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LIM
€ 50,00 Libreria Musicale Italiana ms. Med. Pal. 87 (“Codice Squarcialupi”), c. 175v.
Istituto Abruzzese di Storia Musicale
Referenze fotografiche:
Copertina: Lim Editrice, Lucca.
Tavole a colori: 1, 2 Public Record Office, London; 3: Archivio Generale degli Ago-
stiniani, Roma (per gentile concessione); 4, 4a: Fondazione Giorgio Cini, Venezia; 5: Archi-
vio di Stato di Roma (su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali); 6,
6a: The J. Paul Getty Museum, Los Angeles; 7, 8, 10, 11, 12: Lim Editrice, Lucca; 9: Isti-
tuto Abruzzese di Storia Musicale, L’Aquila; 13: Dr. Michael Scott Cuthbert, Cam-
bridge MA; 14: Prof. Francesco Facchin, Padova.
Illustrazioni in bianco e nero a piena pagina nel testo: pp. 112-3:Bodleian
Library, University of Oxford (per gentile concessione); pp. 114-5, 124-5, 128-9, 132-3:
Museo “Castello del Buonconsiglio” di Trento, Provincia Autonoma di Trento (per gen-
tile concessione); pp. 116-7,130-1: Seminario Maggiore di Aosta (per gentile concessione);
pp. 118-21, 126-7: Civico Museo Bibliografico di Bologna (per gentile concessione); pp.
122-3: Cambrai, Médiathèque Municipale (per gentile concessione); p. 167: Lim Editrice,
Lucca; pp. 389-90: Archivio di Stato di Macerata (su concessione del Ministero per i
Beni e le Attività Culturali).
a cura di
Francesco Zimei
Introduzione IX
Bibliografia XV
AGOSTINO ZIINO
«Magister Antonius dictus Zacharias de Teramo»: 1950-2000 3
RAFFAELE COLAPIETRA
Teramo negli anni di Zacara 27
DAVID FALLOWS
Zacara’s voice ranges 55
JAN HERLINGER
Nicolaus de Capua, Antonio Zacara da Teramo, and musica ficta 67
MARGARET BENT
Divisi and a versi in early fifteenth-century mass movements 91
MARCO GOZZI
Zacara nel Codex Mancini: considerazioni sulla notazione
e nuove attribuzioni 135
LUCIA MARCHI
La recezione fiorentina di Zacara da Teramo e il codice Squarcialupi 169
SOMMARIO
ANNE HALLMARK
Rhetoric and Reference in Je suy navvrés tan fort 213
FRANCESCO ZIMEI
Variazioni sul tema della Fortuna 229
GIANLUCA D’AGOSTINO
Le ballate di Zacara 247
THOMAS SCHMIDT-BESTE
Aer ytalicus - aer gallicus?
Text setting and musical rhythm in sacred compositions
of Antonio Zacara da Teramo and his contemporaries 279
PEDRO MEMELSDORFF
‘Vilage’: fortuna e filiazione di un Credo di Zacara 301
FRANCESCO FACCHIN
Stili vaganti! 359
PAOLO PERETTI
«Antonius de Eugubio»: un altro nome per Zacara? 383
FRANCESCO ZIMEI
Catalogo delle opere di Zacara 391
GIANLUCA TARQUINIO
Discografia di Antonio Zacara da Teramo 421
VII
Introduzione
alle radici di un equivoco onomastico curiosamente nato, forse per volontà dello
stesso titolare, attraverso la latinizzazione – per ragioni di prestigio – dell’ormai
abusato soprannome.
Attraverso questi brevi cenni si spera di aver suscitato, in chi legge, un’istin-
tiva curiosità nei confronti del personaggio. Addentrandosi nelle pagine che
seguono si avrà poi modo di coglierne appieno la complessa vicenda umana e la
straordinaria esperienza artistica, inquadrate al cospetto della Storia in un conte-
sto politico e culturale suggestivo come quello del Grande Scisma (1370-1417).
Con ciò il proposito iniziale non solo può dirsi pienamente conseguito, ma
vieppiù onorato da un sensibile aumento delle conoscenze su Antonio Zacara
da Teramo grazie alle sapienti e appassionate ricerche degli studiosi che hanno
contribuito a questo volume, ai quali si deve la più profonda e affettuosa
gratitudine.
Si coglie inoltre l’occasione per ringraziare, per l’insostituibile supporto scien-
tifico, Agostino Ziino, che già nel nome di Zacara tenne a battesimo – sempre a
Teramo – le attività dell’Istituto in un’apposita Giornata di studi il 10 dicembre
1997 e tuttora, con paterna cura, gratifica chi scrive della sua grande esperienza e
dei suoi premurosi consigli, John Nádas, che fin dalle fasi preparatorie ha soste-
nuto questo lavoro con generosa disponibilità ed entusiasmo, Margaret Bent per il
costante e gentile ausilio nella ricerca bibliografica e David Fallows, per i provvidi
suggerimenti e la pronta adesione all’intento commemorativo del volume, dedi-
cato a Kurt von Fischer. Per la cortese collaborazione o l’autorizzazione all’uso
delle immagini si ringrazia la Dr. Julia Craig-McFeely e il progetto DIAMM
(Digital Image Archive of Medieval Music), Don Franco Lovignana e il Semina-
rio Maggiore di Aosta, la dott. Jenny Servino e il Civico Museo Bibliografico
Musicale di Bologna, Mme Annie Fournier e la Médiathèque Municipale di
Cambrai, la Bodleian Library, University of Oxford (ms. Canon. Misc. 213, cc.
104v-105r), il Museo “Castello del Buonconsiglio” di Trento (Monumenti e col-
lezioni provinciali, ms. 1374, cc. 88v-89r, 152v-153r, ms. 1379, cc. 4v-5r, 74v-75r), il
dott. Pasquale Chistè, la dott. Maria Cristina Bettini e la Provincia Autonoma di
Trento. Un sentito grazie, infine, agli ottimi amici e interpreti dell’Ensemble
Micrologus, che al progetto hanno conferito una mirabile dimensione artistica –
destinata poi alla discografia – e, dulcis in fundo, alla collega Carla Ortolani, con la
quale chi scrive si onora di condividere, in seno allo IASM, il pesante ma talvolta
grato fardello dell’organizzazione e della ricerca di fondi.
X
Principali manoscritti citati
XII
PRINCIPALI MANOSCRITTI CITATI
XIII
Bibliografia
I. Repertori e dizionari
CCMS Census-Catalogue of Manuscript Sources of Polyphonic Music, 1400-1550, 4 vols.,
American Institute of Musicology, Hänssler-Verlag, Neuhausen – Stuttgart
1979-1988 (Renaissance Manuscript Studies 1).
2
GROVE The New Grove Dictionary of Music and Musicians. Second Edition, ed. Stanley Sadie,
29 vols., Macmillan, London 2001.
2
MGG Die Musik in Geschichte und Gegenwart, Zweite, neubearbeitete Ausgabe, hrsg.
Ludwig Finscher, 27 Bände, Bärenreiter, Kassel 1994-(in corso).
MMDB John A. Stinson, Medieval Music Database, <lib.latrobe.edu.au/MMDB/>, La
Trobe University, Melbourne.
RISM B IV, 3-4 Répertoire International des Sources Musicales, B IV, 3-4: Handschriften mit meherstim-
migen Musik des 14., 15. und 16. Jahrhunderts, hrsg. Kurt von Fischer – Max Lütolf,
2 Bände, Henle, München 1972.
RISM B IV, 5 Répertoire International des Sources Musicales, B IV, 5: Manuscrits de musique polypho-
e e
nique, XV et XVI siècles, éd. Nanie Bridgman, Henle, München 1991.
XVI
BIBLIOGRAFIA
CARBONI 2003 Simone de’ Prodenzani, Rime, a c. di Fabio Carboni, 2 voll., Vecchiarelli
Editore, Roma 2003.
CORSI 1969 Giuseppe Corsi, Rimatori del Trecento, UTET, Torino 1969.
CORSI 1970 Giuseppe Corsi, Poesie musicali del Trecento, Commissione per i testi di
lingua, Bologna 1970 (Collezione di opere inedite e rare 131).
DEBENEDETTI 1913 Il “Sollazzo” e il “Saporetto” con altre rime di Simone Prudenzani d’Orvieto, a
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Supplemento n. 15, Loescher, Torino 1913.
