALISI DELLO STATO DI TENSIONE NEL CONTINUO TRIDIMENSIONALE

STATO DI TENSIONE PURAMENTE TANGENZIALE


Lo stato di tensione puramente tangenziale si verifica quando è presente solo una delle
tensioni tangenziali. La Figura 4.19 illustra questo stato tensionale e la corrispondente
configurazione dei cerchi di Mohr. Il tensore degli sforzi assume la forma:
 
0 t12 0
 
T=  t12 0 0 

0 0 0

Gli invarianti assumono le seguenti espressioni:

I1 = 0; I2 = −t212 ; I3 = 0;
mentre il valore delle tensioni principali è:

λ1,2 = ±t12

tn
x3

t21 l3=0 l1
t12 l2 sn
P x2
C1
C2
x1
a) b) C3

Figura 4.19 Stato tensionale puramente tangenziale.

4.6.3 Stati di tensione monoassiali


Lo stato di tensione si definisce monoassiale quando entrambi gli invarianti I2 = 0 e
I3 = 0. L’equazione secolare, in questo caso, si riduce a:
λ3 − I1 λ2 = 0
e ammette le soluzioni
λ1 = I1 ; λ2,3 = 0;
Essendoci solo una tensione principale non nulla, è chiaro perché questo stato di tensione si
definisca monoassiale. Esso si può verificare,ad esempio, in una barra sollecitata a tensione
semplice.
CLASSIFICAZIONE DEGLI STATI TENSIONALI 89

La direzione principale n1 corrispondente a λ1 sarà parallela alla direzione dell’unica


tensione normale diversa da zero, mentre tutte le direzioni contenute nel piano ortogonale
a n1 saranno direzioni principali. Per questo motivo lo stato di tensione monoassiale può
essere considerato come un caso particolare dello stato di tensione cilindrico, in cui le due
tensioni principali uguali sono nulle. La Figura 4.20 illustra il tensore degli sforzi ed i
cerchi di Mohr per questo stato di tensione.

tn
x3

l2=l3 l1=t11
sn
C1
t11 P x2

x1 C2=C3
a) b)

Figura 4.20 Stato tensionale monoassiale.


CAPITOLO 5

CENNI DI ANALISI DELLO STATO DI


DEFORMAZIONE NEL CONTINUO

In questo capitolo si tratterà in via semplificata l’analisi dello stato di deformazione nel
continuo tridimensionale. Tale analisi sarà condotta secondo un approccio che risulterà
essere duale a quello condotto in precedenza con riferimento all’analisi dello stato di ten-
sione.
Dopo avere descritto sommariamente le componenti di deformazione, si studierà l’anda-
mento della deformazione nell’intorno di un punto, stabilendo quali relazioni devono sus-
sistere tra le stesse deformazioni e il campo degli spostamenti affinché essi siano congru-
enti, ovvero tali che il processo deformativo avvenga senza lacerazioni né compenetrazioni
di materia.
Successivamente si generalizzeranno i risultati ottenuti a fibre comunque orientate nello
spezio e si classificheranno gli stati tensionali in modo analogo a quanto visto in corrispon-
denza degli stati di tensione.

5.1 Le componenti della deformazione

Nel capitolo precedente si è mostrato che la descrizione dello stato di tensione nell’intorno
di un punto P del continuo può essere condotta una volta definite le componenti di tensione
che agiscono su tre facce mutuamente ortogonali le cui normali sono orientate parallela-
mente ad un sistema di riferimento cartesiano scelto arbitrariamente. Tali componenti di
tensione sono state raccolte in un tensore T.
Appunti di Scienza delle Costruzioni, I revisione. 91
By Giacomo Navarra - 2016
92 CENNI DI ANALISI DELLO STATO DI DEFORMAZIONE NEL CONTINUO

