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DISPENSA DI PSICHIATRIA

E PSICOLOGIA CLINICA

Appunti di lezione
I DISTURBI DELL’UMORE
Il sistema di classificare i disturbi mentali è cominciato al termine dell’Ottocento quando uno
psichiatra tedesco Emil Kraepelin distinse tra demenza precoce e psicosi maniaco depressiva. La
distinzione era legata al decorso del disturbo, che nel caso della demenza precoce è cronico e
progressivo nel termine di compromissione della personalità dell’individuo in età molto precoce tale
per cui era impossibile che questo potesse mantenere un livello di vita congruo alla propria età, al
proprio ambiente di provenienza ed allo stato sociale; nel caso della psicosi maniaco depressiva si
ha un andamento ciclico con episodi di malattia intervallati da periodi di benessere non associati ad
un decadimento delle prestazioni del soggetto e della sua capacità di mantenere un certo livelo di
vita in base ai presupposti prima elencati. La dicitura ‘’maniaco-depressiva’’ deriva dal riscontro
di oscillazione dello stato clinico del paziente tra due polarità rappresentate da fasi depressive e fasi
maniacali, con caratteristiche cliniche e sintomatologiche completamente opposte. Il termine
‘’psicosi’’ indicava la particolare gravità del disturbo. Con il tempo si sono sviluppate delle
dicotomie quasi antitetiche con cui si è tentata una sistematizzazione delle sindromi depressive:

Con l’avvento del pensiero freudiano si è cercato di distinguere la depressione in base all’origine
della stessa, se traesse origine da alterazione endocrine o metaboliche oppure da un conflitto di tipo
psichico (depressione somatogena o psicogena). Sempre sulla stessa scia della scuola freudiana

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deriva la distinzione tra depressione psicotica e nevrotica, dove per psicotica si intendeva un
disturbo grave al punto tale da compromettere la percezione della realtà da parte dello stesso
individuo e da fargli vivere esperienze deliranti. Successivamente la distinzione tra depressione
endogena e reattiva che imponeva una dicotomia tra eziologie: l’una prevedeva fattori eziologici
endogeni, avulsi dalla realtà in cui si relazionava il paziente, mentre l’altra indicava un’eziologia
dipendente da fattori scatenanti. In seguito, si è cercato di distinguere le manifestazioni in due maxi-
categorie aspecifiche: depressione primaria e secondaria, dipendentemente dal tempo di
insorgenza (p.e. una depressione sarebbe primaria se è la prima manifestazione clinica, se segue
altre manifestazioni, è secondaria –come la depressione sviluppata a seguito di un disturbo d’ansia,
solitamente più presente nelle donne giovani tra i 22 ed i 23 anni-). Data l’impossibilità di ricercare
delle cause effettive per i grandi disturbi psichici quali depressione, schizofrenia, ecc. si è preferito
eliminare dalla sistematizzazione degli stesso ogni denominazione e criterio che facesse riferimento
all’eziologia degli stessi disturbi, preferendo mantenerne una basata sulle manifestazioni cliniche
dei pazienti, con la distinzione tra depressione bipolare ed unipolare, dove in un paziente si
riscontrano solo fasi depressive (depressione ricorrente).

Se vi doveste confrontare con dei colleghi ginecologi in merito alla depressione post partum o
durante la gravidanza, ciò che vi verrebbe richiesto sarebbe di stabilire il limite tra normalità e
patologia. Per definizione dovremmo definire come patologico qualcosa che non ritrova delle
spiegazioni, ma non sempre è così. Un esempio pratico è nella neo mamma sofferente di insonnia,
senza sostegno della famiglia perché trapiantata in un posto lontano dalla sua terra d’origine, che
comprensibilmente può avere delle difficoltà. Se questa si lancia dalla finestra con in braccio la
figlia come la mettiamo? Dal 2004 al 2007 sono morte 98 donne negli ospedali dell’Emilia
Romagna per condizioni correlate al parto o alla gravidanza di cui 19 sono morte suicide. Quindi
ciò che noi spieghiamo, comprendiamo è sempre normale? Ciò che prima era normale e/o
spiegabile diventa improvvisamente patologico al momento dell’atto suicidario? Si ammetterebbe
che ci sia un passaggio repentino tra normalità e patologia, con l’ammissione ulteriore dell’esistenza
dei cosiddetti raptus. I raptus però non esistono. Dietro ad un esordio anche drammatico vi è un
disturbo. Per disturbo intendiamo una condizione a cui corrispondono certe manifestazioni cliniche,
con una certa durata ed a causa di queste manifestazioni si comprometta la capacità di svolgere
adeguatamente le attività quotidiane da parte del soggetto colpito. Posto che l’umore abbia un tono
basale, si possono avere fasi di malattia sul versante depressivo e fasi di malattia sul versante
maniacale oppure sono fasi depressive o solo fasi maniacali. Potrebbe esserci una classificazione di
tali disturbi per la durata della sintomatologia e che quindi distingue fatti acuti da quelli cronici. Per
evento cronico intendiamo delle manifestazioni presenti per almeno 2 anni nel soggetto.

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Nel caso della depressione maggiore e del disturbo dell’adattamento possono avere raramente una
durata così prolungata, sono disturbi cronici per antonomasia la distimia e la ciclotimia.

Depressione maggiore ricorrente vuol dire che quel soggetto ha solo manifestazioni depressive, è un
paziente che non scivola dalla parte opposta come nel caso del disturbo bipolare. Quindi se io avessi
un episodio depressivo questo potrebbe essere una manifestazione iniziale di una depressione

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maggiore ricorrente o la prima manifestazione di un disturbo bipolare, in questo caso però ho
bisogno di una fase maniacale e fino a quando non ce l’ho non posso fare diagnosi di disturbo
bipolare anche se questa possibilità è presente. Pensate che si considera che circa il 15-20% di quei
soggetti che fino a quel momento sono dei depressi maggiori ricorrenti possono diventare dei
pazienti con disturbo bipolare perché si manifesterà un episodio maniacale. Il disturbo bipolare può
essere distinto in Tipo I e Tipo II, questa è una distinzione che è stata apportata recentemente e che
ha a che vedere con la gravità della fase maniacale.

Tenete presente che questo è un grafico fatto solo a scopo didattico perché in realtà la fase
maniacale è molto più breve di quella depressiva. La convessità della fase maniacale può essere più
o meno accentuata, quella più alta indica che i sintomi sono talmente intensi che è inutile cercare la
collaborazione del paziente per il trattamento, anche perché questi pazienti in questa fase non sono
mai stati così “bene” e ovviamente rifiutano ogni tipo di trattamento cosicché per curarli bisogna
legarli come salami e portarli in trattamento sanitario obbligatorio al servizio psichiatrico. Se invece
la convessità è molto più bassa, quindi i sintomi sono molto più lievi, si può contare sulla
collaborazione del paziente. Nel primo caso abbiamo un disturbo bipolare di tipo I mentre nel
secondo caso si parlerà di un disturbo bipolare di tipo II. Il paziente con disturbo bipolare di tipo I il
periodo di malessere se lo passerà molto più frequentemente in fase depressiva piuttosto che in fase
maniacale. Nel disturbo bipolare di tipo II gli episodi depressivi sono molto più frequenti rispetto a
quelli del tipo I. In altri termini il disturbo bipolare ha tutte e due le manifestazioni ma l’episodio
depressivo è molto più frequente rispetto a quello maniacale e ancor di più a quello ipomaniacale.
Quindi se paragoniamo il disturbo bipolare alla divina commedia, considerando la fase depressiva
come i canti dell’inferno e la fase maniacale come i canti del paradiso, nel bipolare I avremo che un
canto del paradiso corrisponde a due- tre canti dell’inferno, nel bipolare II un “cantino” del paradiso
corrisponde anche a dodici-tredici canti dell’inferno. Esistono dei farmaci (stabilizzatori
dell’umore) che sono più deboli nei confronti delle fasi maniacali quindi è giusto utilizzarli nel
bipolare di tipo II. Uomini e donne pareggiano nel bipolare di tipo I, dove abbiamo un rapporto 1 a
1, nel bipolare II invece abbiamo 1 uomo contro molte donne, questo è molto più simile a quello
che avviene nella depressione maggiore ricorrente dove è più frequente che venga colpito il sesso
femminile. Quindi alcune domande d’esame potrebbero essere quante forme depressive conoscete?
Quanti disturbi bipolari conoscete?. Un paziente con disturbo bipolare che possibilità ha di avere
una vita normale? Il paziente in fase maniacale è una specie di tsunami, butta per aria il suo nucleo
familiare tant’è che le prime avvisaglie ve le segnalano i familiari, però se questo è deleterio per il
paziente lo sono anche le fasi depressive. Un paziente in fase depressiva va trattato con i guanti
perché è il paziente con il più alto rischio di suicidio infatti, dal 10 al 15% dei pazienti con disturbo
bipolare si suicida in fase depressiva. Quindi è chiaro che meno frequente è il numero di episodi e
ovvio è che il paziente può condurre una vita adeguata, il disturbo bipolare si caratterizza per un
alto numero di episodi, di qualunque tipo, rispetto alla depressione maggiore ricorrente. Un paziente
con disturbo bipolare fino all’ultimo giorno di vita può avere una ricaduta, quello che noi vogliamo
ottenere quindi nel disturbo bipolare è far si che il paziente abbia meno fasi di malattia, ecco perché
ci interessa moltissimo più una terapia di prevenzione piuttosto che la cura della fase in quanto tale,
ovviamente è chiaro che nel paziente in fase depressiva a rischio suicidio ci interessa anche la cura.
Il paziente, con l’augurio che non abbia un disturbo ad alta frequenza, va invitato quindi a condurre

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una vita normale. Bipolare è un ex presidente della repubblica (Cossiga), ma anche Sting, Virginia
Woolf, Gassman, Montanelli, Guccini. Questo aiuta il paziente ad avere l’idea che se è vero che il
disturbo bipolare non è come fratturarsi un arto, è altrettanto vero che come per chi si frattura l’arto
il gesso lo dovrà portare per un certo periodo, lui avrà dei periodi della propria esistenza in cui avrà
una fase depressiva e una fase maniacale ma questo non deve occludere la possibilità che nelle fasi
intervallate lui possa fare la sua vita e possa fare una vita più normale possibile. Quello che noi
cerchiamo di insegnare è cercare di prevenire il più possibile comportamenti che tendono a
scompensare l’equilibrio del paziente e soprattutto a cogliere le prime manifestazioni, un sintomo è
quello ma dipende come il paziente lo vive. Per esempio l’insonnia di inizio convessità è l’insonnia
che noi potremmo definire come “chi dorme non piglia pesci”, non posso dormire perché ho tante
cose da fare e se non le faccio il tempo fugge, il tempo se ne va, perdo le occasioni e poi dormo
meno ma non sono stanco, nella fase concava (depressione) il soggetto va a letto dorme e dopo due
ore si sveglia e pensa: ‘Domani come sarà? Ce la farò?’, parliamo d’insonnia ma lo stato d’animo è
differente.

SINDROME DEPRESSIVA MAGGIORE


È noto che a volte i pazienti depressi sono talmente inibiti che non riescono neanche a suicidarsi.
Questo è vero, succede che il paziente è talmente inibito che addirittura non riesce neanche a
piangere. Questo si riferisce soprattutto al discorso dell'inibizione, più che altro motoria per cui io
non riesco neanche a lanciarmi dalla finestra e neanche ad alzarmi per fare questo.
Questi sono i criteri per quanto riguarda questo disturbo che viene definito “depressione maggiore”
in cui l'aggettivo maggiore tende a contrapporsi a quella minore ma fondamentalmente se volete è
una forma depressiva di gravità tale per cui (e qui ritorniamo al concetto di disturbo) la vita di quel
soggetto non è più la stessa rispetto a prima.
E qui si vedono riproposti i criteri a proposito dei disturbi: devono essere presenti alcuni sintomi, i
sintomi devono risultare tali per cui la persona non fa più la vita di prima. Sulla durata per
convenzione almeno 2 settimane.
Qui sarà bene che aprire una parentesi: 2 settimane era un criterio necessario per definire il tempo
però, gli episodi depressivi sono ben lontani da questa durata. Si giustifica questa affermazione
partendo da questo dato: ammettendo di essere tutti pazienti depressi, di avere avuto tutti un
episodio depressivo che ha avuto una durata. Quindi ha avuto un'insolvenza, ha avuto una
risoluzione e ciascuno dei pazienti ha la sua durata di malattia. Si può fare la media ma più che la
media, che è esattamente la somma diviso il numero complessivo dei pazienti, ci interessa la
cosiddetta mediana perchè se si avesse tra di loro persone con durate di malattia lunghissima (6
anni) la media risentirebbe profondamente di quei 2/3 casi che hanno durate estreme. Allora per
evitare questo si usa la mediana. Mediana vuol dire quel valore che divide il nostro campione in 2
parti numericamente uguali. Quindi se si calcola la mediana della durata dell'episodio depressivo, si
hanno 6 mesi (non 2 settimane). Cosa vuol dire avere una mediana di 6 mesi come durata di
episodio depressivo? vuol dire che se i pazienti sono 100, il 50% del campione ha una durata

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inferiore ai sei mesi/da 2 a 6 mesi) ma l'altro 50% ha una durata di episodi che va oltre i 6 mesi. E si
possono avere tra i disturbi cosiddetti cronici, anche la depressione maggiore. Tra questi i pazienti
che ne sono affetti hanno episodi che durano anche altre 2 anni. Quindi se qui 2 settima è un criterio
temporale minimo, la realtà o quello che avviene nella pratica è ben superiore a queste 2 settimane,
quindi almeno circa 24 settimane. Tenete quindi presente che parliamo di una condizione che ha
una durata prolungata.
Questo è stato un sistema messo a punto, più che per la pratica clinica, per permettere a chi faceva
ricerca di selezionare campioni di pazienti che avessero lo stesso disturbo, perchè si avevano dei
campioni assolutamente disomogenei. Per cui il tentativo era di scegliere, almeno per i disturbi
sulla depressione maggiore, pazienti che sono simili..stati uniti, africa, cina etc etc. Poi purtroppo se
ne è fatto un cattivo uso perché oramai questo viene usato nella pratica clinica, per la formazione
degli studenti, formazione degli specializzandi. La realtà è diversa e più complessa.

Per quanto riguarda i sintomi:


1) umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno;
2) marcata diminuzione di interesse o piacere per tutto quasi tutte le attività;
3) significativa perdita o aumento del peso, oppure appetito;
4) insonnia o ipersonnia;
5) agitazione o rallentamento psicomotorio;
6) faticabilità o mancanza di energia;
7) sentimenti di autovalutazione o di colpa inappropriati o eccessivi;
8) diminuita capacità di pensare o di concentrarsi o forti indecisioni;
9) pensieri ricorrenti di morte, ricorrente ideazione suicidaria o tentativo
suicidario;

Per definizione un paziente è affetto da depressione maggiore , se ha almeno 5 di questi sintomi.


Occorre però fare una precisazione: che questi 9 sintomi non hanno tutti la stessa importanza.

Perchè 5 o più sintomi di cui uno deve essere o l'1 o il 2 . Il che vuol dire che fra questi 9 sintomi c'è
una specie di gerarchia in qui quelli più rilevanti: sono l'umore depresso per la maggior parte del
giorno, oppure marcata diminuzione di piacere per quasi tutte le attività.
Vorrei farvi notare una cosa: io ho la possibilità che, in base a questa definizione ,un paziente
definito depresso maggiore potrebbe non avere l'umore depresso. Perchè uno potrebbe solo avere la
marcata diminuzione di interesse e altri 4 o 5 . Direte, paradossale? Non è poi così paradossale
perchè in passato si ammetteva l'esistenza di quadri depressivi “sine depressione”. In cui non è che
si dicesse che il paziente era allegro o il suo umore era perfettamente normale, ma che il quadro
clinico non era dominato dalla tristezza o dall'umore depresso. Ed erano altri i sintomi che
prendevano il sopravvento.

E' chiaro che io posso avere una varietà di costellazioni sintomatologiche abbastanza differenti e
una varietà di gravità molto più grande. Però più che una presentazione di questi criteri diagnostici,

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vorrei tornare più su un concetto di psicopatologia classica, cioè la mancanza di slancio vitale, o
quella che viene definita in termini psicopatologici la tristezza vitale.

Lo slancio vitale è ciò che abitualmente noi viviamo e che ci spinge a vivere o per cui si ha
interesse per qualcosa, un obiettivo , il provare piacere nel fare le cose e via dicendo.
Ed ecco il problema della cosiddetta tristezza vitale ( a proposito dell'umore, non è solo l'umore che
si altera nei disturbi dell'uomo. Quello che è lo slancio vitale , quello che oggi avete fatto con più o
meno sforzo, però l'avete fatto e sapevate che lo volevate fare, viene alterato). Più o meno
profondamente alterato e più o meno inglobante interessa i vari aspetti della nostra vita. E non è
soltanto il desiderio, è tutto quello che avete fatto oggi e che farete stasera etc etc. Per non andare
troppo lontano, sonno, appetito, desiderio.

Siamo anche abituati a non dormire bene. Siamo anche abituati a essere inappetenti però è una
condizione completamente differente, qualitativamente differente .Allora proviamo a pensare per
esempio , alla fine voi vi siete alzati e avete fatto le cose abbastanza meccanicamente, non è che vi
siete messi a pensare "adesso mi vado a lavare" lo fate. Più o meno sicuri, più o meno come dicono
gli inglesi "confident", cioè sentirsi a proprio agio nei propri panni, però le cose le faccio.
Se voi foste depressi niente è più la stessa cosa.

Vi faccio vedere un'immagine un po' forte però che rende bene. E' diventata famosa nel '63. Quella
è la famosa diga del Vajont, questo è il monte completamente franato dentro la diga, la diga ha
resisto e l'acqua superata la diga ha raso al suolo il paese. Immagine forte sicuramente, non tutte le
depressioni sono così, però un segno di quello che qui vedete rappresentato in modo molto forte lo
trovate poi in molti depressi.

Cosa succede? Quando si alza o si sveglia un depresso la mattina? Il depresso va a letto, si


addormenta, dorme 2/3 ore, non arriva alle 6/7 del mattino e incomincia già il suo patema. Perchè
dal primo giorno lui si rende conto che quello che prima veniva spontaneamente o ruotinariamente
non riesce più a farlo. Alzarsi , diventa difficoltoso, lavarsi diventa difficoltoso, mangiare è un
problema, dire "faccio una cosa perchè ho un obiettivo, perchè mi interessa farlo, è un problema,
fare una cosa perchè fa piacere è un problema e via così. Perchè è un problema? Perchè faccio fatica
ad alzarmi? Il "perchè" non è la casua di questa sua situazione che, torno a ripetere, non la
conosciamo o abbiamo solo ipotesi, ma è come il paziente vive la condizione, come lui la giudica,
come lui si sente.Cosa dentro di lui impedisce di alzarsi la mattina? Non è perchè quando mi alzo
alla mattina trovo inutile quello che farò, perchè questo presupporrebbe che la spinta ce l'ho.E'
un'altra dimensione che è quella del depresso, paziente che durante il trattamento lo si cura e lui ti
ringrazia dicendo che” però non serve a nulla”.

