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“… siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la
profondità, e conoscere l'amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la
pienezza di Dio.” (Ef 3,18-19)
1. Cristo, oggetto della cristologia
Cristologia – lo studio del mistero di Cristo, cioè delle materie tradizionalmente chiamate De Verbo
Incarnato e Soteriologia; trattato su Cristo; lo studio alla luce della fede di quel che la fede stessa insegna
intorno al mistero e all’opera di Cristo; lo sviluppo teologico del contenuto del riassunto della fede cristiana
Gesù è il Cristo
La cristologia non consiste in un discorso indiretto, ma essa, accettando le parole dei testimoni prescelti da
Dio, e poggiando sulla loro testimonianza, afferma decisamente e sviluppa le conseguenze di una
proposizione che continua e continuerà a provocare “scandalo”: Gesù è il Figlio di Dio, morto e risorto per
la salvezza del genere umano
La cristologia sta al centro della dogmatica cattolica
Chi è Gesù Cristo?
La sua Persona è il fondamento dell’autorità con cui Egli chiama, e dell’impegno che la sua dottrina
suscita
Voi chi dite che io sia? (Mt 16,15). La risposta salvifica – la salutaris confessio – di tale domanda eccede le
forze umane, essa ci viene solo data dall’alto (cfr. Mt 16,17)
Chiunque si fida solo della sua intelligenza, senza la Chiesa, non trova il Cristo vivente
The New Testament, and with it the whole Tradition of the Church, transmits the testimony of ecclesial faith
in Jesus in the full sense of his being Christ (Messiah) and Kyrios (Lord)
Jesus Christ, on the one hand, has a historic dimension, accessible through historical accounts and
historic-critical methods; his divine nature, on the other hand, transcends the methods of historical research
– such mystery can only be penetrated through a gift – and the acceptance of such gift – coming from
above, that is, faith
A historical research on Jesus would result insufficient if one does not have faith, if one does not confess
his divinity
Jesus was not an ordinary man, because his humanity is the humanity of God
The Creed, the New Testament and the Tradition of the Church profess the unity of Jesus of Nazareth, the
historical Jesus, with the awaited Christ, Lord and God
4. Christology “from below” (or ascending) and Christology “from above” (descending)
Two methods of accessing the mystery of Christ:
1) Ascending Christology (or Christology from below) – highlights the diritti of the divinity of Christ; is
illuminated and directed since the very beginning by the consideration of the divinity of Christ
2) Descending Christology (from above) – the diritti of His humanity; builds upon Jesus disregarding
his divinity, a divinity which can only be seen in the measure in which it surfaces from his humanity
Man as the substantial union of body and soul, a single essence; more precisely, the soul “informs”,
imbues, the body, giving it being and life
Death as the separation of the soul from the body
The soul, by virtue of its spiritual character, subsists after death, bringing with it the subject’s
personal story; moreover, it retains the capability of doing personal acts (ex. enjoying the beatific
vision of God, purifying itself in purgatory, interceding for others)
Man is at the same time being and becoming. The fullness of his becoming, his perfection lies in his
supernatural end, that is, the knowledge and love of God; in seeing God as he is, that is, in the unity of his
Being and in the Trinity of the divine Persons
Man alone, however, is not able to know his supernatural end in its fullness.