In virtù della dualità che esiste tra il mondo cinematico e quello meccanico, allo stesso
modo sarà possibile definire compiutamente lo stato di deformazione nell’intorno del punto
P una volta definite le componenti della deformazione subita da tre fibre mutuamente or-
togonali ed orientate secondo il riferimento cartesiano durante un cambiamento di config-
urazione.
Si dedurrà che lo stato di tensione e lo stato di deformazione sono descritti dallo stesso
numero di parametri. In particolare, alle tensioni normali tii , (i = 1, 2, 3) corrispon-
deranno delle componenti di deformazione εi , (i = 1, 2, 3) che chiameremo dilatazioni,
mentre alle tensioni tangenziali tij , (i, j = 1, 2, 3 con i 6= j) saranno corrispondenti delle
componenti di deformazione γij , (i, j = 1, 2, 3 con i 6= j, ) che chiameremo scorrimenti
mutui.
Nel prossimo paragrafo saranno derivati il significato fisico e geometrico delle compo-
nenti di deformazione e le relazioni che intercorrono tra esse e con le altre componenti
cinematiche.

5.2 Le equazioni indefinite di congruenza del continuo

Si supponga di considerare il continuo tridimensionale descritto in Figura 5.1 in cui una


porzione della sua superficie laterale SU è vincolata mentre la porzione residua SL è libera.
Inoltre, si consideri che il continuo sia riferito ad un sistema cartesiano (O, x1 , x2 , x3 ).
Si scelga arbitrariamente all’interno del volume un punto P di coordinate generiche
(x1 , x2 , x3 ) e si isoli nel suo intorno un cubetto infinitesimo avente gli spigoli paralleli agli
assi coordinati.
Si imponga ad ogni punto materiale del corpo un campo di spostamenti che, a partire
dalla configurazione iniziale C, lo conduca alla configurazione finale C*. Per effetto di
tale cambiamento di configurazione il punto P si porterà in P∗ . Per ogni punto del corpo,
quindi, può essere definito un vettore spostamento

PP∗ = u (x1, x2, x3)

SU SL

u SU
P *
P
C*
C
x3

x2
x1

Figura 5.1 Cambiamento di configurazione di un continuo tridimensionale.


LE EQUAZIONI INDEFINITE DI CONGRUENZA DEL CONTINUO 93

il cui valore sarà funzione delle coordinate del punto P. In altri termini, ogni punto del
continuo sarà soggetto a degli spostamenti definito dal campo vettoriale u (x1, x2, x3),
che, a sua volta, può essere descritto mediante le tre componenti cartesiane rispetto al
riferimento adottato in precedenza:
 
u1 (x1 , x2 , x3 )
 
u (x1, x2, x3) =  u2 (x1 , x2 , x3 ) 

u3 (x1 , x2 , x3 )

Con riferimento all’intorno del punto P, è possibile individuare un cubetto infinitesimo i


cui spigoli sono paralleli agli assi x1 , x2 e x3 , e tali da avere una lunghezza iniziale che
vale rispettivamente dx1 , dx2 e dx3 . Il volume iniziale del cubetto sarà pertanto pari a

dV = dx1 dx2 dx3

Nella Figura 5.2 viene mostrato il cubetto infinitesimo e vengono indicati con A, B e C le
intersezioni degli spigoli del cubetto con gli assi x1 , x2 e x3 , rispettivamente per cui sarà:

AP = dx1 , BP = dx2 , CP = dx3

Rispetto a questo elemento infinitesimo di volume, il cambiamento di configurazione può


essere rappresentato come risultante dalla sovrapposizione di tre effetti:

a) una roto-traslazione rigida del cubetto;

b) una componente deformativa in cui il cubetto subisce una variazione di volume;

c) una componente deformativa in cui il cubetto subisce una variazione di forma;

Nel seguito della trattazione si legheranno analiticamente questi effetti al campo degli
spostamenti attraverso precise relazioni matematiche.

x3

dx3

dx2
P
B x2
dx1
A
x1

Figura 5.2 Cubetto infinitesimo nell’intorno del punto P.


