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Quaderno IX

Che cos’è un dispositivo

Alessandro Baccarin – Paolo Vernaglione Berardi


Archeologia del dispositivo

In un’intervista del 1977 Michel Foucault dà questa definizione del dispositivo: «Ciò che io cerco di
individuare con questo nome, è, innanzitutto, un insieme assolutamente eterogeneo che implica
discorsi, istituzioni, strutture architettoniche, decisioni regolative, leggi, misure amministrative,
enunciati scientifici, proposizioni, morali e filantropiche, in breve tanto del detto che del non-detto,
ecco gli elementi del dispositivo. Il dispositivo è la rete che si stabilisce fra questi elementi.»1.

Il dispositivo ha una natura strategica. Già il termine implica una spazialità ed una forza, un'idea di
spazio strategico all'interno del quale si esercitano una serie di forze convergenti in un obiettivo.
Questa immagine è presente nel termine latino dispositio, da cui deriva il nostro dispositivo, termine
che nel suffisso dis- (in modo analogo al suffisso greco δια-, che rinvia ad un origine indoeuropea
per entrambe i casi) implica un'azione ed una forza convergente delle forze spazialmente collocate.
Per questo la dis-posizione delle truppe in campo, già negli antichi trattati di arte della guerra,
implicava una sistemazione articolata delle unità su di uno spazio e il loro successivo impiego
concentrico, contro il nemico (l'oggetto) e per la vittoria (lo scopo).

Questa natura strategica del dispositivo è ben presente in Foucault ed Agamben, che utilizzano
questo concetto proprio per sciogliere il soggetto in un processo di soggettivazione, ogni volta
determinato dal contingente rapporto di forze che viene a stabilirsi in un ambiente dato. Proviamo
allora a leggere attraverso questa nozione strategica, quasi militare, l'operare del dispositivo nel
nostro presente, epoca che, come ha osservato Agamben, si presenta come "una gigantesca
accumulazione e proliferazione di dispositivi"2

Nella conferenza Che cos'è un dispositivo? tenuta nel gennaio 1988, Deleuze, riprendendo i temi
svolti nei corsi su Foucault degli anni 1985-19863, dice che possiamo intendere i dispositivi come
"matasse", "insiemi multilineari" di oggetti visibili, enunciati formulabili, forze in esercizio,
soggetti posizionati4. Esiste una forma generale del dispositivo che è una certa composizione
variabile di enunciazione e visibilità, enunciabile e visibile. Ma per Foucault questa composizione si
dà come impossibile: cioè in luogo di un rapporto tra enunciabile e visibile abbiamo un non-
rapporto che in prima istanza revoca qualsiasi possibilità di composizione. Ma allora ciò che
definiamo come dispositivo è una realtà inesistente, che corrisponde all'impossibilità di relazione
tra ciò che si dice e ciò che si vede. L'oggetto, e ancor più l'indagine sul dispositivo "natura umana",
sarebbero impossibili per definizione.

In realtà, come Deleuze dimostra nello svolgimento del corso, è proprio sull'impossibilità,
l'impossibile di una forma logica, che permette a Foucault di dare una certa definizione del
dispositivo. Ne L'archeologia del sapere, «l'analisi dell'archivio comporta una regione
privilegiata...che sta fuori di noi e ci delimita...; la sua soglia di esistenza è istaurata dalla frattura
che ci separa da ciò che non possiamo più dire e da ciò che cade fuori dalla nostra pratica
discorsiva; incomincia con l'esterno del nostro linguaggio...Ma ci distacca dalle nostre continuità;
dissipa quella identità temporale in cui amiamo contemplarci per scongiurare le fratture della storia;

1
"Le jeu de Michel Foucault" Dits et Écrits II, 1976-1988, pag. 299, cit. in G. Agamben, Ibid., pag. 6.

2
Vedi Giorgio Agamben, Che cos'è un dispositivo, Nottetempo, Roma 2006, p. 23.
3
Gilles Deleuze, Il sapere. Corso su Michel Foucault (1985-1986) /1, trad.it., Ombre Corte edizioni, Verona, 2014.
Alcune lezioni sono riportate in G. Deleuze, Foucault, (1986), trad.it., Edizioni Cronopio, Napoli, 2002.
4
G. Deleuze, Che cos'è un dispositivo?, trad.it., Edizioni Cronopio, Napoli, 2007, pp.11 e sgg.
spezza il filo delle teologie trascendentali; e laddove il pensiero antropologico interrogava l'essere
dell'uomo o la sua soggettività, essa fa brillare l'altro e l'esterno...Stabilisce che noi siamo
differenza, che la nostra regione è la differenza dei discorsi, la nostra storia la differenza dei tempi,
il nostro io la differenza delle maschere.»5.

Nel pensiero di Foucault il dicibile e il visibile sono eventi esterni uno all'altro, due eterogeneità,
due differenze "assolute" che non entrano in composizione secondo la forma. Il vedere e il parlare
non hanno niente in comune. Tra l'enunciabile e il visibile c'è una faglia, non c'è isomorfismo6.
"Parlare non è vedere" scrive Blanchot e, come dice Deleuze, in questa determinazione Foucault è
vicino a Blanchot, al punto da affermare che «ciò che si vede non sta mai in ciò che si dice»7.
L'enunciato non si riferisce direttamente ad un oggetto, ad uno stato di cose, ma ad un "oggetto
discorsivo", ad una realtà che vige al suo interno, per questo c'è eterogeneità tra essere linguaggio
ed essere luce8.

In secondo luogo l'enunciabile ha il primato sul visibile. Nell'Archeologia fa notare Deleuze, le


formazioni discorsive si oppongono alle formazioni non-discorsive, che designano in maniera
generica tutto ciò che non è linguaggio, comprese le visibilità. Tuttavia, ed è la sola alternativa di
rapporto tra discorsivo e non discorsivo, il discorsivo ha rapporti discorsivi con il non discorsivo.
Precisamente in questo consiste il primato dell'enunciabile sul visibile. Il linguaggio non fa vedere
nulla ma ha con il visibile rapporti discorsivi9. In terzo luogo, e questo è l'esito importante del modo
di composizione e dell'operatività di un dispostivo, «avvengono perpetuamente conquiste, prese,
strette, catture tra l'uno e l'altro. Si vede il visibile catturare l'enunciato e l'enunciato catturare il
visibile, come lottatori che si stringono.»10.

L'esempio più chiaro di questo conflitto, di questa lotta senza fine tra dicibile e visibile è nel
commento al quadro di Magritte Questo non è una pipa, in cui l'enunciato che dà il titolo al quadro
non si riferisce al dipinto ma a sè stesso: questo (cioè l'enunciato) non è una pipa, non può esserlo, è
un'altra cosa, un titolo che non rende ragione di ciò che si vede. Ma anche: la pipa raffigurata nel
dipinto non può essere enunciata, perchè non è un "oggetto linguistico". Abbiamo dunque, prosegue
Deleuze, tre prese di posizione che problematizzano il non-rapporto tra enunciabile e visibile,
parola e visione. La prima è il rapporto di esclusione reciproca di parola e luce; la seconda è il
primato dell'enunciato sul visto; la terza è la lotta tra dicibile e visibile, la presa da lottatori nel
campo agonico del non-rapporto, ove l'esclusione avviene a colpi di cattura reciproca. Nella stretta
tra lottatori del linguaggio e della visione, ciascuno "mira al bersaglio dell'altro" in un drammatico
dinamismo sulla superficie di una calma apparente.

Eterogeneità di dicibile e visibile; esclusione reciproca di enunciati e visioni; diversità di natura,


incompatibilità tra essere linguaggio ed essere luce. Come si vede ci inoltriamo in un'aporia: come è
possibile un qualche rapporto se i due elementi non hanno niente in comune, se non confliggono in
una superficie comune, se sono incompatibili; – se, con Blanchot "parlare non è vedere"?