Supernatural grace gives man a new and higher likeness to God: a certain participation in the divine nature
itself
With it man’s soul is transformed; it acquires, without losing its humanity, a way of being deiforme;
with grace man is deified or divinized, he becomes a son of God
The Christocentric perspective in the New Testament: only Christ – for the fact of being the Word made
flesh – is the true image of God, in such a way that being an image of God meant, in the present economy
of grace, being an image of Christ
«Porrò inimiciazia tra te e la donna, tra la sua stirpe e la tua stirpe: questa ti minaccerà il capo e tu le
insidierai il calcagno»
The LXX translates it with autós, understanding questa (ipse) as referring to a single person who belongs to
the line of the woman, thus giving the text an explicit messianic sense
The Vulgata, on the other hand, translates insidierà with conteret (schiaccerà) – ipsa conteret caput tuum
(ella ti schiaccerà), referring to Mary, the mother of the Redeemer, and not to Eve
The Neo-Vulgata: ipsum conteret (questi ti schiaccerà), returning to the more faithful translation of the
hebrew text
Traditional exegesis: retains that the woman, in its direct sense, refers to Eve; and to Mary in its full
sense; and that the “line of the woman” refers to all of humanity or to Christ
If redemption was to be carried out by man, and if only God is able to redeem man, victory over evil, then,
will have to come from both God and man
L’esodo, oltre al costituirsi d’Israele come popolo, riferisce anche alla sua adozione da parte di Dio:
un’adozione che ha il carattere di un’autentica nuova nascita
Israele è essenzialmente il popolo dell’Alleanza, «formato da lei e per lei»
La legge data da Dio a Israele fa anche parte del dono gratuito di Dio; è l’indicazione della via per la vita,
per la comunione piena con Dio, e non semplicemente qualcosa che opprime l’uomo
La profezia di Natan annuncia che il Messia, già atteso fin dai tempi più antichi, sarà della stirpe di Davide,
e sarà sovrano non solo su Israele, ma su tutti i popoli
L’alleanza è la preparazione della Redenzione operata da Cristo, perché configura un popolo da cui
nascerà il Redentore; annuncia, inoltre, che tale Messia-Redentore è un figlio di Davide e, pertanto, un
uomo; ed è anche Dio forte, Dio con noi;
Essa è anche un tipo, una figura profetica, dell’Incarnazione
Mediante essa, Dio stabilisce un rapporto strettissimo, in un certo senso familiare, che viene considerato
una filiazione, oppure equiparato all’unione matrimoniale
c) Il Figlio dell’uomo
Dn 7,13-14: presenta la venuta escatologica del Figlio dell’uomo
In Daniele non significa semplicemente un uomo, ma un uomo che misteriosamente supera la condizione
umana e restaura il regno messianico nella sua fase definitiva o escatologica
2 interpretazioni:
1) Collettiva – si identifica con i santi dell’Altissimo (Dn 7,27)
2) Individuale – il capo e rappresentante del popolo dei santi
Gesù non ha adottato questo nome per sottolineare la sua vera umanità, ma per collegare la gloriosa figura
messianica del figlio dell’uomo della visione di Daniele alla figura dolente del Servo annunciata da Isaia,
correggendo così la concezione esclusivamente escatologico-gloriosa del Messia, che era molto radicata
nella mente degli Ebrei
La missione storica del Figlio dell’uomo è identica alla missione del Ebed Yahvé
d) Un Salvatore, Re e Sacerdote
Oltre ai tratti di un Messia sofferente ed escatologico, emergono anche nell’Antico Testamento il suo
carattere regale e la discendenza davidica
La profezia di Natan (2 Sam 7): tramite un suo discendente Dio garantisce a Davide il regno
perenne della sua casa
Il Messia come un re, e il suo regno universale e salvifico
L’interpretazione individuale sottolinea anche la regalità della Madre, Maria, essendo la madre del
re d’Israele
Al carattere regale del Messia si afferma anche che egli è sacerdote per sempre secondo l’ordine
di Melchisedec
Il Messia è sacerdote in quanto successore del re Davide, poiché anche al re corrispondo funzioni
sacerdotali
Il re edifica e si prende cura del tempio; la benedizione di Yahvé giunge al popolo attraverso
Davide e la città santa; essi sono stati eletti da Yahvé con la stessa elezione
Nel Nuovo Testamento l’edificazione del tempio definitivo va in pari passo con il reno e
l’intronizzazione del Messia
Cristo come l’Unto atteso da Israele
Continuità e rottura nella venuta di Cristo: continuità con le promesse di Dio e le speranze del popolo di
Israele; rottura, perché queste promesse si compiono mediante un Nuovo Testamento
Rispetto all’insegnamento dell’Antico Testamento c’è in Cristo continuità e novità: continuità con le