La giustificazione di questo è in un'altro vissuto del paziente depresso di cui parleremo, non è tanto
"non faccio niente perchè niente serve" .Il paziente depresso insiste nel sostenere “ E' inutile che voi
mi curiate perchè è effettivamente è inutile, per me non c'è nulla da fare”. Gli manca proprio la
spinta.
Per spiegare questo concetto ai pazienti si può pensare a questa immagine “Se nella sua autovettura

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non ha la benzina può fare di tutto ma dal garage lei non ci esce”. Qui manca effetivamente la
benzina che è quella famosa spinta/slancio che ci fa agire. Manca proprio, per cui se mi manca il
carburante la macchina non si muove. Prima cosa: quando la situazione è piuttosto problematica,
trascorronono molto tempo a letto, passano dal letto al divano. Il marito di una paizente ha detto "
quel divano lì fra un po' lo brucio, ha preso la forma di mia moglie”.Sono tipo l'animale ferito, ma
non stanno bene. C’è sempre questo senso di malessere li accompagna anche quando sono a letto.
C'è un'espressione ,su quello che diciamo, "non so dove fare il nido". Prima cosa: poca spinta, se
riesco a fare qualcosa,mi stanco con nulla. Faccio qualcosa e mi sembra come se la facessi la prima
volta, non so più come risolverla. Descrizioni per esempio della casalinga che si prepara a fare il
classico piatto di pasta e lei ti dice " ma sa che io sono rimasta mezz'ora con la pentola in mano non
sapendo risolvermi su che cosa fare". Prima faceva altre mille cose. Ma non è finita, perchè un'altra
cosa che impedisce di fare le cose, non è solo che uno non la motivazione, ma c'è anche che io non
provo più nessun piacere in quello che faccio”.

Veniamo a un'esperienza vicina a voi: " stasera non esco perchè non mi piace più ,non mi diverto
più" dico no una volta, dico no due volte, dico no tre volte e non posso dire sempre no, allora ci
vado”. Succedono diverse cose: primo ammettiamo che questa sia stata una persona piuttosto
socievole. Ora lo sguardo è perso , sembra in un altro mondo..e questo è un po' quello che traspare
all'esterno di questa sua condizione. E' estranea. Non è presa. Ma succede anche un'altra cosa: è
infastidita moltissimo dalla confusione, insofferente di non essere come gli altri che si
divertono, terrorizzata dal fatto che gli altri possano vedere in lei che non sta bene. Dopo 2
minuti vorrebbe già andare a casa ed è una sofferenza per lei rimanere lì. Se deve dire qualcosa
teme di sbagliare , questa indecisione a volte i pazienti ce l'hanno a tal punto che non rispondono.

Il cibo non è solo poco appetito. Il cibo non ha più sapore.


Tant'è che in genere, la stragrande maggioranza dei pazienti, associa questa mancanza di piacere per
il cibo a cali ponderali. Pazienti che in pochi mesi han perso 10/15 chili. In genere i due terzi dei
pazienti hanno inappetenza e calo ponderale (così vale anche per l'insonnia)

Funzioni cognitive. Il paziente a cui piace leggere o a cui piaceva leggere ha smesso di leggere non
solo perché gli manca la spinta, ma se anche legge non riesce a concentrarsi. Memoria in difetto.
Tant'è che ci sono pazienti di una certa età che han quasi l'impressione di avere un deterioramento
cognitivo e fare dei test di valutazione in pazienti depressi non dà nulla di significativo perchè
quello che noi troviamo potrebbe essere influenzato dallo stato psichico.

Tutto questo lo potete trovare appena accennato o estremamente grave.


Appena accennato diventa più facile considerarlo momento transitorio perchè sono sotto stress,
perchè ho eccessivo lavoro, allora per esempio la svogliatezza , l'insonnia , la stanchezza viene
proprio scambiato come segno mentre probabilmente potremmo essere nella famosa fase iniziale.
Ma se andiamo oltre e andiamo a gravità molto più alta trovate dei vissuti particolarmente
angosciati .Una delle alterazioni più angoscianti è il non provare nulla per le persone che ho
vicino. La mamma che ha il bambino piccolo e dice "io non provo nulla per il bambino" mi sento
completamente distaccata. Quello che in termine psicopatologico definiamo il sentimento di

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sentimento. Cioè io non provo più nulla però mi rimane questa sofferenza del fatto che non
provo più nulla. Non provo più nulla e io mi rendo conto che è qualcosa di anomalo. Per cui per
esempio facciamo un altro paragone, la casalinga che era abituata a tenere la casa in ordine e ha una
casa assolutamente inguardabile. “Non riesco a farlo ma ci sto malissimo perchè non posso vedere
la mia casa messa in questo modo”. Ne soffre ma non riesce perchè manca lo slancio e ne soffre
terribilmente al punto che poi si sente in colpa. Per cui anche la mamma non prova più niente. Tra
l'altro l'ha desiderato come non mai quel figlio e non prova più nulla, si sente quindi in colpa.

A questo se voi associate un particolare vissuto del tempo interiore , non tanto del tempo esterno
"che ora è"..lo sanno bene che il tempo passa e sanno bene che c'è un passato presente futuro..però
se voi confrontate quello che è il vissuto del tempo cronologico e quello che è il loro vissuto del
tempo interno, della loro esperienza, la cosa è completamente diversa. A cosa ci si riferisce? Il
paziente depresso, è sempre rivolto all'esperienza che ha fatto nel passato.. e guarda caso sono
tutte esperienze vissute come una colpa che incombe sul presente. Una paziente che ha
sessantaquattro anni che a distanza di trent'anni si sta ancora colpevolizzando per una relazione
extraconiugale col suo datore di lavoro. Quindi il passato non è trent'anni fa per questa paziente, il
suo passato è pesantemente presente adesso. E' come se si riattualizzassero per cui non sono
successe negli anni '70 ma è come se fossero successe ancora e ancor oggi ne paga le conseguenze.
E questa è un'esperienza che nei pazienti fa vedere che vanno a riprendere tutto il passato..Non è
finita però, perchè l'aspetto più grave è su quello che succede nel futuro, è chiaro che ci sarà il 2014
etc etc..lei avrebbe ancora in media 47 anni di vita..lei sa questa cosa però come sono questi 47 anni
di vita?...non c'è più nulla da fare, non c’ è futuro.
Si trovano in una condizione per cui non c’è rimedio.
Per cui la mancanza di futuro non è legata al tempo cronologico ma al fatto che la condizione non
sarà modificabile. Se la paziente sta male ora, continuerà ad esserlo per il prossimo futuro.
Se gli anni futuri non sono altro che un riproporsi dell’oggi, che soluzione rimane?
Se ne vede solo una. Invece di aspettare la morte che arrivi da sé, è preferibile anticiparla e trovare
una via di fuga da una soluzione immodificabile. Se viene anticipata si riesce a risparmiare anni di
sofferenza.

Un’altra valutazione importante è per le persone più vicine. Il figlio della paziente depressa dovrà
vivere senza il genitore, anche lui si troverà nella stessa condizione di tristezza, quindi è preferibile
risparmiare anche a lui lo stesso futuro. E’ nota a tutti la scena della madre che si suicida insieme al
figlio. E’ atto di egoismo?
Il paziente depresso che prima di suicidarsi uccide tutta la famiglia e poi riesce a salvarsi quasi
miracolosamente: al suo risveglio ammette che il suo gesto era stato dettato dall’amore per la sua
famiglia.”Io l ho fatto solo per amore” …” Volevo far risparmiare a loro ciò che io ha dovuto
vivere”.
Pensare anche al paziente a cui sia diagnosticato un tumore. Il senso di ineluttabilità della loro
condizione, perché non c’è nulla che può cambiare.
Si ricordi della classica sintomatologia delle crisi suicidarie a distanza di dodici-tredici anni.
Il paziente per ben due volte fa esperienza, che mentre è depresso, è deciso di uccidersi.
Per ben due volte si riprende dalla crisi e apparentemente sta bene. Dopo due anni viene trivato

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morto. La terza esperienza di malattia è determinante per convincerlo che la vita sia finita e che la
sua patologia sia incurabile. In un ipotetico colloquio con il paziente, il medico si chiederebbe
perché le altre due volte di tentato suicidio non sono state definitive come nella terza esperienza.
Questo perché quando nella mente del depresso scatta il meccanismo della incurabilità della propria
malattia, allora non si può arrestare.
Anche se si sono gia anche vissute altre esperienze, questa volta è davvero diversa dalle altre. Il
10% dei depressi maggiori perché dovrebbe spararsi se ci fosse un’alternativa?

Ultima esperienza clinica: ufficiale della Folgore che dopo un’intera vita vissuta al servizio dei Parà
si ritrova in pensione, solo, senza famiglia, se quella militare. Era chiaro che la sua vita era finita lo
stesso giorno del distacco dalla carriera militare. Esperienza, quella dell’ex ufficiale fatta di tentativi
ripetuti di suicidio, mai conclusisi con la morte. Dopo essere stato seguito in clinica e ricoverato e
avere mostrato un certo grado di ripresa e di slancio, inaspettatamente, arriva la notizia della triste
morte pianificata alcuni mesi prima dal paziente stesso. Questo a dimostrare che sono proprio nei
periodi di ripresa che i pazienti depressi trovano la forza di pianificare il loro suicidio e proprio il
pensiero della prossima morte è la causa dello loro apparente slancio di vitalità, ben lungi
dall’essere un segno di guarigione dalla depressione e sollievo dal loro tormento.
Il paziente bipolare è capace in alcuni casi di rendersi conto del momento preciso in cui ci si
ammala e si guarisce. E sarà anche in grado di riferirlo al medico. questa è una grande differenza
con il depresso maggiore.

PSEUDO-DEMENZA:
compromissione funzioni cognitive,” pseudo” perchè poi, una volta trattato lo stato depressivo,
regrediscono

Criteri diagnostici della Depressione:


 riduzione delle funzioni cognitive;
 tutta la loro vita è rallentata (camminano, parlano molto lentamente, rispondono a
monosillabi, in un colloquio mantengono la stessa posizione per tutto il tempo, nessuna
espressione del volto);
 chiediamo cosa pensano, riferiscono di avere la testa vuota, “non ho più pensieri”;
 inibizione psicomotoria(caratteristica della depressione nel disturbo bipolare) molto
caratteristica depressione maggiore alla luce degli ultimi criteri diagnostici, non tipica nella
distimia;

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Pensiero, distinguiamo due aspetti:
Aspetti formali: cosa cambia rispetto al corso del pensiero che avviene normalmente, soprattutto
emerge se il pz migliora e quindi riesce a fare un raffronto rispetto a prima: pensieri diminuiti, più
lenti, monotoni

Aspetti di contenuto: quello che definiamo come delirio(dal tino, esco dal solco)

Il solco è il giudizio che ciascuno di noi ha della realtà e è ciò che appare immediatamente e fa parte
del senso comune. L’alterazione nasce e si genera dall’alterazione dell’umore

Delirio olotimico: è connesso strettamente con l’alterazione dell’umore che ci permette di


comprendere in termini di determinismo come mai il soggetto è arrivato a sconvolgere la realtà

Episodio depressivo in donna gravida: “sarò una cattiva madre, ho una cattiva placenta, non lo
posso allattare, crescerà male, sono una cattiva madre”

Depressione è terreno favorevole per sviluppo di delirio (è inutile discutere, non ascoltano, sono
convinti, le rassicurazioni per i nostri pazienti sono come le bugie)

Depressione: non riesco a lavorare, piano piano si instaura il delirio di rovina

Paziente dice “ho fistola tra esofago e laringe, sento odore di putrefazione quindi ho questa fistola,
se mi fate una lastra ve ne accorgerete anche voi, vedrete cavità di cibo putrefatto”, spesso pz danno
descrizioni del proprio corpo in questo modo; altra paziente si è tagliata profondamente da recidersi
i tendini con coltello da cucina, sangue fatto sgocciolare su uno strofinaccio. Il problema è che non
esiste un raptus, è nato alcuni mesi prima partendo da un dato di fatto: a 60 anni ha avuto crisi
epilettica e un’altra, non si è capita la causa. In lei si è insinuato il dubbio anzi la certezza che la
causa fosse tumore cerebrale perciò piuttosto che arrivare al calvario di un pz neoplastico decide di
“farla finita” risparmiando così tempo che le rimane da vivere che sarebbe di sofferenza. Dopo la
crisi epilettica ha iniziato a diventare depressa, tutto viene enfatizzato e aumentato.

Esempio classico del depresso: non mangio dimagrisco, dimagrisco non perché non mangio ma
perché ho un tumore.

Il tessuto somatico è quello che richiama l’attenzione dei medici, si perde di vista l’origine di tutte
le alterazioni, la depressione determina comparsa di deliri di colpa, deliri di rovina(non riesco a
lavorare), deliri somatici(di solito più frequenti nell’anziano(tipico perché perde più facilmente
controllo del corpo).

Paziente accetta il ricovero in psichiatria perché sta male, non perché si rende conto di avere un
problema.

MAI ANDARE A DISCUTERE CON IL PAZIENTE, SI CURANO (depressivi+antipsicotici),


tutto ciò che dici viene usato per portare acqua al mulino del delirio, non si discute nulla!!

Da queste cose poi si guarisce

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Anni ’70: psichiatri europei e americani si trovano per cercare concordanza tra le diagnosi fatte e la
cosa che emerge è che americani diagnosticavano schizofrenia più frequentemente degli europei,
per loro bastava un sintomo psicotico per dire che il pz era schizofrenico, molti schizofrenici degli
americani erano disturbi dell’umore per gli europei.

Altro esempio:

Paziente che non dice nulla poi a un certo punto le scappa “devo essere bruciata come una strega”
quindi ha commesso qualcosa, lascia così intendere che sotto al suo malessere c’è uno stato
depressivo.

Esperienza di telepatia, sento una voce che commenta le cose che faccio, sono sintomi in comune
depressione e schizofrenia, devo valutare se sono presenti o meno delle alterazioni dell’umore.

Altra specificazione della depressione maggiore dove quello che è in primo piano è la
CATATONIA (non facile da schizofrenia catatonica), le manifestazioni sono di una gravissima
inibizione psicomotoria, pz non si muove, se uno entra nella stanza non lo guarda, non si alimenta,
se gli prendo e alzo un braccio sento una resistenza che in modo costante cede alla forza che io
applico, a un certo punto mollo la trazione, il braccio rimane sollevato tant’è che veniva definito “la
flessibilità della cera”.

Più frequente trovare catatonie da disturbi dell’umore, soprattutto bipolare, rispetto a schizofrenici
catatonici.

EPISODIO MANIACALE
Persona che può fare di tutto e di più, non ha limiti, è totipotente, energia enorme, irrefrenabile, se
fermati diventano decisamente aggressivi

Esempio: pz ricoverato scappa dal reparto, si mette il camice e va a fare il giro visite

Pz che in una notte in auto ha fatto 800 km

Pazienti che comprano tantissimo senza alcuna necessità, non possono lasciarsi sfuggire l’occasione
della vita. Il cambiamento di fase di un pz si notava con il cambio dell’orologio.

Loro si sentono nel paradiso terrestre e noi siamo malvisti perche li vogliamo portare via da questo
paradiso.

Nella fase depressiva pz in brevissimo tempo si lanciano dal trampolino della depressione ma è
anche vero che risorgono altrettanto rapidamente, quindi necessità di correre rapidamente ai ripari.

Sono persone irriconoscibili, nella fase eutimica sembrano le persone più buone e miti del mondo,
ricordano poco se non nulla della fase maniacale.

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Tipico paziente è facilmente distrai bile, perdita del senso del pudore, parlano con tutti, sensazione
che il pensiero inizi ad accelerare(esattamente esperienza contraria del depresso), “insalata di
parola”(termine coniato, tipico dei casi estremamente gravi

Paziente che di solito si veste con colori e in modo sobrio, un giorno arriva in ambulatorio vestita
hawaiana, cappello di paglia…..

Se alla fase maniacale segue la fase depressiva, tutto quello che ho fatto nel corso della fase
maniacale alimenta i sensi di colpa.

Umore, corso del pensiero, attività motoria hanno la stessa alterazione o lo stesso senso
dell’alterazione sia nel corso della depressione che della fase maniacale.

Nella depressione, tutto in fase negativa o comunque in minus; un plus invece nella fase maniacale.
Il problema è che ci sono pazienti in cui fase mista, le 3 funzioni non concordi( per esempio, pz in
cui umore era espanso, la attività motoria elevata, il corso del pensiero ridotto, come nella
depressione).

Passaggio rapido(ore, caratteristiche simili a schizofrenia), sono presenti stati confusionali in cui
pensi a condizione cerebrale

Se uno non é abituato a pensare al disturbo bipolare pensa alla schizofrenia e la tratta come tale

DISTIMIA/DISTURBO DISTIMICO : è unipolare, quadro depressivo, cronico


Paziente dice “io sono sempre stato così, non sono mai stata bene”, possono star bene qualche
giorno ma non di più

Non particolarmente grave, le manifestazione catatoniche, psicotiche, non le troveremo mai, così
come non troveremo mai paziente con una fase opposta(per definizione “unipolare”)

Alcuni sintomi sono abbastanza analoghi a quelli che troviamo nella depressione maggiore però non
è mai la stessa qualità, no depressione vitale, mancanza di sentimento, anedonia del depresso, sensi
di colpa anzi in genere tendono più a lamentarsi di quello che gli altri hanno fatto a loro,
colpevolizzare gli altri, altri sintomi sono invece sovrapponibile

Spesso difficoltà ad addormentarsi, si tende ad avere peggioramento serale(anche se non sempre


così), nella depressione maggiore, invece, il soggetto va a dormire più volentieri perché la giornata
e i suoi compiti sono finiti.

È possibile che le due situazioni si sommino, “io non sono mai stata bene però adesso è diverso da
prima”, vuol dire che si è instaurato episodio depressivo, la cosiddetta depressione doppia.

CICLOTIMIA: stato cronico, analogo della distimia sul versante bipolare, non ha la concavità e
convessità fase depressiva e maniacale, è un oscillare di breve e modesta intensità rispetto alla linea
di eutimia.

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APPROCCIO TERAPEUTICO AL PAZIENTE PSICHIATRICO
Al fine di comprendere l’importanza delle varie tecniche di psicofarmacologia e di psicoterapia,
utilizzabili in ambito psichiatrico a seconda del caso clinico in questione ,il professore Marchesi ha
riportato un esempio clinico ,per non dire storico, inerente alla biografia di un medico nefrologo
americano di nome Osheroff.

Codesto Osheroff in seguito al fallimento del terzo matrimonio, iniziò a manifestare una
sintomatologia di natura ansioso-depressiva (correlata probabilmente ad un episodio depressivo
maggiore) per la quale gli era stata consigliata sia una terapia farmacologica che una psicoterapia
individuale. In seguito al mancato impegno nel rispettare tali approcci terapeutici, le condizioni
cliniche del medico progressivamente peggiorarono tanto che un suo collega gli propose di farsi
ricoverare a Chenest Lodge ,importante centro di psicoterapia. Osheroff accettò e fu quindi iniziata
una psicoterapia individuale ma dopo qualche mese il quadro sintomatologico anziché migliorare
peggiorò ulteriormente; tuttavia i medici continuarono con la psicoterapia. Dopo 7 mesi di ricovero
(senza alcun risultato) i familiari chiesero la dimissione allo scopo di far ricoverare il pz in altra
sede e precisamente a Silver Hill Foundation, celebre centro psichiatrico ad approccio
farmacologico. Iniziò così un trattamento con antidepressivi che condusse ad un significativo
miglioramento del quadro clinico dopo 3 settimane (tempo di latenza per l’effetto farmacologico) e,
successivamente, dopo 3 mesi, fu dimesso.

Osheroff ,in seguito al disagio lavorativo e sociale provocatoli dal lungo periodo di
ospedalizzazione, denunciò la struttura ad indirizzo psicoretapeutico “incolpandola” di non essere
stata in grado di riconoscere fin dall’inizio la gravità della sua sintomatologia e di non averlo
indirizzato fin da subito verso una struttura ad approccio farmacologico. Vinse la causa in relazione
al fatto che la clinica ad approccio psicoterapeutico non riuscì, a differenza della clinica ad
approccio farmacologico, a fornire dei dati statistici,clinici e sperimentali soddisfacenti per
affermare che, effettivamente ,in presenza di depressione maggiore severa l’approccio
psicoterapeutico poteva essere utile.