Eppure i dispositivi esistono e sono reali, e la loro forma generale è «un impasto in cui si mescolano
il visibile e l'enunciabile.»11 Nel caso della prigione "il sistema carcerario unisce in una medesima

5
M. Foucault, L'archeologia del sapere (1969), trad. it., Rizzoli, Milano, pag. 152, cit. in G. Deleuze, Che cos'è un
dispositivo?, pag. 31.
6
Cfr., G. Deleuze, Il sapere I, pag.154.
7
M. Foucault, Le parole e le cose, cit., in G. Deleuze, Id., pag. 155.
8
Cit., G. Deleuze, Ibid., pag. 155.
9
Cfr., G. Deleuze, Ibid., pag. 157.
10
Cit., G. Deleuze, Ibid., pag. 157.
11
Cit., G. Deleuze, Foucault, trad.it., pag. 58.
configurazione dei discorsi e delle architetture", dei programmi e dei meccanismi12. Nel caso
dell'ospedale psichiatrico, si compongono un sapere medico e una forma di contenzione che
appartengono a regimi diversi. Nel caso delle istituzioni familiari, scolastiche, militari, un regime
discorsivo si dispone in un insieme complesso di rapporti di potere. Sempre una matassa, un
aggregato eterogeneo, in cui linee di forza si affrontano, si intrecciano, si inseriscono le une nelle
altre in una lotta che produce effetti reali, che genera rapporti di forza, che modella giochi
linguistici e comportamenti, dicibilità e visibilità, in contrasti senza fine. Ma il tutto avviene in un
non-rapporto. Come è possibile?

Ora, per Foucault ricettività del visibile e spontaneità del dicibile sono «elementi puri, condizioni a
priori sotto le quali, in un dato momento, tutte le idee si formulano e i comportamenti si
manifestano.»13. Ma a differenza che nella tradizione del cogito, non c'è identità dell' "io" come
condizione di possibilità delle sintesi passive e dell'intelletto; non c'è un "Io" come luogo del
pensiero, non c'è un pensiero imputabile ad un "io". Ma "c'è del linguaggio" e "ci sono delle
visibilità".

"Parlare non è vedere" scrive Blanchot e Foucault sottoscrive, ma, a differenza di Blanchot, per il
quale non c'è "viceversa", non esiste un "vedere non è parlare", e nella misura in cui Blanchot crede
nel fermo primato dell'enunciabile sul visibile, dello scritto sull'immagine, per Foucault vale il
"viceversa". Esiste un'estraneità reversibile tra parlare e vedere, tra enunciazione e visibilità, esiste
un piano di divergente connessione, una superficie del determinabile che permette una qualche
"sostituzione" dei due termini. Ma questa superficie, questa specie di omologo del determinabile
kantiano che riporta la connessione delle facoltà allo spazio-tempo, alla forma della finitudine, è
comunque una superfice di disgiunzione, in cui è mantenuta l'eterogeneità, diremmo quasi fisica e
materiale, del dicibile e del visibile.

Questa superficie, questo piano di disgiunzione connettiva è quello dei regimi di veridizione, dei
giochi di verità; è il piano agonico nella zona di conflitto tra gli elementi puri dell'enunciazione e
della visibilità.
Ma è così fino ad un certo punto. Fino a che Foucault non introduce il funzionamento effettivo dei
dispositivi in rapporto alle forme di soggettivazione, il "viceversa", la superficie connettiva o di
traduzione di enunciazione e visibilità, è molto friabile. Perchè questa dimensione mobile è
l'informe: «Il vero non si definisce nè attraverso una conformità, nè attraverso una corrispondenza
tra le due forme. Tra parlare e vedere, tra il visibile e l'enunciabile c'è disgiunzione: "ciò che si vede
non sta mai in ciò che si dice" e viceversa.»14.

A quest'altezza non abbiamo più bisogno di confronti, perchè nei modi in cui opera un dispositivo,
linguistica e gnoseologia cedono il posto ad un'altra pratica: a quella superficie d'azione in cui si
generano linee di forza. Elementi puri, linee di forza, disgiunzioni connettive. L'arte, il cinema
come funzioni di visibilità pura entrano in dispositivi di enunciazione e sono essi stessi dispositivi
di visibilità che mettono in scena la disgiunzione: Manet, Magritte, Ozu, Duras, Syberberg, gli
Straub, in cui, come in Raymond Roussell, Brisset, Wolfson, ma diversamente dalla loro letteratura,
la loro parola e le loro immagini che situate in due differenti regimi di verità, creano dispositivi di
eterogeneità, il differente concretamente operante.
In Foucault si tratta comunque di regimi di esteriorità. I saperi, i poteri, le forme di soggettivazione
sono segnate dall'esteriorità.

12
Cfr., M. Foucault, Sorvegliare e punire, cit., in G. Deleuze, Ibid., pag. 58.
13
G. Deleuze, Foucault, cit., pag. 84.
14
G. Deleuze, Ibid., pag. 90.
Questa dinamica di disseminazione produce qualcosa che eccede, alimentandola, sia la disgiunzione
che i dispositivi concreti. Produce quella che Deleuze chiama la piega. Che cos'è una piega e come
funziona? Abbiamo visto quale dinamica si compie alla superficie di disseminazione di elementi
puri, secondo vettori che possono o meno comporre un diagramma, cioè una mappa dei rapporti di
forza in cui entrano gli elementi. Ora, l'esteriorità in cui vivono gli elementi, cioè le relazioni
formate (Sapere) e i rapporti di forze (Potere)15, sono effetti di esteriorità perchè esistono in un
Fuori che è la condizione radicale e inaccessibile della presenza. Il Fuori determina l'esteriorità che
è sempre relativa ad elementi. Il Fuori eccede l'esteriorità, come il non-spazio degli spazi altri. Il
Fuori determina e raggiunge eterotopie.16 Il Fuori è la condizione di località impossibile in cui
hanno luogo le reversibilità pure che costituiscono l'esteriorità.

Ciò che ci sembra "interiore", la coscienza, l'"io", non è altro che la piega del fuori, laddove il fuori
«non è un limite fisso ma una materia mobile animata da movimenti peristaltici, da pieghe e
corrugamenti che costituiscono un dentro: non qualcosa di diverso dal fuori ma un dentro del
fuori.»17. Ecco cos'è il pensiero: «se il pensiero proviene dal fuori...(il fuori) non potrà non sorgere
dal dentro come ciò che il pensiero non pensa e non può pensare...impossibilità di pensare che
raddoppia o scava il pensiero»18.

Ancora, con Blanchot: «Rinchiudere il fuori, facendone un'interiorità d'attesa o d'eccezione»19. Il


ripiegamento, il raddoppiamento sono questa coscienza, questo pensiero, questo "io" come effetto
di esteriorità. Ma eccedendo il fuori di tanto in potenza, qualsiasi esteriorità che vi si costituisce
nella piega diviene "il profondo più profondo", il verticale più temporale, l'oblìo più memoriale.
Ecco che la coscienza per essere tale nell'esteriorità, cioè per il fatto che si costituisce come
esteriorità nella piega come effetto di raddoppiamento, è coscienza temporale, effetto di continuità e
permanenza dell'identità, – abisso di costituzione del soggetto.

Questo è il dispositivo di soggettivazione che gli antichi nominavano nel rapporto di esteriorità di
bios e zoé; che l'epoca classica ha determinato nella rappresentazione, nel raddoppiamento del
visibile nell'enunciabile, e che la modernità scava nella divergenza di parole e cose, nell'illusione
dell'intenzionalità e del cogito. Questo "dentro più profondo di ogni mondo interiore"20 è il luogo
senza luogo in cui si dà l'auto-affezione, il piegarsi su di sè del fuori della coscienza. Nelle pagine
più intense del libro di Deleuze, la piega ha una storia e la storia della piega è la storia della
coscienza, che comprende la sua illusione, la sua finzione – che una filosofia dei dispositivi rivela.
Al di là delle forme di sapere e dei rapporti di potere definiti da linee di forza ed elementi puri c'è la
dimensione piegata del fuori in cui vive ogni esteriorità e in cui esistono i saperi come "positività".