caratteristiche con le quali era stato annunciato; novità, nel mistero della sua Persona
Bisogna ricordare però che nell’incarnarsi Gesù Cristo non viene subordinato agli uomini, nel senso che
Dio Padre abbia voluto Gesù come un mezzo per la salvezza del genere umano, e non l’abbia amata in Se
stesso e per Se stesso
Anzi, Gesù e in Se stesso la salvezza dell’uomo, e non meramente un mezzo per ottenerla
Il fatto che la finalità dell’Incarnazione sia la salvezza degli uomini non significa che il peccato sia la causa
dell’Incarnazione, bensì la sua occasione, e neanche che Cristo sia subordinato alla salvezza
I disegni divini sono eterni e pertanto nell’ordine realmente esistente Cristo è presente nel piano di Dio fin
dall’inizio della storia e della creazione stessa, e non solo dopo il peccato dell’uomo
Si deve evitare anche di presentare l’Incarnazione come qualcosa di necessario, come necessaria vetta
della creazione
L’incarnazione ha come presupposizione la sua gratuità; che essa è il frutto di una decisione libera di Dio
L’infinita Giustizia divina non esigeva che per redimere l’uomo fosse necessaria una soddisfazione
adeguata alla gravità del peccato ex toto rigore justitiae
Bisogna ricordare che la giustizia di Dio è anche infinita misericordia, ed Egli può perdonare i
peccati senza esigere alcuna soddisfazione
L’incarnazione, però, possiamo dire, è ipoteticamente necessaria, cioè nell’ipotesi di volere una
Redenzione totalmente perfetta (ex toto rigore justitiae)
Tale soddisfazione doveva essere realizzata da un uomo (essendo uomo che ha peccato), ma
affinché essa fosse perfetta, cioè adeguata all’infinita dignità del Dio offeso, era necessario che
venisse realizzata da Dio stesso. Per questo solamente Cristo, vero Dio e vero uomo, poteva
compierla
c) Cristo e il tempo
Kairos – il tempo opportuno
Gesù Cristo è «la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana… al di sotto di tutti i mutamenti ci sono
molte cose che non cambiano; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo…» (GS, n. 10)
Fu l’Incarnazione che segnò la pienezza dei tempi. È il momento più importante della storia, nel quale
l’eternità divina del Verbo si è incarnato nel tempo umano, conferendogli una qualità trascendente: quella di
essere il fondamento di tutto il passato, che ha valore salvifico solo in Cristo, e di tutto il futuro
Cristo è alfa e omega, principio e fine (Ap 21,6)
Con Cristo «l’eternità penetra nel tempo, non per degradarsi nel tempo, ma per introdurre il tempo
nell’eternità» (Danielou, Cristo e noi)
Cristo è il centro della storia umana non in senso strettamente cronologico, bensì qualitativo, in quanto Egli
opera la divisione tra «l’antico» e «il nuovo», portando a compimento l’Antico Testamento, che in Lui trova
il suo pieno significato, e instaurando la Nuova Alleanza e la nuova storia umana, della quale Egli è il
fondamento e alla quale dà senso
In quale senso Egli è il fine della storia umana?
1) Perché la Nuova Alleanza in Cristo è eterna e definitiva. Perciò nella vita spirituale non c’è una
nuova epoca da raggiungere – tutto è già dato in Cristo
Ogni presente stoico dopo l’Incarnazione non guarda a Cristo come a qualcosa di passato,
ma come a qualcosa di presenta (contemporaneità di Cristo che è, allo stesso tempo,
contemporaneità salvifica presente sacramentalmente nella Chiesa)
Soltanto nell’unione con Lui ogni uomo e, attraverso gli uomini, anche l’intera creazione
materiale, può trovare la sua vera finalità, la sua pienezza
a) Il concepimento verginale
L’intervento definitivo di Dio nella storia inizia con la venuta del Figlio nel mondo
Il concepimento di Gesù è l’inizio della missione visibile del Figlio
Il concepimento di Gesù ebbe luogo in forma miracolosa, dalla sola Madre vergine, cioè senza concorso di
uomo (l’almah o fanciulla in Isaia che viene tradotta dai Settanta con parthenos o vergine)
Cristo «si è incarnato per opera dello Spirito Santo sa Maria Vergine, e divenne uomo» (I Conc. Di
Costantinopoli, Symbolum; cfr. anche la Lettera dogmatica del 449 di Leone I)
Paolo VI, Cum quorumdam (1555): Maria mantenne la sua perfetta verginità «prima del parto, nel
parto e dopo il parto, in perpetuo»
La Sacra Scrittura parla del concepimento verginale di Cristo come di un privilegio di Cristo stesso,
coerente con la sua filiazione al Padre. La verginità, d’altronde, è anche un privilegio della
Madonna
I vari motivi di convenienza:
1) Era sommamente conveniente che Gesù, il quale nella sua Persona unica è Figlio per natura di dio
Padre anche nella sua umanità, non avesse un altro padre sulla terra.