XVII
BIBLIOGRAFIA
XVIII
BIBLIOGRAFIA
XIX
BIBLIOGRAFIA
XX
BIBLIOGRAFIA
XXI
BIBLIOGRAFIA
NÁDAS 1992 John Nádas, Il codice Squarcialupi: una ‘edizione’ della mu-
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NÁDAS – DI BACCO 1994 John Nádas– Giuliano Di Bacco, Verso uno stile interna-
zionale della musica nelle cappelle papali e cardinalizie du-
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conia da Liège, in Collectanea I. Drei Studien von Giuliano
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NÁDAS – DI BACCO 1998 John Nádas– Giuliano Di Bacco, The papal chapels and
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XXII
BIBLIOGRAFIA
XXIII
BIBLIOGRAFIA
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terari”).
PIRROTTA – LI GOTTI 1951 Nino Pirrotta – Ettore Li Gotti, Il Codice di Lucca, «Mu-
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REANEY 1980 Gilbert Reaney, Zacar [Zacharias, Zachara, Zacherie], in
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STAEHELIN 1998 Martin Staehelin, Reste einer oberitalienischen Messen-
handschrift des frühen 15. Jahrhunderts, «Studi Musicali»,
XXVII/1 1998, pp. 7-18.
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Cambridge University Press, Cambridge 1993.
TAVANI 1992 Giuseppe Tavani, I testi poetici, in SQUARCIALUPI, II, pp.
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VAN DEN BORREN 1924 Charles van den Borren, Le manuscrit musical M. 222 C.
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1870, et reconstitué d’après une copie d’Edmond de Cousse-
maker, Imprimerie E. Secelle, Anvers 1924 [ma 1928].
VAN DEN BORREN 1962 Charles van den Borren, L’Enigme des “Credo de Villa-
ge”, in Hans Albrecht in Memoriam, Gedenkschrift mit Be-
iträgen von Freunden und Schülern, hrsg. Wilfried Bren-
necke – Hans Haase, Bärenreiter, Kassel 1962, pp.
48-54.
VON FISCHER 1956 Kurt von Fischer, Studien zur italienischen Musik des Tre-
cento und frühen Quattrocento: I. Das Repertoire: II. Reper-
toire-Untersuchungen, Paul Haupt, Bern 1956.
VON FISCHER 1957 Kurt von Fischer, Kontrafakturen und Parodien italieni-
scher Werke des Trecento und frühen Quattrocento, «Annales
Musicologiques», V 1957, pp. 43-59.
VON FISCHER 1964 Kurt von Fischer, Neue Quellen zur Musik des 13., 14.
und 15. Jahrhunderts, «Acta Musicologica», XXXVI/2-3
1964, pp. 79-97.
VON FISCHER 1987 Kurt von Fischer, Bemerkungen zur Überlieferung und zum
Stil der geistlichen Werke des Antonius dictus Zacharias de
Teramo, «Musica Disciplina», XLI 1987, pp. 161-82.
VON FISCHER 1992 Kurt von Fischer, Le biografie, in SQUARCIALUPI, II, pp.
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WILLIAMS 1983 Carol J. Williams, The Mancini Codex: A Manuscript
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XXV
BIBLIOGRAFIA
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rhunderts, «Sammelbände der Internationale Musikge-
sellschaft», III 1902, pp. 599-646.
WOLF 1904 Johannes Wolf, Geschichte der Mensural-Notation von
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3 Bände, Breitkopf & Härtel, Leipzig 1904 [reprint G.
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ZIINO 1973 Agostino Ziino, Nuove fonti di polifonia italiana dell’Ars
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un’appendice di Giuseppe Donato).
ZIINO 1979 Agostino Ziino, «Magister Antonius dictus Zacharias de
Teramo»: alcune date e molte ipotesi, «Rivista Italiana di
Musicologia», XIV/2 1979, pp. 311-48.
ZIINO 1984 Agostino Ziino, Ripetizioni di sillabe e parole nella musica
profana italiana del Trecento e del primo Quattrocento: pro-
poste di classificazione e prime riflessioni, in Musik und Text
in der Mehrstimmigkeit des 14. und 15. Jahrhunderts, hrsg.
Ursula Günther – Ludwig Finscher, Bärenreiter, Kassel
1984 (Göttinger musikwissenschaftliche Arbeiten 10),
pp. 93-119.
ZIINO 1995 Agostino Ziino, Rime per musica e danza, in Storia della
letteratura italiana, a c. di Enrico Malato, vol. II (“Il Tre-
cento”), Salerno Editrice, Roma 1995, pp. 455-.529.
ZIINO 2002 Agostino Ziino, Ancora su «Magister Antonius dictus Za-
charias de Teramo» e l’Ospedale di Santo Spirito in Saxia.
Qualche ipotesi in più, in Atti del Congresso Internazionale
“L’Antico Ospedale di Santo Spirito. Dall’istituzione papale
alla Sanità nel Terzo Millennio”, «Il Veltro», XLVI/1-4
2002, pp. 545-50.
XXVI
Antonio Zacara da Teramo
e il suo tempo
Francesco Zimei
*. Questo saggio, non previsto nel piano editoriale del volume (cui va ad aggiungersi in extremis durante
l’ultimo giro di bozze), raccoglie una serie di riflessioni maturate in sede di curatela e destinate inizial-
mente all’Introduzione. Poi, come spesso accade, quelli che dovevano essere dei semplici spunti d’inda-
gine sono confluiti, strada facendo, in un discorso senza dubbio più ampio e organico, ma meno adatto a
un indirizzo proemiale. Quanto in tal sede si propone non è sfuggito, tuttavia, alla morsa dell’urgenza, e
nella consapevolezza che una diversa disponibilità di tempo avrebbe potuto sortire risultati migliori si
rimandano ulteriori approfondimenti a un’eventuale prossima occasione.
1. Tra le innumerevoli testimonianze dell’età di mezzo basti citare, nell’ordine in cui si affacciano alla me-
moria, il De remediis ustriusque Fortunae di Francesco Petrarca, Le Livre de mutacion de Fortune di Christine
de Pisan, l’Elegia di Madonna Fiammetta del Boccaccio, Les fortunes et adversitéz di Jean Régnier, il De di-
versitate Fortunae di Arrigo da Settimello, il VII canto dell’Inferno dantesco – dove tuttavia, più coerente-
mente, la Fortuna è presentata come esecutrice della volontà divina – e la Ballade au nom de la Fortune di
François Villon. Sul versante musicale il pensiero corre invece a Le Remède de Fortune di Guillaume de
Machaut e ad alcuni titoli dell’ars nova italiana, come ad esempio le ballate Fortuna ria, Amor e crudel don-
na e Se la nimica mie Fortuna more di Francesco Landini, Fortuna avversa, del mio cor nimica di Donato da
Firenze (su testo di Franco Sacchetti), oppure Ben di fortuna non fa ricch’altruy di Niccolò da Perugia. Al
tema della Fortuna e alle sue molteplici applicazioni letterarie sono stati dedicati importanti studi; limi-
tandoci agli aspetti generali e senza alcuna pretesa di esaustività possiamo qui ricordare: ALFRED DOREN,
Fortuna in Mittelalter und in der Renaissance, «Bibliothek Warburg», I/1 1922-1923, pp. 71-144; HOWARD
ROLLIN PATCH, The Tradition of the Goddess Fortuna in Roman Literature and in the Transitional Period,
«Smith College Studies in Modern Languages», III/3 1922, pp. 131-77, III/4 1922, pp. 179-235; ID., The
Goddess Fortuna in Mediaeval Literature, Harvard University Press, Cambridge Mass. 1927; EDWARD E. LO-
WINSKY, The Goddess Fortune in Music, with a Special Study of Josquin’s Fortuna d’un gran tempo, «The
Musical Quarterly», XXIX/1 1943, pp. 45-77; MARIO SANTORO, Fortuna, ragione e prudenza nella civiltà let-
teraria del Cinquecento, Liguori, Napoli 1966; AA.VV., Il tema della Fortuna nella letteratura francese e italiana
del Rinascimento. Studi in memoria di Enzo Giudici, Olschki, Firenze 1990.
FRANCESCO ZIMEI
2
maestro teramano, riflettendone istanze poetiche e frammenti biografici alla
stregua di un vero e proprio referente esistenziale.