Perchè se i dispositivi di presa sulla vita, nel mutamento del potere sovrano in bio-potere, non
catturano mai interamente il soggetto che non ha identità d'essenza, ma è disperso in pratiche di
soggettivazione; se la natura dei dispositivi è la superficie di non-rapporto tra elmenti eterogenei
che permette di scivolare sotto, o fuggire via (che la linea "se ne fugga" dice Deleuze)21, – allora il
soggetto consiste nelle forme di resistenza e sottrazione, profanazione e disattivazione dei
dispositivi in cui è implicato. Esistono modi di esistenza soggettiva che "precedono" i dispositivi di
potere, nel senso che quei modi costituiscono nuclei autonomi, effetti di piega che resistono e che,
situandosi negli spazi senza luoghi del potere, possono esercitare un contropotere, praticare

15
Cfr., G. Deleuze, Foucault, pag.128.
16
Cfr., M. Foucault, Utopie Eterotopie, trad.it., Cronopio editore, Napoli, 2011.
17
Cit., G. Deleuze, Ibid., pag.128.
18
Cit., G. Deleuze, Ibid., pag.128.
19
M. Blanchot, L'entretien infini, cit., pag. 292, cit. in G. Deleuze, Ibid., pag.129.
20
Cfr., G. Deleuze, Foucault, pag.128.
21
G. Deleuze, Che cos'è un dispositivo, pag. 17.
controcondotte, creare spazi "altri". In questo punto cruciale per Foucault il "discorso" dei
dispositivi va oltre il campo di sapere in cui è collocato, e diviene la questione centrale del presente,
estesa ai rapporti tra poteri e soggettività a partire dalle pratiche di soggettivazione.

Per chiarire che cos'è un dispositivo, e come opera in rapporto alla soggettività, «...Bisognava
passare attraverso l'intreccio statico-strategico per giungere alla piega ontologica»22, cioè alla
costituzione del "sè" non come un universale, ma come una linea di forza, o un insieme di linee di
forza – che suppongono pratiche di de-soggettivazione. Scopriamo allora non solo che nelle diverse
forme storiche di esercizio del potere, che sia un potere pastorale, o sovrano o il bio-potere, si
intrecciano tipi diversi di dispositivi, disciplinari, di regolazione, di organizzazione o di controllo;
ma anche diverse forme di soggettivazione, che lasciano aperte possibilità di resistenza, perchè le
dimensioni del sapere, del potere e del "sè", in quanto storiche non fissano condizioni universali.
«Le condizioni non sono mai più generali del condizionato e valgono in base alla loro singolarità
storica.»23. La disgregazione degli universali in tutte le dimensioni dell'esistenza produce una
microfisica del potere.

Nel passaggio alla modernità emerge una nuova tecnologia di potere che si radica e si stratifica,
avendo di mira la popolazione e avendo come oggetto "la vita"; questo insieme di tecnologie che
Foucault ha chiamato di bio-potere, non sancisce più il potere di vita e di morte, ma il potere di far
vivere e di respingere nella morte. La nascita della biopolitica consiste nell'emergere di una
microfisica sociale che è singolarizzante nella misura in cui si fa carico di entità collettive, come la
popolazione in un territorio delimitato. La soggettivazione dei rapporti di potere non è determinata
in prima istanza da una struttura economica o da un potere centrale che direziona quei rapporti, ma
si esercita nella disseminazione molecolare dei dispositivi di sapere. La posta in gioco di un
conflitto, di una lotta, o, al livello minimo, di una rivendicazione, non è dunque la presa di un
potere-Leviatano che totalizza le funzioni di governo; bensì la disarticolazione di dispositivi locali e
di forme singolari di assoggettamento.

Fare l'inchiesta delle linee di forza dei dispositivi di governo, trovare i punti di rottura, le faglie, gli
interstizi di un dispositivo di potere-sapere e mettere in atto le strategie più efficaci, in "giochi di
verità" che non sono permanenti, che mutano nelle contingenze storiche. Sembra essere questo per
Foucault, e dopo Foucault, il campo di costituzione di una nuova prassi, intendendo per nuova non
la novità dei luoghi attuali della scienza, della politica o dell'estetica, bensi le forme in cui essa si
annuncia come de-soggettivazione: uno "stile di vita" che fa della resistenza e dell'esodo, della
profanazione e della disattivazione pratiche costituenti. In questa direzione operano forme
reversibili di azione che derivano dalle possibilità date dagli attuali rapporti di forza.

Agamben dimostra che i dispositivi derivano genealogicamente dall'economia della salvezza


istaurata dalla formula trinitaria. La loro funzione religiosa è stata di rinchiudere il soggetto nello
schema comando/obbedienza, in un'economia dogmatica che ha generato le tecnologie del sè
(confessione, direzione di coscienza) trasformate nella modernità in pratiche terapeutiche. I
dispositivi sono dunque macchine simboliche che, interiorizzate, producono soggezione. Agamben
propone una partizione che vede i viventi da un lato e i dispositivi dall'altro, nella cui faglia vive il
soggetto, l'homo sapiens che «attraverso i dispositivi...cerca di far girare a vuoto i comportamenti
animali che si sono separati da lui e di godere così dell'Aperto come tale, dell'ente in quanto ente»24.

Al soggetto umano è stata data facoltà di «liberare ciò che è stato catturato e separato attraverso i

22
Cit., G. Deleuze, Foucault, pag.151.
23
Cit., G. Deleuze, Ibid., pag.151.
24
Cit., G. Agamben, Ibid., pag. 26.
dispositivi per restituirlo all'uso comune»25. Il modo per disattivare la macchina antropologica del
governo di sè e degli altri consiste allora nell'innescare un controdispositivo di profanazione.
Profanare è sottrarsi ai dispositivi considerati come polarità integrali del potere che operano
soggettivazione e desoggettivazione, laddove «...le società contemporanee si presentano...come
corpi inerti attraversati da giganteschi processi di desoggettivazione cui non fa riscontro alcuna
soggettivazione reale»26.

Agamben si riferisce all'insieme di apparati digitali e di informazione, nonchè ai dispositivi


biometrici e alle tecnologie antropometriche (impronte digitali, foto segnaletiche, videocamere) che
«trasformano gli spazi pubblici delle città in interni di un'immensa prigione.»27. I mutamenti
intervenuti nelle società capitaliste dagli scorsi anni Settanta con le tecnolgie informatiche, hanno
dato vita ad una nuova forma di bio-potere che modella, regola e deregola il corpo sociale in una
trasformazione continua di corpi, identità, percezioni. Non più società, nel senso moderno del
termine, ma aggregati locali di soggetti individuati dal mercato. E quanto più ciò che residua delle
società industriali è frammentato, cioè quanto più il corpo sociale si riconosce come matassa di
individui – a cui ci si rivolge in un certo regime di personalizzazione, tanto più il governo dei
viventi risulta comprensibile e comprensivo come presa sulla vita dei singoli.

Per chiarire questa determinazione in Agamben dobbiamo riferirci ad un testo più esteso, Elogio
della profanazione28, in cui la genealogia dei rapporti tra sacro e profano lascia emergere una certa
composizione, uno spazio di neutralizzazione della macchina antropogenetica, in cui la produzione
di homo sapiens è sospesa. Agamben scrive che a partire dall'epoca romana il diritto distingue ciò
che è sacro da ciò che non lo è, ciò che è separato dalla sfera umana e appartiene agli dei, da ciò che
rimane nell'ambito profano. Ma il profano è effetto di una dinamica che consiste nel restituire
all'uso comune ciò che un tempo era sacro.