94 CENNI DI ANALISI DELLO STATO DI DEFORMAZIONE NEL CONTINUO

Analogamente al percorso intrapreso per l’analisi dello stato di tensione, si può di-
mostrare che è sufficiente descrivere il comportamento di tre fibre mutuamente ortogonali
per potere ricavare lo stato di deformazione nell’intorno del punto P.
Per semplificare la derivazione matematica senza perdere in generalità, si considerino
quindi gli spigoli del cubetto e, in prima battuta, la loro proiezione nel piano (x1 , x2 ), salvo
poi estendere agli altri piani coordinati i risultati trovati.

¶u2
dx2 x2
¶x2 B’
uP
u2 (x1 , x2 + dx2 , x3 ) B uB
B’’ B*

dx2' A*
dx2 dx1'
uA ¶u1
A’’ dx1
¶x1
uPA’
*
u2 (x1 , x2 , x3 ) uP P
dx1 x1
P A

u1 (x1 , x2 , x3 ) u1 (x1 + dx1 , x2 , x3 )

Figura 5.3 Dilatazioni nel piano (x1 , x2 ).

Secondo quanto mostrato in Figura 5.3, per effetto del cambiamento di configurazione
il punto P si porta in P∗ subendo lo spostamento uP , le cui componenti cartesiane nel
piano valgono u1 (x1 , x2 , x3 ) e u2 (x1 , x2 , x3 ). Allo stesso modo, durante il cambiamento
di configurazione i punti A e B assumono la posizione A∗ e B∗ , rispettivamente.
Dal momento che il campo degli spostamenti assume valori in generale diversi in P,
in A ed in B, dopo la deformazione le fibre P∗ A∗ e P∗ B∗ , oltre ad essere variate in
lunghezza, non sono più ortogonali tra loro nè risultano più essere parallele agli assi coor-
dinati.
La definizione della deformazione, quindi, dovrà tenere conto sia di componenti legate
agli allungamenti subiti delle fibre originariamente parallele agli assi cartesiani (variazioni
di volume), che di componenti legate alla distorsione subita dal cubetto (variazioni di
forma). Per procedere alla quantificazione analitica delle componenti della deformazione,
si può supporre che il cambiamento di configurazione avvenga secondo una sequenza di
movimenti elementari che vengono di seguito descritti con riferimento al processo che
porta la fibra PA in P∗ A∗ :

a) la fibra PA subisce uno spostamento rigido uP le cui componenti cartesiane valgono


u1 (x1 , x2 , x3 ) e u2 (x1 , x2 , x3 ); per effetto di questo spostamento il punto A si porta
in A0 ;

b) la fibra P∗ A0 subisce una variazione di lunghezza (positiva in figura) e il punto A0 si


porta in A00 ;

c) la fibra P∗ A00 subisce una rotazione rigida infinitesima con centro di rotazione P∗
che porta il punto A00 in A∗ ;
LE EQUAZIONI INDEFINITE DI CONGRUENZA DEL CONTINUO 95

Con una sequenza analoga di movimenti elementari può essere descritto il processo che
che porta la fibra PB in P∗ B∗ , con l’unica differenza che, nel caso in figura, la fibra
subisce un accorciamento.
Per quanto riguarda le componenti di deformazione legate alla variazione di volume, è
possibile definire la lunghezza delle fibre a deformazione avvenuta come:

P∗ A∗ = P∗ A00 = dx01 ; P∗ B∗ = P∗ B00 = dx02

È immediato constatare come gli allungamenti delle fibre avvengano durante la fase b)
e siano, quindi, pari alla lunghezza dei segmenti A0 A00 e B0 B00 , in quanto i movimenti
elementari descritti dalle fasi a) e c) sono di tipo rigido.
Per valutare questi allungamenti, si può considerare che, nel primo caso, gli sposta-
menti in direzione x1 del punto P e del punto A valgono, rispettivamente u1 (x1 , x2 , x3 ) e
u1 (x1 + dx1 , x2 , x3 ). Assumendo che le funzioni spostamenti siano continue e derivabili
e, per piccoli valori di dx1 , è possibile ottenere quest’ultimo dall’espansione in serie di
Taylor troncata al primo ordine:
∂u1
u1 (x1 + dx1 , x2 , x3 ) = u1 (x1 , x2 , x3 ) + dx1
∂x1
la lunghezza del segmento A0 A00 può essere, quindi, considerata come la differenza tra le
proiezioni lungo x1 degli spostamenti del punto P e del punto A:
∂u
A0 A00 = dx01 − dx1 = u1 (x1 + dx1 , x2 , x3 ) − u1 (x1 , x2 , x3 ) = dx1
∂x1
Analogamente per la direzione x2 varrà la relazione:
∂u
B0 B00 = dx02 − dx2 = u2 (x1 , x2 + dx2 , x3 ) − u2 (x1 , x2 , x3 ) = dx2
∂x2
Ricordando la definizione data di deformazione longitudinale come il rapporto tra l’allunga-
mento di una fibra e la sua lunghezza iniziale, si possono definire le dilatazioni delle fibre
originariamente parallele agli assi:
dx01 − dx1 ∂u1 (x1 , x2 , x3 )
ε1 = =
dx1 ∂x1
dx02 − dx2 ∂u2 (x1 , x2 , x3 )
ε2 = = (5.1)
dx2 ∂x3
dx03 − dx3 ∂u3 (x1 , x2 , x3 )
ε3 = =
dx3 ∂x3
in cui l’ultima equazione è ricavata per estensione alle fibre originariamente disposte lungo
l’asse x3 .
Le dilatazioni longitudinali coincidono, quindi, con la derivata parziale della funzione
spostamento nella direzione originaria della fibra. Le dilatazioni espresse dalle relazioni
precedenti esprimono i cambiamenti nella lunghezza delle fibre e sono quindi responsabili
della variazione di volume del cubetto infinitesimo.
Ulteriori componenti di deformazione sono invece associate al cambiamento di forma.
Come mostrato nella Figura 5.4, le due fibre PA e PB, che prima della deformazione
erano mutuamente ortogonali, dopo il cambiamento di configurazione assumono le po-
sizioni P∗ A∗ e P∗ B∗ , formando, in genere, un angolo diverso da 90°. Il cambiamento
96 CENNI DI ANALISI DELLO STATO DI DEFORMAZIONE NEL CONTINUO

u1 (x1 , x2 + dx2 , x3 )
u1 (x1 , x2 , x3 )
x2 ¶u1
B’ dx2
uP ¶x2
B uB
B’’ B*
¶u2
dx1
A* ¶x1
g2 uA
A’’ u2 (x1 + dx1 , x2 , x3 )
g1
u A’
*
uP P P
x1
P A
u2 (x1 , x2 , x3 )

Figura 5.4 Scorrimenti nel piano (x1 , x2 ).

di forma può essere misurato come la variazione angolare γ12 , detta scorrimento mutuo,
subita dall’angolo AP̂B che diventa A∗ P̂∗ B∗ .
Al fine di determinare in maniera semplice la variazione angolare, è possibile pensarla
scomposta in due componenti γ12 = γ1 + γ2 , indicate in Figura 5.4.
Nell’ambito dei piccoli spostamenti, entrambi questi angoli sono infinitesimi ed è perciò
lecito confonderli con le loro tangenti. Esaminando il caso di γ1 vale la relazione:
A00 A∗
γ1 ' tan γ1 =
P∗ A00
La lunghezza del segmento A00 A∗ , in analogia a quanto fatto prima, può essere pensata
come la differenza tra la componente in direzione x2 dello spostamento subito dal punto A
e la componente in direzione x2 dello spostamento subito dal punto P. Queste componenti
hanno i valori rappresentati nella Figura 5.4. Sfruttando ancora una volta l’espansione in
serie di Taylor della funzione u2 (x1 + dx1 , x2 , x3 ), la lunghezza del segmento A00 A∗ può
essere valutata come:
∂u2 (x1 , x2 , x3 )
A00 A∗ = u2 (x1 + dx1 , x2 , x3 ) − u2 (x1 , x2 , x3 ) = dx1
∂x1
Per quanto riguarda la lunghezza del segmento P∗ A00 , non si commette un errore sostanziale
se si trascura la deformazione longitudinale della fibra rispetto all’unità, essendo questa
molto più piccola. Può scriversi allora:
P∗ A00 = (1 + ε1 )dx1 ' dx1
È lecito allora descrivere la componente γ1 dello scorrimento come:
∂u2 (x1 , x2 , x3 )
γ1 =
∂x1
Eseguendo il medesimo ragionamento per l’angolo γ2 , si può dimostrare facilmente che
vale la relazione:
∂u1 (x1 , x2 , x3 )
γ2 =
∂x2
LE EQUAZIONI INDEFINITE DI CONGRUENZA DEL CONTINUO 97