Avverso una Fortuna tanto «falsa» (Dime Fortuna, Spesso Fortuna cridote) e
«importuna» (Plorans ploravi), cui ben si attagliano precise allusioni gnomiche
(valga al riguardo l’intero incipit di Ad ogni vento volta come foglia), l’atteggiamento
di Zacara appare tuttavia in costante evoluzione, altalenando dalla consapevo-
lezza di essere stato da lei «spogliato» (Nuda non era) e gettato «in gran profondo»
(Deducto sei, ma anche Dime Fortuna) allo scongiuro per tornare a «spriçar come
ranochia» (D’amor languire), dal lacerante dubbio se «resurgere, o stare pur così»
(Spesso Fortuna cridote) alla stoica accettazione dell’avvenire, «poy que ay proues /
de le Fortune ne plus lamenter» (Le temps verrà). Purtroppo, allo stato delle attuali
conoscenze, non ci sono elementi sufficienti per stabilire l’esatta successione
cronologica di tali brani, ma, così come forse non è un caso che nelle fonti da cui
provengono si trovino spesso raggruppati,3 almeno una parte di essi potrebbe
essere unita da un sottile fil rouge, utile a chiarire in qual misura interagiscano ele-
menti retorici e vicende personali. Ferma comunque restando, per valori asso-
luti, la difficoltà di scremare l’arte dalla memoria, il confronto tra alcune opere
ha messo in luce analogie motiviche e differenze narrative, consentendo in que-
sta sede di formulare nuove ipotesi e, fors’anche, di trarre conclusioni di qualche
utilità.
Uno degli esempi più interessanti al riguardo è costituito dalla ballata a due
voci Dime Fortuna, tramandata in unicum dal frammentario codice T. III. 2 della
Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino e attribuita a Zacara dal suo edi-
tore Agostino Ziino.4 Qui la tipicità del tema è infatti esaltata da un linguaggio
acceso e risentito, che l’uso del discorso diretto e il riferimento a fatti e figure
della realtà storica permettono di contestualizzare nella sfera del vissuto perso-
nale. Una simile coerenza poetica, in cui il tono, la logica interna e la scelta dei
2. Si tratta delle ballate Ad ogni vento, D’amor languire, Deducto sei, Dime Fortuna, Nuda non era e Spesso Fortu-
na cridote, del madrigale Plorans ploravi e del mottetto Le temps verrà, la cui paternità è sostenuta con dovi-
zia di argomenti da MARCHI – DI MASCIA 2001. E il numero è destinato a crescere ancora qualora si inclu-
da tra le opere autentiche il rondeau Se je ne suy si gay come soloie, che in questo stesso volume Marco
Gozzi assegna a Zacara proprio per le particolari affinità tematiche (il testo prosegue infatti così: «c’est
pour Fortune, que tant m’est contraire»); cfr. MARCO GOZZI, Zacara nel Codex Mancini: considerazioni
sulla notazione e nuove attribuzioni, supra, pp. 135-67: 157. Impliciti riferimenti alla Fortuna potrebbero
inoltre cogliersi nella ballata Benché lontan mi trovi, dove l’autore sembrerebbe anche ammettere la sua
particolare predilezione per l’argomento affermando di essere stato abbandonato da colei del cui «bel
nome empiendo vo le carte».
3. Si consideri al riguardo in TU la sequenza formata da Plorans ploravi (c. 1r), D’amor languire (cc. 1v-2r),
Dime Fortuna (c. 2r) e Se je ne suy si gay (c. 2v) e in Lu la posizione di Ad ogne vento e Spesso Fortuna cridote,
che addirittura occupano le stesse carte (65v-66r).
4. Cfr. TORINO, pp. 47-9.
230
VARIAZIONI SUL TEMA DELLA FORTUNA
Dime, Fortuna, tu che regi el mondo Dime, Fortuna, poi che tu parlasti,
volgendo pur la rota al tuo volere, ò dicto o facto nulla contra de te?
onde ti vien tal voglia o tal podere De’, parla, dime el vero, per tua fé:
che tu fai triste l’un, l’altro giocondo? perché surgendo la rota voltasti?
5. Delle assai scarne notizie biografiche e della limitata produzione poetica di Matteo Correggiaio – che
oggi si tende a circoscrivere a una dozzina di componimenti – si sono occupati in particolar modo
FRANCESCO ROEDIGER, Due epistole poetiche di Matteo Correggiaio in ternari trilingui, «Rivista critica della
letteratura italiana», V 1888, pp. 122-5, Le rime di Matteo Correggiari, a c. di Ernesto Lamma, Romagnoli,
Bologna 1891 (Scelta di curiosità letterarie inedite o rare dal secolo XIII al XIX, vol. 94, disp. 241), ed.
anastatica Commissione per i testi di lingua – Forni Editore, Bologna 1969, ACHILLE TARTARO, Per Mat-
teo Correggiaio, «Cultura Neolatina», XXV 1965, pp. 176-93, GIUSEPPE CORSI, Matteo Correggiaio, in CORSI
1969, pp. 141-54. Interessanti novità potrebbero inoltre venir fuori dal convegno di studi La cultura vol-
gare padovana nell’età del Petrarca, recentemente tenuto a Padova e Monselice in occasione delle celebra-
zioni petrarchesche, del quale si auspica di veder presto pubblicati gli atti.
6. Sul concetto di ‘intertestualità’, sulle sue differenti tipologie e su alcune suggestive applicazioni alla po-
esia zacariana si veda senz’altro il saggio di MARIA CARACI VELA Dall’arte allusiva all’intertestualità ‘fisiolo-
gica’: aspetti del processo compositivo in Zacara da Teramo, in questo stesso volume (supra, pp. 187-211).
7. Per il sonetto di Matteo Correggiaio si è fatto riferimento all’edizione di CORSI 1969, p. 152, per la bal-
lata di Zacara a quella di Giuseppe Tavani in TORINO, p. 121.
231
FRANCESCO ZIMEI
Come si può notare nei passi evidenziati, oltre a cominciare in modo assolu-
tamente identico i due brani – mutatis mutandis – condividono sia dal punto vista
semantico che retorico le medesime ‘strutture portanti’:
- l’exordium, centrato sull’apostrofe iniziale, ove una plastica metafora gestuale
inquadra la Fortuna nell’atto di volgere la ruota in senso evidentemente contra-
rio alle aspettative degli autori. È interessante qui notare come la ripresa della
ballata di Zacara sia perfettamente simmetrica rispetto alla prima quartina del
sonetto di Matteo, ripetendone anche il generale andamento interrogativo;
- la narratio, in cui assai simile è la distribuzione di concetti e strutture tra la
seconda quartina del sonetto e il primo piede della ballata, entrambi caratteriz-
zati da una forte tensione gravitazionale: l’obiettivo è quello di evocare nel let-
tore un improvviso senso di caduta verso il basso – significativamente rappresen-
tato dai due rimatori con termini omologhi («fondo» e «profundo») – quale
conseguenza ineluttabile del destino cinico e baro;
- infine la peroratio, che integra e ‘cristallizza’ il parallelismo logico-formale tra
i due componimenti con una decisa equiparazione fra la sirma del sonetto e la
volta della ballata, accomunate, anche sul piano espressivo, dal medesimo
approdo tematico: la maledizione della Fortuna, introdotta in entrambi i casi da
un’identica soluzione avverbiale («or»), quasi a sottolinearne l’attualità e l’im-
mediatezza.
8. Delle tre fonti – tutte quattrocentesche – che lo tramandano, due sono infatti localizzabili nell’area di
composizione: il ms. 541 della Biblioteca Universitaria di Padova e il ms. Urb. Lat. 697 della Biblioteca
Apostolica Vaticana, che secondo il Lamma «presenta un substrato dialettale veneto che si fa troppo fa-
cilmente sentire» (Le rime di Matteo Correggiari, p. xx); della terza – il ms. 1103 della Biblioteca Riccardia-
na di Firenze, su cui si basa peraltro l’edizione del Corsi – la provenienza invece non è nota.
232
VARIAZIONI SUL TEMA DELLA FORTUNA
9
Ziino ha fondato l’attribuzione del brano: il rimpianto di veder sfumare «la
promissione» ricevuta «se Alexandro a Roma gito fosse», dove in «Alexandro» si
riconosce l’antipapa Pietro Filargo, eletto dal Concilio di Pisa il 26 giugno 1409
con il nome di Alessandro V, mentre la «promissione» – legata al suo progettato
insediamento a Roma – era evidentemente la garanzia per Zacara di essere rein-
tegrato fra i cantori della cappella papale, incarico a suo tempo abbandonato
insieme con l’obbedienza a Gregorio XII.10 Ma Alessandro, mentre era in pro-
cinto di partire per Roma, morì improvvisamente a Bologna il 3 maggio 1410,
vanificando così le attese professionali di Antonio. Per queste ragioni la compo-
sizione della ballata dev’esser fatta risalire a un momento di poco successivo a
tale data, in un periodo cioè abbastanza prossimo alla cerimonia per il conferi-
mento della laurea in decretis al teramano Simone de Lellis, avvenuta proprio a
Padova l’8 dicembre 1410 e alla quale, come è noto, prese parte un «Anthonio de
Teramo» che si tende ormai a identificare con Zacara.11
Uno schema sostanzialmente analogo a quello di Dime Fortuna s’incontra nel
testo di un’altra ballata a due voci, Spesso Fortuna cridote, tramandata in forma
9. Altri plausibili elementi a supporto della paternità zacariana del brano si rinvengono, sempre secondo
Ziino, nello stile musicale: «in particolare i passaggi sillabici a note ribattute e le sezioni a canone tra le
due voci» (TORINO, p. 48).