Profanare significa riportare nel mondo ciò che con il sacrificio era stato offerto agli dei. In questa
forma oggetti, atti e pensieri vivono nella negligente quotidianità umana, ove il negligere, opposto
al relegere (avere scrupolo, attenzione) della religione significa avere «un atteggiamento libero e
"distratto" – cioè sciolto dalla religio delle norme – di fronte alle cose e al loro uso, alle forme della
separazione e al loro significato. Profanare significa: aprire la possibilità di una forma speciale di
negligenza, che ignora la separazione o, piuttosto, ne fa un uso particolare.»29.

Esempio lampante e significativo di profanazione è il capovolgimento, indicato da Emile


Benveniste della sfera del sacro in cui elementi del mito e del rito entrano in una nuova
composizione. Il gioco, spezzando l'unità di mito e rito profana il sacro, cioè lo restituisce ad un uso
che non risiede più nella sfera del lavoro, della produzione e del tempo sociale, ma in quella dei
"mezzi senza fine". Il gioco dei bambini utilizza strumenti e oggetti adibiti alla produzione e alla
riproduzione in una dimensione "senza impiego", a cui è stata sottratta ogni finalità: «...così le
potenze dell'economia, del diritto e della politica, disattivate in gioco, diventano la posta di una
nuova felicità...»30.

Diremo dunque che il compito etico-politico di un pensiero all'altezza dell'odierna società dello
spettacolo, che Guy Debord ha descritto come l'avvenire presente del capitalismo industriale

25
Cit., G. Agamben, Ibid., pag. 26.
26
Cit., G. Agamben, Ibid., pag. 32.
27
Cit., G. Agamben, Ibid., pag. 34.
28
G. Agamben, Profanazioni, nottetempo edizioni, Roma, 2005, pp.83-106.
29
Cit., G. Agamben, Ibid., pag. 85.
30
Cit., G. Agamben, Ibid., pag. 87.
avanzato31, è «restituire il gioco alla sua vocazione puramente profana.»32. In una realtà in cui «tutto
viene agito, prodotto e vissuto – anche il corpo umano, anche la sessualità, anche il linguaggio –
vengono divisi da sè stessi e dislocati in una sfera separata (del consumo)...in cui ogni uso diventa
impossibile...»33, il compito della politica dovrebbe consistere nel "profanare l'Improfanabile", nel
riportare al di qua della separazione operata dalla religione del capitalismo, il corpo, la sessualità, il
linguaggio; nel sospendere la presa sulla vita che i dispositivi di spettacolo e di consumo catturano
senza tregua.

Riferendosi a Walter Benjamin34, Agamben nota che spettacolo e consumo sono le due facce di
un'unica impossibilità di usare, e porta ad esempi la museificazione degli spazi pubblici (non solo il
Museo come luogo, ma come dimensione globale della mobilità e del turismo), la funzione
fisiologica della defecazione (caricata di interdetto e senza storia), e la pornografia (il cui senso
risiede nella pura esibizione). Nella modernità segnata dalla perdita dell' "aura" e dalla presa
capitalista sui corpi e sulle anime, Benjamin osservava come, dal processo che converte uso in
consumo e merci in spettacolo delle merci, emerga una nuova forma del valore: il valore di
esibizione35. Così le merci, e in particolare le merci-spettacolo, i corpi e le funzioni-spettacolo, il
turismo-spettacolo e l'insieme delle condizioni di vita globale, sono dotate di un valore di esibizione
interposto tra uso e scambio.

Questo panorama rende pressochè impossibile qualsiasi profanazione, impedisce l'eventuale


restituzione a sè della prassi umana, e toglie con ciò qualsiasi valore alla sfera politica. L'insieme
dei dispositivi di cattura si impone in un movimento perverso: la scadenza del tempo del gioco, di
spettacolo e di consumo coincide con la violenza del tempo della produzione e del lavoro, il tempo
feriale dell'orologio, in cui il "mago malvagio" della religione del capitalismo trasforma i mezzi puri
in mezzi di produzione, e corpi e relazioni in rapporti produttivi. «I dispositivi mediatici hanno
appunto lo scopo di neutralizzare questo potere profanatorio del linguaggio come mezzo puro.»36.

Nella dimensione del controllo, la difficoltà di individuare spazi e luoghi di resistenza, di


sottrazione e di esodo dai dispositivi consiste meno nel decidere la grande rivoluzione che
nell'organizzare forme e modi dell'Ingovernabile. Profanare allora significherà «intervenire sui
processi di desoggettivazione non meno che sui dispositivi, per portare alla luce
quell'Ingovernabile, che è l'inizio e insieme il punto di fuga di ogni politica.»37.

Cosa è l'Ingovernabile? Non si tratta di soggetti organizzati, ma di un controdispositivo anonimo


che usa dispositivi informatici, conosce il cuore delle tecnologie digitali, algoritmi e procedure, e
mobilita risorse. l'Ingovernabile del dispositivo si colloca al polo opposto del dispositivo.
Che rapporto c'è tra profanazione e dispositivi? A quale opera di profanazione dell'Improfanabile ci
si potrebbe dedicare? A quali condizioni e in quale dimensione profanare?

Proviamo a dirlo nello spazio di interpretazione aperto da Deleuze. Nel Postscriptum sulle società
di controllo38 Deleuze propone una differenza tra dispositivi disciplinari e di controllo, inerente alla
differenza storica tra la modernità industriale e post-industriale. Senza entrare in valutazioni sulla
validità di questa partizione, osserviamo anzitutto che le differenze tra le società disciplinari del
31
Cfr., Guy Debord, La società dello spettacolo, trad.it., Baldini Castoldi Dalai, Milano, 2008.
32
Cit., G. Agamben, Ibid., pag. 88.
33
Cit., G. Agamben, Ibid., pag. 93.
34
Cit., G. Agamben, Ibid., pag. 94.
35
Cfr., Ibid., pag. 104.
36
G. Deleuze, Post-scriptum sur le sociétés de controle (1988 pdf), L 'autre journal, n°1, mai 1990, pag. 2 (trad. mia).
37
Cit., G. Agamben, Ibid., pag. 35.
38
G. Deleuze, Post-scriptum, cit., pag. 3
XVIII e del XIX secolo e le attuali società di controllo consistono soprattuto nella dislocazione
spaziale: ai luoghi di reclusione (ospedale, prigione, caserma, fabbrica) si sostituiscono dispositivi
"en plain air". Allo spazio-tempo "interiore" e degli "interni", si sostituisce la velocità, il tempo
reale e una logistica virtuale e flessibile.

Alla firma e al numero di matricola con cui le società analogico-disciplinari registravano gli
individui (nel censimento, nel rapporto salariale, nel diritto amministrativo) si sostituisce
l'assegnazione contingente e personale di codici d'accesso. In generale la forma che assumono le
società di controllo è quella dell'impresa, caratterizzata dalla modulazione dei salari (sulla base
della flessibilità) in stato di "perpetua metastabilità"39; dalla competitività (all'interno e all'esterno,
con salario di merito, incentivi, dissoluzione dei contratti nazionali), e dalla formazione continua,
per cui nella società «non la si finisce mai con niente, il lavoro, la formazione, i servizi che sono
stati coesistenti di una stessa modulazione, come un deformatore universale»40.

Ciò che Deleuze evidenzia è come queste trasformazioni delle società (Deleuze scrive nel 1988 –
noi siamo testimoni dell'approfondimento fino al limite della tendenza), si fondino su un particolare
regime dello scambio che ha sostituìto la moderna economia materiale; infatti «...la disciplina è
sempre riferita a monete di conio in cui era racchiuso l'oro come misura standard, mentre il
controllo rinvia a scambi fluttuanti, modulazioni che fanno intervenire come cifra una percentuale
delle differenti monete di cambio.»