Cristo è un dono esclusivo di Dio Padre all’umanità e, in primo luogo, a Maria
Il modo miracoloso del concepimento dell’umanità di Cristo nulla toglie alla verità della sua natura umana
Ma Gesù aveva bisogno di mangiare e di bere (cfr. Mt 4,2; 11,19; Gv 4,7; 19,28), di dormire (cfr. Mt 8,24) e
di riposare (cfr. Gv 4,6). Inoltre, Egli manifestò a tutti la verità della sua carne soffrendo la passione e una
morta veramente umana, corporea
Ario (+336)
Il Verbo è “un dio di seconda categoria” (deúteros theós), una creatura, benché la prima e la più
perfetta
Nega a Cristo l’anima umana, nell’intento di provare che il Figlio, nella sua divinità, è inferiore al
Padre, in base a quei passi della Scrittura che mostrano in Cristo le debolezze proprie di una vera
umanità
Negò che ci fosse in Cristo un’anima; in tal modo, non potendosi attribuire alla sua umanità delle
realtà come pregare, stupirsi, obbedire, si dovrebbe dire che esse corrispondo al Verbo il quale,
pertanto, sarebbe inferiore al Padre
Gaudium et Spes, n. 22: … solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo.
Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro, e cioè di Cristo Signore. Cristo… svela (anche)
pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione… Con l’Incarnazione il Figlio di Dio si è
unito in certo modo a ogni uomo
L’intima unione che esiste tra Cristo e ognuno degli uomini a causa dell’Incarnazione spiega il modo in cui
si compie la nostra Redenzione: Cristo soddisfa per inostri peccati perché tra Lui e noi non c’è totale
alterità, e formiamo con Lui quasi una persona mistica. Si manifesta qui una misteriosa solidarietà
La dignità dell’uomo è stata elevata dall’Incarnazione, perché il maligno fu vinto da un
rappresentante di quella stessa razza che era stata vinta da lui all’inizio della storia
In Cristo, che era assolutamente libero dal peccato, la capacità di soffrire e di morire non fu,
pertanto, una conseguenza del peccato, ma della natura che Egli, in quanto discendente di
Adamo, volle assumere priva dei doni preternaturali, per poterci così redimere attraverso la
passione e la morte
Cristo dovette diventare quello che siamo noi affinché noi diventassimo ciò che è Lui; che Egli si incarnò,
affinché la liberazione avvenisse per mezzo di un uomo, come per mezzo di un uomo era avvenuta la
caduta
Nell’ambito filosofico (soprattutto dal razionalismo del XVIII secolo [Voltaire, Diderot, Reimarus, ecc.] e
delle sue derivazioni materialiste e idealiste, atee o tipo panteista, nel caso dell’idealismo)
Alla fine del XIX secolo e agli inizi del XX, il modernismo, d’accordo in questo con la teologia protestante
liberale, negò il vero senso della divinità di Cristo, contrapponendo il “Gesù della storia” al “Cristo della
fede”
Era tipico del modernismo affermare che la divinità di Cristo non corrisponde al “Gesù della storia”, ma
solamente al “Cristo della fede”; che Egli non sarebbe mai esistito, e sarebbe solo il frutto della pietà o del
sentimento religioso dei primi cristiani (condannato dal decreto Lamentabili, san Pio X)
La Congregazione per la Dottrina della Fede dichiarò nel 1972 che si oppongono alla fede:
1) Le opinioni secondo cui non sarebbe rivelato e noto che il Figlio di Dio sussiste ab aeterno, nel
mistero di Dio, distinto dal Padre e dallo Spirito Santo
2) Quelle secondo cui sarebbe da abbandonare la nozione di univa Persona di Gesù Cristo, nata
prima dei secoli dal Padre secondo la natura divina e nel tempo da Maria Vergine secondo la
natura umana
3) Quelle secondo cui l’umanità di Gesù Cristo esisterebbe, non come assunta nella Persona eterna
del Figlio di Dio, ma piuttosto in se stessa come persona umana, e di conseguenza che il mistero
di Gesù Cristo consisterebbe nel fatto che il Dio che si rivela sarebbe sommamente presente nella
persona umana di Gesù
Ripreso da 30 Gennaio
c) La divinità di Gesù nei Sinottici
Nei vangeli sinottici troviamo molti passi nei quali Gesù stesso, presentandosi con il nome “Figlio
dell’uomo”, afferma di possedere dignità e potere divini
a) Il Figlio dell’uomo si attribuisce il potere di perdonare i peccati (cfr. Mc 2,5-12)