per cui in definitiva gli scorrimenti mutui nei piani coordinati sono dati da:

∂u2 ∂u1
γ12 = +
∂x1 ∂x2
∂u3 ∂u1
γ13 = + (5.2)
∂x1 ∂x3
∂u2 ∂u3
γ23 = +
∂x3 ∂x2

in cui le ultime due equazioni sono state ricavate per estensione considerando le variazioni
di forma che due fibre ortogonali contenute nei piani (x1 , x3 ) e (x2 , x3 ) subiscono nel cam-
biamento di configurazione. Le componenti della deformazione descritte dalle equazioni
(5.2) sono responsabili del cambiamento di forma del cubetto infinitesimo, che diventa
quindi un esaedro. Dal punto di vista numerico, sia le dilatazioni εi che gli scorrimenti γij
sono espressi da numeri puri (adimensionali) che, nell’ipotesi di piccoli spostamenti, sono
molto piccoli rispetto all’unità.
Le sei relazioni (5.1) e (5.2) vengono dette comunemente equazioni indefinite di con-
gruenza del continuo solido tridimensionale, anche se, più propriamente dovrebbero essere
definite come equazioni cinematiche. Esse legano, secondo la congruenza, le componenti
di deformazione e quelle di spostamento.
A partire dalle equazioni cinematiche, è possibile ricavare altre relazioni alla derivate
parziali che sono delle vere e proprie equazioni di congruenza interna in quanto sono defi-
nite solamente in termini di componenti di deformazione e garantiscono che, in un campo
deformativo che le rispetti, non avvengano lacerazioni o compenetrazioni di materia.
Per procedere alla determinazione di queste relazioni, si proceda derivando due volte
rispetto a x2 la prima delle (5.1) e derivando due volte rispetto a x1 la seconda delle (5.1):

∂ 2 ε1 ∂ 3 u1
=
∂x22 ∂x1 ∂x22

∂ 2 ε2 ∂ 3 u2
2 =
∂x1 ∂x21 ∂x2
Infine, derivando una volta rispetto a x1 e una volta rispetto a x2 la prima delle (5.2) si
ottiene:
∂ 2 γ12 ∂ 3 u1 ∂ 3 u2
= +
∂x1 ∂x2 ∂x1 ∂x22 ∂x21 ∂x2
Osservando i secondi membri delle relazioni precedenti, si deduce che deve valere la prima
delle:
∂ 2 ε1 ∂ 2 ε2 ∂ 2 γ12
2 + 2 =
∂x2 ∂x1 ∂x1 ∂x2
∂ 2 ε1 ∂ 2 ε3 ∂ 2 γ13
+ = (5.3)
∂x23 ∂x21 ∂x1 ∂x3
∂ 2 ε2 ∂ 2 ε3 ∂ 2 γ23
2 + 2 =
∂x3 ∂x2 ∂x2 ∂x3
in cui le ultime due si ricavano procedendo analogamente con le altre equazioni cin-
ematiche. Infine, un altro gruppo di equazioni di congruenza può essere determinato
98 CENNI DI ANALISI DELLO STATO DI DEFORMAZIONE NEL CONTINUO

operando alla stessa maniera sulle equazioni che definiscono gli scorrimenti:

∂ 2 ε1
 
∂ ∂γ23 ∂γ13 ∂γ12
2 = − + +
∂x2 ∂x3 ∂x1 ∂x1 ∂x2 ∂x3
∂ 2 ε2
 
∂ ∂γ23 ∂γ13 ∂γ12
2 = − + (5.4)
∂x1 ∂x3 ∂x2 ∂x1 ∂x2 ∂x3
2
 
∂ ε3 ∂ ∂γ23 ∂γ13 ∂γ12
2 = + −
∂x1 ∂x2 ∂x3 ∂x1 ∂x2 ∂x3

5.3 La misura della variazione di volume

Come descritto in precedenza, durante il cambiamento di configurazione il cubetto in-


finitesimo definito nell’intorno del punto P varia, in generale, sia la propria forma che il
proprio volume. La variazione di volume può essere descritta da un parametro θ1 detto
dilatazione cubica definito come la variazione di volume del cubetto valutata rispetto a
quello iniziale:
dV 0 − dV
θ1 = (5.5)
dV
in cui i valori del volume del cubetto prima e dopo la deformazione possono essere valutate
nel seguente modo:

dV = dx1 dx2 dx3 ; dV 0 = dx01 dx02 dx03

Considerando il significato delle deformazioni longitudinali i , il valore finale del volume


può essere espresso come:

dV 0 = dx01 dx02 dx03 = (1 + ε1 ) dx1 (1 + ε2 ) dx2 (1 + ε3 ) dx3 =


= (1 + ε1 ) (1 + ε2 ) (1 + ε3 ) dV

Sviluppando i prodotti nella relazione precedente e trascurando gli infinitesimi di ordine


superiore, si ottiene:

(1 + ε1 ) (1 + ε2 ) (1 + ε3 ) =1 + ε1 + ε2 + ε3 + (ε1 ε2 + ε1 ε3 + ε2 ε3 ) + ε1 ε2 ε3 =
' 1 + ε1 + ε2 + ε3

Sostituendo nella (5.5) si ottiene facilmente l’espressione del coefficiente di dilatazione


cubica:
θ 1 = ε1 + ε2 + ε3 (5.6)
La dilatazione cubica, quindi, è la somma delle dilatazioni longitudinali lungo le tre di-
rezioni.

5.4 Deformazione di una fibra in direzione generica

Si consideri adesso il problema della determinazione delle componenti della deformazione


per una fibra disposta secondo una direzione generica quando sono note le deformazioni
subite da tre fibre mutuamente ortogonali e disposte in direzione degli assi coordinati.
DEFORMAZIONE DI UNA FIBRA IN DIREZIONE GENERICA 99

N
dx3 uN
dr
N*

M dr’
uM *
M
x3 dx1
x2
dx2
x1

Figura 5.5 Componenti della deformazione di una fibra comunque orientata.

Vale la pena di sottolineare che questo procedimento è del tutto simile a quello seguito per
l’analisi dello stato di tensione e che ha portato alla definizione del Teorema di Cauchy.
Con riferimento alla Figura 5.5, si consideri un punto M (x1 , x2 , x3 ) del continuo rifer-
ito agli assi cartesiani x1 , x2 e x3 ed una fibra di lunghezza infinitesima uscente da esso ed
avente una direzione arbitraria n.
Dette dx1 , dx2 e dx3 le componenti della fibra secondo gli assi coordinati, la lunghezza
della fibra prima della deformazione, dr, può essere espressa come:
q
dr = dx21 + dx22 + dx23

ovvero la fibra può essere pensata come la diagonale di un elemento di volume cubico
analogo a quello descritto in precedenza. Sia quindi N (x1 + dx1 , x2 + dx2 , x3 + dx3 ) il
secondo estremo della fibra in questione e si esprima la direzione della fibra attraverso il
versore:
 
dx1 dx2 dx3
n= ; ; (5.7)
dr dr dr

Per effetto di un cambiamento di configurazione, il punto M subisce uno spostamento


uM = u (x1 , x2 , x3 ), la cui componente cartesiana generica nella direzione xi è data dalla
funzione scalare ui (x1 , x2 , x3 ), che lo porta nel punto M∗ . Analogamente, il punto N si
porterà in N∗ attraverso uno spostamento uN . La fibra infinitesima nella configurazione
deformata avrà pertanto una lunghezza pari a dr0 .
Come visto in precedenza, la deformazione della fibra può essere vista come la sovrap-
posizione di tre contributi:

a) una traslazione rigida definita da u (x1 , x2 , x3 );

b) una rotazione rigida della fibra;

c) una elongazione della fibra;