L'immane processo di trapasso dalle macchine analogiche della rivoluzione industriale alle
macchine informatiche del capitalismo del nuovo millennio ha determinato la forma-impresa come
spazio di tutti gli spazi, dispositivo integrale in cui confluiscono e defluiscono istituzioni un tempo
disciplinari: «La famiglia, la scuola, l'esercito, la fabbrica non sono più luoghi analogici distinti che
convergono verso un proprietario, Stato o potenza privata, ma figure cifrate, deformabili e
trasformabili di una stessa impresa che non ha se non amministratori. Anche l'arte ha lasciato i
luoghi chiusi per entrare nei circuiti aperti della banca.»41.

Anche le frontiere territoriali, dissolte per i flussi globali di scambio e valorizzazione, sono prese in
carico dal controllo che dovrà affrontare l'esplosione delle bidonvilles e dei ghetti e flussi migratori
che ridisegnano di continuo l'assetto geopolitico del mondo. Un dispositivo generale di controllo in
forma digitale ha totalizzato l'insieme dei dispositivi disciplinari cambiandone luogo e funzione, per
operare una presa complessiva sulla vita. Questo secondo Deleuze è l' “inizio di qualcosa" che si va
instaurando al posto dei luoghi di reclusione disciplinari, e aggiunge: «...può darsi che vecchi
mezzi, improntati alle antiche società di sovranità, ritornino sulla scena, ma con gli adattamenti
necessari.».42

Possiamo infatti riconoscere al presente una composizione mista di dispositivi di sovranità,


disciplinari e di controllo; una composizione eterogenea in società attraversate dalla crisi, in cui
tuttavia non osserviamo la radicale sostituzione del controllo alle discipline; bensì, nella distanza
del non-rapporto tra enunciazione e visibilità, registriamo una molteplicità di regimi di soggezione
che non funziona come una totalitaria macchina di cattura.
Conveniamo dunque con Deleuze nell'interpretazione dei dispositivi, ma siamo in accordo con
Agamben nella definizione genealogica del concetto, la cui derivazione dall'oikonomia greca e
dall'economia della salvezza, ne chiarisce l'origine nel rilievo archeologico. Diviene comprensibile
così il movimento generale che investe le forme del potere in rapporto all'economia politica, alla

39
Cfr., G. Deleuze, Ibid.
40
Cit., G. Deleuze, Ibid.
41
Cfr., G. Deleuze, Ibid.
42
Cfr., G. Deleuze, Ibid.
vita del corpo e al linguaggio.

Se il capitalismo continua ad operare immani processi di alienazione su scala globale; se i


dispositivi di controllo producono svariate forme di bio-potere, solo ciò che è inaccessibile al
capitalismo, l'Ingovernabile, può disattivarne i dispositivi. Agamben cita esempi da questi tre
ambiti, dimostrando come le possibilità di profanazione consistono nel riottenere mezzi senza
scopo, nell'inversione dei processi di alienazione, con l'avvertenza che inversione non significa
ritorno ad una società precapitalista, ma riappropriazione delle risorse di soggettivazione. In questo
scenario profanare è produrre l'Ingovernabile.

Nella misura in cui la separazione presiede e regola l'insieme dei dispositivi di potere-sapere e
comanda la subordinazione, profanare i dispositivi significa operare in modo da restituire il separato
ad un Fuori, che è l'esteriorità della produzione, del corpo e del linguaggio. Profanare consiste
allora in quell'insieme di pratiche in cui mezzi puri sono collocati in un'esteriorità inaccessibile al
controllo come al disciplinamento. In questo senso l'inversione dell'Improfanabile nel Fuori della
produzione, realizza soggettivazioni sottratte ai dispositivi.

L'Ingovernabile sarebbe dunque il Fuori inaccessibile che restituisce gli oggetti, i corpi e il
linguaggio all'esteriorità loro propria, sospendendo la valorizzazione. La profanazione realizza
l'Ingovernabile, sottrae ciò che continua ad essere separato, ricollocando nel Fuori le esteriorità dei
valori d'uso, del corpo e del linguaggio. Potremmo allora dire che gli atti di profanazione
determinano un'altra economia, un'altra disposizione dello stato di cose e forse altre forme di
soggettività, che rimangono tuttavia all'interno del conflitto per la disposizione.

In questo scenario il Fuori rimane comunque inaccessibile, ma le pratiche in vista di un dispositivo


della differenza che restituisca l'esteriorità al dicibile del linguaggio, alle visibilità pure del corpo e
al non-rapporto con il mondo, rimangono comunque possibili. Il Fuori infatti determina le
esteriorità e l'interiorità relativa della piega come l'eterogeneo che è fuori portata.

Dispositivi di controllo

Tenteremo questa lettura attraverso due strumenti o sistemi di disposizione: nel primo caso si tratta
di un oggetto, ovvero il "registro elettronico", recentemente adottato dal sistema scolastico
nazionale, nel secondo di una procedura, ovvero l'iter giuridico, amministrativo e medico che un
transgeder deve intraprendere per poter accedere alla riassegnazione chirurgica ed anagrafica del
sesso elettivo. In entrambe i casi ci troveremo di fronte ad un insieme eterogeneo di discorsi,
oggetti, pratiche, ambienti ecc. che compongono proprio quella forza acefala che un dispositivo
produce nel formare individui, ovvero soggetti.

Partiamo allora dal "registro elettronico", il che significa parlare più in generale dell'introduzione
dei dispositivi digitali nei processi educativi e di controllo del sistema scolastico nazionale. Con la
legge 135 del 7 agosto 2012, che convertiva il Decreto Legislativo n. 95 del 6 luglio 2012 (in
particolare ai commi 27-32), la dotazione e l'utilizzo del registro elettronico sono diventati
obbligatori per tutti gli istituti scolastici italiani. In base all'autonomia organizzativa e finanziaria di
cui godono, ciascuno di questi è tenuto ad implementare per proprio conto questa strumentalità
utilizzando le proprie risorse finanziarie. In questo modo ogni scuola può dotarsi autonomamente
del registro elettronico stipulando contratti di fornitura individuali con le aziende che attualmente
producono questo tipo di software e sono attive sul mercato.

Il registro elettronico si presenta come uno strumento di registrazione, conservazione ed


elaborazione di informazioni che rendono "trasparente" la classe, con le sue attività e le sue
individualità, all'esterno, ovvero ai dirigenti scolastici, al vertice amministrativo (il ministero) e alle
famiglie degli alunni. Vedremo successivamente la centralità che assume la nozione di
"trasparenza", analogamente a quella di "trasversalità", per questo dispositivo (una centralità
condivisa da tutti i dispositivi digitali applicati al mondo del lavoro e della produzione). Lo
strumento registra quotidianamente assenze e presenze di alunni e docenti, segnala in automatico
alle famiglie (tramite sms o altro tipo di segnalazione) l'avvenuta certificazione della presenza
dell'alunno in classe, certifica inoltre la presenza dei docenti nel succedersi delle ore di lezione,
memorizza i voti conseguiti nelle varie discipline, per prove scritte o orali, consente la procedura
digitalizzata dello scrutinio finale, infine permette ai genitori di poter controllare "da casa", con un
accesso limitato al registro stesso, l'andamento scolastico dei proprio figli43

Come accade per la maggior parte dei dispositivi digitali operanti in tutti i settori del mondo del
lavoro, la finalità principale del registro elettronico, ovvero sostituire uno strumento cartaceo, il
vecchio, glorioso e magari stropicciato registro di classe, e quindi "smaterializzare" un archivio,
diventa secondaria rispetto a tutta una serie di scopi, apparentemente accessori, che informano
invece la natura panottica e produttiva del dispositivo stesso.