b) L’espressione utilizzata da Gesù – il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza (Dio) (cfr. Mc
14,62) –, dava all’affermazione della sua filiazione divina in senso preciso di essere dio uguale a
Dio Padre nella divinità
Gesù l’ha fatto identificandosi con il Figlio dell’uomo di Daniele, seduto, per di più, alla
destra dell’Onnipotente
c) Quando Gesù annunciò che il Figlio dell’uomo sarebbe venuto come Giudice e Signore universale
alla fine dei tempi nella gloria del Padre (cfr. Mt 16,27)
d) Il Figlio dell’uomo afferma di avere una dignità assolutamente unica (cfr. Mt 22,43-45; 11,11ss;
5,21-22, ecc.)
e) Gesù, in quanto Figlio dell’uomo si presenta in qualità di oggetto di una scelta assoluta,
incondizionata, da riservarsi per Dio (cfr. Mc 8,34-38; Mt 10,37)
Nel kénosis (la spogliazione del Verbo di se stesso; cfr. Fil 2,5-8) si possono distinguere due aspetti:
a) Dio assunse una natura non divina e così si manifestò al mondo attraverso una natura umana, che
al tempo stesso rivela e nasconde la sua divinità
b) Il Figlio di Dio rinunciò, nella sua natura umana, alla gloria che le corrispondeva in quanto umanità
di Dio
Questo secondo aspetto si riferisce al modo dell’Incarnazione: l’essere l’umanità di Dio
quale la più alta delle perfezioni per la natura umana
6. La convenienza dell’Incarnazione
a) L’Incarnazione e le perfezioni divine
L’Incarnazione è una manifestazione:
1) Della bontà di Dio – bonum est diffusivum sui, è consono quindi al sommo bene comunicarsi alla
creatura in modo supremo
2) Dell’infinito amore di Dio per l’uomo, della sua misericordia inesauribile, della sua benignità (cfr. Gv
3,16)
3) Del suo infinito potere – proprio nell’infinita trascendenza e nell’infinito potere di Dio c’è la ragione
della sua capacità di comunicarsi senza perdere la propria trascendenza
4) Della giustizia, la misericordia, la sapienza divine – Dio, nel suo operare, si adegua alla natura
delle cose
2) Scienza infusa
La conoscenza che non si acquisisce direttamente col lavoro della ragione, poiché Dio l’infonde
nell’intelligenza umana
La maggior parte dei teologi a partire dal Medio Evo insegnò che Cristo aveva la scienza infusa:
appoggiandosi sul principio di perfezione, loro dicono che l’intelligenza creata di Cristo non poteva
trovarsi in uno stato imperfetto, perché a una natura unita ipostaticamente alla Persona del Verbo,
conviene una perfezione totale
Dato che era capace di ricevere la scienza infusa, doveva avere quella ricevuta
Inoltre, la dignità dell’umanità di Cristo unita ipostaticamente al Verbo rende molto conveniente l’esistenza
in lui, in grado supremo, della grazia anche con doni e carismi (tra cui la scienza infusa)
Ammettere la scienza di visione in Cristo sembra che implichi negare la realtà della sua conoscenza
acquisita
La soluzione di questa difficoltà sta proprio nella diversa natura delle due conoscenze: mentre la
conoscenza naturale si acquisisce attraverso i sensi per mezzo di immagini o specie, la scienza di
visione è senza immagini o specie. Essa si acquista per mezzo di una comunicazione della divinità
nell’anima
Infatti, la missione di Cristo di rivelare il Padre rende conveniente che in Lui esistano questi diversi
modi di conoscere
La fede di Gesù
In Cristo non c’è fede (una conoscenza mediata e oscura, che consiste nel credere in quel che non si
vede), ma visione
Essendo l’unico Mediatore, non aveva bisogno della mediazione della fede
San Tommaso afferma che benché Cristo non abbia avuto fede, ne ha avuto in merito: «(esso) consiste
nell’assenso che per obbedienza volontaria a Dio l’uomo presta a ciò che non vede […] Ebbene,
Cristo obbedì perfettissimamente a Dio […] Quindi Cristo non insegnò nulla riguardo al merito della
fede che egli non abbia praticato nel modo più eccellente»
c) L’infallibilità di Gesù
I modernisti (Tyrrell, Loisy e Schnitzer) – furono i primi di parlare di un errore di Cristo riguardo alla data
della fine del mondo, basandosi sui testi in cui il Signore sembra annunciare l’imminenza della fine
del mondo