Concetti di base: il medico ha la responsabilità:


 di valutare globalmente il pz e di formulare una diagnosi appropriata;

 di comunicare al pz le conclusione della valutazione clinica, compresa la diagnosi;

 di fornire informazioni inerenti i possibili trattamenti (consenso informato);

 di utilizzare un trattamento efficace;

 di modificare il piano terapeutico o di richiedere un consulto se il pz non migliora;

N.B.: Nella depressione lieve ,invece, in alternativa al trattamento farmacologico anche la


psicoterapia fornisce buoni risultati.

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Trattamento farmacologico :
Nei pz non gravi trattati ambulatorialmente : La scelta dell’AD si basa sulle condizioni cliniche del
pz e sugli effetti collaterali del farmaco ( gli AD hanno tutti la stessa efficacia ma si differenziano
per gli effetti collaterali)

Nei pz gravi : Devo essere utilizzati gli AD tricicli (eventualmente in associazone ad una terapia
antipsicotica).

[Il professore premette di essersi accorto di non aver trattato l’aspetto eziopatogenetico della depressione,
perciò interromperà la spiegazione degli psicofarmaci per riprenderla successivamente nella medesima
lezione]

EZIOPATOGENESI DELLA DEPRESSIONE


In psichiatria non è possibile definire con precisione la causa di una patologia, tant’è che le
classificazioni utilizzate in questa disciplina si avvalgono dell’analisi non dell’eziologia, bensì delle
espressioni con cui si manifesta un disturbo.

Pur non conoscendo le cause, è possibile individuare i fattori di rischio, ovvero gli elementi che
rendono un individuo maggiormente suscettibile allo sviluppo di una determinata patologia.

Questa vulnerabilità è anche in un certo grado trasmissibile alla progenie. Nel caso della
depressione maggiore, infatti, esistono due fattori di rischio definiti alla nascita:

 Sesso femminile
Si stima che, tra i 15 e i 54 anni, 1 donna su 5 e solo 1 uomo su 10 soffrano di un disturbo
dell’umore. In particolare, la donna è maggiormente predisposta a sviluppare depressione
maggiore e disturbo bipolare di tipo 2 (nell’incidenza del tipo 1 non si hanno differenze tra i
sessi).

Questa discrepanza tra i sessi è in parte dovuta all’azione degli ormoni sessuali.

Si ipotizza infatti che gli estrogeni accrescano l’intensità della risposta dell’asse ipotalamo-
ipofisi-surrene agli stimoli esterni, determinando quindi una maggiore risposta nella
femmina rispetto al maschio ad uno stimolo di pari intensità.

Alcuni studi hanno evidenziato che nel soggetto affetto da depressione maggiore i livelli di
cortisolo sono superiori alle concentrazioni fisiologiche e non sono soggetti a fluttuazioni
circadiane (non è un caso che questi soggetti siano negativi al test di soppressione con
desametasone).

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Per studiare l’influenza del cortisolo sul comportamento, si è provato a somministrare CRF
(corticotropin-releasing factor o corticoliberina) nei topi, inducendone uno stato di
isolamento, anergia, anoressia, trascuratezza e indifferenza per la prole.

Pur essendo la psicologia umana molto più complessa, non è possibile non riconoscere nel
comportamento delle cavie elementi che richiamano quella perdita dello “slancio vitale”
caratterizzante la depressione maggiore.

Per questo motivo sono stati formulati farmaci in grado di interferire con l’effetto di CRF su
ACTH.

 Familiarità
Hanno una probabilità 2-3 volte maggiore della norma di sviluppare disturbi psichiatrici i
soggetti aventi familiari affetti da disturbi dell’umore o da disturbi d’ansia (la correlazione è
più marcata tra familiarità per disturbi bipolari/rischio di sviluppare disturbi bipolari
[soprattutto di tipo1] e tra familiarità per depressione maggiore/rischio di sviluppare
depressione maggiore).

Coerentemente con quanto affermato, si è visto che la concordanza di malattia tra gemelli

è molto maggiore tra gemelli omozigoti rispetto agli eterozigoti. Tuttavia, non essendo la
percentuale di concordanza pari al 100%, non è possibile affermare che la predisposizione
genetica sia una condizione sufficiente allo sviluppo di depressione maggiore: esistono altri
fattori che influenzano l’insorgenza della malattia.

Dato che, come vedremo successivamente, esistono anche fattori di rischio “ambientali”,

ci si è chiesti se questa concordanza tra familiari sia dettata più dalla genetica o più dal
vivere con un soggetto malato.

Per rispondere a questa domanda si è confrontato il rischio di depressione maggiore in


individui adottati provenienti da genitori affetti da patologie psichiatriche e in individui
adottati ma privi di familiarità per tali disturbi. Vista la netta prevalenza di disturbi
psichiatrici nei soggetti con familiarità, si è concluso che la predisposizione genetica prevale
sull’influenza ambientale.

Vediamo ora quali sono gli altri fattori di rischio coinvolti:

 Eventi traumatici precoci


Tutto ciò che determina cure parentali alterate (malattia/morte di un genitore, violenze o
abusi familiari, genitori tossicodipendenti, alcolisti..) si riflette in una maggiore vulnerabilità
allo sviluppo di disturbi dell’umore.

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In quest’ottica può essere in parte spiegata la maggior incidenza di disturbi dell’umore nel
sesso femminile: le bambine sono infatti più frequentemente vittime di abusi e sono più
sensibili al loro effetto.

La seguente statistica supporta quanto detto:

Traumi precoci Bambine nel 7-19% dei casi 2/3 avranno disturbi
dell’umore

interessano Bambini nel 3-7% dei casi 1/3 svilupperà disturbi dell’umore

 Preesistenza di disturbi d’ansia


Le statistiche hanno evidenziato che frequentemente il disturbo d’ansia evolve, nel corso di
decine di anni, in depressione

 Determinate tipologie di personalità

Parentesi del prof: la personalità viene divisa in temperamento, ovvero l’indole che
abbiamo ereditato dai genitori (per esempio, i neonati hanno vari comportamenti non
perché influenzati dal contesto familiare ma per predisposizione genetica)e carattere,
ovvero il risultato dell’interazione tra il temperamento e l’ambiente.

Un tempo, le personalità maggiormente predisposte allo sviluppo di disturbi dell’umore


venivano definite “typus melancholicus”: soggetti che tendono a sovraccaricarsi di compiti
per non saper dir di no, che sono molto coinvolti in tutte le situazioni e che sono i primi a
caricarsi di colpe in caso di insuccesso. Oggi si preferisce indicare come soggetti più a
rischio quelli con maggiori timori ed insicurezze, restii ad agire per paura delle conseguenze
e perciò fortemente dipendenti dalle relazioni interpersonali e fortemente legati a ciò che dà
sicurezza, come il lavoro per esempio. Emerge quindi chiaramente come sia facile che
questo tipo di personalità porti allo sviluppo di disturbi d’ansia e, in seconda battuta, a
disturbi depressivi.

 Presenza di malattie somatiche


La correlazione con disturbi depressivi è particolarmente marcata soprattutto in caso di
malattie croniche, che modificano permanentemente la qualità e le aspettative di vita del
paziente. (Es. cancro, disturbi neurologici, cardiopatie, BPCO, diabete..)

Parentesi: CORRELAZIONE TRA CARDIOPATIA ISCHEMICA E DEPRESSIONE

Si tratta di un argomento di grande interesse; studi hanno rilevato che un soggetto affetto
da depressione maggiore ha un rischio di morte per cardiopatia ischemica 3 volte superiore
a quello di uno nel medesimo stato di salute ma psicologicamente stabile.

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(per gli studenti del VI anno il prof organizza un ADE sui disturbi psichiatrici in medicina
generale)

 Assenza di un supporto sociale


L’assenza di una rete di supporto esterna che sostenga la persona e allevi il senso di vuoto e
abbandono del malato, favoriscono la “scivolata” di questi soggetti verso lo stato depressivo.

Quando si parla di “paradosso delle società occidentali” ci si riferisce proprio alla recessione
sociale che si sta instaurando di pari passo con la crescita economica: si fanno meno figli, si
hanno meno parenti e ciò, unitamente alla crisi dei valori etici, pone l’individuo in una
condizione di incertezza, di difficile definizione della propria identità e quindi di
straordinaria fragilità.

Non è casuale che proprio in queste società negli ultimi anni si stia registrando un’aumentata
incidenza di disturbi lievi dell’umore.

 Eventi stressanti
Rappresentano spesso il trigger che fanno passare un soggetto da uno stato di vulnerabilità
ad uno di vera e propria malattia.

In questo ambito bisogna essere attenti nel distinguere quella che è un’alterazione
dell’umore reattiva ad un evento grave (morte, malattia, divorzio..) da un vero e proprio
stato patologico innescato dall’evento stressante. In quest’ultimo caso, la depressione
inizialmente è legata al trigger ma poi si sviluppa ed evolve come meccanismo slegato da
quell’evento preciso. (il prof si dà alle similitudini e paragona il primo caso ad un
fuocherello, il secondo ad un fiammifero in una polveriera)

In altre parole, soffrire per un evento è differente dal modificare in seguito a ciò la propria
visione della vita, del futuro e delle relazioni, fino ad arrivare a vedere nella morte l’unica
possibile prospettiva.

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Questa slide riassuntiva è utile per capire come tutti questi fattori siano correlati tra loro:

Va inoltre sottolineato che se da un lato la presenza di questi fattori determina una maggiore
vulnerabilità allo sviluppo di disturbi dell’umore, dall’altro costituiscono anche elementi che
predicono una minor risposta alla terapia. In particolare, ci si aspetta una minor risposta
nell’anziano a causa della coesistenza di più fattori, come lo stato di salute precario e di solitudine.

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ANTIDEPRESSIVI
La distinzione degli antidepressivi in TRICICLICI (TCA) e NON TRICICLICI si riflette in
differenze di:

 Efficacia: i TCA si sono dimostrati più efficaci clinicamente;


 Meccanismo d’azione: i TCA sono meno selettivi, di conseguenza il loro effetto sarà più
ampio, ma saranno maggiori anche gli effetti collaterali;

Vediamo quali sono i meccanismi d’azione degli antidepressivi:

1. Blocco del catabolismo : iMAO


Gli iMAO non solo possono essere non selettivi o selettivi per MAO-A (degradante
noradrenalina e serotonina) o MAO-B (catabolizzante soprattutto la dopamina), ma possono
anche essere reversibili (es.Moclobemide) o non reversibili (es.Tranilcipromina), ovvero tali
per cui per ottenere il ripristino della funzione enzimatica è necessario attendere la sintesi di
nuovi enzimi. Questa differenza è molto rilevante in clinica perché si tratta di farmaci che
non sono associabili ad altri antidepressivi, quindi nel caso di un paziente in terapia con
farmaci non reversibili e non responsivo, che necessita di un cambiamento di terapia, prima
di farlo devo aspettare che si esaurisca l’effetto del precedente farmaco.

Ciò significherebbe lasciare il paziente privo di terapia per circa due settimane.

2. Blocco del reuptake: _ di serotonina e noradrenalina (TCA)


_ della serotonina (SSRI) [Citalopram e Paroxetina i più usati]

_ della noradrenalina (NARI)

3. Blocco degli autorecettori presinaptici soprattutto noradrenergici (NASSA)

TCA

Se si confrontano le coppie di farmaci Imipramina-Desipramina e Amitriptilina-Nortriptilina si può


osservare che l’una è la forma demetilata dell’altra (una è quindi un’amina terziaria mentre l’altra è

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secondaria). La demetilazione li rende più affini alla noradrenalina e quindi più selettivi e aventi
meno effetti collaterali.

Il prof mostra una slide in cui sono indicate le costanti di associazione degli antidepressivi nei
confronti dei vari target possibili; si ribadisce il concetto che i non triciclici sono più selettivi
rispetto ai TCA e che, tra i TCA, le amine secondarie sono più selettive delle terziarie.

Con quale velocità si realizza l’effetto del farmaco?


L’efficacia dei trattamenti antidepressivi non è immediata:

 si ha una prima fase in cui si registra un calo della liberazione di neurotrasmettitore dovuto
alla stimolazione degli autorecettori inibitori;

 gli autorecettori intensamente stimolati desensitizzano;

 comparsa effetto terapeutico.

Sul piano clinico, quindi, non ci si deve aspettare un miglioramento prima di circa 2 settimane
(tempo necessario anche con terapia con NASSA, sebbene il meccanismo d’azione sia più diretto).

Il paziente va quindi istruito a non credere che il farmaco sia inefficace e dev’essere consapevole
che gli effetti collaterali della terapia saranno invece i primi a comparire.

Coerentemente, nel momento in cui si registra un miglioramento precoce, esso non va imputato ad
uno straordinario effetto del farmaco ma va considerato come un miglioramento incluso nel decorso
naturale della patologia di quel soggetto.

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DISTURBI D'ANSIA
I disturbi d'ansia sono di sicuro i più frequenti, 13% sono disturbi d'ansia, anche se molte fobie, i
disturbi d'ansia generalizzati non arrivano alla nostra osservazione.

Oggi parleremo di disturbo di panico, agorafobia e di disturbo ossessivo convulsivo.

Come abbiamo detto anche per la depressione troveremo una maggior prevalenza fra le donne
rispetto gli uomini.

DISTURBO DI PANICO
L'elemento caratterizzante, non solo qui ma anche dell'agorafobia, è:

-stato ansioso

-che insorge molto rapidamente

-ha una durata relativamente breve.

Si risolve poi altrettanto rapidamente lasciando il soggetto in una sensazione, soprattutto se l'attacco
di panico è stato di una certa intensità, di spossatezza definita dai pazienti stessi come il giorno
dopo una sbornia. Questo senso di stanchezza che dura qualche ora e che si risolve.

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Gli elementi centrali sono soprattutto neurovegetativi. Sono abbastanza analoghi ma molto più
intensi rispetto a quelli che possiamo sperimentare in una intensa paura e caratterizzati per esempio
dalla tachicardia, cardio-palmi, cuore in gola, sudorazione, tremore, scosse muscolari, tachipnea
associato. Per esempio a proposito della tachipnea, il soggetto respira molto frequentemente, il
famoso respirare nel sacchetto per ridurre al iperventilazione, ma il soggetto spesso riferiscono la
difficoltà al transito inspiratorio dell'aria, come se non entrasse. Perchè? Hanno la sensazione che ci
sia qualcosa in gola che ostacoli il flusso. Tra l'altro sensazione soggettiva perchè hanno una
saturazione di ossigeno più che ottimale, assolutamente nella norma, hanno il timore di soffocare. Il
pz non ha nulla da temere dal punto di vista fisico, il senso di soffocamento oppure il senso di
dolore precordiale e irradiazione la braccio di sinistra, è tutto soggettivo! Perchè tutti gli
accertamenti sono risultati negativi, però i pz vanno velocemente al ps. con la convinzione che
qualcosa di grave stia succedendo e se non vengono soccorsi nel brevissimo tempo rischiano la vita.
Al primo attacco di una certa rilevanza i pz si recano o al ps o alla guardia medicia o 118 per farsi
curare. Tutto soggettivo però il perciolo per il pz è certo.

Le manifestazione sono tante, per esempio un pz durante riunione con lo staff avverte senso di
sbandamento e ha il timore di cadere dalla poltrona e si afferra al tavolo, e non si stanca perchè ha
sensazione di cadere dalla sedia. Ha un senso di sbandamento che non è vertigine! Se chiedete:gira
qualcosa? È una sensazione di instabilità come se si perdesse l'equilibrio. Altre sensazione che il pz
può provare sono: derealizzazione, cioè essere collocati fuori dalla realtà, o la depersonalizzazione
come se si distaccassero da se stessi e si osservassero da spettatori, o s sensazione di camminare
sulle nuvole o sopraelevati. Poi ci sono le sensazione di morte imminente e di perdita di controllo.

Riassumendo è cosa immediato rapido, dura poco e si risolve.

Possono essere casi isolati e senza conseguenze, una attacco isolato non darà mai l'avvio ad un vero
disturbo, cioè che modifichi l'esistenza di quel soggetto.

Da uno studio è emerso un'associazione fra il disturbo di panico e il prolasso della valvola mitralica,
abbiamo un lembo più abbondante ma comunque efficiente.

Se tutti gli accertamenti di un pz con disturbi di panico sono negativi e viene dimesso con “sta
tranquillo”, è vero che non ha nulla ma quella rassicurazione serve a chi ha un attacco isolato e che
non ha un altro immediatamente successivo.

Se dopo un giorno o una settimana ha già un altro attacco si chiede “se non ho nulla perchè è
tornato” e allora ritorna al ps e ritorna là perchè mi è tornato, come se si innescasse una spirale: non
hai nulla torna a casa ma poi ritorna. Quello che chiediamo al colleghi del ps è di mettere subito in
chiaro le cose: non hai nulla dal punto di vista organico ma tutto quello che hai può essere una
manifestazione di un disturbo d'ansia. Difficile che venga accettato dal pz, perchè è come se fosse
un fulmine a ciel sereno. Per il pz è difficile da accettare e se si continua a dirgli non hai nulla e non
aggiungiamo niente il pz continua a ritornare. Dopo di che inizierà a contattare anche gli specialisti,
se ha sintomatologia cardiologica contatterà i vari cardiologi che danno in genere due risposte: o
goccia di ansiolitico, molto sotto dosate (il pz sta meglio ma non risolve nulla) o beta-bloccante

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perchè pz è tachicardico. Il beta-bloccante nel disturbo di panico ha la stessa efficacia del placebo,
non da alcun ulteriore miglioramento.

Per cui se l'attacco è isolato se ne va, se non lo è crea problemi.

Qui distinguiamo due tipologie di attacco di panico, a cui possiamo aggiungere anche una terza:

-attacchi di panico inaspettato il fulmine a ciel sereno, può venirmi ovunque e in ogni momento,
anche ore notturne. Dopo 2-3 ore di sonno il pz si sveglia improvvisamente, gli si chiede se ricorda
un sogno/incubo ma lui nega. Questi attacchi sono composti da tutta la sintomatologia vista prima.
Possono avvenire anche a casa, non c'è un luogo io non posso prevederlo perchè è inaspettato. Vivo
con la costante preoccupazione che me ne possa venire uno da un momento all'altro, per questo
hanno la tachicardia perchè hanno l' ansia anticipatoria di avere un attacco di panico. Ecco perché il
cardiologo da ansiolitico o beta bloccante e si migliora la condizione soggettiva però non si
migliora il ripresentarsi degli attacchi. L'attacco ritorna e si instaura il timore di nuovi attacchi
ansiolitico, che può associarsi al timore di cosa fa sul mio organismo questa tempesta
neurovegetativa.

Per la diagnosi di disturbo di panico deve essere inatteso e inaspettato con ansia anticipatoria.

-attacchi situazionali, dove io l'attacco ce l'ho soltanto in quelle determinate situazioni che hanno
un denominatore comune per esempio in un luogo affollati e se comincio ad avvertire di star male
(vampate calore, tachicardia) la prima cosa che faccio è andarmene il più rapidamente possibile.

Quali sono le situazioni in cui è facile che mi venga un attacco di panico? Quelle in quei
allontanarsi diventa difficoltoso. Perchè il problema è che se io sto male in quella situzione io me
ne devo andare. Anche per l'aereo, il problema non è che l'aereo cada, ma che io se sto male devo
andare via, è lì il problema! Oppure tutte le situazioni in cui se sto male chi è che mi soccorre?
Allora i pz in vacanza a loro interessa che ci sia ospedale e ps, altrimenti non vanno. Se dovesse
capitare qualcosa il pz ha paura di lasciarci le penne. Per cui c'è una differenza sostanziale tra gli
attacchi di panico situazionali che avvengono solo in quelle determinate situazioni e gli attacchi di
panico inatteso improvviso. Se non vado nella situazione temuta sto bene!