Così, attraverso il registro elettronico, è possibile controllare la produttività degli insegnanti, è


possibile osservare la qualità della loro attività didattica, esaminarne i contenuti, eventualmente
verificarne l'attinenza con i programmi educativi stabiliti dall'autorità centrale, osservare
l'attenzione dei genitori al rendimento dei loro figli, stabilire le capacità e le "perfomances" degli
studenti ecc. Di fatto uno strumento digitale, nella scuola come in ogni campo lavorativo, manuale
o intellettuale, diventa un "cavallo di troia" attraverso il quale poter compiere tutta una serie di
controlli, invasivi o meno, e tutti dotati di enorme capacità microfisica, ovvero capaci di entrare
nella microfisica dei comportamenti individuali, e quindi conseguire un controllo totale sull'attività
produttiva stessa e sui comportamenti degli attori coinvolti.

Esaminiamo allora quali sono le forze in campo, quale la loro dis-posizione ed il loro effetto
concentrico sull'obiettivo. In primo luogo ci troviamo di fronte ad una forza giuridica: è una legge
dello stato che istituisce il dispositivo, e con questo il suo utilizzo e la pratica di controllo a questo
legata. Da questo punto di vista non si può non registrare come i dispositivi digitali, l'emergenza dei
quali sembrerebbe scaturire da una globalizzazione economica e da una smaterializzazione della
produzione affine ad una degiuridificazione delle relazioni (fra stati, fra soggetti economici, fra
individui), si appoggiano sempre ad una forma giuridificata del potere, ed anzi sarebbero monchi
senza l'appoggio di quella. Abbiamo quindi una legge che istituisce l'utilizzo di un dispositivo, e
che quindi presuppone un soggetto di diritto al quale quel dispositivo si dovrebbe applicare (il
cittadino, sia studente che insegnante, ma anche il nucleo familiare, sancito a livello costituzionale
ecc.).

In secondo luogo abbiamo una serie di autorità a cui è demandato il controllo, l'utilizzo e la gestione
del dispositivo. Scuola, insegnanti, preside, ma anche Provveditorato agli Studi, Ministero della

43
Cfr., G. Agamben, Che cos'è un dispositivo, cit. p. 23.
Pubblica Istruzione ecc., sono agenti di un processo di utilizzo e gestione del registro informatico,
processo attraverso il quale viene ad operarsi una serie di controlli incrociati. Proviamo allora ed
individuare questa serie.

Prima di tutto l'insegnante, in quanto forza lavoro, viene monitorato dai datori di lavoro nella sua
attività lavorativa quotidiana, anzi oraria, dato che ogni insegnante è tenuto a certificare sul registro
la sua presenza oraria nella classe, a dare una descrizione della sua lezione e della sua attività
didattica. Abbiamo poi il controllo esercitato dagli insegnanti sugli studenti, dove quest'ultimi
diventano soggetti di una performance della quale è possibile stabilire l'andamento attraverso il
confronto delle valutazioni di volta in volta ottenute su prove orali o scritte. Un terzo livello di
controllo è esercitato dalla famiglia sugli alunni, e indirettamente sugli insegnanti. I genitori
controllano non solo la presenza effettiva dei loro figli in classe (l'appello verbale mattutino, quella
pratica che accorpava la scuola alla caserma nella vecchia immagine della didattica come processo
disciplinare, si è trasformato in una notifica elettronica della presenza a cui i genitori possono avere
acceso da casa), ma anche le valutazioni ottenute da questi da parte degli insegnanti. Anche
quest'ultimi tuttavia possono essere oggetto di controllo da parte del genitore, il quale può verificare
l'oggetto delle lezioni svolte in classe, le procedure di valutazione messe in atto ecc.

Questa serie di controlli incrociati, questo panottismo generalizzato, declina quello che viene spesso
decantato come il grande successo dei dispositivi digitali: la trasparenza. Termine piuttosto
pregnante, che sembrerebbe destituire il potere da quegli arcana imperii che da sempre fanno
translare un potere dalla legittimità alla totalitarietà. La trasparenza però implica una cattura dei
comportamenti e una cattura del soggetto etico. La possibilità di totale controllo dell'altro comporta,
come accadeva nel progetto del Panopticon di Bentham, l'induzione del comportamento nel
controllato: come osservava Foucault, può essere il direttore del carcere, il carceriere, o il semplice
servo del carceriere a poter esercitare il potere di controllo nel Panopticon, dove la consapevolezza
di poter essere sempre osservati induce ogni carcerato a comportarsi come il potere carcerario
vuole.

In questo caso la trasparenza non è equivalente in tutte le parti. Nel registro digitale i ragazzi
possono essere "osservati", ma difficilmente possono ricambiare questa capacità di sguardo. Lo
stesso si può dire degli insegnanti, che vengono "osservati" dai loro datori di lavoro, ma anche dai
genitori dei loro alunni. Tuttavia gli stessi genitori, che apparentemente sembrano essere immuni
dal potere panottico esercitato dal registro, si trovano a subire un potere di sguardo e di controllo: la
loro attività sul registro digitale, i loro accessi, sono controllati e memorizzati, sicché è possibile
dedurre, in base ai loro comportamenti in rete, qual'è il loro comportamento nei confronti dei figli,
quale il grado di attenzione prestata alla vita scolastica dei loro figli. Com'è evidente, ciò che
sembra a prima vista uno strumento di trasparenza, di deligittimazione rispetto ad un potere ed
autorità ritenute inaffidabili (l'insegnante, la scuola ecc.), nasconde la dislocazione dei rapporti di
potere, che investono proprio quei soggetti a cui la trasparenza apparentemente sembra un
vantaggio.

Come possiamo vedere il registro digitale diventa un dispositivo che istituisce una sorta di
microfisica del potere. Ogni gesto, ogni pensiero, ogni comportamento viene registrato, e la
possibilità che attori diversi abbiano pieno accesso a questa serie discontinua e disomogenea di
comportamenti crea una assuefazione e una necessità di obbedienza che elide ogni possibilità di
critica, di "illegalismo", di disubbidienza, di attivazione di un pensiero critico. La trasparenza
coniuga quindi la trasversalità: non più una gerarchia che passa dall'insegnante all'alluno, e
indirettamente al genitore, ma una apparente degerarchizzazione delle relazioni. Tuttavia la
trasparenza e la trasversalità sono i risultati di un dislocamento del controllo e delle relazioni di
potere da questo istituito. Il potere, attraverso il dispositivo digitale, si fa ubiquo, si fa liquido.
Per come viene ad inserirsi nella scuola, nel mondo del lavoro educativo e nella famiglia, il registro
elettronico si viene a definire come un dispositivo che attiva un'azione di forza centripeta, da vari
punti di partenza, su un oggetto singolare, che è lo studente. Il processo di soggettivazione messo in
atto dal registro elettronico è quindi quello di un soggetto obbediente, e obbediente non solo perché
controllato e controllabile, ma soprattutto perché capace di pensarsi come imprenditore del suo
futuro, della sua capacità di obbedienza e di performance.

Dopotutto, se pensiamo che il registro elettronico conserva i dati delle prestazioni dei singoli
studenti, così come dei singoli insegnanti, questa memoria può essere utilizzata da imprese o enti di
valutazione non solo nella selezione degli studenti, ma anche per quella degli insegnanti. D'altronde
il registro elettronico è un dispositivo algido: non registra il processo formativo nel suo insieme,
quel complesso di attività linguistiche, di pensiero e di pratiche che una didattica compone,
processo difficilmente condensabile nell'arido elenco di dati numerici che un dispositivo digitale
quantitativo è capace di elaborare. Tutta quella parte, che è la parte principale, estranea alla
valutazione, di cui è composta la didattica è totalmente ignorata dal registro elettronico. E la ignora
perché, ai fini "politici", il registro elettronico ha tutt'altro scopo che dematerializzare il vecchio
registro cartaceo.