10. Ciò avvenne probabilmente a Lucca tra la fine di maggio e i primi di luglio del 1408, quando a dispetto
degli accordi presi con la controparte ‘avignonese’ Gregorio creò quattro nuovi cardinali, causando non
solo la rottura dei negoziati, ma anche ampie defezioni all’interno della propria curia. A quest’ipotesi,
formulata in ZIINO 1979, pp. 327-8, si contrappone NÁDAS 1986, pp. 177-8, secondo cui la permanenza di
Zacara nella cappella ‘romana’ sarebbe invece provata dall’esistenza di sue composizioni liturgiche nei
frammenti conservati a Siena e Cividale, sedi nelle quali in effetti il papa soggiornò, dopo Lucca, duran-
te il suo viaggio verso il Nord. Tuttavia, come osserva anche BENT 1998, p. 27, la trasmissione di un de-
terminato repertorio non presuppone necessariamente la presenza fisica di chi lo ha composto: può
dunque darsi che tali brani, come spesso avviene, fossero rimasti in uso nella cappella papale anche dopo
l’eventuale allontanamento di Zacara; il quale, anzi, sembra lasciare tracce dell’episodio proprio nel te-
sto della ballata Dime Fortuna, in particolare nel primo piede, alludendo alla precarietà delle sue attuali
condizioni professionali e all’opportunità – purtroppo sfumata – di modificarle in melius: «Di quel pro-
fundo dove me lasciasti / i’ era quasi per uscirne fore», dove se la speranza era quella di rientrare nella
cantoria papale vuol dire che a quel tempo l’autore non ne faceva più parte.
11. Cfr. NÁDAS 1986, p. 178 (che trae la notizia da GASPARE ZONTA – GIOVANNI BROTTO, Acta Graduum Acade-
micorum Gymnasii Patavini ab anno 1406 ad annum 1450, cum aliis antiquioribus in appendice additis iudicio hi-
storico collecta ac digesta, Tip. Seminarii, Patavii 1922, editio altera, Antenore, Padova 1970) e, più specifica-
mente, l’ipotesi formulata nelle pagine che precedono da ANNE HALLMARK, Rhetoric and Reference, a pro-
posito di un possibile collegamento tra quest’episodio e la ballata Je suy navvrés tan fort/Gnaff’a le guagne-
le. Dal momento che già a quel tempo Simone de Lellis faceva parte della curia di Giovanni XXIII e
che, non a caso, al suo conferimento dottorale parteciparono altri importanti membri di quella corte –
primo fra tutti l’eminente canonista Francesco Zabarella – tale cerimonia potrebbe aver costituito anzi
per Zacara l’occasione ideale per stringere tutti quei rapporti necessari a procurargli – così come in ef-
fetti avverrà – l’ambito incarico di magister capellae che la «Fortuna» e la morte di Alessandro V gli aveva-
no in precedenza strappato. La prova della sua ‘disoccupazione’ all’epoca dei fatti narrati potrebbe al ri-
guardo essere proprio il fatto che nella cerimonia padovana egli venga ricordato semplicemente come
«Anthonio de Teramo» e non con l’appellativo, ben altrimenti ‘ufficiale’, di Magister Zacharias.
233
FRANCESCO ZIMEI
Sembra insomma che in Spesso Fortuna cridote Zacara abbia ricercato una pre-
cisa continuità tematica e stilistica con Dime Fortuna, ma, a differenza di questa,
venuto ormai meno l’impeto del momento, l’unico significato ‘attuale’ del
brano risieda nella disillusa aspettativa del responso della Fortuna, condizione
ancora una volta connessa alle sue vicissitudini lavorative e ben sintetizzata dalla
volta della prima strofa: «[De’, dime no o sì:] / se deb’io resurgere / o stare pur
così». Un concetto ribadito anche in Nuda non era, altra ballata di probabile col-
locazione padovana,14 la cui peroratio – sempre sulle stesse corde – è condotta
addirittura per absurdum: «Se per gran pianto voltasse la rota / gyamay non finiria
12. Cfr. PIRROTTA 1971, p. 157, ripreso da John Nádas e Agostino Ziino in LUCCA, p. 46. Alcuni interessanti
rilievi sullo stile musicale dell’opera si trovano in GIANLUCA D’AGOSTINO, Le ballate di Zacara, infra, pp.
247-77: 265-6.
13. Nella presente trascrizione si è preferito uniformare l’oscillazione rimica ì/è attestata dalla grafia del te-
stimone. Per l’edizione letteraria della ballata cfr. PIRROTTA – LI GOTTI 1950, p. 128.
14. L’opera è infatti attestata nel ms. Canon. Misc. 213 della Bodleian Library di Oxford, compilato in area
veneta nel terzo decennio del Quattrocento. Sulla provenienza e la datazione del codice si veda il saggio
introduttivo di David Fallows in OXFORD, pp. 4-5 e 19-20.
234
VARIAZIONI SUL TEMA DELLA FORTUNA
15
de lagrimare», dove oltre a combinare, secondo il solito, espedienti retorici
(l’immagine della ruota che gira al contrario già adoperata in Dime Fortuna) e
ragioni esistenziali, con quel ripetuto «lagrimare» l’autore parrebbe alludere alla
sua stessa cifra poetica, mostrandosi evidentemente ben consapevole del fatto
che – si passi il calembour – presso i contemporanei le sue composizioni sulla For-
tuna dovevano avere particolare fortuna.16
Da siffatti rilievi si possono trarre alcune interessanti conclusioni. L’attestata
sequenza di motivi biografici e stilistici lascia supporre che le tre ballate sin qui
esaminate non solo siano originate nel medesimo contesto, ma vieppiù facciano
parte di un vero e proprio ciclo, il quale avrebbe come evento ‘scatenante’ il sup-
posto licenziamento di Zacara, nel 1408, dalla cappella papale e come tratto
comune quell’equazione tra Fortuna e status professionale sulla quale, con buona
dose di autoironia, egli fonda il suo studiato sarcasmo; ed è un colore che ben si
attaglia al genere della ballata. Ora, il favore goduto da questi brani da un lato raf-
forzerebbe la logica del ciclo, dall’altro fornirebbe validi argomenti a sostegno
del notato ‘sfruttamento’ in chiave letteraria che l’autore fa delle sue vicende
personali: il filone, evidentemente fecondo, potrebbe insomma scaturire proprio
dal successo iniziale di un’opera autobiografica sul tema della Fortuna.
Un plausibile ‘archetipo’, maturato senz’altro in un momento precedente
rispetto alle urgenze occupazionali del maestro teramano, sembra in tal senso
potersi individuare nell’unico suo madrigale, l’intenso e dolente Plorans ploravi,
ove detti elementi, adeguati alla maggior ‘serietà’ del genere, concorrono a deli-
neare un clima assai diverso da quello delle ballate, collocando il brano in una
luce più intima e grave. Il testo, strutturalmente dilatato rispetto ai parametri
canonici, con due quartine con schema ABBA ACCA in luogo delle usuali ter-
zine e una coppia di duetti a rima baciata (DD EE) così strettamente connessi
sotto il profilo logico e discorsivo da formare quasi un corpo unico, si avvale di
un linguaggio elevato, cui l’inserimento di suggestive formule latine – secondo
15. È da osservare al proposito che nel testimone la consistenza della strofa si limita a quest’unico distico, il
quale oltretutto è completamente irrelato alla ripresa.