-attacco di panico sensibile alla situazione, sono quegli attacchi che avvengono sempre nelle stese
condizioni ma non tutte le volte che il soggetto va ma qualche volta.

Per avere il disturbo la mia vita deve cambiare, non è più la stessa perchè sono sempre al ps o in
giro per servizio sanitari, cominciano a pensare di avere tutto di più, spesso pensano di avere il
tumore o addirittura più tumori.

Nel disturbo di panico ho l'ansia anticipatoria, nei disturbi situazionali io evito determinate
situazioni perché comincia a venirmi l'ansia se devo andare in quella situazione. Se ho qualcuno con
me che mi conosce è facile che superi la difficoltà. È diversa questa ansia da quella del disturbo di
panico situazionale perché scompare se evito la situazione o vado in un atro posto, nel disturbo di
panico l'ansia è diffusa e può capitare ovunque. I due disturbi possono essere dissociati o coesistere
cioè sia quello inatteso che situazionale.

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Per avere il disturbo di panico non è sufficiente un attacco, ma sono necessari alcuni attacchi in un
lasso temporale breve. I pz ansiosi nel tempo cambiano diagnosi e divengono depressi, c'è una
maggior frequenza di disturbi di ansia nelle donne che si trasforma in depressione maggiore, è per
questo che abbiamo una maggior prevalenza nelle donne nella depressione.

l'alcol ha meccanismo simile alle benzodiazepine, se un pz ansioso beve una bevanda alcolica è
come se assumesse un ansiolitico e si mette più tranquillo. Anche se non avremo mai un grande
abuso di alcol perché sono preoccupati per quello che gli potrebbe succedere se abusano di alcol. In
pz che fanno uso di cocaina se hanno un attacco di panico è la loro fortuna perché la smettano
completamente e sicuramente, perché si spaventano tal punto che la sostanza che ha indotto
l'attacco viene sospesa.

Quale è la differenza fondamentale tra disturbo di panico e agorafobia?

- Nel disturbo di panico l’attacco è inatteso e inaspettato, non c’è luogo dove l’attacco di
panico non possa comparire, anche a casa, di notte;
- nell’agorafobia l’attacco di panico è situazionale, che sia un luogo affollato o quello che il
soggetto considera uno spazio esterno al proprio, c’è timore di un determinato contesto
proprio perché vi può insorgere un attacco di panico.

Quindi in entrambi vi è l’attacco di panico, l’elemento di fondo non cambia, ciò che cambia è
l’aggettivo che attribuiamo all’attacco, inatteso o situazionale, il che poi ha delle ripercussioni
importanti.

Infatti, se l’attacco di panico è inatteso, il paziente vive nella cosiddetta ansia anticipatoria, poiché
in ogni momento è possibile che insorga un nuovo attacco, anche se poi non è detto che ciò
avvenga. L’attacco è infatti imprevedibile.

Se invece è situazionale si ha la possibilità di evitare la situazione che lo provocherebbe, perciò il


soggetto non va dove potrebbe insorgere l’attacco. Se è costretto ad andare nel luogo, dove sa che
insorge l’attacco, avverte ansia, ma è una condizione diversa, sa che si avvicina al luogo temuto.
Esempio è il paziente, di cui avevamo parlato, che ha bisogno di fermarsi sull’autostrada per Roma
ogni quaranta minuti e deve cercare una scusa con gli altri che viaggiano con lui, quindi cerca di
trovare il modo di evitare al meglio che può la situazione indesiderata.

I due disturbi possono essere distinti, ma possono talora essere associati, per cui ci sono pazienti che
hanno attacchi di panico situazionali associati ad altri inaspettati.

Decorso
Il decorso può essere molto variabile. Consideriamo il paziente che doveva attraversare il ponte, di
cui parlavamo la scorsa lezione; è stato bene per molto tempo, poi dopo sette otto anni ha avuto una
nuova fase di malattia.

Quindi l’attacco di panico può essere episodico ma può accadere, ugualmente a quanto detto per i
disturbi dell’umore, che tenda a recidivare. Inoltre i disturbi d’ansia, quali disturbo di panico,

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agorafobia e fobie, possono evolvere in disturbi depressivi. E’ una malattia che risponde bene alla
terapia, quindi si può guarire dall’attacco di panico, ma ciò non toglie di poter avere nuovi episodi
di malattia o che si sviluppi un vero e proprio episodio depressivo.

Poi ci sono coloro che piuttosto che avere un decorso ricorrente, con fasi in cui stanno bene e fasi
con ricomparsa degli attacchi, rispondono alla terapia senza però ottenere una remissione completa.
Oppure hanno un ricorrere molto frequente degli episodi, perciò non c’è una fase di superamento
della patologia.

Da uno studio recente, che teneva conto anche della compromissione sociale, solo una minoranza
di pazienti andavano in remissione completa. Compromissione sociale perché ci sono situazioni non
ben volute dai pazienti, che creano problemi, per cui il paziente diventa titubante ad affrontarle.
Quindi con la terapia la sintomatologia, che comprende attacchi di panico, ansia anticipatoria e
l’evitamento nei confronti delle situazioni temute, può scomparire. Quello che ci interessa,qualora
permangano dei sintomi, è evitare che abbiano un impatto sulla vita del paziente, che non
determinino compromissione sociale appunto. Tornando al paziente che temeva l’autostrada
l’obiettivo è che riesca ad andare, anche se infastidito e cerca di evitare la situazione. Perciò è
fondamentale evitare la compromissione sociale, ma ciò non toglie che l’obbiettivo finale sia la
remissione completa, che non è sempre possibile. In conclusione i disturbi d’ansia rispondono
molto bene al trattamento ma mi devo aspettare di trovarmi ad affrontarli più volte, con la
possibilità che evolvano a disturbi depressivi.

Terapia
Abbiamo numerosissime linee guida a disposizione per il trattamento del disturbo di panico, ma
sono molto poco conosciute, poco consultate dagli psichiatri. Il primo approccio terapeutico è
quello delle gocce di fiori di Bach, il che non è poi così sbagliato, poiché tra tutti i disturbi psichici i
disturbi da panico sono quelli con più alta risposta al placebo. Il problema è che l’uso dei fiori di
Bach non è un trattamento specifico per l’agorafobia o il disturbo di panico, ma è l’equivalente di
un placebo. Sul Lancet è stato pubblicato uno studio sull’efficacia dell’omeopatia, da cui è emerso
che ha un’efficacia sovrapponibile a quella del placebo.

Dopo qualche settimana il paziente trattato con i fiori di Bach torna dal medico poiché la terapia
non è servita allo scopo. A questo punto si procede di solito con punture in sede sovraclaveare e
sovrapubica.

Dopo qualche settimana ancora, il paziente torna senza aver ottenuto alcun effetto dalla terapia.
Sono molti i casi di trattamenti errati a cui i pazienti sono sottoposti. Le linee guida invece ci
indicano ciò di cui è stata dimostrata una certa efficacia, per quanto poi non troviamo in queste le
indicazioni per il singolo paziente, unico e irripetibile.

L’obbiettivo delle nostra terapia è quello di ridurre la frequenza e l’intensità degli attacchi, in
particolare sottolineiamo la frequenza. Infatti non ha senso la prescrizione di una terapia al
bisogno.

26
Consideriamo il disturbo di panico, nel quale l’attacco di panico è inatteso, non si sa quando
compare, quindi se il paziente facesse una terapia al bisogno dovrebbe assumere il farmaco al
momento della comparsa dell’attacco di panico. L’attacco di panico ha una rapida comparsa e
altrettanto rapidamente scompare, durando qualche minuto in genere fino a dieci, per quanto
possano esserci attacchi che durano un po’ più a lungo. Consideriamo che la benzodiazepina, il
Diazepam, quella a più rapido assorbimento, assunto per os, nei metabolizzatori rapidi compare in
circolo dopo quindici minuti, quando cioè la gran parte degli attacchi di panico è terminata. Non
consideriamo infatti la somministrazione endovena e quella intramuscolare, questa ultima non è
indicata, perché il farmaco precipiterebbe e tenderebbe a legare le proteine muscolari con un
assorbimento molto variabile.

Ad ogni modo il problema maggiore della terapia al bisogno non è tanto la comparsa del farmaco in
circolo al termine dell’attacco, piuttosto è che con questo tipo di terapia la frequenza non viene
ridotta perché il farmaco viene assunto tutte le volte che viene l’attacco. Sappiamo però che è il
ripresentarsi degli attacchi ad avere un impatto maggiore sulla vita di queste persone, perciò devo
evitare l’attacco, obiettivo che con la terapia al bisogno non raggiungo.

Inoltre in molti pazienti c’è l’idea che possa succedere qualcosa se non si assume il farmaco,
nonostante non ci sia alcun disturbo fisico. Le benzodiazepine sono farmaci che hanno l’unica
proprietà di avere un’azione anche se non assunti: il solo fatto di portarli con se, nella borsa, nel
portafoglio, tranquillizza il paziente, che se non li avesse a portata di mano avvertirebbe un’ansia
crescente .

Molti pazienti inoltre pensano che il farmaco che si scioglie in bocca abbia un effetto immediato,
perciò sono nate delle formulazioni oro solubili. In realtà da studi di farmacocinetica la quota di
benzodiazepina assorbita dalla mucosa orale è circa il 5- 10 % della dose totale: questa piccola
quota non spiega il consistente effetto terapeutico, molto più psicologico, di queste formulazioni
ad assorbimento orale. Ma il reale effetto farmacocinetico e farmacodinamico è sovrapponibile a
quello del farmaco assunto per os o con gocce. Concludendo non ha senso trattare il paziente al
bisogno perché non si riduce la frequenza degli attacchi, che è l’elemento che ha le maggiori
ripercussioni sulla vita del paziente.

Gli altri obiettivi della terapia sono ovviamente quello di ridurre l’ansia anticipatoria, che
disturba molto il paziente, in quanto associata a tachicardia, e poi ridurre, se presente,
l’evitamento fobico, quando insieme agli attacchi inattesi il paziente ha anche attacchi situazionali.
Infine trattare la depressione, o meglio la demoralizzazione, poiché il paziente con il tempo ha
una sensazione di impotenza e disperazione, non sa più cosa fare,si sente in balia degli attacchi, di
non avere controllo su di essi in quanto continua ad averli.

A proposito della depressione, teniamo conto che spesso ci sono attacchi di panico non così
frequenti, che soprattutto si manifestano ad un’età che non è quella classica degli attacchi di panico.
Dopo qualche settimana, un mese, un mese e mezzo emerge un vero e proprio episodio depressivo:
in questo caso gli attacchi di panico non rientrano nel disturbo di panico ma rappresentano, insieme
all’ insonnia, al delirio, i prodromi della depressione che si sta piano piano stabilendo. Questo è
valido soprattutto per la Depressione Maggiore Ricorrente, che ha un esordio molto insidioso.

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Abbiamo tre possibili approcci terapeutici. Prima di tutto il placebo, tenendo presente che molte
terapie sono equivalenti al placebo, tra queste le tecniche di rilassamento, come lo yoga, il training
autogeno, l’agopunture.

Su questa ultima pratica consideriamo uno studio tre gruppi di pazienti, nei quali l’obiettivo della
terapia era il trattamento del dolore: del primo si valutavano i sintomi, il secondo veniva sottoposto
ad agopuntura fatta da un agopuntore ben preparato, che poneva gli aghi in determinati punti, il
terzo veniva trattato con agopuntura, ma le punture non erano fatte in sedi specifiche. Valutando il
miglioramento del dolore il gruppo sottoposto al trattamento solito andava poco bene, molto meglio
gli altri due, senza nessuna differenza però tra le due modalità di esecuzione dell’agopuntura. Ciò
dimostra chiaramente l’effetto placebo di tale pratica, perciò ciò che funziona è l’aspettativa che ha
il paziente che quel trattamento funzioni.

Al placebo risponde, per quanto riguarda questi disturbi, un paziente su due. Il paziente non sa di
assumere il placebo, gli si da comunque una terapia, il medico deve sapere se ciò che somministra
ha un’efficacia uguale o maggiore rispetto al placebo.

Le altre due alternative, che vanno confrontate comunque con il placebo, sono:

- la terapia farmacologica
- la terapia psicologica, comportamentale, ben specifica, con tecniche delle quali sia stata
dimostrata l’efficacia, i vantaggi ottenuti in un certo numero di pazienti

Queste danno esattamente gli stessi risultati, con qualche vantaggio per la psicoterapia nelle forme
con fobia, qualche vantaggio dei farmaci nelle forme particolarmente gravi.

Consideriamo le differenze tra terapia farmacologica e quella psicocomportamentale:

parametro terapia farmacologica psicoterapia

- effetti collaterali si no
- inizio effetto rapido lungo intervallo
- effetto nei disturbi gravi maggior efficacia minor efficacia
- effetto sui disturbi fobici minor efficacia maggior
efficacia
- effetto sui disturbi depressivi maggior efficacia minor efficacia

L’inizio dell’effetto si riferisce al tempo trascorso prima di riscontrare dei risultati: è più rapido
l’effetto dei farmaci, in particolare degli ansiolitici.

Bisogna poi tener conto della compliance del paziente: la psicoterapia funziona se vengono eseguiti
gli esercizi assegnati, seguendo i consigli che gli sono stati dati durante la terapia; se non vengono
fatti adeguatamente non ha effetto. Se il paziente è seguito dal medico generico è più facile che
questo lo sottoponga a una terapia farmacologica, poiché la psicoterapia richiede un medico
specializzato.

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Terapia farmacologica
Abbiamo a disposizione diversi gruppi di farmaci sostanzialmente con la stessa efficacia: la scelta
non dipenderà perciò da questa, quanto dagli effetti collaterali e da caratteristiche specifiche di un
determinato gruppo. Tra questi abbiamo:

- benzodiazepine;
- antidepressivi;

Indipendentemente dal disturbo di panico, le benzodiazepine sono il gruppo più scelto dai pazienti,
che non vogliono che vengano tolte, per il loro rapido effetto, che permette al paziente di stare
meglio in quindici minuti. Gli antidepressivi, gli antipsicotici, gli stabilizzatori dell’umore
richiedono dieci quindici giorni per avere qualche effetto terapeutico. Vengono usate anche nella
depressione perché pur non intervenendo sullo stato depressivo consentono di ridurre l’ansia. Sono
le più prescritte, infatti, nonostante i loro importanti effetti collaterali, circa un terzo dei pazienti
vengono trattati esclusivamente con le benzodiazepine, quando l’indicazione dovrebbe ricadere
sull’altra categoria di farmaci.

Nonostante maneggevolezza e rapidità d’azione, queste hanno degli indubbi svantaggi. Infatti
poiché non dobbiamo fare una terapia al bisogno è necessario fare almeno tre somministrazioni al
dì in modo da garantire una copertura per l’intera giornata, e con tre somministrazioni al dì certi
effetti collaterali li osservo piuttosto rapidamente.

Tali effetti indesiderati comprendono prima di tutto l’effetto sedativo, poco desiderato in questi
pazienti, che solitamente sono giovani, con una vita attiva. Poi si osservano ripercussioni sulle
funzioni cognitive, c’è però un’assuefazione rapida, ovvero quella dose perde rapidamente la sua
efficacia.

Il Prazolam, ad esempio, alla dose di 0,25 tre volte/dì, che è la dose più bassa, viene somministrato
dal medico generico al paziente che riferisce attacchi di panico, poiché è bene cominciare dalla dose
più bassa. La dose massima è invece di 32 compresse/dì. Questa dose deve essere aumentata nel
tempo, ad esempio a 0,50 tre volte al giorno. Dopo dieci quindici giorni questa dose non è più
efficace e deve essere aumentata di volta in volta e a quel punto ho l’assuefazione. Di conseguenza
se dovesse capitare di sospendere bruscamente il farmaco, o per una dimenticanza o per una
sospensione decisa dal medico, si hanno dei sintomi da sospensione importanti.

Possiamo fare un esempio di un paziente per rendere più chiaro il tutto.

Esempio 1

Paziente Sindaco del Paese, come spesso fanno tali pazienti con auto diagnosi comincia ad
assumere gocce, farmaci con dosi diverse, aumentandole e diminuendole. Se poi cambio il farmaco
assunto e ne associo un secondo ottengo un effetto strano , vale a dire osservo un effetto maggiore e
minori effetti collaterali. L’effetto si potenzia, si somma e quindi ad esempio da un “boccetto”
passo a due “boccetti”. Poi non sono sufficienti allora aggiungo un terzo farmaco, poi essendo

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Sindaco ed i farmacisti lo conoscono aggiungo un quarto farmaco così da arrivare ad assumere circa
4 flaconi di Benzodiazepine differenti.

Ad un certo punto tale paziente ha accusato dolore in sede precordiale, in Unità Coronarica nel
mezzogiorno si ritrova a non assumere più quelle dosi di farmaco. Alla sera il paziente manifesta
crisi epilettiche, alle quali seguono indagini strumentali TC e RMN che risultano negative per
qualsiasi patologia cerebrale. La diagnosi finale è la sindrome da sospensione che si è manifestata
con crisi epilettiche, stato confusionale acuto etc.

Esempio 2

Solitamente il Tavor ( Lorazepam) viene assunto con dosi che vanno da 4 a massimo 5 cp /die, ma è
capitato di osservare una paziente che ne assumeva più di 60 cp/die.

Questa è una condizione che ovviamente esita in una assuefazione del paziente. L’assuefazione
ricordiamo che si manifesta nel giro di poco tempo, 1-2 mesi massimo. Quindi se prescriviamo una
terapia con Benzodiazepine di una durata di circa un anno inevitabilmente ammeteremo una
assuefazione del paziente. Pur a fronte di questo inconveniente il trattamento con benzodiazepine è
largamente impiegato.

La terapia con Benzodiazepine è tipicamente una terapia di associazione ed è molto simile al


trattamento che utilizziamo per il Disturbo Depressivo Maggiore.

Vantaggi e Svantaggi del trattamento con Antidepressivi

Vantaggi
- non danno assuefazione;
- non danno dipendenza;
- non danno effetto sedativo;

Svantaggi
- impiegano due o tre settimane per agire, quindi abbiamo lo stesso problema che si
presentava con la depressione ( vd. Depressione);
- agendo sulla serotonina io paradossalmente potrei avere un aumento dell’ansia, agitazione ,
insonnia. Ecco che viene in aiuto la Benzodiazepina che copre quella settimana circa in cui
l’antidepressivo serotoninergico non fa effetto e ci controbilancia questo secondo
svantaggio;

Esiste un intervallo terapeutico nel caso del panico come lo si consiglia anche per la depressione.

30
Dose
Ma sorge un dubbio, vale a dire qual è la dose che devo prescrivere al paziente ansioso. Posso
partire da una dose minima che somministro per circa un mese per poi vedere l’evoluzione clinica.
Si può auspicare per il paziente si senta meglio, vale a dire il paziente deve riferire una riduzione
della frequenza degli attacchi e che l’ ansia anticipatoria sia ridotta.

La riposta in termini temporali è esattamente sovrapponibile a quella valutata parlando della


depressione. Anche qui parliamo di un intervallo di circa 3 mesi, andando ad applicare la dose in
basa a come il paziente sta , non ha infatti alcune senso aumentare la dose del farmaco prima di 2-3
settimane,infatti il tempo di latenza ce l’ho indipendentemente se io vada ad usare 20-30-60 mg di
Lorazepam.

Durata terapia
Altro problema è andare a valutare per quanto tempo devo proseguire il trattamento.

Si parla di 6 mesi di durata ma sarebbe meglio un anno di trattamento, che viene considerato a
partire dal momento in cui il paziente riferisce di “stare bene”. L’obbiettivo è quello di determinare
la totale scomparsa di tutti i sintomi( attacco di panico, ansia anticipatoria, claustrofobia ecc) riferiti
dal paziente. Raggiunto l’anno di trattamento dovrei avrei raggiunto l’obbiettivo per cui posso
sospendere il farmaco. Precoci sospensioni della terapia possono determinare ricomparsa dei
sintomi.