In una prospettiva cristologica, occorre dire che se Cristo si fosse sbagliato in quel che si riferisce alla sua
missione e ai suoi insegnamenti, Egli non sarebbe Dio. Infatti, in tal caso sarebbe la Persona del
Verbo a sbagliarsi nelle sue parole umane
Per questo molti teologi considera di fede non solo che Cristo non abbia mai errato, ma anche che
fosse infallibile, giacché a motivo dell’unione ipostatica è metafisicamente impossibile che Egli
commetta errori
San Tommaso: «Ignorare il giorno e l’ora significa che non li farà conoscere, poiché interrogato dagli
Apostoli non li volle rivelare […] Anche il Figlio conosce il giorno del giudizio, non solo secondo la
sua natura divina ma anche nella natura umana… Se Cristo uomo sa come deve giudicare, a
maggior ragione deve sapere qual è l’epoca del giudizio, che è cosa meno importante»
c) Il Mediatore santo
La mediazione di Gesù Cristo ha il solo scopo di unire gli uomini a Dio compiendo la loro santificazione
La grazia di unione, che rende Cristo Mediatore, è anche l fonte della sua santità
Quando parliamo della santità di Gesù Cristo non ci riferiamo alla santità del Verbo, essenzialmente santo
perché tutt’uno con il Padre e lo Spirito Santo, bensì ci riferiamo esclusivamente a Gesù in quanto
uomo – ci occupiamo quindi della divinizzazione della sua natura umana
Esiste in Cristo una triplice grazia:
1) La grazia di unione – l’unione ipostatica considerata nel suo aspetto di dono o grazia all’umanità di
Gesù
2) La grazia abituale (o santificante)
3) La grazia capitale – la grazia che Egli possiede in quanto Capo di tutto il genere umano
Ma perché dobbiamo parlare di grazia abituale in Cristo, se Egli ha già la grazia di unione?
Nonostante l’unione ipostatica, per mezzo, della quale il Verbo si unisce intimamente alla natura
umana, tale natura non è stata modificata nelle sue qualità, e perciò deve essere elevata all’ordine
soprannaturale mediante la grazia
Tuttavia bisogna ricordare che il soggetto di questa santificazione accidentale per mezzo della
grazia è il Verbo, cioè la santità infinita, nella sua natura umana
c) La grazia di unione
San Tommaso: la grazia è una partecipazione della creatura razionale alla divinità
Per mezzo dell’Incarnazione, la natura umana di Cristo è stata elevata a un’unione con la divinità, nella
Persona del Verbo, superiore a qualsiasi altra e dunque la grazia di unione costituisce per Cristo il
più grande dono che Egli abbia potuto ricevere
San Tommaso: la grazia di unione è lo stesso essere personale che, per grazia divina, è dato alla
natura umana nella persona del Verbo, ed è il termine dell’assunzione
Grazie a questa unione l’uomo Gesù, cioè la natura umana di Gesù ipostatizzata dal Verbo, essendo
persona in e per mezzo del Verbo, non riceve una filiazione adottiva, ma il Figlio naturale del Padre
Per esprimere questa santità, si è soliti impiegare l’espressione santità sostanziale. Infatti, non si può
essere più uniti a Dio, né appartenere di più a Lui, che essendone i figli naturali
Gesù, Figlio di Dio per natura, è sostanzialmente santo anche nella sua natura umana. La sua umanità è
santa, perché è l’umanità del Verbo. Per questa stessa ragione, Gesù è degno di adorazione
anche nella sua umanità, sostanzialmente santa, della stessa santità di Dio
La santità che il Verbo comunica all’umanità assumendola in unità di persona si chiama sostanziale,
proprio perché la natura umana non si unisce al Verbo accidentalmente, ma sostanzialmente
La grazia di unione postula l’esistenza della grazia abituale, che santifica accidentalmente, e della
gloria come ultima perfezione dell’unione operativa con Dio
Gli scotisti sostenevano che l’unione ipostatica santifica l’umanità di Cristo solo nel senso che è il
fondamento, la fonte e la radice della sua grazia abituale, tanto da rendere necessario il dono di
questa grazia a Cristo. La grazia di unione, quindi, non santificherebbe formalmente l’umanità di
Cristo, ma solo fontalmente, in quanto richiederebbe poi la grazia abituale
Secondi i tomisti, invece, l’umanità di Cristo è santificata dalla grazia di unione non solo radicaliter, ma