16. Sul medesimo concetto Zacara tornerà a breve, stavolta per antifrasi, nel mottetto Le temps verrà, pro-
mettendo «de le Fortune ne plus lamenter». Oltre a quest’evidente analogia tematica il brano divide con
Nuda non era significativi spunti musicali: il rilievo va ascritto a MARCHI – DI MASCIA 2001, che a p. 18 no-
tano la sorprendente somiglianza dei rispettivi incipit e l’identico contrasto ritmico fra le due voci (tem-
po imperfetto al cantus, perfetto al tenor), inducendo a pensare che il mottetto – che esse datano plausi-
bilmente tra il gennaio e il febbraio 1413 – abbia preso direttamente a modello la ballata. Non è nean-
che da escludere che, a sua volta, Nuda non era reimpiegasse materiali musicali – o letterari – precedenti:
tale eventualità sembra infatti potersi cogliere proprio nel verso iniziale, «Nuda non era, preso altro ve-
stito», ove lo si interpreti secondo il consueto virtuosismo polisenso dell’autore.
235
FRANCESCO ZIMEI
17
un uso notoriamente congeniale all’autore – conferisce un’aura sacrale ma al
tempo stesso arcana ed enigmatica, pertanto refrattaria a interpretazioni lette-
rali.18
19
Appositamente evidenziate nella seguente edizione semidiplomatica, tali
espressioni contribuiscono a definire il quadro intertestuale del brano fornendo
spunti utili a una lettura retoricamente orientata:
Plorans ploravi perché la Fortunaa
pur sopr’ad meb diriça sua potença,
ploraboque, ché a ley forç’ec prudença
resistere non li vale, tant’èd inportuna.
Apparato critico: a cantus: «la mia fortuna»; b cantus: «sopra me»; c tenor: «forçA»; d cantus-te-
nor: «tantO»; e cantus: «expirAo»: tenor: «espiro»; f cantus: «per innovar»; g cantus-tenor: «le penE»; h
TU: «fey».
17. Si pensi alla ballata Deus deorum Pluto, per la quale si rinvia ancora a CARACI VELA, Dall’arte allusiva all’in-
tertestualità ‘fisiologica’. Altri significativi casi di ibridismo linguistico si registrano nella ballata Je suy nav-
vrés tan fort/Gnaff’a le guagnele (testo francese-italiano per cantus e tenor e francese-italiano-latino per il
contratenor) e nel già citato mottetto Le temps verrà (testo francese-italiano).
18. Per quanto si sappia, a parte il motivo iniziale, caratterizzato dalla deplorazione della Fortuna, il signifi-
cato di questo madrigale non è stato ancora interamente chiarito. Nelle note illustrative dell’unica edi-
zione discografica, contenuta nel CD Zachara, cantore dell’antipapa, registrato nel 1992 dall’Ensemble
“Sine Nomine” (Quadrivium, SCA 027), Alessandra Fiori si limita al riguardo a parlare di «un testo
piuttosto oscuro». Per ulteriori dettagli sull’incisione cfr. GIANLUCA TARQUINIO, Discografia di Antonio
Zacara da Teramo, infra, pp. 421-35: 430.
19. Il testo si basa su Lu, cc. 61v-62v (facsimile in LUCCA, pp. 150-2), in particolare – considerati i guasti della
parte del cantus – sulla lezione del tenor e sul sottostante residuum, che contiene la seconda quartina e il
distico finale. Dell’altro testimone (TU, c. 1r, secondo la numerazione moderna; facsimile in TORINO, p.
137), fortemente frammentario e limitato al solo tenor, sono state segnalate in apparato le varianti signi-
ficative. Sul piano ecdotico si è scelto di mantenere inalterati i grafismi conservativi e i gruppi di valore
etimologico con l’unica funzionale distinzione di u e v, mentre sono stati adottati criteri moderni relati-
vamente ai segni diacritici, all’uso delle maiuscole e alla punteggiatura.
236
VARIAZIONI SUL TEMA DELLA FORTUNA
Come si evince già dalla dittologia iniziale, centrata con grande efficacia
drammatica sul motivo del pianto,20 il testo del madrigale mostra anzitutto stretti
legami con le Sacre Scritture. Il pensiero corre immediatamente al famoso passo
delle Lamentazioni di Geremia in cui il profeta, «suspirans» secondo la descri-
zione del Prologo (che richiama assai da vicino l’immagine del verso 8 «suspiri a
lo mio cor sempre s’aduna»),21 piange dinanzi alle rovine di Gerusalemme:
Plorans ploravit in nocte,
et lacrymae eius in maxillis eius;
non est qui consoletur eam,
et omnibus charis eius…22
L’autore, nel senso più esplicito del termine, si ‘lamenta’ dunque della For-
tuna23 citando un testo emblematico, la cui collocazione nella liturgia cattolica
del tempo di Passione – nella fattispecie per il Primo Notturno della Feria V “In
Coena Domini” – finisce per evocare, attraverso il pianto, quell’idea della morte
ribadita al verso 3 dal correlato «ploraboque», tratto anch’esso da un brano di
Geremia significativamente inserito nel Breviario tra i responsori della Setti-
mana Santa:
Quis dabit capiti meo aquam,
et oculis meis fontem lacrymarum,
et plorabo die ac nocte interfectos filiae populi mei?24
237
FRANCESCO ZIMEI
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Antonio Zacara, Plorans ploravi, bb. 1-14.
238
VARIAZIONI SUL TEMA DELLA FORTUNA
29
mico alla «nutrice», dispensatrice della cornucopia augurale, e l’allusione alle
onde del mare («in unda»),30 da ricollegare invece alla simbologia del timone – il
vissuto dell’autore, lentamente, comincia a prendere forma; anticipata dall’ince-
dere mesto e presago del motivo iniziale e dal tono fosco e inquietante delle
profezie di Passione, emerge così memoria di un inedito evento luttuoso,
occorso improvvisamente all’interno della sua cerchia familiare: la perdita di un
figlio, morto piangendo fra le braccia del padre («in ulnis patris31 expirò cum
pianto», v. 9). È lo stesso Antonio, nel verso successivo, a chiarire umori e finalità
del brano: si tratta di un canto commemorativo, composto «per rinovar le pene»
dell’occorsa disgrazia. Ciò, oltre a motivare – stavolta sul terreno dei sentimenti
più profondi – il suo disperato sfogo contro l’avversa sorte, permette di svelare
chi si celasse dietro il pronome formulato al verso 6 ([maldetta] «l’ora che me ’l
tolse»): la battuta trova infatti naturale risposta, sia sul piano rimico che logico,
nel naturae debitum persolvere del verso 7, che a prima vista sembrerebbe riferito
alla Fortuna,32 ma in realtà è locuzione tecnica di ambito giuridico e agiografico,
usata proprio col significato di ‘morire’,33 e ha dunque valore prolettico rispetto
alla situazione descritta nel primo ritornello.
Ma non basta. Altri importanti particolari vengono alla luce nel distico finale
(vv. 11-12), la cui presenza – ‘fuori misura’, come già notato, rispetto ai consueti
parametri madrigalistici – pare destinata espressamente alla funzione di epitaffio:
quivi l’autore tiene non solo a precisare che suo figlio era morto durante la fan-
ciullezza («ne la sua puericia»),34 ma si preoccupa anche di tramandarne il nome,
mutuato dal martire «de Galicia», cioè Giacomo.
29. Un espediente analogo s’incontra nella sirma del sonetto Quante dirne si de’ non si può dire di Michelan-
gelo Buonarroti: «Ingrata, dico, e della suo fortuna / a suo danno nutrice; ond’è ben segnio / ch’ a’ più
perfecti abonda di più guai». Cfr. MICHELANGELO BUONARROTI, Rime e lettere, a c. di Paola Mastrocola,
UTET, Torino 1992 (Classici Utet), pp. 257-8.
30. Allo stesso modo nel Prologo dei Libri Familie, risalente al 1432, Leon Battista Alberti scorge molti «bia-
simarsi della fortuna e dolersi d’essere agitati da quelle fluttuosissime sue unde, nelle quali stolti sé stessi
precipitorono». Cfr. LEON BATTISTA ALBERTI, I Libri della Famiglia, a c. di Ruggiero Romano e Alberto
Tenenti, Einaudi, Torino 19803, p. 4.
31. Cfr. Is. 49, 22: «Et afferent filios tuos in ulnis».
32. Cfr. in tal senso i vv. 7-8 di Spesso Fortuna cridote: «Se io in terra tu ad astra / per non volermi sciogliere».
33. Cfr. EGIDIO FORCELLINI, Totius Latinitatis Lexicon, Typis Aldinianis, Prati 1858-1875. s.v. ‘debitum’: «Tran-
slate. Morbo naturae debitum reddiderunt; h.e. mortui sunt».