Il paziente se sta bene non è restio ad assumere il trattamento anche se possono comparire effetti
collaterali legati al sistema Serotoninergico ad es:

- iperfagia con aumento di peso ( es trattamento con Citalopram, Paroxetina effetto collaterale
che compare dopo alcuni mesi , nella fase di mantenimento o continuazione)
- effetti sessuali (es maggiore per Paroxetina, minoramente per gli altri)

E’ importante ricordare che:


- la terapia fa effetto mentre l’assumo, appena la sospendo l’effetto termina anche perché a
differenza degli antipsicotici, questi farmaci come la Paroxetina vengono eliminati molto
rapidamente. La Fluoxetina ha invece un ‘emivita maggiore fino a 2-3settimane. Quindi
l’attacco di panico potrebbe tornare ma è molto raro dopo un anno di completo benessere
che compaia una recidiva alla sospensione della terapia

- la sospensione deve avvenire sempre in maniera graduale 1-2 mesi

- il cambio del farmaco, ovviamente, non ha senso se avviene all’interno della medesima
classe farmacologica che condivide il medesimo meccanismo d’azione

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Terapia cognitiva comportamentale
E’ come se il mio disturbo fosse correlato ad un apprendimento alterato:

- Ho una prima fase in cui devo garantire l’informazione al paziente di quale sia la sua
patologia e dei farmaci che dovrà assumere
- Deve crearsi un’ottima compliance paziente-medico
- Paziente deve imparare a distrarsi e a controllare il respiro se si sta avvicinando un attacco
- Sono anche molto pubblicizzate terapia di Ipnosi anche se non si hanno Studi medici in
merito

La cosa importante da ricordare è che gli effetti che ottengo applicando questa terapia per
almeno tre mesi sono del tutto sovrapponibili a quelli che ottengo con trattamento
farmacologico.

Per inciso ricordiamo che il cardiologo spesso prescrive a questi pazienti Beta-bloccanti che
hanno un’azione positiva dal momento che riducono la frequenza cardiaca ma non azzera
assolutamente la frequenza degli attacchi di panico.

Benzodiazepine - meccanismo d’azione:


Tutte agiscono su quel recettore GABA A

Esiste una modulazione delle diverse subunità del recettore Gaba A, ad esempio nella donna in
gravidanza e nella donna puerpera si osserva una diversa modulazione con variazione della
subunità. Nella donna puerpera infatti si osserva un recettore meno sensibile al Gaba questo
perché deve essere garantito lo stato di vigilanza, di attenzione della madre nei confronti del
figlio. Per questo la somministrazione di Benzodiazepine a donne puerpere si associa ad una
ridotta risposta. Questa modifica della sensibilità del recettore si ritiene possa essere associato
anche a metaboliti del progesterone che determinerebbero un aumento della sensibilità del
recettore Gaba A.

Farmacocinetica
Ciò che varia per le diverse Benzodiazepine è l’emivita che dipende dalla presenza o meno di
metabolismo epatico per quel determinato farmaco. Infatti per quei farmaci per cui ammettiamo
un metabolismo epatico (glucuronazione,metilazione) allora si determinerà la formazione di
metaboliti attivi che determineranno un aumento dell’emivita del suddetto farmaco.

Es. Valium ha emivita di 100 ore e questo è legato al fatto che a livello epatico si formino
metaboliti attivi, ma questo non vuol dire che se prendo 10 gocce di Valium l’effetto permane
per 3 giorni; il problema è se usiamo farmaco in pazienti anziani ( 70 -80 anni) dove osserviamo

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l’ effetto cumulativo per cui protraendo la terapia osservo via via un accumulo dei metaboliti e
conseguentemente un aumento degli effetti collaterali ( assopimento a cui consegue caduta)

Per questo devo vietare le benzodiazepine all’anziano? No. Ma non è logico somministrare
farmaci a paziente anziani che abbiamo un’emivita superiore alle 40 -100 ore

Potenza farmacologica
Def: A parità di effetto è più potente quel farmaco che raggiunge effetto a dosaggi minori

Questo concetto è legato al fatto che, se devo sostituire un farmaco con un altro devo
considerare la diversa potenza farmacologica.

Farmaci molto potenti come il Triazolam (somministrato 0.125 mg) è ben diverso da farmaci
che somministro a 6 mg o più , per questo nella conversione devo fare molta attenzione.

Ovviamente è anche da ricordare che per un farmaco con un’emivita ridotta è sicuramente più
difficile che alla interruzione della terapia dia una sintomatologia da sospensione; a differenza di un
farmaco con emivita maggiore come il Valium.

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Ripresa della lezione precedente
Professore: Cosa vi è rimasto impresso della suora?

Studente: Che dal suo punto di vista diceva di essere impazzita perché non riusciva a controllare il
fatto che bestemmiasse mentalmente.

P: Si ma la sua follia dove stava?

S: Che era suora e non aveva un motivo per imprecare, cioè le veniva spontaneo.

P: Proprio così spontaneo no perché altimenti non avrebbe detto “Sono impazzita!”

S: Il peccato che lei ritiene di avere commesso nell’andare contro i suoi principi, il fatto che lei
abbia dedicato la vita a Dio. Per questo dice di essere impazzita.

P: Lei ha fatto questa scelta, e quello che è paradossale in lei per cui dice “Io sono impazzita” è che
le manifestazioni sono esattamente all’opposto di quello che è il suo modo di essere di pensare di
credere.
Se dico che ciò che avverto e provo è in sintonia con il mio essere, fa parte di me, fa parte del mio
modo di essere e sentire, in termini psichiatrici si dice egosintonico (in sintonia col mio essere).
Viceversa qua la manifestazione non è in sintonia col proprio essere per cui noi la definiamo
egodistonica.
L’elemento più saliente è che la bestemmia è egodistonica!

Caso 1

Voi tutti ricordate Cogne, delitto del piccolo Samuele. La madre (Franzoni, ndr) accompagna il
figlio grande a scuola e quanto torna trova il piccolo Samuele morto massacrato col cranio spaccato.
Lei viene incriminata per essere sospettata per essere l’omicida del figlio.
Questo è importante per la nostra paziente, una ragazza di 22 anni che sta facendo la babysitter. Le
viene affidato un bambino di pochi anni e mentre lei è sola col bambino ha la radio accesa e sente
che a differenza di quanto si pensava nei giorni precedenti, è stata incriminata la mamma perché in
un raptus di follia avrebbe ammazzato il figlio.
(Tenete ben presente che l’idea del raptus è che io alle 16 e 30 sono normale, alle 16 e 31
impazzisco e divento potenzialmente pericoloso! Non esiste in psichiatria una roba del genere! Il
raptus è pura invenzione dei mezzi di comunicazione! Tra l’altro quella stessa mattina alle 5 la
mamma chiama il 118 perché sta male, aveva una crisi ansiosa. Dopo qualche ora il figlio muore…)
La babysitter sentendo la notizia immediatamente, come se si fosse acceso un interruttore, comincia
a pensare: “e se io buttassi il bambino dalla finestra! Cosa posso fare per evitarlo?” Siccome l’idea
è il raptus io devo frapporre tutte le difficolta perché qualcuno possa intervenire e bloccarmi dal
momento che impiegherei molto tempo per superare questi ostacoli. Allora abbassa tutte le
tapparelle delle finestre, prende il bambino, lo chiude a chiave in stanza e nasconde la chiave.
Preoccupata chiama la sua dottoressa per sentire se a lei possa succedere una cosa simile ma è fuori
e l’infermiera dice che ritorna tra un’ora.
Decide allora di aumentare le difficoltà! Cerca tutto ciò che le può servire per legarsi: corda,

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cordoni per le tende, scotch e si lega a una sedia cercando di immobilizzarsi lasciando libero solo un
braccio che le servirà poi per chiamare la dottoressa dopo un’ora! Passa un’ora e chiama la
dottoressa che la rassicura dicendo che non le capiterà di avere un raptus, salvo però che alla fine
della telefonata le dice di farsi vedere da uno psichiatra non appena lascerà la casa!
Angoscia totale! Immaginate la madre quando torna a casa e vede la scena; lei non ha più fatto la
babysitter.
Qual è l’elemento saliente di questa paziente e ci sono diversità con la suora? Differenze sul
meccanismo di fondo?

S: L’ansia anticipatoria, cioè nella babysitter in realtà non è successo ancora niente un po’ come
nell’attacco di panico dove si pensa “può venirmi un attacco, può venirmi un attacco”, lei pensa
“posso uccidere il bambino, posso uccidere il bambino” e fa di tutto per evitare questa circostanza,
invece nella suora succede e basta.

P: E’ ansia anticipatoria però il problema è diverso nel senso che nell’attacco di panico ho
sperimentato l’attacco e ho sperimentato che questi vengono quando vogliono loro. Qui la paziente
fortunatamente non ha mai buttato un bambino dalla finestra!

S: Si però c’è stato qualcosa che l’ha attivata: una persona apparentemente normale che ha ucciso il
bambino e si è immedesimata in essa. “Perché succede? Non voglio saperlo. Evito il problema e mi
isolo”.

P: Il concetto poi è: perché la Franzoni ha avuto il raptus? Che probabilità aveva la Franzoni di
diventare matta? C’erano dei segnali che potevano farci prevedere che lei andasse incontro a un
raptus? Se una persona su tre miliardi ha un raptus la probabilità non sarà pari a zero! Se non è pari
a zero chi ci dice che io non sia la seconda? Questo è quello che i media passano, che la Franzoni
sia improvvisamente impazzita (per gli psichiatri il raptus non esiste).
Inizia così a scatenarsi questo meccanismo per cui viene come un ossessione pensare al fatto che
oggi le possa venire il raptus. Queste sono persone terrorizzate dal fatto di poter far male a qualcuno
e hanno questa reazione se un evento esterno perturba la loro condizione e tranquillità. Come ad
esempio un mio paziente che mi telefona dicendo: “lei è sicuro che io non mi suiciderò? Perché ieri
ho saputo che un mio compagno di giochi si è suicidato buttandosi dal tetto. Per me era una
persona totalmente normale; lui si è buttato, mi butto anch’io??”.
In queste situazioni non ho l’impulso di buttarmi dal tetto, non ho l’impulso di buttare il bambino
dalla finestra. C’è solo il dubbio che possa venire un raptus. C’è un’estrema suggestionabilità che
comincia ad avviare tutto il meccanismo e una volta che parte non c’è niente da fare: queste idee
vengono, questi dubbi vengono costantemente.

Casi 2,3,4

Per darvi l’idea che il mio pensiero sia esposto alle “raffiche di vento” c’è il caso di un paziente che
doveva sposarsi e qualche mese prima del matrimonio si manifesta questa sintomatologia. Era un
promotore finanziario di successo e durante un colloquio con un’acquirente gli si palesa
improvvisamente un’immagine mentale in cui compariva il giornalista del telegiornale della sera
precedente che cominciava a dire delle parole a caso. Situazione simile si ha nei soggetti che fanno

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uso di stupefacenti (ritorno di immagini del vissuto). Questi episodi erano diventati talmente
insistenti che gli altri se ne accorgevano.

Un altro paziente era ossessionato dai cartelloni pubblicitari: in automobile passava un cartellone
pubblicitario e doveva tornare indietro per leggerlo meglio, ma non una, due, tre, dieci volte!

Un altro ancora doveva ripetere qualunque cosa per multipli di tre che siano state una frasi o
spezzoni di frase!

Quindi viene quando vuole lui, ha caratteristiche egodistoniche e veniamo all’altro aspetto
fondamentale.

Caso 5

Paziente accompagna il figlio a scuola, dopo averlo salutato non gli viene altro da fare che andarsi a
masturbare nel bagno della scuola. Esce e pensa: “ E se ci fossero state le telecamere? Mi trovo la
polizia domani a casa che mi arresta perché sono pedofilo!”
Allora il problema è: è un delirio o non è un delirio? Devo andare a vedere se ci sono davvero le
telecamere o invece è lo stesso meccanismo che aveva la baby sitter, la suora, ecc…?
E non è un problema da poco perché questi pazienti di solito vengono etichettati come deliranti e
quindi trattati con degli antipsicotici, considerati come degli schizofrenici. Per delirio noi definiamo
una condizione per cui noi “usciamo dal solco” (etimologicamente), usciamo dalla realtà.
In questo caso dobbiamo analizzare come il paziente vive l’esperienza. E’ lì che scopriamo se è un
delirio oppure no. Non ho bisogno di andare a vedere se ci sono le telecamere in quella scuola.
Paradossalmente possono esserci le telecamere ma il suo vissuto è comunque patologico. Dobbiamo
analizzare quello che succede dopo il fatto, la frase detta dal paziente: “Se ci sono le telecamere, io
sono spacciato”.

S: Ma il paziente delirante direbbe mai: “Ma ci sono le telecamere? Oddio mi hanno beccato!”

P: No! Non lo direbbe! Lui lo vivrebbe e basta. Il problema è che il delirante, proprio perché è un
delirio, accetta il fatto. Questo paziente non era delirante. Per tagliare la testa al toro basta chiedere
al paziente chi è che dubita che ci siano le telecamere. Lui risponderà: “IO”. Come nel caso della
suora che era lei che bestemmiava e non glielo ordinava nessuno.
I cosiddetti fenomenologi (psichiatri che si occupano della comprensione, cioè come quel disturbo
si è venuto a generare non in termini di eziologia, ma in termini psicologici) dicono che l’elemento
che differenzia l’ossessione dal delirio è la cosiddetta meità (sta per “io penso”). Quando un
paziente dice “io penso”, “io suppongo” non è più delirio perché quando c’è un delirio c’è la
certezza assoluta, non sono io che ho il dubbio.

Caso 6

Un paziente giocatore nazionale di rugby in seguito a un trauma cranico continuava a sentire le


persone attorno a lui che parlavano di follia e pazzia. La madre per farlo stare più tranquillo lo porta
a Creta in vacanza e anche lì addirittura i russi parlavano della sua pazzia, in russo ovviamente. Il
paziente era convinto che tutto derivasse da un microchip impiantatogli dopo l’intervento per il

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trauma cranico. Si è fatto fare una risonanza magnetica inutilmente. E’ un’esperienza molto diversa
da quella della suora e dalle altre. Qua il paziente non dice di essere pazzo come la suora, ma
riferisce che è tutta colpa del microchip. Questo è delirio, la suora è ossessione!

Vediamo di chiarire con quest’esempio:


Paziente che si dà fuoco e dice: “Io l’ho fatto perché il demonio si è impossessato di me e voleva
farmi diventare un suo strumento per far del male agli altri. Allora io preferisco togliermi di
mezzo”.
Mamma in cucina con la figlia e all’improvviso le arriva l’immagine del coltello davanti. Ha paura
di far male alla figlia e preferirebbe ammazzarsi.
C’è differenza tra queste due esperienze? Il primo è delirante schizofrenico, la seconda è
un’ossessiva.
Nell’ossessione c’è quasi sempre una consapevolezza di avere un problema.

S: L’ossessione può diventare delirio?

P: Si, è possibile. Non è detto ma è possibile.

Caso 7

Per complicarci la vita andiamo a vedere un caso particolare. Una paziente di 60-65 anni in
menopausa esce di casa per buttare la spazzatura. Mentre sta arrivando al cassonetto, dall’altra parte
della strada c’è un ragazzo di colore che se ne va per i fatti suoi. Lei arriva al cassonetto, perde di
vista il ragazzo, butta l’immondizia e torna indietro finché improvvisamente le viene un flash e
dice: “Non avrò mica fatto la stupida, non avrò avuto un rapporto sessuale con quel ragazzo lì?”.
“Scusi ma se ne è resa conto???”. “No però…”.
Niente da fare, comincia con il dubbio di poter “far la stupida” con tutti, anche con quelli che
guidano l’auto, passano davanti a casa sua, rallentano, scendono dall’auto mentre l’auto continua a
andare, lei li fa salire in casa, fanno gli stupidi e lui è talmente veloce da tornare giù, riprendere la
macchina in movimento e andare per la sua strada.
A un certo punto per non farsi mancare nulla: “ Se io ho fatto la stupida e non ho le mestruazioni,
sono incinta!”
Manda il marito in farmacia a prendere 4 test di gravidanza e prenota una visita ginecologica,
ovviamente tutto negativo. La paziente guarisce non per l’esito degli esami, ma perché finalmente
l’episodio finisce (che tra l’altro si inseriva in un episodio di tipo depressivo per cui aveva tutte
queste ossessioni di colpa molto da depressa). Qui il problema è complessissimo perché qui
addirittura c’è il dubbio di aver fatto qualcosa che non ho fatto con tutte le conseguenze mentre
nell’episodio dell’uomo che si masturbava, lui si era masturbato davvero.
Anche se potrebbe sembrare delirio (la paziente era convinta di essere incinta) rimane comunque
all’interno del disturbo ossessivo perché la capacità di essere consapevoli (meità) rimane.

Caso 8

Paziente arriva in ambulatorio sulla soglia dello stipite della porta e fa avanti indietro per dieci
minuti.

37
Succede che mentre lui varca la soglia, gli viene in mente un pensiero che non era particolarmente
benevolo nei confronti di un suo amico. Per questi pazienti se io penso, si realizza, per cui il
pensiero non benevolo si tramutava in un danno per il suo amico. Come posso annullarlo? Devo
fare questo, altrimenti succede qualcosa al mio amico.

Terapia

Il disturbo ossessivo per il trattamento è una peculiarità rispetto agli altri disturbi. Per la depressione
avete visto i farmaci con diversi meccanismi (serotonina, noradrenalina, dopamina, autorecettori,
ecc…).
Qui abbiamo una sola strada come trattamento farmacologico: quella della serotonina. Più mi
allontano dalla serotonina più il farmaco diventa un placebo e il disturbo ossessivo non risponde al
placebo.
Quindi come farmaci serotoninergici oggi abbiamo sostanzialmente 7 principi attivi che sono i 6
farmaci serotoninergici (inibitori selettivi della captazione della serotonina: fluoxetina,
fluvoxamina, paroxetina, sertralina, citalopram, escitalopram) e un triciclico che è la
clorimipramina che pur essendo un triciclico ha un elevato blocco della captazione della
serotonina.
L’altra peculiarità è la dose. Se voi trattate il panico con la fluoxetina cominciamo con dosi basse e
otteniamo effetti buoni. Nel disturbo ossessivo funziona solo la dose più alta che vuol dire:
fluoxetina 60mg, paroxetina 60 mg, sertralina 200-300 mg, citalopram 60 mg, clorimipramina 225
mg.
Funziona qualcos’altro? Si: la terapia cognitivo comportamentale, ovviamente nei casi di non
particolare gravità.
Possiamo trattare anche i bambini. Tenete presente che il disturbo ossessivo comportamentale si
può avere anche in età adolescenziale e possiamo usare questi farmaci.

38
SCHIZOFRENIA
Il termine Schizofrenia fu coniato nel 1911 da una psichiatra tedesco Oigen Breuler il quale riprese
la descrizione di alcune sindromi che erano già state evidenziate a metà '800, quindi si aveva
iniziato a parlare di Schizofrenia (chiamandola però in altro modo) prima di Breuler e il primo fu
Krepelin.

Krepelin: psichiatra tedesco, coniò per questa sindrome il termine di Dementia Precox, termine
infausto che stava a significare che l'evoluzione di questo quadro era verso un esito dementigeno,
una demenza precoce.
Krepelin aveva separato tutte le sindromi psicotiche in due classi:
– quadri che andavano incontro a restitutio ad integrum
– quadri sindromici con evoluzione progressiva verso la neuro-degenerazione e
destrutturazione della personalità più o meno grave
I quadri che guarivano venivano ricondotti nell'ambito della Psicosi Maniaco Depressiva.
I quadri che non guarivano erano pertinenti alla Dementia Precox.
Quindi il termine che lui usò (Dementia precox) aveva significato prognostico.