Il registro elettronico, per tutte questa serie di implicazioni, è uno instrumentum regni, uno
strumento per una nuova arte di governo. In primo luogo è un'arte di governo della famiglia,
consentendo una penetrazione microfisica nel nucleo famigliare stesso. Il controllo esercitato,
attraverso il dispositivo digitale, dai genitori sulle performances scolastiche dei figli assolve
apparentemente il compito di facilitare il processo educativo. Al contrario, presuppone un
investimento genitoriale che individua nel figlio una "risorsa rara" , in termini neoliberali, ed un
3

soggetto, lo studente, che si colloca sul mercato delle competenze in quanto capitale umano da
formare e mettere a valore attraverso una serie di processi valutativi continui. E' lo strumento di
ginnastica dell'obbedienza all'etica dell'efficienza, che impone al soggetto una continua lotta per
mantenere le proprie performance all'altezza di ciò che gli viene richiesto. La penetrazione
microfisica quindi avviene nel corpo stesso della famiglia, nella relazione fra genitori-figli.

Inoltre il dispositivo "registro elettronico" mette in campo la triade valoriale fondamentale di questa
arte di governo: merito, valutazione, competitività. Il primo implica che è solo il proprio impegno, a
prescindere dalle condizioni macrofisiche del suo sviluppo, a poter produrre il successo competitivo
del soggetto. La valutazione implica la totale subordinazione allo strumento veridizionale della
prova d'esame, della continua verifica di sé e degli altri. La terza implica il principio economico
della rarità: la competizione fra risorse rare, fra individui, avviene in un terreno fagocitato
dall'economico.

Un'arte di governo panottico, che allo stesso tempo si pone come strumento veridizionale super
partes. La trasparenza che consente di osservare al genitore il comportamento del figlio o
dell'insegnante, e al preside il lavoro di quest'ultimo attraverso i risultati raggiunti dai suoi alunni, è
la stessa trasparenza che immagina un potere trasparente nello streaming delle sedute del governo o
del parlamento. Quasi che gli arcana imperii si dissolvessero per via della trasparenza dei suoi
discorsi. Al contrario è il dispositivo stesso a diventare un raccordo di potere: potere esercitato dalle
autorità sugli insegnanti, potere esercitato dai genitori sui figli, potere esercitato dai genitori sugli
insegnanti ecc., e di rimando potere di controllo esercitato dal governo di sè su tutti questi soggetti.

Il registro elettronico, per la sua apparente neutralità, per essere un dispositivo di trasparenza, si
pone apparentemente come uno strumento di democratizzazione, di depotenziamento del potere,
quando declina invece un potenziamento delle relazioni di potere, delle potenzialità di controllo,
sottraendo al campo della verità proprio la verità neoliberale dell'imprenditore di sé: l'insegnante,
che si fa imprenditore della formazione, sempre sottoposto a verifica (vedi le valutazioni
INVALSI), lo studente, che si fa imprenditore di sé attraverso la veridizione della valutazione
continua, il genitore, che si fa imprenditore di sé attraverso la valorizzazione della "risorsa rara"
incarnata dai figli44.

Il registro elettronico è un dispositivo neoliberale, e attua quindi un'arte di governo neoliberale.


Intensifica le istanze di controllo reticolari, potenzia l'etica dell'imprenditore di sè, si appoggia sulle
verità del merito e della valutazione, definisce una microfisica del potere che si inserisce negli
interstizi della vita familiare, azzera qualsiasi possibilità di esercizio di una critica, rende
impossibile qualsiasi pensiero critico. Come potrebbe d'altronde registrare, ad esempio, una critica
che impone l'interruzione della didattica, o lo stravolgimento della stessa, se non come una
mancanza, una cesura nella completezza dei dati, una frattura della valutazione quantitativa, e
quindi una menomazione del "processo formativo" stesso?

Passiamo ora al transgender ed al suo processo metamorfico. In questo caso ci troviamo di fronte ad
un dispositivo massiccio, intrusivo e caratteristico della modernità: il dispositivo di sessualità.
L'emergenza di questo dispositivo era stata indagata da Michel Foucault ne La volontà di sapere. In
questo breve e folgorante lavoro, il filosofo francese aveva individuato proprio in questo dispositivo
il crocevia di una nuova arte e di un nuovo oggetto di governo: attraverso la sessualità, attraverso la
nascita di un soggetto dotato di sessualità, prendeva avvio da una parte la biopolitica e il governo
dei viventi propri delle società moderne e industriali, e dall’altra emergeva la popolazione, quale
oggetto di governo proprio della biopolitica.

Nella lettura foucaultiana il dispositivo di sessualità, quindi la creazione di un meccanismo di


sapere/potere capace di nominare e attribuire un sesso da una persona, nonché la capacità della
persona stessa di rendersi soggetto di un'esperienza della sessualità, ovvero di riconoscersi
appartenente ad una identità sessuale (omo o eterosessuale ecc.), veniva ad articolarsi su una serie
di vettori che, nel loro agire sinergico, componevano la classica azione centripeta del dispositivo
sull'individuo. Avevamo così l'azione di un sapere medico e psichiatrico, di tipo sessuologico, un
sapere didattico, ovvero la scuola, un sapere quantitativo, la statistica e tutte le altre scienze relative
al governo delle popolazioni, un'azione disciplinare, condotta negli ospedali psichiatrici, nelle
fabbriche, nelle scuole ecc.

Una identità sessuale veniva a costituirsi come il risultato di un dispositivo che solo apparentemente
si proponeva come azione di contenimento e divieto sulla presunta libertà originaria dell'individuo.
Al contrario il dispositivo di sessualità creava una identità sessuale, una sessualità ed una verità sul
sesso solo in un'azione convergente, e casuale, con tutta un'altra serie di procedure di potere in seno
alla società biopolitica, una convergenza strategica fra più attori (la borghesia, il capitale, la classe
operaia, la popolazione inurbata ecc.), creando al termine della sua operazione di soggettivazione
un individuo sessuato, e dotato di sesso in quanto oggetto di un'arte di governo totalmente nuova (il
biopotere).

Rispetto al quadro tracciato da Foucault, le esperienze attuali dei transgender rilanciano il


dispositivo di sessualità in una forma produttiva che è capace di formare nuovi processi di

44
Vedi la definizione del soggetto neoliberale della Scuola di Chicago ripresa e analizzata da Michel Foucault (Nascita
della biopolitica. Corso al Collège de France (1978-1979), trad. it. Mauro Bertani e Valeria Zini, Feltrinelli, Milano
2007, p. 184).
desoggettivazione, attivando al contempo nuovi livelli di controllo di soggettivazione da parte del
dispositivo stesso.

E' necessario chiarire, in via quasi preventiva, che il transgender è un individuo letteralmente creato
dal sapere psichiatrico e sessuologico. E' stato lo psichiatra David Couldwell a coniare nel 1953 il
termine nosologico di psycopathia transexualis, ed è stato il sessuologo Henry Benjamin a lo
psichiatra Norman Fisk a parlare di Gender Dysphoria Sindrome negli anni Settanta del secolo
scorso. Il transessualismo o transgenderismo è diventato così un comportamento patologico,
annoverato ancora oggi nel Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders dell'OMS45. Ed
è sempre in virtù a questo sapere medico che oggi si distingue fra MtF, ovvero transgender che
desidera transitare dal sesso maschile a quello femminile, e FtM, ovvero individuo che sente la
necessità di transitare dal sesso femminile a quello maschile.

Stiamo quindi parlando di persone che sentono la necessità di cambiare la loro identità di genere e/o
sessuale, e giungono ad esprimere apertamente questa necessità a partire da esperienze individuali
difficili, dove il disagio rispetto ad un genere ed a un sesso esperito come improprio si esprime in
una serie complessa di sofferenze, condizionamenti, vessazioni, condotte dalla famiglia, dal mondo
del lavoro, dalle affettività amicali, dalla società ecc.