34. Dunque in un’età che, secondo la classificazione di Isidoro di Siviglia, era compresa tra i 7 e i 14 anni:
«Prima aetas infantia est pueri nascentis ad lucem, quae porrigitur in septem annis. Secunda aetas pueri-
tia, id est pura et necdum ad generandum apta, tendens usque ad quartumdecimum annum» (Etymolo-
giae, XI, II, 2-3). Cfr. ISIDORO DI SIVIGLIA, Etimologie o Origini, a c. di Angelo Valastro Canale, UTET, To-
rino 2004 (Classici Utet), vol. I, pp. 912-3.
239
FRANCESCO ZIMEI
35. Che non può essere ovviamente il Giacomo di Antonio da Teramo attivo nel capoluogo aprutino in
qualità di regio e apostolico notaio tra il 1402 e il 1434, per il quale ZIINO 1979, p. 345, aveva valutato la
possibilità di un’agnizione zacariana.
36. Cfr. GIULIANO DI BACCO – JOHN NÁDAS, Zacara e i suoi colleghi italiani nella cappella papale, supra, pp. 33-54:
43.
37. Il documento, conservato nell’Archivio Vaticano (Reg. Lateran. 12, c. 270), è edito in FRANCESCO SAVI-
NI, Septem dioeceses Aprutienses Medii aevi in Vaticano tabulario. Notitiae ad dioeceses Adriensem, Aprutinam,
Aquilensem, Marsicanam, Pennensem, Theatinam et Valvensem pertinentes ex Vaticano tabulario excerptae, Ex
Officina Typographica Senatus, Romae 1912, pp. 467-8.
38. Si tratta del ciabattino Lello di Biagio di Pietro. I passi citati sono tratti dall’inventario dei beni di Zaca-
ra, datato 21 novembre 1416 (Archivio di Stato di Roma, Not. Capitolini 1163, cc. 611v-615r); cfr. DI
BACCO – NÁDAS, Zacara e i suoi colleghi italiani, p. 41, nota 24, nonché la tavola 5.
240
VARIAZIONI SUL TEMA DELLA FORTUNA
241
FRANCESCO ZIMEI
popolo infuriato si riversò nelle strade assalendo molti curiali, mentre i palazzi di
alcuni cardinali furono dati alle fiamme. Il papa e la corte, nottetempo, si rifugia-
rono precipitosamente a Viterbo, ma durante la fuga accaddero altri disordini,
causando più di trenta morti, gran parte dei quali rimasti abbandonati lungo la
strada.42
Un simile scenario, denso di risvolti macabri e cruenti, fornirebbe valide
ragioni al concetto di «martiro» espresso da Zacara per circostanziare il suo com-
pianto. Comunque siano andate le cose – questo appare chiaro – la perdita del
figlio dovette lasciare in lui un segno profondo, la cui scia, in termini letterari,
sembra intuirsi anche al di là del madrigale analizzato. In tal senso – mettendo
per un momento da parte l’uso ‘topico’ della Fortuna – si potrebbe ad esempio
interpretare l’allusione contenuta nella terza strofa della ballata Amor né tossa, ove
con estrosa allegoria zoomorfa l’autore individua una figura («la vaccha»), evi-
dentemente già defunta, che ebbe appunto pietà del suo dolore:
El bove già coll’ale et colle penne
in ciel salìo, dov’è
la vaccha ch’ebe al mio dolor mercé.43
L’affianca nel testo un altro personaggio, passato frattanto anch’egli a miglior vita
e analogamente caratterizzato («el bove»), a indicare forse una relazione paren-
tale con la precedente: alcuni anni fa John Nádas e Giuliano di Bacco proposero
di riconoscervi l’arme gentilizio della potente famiglia Miccinelli (un bue ram-
pante), la quale annoverava tra i propri membri un Giovanni Battista sepolto a
Santa Maria in Trastevere nel 1408 (tavola 9).44 Ora, si tratterà magari di una
coincidenza, ma la fonte della versione in parola, il ms. E 56 sup. della Biblioteca
Ambrosiana di Milano, risulta compilata esattamente nello stesso anno.45 Ciò –
sempre che si riesca a dimostrare l’archetipìa del testimone – potrebbe dunque
suonare come una conferma, sia pur indiretta, all’ipotesi formulata dai due stu-
diosi. A meno che l’«ale» e le «penne» servite a salire «in ciel» non siano da inten-
dere come attributi del bue alato, simbolo dell’evangelista Luca, e vadano per-
tanto a identificare qualcuno con questo nome.
42. Si veda al riguardo FERDINAND GREGOROVIUS, Geschichte der Stadt Rom im Mittelalter vom V. bis zum
XVI. Jahrhundert, Cotta, Stuttgart 1859-1872, trad. it. Storia della Città di Roma nel Medioevo, Einaudi, To-
rino 1973, vol. III, pp. 1752-3.
43. Ambr, c. 69v (solo testo). Edizione in CORSI 1970, p. 323. La lezione di Lu, a c. 59v, provvista anche di no-
tazione, si limita invece alla ripresa e al primo piede della prima strofa: il residuum doveva senz’altro figu-
rare alla c. 60r, che però è mancante. Cfr. LUCCA, p. 148.
44. Cfr. NÁDAS – DI BACCO 1994, pp. 28-9 e nota 53.
45. Cfr. ANTONIO CERUTI, Inventario dei manoscritti della Biblioteca Ambrosiana, Editrice Etimar, Trezzano sul
Naviglio, 1973-1979 (Fontes Ambrosiani), vol. III, p. 350: «anno 1408 (fol. 1)».
242
VARIAZIONI SUL TEMA DELLA FORTUNA
46. In LUCCA, p. 46, nota 85, essi propongono infatti di associare Sol me trafige ’l cor l’aquila bella a Francesco
Novello o a Giovanni Maria Visconti.
47. Cfr. LUCIA MARCHI, La recezione fiorentina di Zacara da Teramo e il codice Squarcialupi, supra, pp. 169-86: 179
e nota 34. Per le stesse ragioni il collegamento con Giovanni XXIII sarebbe pienamente compatibile
anche con le altre due attestazioni della ballata (Lu e ModA).
243
FRANCESCO ZIMEI
48
lezione. Il testo, incentrato sul rimpianto per l’ennesima occasione lavorativa
perduta, è scritto interamente in seconda persona; ma a parlare stavolta non è
l’autore, il quale anzi si finge segno degli ammonimenti di un ipotetico interlo-
cutore, che i recenti editori identificano nella voce della sua propria coscienza.49
A giudicare dal tono sprezzante e beffardo, difficilmente interiorizzabile, vi si
potrebbe al contrario riconoscere la Fortuna stessa, a lungo invocata da Zacara e
giunta finalmente a replicare.50 Qui, lungi da ogni contesto celebrativo, l’imma-
gine dell’aquila appare ormai dispregiativamente ridotta a mero ‘uccello’:
havisti ulcello in mano e no ’l piumasti:
socco me par(i) s’aspecti che retorni.
Come si può notare il senso della frase, di evidente gusto proverbiale, è da ricer-
carsi nel mancato sfruttamento, da parte dell’autore, di una posizione di vantag-
gio poi venuta improvvisamente a cadere. Alla luce di quanto osservato il primo
verso si potrebbe dunque interpretare come un riferimento alla supposta inter-
ruzione del rapporto tra Zacara e la cappella di Giovanni XXIII, desumibile in
base alla scomparsa del suo nome, dopo il maggio 1413, dalla contabilità papale.51
Ciò avvalorerebbe l’ipotesi che la mattina dell’8 giugno il compositore – per
ragioni a noi sconosciute – non abbia seguito la corte, incalzata dalle truppe di
Ladislao di Durazzo, nell’improvvisa fuga dall’Urbe;52 il che, per quanto si evince
dal verso successivo, sembrerebbe essere quasi l’effetto di una scelta: donde la
consapevolezza di non farsi poi soverchie illusioni che Giovanni «retorni». E
infatti il pontefice non tornò più a Roma. Stando a tali considerazioni Deducto
sei diverrebbe insomma il brano zacariano più tardo fra quelli attualmente noti,
risalendo già a un periodo di totale vuoto documentale.
Ci si è spesso chiesti, al riguardo, come e dove l’autore abbia trascorso i circa
tre anni che separano il momento narrato dall’exitus, avvenuto in data impreci-
48. Cfr. rispettivamente CORNAGLIOTTI – CARACI VELA 1998 e CARACI VELA – TAGLIANI 2003, cui si rimanda
per l’accurata edizione e per ogni opportuno approfondimento ecdotico e stilistico.