Il criterio di Krepelin era un criterio longitudinale: non era possibile fare diagnosi al primo
colloquio con un paziente ma solo considerando l'evoluzione e il decorso clinico, quindi la diagnosi
di Dementia Precox veniva confermata quando si riconosceva nel paziente l'evoluzione progressiva
e l'esito infausto.

Krepelin aveva raggruppato nella DP diversi quadri sindromici che erano stati già precedentemente
descritti:
 Catatonia
 Ebefrenia
 Visania tipica
 Krepelin li raggruppò perché avevano caratteri in comune:
 esito infausto
 esordio giovanile (16-25 anni)
 decorso più o meno rapidamente progressivo che portava nell'arco di circa 10-15 anni ad una
progressiva destrutturazione delle personalità, deterioramento mentale fino ad esiti simil
dementigeni.
La progressione verso la demenza è, ai nostri tempi, contrastata della terapia farmacologica.

Breuler: nel 1911 coniò il termine Schizofrenia (“mente rotta” in greco).


A differenza di Krepelin, Breuler rifiuta il criterio longitudinale e adotta un criterio trasversale,
sintomatologico, quindi indipendente dal decorso.
Per lui la Schizofrenia è caratterizzata dalla scissione (spaltung) e la definisce come “perdita della
coesione strutturale della personalità, una frattura e una dissociazione delle funzioni psichiche”,
porta quindi, indipendentemente dal decorso, ad una discordanza, ad una frattura e ad una
disarmonia tra le varie funzioni psichiche come affettività, memoria, coscienza.

Si può considerare la Schizofrenia in due modi:

39
 PROCESSO = entità morbosa che si abbatte improvvisamente (nell'arco di pochi giorni) e
senza preavviso su una persona spezzando la continuità di significato della vita di
quell'individuo (quid novi). La Schizofrenia è stata a lungo considerata in questo modo
(considerazione classica)

 SVILUPPO = evoluzione lenta, graduale e abnorme (che richiede anni) a partenza da una
personalità predisponente pre-morbosa che rende il soggetto vulnerabile al disturbo. Si
iniziò a considerare la Schizofrenia in questo modo all'inizio del '900.

 Attualmente entrambi sono validi, quindi la Schizofrenia può sia esordire su una
personalità non predisponente ma più frequentemente esordisce a partire da una
personalità predisponente.

 La personalità predisponente alla schizofrenia è la SCHIZOIDIA e rientra in due disturbi di


personalità:
 disturbo schizoide
 disturbo schizotipico
 queste personalità, i disturbi di personalità, fanno parte di un ambito para fisiologico (non
sono malattie) ma pur rientrando nella “normalità”, hanno in sé tratti di vulnerabilità per le
patologie psichiatriche e i tratti di vulnerabilità sono espressioni fenotipiche precoci della
vulnerabilità neurobiologica sottostante (se ne parlerà nella prossima lezione) derivanti da
processi che avvengono a livello intrauterino nel primo trimestre di gravidanza.
 Lo schizoide è colui definito generalmente “originale, strambo”, ha predisposizione alla
chiusura, all'introversione, associata però ad una struttura affettiva molto complessa
definita come proporzione psichestesica:
 anestesia affettiva = questi soggetti sembrano essere freddi e con pochi interessi, poche
amicizie valide, senza affettività
 ma all'anestesia affettiva si contrappone
 iperestesia = sono ipersensibili, hanno estrema suscettibilità relazionale

Tornando a Breuler, egli distinse i sintomi per far diagnosi di Schizofrenia in due gruppi:
 SINTOMI FONDAMENTALI
 dissociazione del pensiero
 deterioramento dell'affettività
 ambivalenza
 autismo schizofrenico
 disturbo della volontà
 SINTOMI ACCESSORI, altri sintomi che possono essere presenti o assenti o presenti anche
in altri disturbi
Distinse anche i sintomi in un altro modo (che non ha a nulla a che fare con la distinzione
precedente)
– PRIMARI = non generati da altri sintomi
– SECONDARI = conseguenza di sintomi primari
Ad es autismo schizofrenico è sia sintomo fondamentale ma anche secondario (a deliri e
allucinazioni)

Negli anni '50 Schneider definì altri sintomi importanti per la diagnosi di Schizofrenia

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(indipendentemente da eziologia e patogenesi)

– SINTOMI DI PRIMO RANGO = rendono la diagnosi di Schizofrenia molto probabile


– allucinazioni uditive. Sono presenti anche in disturbi depressivi e maniacali ma nella
Schizofrenia sono di tipi particolari e interferiscono con la vita del pz, sono ad es voci teleologiche
(danno consigli, anche banali), dialoganti (dialogano tra di loro e l'argomento è il pz, spesso ne
parlano male, raramente ne parlano bene), imperative (anche imperativi autolesionisti),
commentanti gli atti i pensieri e le esperienze che il pz vive
– passività di pensiero. La vita psichica del pz è influenzata dall'esterno, lui non è più padrone
del proprio pensiero che viene invece manipolato da altri o addirittura sostituito con pensieri altrui.
Si estrinseca in deliri di furto del pensiero o di inserzione del pensiero, i pazienti riferiscono di
sentire “fisicamente” onde elettromagnetiche che prendono il loro pensiero e lo portano via oppure
sentono il pensieri di altri penetrare nella loro testa e loro sono costretti a pensare pensieri altrui.
Altre esperienze sono quelle di diffusione e trasmissione del pensiero con i quali secondo il paziente
i suoi pensieri diventano di dominio pubblico
– passività somatica. Riferisce di non essere lui a voler fare un movimento, ad es alzare un
braccio, ma è costretto, è una marionetta, lo stesso vale per le azioni involontarie come la minzione
(il prof fa l'esempio di un suo paziente che riferiva non essere padrone della sua minzione perché la
decisione di mingere gli veniva imposta da un vecchietto appollaiato sulla sua prostata, quindi
passività somatica associata a delirio di interpretazione)
– passività della volontà e dell'affettività. I sentimenti sono imposti da altri (piacere, amore,
odio)
– percezione delirante. È una passività di percezione, cioè ad una percezione normale (stimolo
normalmente percepito) viene attribuito, imposto, un significato abnorme e delirante. Ad es un pz
vede una sedia in una stanza (percezione visiva, il pz riconosce la sedia) e capisce in modo
incontrovertibile (delirio) che Cristo sta tornando sulla terra, altro es di pz che camminando per
strada vede un cane attraversare la strada e capisce che quel cagne significa che lui verrà rapito
dagli alieni

– SINTOMI DI SECONDO RANGO = sebbene importanti non consentono la diagnosi di


schizofrenia
Per la diagnosi attualmente devono essere presenti più sintomi di primo rango di Schneider ma
ancora più importante del numero è la pervasività dei sintomi, cioè la loro incidenza nella vita
psichica del pz.

Quindi riassumendo la Schizofrenia è


 per Krepelin, una condizione a evoluzione verso la demenza, indipendentemente dai sintomi
 per Breuler, una condizione caratterizzata dalla frattura dello psichismo, indipendentemente
dal decorso
 per Schneider, una condizione caratterizzata dal vissuto di passività

AUTISMO SCHIZOFRENICO (Breuler)


Non ha nulla a che fare con autismo infantile!
È sintomo fondamentale, ma secondario.
È caratterizzato da distacco dalla realtà, interiorizzazione dell'affettività e pensiero dereistico (che

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non tiene conto della realtà), per distacco dalla realtà si intende la perdita del senso comune
(common sense) quindi la perdita di ciò che per noi è pre-riflessivo (non ci dobbiamo pensare) e che
ci permette di vivere in mezzo agli altri. È come se fossero marziani, non sanno come si parla con
gli altri (ad es che distanza tenere con una persona quando si parla), come ci si comporta in
determinate situazioni. Per interiorizzazione dell' affettività si intende che l'affettività è introiettata
verso l'interno, verso le proprie fantasie e interessi strampalati e non verso l'esterno o verso gli altri.
Minkowski completò la definizione di Breuler parlando di perdita del contatto vitale con la realtà o
perdita dell'evidenza naturale, si perde qualcosa che noi non ci accorgiamo di avere, quella cosa che
ci tiene ancorati alla realtà.
Distinse due tipi di autismo:

 autismo ricco = perdita del contatto vitale con la realtà associata però ad una produttività
fantastica, delirante, allucinatoria molto florida. Ad es un pz chiuso nella sua stanza vive
mondi fantasmagorici (esempio di un pz che ogni giorno andava su Orione per accoppiarsi
con una principessa aliena)
 autismo povero = c'è solo distacco dalla realtà, una sorta di stato demenziale
 Questo per Minkowski c'è anche nelle personalità premorbose, nelle quali lo definisce
Attività Autistica e comprende:
 razionalismo morboso = es di un padre con personalità schizoide che ha una figlia con
tumore maligno, il padre decide di regalarle per Natale una bara
 geometrismo patologico = es di un ragazzo per cui l'andare in macchina con amici in giro
per pub significava che il suo amico che era alla guida descriveva con la macchina dei
triangoli di cui lui doveva calcolare l'area
 reverie morbosa = è una fantasticheria. Es di una pz da anni chiusa in casa la quale, ad una
visita domiciliare del prof, si fece trovare vestita da principessa perché lei era un persona
importante e molte persone la cercavano. Elkann o no. Lei sapeva che non era vero, non era
un delirio ma una reverie, un sogno in cui lei viveva le sue giornate.

Domanda: si rendono conto che il loro comportamento è anomalo?


Risposta: possono recuperare un certo grado di consapevolezza dopo anni di tp farmacologica e
psicoterapia, ad es possono arrivare a capire che le voci che sentono non sono vere, ma la perdita
del contatto vitale non viene recuperata per cui loro continueranno a sentirsi estranei, pesci fuor
d'acqua.
Domanda che non si capisce:
Risposta: il medico deve innanzitutto cercare di capire quello che vivono e la loro sofferenza, il più
grande aiuto che si può dare è cercare di comprenderli, capire il loro vissuto perché solo così si può
creare un'alleanza terapeutica. Non vanno assecondati e nemmeno criticati e non si deve cercare di
fargli cambiare idea, ma vanno rispettati e bisogna aiutarli di modo che possano vivere la loro vita
nonostante i loro vissuti.

Biswanger parlò di altri 3 comportamenti rappresentativi di questo distacco dalla realtà


nell'autismo:
 esaltazione fissata = simile alla reverie, è il fissarsi su un unico argomento, di solito
strambo, cui il pz dedica la sua vita, ad es un pz aveva dedicato la sua vita a capire come
avveniva l'orgasmo femminile e passava 20 h al giorno davanti alla tv cercando scene
d'amore
 stramberia = l'essere strambi appunto, non legati al senso comune
 manierismo =comportamento affettato, finto, perché non sanno spontaneamente comportarsi
nel modo giusto ad es quando parlano con una persona, quindi cercano di farlo imitando gli

42
altri ma si rendono goffi, maldestri e artefatti

Attualmente, nei sistemi nosografici, la Schizofrenia viene considerata come una sindrome avente
tre dimensioni sintomatologiche:

– DIMENSIONE POSITIVA = è detta positiva perché è qualcosa che c'è in più e che non
dovrebbe esserci.
Comprende le allucinazioni, le quali possono interessare qualsiasi sistema sensoriale oppure essere
aptiche (sensazione di scossa elettrica) o anche cinestesiche (sensazione di muoversi mentre si è
fermi), pseudoallucinazioni, allucinosi, illusioni e deliri.

Parentesi: differenza tra allucinazione/pseudoallucinazione/allucinosi/illusioni


Allucinazione è una percezione senza oggetto (ad es vedo un gatto che in realtà non c'è).
Pseudoallucinazioni vengono percepite non come provenienti dall'ambiente esterno ma dal proprio
corpo, ad esempio provengono dalla mente (ad es le voci, infatti tipicamente loro spiegano questo
fenomeno dicendo che qualcuno ha loro impiantato un microchip).
Allucinosi vengono invece percepite come provenienti dall'ambiente esterno ma ne viene percepito
il carattere morboso. Possono comparire nella Schizofrenia ma sono più tipicamente presenti nelle
malattie organiche.
Illusioni sono percezioni distorte di un oggetto che è realmente presente (ad es vedono il volto di
una persona ma viene distorta la percezione e ad esempio il pz vede il volto andare in
decomposizione)
Deliri, possono essere di tre tipi: percezione delirante (sintomo di primo grado di Scheider),
intuizione delirante (illuminazione improvvisa che viene da dentro e non legata alla percezione), e
rappresentazione delirante (ad un ricordo viene attribuito un significato abnorme e delirante)

I sintomi della dimensione positiva sono quelli che rispondono meglio alla tp farmacologica,
potendo in alcuni casi attenuarsi spontaneamente.

– DIMENSIONE NEGATIVA = comprende apatia, abulia (mancanza di volontà), anedonia


(mancanza di piacere), alogia (povertà di pensiero), da cui discende il ritiro sociale. È detta negativa
perché è qualcosa che manca.
A differenza dei sintomi positivi, quelli negativi non rispondono alla tp farmacologica e tendono a
permanere nel tempo.
Vengono distinti in primari, che sono parte integrante della patologia e secondari (es ritiro sociale),
che sono invece conseguenze di quelli primari (es ritiro sociale secondario a delirio di persecuzione)

– DIMENSIONE DI DISORGANIZZAZIONE =
Può essere una disorganizzazione
o del pensiero, è la perdita degli usuali nessi associativi tra le idee, il pz crea nessi associativi
assolutamente incomprensibili, a volte solo per assonanza tra le parole.
o Può manifestarsi come
o simmetria patologica = ad es io sono il padre di Marco, Marco è mio padre
o identità di predicati = ad es io sono vergine, la Madonna è vergine, io sono la
Madonna
o concretizzazione del pensiero = il pz non è in grado di afferrare le metafore o i modi
di dire, ad es se gli si chiede “come stai?” loro potrebbero rispondere “sto seduto”,
praticamente prendono tutto alla lettera
o di volontà e comportamento, ad esempio

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o catatonia = può essere presente anche nella Depressione, in pz schizofrenici
identifica un tipo particolare di disturbo che è la Schizofrenia catatonica. È
caratterizzata da irrigidimento ma a differenza dello stupor è caratterizzata da
catalessia, cioè la tendenza ad assumere passivamente qualsiasi posizione imposta
dall'osservatore, anche la più scomoda possibile viene mantenuta per ore, e da
flexibilitas cerea, cioè se mobilizziamo il pz abbiamo la sensazione di muovere un
tubo di cera, perchè gli antagonisti si oppongono al movimento che noi cerchiamo di
imprimere
o Risponde bene alla terapia farmacologica
o stereotipie = sia motorie (anche in catatonia!) che verbali
o negativismo = quando è attivo, il pz si oppone alle richieste dell'interlocutore
facendo la cosa opposta, mentre è passivo quando il pz si oppone alle richieste non
facendo nulla
o di affettività, comprende ad esempio
o paratimìa = è la discordanza tra un evento e la reazione affettiva (ad es alla morte
della madre si sentono felici
o paramimìa = più frequente della paratmìa, è la discordanza tra l'emozione provata e
l'espressione mimica, ad es scoppiano a ridere quando vorrebbero piangere
o sindrome atimica è invece la completa perdita di affettività che si manifesta con
apatia e completa indifferenza e negli stadi avanzati della Schizofrenia spesso
anticipa la demenza.

Esordio della Schizofrenia

Può esordire in modo acuto o iperacuto nell'arco di pochi giorni, e questo corrisponde alla visione
della Schizofrenia come processo, spesso l'esordio acuto è preceduto da uno stato d'animo
predelirante, che può durare ore oppure anche giorni o settimane, è un momento di transizione
verso la psicosi durante il quale il pz vive la progressiva perdita del contatto naturale della realtà, se
interrogato (mentre lo sta vivendo e non dopo l'esordio della psicosi!) riferirà che il mondo gli sta
crollando addosso.
Può anche esordire in modo subdolo a partire da personalità schizoide e vive il progressivo distacco
dalla realtà nell'arco di anni.
Nel DSM-IV è stato per questo motivo introdotto il criterio temporale (arbitrario) per far diagnosi di
Schizofrenia: deve essere presente da almeno 6 mesi. Il criterio temporale si è reso necessario per
distinguere la Schizofrenia dai quadri psicotici che invece possono durare ore o giorni ma che poi
regrediscono spontaneamente.

Domanda: si può guarire?


Risposta: è un disturbo neuroevolutivo, con decorso cronico, e anche se non si giunge alle fasi
estreme descritte da Krepelin di Demenza precox, lasciano comunque un difetto, un
disfunzionamento sociale, lavorativo, relazionale. Ci può essere una remissione dei sintomi con la
tp farmacologica in 1/3 dei pz ma non è comunque una guarigione.

Domanda: la personalità schizoide evolve per forza in schizofrenia?


Risposta: No (vedi lezione successiva), la personalità schizoide può anche rimanere costante per
tutta la vita.

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Domanda: è possibile fare diagnosi precoce e distinguere subito i casi che risolveranno, da quelli
che invece continueranno ad evolvere?
Risposta: Sì. Tenendo presente che la conferma della diagnosi di Schizofrenia può avvenire solo sul
piano longitudinale, quindi osservando come evolve, ci sono fattori prognostici positivi all'esordio:
assenza di personalità schizoide, esordio acuto (indice più frequentemente di disturbo dell'umore,
come depressione o disturbo bipolare, più che di schizofrenia), presenza di sintomi di disturbi
dell'umore, alterato stato di coscienza, fattori esogeni come eventi di vita molto significativi come
un lutto.

Importante: quello che si eredita è la predisposizione ad ammalarsi (e non la malattia), se a


questo associamo sostanze di abuso soprattutto cannabis, ma anche metamfetamine e cocaina, il
rischio di sviluppare il disturbo aumenta. All'inizio è la sostanza ad indurre psicosi, e quindi non si
può parlare di Schizofrenia, in questa prima fase alla sospensione della sostanza d'abuso regredisce
anche il quadro psicotico, ma a lungo andare il disturbo può comparire e quindi evolvere anche in
modo del tutto indipendente dall'assunzione della sostanza e continuare ad evolvere anche dopo la
cessazione dell'abuso.

Domanda: dal punto di vista lavorativo sono abili o no?


Risposta. Dipende molto dalla durata della patologia non trattata con tp, dalla compliance alla tp ma
anche dal grado di compromissione cerebrale cui il pz è andato in contro, alcuni possono rimanere il
grado di svolgere alcune mansioni, altri ancora invece non sono in grado di svolgere alcun compito.

SINDROMI CLINICHE appartenenti a DSM-IV appartenenti a schizofrenia:

 SCHIZOFRENIA SIMPLEX
 SCHIZOFRENIA DISORGANIZZATA
 SCHIZOFRENIA PARANOIDE
 SCHIZOFRENIA CATATONICA
 SCHIZOFRENIA RESIDUALE
 SCHIZOFRENIA INDIFFERENZIATA

La schizofrenia disorganizzata
Si tratta del sottotipo in cui prevalgono sintomi di disorganizzazione affettiva,di
disorganizzazione del pensiero e delle attività. Alcuni esempi di sintomi posso essere paratimia,
paranimia, affettività incongrua,francamente fattua; i pazienti sembrano pre-adolescenti con modi
sciocchi e superficiali che in realtà rispecchia la fatuità della affettività del paziente.

Questo sottotipo è l'erede della sindrome Ebefrenica descritta alla fine dell'800.