anche formaliter: la grazia di unione è sufficiente a rendere l’umanità di Cristo propriamente santa
a prescindere dalla grazia abituale; la grazia di unione conferisce a Cristo l’impeccabilità
Ci sono tre ragioni classiche a favore dell’esistenza della grazia abituale in Cristo:
a) La prossimità dell’umanità di Cristo alla fonte della grazia, il Verbo, rendeva molto conveniente che
ricevesse da Lui l’influsso della grazia
b) L’anima di Cristo, per la sua vicinanza al Verbo, doveva raggiungere Dio il più intimamente
possibile per mezzo delle sue operazioni di conoscenza e di amore, il che richiedeva la sua
elevazione ad opera della grazia
c) Cristo in quanto uomo è Mediatore tra Dio e gli uomini e Capo di tutti i santi, con una capitalità
nella quale si compie quanto è scritto (Gv 1,16): dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e
grazia su grazia. Perciò era necessario che possedesse la grazia che doveva ridondare sugli altri
Cristo ebbe tutte le virtù in forma conveniente alla sua perfezione di Figlio e alla sua missione di Redentore
Alcune di esse, come la sua fedeltà e l’obbedienza al Padre, la sua carità e misericordia, sono
state chiaramente descritte nel Nuovo Testamento
Altre virtù, quelle esclusive dello status viatoris come la fede e la speranza, o quelle che presuppongono
un’imperfezione, come la penitenza, non sono formalmente presenti in Cristo, ma quel che di
perfetto è presente in loro viene da Lui in una perfezione superiore
Essendo il Verbo incarnato, Cristo non poteva sperare per la sua umanità quel che aveva già per natura,
l’unione con Dio. Invece sperava quel che non possedeva durante il suo cammino terreno (es. la
glorificazione del corpo). Cristo non ebbe formalmente la virtù della penitenza perché era
impeccabile
In Cristo sono presenti in forma eccelsa tutti i doni e i frutti dello Spirito Santo (cfr. Is 11,2 e Gal 5,22),
compreso il dono del timor di Yahvé
Vi furono in Cristo anche tutte le grazie gratis datae e tutti i carismi, come si conviene al «primo e principale
Dottore della fede»
d) La grazia capitale
La grazia è stata donata a Cristo non solo in attenzione alla sua dignità di Figlio, ma anche a motivo della
sua missione di nuovo Adamo e Capo della Chiesa, per santificarla
San Tommaso: l’anima di Cristo possiede la grazia in tutta la sua pienezza. Tale eminenza di
grazie le permette di comunicare la sua grazia agli altri; in questo consiste precisamente la grazia
capitale. Pertanto, la grazia personale che giustifica l’anima di Cristo è essenzialmente la stessa
che gli conviene in quanto Capo della Chiesa e principio giustificatore degli altri; ci è solo una
distinzione di ragione
La grazia abituale di Cristo, in quanto è fonte e causa di ogni grazia che gli uomini ricevono, si chiama
grazia capitale
Ma non vuol dire che la grazia che si dà agli uomini sia materialmente la stessa grazia abituale di Cristo
«come la trasfusione di un’entità corporea», ma che tutti siamo amati da Dio in Cristo, che ogni
grazia ci viene data in Lui e per mezzo di Lui: Egli è la causa strumentale, instrumentum
conjunctum, della nostra santificazione
San Tommaso: dato che si sta parlando della grazia creata bisogna dire che sotto questo aspetto la grazia
non si può dire infinita in Cristo sia a motivo del suo essere creaturale, sia a motivo dell’essere
creaturale dell’anima di Cristo. Si può dire invece che è infinita, se si considera la grazia in quanto
tale: in tal senso, Cristo possiede una grazia infinita «perché possiede tutto ciò che può rientrare
nel concetto di grazia senza alcuna restrizione»
Perciò generalmente la teologia ha ritenuta che Gesù Cristo possedesse la pienezza di grazia fin dal
momento del suo concepimento, poiché già in quell’istante era Figlio naturale di Dio e nuovo
Adamo. Ciò implica tuttavia due conseguenze:
a) Cristo possedette la visione beatifica fin dal momento del concepimento
b) Cristo non potè crescere in grazia durante la sua vita
Ma cosa facciamo con Lc 2,52 («Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini»)?