49. Cfr. CARACI VELA – TAGLIANI 2003, p. 282.
50. L’idea d’una Fortuna adusa a trascinare l’autore sempre più in basso, come recita l’incipit, ribadendo
quanto già osservato in altri testi («Deducto sei a quel che mai non fusti / in gran profondo, e vidite gir
più sotto»), potrebbe ad esempio contribuire a spiegare, sotto il profilo musicale, l’ambitus sorprendente-
mente grave della ballata. Si veda in merito il saggio di DAVID FALLOWS, Zacara’s voice ranges, supra, pp.
55-65: 60-1, e D’AGOSTINO, Le ballate di Zacara, pp. 259-61.
51. Cfr. NÁDAS 1986, pp. 178-9.
52. L’episodio è narrato sempre in GREGOROVIUS, Storia della Città di Roma, vol. III, pp. 1777-8. La sera pre-
cedente la partenza, a tal proposito, «il papa lasciò con tutta la curia il Vaticano, si recò nel palazzo del
conte Orsini di Manupello in città, e vi pernottò, per mostrare al popolo la sua fiducia nella vittoria».
Altra suggestiva coincidenza: il palazzo si trovava nel Rione Ponte, proprio nei pressi dall’abitazione di
Zacara.
244
VARIAZIONI SUL TEMA DELLA FORTUNA
53
sata prima del 17 settembre 1416. Un’interessante indicazione in tal senso pare
giungere proprio dal prosieguo del brano:
ver’ la calcosa tira, e per là pista
verso el paese dove tu nascisti,
245
Francesco Zimei
392
CATALOGO DELLE OPERE DI ZACARA
Sotto la voce ‘note’ sono state invece riportate, nell’ordine: le osservazioni sui
singoli testimoni, sugli organici e sulla datazione delle fonti, complementari
rispetto ai campi precedenti e da leggere dunque in senso orizzontale; alcune
notizie sui brani in genere, sulla loro origine o contestualizzazione e su questioni
testuali e attributive; i rimandi interni tra le composizioni profane e le relative
parodie sacre, nonché – sempre in riferimento alle sezioni di messa – gli abbina-
menti Gloria-Credo secondo la lezione di Q15 o le proposte degli studiosi; le
eventuali destinazioni laudistiche di alcune opere, richiamate in fonti specifiche
dalla formula ‘cantasi come’; infine, le citazioni letterarie dei brani (sette in tutto
quelle finora identificate) contenute nel Saporetto di Simone de’ Prodenzani, per
il quale, così come nella numerazione dei sonetti, si è fatto riferimento alla
recente edizione critica curata da Fabio Carboni.3
L’ultimo campo del catalogo riguarda, come già accennato, le edizioni
moderne, le quali sono state elencate in ordine cronologico secondo le formule
riportate in bibliografia e localizzate all’interno di ciascun volume per pagina
iniziale o numero progressivo, eccettuati quelle edizioni in facsimile che ripe-
tono la foliazione della fonte originale e nei quali dunque ogni ulteriore indi-
cizzazione sarebbe superflua. Sempre sotto il profilo bibliografico, nel caso di
riferimenti ai saggi contenuti in questo volume la citazione è stata di regola
effettuata – qui come nella precedente colonna – associando al nome dell’autore
la dicitura supra.
A completare il quadro degli strumenti catalografici si è pensato di allegare,
qui di seguito, un’appendice riservata alle quattro differenti numerazioni comu-
nemente utilizzate per il codice Q15, fonte principale delle composizioni sacre
di Antonio Zacara: due di esse attengono alla cartulazione, effettuata una prima
volta in caratteri romani (ed è quella seguita nella presente compilazione), poi,
con diverso computo dei fogli, in arabi; le altre due sono invece di tipo inventa-
riale e si riferiscono, rispettivamente, alla vecchia indicizzazione vergata da Gio-
vanni Battista Martini accanto ai singoli brani,4 e al repertorio curato, in tempi
molto più vicini a noi, da Guillaume de Van.5 Di qui l’idea, nata da un gradito
suggerimento di Margaret Bent,6 di realizzare un’apposita tabella di conver-
sione, in modo da evitare ogni possibile confusione nella localizzazione dei
dodici brani zacariani tramandati dal manoscritto.
3. CARBONI 2003.
4. Ciò avvenne presumibilmente subito dopo l’acquisto del codice, avvenuto a Piacenza nel 1757.
5. Cfr. DE VAN 1948.
6. Che si coglie l’occasione per ringraziare sentitamente, avendo messo a disposizione dello scrivente per
tutte le necessarie verifiche il catalogo, le concordanze e gli indici del manoscritto bolognese sul quale
sta da anni lavorando. Egual gratitudine si intende qui esprimere a John Nádas e ad Agostino Ziino per
il generoso e costante supporto bibliografico, nonché a Maria Caraci Vela e a Michael Scott Cuthbert
per il gentile controllo effettuato su alcune fonti.
393
FRANCESCO ZIMEI
394
SCHEDE
FRANCESCO ZIMEI
COMPOSIZIONI SACRE
a. Gloria
396
CATALOGO DELLE OPERE DI ZACARA
«Zacar» (nell’indice)
Abbinato al Credo ‘du vilage’.
«Zacar [ad ongni vento]» ANGERER 1972, tav. (facs.) D
(aggiunto successivamente) WARSZAWA, p. 83 (facs.) B
«O Czakaris magistri WARSZAWA, p. 126 (facs.) C
Anthonij» AMP 14, n. 27 B
– CMM 11/6, n. 19 A
PMFC 13, n. 8 A
– Incompleto
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FRANCESCO ZIMEI
3 [C] T Ct PadD1225, c. 2r D
398
CATALOGO DELLE OPERE DI ZACARA
«Zacar anglicana» Origine del titolo non chiara. WARSZAWA, p. 134 (facs.) B
AMP 14, n. 9 B
– Le ripetizioni della parola CMM 11/6, n. 20 A
«pax» lo assimilano al Gloria di PMFC 13, n. 9 A
Ciconia ed. PMFC 24, n. 1
(FALLOWS 2001).
«Zacar Fior gentil» NITSCHKE 1968, II, p. 16 A
CMM 11/6, n. 14 A
– Incompleto PMFC 13, n. 6 A
– Incompleto
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FRANCESCO ZIMEI
I II
Gloria ‘Micinella’ 4 C C T Ct Q15, cc. 16v-17r A
3 C T Ct BU, c. 4v B
b. Credo
3 C T Ct Tr 1563 (r-v) C
3 [C T] Ct Sas 327, c. 1r F
400
CATALOGO DELLE OPERE DI ZACARA
– Ct incompleto
Introduzione a 2 voci
– Incompleto
401
FRANCESCO ZIMEI
3 C T [Ct] PadD1225, c. 2v D
3 C T [Ct] Grot, c. 6v E
3 [C T] Ct TU, c. 9r F
3 C T Ct TU, c. 14r-v B
402
CATALOGO DELLE OPERE DI ZACARA
– Incompleto
– Incompleto
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FRANCESCO ZIMEI
COMPOSIZIONI PROFANE
a. ballate
404
CATALOGO DELLE OPERE DI ZACARA
405
FRANCESCO ZIMEI
Deduto sey a quel che may non fusti 3 C T Ct BU, cc. 49v-50r A
Deduto sey a quel che may non fusti 2 CT P 4917, cc. 25v-26r B
Deducto sei a quel che mai non fusti – testo W 3121, c. 188v D
406
CATALOGO DELLE OPERE DI ZACARA
«[Çachara]»? p. 19 (testo) A
LUCCA,
(persa per rifilatura) LUCCA,
p. 144 (facs.) A
Frammento TORINO, p. 138 (facs.) B
– CUTHBERT 2003 (ricostruz.)
Nel testo riferimenti al Canto CUTHBERT, supra, p. 352 A+B
XXIX dell’Inferno. Cfr. CU-
THBERT, supra, da Nádas.
407
FRANCESCO ZIMEI
408
CATALOGO DELLE OPERE DI ZACARA
«Magister Antonius çachara Varianti nel testo tra Lu e P PIRROTTA – LI GOTTI 1950, p.