La schizofrenia paranoide
Si tratta del sottotipo contraddistinto da sintomi prevalentemente positivi come allucinazioni
e deliri. Sembra essere la forma con prognosi più favorevole; anche perchè esordisce più
tardivamente, intorno ai 20 anni. Inoltre i sintomi positivi sono in genere prognosticamente più
favorevoli.

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Da tener presente che il nome del sottotipo viene dato dall'aspetto prevalente ma ATTENZIONE
non unico; coesisto infatti tutti gli aspetti in ogni forma di schizofrenia.

La schizofrenia catatonica
Si tratta di sottotipo con sintomi catatonici come catalessia,immobilità statuaria, negativismo
attivo\passivo, flexibilità cerea, stereotipie motorie e verbali. Attualmente molto più rara rispetto il
passato, risponde più facilmente alla terapia farmacologica.

Rappresentava due fasi, la fase STUPOROSA, il cosiddetto stupor catatonico. I pazienti erano
bloccati a letto, senza bere anche per lungo periodo; intervallato da fase di catatonia ECCITATA
con comportamenti aggressivi contro se stessi e gli altri, anche molto gravi; fase contropolare.

In genere il paziente quando esce dalla fase catatonica ne conserva il ricordo; mente nel corso della
fase il paziente vive in una dimensione allucinatoria e delirante che però non traspare poiché viene
celata dall'atteggiamento mutacico del paziente.

Questa sindrome è sempre accompagnata da disturbi psicotici.

La morte insorgeva per rabdomiolisi, in seguito a rigidità muscolare che portava a infarcimento
renale e IRCterminale.

Il prof. fa un esempio di un suo paziente che interpreta la fase catatonica come l'esperienza
della crocifissione, delirio mistico e allucinazione che precede l'entrata nella fase di immobilità.

La schizofrenia residuale
si tratta dell'erede delle forme di schizofrenia difettuale. Quadro di schizofrenia più o meno
lungo che esita nella fase di deterioramento sul piano lavorativo e sociale fino allo stadio grave di
DEMENZA PRECOX.

La schizofrenia indifferenziata
non rientra nelle altre categorie diagnostiche, è quindi una diagnosi ad esclusione.

La schizofrenia simplex
forma che non viene classificata dalla DSM-IV. Il nome è coniato da Bleuer.

Sono persone schizoidi che improvvisamente interrompono la loro vita sociale, scolastica,
chiudendosi nel proprio autismo. Questa forma non è accompagnata da sintomi positivi come deliri
e allucinazioni.

PER FAR DIAGNOSI DI SCHIZOFRENIA NON DOBBIAMO NECESSARIAMENTE


RISCONTRARE SINTOMI POSITIVI.

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La schizofrenia pseudo-nevrotica
si tratta di una forma in cui il processo morboso, schizofrenico, è nascosto da sintomi che
fanno parte di un'altra patologia come sintomi ansiosi, fobici, ossessivi, depressivi.

La diagnosi di schizofrenia avviene a causa della progressiva comparsa dei sintomi negativi come
autismo, riduzione delle relazioni sociali e lavorative, progressivo bloccarsi, chiudersi.

La diagnosi differenziale è data dalla CASUALITÀ di questo progressivo chiudersi, interessamento


a tematiche completamente disancorate dalla realtà. Qui manca completamente una causa nota.

DECORSO-ESITO
Esordio dai16anni in poi.

Il rapporto uomo:donna è 1:1.

Nel 30% dei pazienti si ha remissione completa anche se c'è sempre perdita funzioni cognitive,
lavorative e sociali.

Nei casi più gravi si può giungere alla demenza precox, soprattutto se non segue attentamente la
terapia farmacologica.

Per demenza precoce si intende stato di difettualità gravissimo raggiunto in età giovanile
(35\40anni) in ogni campo, fino a alogia e perdita di capacità di deambulare, soprattutto al termine
del regime manicomiale negli anni80, lungo cui non avevano assunto farmaci. La terapia
farmacologica in questi pazienti non ha più nessun effetto.

# Da tener presente che questi sottotipi sono molto “fluidi”, all'interno dello stesso paziente si può
passare da una fase all'altra; in ordine di frequenza è più plausibile che si inizi con sintomi positivi e
che poi evolvano in sintomi negativi sottostanti.

NEUROBIOLOGIA SCHIZOFRENIA
É una patologia con base ereditaria-genetica:

 il tasso di prevalenza nei familiari è dell'11%;

 il tasso di prevalenza nella popolazione generale è dell'1%;

 il tasso di concordanza nei gemelli omozigoti è del 50\70%;

La trasmissione non è mendeliana, è patologia poligenica,a penetranza incompleta su cr. 5, 6, 8, 22.

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Non è quindi ereditarietà completa ma c'è una VULNERABILITÀ ereditabile a cui è necessario
associare fattori ambientali per l'emersione della schizofrenia. Questo significa che un soggetto
schizoide non necessariamente evolva in schizofrenico.

La vulnerabilità si manifesta in ENDOFENOTIPI, che sono alterazioni fini ma clinicamente


rilevabili già nell'infanzia. (esempi possono essere lievi anomalie motorie, alterazioni test neuro
pscilologici, alterazioni EEG)

Questi endofenotipi sono presenti nel paziente ma anche nei parenti del paziente. La vulnerabilità
sembra associata a disturbi psicotici aspecifici, non solo schizofrenia. Il prof. fa l'esempio di un
paziente con questa vulnerabilità che va incontro a episodio depressivo, questo avrà una maggiore
predisposizione a manifestare deliri.

FATTORI AMBIENTALI, necessari per schizofrenia conclamata, sono tutti molto precoci;

 come aumentate complicanze perinatali, ad esempio parto prematuro, pre-eclampia, ipossia,


tossiemia; ( in realtà possono essere effetto stesso della vulnerabilità!!)

 stagionalità, schizofrenia ha maggior incidenza in autunno e primavera;

 questo in passato ha fatto ipotizzare causa virale; una vulnerabilità della madre a infezione
virale potrebbe avvicinare il feto e predisporlo a schizofrenia;

 malnutrizione nel primo trimestre;

 anomalie del neurosviluppo nella vita intra uterina sono espressione precoce di questa
vulnerabilità, in particolare alterazioni delle connessioni neurosinaptiche e migrazione
neuroni, che comunque non creano di per se schizofrenia.

Lo studio Walker del 1994 evidenzia che in bambini al di sotto dei due anni d'età in cui vengono
rilevate da parte di specialisti, tramite la visione di filmati, anomalie motorie assolutamente
aspecifiche sarebbero poi andati incontro a quadro di schizofrenia.

NEUROPATOLOGIA
Non ci sono anomalie strutturali evidenti ma riscontrate alterazioni nella cito achitettonica fino a
atrofia dei lobi temporale e frontale, in particolare dell'area dorso-laterale con ipofunzionalità;
dilatazione dei ventricoli, soprattutto in pazienti con sintomi negativi. Inoltre assenza di gliosi e
solchi più profondi.

All'EEG e SPECT-PET vengono confermate queste evidenze con ridotta funzionalità e perfusione
di questi lobi.

NEUROTRASMETTITORI
Tutti i neurotrasmettitori sono coinvolti,

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Gli effetti psicotico deliranti sono sempre associati a iperattività meso-limbica con ipertono
dopaminergico. Tutti gli antipscicotici hanno azione di blocco dei recettori dopaminergici D2;
perciò tutti gli agonisti dopaminergici, droghe, levo dopa possono scatenare ex novo o slatentizzare
quadro schizofrenico.

L'altro circuito è il meso-corticale, con ipoattività dopaminergica, associata a ipofrontalità


precedentemente espresso. Mentre le altre due vie coinvolte, la tubero infudibolare e la nigro
striatale sono importanti nell'utilizzo di farmaci che ne causano blocco, poiché antipsicotici,
soprattutto se antichi bloccano aspecificamente il tono dopaminergico.

Secondo alcuni autori infine le due ipotesi sembrano collegate cioè, la ipofunzione mesocorticale
sbloccherebbe la via mesolimbica-sottocorticale.

Ultimamente si sta studiando Glutammato, neurotrasmettitore importante sia nella plasticità


neuronale che nella eccitotossicità, responsabile di quadri di neurodegenerazione.

La Fenciclidina (PCP)e la Ketamina scatenano una sindrome simil schizofrenica, psicotica tossica,
agendo sul glutammato. Determini sia sintomi positivi che negativi nell'intossicazione, età
dipendente proprio come la schizofrenia.

Weinberger, nell'87 definisce per primo la schizofrenia come patologia del neurosviluppo;
alterazione precoce della formazione di sinapsi e migrazione neuronale in epoca pre-natale che poi
deve interagire con fenomeni maturativi, eventi fisiologici e ambientali più tardivi.

Prima di lui Meehl, nel '62, definisce la schizoTASSIA come la vulnerabilità, difetto maturativo nel
neurosviluppo, che si manifesta nel paziente e nei parenti, clinicamente silenti, come nei pazienti
schizoidi o schizotipici con aspetti più mitigati.

L'ultimo concetto riguarda gli effetti A CASCATA, età dipendenti; che coinvolgono in
neurosviluppo intrauterino fino a interazioni fisiologiche e ambientali nella adolescenza che
risentono di un timing; negli eventi maturativi esistono rimaneggiamenti sinaptici fisiologici, come
il PRUNING, processi di rimodellamento-potatura di tutte le connessioni poco funzionanti, poco
utilizzate. Anche questi eventi possono incidere sulla vulnerabilità determinando messa in marcia
per schizofrenia stessa.

Domande di fine lezione:


# In futuro è auspicabile fare diagnosi precoce in base a vissuti del paziente poiché una volta che la
patologia esordisce è poi difficile trattarla. Una volta che il paziente si distacca dalla realtà trova un
mondo delirante in cui vivere è difficile ripristinare la situazione.

#Esiste un modo per rallentare l'insorgenza della patologia? Si è riscontrato che una terapia a
bassissimi dosaggi prima dell'esordio può rappresentare fattore protettivo.

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#Questi pazienti muoiono generalmente prima, soprattutto per maggior rischio, anche per scarsa
igiene e cura di se stessi; inoltre sembra ma non è accertato, essendo patologia poligenica correlata
a patologie organiche come dislipidemia, patologie cardiovascolari non solo associati a effetti
collaterali dei farmaci antipsicotici.

#La terapia farmacologica deve essere proseguita per tutta la vita.

Questa è molto incisiva sulla sintomatologia positiva. Il paziente può disinteressarsi dei deliri
passati “INCISTARLI”, o il paziente ne prende coscienza ma non lo disturbano. La terapia non è
eziologica, tende a raffreddare i sintomi.

Rimane importante la psicoterapia educativa, non la psicoanalisi, per informare paziente e familiari
e comprendere i vissuti degli schizofrenici. Già questo è terapeutico.

L’ESSENZA DELLA SCHIZOFRENIA


Oggi cercheremo di fare un riepilogo sulla Schizofrenia, e di completare ciò che abbiamo detto la
settimana scorsa: tratteremo aspetti che non fanno parte delle lezioni classiche di medicina o
dell’esame di medicina; però credo sia importante affrontare certi aspetti della patologia per capirne
meglio la natura.

Finita questa parte inizieremo a parlare degli altri disturbi psicotici non schizofrenici, cioè:

1. I disturbi deliranti cronici


2. Le psicosi brevi

L’ultima volta abbiamo parlato della schizofrenia come disturbo neuroevolutivo, mentre la lezione
precedente abbiamo visto la psicopatologia della schizofrenia e i vari approcci, da Kraepelin
(criterio longitudinale) a Bleuler (criterio trasversale) il concetto di Spaltung, quindi dalla
dissociazione, discordanza, frattura dello psichismo ai sintomi di primo rango di Schneider sino al
concetto di autismo.

Ora, per farvi capire ciò che rende schizofrenico uno schizofrenico, e quindi per farvi arrivare
all’essenza della schizofrenia, vi parlerò di alcuni vissuti soggettivi che sono presenti prima
dell’esordio clinico.

La loro individuazione in tempi non sospetti, quindi antecedenti alla frattura, è molto rara ma
fondamentale per poter fare una diagnosi sempre più precoce, poiché una volta avvenuta la frattura
non si rimarginerà mai completamente: individuare gli stadi preschizofrenici significa prevenire un
eventuale esordio.

L’approccio didattico sarà basato sulla Psicopatologia Fenomenologia, che nasce dalla
Psicopatologia Descrittiva ma cerca di comprendere ciò che resta dietro ai sintomi, perché in

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psichiatria non esiste un sintomo patognomonico di una malattia: le allucinazioni, i deliri, sono
presenti nella schizofrenia così come in un’altra infinità di disturbi psichiatrici.

Ciò che rende più specifico, più essenziale un determinato disturbo sono i vissuti che si nascondono
dietro ai sintomi.

I vissuti alla base delle allucinazioni e dei deliri nella schizofrenia sono vissuti di passività: il
paziente è influenzato dagli altri, i suoi pensieri sono controllati, manipolati, e questo è già un
vissuto specifico per schizofrenia.

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AUTISMO

equivale alla perdita del contatto vitale con la realtà, o, per citare altri autori,

 “perdita della evidenza naturale” (Blankenburg)


 “perdita della sicurezza ontologica” (Leng).
Tali definizioni indicano chiaramente che la schizofrenia coincide con la perdita di un sentire “”pre-
riflessivo”, spontaneo, che consente all’uomo di vivere in mezzo agli altri, con i propri pensieri e
sentimenti, con il proprio corpo, cioè “in prima persona”: senza doverci pensare.

Nella schizofrenia si rompe il rapporto del paziente con sé, con le percezioni, con gli oggetti e con il
mondo esterno.

Gli oggetti non si trovano più all’interno di una rete di significati (le sedie sono lì affinché qualcuno
possa sedervisi sopra); ed ogni percezione, privata del suo significato usuale e quotidiano, diviene
problematica.

Uno schizofrenico nota questo disagio prima che si manifesti la frattura: già si domanda perché le
sedie esistono e soprattutto cosa voleva dire al paziente colui che ha lasciato le sedie nella stanza:
ogni oggetto (ma anche ogni persona) può diventare così enigmatico, strano, potenzialmente
evocatore di tantissimi significati, generalmente tendenti all’autoriferimento (ogni cosa parla al
paziente). L’angoscia che accompagna questi vissuti è enorme.

L’angoscia predomina infatti nello stato d’animo pre-delirante, che precede normalmente l’esordio
clinico e precede la costruzione del delirio. È caratterizzato dalla perdita completa di tutti i
significati usuali che possono avere gli oggetti: questa fase non può durare molto perché non è
possibile vivere in un mondo dove vi è una completa sospensione di ogni significato, la durata è di
al massimo una settimana, dopodiché l’angoscia tremenda che vive il paziente si dilegua, grazie ad
una nuova ricostruzione di significati, non più comuni, ma appartenenti al delirio: questa fase si
conclude quando emerge la percezione delirante.

La percezione delirante è una percezione di per sé corretta, alla quale viene attribuito un significato
delirante: il paziente vede una sedia nella stanza, e immediatamente capisce che significa che Cristo
scenderà sulla terra. Prima della percezione delirante quella sedia, come qualsiasi altro oggetto,
poteva potenzialmente assumere qualsiasi significato, però non aveva ancora un significato proprio;
il paziente ad esempio si sarebbe chiesto “perché c’è quella sedia nella stanza? Cosa sta
succedendo? Qualcosa sta cambiando…” L’uso del verbo “cambiare” è tipico di questa fase,
proprio perché tutti i significati mutano.

Quando finalmente viene ri-attribuito un significato agli oggetti, e nella fattispecie un significato
delirante, inizia il delirio e la schizofrenia: il soggetto vivrà poi per sempre nel suo mondo psicotico,
distaccato dalla realtà.

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Purtroppo fasi di stato d’animo predelirante sono molto rare a vedersi, perché precedono la
manifestazione clinica; quindi quando il paziente giunge all’attenzione dello psichiatra
generalmente la malattia è conclamata; tuttavia non è impossibile che si verifichino casi di questo
genere:

 Una ragazzina di sedici anni era giunta in PS a causa di tentato suicidio perché nel giro di
pochi giorni “non capiva più il mondo” “le persone, gli oggetti, il mondo intorno è diventato
strano, sinistro, non decifrabile”. Ancora non aveva costruito il delirio, ma non riusciva a
reggere quest’angoscia.
 Un ragazzo di diciotto anni con esperienza di fine del mondo: aveva la sensazione che
crollassero tutti i significati innati e la interpretava come se dovesse finire il mondo:
guardava angosciato le crepe nel muro credendole prove del fatto che il mondo si sgretolasse
davanti ai suoi occhi. Ciò che rende più angoscianti queste esperienze è la loro forte
connotazione all’autocentralità: se tutto il mondo crolla, l’epicentro è il paziente stesso.
Dopo poche settimane esordì con deliri, allucinazioni a carattere mistico ed entrò nella
schizofrenia. Non ne uscì più.
 Un ragazzo di sedici anni angosciato chiese ai suoi amici se non avessero la sensazione che
la terra respirasse/andasse in su e in giù. Non era ancora un delirio, ma denotava una forte
ansia riguardo a un ipotetico cambiamento naturale-mondiale. Anche lui, nell’arco di poche
settimane esordì con sintomi tipici. Non ricorse all’aiuto psichiatrico, cercò di curarsi
facendo uso di sostanze psicotrope. Si suicidò dopo circa 10 anni. Molti casi purtroppo
sfuggono alla medicina, alla psichiatria: forse, se i medici fossero più capaci di comprendere
questi vissuti, anche i pazienti si affronterebbero più frequentemente alle cure.

Ma lo stato d’animo predelirante si riversa non solo verso l’esterno, sul mondo: si rivolge anche
verso l’interno, verso qualsiasi altro contenuto di coscienza, i propri pensieri: talvolta addirittura
anni prima dell’esordio i futuri pazienti iniziano ad avvertire sensazioni strane quali:
 “sto perdendo il contatto con me stesso” si sentono sempre più strani, più alterati
 “per pensare devo pensare che sto pensando” (iperriflessività)
 “sto pensando a questa cosa qui, proprio sotto al cervelletto” (spazializzazione del pensiero)
i pensieri acquistano caratteristiche fisiche

La perdita del controllo dei propri pensieri è una caratteristica ricorrente, il soggetto non è più in
grado di controllarli e quindi a volte si sommano, si accavallano.
Il paziente non è più padrone non solo della propria attività psichica, ma anche dei propri
sentimenti, delle proprie emozioni (questo poi sfocierà nei sintomi paratimia e paramimia) e
nemmeno del proprio corpo. Tale vissuto è particolarmente angosciante: i pazienti possono
muovere un braccio senza voler compiere quel dato movimento, oppure, in modo ancor più
eclatante, non possono controllare i propri atti fisiologici, come la minzione; ad esempio un
paziente del professore non poteva decidere quando andare in bagno perché c’era un folletto
appollaiato sulla sua prostata che tirando dei fili immaginari gli precludeva la minzione.
Questo è un classico esempio di delirio di passività somatica, ma prima che inizi il delirio il
paziente per mesi o anni il paziente avvertiva sensazioni di estraneità somatica; come, secondo

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un’altra esperienza del professore, un altro paziente che in fase prepsicotica gli disse “oggi sto male,
perché il mio corpo mi va stretto”, esprimendo così un’alterata sensazione corporea.

Oltre a queste sensazioni di estraneità angosciante un altro vissuto tipico è la passività, ma già
l’estraneità stessa è un vissuto di passività.
Una delle esperienze più profonde legate ai vissuti di passività è la perdita dei confini dell’Io; non
esistono più barriere tra il Sé, il proprio mondo interno; e il mondo esterno.
Questa sensazione comporta poi, quando esordisce la schizofrenia, la convinzione da parte del
paziente che la CIA o i servizi segreti tramite onde elettromagnetiche lo manipolino, lo influenzino
o gli parlino attraverso delle voci, imperative o dialoganti (sindromi di primo rango di Schneider).
Queste sensazioni da parte del paziente non sono mai sensazioni metaforiche: sono sensazioni reali,
fisiche, profonde: in concomitanza con la convinzione che un pensiero gli sia stato inserito nella
testa da alieni, il paziente avverte fisicamente l’inserimento del pensiero nel cervello.