Come possiamo osservare la stessa possibilità che viene fornita ad un individuo di pensarsi dotato
di un sesso e di potersi pensare come soggetto in transizione da un'identità sessuale all'altra è parte
di quel dispositivo di sessualità che, ben lungi dal proibire e censurare il discorso sul sesso, lo
prolunga, lo rende produttivo, ne espande i campi di cattura. Di fatto oggi sono proprio gli psicologi
c gli psichiatri a farsi garanti della possibilità per queste persone di percorrere questi processi
trasformativi. Percorsi che spesso non conducono ad una riassegnazione definitiva del sesso, ovvero
ad una riassegnazione chirurgica, e che al contrario possono portare ad una metamorfosi fisica
graduale, più o meno invasiva, e tuttavia sempre finalizzata all'acquisizione del genere o del sesso
che si percepisce come proprio, che si elegge come scelta individuale.

In quasi tutti i paesi occidentali è oggi possibile, per queste persone, percorrere questi processi
metamorfici in modo assistito. Questi percorsi trasformativi, queste singolari esperienze, vengono
ad illuminare il meccanismo, il funzionamento del dispositivo di sessualità che opera sui loro corpi
e sulle loro individualità, producendo individui nuovi.

Vediamo quindi quali sono le componenti di questo dispositivo che viene ad operare su e attraverso
la figura del transgender/transessuale. Troviamo ad operare in prima istanza, come nel caso del
registro digitale per le scuole, il potere giuridico: è una legge che stabilisce i modi e le possibilità
che un transgender ha per poter ottenere la riassegnazione chirurgica del sesso e quella anagrafica
del genere. In Italia, in particolare, la legge 164 del 1982, con le varie modifiche successive, regola
i cambiamenti di sesso e di genere dei cittadini italiani. Di nuovo abbiamo un potere giuridico che
identifica un soggetto di diritto.

A partire da questa articolazione giuridificata abbiamo l'azione concentrica, dispositiva appunto, di


una serie di poteri/saperi. In primo luogo il sapere psichiatrico. La persona transgender deve
praticamente farsi riconoscere "malata" dallo psichiatra, ovvero farsi diagnosticare la Gender
Dysphoria Sindrome, per poter così iniziare l'iter trasformativo ed eventualmente accedere ai servizi

45
Su questa serie di temi mi permetto di rinviare al mio Il sottile discrimine. I corpi tra dominio e tecnica del sé, Ombre
Corte, Verona 2014.
e alle prestazioni sanitarie che la legge mette a disposizione di coloro che intraprendono un simile
processo metamorfico.

Anche in questo caso abbiamo una posizione produttiva della scienza: lo psichiatra, ben lungi dal
proibire, come accadeva per i trattamenti di elettroschok forzato con cui si credeva di "curare"
l'omosessualità fino agli anni Sessanta, si presta a farsi garante, con il suo sapere e con il potere che
l'ordinamento giudiziario ha conferito a questo sapere, della libertà del soggetto transgender. E’
infatti la perizia dello psichiatra che consente l’innesco, davanti al giudice e all’autorità
amministrativa, dell’intera procedura.

Abbiamo poi la necessità di un soggetto confessante. Nelle procedure è previsto che il transgender
produca una serie di discorsi sul sé in sedute obbligatorie presso lo psichiatra, sedute durante il
quale deve dimostrare la sua profonda necessità di trasformazione, rilevare l'azione di coercizione
subita a causa di questa discrasia fra genere percepito e genere effettivamente incarnato. In alcuni
casi sono contemplate anche le testimonianze di familiari ed amici, tese a certificare l'esistenza del
profondo malessere psichico del soggetto transgender in virtù di questo mancato allineamento fra
genere elettivo e genere anagrafico. Ci troviamo così di fronte a due figure antiche, di lunga
tradizione, del potere pastorale: la confessione e la testimonianza di sé. In sostanza il racconto del
sé che il transgender deve produrre è finalizzato alla produzione di una veridizione: la verità sul sé,
la verità sul suo vero essere, e il legame fra questo vero soggetto e il "vero" sesso o il “vero” genere
che lo separa da questa verità. In termini foucualtiani ci troviamo di fronte ad una aleturgia: un
rituale di produzione del vero.

Questa produzione di un soggetto "nosologico" si accompagna spesso ad un periodo di verifica,


monitorato da sessuologi e psichiatri, periodo durante il quale il transgender si impegna a vivere
con il genere e sesso elettivo. In Italia questo processo di RTL (Real Life Test) è obbligatorio per
poter accedere alla riassegnazione chirurgica del sesso. Quest'ultima infine vede all'opera tutta una
serie complessa di saperi medici: l'endocrinologia, la sessuologia, la chirurgia plastica, l'andrologia,
la ginecologia, la chirurgia estetica ecc. Saperi che consentono alla persona transgender di
transitare, in modo definitivo o meno, nel sesso percepito come proprio, e di transitarci secondo un
modello estetico dominante nel sociale.

Una volta ottenuta la riassegnazione chirurgica del sesso, che in molti ordinamenti è obbligatoria
per poter ottenere quella anagrafica, il dispositivo si chiude in una struttura ad anello. E' la
giuridificazione del soggetto infatti a sanzionare il passaggio da un sesso all'altro: con una sentenza
di un giudice civile la persona transgender vede riconosciuto il sesso elettivo e ne può richiedere la
trascrizione anagrafica.

Come abbiamo potuto osservare, al termine di questo processo, che può svolgersi anche nel corso di
diversi anni, il dispositivo di sessualità agisce in modo produttivo, attivando tutta una serie di prese
sull'individuo, tutta una serie di poteri e di saperi, convergenti verso un processo di soggettivazione,
ovvero verso un soggetto dotato di un'identità sessuale. La dislocazione che, con la sua stessa
corporeità, con la sua stessa esperienza, il transgender compie del dispositivo sessuale viene
recuperata e catturata in una produzione di nuova soggettività.

Naturalmente non possiamo non convenire che le aspirazioni legittime delle persone transgender,
che proprio grazie a questo processo e a questo dispositivo, vengono soddisfatte, sottraendole di
fatto dal circuito di violenza e di repressione, fisica e psichica, a cui spesso le società attuali le
sottopongono. Tuttavia non possiamo non rilevare come il dispositivo di sessualità sia capace di
riassorbire esperienze tendenzialmente anarchiche, come quella del transessualismo e del
transgenderismo, in forma produttiva, rilanciando ogni volta la soggettivazione dell'identità
sessuale.

Di fatto, per quella sorta di sdoganamento che il soggetto gay e transgender ha vissuto recentemente
nelle società occidentali, il processo metamorfico del transgenderismo diventa plausibile, o dotato
di "verità", perché sostanzialmente compatibile con quella forma di investimento sul sé, sul sé
corporeo, che oggi l'etica neoliberale propone e rilancia. Anche in questo caso, come in quello del
registro elettronico, la produzione di eticità neoliberale è presente in una "convergenza strategica"
con i dispositivi biopolitici del presente, digitali, medicali, psichiatrici ecc.

D’altra parte per quanto i regimi di bio-potere tentino senza tregua la cattura integrale della vita, per
tanto ingaggiano un conflitto più o meno palese, più o meno esteso, più o meno intenso con pratiche
di soggettivazione, dispositivi di altri poteri, ed elementi spuri di assoggettamento in capo a
sopravvivenze di antiche sovranità.

Atti di profanazione locali e singolari, contingenti e dislocati restituiscono all'uso comune oggetti,
corpi e linguaggio non nella loro interezza e nel loro valore d'uso, bensì in un "nuovo" uso
all'interno di un altro gioco, di un altro dispositivo. Se dunque alla cattura della vita corrispondono
restituzioni parziali tramite atti di profanazione, l'Ingovernabile non è nè lo stato di cose
rivoluzionario, nè l'insieme delle pratiche di sottrazione, bensì l'evento singolare che consiste nella
dismissione dell'esistenza come tale.

Bibliografia

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M. Foucault. Nascita della biopolitica. Corso al Collège de France (1978-1979), trad. it. Mauro
Bertani e Valeria Zini, Feltrinelli, Milano 2007

M. Foucault, Utopie Eterotopie, trad.it., Cronopio editore, Napoli, 2011

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