[de Teramo]» (rifilata) 4917. 123 (testo) A
– FAENZA, p. 45 (facs.) C
Cit. nella ballata Spinato intor- FAENZA, p. 90 (facs.) D
– no al cor come spinoso e in Sapo- PIRROTTA 1971, p. 167 B
retto, XXVI. CMM 57, n. 20 B+C
– CMM 57, n. 39 B+D
Parodia nel suo Gloria ‘Roset- KUGLER 1972, p. 124 B+C+D
ta’. CMM 11/6, n. 1 B+C+D
PMFC 10, p. 112 B
WILLIAMS 1983, II, p. 49 A
LUCCA, p. 142 (facs.) A
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FRANCESCO ZIMEI
b. ballades
410
CATALOGO DELLE OPERE DI ZACARA
«Magister zacharias» (rifilata) Nádas e Ziino in LUCCA ipo- WOLF 1904, III, p. 151 B
tizzano riferimenti allo stem- PIRROTTA – LI GOTTI 1950, p.
«M. Çacherias Chantor ma araldico visconteo. 125 (testo) A
Domini Nostri Pape» WOLF 1955, p. 325 B
«Magister Zacharias» CORSI 1970, p. 311 (testo) B
CMM 11/6, p. 124 A
PMFC 10, p. 128 B
WILLIAMS 1983, II, p. 64 A
LUCCA, p. 153 (facs.) A
SQUARCIALUPI (facs.) B
MODENA (facs.) C
«Magister Zacharias» Il testo nasconde la parola «re- WOLF 1904, III, p. 169
conmendatione». Nell’ultimo CMM 53/3, n. 303
verso: «Zacharias salutes» CMM 11/6, p. 133
PMFC 13, n. 45
LUCCA ipotizza riferimenti al- LARSSON 1998, p. 10 (testo)
la corte di Pavia. MODENA (facs.)
411
FRANCESCO ZIMEI
c. cacce
d. madrigali
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CATALOGO DELLE OPERE DI ZACARA
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FRANCESCO ZIMEI
a. ballate
Fugir non posso dal tuo dolçe volto 2 CT Lu, cc. 89v-90r A
Fugir non poso dal tuo dolce volto 2 [C] T P 4379, c. 63r C
414
CATALOGO DELLE OPERE DI ZACARA
GOZZI, supra, rileva forti so- PIRROTTA – LI GOTTI 1951, PIRROTTA – LI GOTTI 1950, p.
miglianze ritmico-melodiche GOZZI, supra, D’AGOSTINO, su- 137 (testo)
con Rosetta che non canbi may pra. PMFC 11, n. 9
colore. WILLIAMS 1983, II, p. 128
LUCCA, p. 186 (facs.)
GOZZI, supra, pp. 150 (testo)
D’AGOSTINO, supra, p. 270 (te-
sto)
Il testo contiene riferimenti TORINO, BENT 1998 TORINO, p. 49
all’antipapa Alessandro V. ZI- TORINO, p. 121 (facs.)
MEI, supra, lo data al 1410 rile-
vando analogie tematiche e
formulari con il sonetto Dime,
Fortuna, tu che regi el mondo di
Matteo Correggiaio.
Nella rubrica, «Magister ça- LUCCA, GOZZI, supra LUCCA, p. 141 (facs.)
charias» eraso e sostituito con
«Ser Niccholay Prepositi».
Le 2 voci in dialogo
Il medesimo testo più tardi GOZZI, supra PIRROTTA – LI GOTTI 1950, p.
musicato anche da Philippe 139 (testo) A
Caron (F-Pn, ms. fr. 15123). Finora attribuita a Ciconia. BOLOGNA, p. 97 (facs.) B
PMFC 11, n. 39A
WILLIAMS 1983, II, p. 136 A
LUCCA, p. 190 (facs.) A
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FRANCESCO ZIMEI
b. ballades
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CATALOGO DELLE OPERE DI ZACARA
Nel testo sono citate le ballate VON FISCHER 1956, PMFC 11, PIRROTTA – LI GOTTI 1950, p.
Un fiore gentil m’apparse e Ro- GOZZI, supra, e D’AGOSTINO, 144 (testo)
setta che non canbi may colore supra. PMFC 11, n. 74
WILLIAMS 1983, II, p. 156
Secondo LUCCA e ZIINO, su- LUCCA, p. 200 (facs.)
pra, potrebbe anche trattarsi di GOZZI, supra, pp. 140
un omaggio a Zacara da parte D’AGOSTINO, supra, pp. 270
di un più giovane composito-
re.
417
FRANCESCO ZIMEI
c. mottetti
d. rondeaux
Opere teoriche
EXPLICIT TESTIMONE
Ars contrapuncti secundum magistrum Zachariam I-Fl, ms. Plut. XXIX, 48, cc. 89v-90v
418
CATALOGO DELLE OPERE DI ZACARA
MARCHI – DI MASCIA 2001 ri- MARCHI – DI MASCIA 2001 TORINO, p. 124 (testo)
levano analogie con Nuda non TORINO, p. 184 (facs.)
era, preso altro vestito e datano il MARCHI – DI MASCIA 2001, p. 26
brano al 1413.
GOZZI, supra, rileva nel testo GOZZI, supra PIRROTTA – LI GOTTI 1950, p.
riferimenti ad aspetti nota- 137 (testo)
zionali («souvent cangie co- CMM 53/3, n. 238
lour»: cfr. il «non canbi may PMFC 22, n. 24
colore» di Rosetta). LUCCA, p. 186 (facs.)
GOZZI, supra, p. 153 (testo)
«D’Andrea Stephani» nel mar- GOZZI, supra PIRROTTA – LI GOTTI 1950, p.
gine sin. di c. 89v. 139 (testo)
CMM 8/5, n. 43
LUCCA, p. 190 (facs.)
GOZZI, supra, rileva nel testo la GOZZI, supra TORINO, p. 121 (testo)
presenza di analogie con Je suy TORINO, p. 141 (facs.)
navvrés tan fort, o dous amy.
Alternanza 1 / 4 GOZZI, supra TORINO, p. 121 (testo)
TORINO, p. 140 (facs.)
NOTE EDIZIONI
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1. Bolla di papa Bonifacio IX all’arcidiacono di Sudbury, nella diocesi di Norwich, datata Roma,
9 novembre 1389. London, Public Record Office, SC 7/41/7, recto.
2. Sottoscrizione autografa («A. de Teramo») dello scriptor papale estensore della bolla riprodotta nella tavola 1. London, Public Record Office,
SC 7/41/7, verso (particolare).
3. Particolare del contratto di appalto datato Roma, 5 gennaio 1390, tra l’Ospedale di Santo Spirito in Saxia e Zacara per la redazione e
miniatura di un antifonario. Roma, Archivio Generale degli Agostiniani, S. Agostino, perg. C. 5, n. 65.
4. Berardo da Teramo, Visione dell’Avvento di Cristo, prima carta dello smembrato Antifonario della
Chiesa di San Benedetto a Gabbiano. Venezia, Fondazione Giorgio Cini, Inv. min. 84, recto.
4a. Visione dell’Avvento di Cristo (particolare). Nel margine superiore si può leggere un’annotazio-
ne autografa del miniatore: «Dompnus Berardus de Teramo fecit hoc opus».
5. Particolare dell’inventario dei beni del defunto Antonio Zacara datato Roma, 21 novembre
1416. Roma, Archivio di Stato, Not. Capitolini 1163, cc. 611v-615r.
6. Maestro delle Iniziali di Bruxelles (Italia, ca. 1389-1410), L’elevazione dell’Ostia. Los Angeles,The
J. Paul Getty Museum, ms. 34 (c.d. “Messale di Giovanni XXIII”), c. 130r.
6a. L’elevazione dell’Ostia (particolare). Alla sinistra del papa – che in realtà è Innocenzo VII – la
cappella musicale intona un Sanctus polifonico.
7. Rappresentazione miniata dell’incipit della ballata di Zacara Ferito già d’un amoroso dardo, a c.
175v del codice Squarcialupi.
8. Primo piano di Antonio Zacara da Teramo nell’iniziale miniata a c. 175v del codice Squarcialupi
(particolare).
9. Lastra tombale di Giovanni Battista Miccinelli (1408). Roma, Basilica di Santa Maria in
Trastevere.
10. Codice di Lucca, c. 87v con la parte del cantus e l’inizio del tenor della ballata Aymè per tutto
l’or, attribuita a Zacara.
11. Parte del cantus della ballata di Zacara D’amor languire a c. 56v del codice di Lucca.
12. Frammenti delle parti del cantus e del tenor della ballata di Zacara D’amor languire a cc. 1v-2r del
ms. T. III. 2 della Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino.
13. Sinossi delle possibili attribuzioni a Zacara presenti nel codice di Lucca.
14. Guariento di Arpo, Battesimo e ordinazione di sant’Agostino (particolare). Padova, Chiesa degli
Eremitani.