100 CENNI DI ANALISI DELLO STATO DI DEFORMAZIONE NEL CONTINUO

Al fine di calcolare le componenti della deformazione della fibra si considerino i seguenti


passaggi. La dilatazione associata alla fibra di direzione n è data da:
dr0 − dr
εn = (5.8)
dr
da cui si ottiene che:
dr0 = (1 + εn ) dr
Eseguendo il quadrato di entrambi i membri e trascurando il termine ε2n , in quanto in-
finitesimo di ordine superiore, si ottiene:

dr02 = (1 + 2εn ) dr2 (5.9)

D’altra parte, le coordinate dei punti M∗ e N∗ dopo la deformazione valgono:

M∗ (x1 + u1 , x2 + u2 , x3 + u3 ) ;
N∗ (x1 + dx1 + u1 + du1 , x2 + dx2 + u2 + du2 , x3 + dx3 + u3 + du3 )

ed è allora possibile valutare la lunghezza della fibra a deformazione avvenuta, dr0 , at-
traverso il teorema di Pitagora:
2 2 2
dr02 = (dx1 + du1 ) + (dx2 + du2 ) + (dx3 + du3 )

Sviluppando i quadrati e raccogliendo i termini si ha:


   
dr02 = dx21 + dx22 + dx23 + du21 + du22 + du23 + 2 (du1 dx1 + du2 dx2 + du3 dx3 ) =
=dr2 + 2 (du1 dx1 + du2 dx2 + du3 dx3 )
in cui si è utilizzata la definizione di lunghezza della fibra nella configurazione indeformata
e si sono trascurati gli infinitesimi di ordine superiore.
Il secondo addendo dell’ultima espressione può essere riscritto considerando le espres-
sioni per i differenziali totali delle componenti cartesiane dello spostamento:
3
X ∂ui
dui = dxj
j=1
∂xj

Sostituendo queste ultime nella relazione precedente ed esplicitando i prodotti si ha:



∂u1 2 ∂u1 ∂u1 ∂u2 ∂u2 2
dr02 = dr2 + 2 dx + dx1 dx2 + dx1 dx3 + dx1 dx2 + x +
∂x1 1 ∂x2 ∂x3 ∂x1 ∂x2 2

∂u2 ∂u3 ∂u3 ∂u3 2
+ dx2 dx3 + dx1 dx3 + dx2 dx3 + dx3
∂x3 ∂x1 ∂x2 ∂x3
Ricordando le definizioni delle componenti della deformazione (5.1) e (5.2) si ha:
 
dr02 = dr2 + 2 ε1 dx21 + γ12 dx1 dx2 + γ13 dx1 dx3 + ε2 dx22 + γ32 dx2 dx3 + ε3 dx23

Infine, moltiplicando e dividendo il termine dentro parentesi per dr2 e ricordando la (5.7)
si ha:
  
dr02 = 1 + 2 ε1 n21 + ε2 n22 + ε3 n23 + γ12 n1 n2 + γ13 n1 n3 + γ32 n2 n3 dr2
DEFORMAZIONE DI UNA FIBRA IN DIREZIONE GENERICA 101

Confrontando quest’ultima con la (5.9) è evidente constatare che:


 
γ12 γ13 γ32
εn = ε1 n21 + ε2 n22 + ε3 n23 + 2 n1 n2 + n1 n3 + n2 n3 (5.10)
2 2 2
La (5.10) contiene la definizione della dilatazione longitudinale di una fibra infinitesima
in direzione n in forma quadratica rispetto i coseni direttori della direzione associata alla
fibra stessa e in forma lineare rispetto le componenti di deformazione associate a tre fibre
mutuamente ortogonali e parallele al sistema di riferimento scelto.
Raccogliendo le componenti di deformazione in un tensore doppio e simmetrico e:
 
1 1
ε1 2 γ 12 2 γ 13
 
 
 1 1
e =  2 γ12 ε2 γ (5.11)

2 23 
 
 
1 1
2 γ13 2 γ23 ε3

è possibile esprimere la (5.10) come:


εn = nT en
che è una formula analoga alla espressione con cui si ricavavano le tensioni normali rispetto
un piano comunque inclinato. Pertanto, in generale, è possibile scrivere una relazione tra
il tensore delle deformazioni e e un vettore detto gradiente di deformazione en , del tutto
analoga alla relazione di Cauchy (4.5):
en = en (5.12)
Il significato fisico del vettore gradiente di deformazione en è del tutto analogo a quello
di vettore tensione tn . La componente di esso lungo la direzione n conterrà la dilatazione
longitudinale (in analogia alla tensione normale tnn ), mentre le altri componenti saranno
in relazione con gli scorrimenti (in analogia con le tensioni tangenziali).
Anche nello studio dello stato di deformazione accade che una fibra in direzione n
possiede in generale entrambe le componenti di deformazione (dilatazioni e scorrimenti).
Volendo ricercare le componenti di scorrimento 21 γn , quindi, è possibile sottrarre dal
vettore gradiente di deformazione la componente di dilatazione, ottenendo:
1
γn = en − εn n = en − εn n = (e − εn I) n
2
Volendo chiedersi anche in questo caso se esistano delle direzioni privilegiate n secondo le
quali la fibra subisca solamente dilatazioni longitudinali e quindi lo scorrimento sia nullo,
si ottiene la seguente equazione, assolutamente analoga alla (4.7):
(e − εn I) n = 0 (5.13)
Quindi, anche nell’analisi dello stato di deformazione la ricerca di direzioni particolari
porta alla definizione di un problema agli autovalori che ammette soluzioni diverse dall’iden-
tica in corrispondenza per
det (e − εn I) = 0
ovvero per gli zeri dell’equazione di terzo grado in n che è detta equazione secolare delle
deformazioni:
ε3n − θ1 ε2n + θ2 εn − θ3 = 0
102 CENNI DI ANALISI DELLO STATO DI DEFORMAZIONE NEL CONTINUO

in cui θ1 , θ2 e θ3 sono detti, rispettivamente, gli invarianti lineare, quadratico e cubico di


deformazione e hanno le seguenti espressioni:

θ1 = ε1 + ε2 + ε3
1 2 2 2

θ2 = ε1 ε2 + ε1 ε3 + ε3 ε2 − 4 γ12 + γ13 + γ23
θ3 = det (e)

in cui l’invariante lineare di deformazione θ1 coincide con il coefficiente di dilatazione


cubica precedentemente descritto.
Sempre in analogia con il caso tensionale, è possibile dimostrare che il tensore e è sim-
metrico e ammette tre autovalori ni reali, detti deformazioni principali, cui corrispondono,
attraverso la (5.12), delle cosiddette direzioni principali di deformazione mutuamente or-
togonali tra loro.
Gli stati di deformazione possono essere, inoltre, classificati in funzione del valore degli
invarianti e del numero di deformazioni principali distinte o coincidenti, in modo del tutto
analogo a quanto visto nell’analisi dello stato di tensione.
In aggiunta, si può dimostrare che, per un materiale anisotropo, le direzioni principali
di tensione non corrispondono con le direzioni principali di deformazione come, invece,
avviene se il materiale è isotropo.
Infine, se consideriamo un cubetto infinitesimo orientato in modo tale che gli spigoli
siano paralleli alle direzioni principali di deformazione, per effetto di un cambiamento
di configurazione non nasceranno distorsioni e variazioni di forma, ma solo variazioni di
volume.

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