San Tommaso: Si può progredire in sapienza e grazia in due modi: sia perché crescono le
capacità di sapienza e grazia, e in tale senso Cristo non progrediva; sia perché si realizzano opere
più sapienti e importanti, e in questo senso Cristo cresceva in sapienza e in grazia come anche
cresceva in età, poiché nella misura in cui cresceva in età, realizzava opere più perfette,
manifestando così di essere un vero uomo sia nelle cose di dio che in quelle umane
Pietro Lombardo, san Bonaventura, san Tommaso e Suarez ritengono che l’impeccabilità derivi dall’unione
ipostatica e che pertanto sia assoluta e preceda ogni altra grazia
Scoto – ritiene che Cristo sia impeccabile, ma non a causa dell’unione ipostatica bensì a motivo della
Provvidenza divina e della visione beatifica, che anch’egli attribuisce a Cristo fin dal momento del
suo concepimento
Come si può dire che Cristo fosse assolutamente impeccabile in ragione della sua stessa Persona, e che
allo stesso tempo possedesse un’autentica libertà umana?
San Tommaso: il peccato non è prova della realtà della natura umana, poiché non ne è un
elemento costitutivo, dato che essa ha Dio per causa; anzi, fu introdotto contro la natura da un
seme del diavolo, come dice il Damasceno
Il peccato non perfeziona la libertà, né è conforme alla sua natura, benché sia segno che l’uomo è
libero. L’essenza della libertà sta nel modo di volere: nel volere senza che la volontà sia mossa
altro che da se stessa. Poiché il bene è l’oggetto proprio della volontà, non c’è contraddizione tra
l’essere libero e il non poter scegliere il male: anzi, proprio lì è la perfezione della libertà
La libertà di Cristo è una verità di fede, tra l’altro perché ce lo attestano i Vangeli, e anche perché senza di
essa Egli non avrebbe potuto obbedire
Franzelin – Cristo non ricevette l’ordine tassativo di morire, ma solo un consiglio che Egli era libero di
seguire oppure no
Lugo e Vásquez – Cristo ricevette un vero ordine di morire, ma era libero di scegliere le circostanze della
sua morte
Tomisti, salmaticensi e Bellarmino – Cristo ricevette un vero ordine, a cui obbedì con libertà impeccabile
g) Le tentazioni di Cristo
A causa dell’unione ipostatica, Cristo era essenzialmente impeccabile, e per ciò stesso egli non conobbe
neanche il fomes peccati, cioè il disordine introdotto nell’uomo dal peccato originale. Di
conseguenza, Cristo non sperimentò la tentazione ab intrinseco, cioè dall’interno
Ciò non significa però che nell’anima e nella carne di Cristo non c’è il desiderio delle cose buone e
il rifiuto di quelle nocive, o che Cristo non sentisse le passioni umane
Cristo ha fatto l’esperienza della tentazione. Non si tratta di una tentazione ab intrinseco, cioè sorta dal
proprio disordine interiore, ma ab extrinseco, cioè proveniente da fuori, senza per questo essere meno
reale, o autentica