Frequentemente il paziente ha dei vissuti di riorientamento ed autocentralità: molto spesso queste


persone prima dell’esordio iniziano a porsi dei quesiti esistenziali che in condizioni di normalità
non si sarebbero mai posti: diventano dei piccoli filosofi!
Iniziano così a porsi delle domande metafisiche, teologiche, pseudo-filosofiche riguardo al perché
della vita, al perché del mondo, al perché dell’essere, etc. pur non essendo dei liceali o studenti in
Filosofia: il professore si ricorda di un suo paziente che angosciatissimo andò in libreria a comprare
“Essere e Tempo” di Heidegger. Faceva l’imbianchino.
La motivazione di tale angoscia risiede nella perdita di significato del tessuto d’appoggio su cui
vivono, che cercano disperatamente di recuperare: senza più contatto vitale con la realtà sono
obbligati a pensare all’evidenza naturale; molti si interessano alle filosofie orientali, all’esoterismo,
alla religione…successivamente tale tessuto d’appoggio sarà sostituito dalle produzioni deliranti.
Un altro paziente del professore da promettente studente iscritto alla Facoltà di Legge
improvvisamente decise di farsi frate, in preda ad un delirio mistico che non era altro che
l’espressione del crollo interno di significati vitali, che egli cercò di compensare in un qualche
modo con la tematica religiosa. Prese veramente i voti, ma questo ovviamente non lo salvò dalla
schizofrenia.

Generalmente queste tematiche, ed anche i deliri, quando insorgono, sono bizzarri: classicamente il
soggetto schizofrenico è “bizzarro” “strambo”, quasi per definizione, proprio perché perdono la
chiave di lettura del mondo, diventano essi stessi incomprensibili per il mondo circostante (vedi
anche: “stramberia”; Biswanger). I deliri schizofrenici da sempre (Jaspers) vengono considerati
“con contenuti incomprensibili”.

DOMANDE DEGLI STUDENTI

1. domanda di una studentessa:


Questi pazienti possono recuperare il contatto con la realtà attraverso la terapia o anche
spontaneamente? Oppure il “significato delle cose” gli dev’essere spiegato?

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La terapia, specie se impostata molto precocemente, da la possibilità di impedire la costruzione del
delirio, dell’allucinazione. Insieme anche alla psicoterapia si cerca di impedire l’eccessivo distacco
dalla realtà, ma la matrice basale di perdita del contatto vitale c’è e rimane….hanno sempre la
tendenza a distaccarsi dalla realtà.
Questi vissuti sono presenti per mesi, per anni prima dell’esordio e sono vissuti costitutivi anche dei
vissuti schizoide e schizotipico di personalità: e chi ha questi vissuti, uno schizoide ad esempio, non
necessariamente va incontro alla schizofrenia: resta magari tutta la vita bizzarro, originale, magari
con interessi strani, però riesce a restare adeso alla realtà.

2. domanda di una studentessa:


Ha detto che la diagnosi precoce è fondamentale. Ma come si può trattare farmacologicamente un
paziente in fase pre-esordio? E come è possibile fare una diagnosi così impegnativa su dei ragazzi?
Un dato di fatto è che quanto più precoce è la terapia, quanto più giovamento ne trae il paziente,
anche se non sempre si riesce ad impedire l’esordio. Gli antipsicotici purtroppo nella nostra società
(nei paesi anglosassoni ad esempio non è così: esiste anche uno screening) sono un grave stigma, e
ciò rende molto più arduo il lavoro dello psichiatra.
Pazienti ad alto rischio dovrebbero essere considerati:
 ragazzi con pesante famigliarità con schizofrenia;
 ragazzi con struttura della personalità di tipo schizoide/schizotipico;
 ragazzi che nell’ultimo periodo non vanno bene a scuola/perdono gli amici/si isolano;
 sintomi micropsicotici: deliri e/o allucinazioni che rientrano nell’arco di pochissimi giorni, o
a volte nell’arco della stessa giornata.
Tali pazienti nei paesi anglosassoni vengono direttamente trattati. Purtroppo in Italia c’è una
stigmatizzazione molto forte per la malattia mentale, e si preferisce negare il rischio di malattia; si
preferisce non parlarne proprio.

3. domanda di uno studente:


Quindi questi pazienti come arrivano all’attenzione del medico in Italia?
Il più delle volte per eventi acuti, cioè ci chiamano dal PS o tramite il medico di base, che riferisce
deliri/allucinazioni.
Rare,rarissime volte sono i pazienti stessi a recarsi dal medico: devono però necessariamente avere
capacità di autopercezione molto alte e spiccate per rendersi conto del proprio disagio.
Altre volte sono i famigliari, che notano che il funzionamento non c’è più: cioè il figlio magari
inizia ad andare male a scuola, a volte (e questi iniziano ad essere fenomeni di paratimia) cambiano
personalità, diventano brutali: ragazzi assolutamente dolci e affettuosi nei confronti dei famigliari
che mostrano agiti inspiegabilmente violenti.
Spesso però in Italia il problema viene negato, e non si chiama il medico confondendo il problema
con
 crisi adolescenziale;
 cattive compagnie;
e così il paziente viene portato all’attenzione di altre figure professionali, che sono socialmente più
accettate, con enorme perdita di tempo ai fini della terapia.

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Un altro problema è la separazione della psichiatria adulta e la neuropsichiatria infantile: a sedici
anni, i pazienti schizofrenici non sono propriamente di competenza di una o dell’altra branca.

4. domanda di una studentessa:


Uno schizofrenico è quindi considerato “incapace di intendere e di volere”?
in Italia se uno schizofrenico compie un reato non è imputabile. Tuttavia la definizione in termini
medico-legale è successiva al reato, non intrinseca alla diagnosi; anche se la malattia sicuramente
compromette profondamente il giudizio di realtà, ma non solo la schizofrenia, anche la psicosi
maniaco-depressiva, la depressione grave.

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Premessa alla lezione delle Psicosi non Schizofreniche :
IL DELIRIO
In tutte queste lezioni abbiamo parlato di “delirio”, ma non vi ho mai spiegato cosa sia.
Partiamo dall’etimologia. Delirio deriva dal latino: De – Lira: essere fuori – dal solco.
Il solco è quello dell’aratro: i Romani erano un popolo molto pragmatico, oltre che molto legato alla
tradizione contadina. Il Delirante per Loro era dunque colui che usciva dal senso comune.
È stato poi definito in svariati modi:
 un “errore morboso di giudizio” (Kraepelin)
per anni il soggetto che delira è stato considerato colui che per qualche motivo giudica male la
realtà, non riconoscendosi più nelle comuni connessioni logiche, ma tale definizione implica in
realtà la capacità di giudicare, l’intelligenza che però nel delirante non è compromessa: un delirante
che è convinto che è convinto che Gesù cristo scenderà sulla terra dopo aver visto una sedia in una
stanza non è che arriva a questa attribuzione abnorme di significato perché non è intelligente: il
paziente vive qualcosa di molto più profondo.
 “giudizio patologicamente falsato” (Jaspers,1913)
Tale definizione sembra un sinonimo della precedente, ma in realtà così non è!
Qui è il solo processo ad essere falsato morbosamente, non è il giudizio della realtà: cambia
radicalmente la percezione del proprio mondo.

Un soggetto può essere delirante perché schizofrenico, o paranoide ad esempio, ma mantenere


capacità intellettive; intelligenza, memoria integre!
I deliri possono essere di due tipi:
1. Primari:
Essenzialmente, sono quelli della Schizofrenia di cui abbiamo parlato in queste lezioni.
Si dicono primari perché dietro non c’è patologia; o meglio, ci sono tali vissuti,che non sono
ancora sintomi, della Schizofrenia. I deliri primari sono:
 la Percezione delirante;
 la Intuizione delirante;
 la Rappresentazione delirante,
di cui abbiamo già parlato nelle scorse lezioni. Di questi, solo la percezione delirante è un sintomo
di primo rango di Schneider.

2. Secondari (o Deliroidi):
Sono secondari ad un altro nucleo psicopatologico che giustifica i deliri. Esempio classico
sono i deliri affettivi (o “olotimici”): cioè legati a turbe dell’affettività; dell’umore: ad
esempio i deliri della depressione, o nella mania. Qui la causa primaria è il disturbo
dell’umore, quindi il delirio in sé è detto “secondario”.
Altro esempio di deliri secondari sono quelli che insorgono da peculiari strutture di
personalità: esempio classico: un paranoico (cioè un soggetto affetto da disturbo paranoideo
di personalità) in seguito ad eventi molto stressanti, ad esempio un licenziamento, può
sviluppare un delirio: “mi hanno licenziato perché tutti ce l’hanno con me”.

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Questo delirio è secondario alla personalità paranoidea del paziente.

La distinzione interna ai deliri secondari è molto importante, in particolar modo dovete avere ben
chiaro cosa siano i deliri affettivi, perché questi hanno dei contenuti che sono sempre i medesimi:
 di Colpa
“Dottore devo morire perché sono io il responsabile del crollo delle Torri Gemelle”

 di Rovina
Convinzione morbosa di essere falliti, ridotti sul lastrico, senza speranze, di non avere più i
mezzi materiali di sostentamento. Generalmente si estende a tutta la famiglia e non riguarda
solo il versante economico: una paziente del professore, depressa psicotica alla notizia
dell’imminente ricovero in preda ad un delirio di rovina angosciatissima si strappò i vestiti
dicendo:
“Non posso essere ricoverata, sono indegna, non merito ricovero”
(=Delirio di Colpa).
”Io non ho nulla, non ho vestiti!!”
(=Delirio di Rovina)

 Ipocondriaco
Convinzione morbosa di avere un processo patologico in atto: spesso neoplasie (gastriche;
cerebrali…)

Questre tre tematiche sono interconnesse, addirittura spesso questi pazienti fanno costruzioni
deliranti che contemplano tematiche di colpa, di rovina, o di ipocondria, interconnesse fra loro.

Generalmente i deliri di colpa interessano azioni compiute dal paziente nel passato, e quindi
meritano la dannazione divina, le fiamme dell’inferno, etc,etc..

La colpa passata si traduce nell’indegnità attuale: “Sono una persona indegna” / “Sono una
persona moralmente insulsa, che merita la morte, il fuoco eterno, qualsiasi supplizio”

L’indegnità viene spesso riferita al corpo, che risulta marcio, malato.

Colpa,indegnità e ipocondria si traducono in una futura, imminente rovina per il paziente:

“Sono finito, sono ridotto sul lastrico, non c’è più speranza! Per colpa mia io e la mia famiglia
mendicheremo per il resto dei nostri giorni! Ci prenderanno la casa, ci porteranno via i figli, i
quali saranno venduti al miglior offerente!”

La conoscenza dei deliri olotimici è fondamentale perché, anche se farete i medici di base, se voi
vedete un paziente completamente delirante che però si basa su queste tematiche dovete subito
pensare a disturbi dell’affettività, al fatto che probabilmente potrebbe essere depresso.

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Nei casi più eclatanti questi deliri si strutturano in deliri di negazione, cioè iniziare a negare
l’esistenza della propria identità, del proprio corpo: “Non ho più lo stomaco” “Non ho più il
cuore”; fino a negare i propri famigliari: “No, io non ho più i figli, sono morti”.

Il delirio di negazione spesso nasconde la tematica di rovina.

Nei casi più estremi si arriva ad una sindrome, che si chiama Sindrome di Cotard ( anche
“megalomania a rovescio”), in cui il paziente ha la convinzione di essere morto MA di dover
scontare la sua dannazione eterna in questo modo: da morto che sa di essere morto anche se sembra
vivo: addirittura il paziente arriva a negare di essere vivo. Altre volte, sempre nella stessa sindrome,
accade l’esatto opposto: cioè il paziente crede di essere l’unico rimasto in vita sul pianeta, evento
che connota sempre negativamente, come dannazione eterna; ed è costretto a vivere in un mondo in
cui tutti gli altri in realtà sono morti, tutto il mondo non esiste più, tutto è una finzione: “Tutti voi
siete solo marionette!! In realtà siete tutti in Paradiso, a godervela, e io sono qui da solo in eterno
e questa è la mia dannazione.”

Tornando al concetto di delirio Jaspers cercò di definire il delirio secondo tre criteri:

1. Assoluta certezza soggettiva:


il soggetto è assolutamente convinto di ciò che dice.

2. Convinzione incorreggibile
Il paziente non può cambiare idea: la convinzione permane.

3. Assurdità di contenuto

In realtà questi tre criteri, come tutte le regole, sono in realtà opinabili: l’assurdità di contenuto ad
esempio non caratterizza necessariamente un delirio: ad esempio nei deliri di gelosia: non è assurdo
pensare che il compagno vi tradisca; addirittura può essere un delirio anche se il tradimento è
accaduto realmente.

Ciò che fa di un delirio realmente un delirio non è tanto il suo contenuto ma la modalità formale,
cioè come il delirio è nato e si è strutturato. Per esempio, se un paziente viene da voi e vi dice:

“Mia moglie mi tradisce”.

Vi può esprimere il concetto in modi differenti:

“Mia moglie mi tradisce perché ho visto un uomo in giro con il proprio cane”.

E allora si tratta di un delirio di gelosia come contenuto, mentre come forma è una percezione
delirante, tipica della schizofrenia. Magari però la moglie lo tradisce davvero: ma questo non ci
riguarda!

Se invece il paziente vi dice:

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“Mia moglie mi tradisce perché non mi guarda più negli occhi. Quando la guardo abbassa lo
sguardo. Perché ho visto che ha iniziato a leggere la sera dei libri rosa, prima ne leggeva altri.
Allora mi tradisce, è evidente che mi tradisce. Impiega due minuti di più per fare la spesa, prima ci
metteva due minuti in meno, l’ho cronometrata”.
Anche questo nel contenuto è un delirio di gelosia, ma nella forma è un delirio interpretativo,
classico della personalità paranoide. Anche qui, magari la moglie lo tradisce realmente.

Se capite questo, potete anche far diagnosi sul delirio!

Altra distinzione è:

 Delirio lucido:
Tutte quelle condizioni caratterizzate da uno stato di coscienza non alterato;

 Delirio confuso:
Quando invece insorgono in persone non coscienti, ad esempio il vecchietto che di notte va in
delirium, non è più lucido e inizia ad avere tematiche di persecuzione, è convinto che i ladri arrivino
in casa, ma è in stato confusionale.

Rientrano in tale categoria anche i deliri tossici, tossinfettivi, febbrili.

Altra distinzione riguarda la struttura del delirio, che può essere:

 Paranoicale
Delirio ben elaborato, ben strutturato, con nessi associativi che reggono tutta l’impalcatura
delirante: la costruzione paralogica è complessa, è un bel delirio. Ad esempio: delirio paranoide.
 Paranoideo
Frammentato: ci sono delle tematiche, ma non sono elaborate, la strutturazione è povera.
 Parafrenico
Il delirio è alimentato da fenomeni allucinatori molto marcati: allucinazioni visive, uditive,
olfattive, gustative molto accentuate che sorreggono il delirio.
I depressi oltre che delirare possono anche allucinare: le allucinazioni dei depressi hanno sempre le
medesime tematiche dei deliri olotimici; cioè se sentono delle voci facilmente queste dicono “sei
indegno”, oppure “hai commesso degli errori terribili”, “sei ridotto sul lastrico”, “finirai il resto dei
tuoi giorni in galera”.

A volte oltre che allucinazioni uditive hanno allucinazioni visive: ancora una volta con i medesimi
contenuti: magari vedono diavoli / le fiamme eterne infernali.

Le allucinazioni olfattive sono molto più frequenti nei depressi che negli schizofrenici, sempre con i
medesimi contenuti: iniziano a sentire odore di zolfo, o di putrefazione (legato al tema
ipocondriaco).

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DISTURBI DI PERSONALITÀ
Fino ad ora avrete fatto i mostri sacri della psichiatria, avrete fatto la depressione, il disturbo
bipolare… cose che ci fanno sentire molto utili, che sono delle malattie biologiche, a uno capita di
averle, come ti può capitare l’asma. ti può capitare la schizofrenia.

C’è una frase di Plutarco che può riassumere il concetto: “è peggio essere malati nell’anima che
nel corpo, perché i malati del corpo soffrono e basta, i malati dell’anima oltre a soffrire edificano il
proprio male” Noi troveremo dei malati dell’anima che edificano il proprio male in queste lezioni,
quindi sarà molto diverso da quello che avete visto prima.

In particolare faremo due argomenti, i disturbi di personalità e i disturbi del comportamento


alimentare. Sono accumunati dal fatto di essere poco malattie mediche, solo apparentemente però,
perché di fatto lo sono.

Dei disturbi di personalità (ddp) vedremo innanzi tutto perché è importante che la psichiatria se ne
occupi, anche se la maggior parte degli psichiatri tendono a negare questa evidenza, però voi non
dovete negarla.

Quali sono le sfide che ci pongono questi disturbi?


1. Prevalenza: nella popolazione generale un ddp è presente nel 10-15% dei casi.
Questo si associa poi a complicanze: abuso di alcol e droghe, maggior probabilità di andare
incontro ad eventi di vita avversi- come dire, se li attirano: difficoltà relazionali, problemi
abitativi e disoccupazione . Inoltre nei setting psichiatrici, tra chi chiede trattamento
psichiatrico, la prevalenza è molto alta, tra il 50 e il 70 %. Tutto quello che voi avete
imparato finora non è così puro: uno chiede un trattamento per depressione, ma in realtà
frequentemente ha anche un ddp. E di fatto in generale c’è un alta comorbidità con i disturbi
psichiatrici maggiori. Particolarmente sono frequenti tra pz con disturbi da abuso di
sostanze, problemi alimentari, depressione.
2. Tutto ciò è importante perché quando c’è un ddp tutto quello che ci hanno insegnato sui
farmaci, stabilizzatori dell’umore, antidepressivi, funzionano molto meno. Cioè quando c’è
un ddp questo complica la diagnosi di disturbo così detto di asse 1, complica il decorso del
disturbo e il trattamento dei disturbi associati. Tutto quello che avete imparato sul
trattamento dei disturbi psichiatrici, in presenza di ddp non è detto che funzioni.
3. Come dicevamo prima i ddp si associano ad elevata disabilità psicosociale e lavorativa
quindi deficit nelle relazioni e nel lavoro, rischio di suicidio, e anche aumentata mortalità
per altre cause, per esempio uso di sostanze, vita sregolata.
4. Tutto cio è complicato dal fatto che quando noi psichiatri li vediamo per la prima volta non
abbiamo il tempo di pensare, perché la loro presentazione clinica non è quella del pz affetto
da depressone maggiore che arriva, si siede diligentemente nel vostro ambulatorio e vi

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racconta di com’è preoccupato che si sente triste, non mangia più, ha perso peso, la vita non
è più la stessa…

La presentazione clinica invece è urgente e caotica, vengono all’attenzione del medico con un
cocktail di tutto, dall’autolesionismo, all’abuso di sostanze, problemi interpersonali di tutti i tipi,
divorzi, relazioni traumatiche, vari sintomi ansiosi e depressivi che non riusciamo a collocare in
nessuna categoria diagnostica. Non ci capiamo niente. Nella loro storia di solito c’è un escalation di
contatti con il medico di medicina generale, vanno facendo richieste assurde e volendo una
risoluzione rapida dei problemi. Spesso hanno avuto contatti con servizi psichiatrici, pronto
soccorso e sistema giudiziario.

5. Il loro trattamento si caratterizza per un costante drop-out dai livelli di trattamento


ambulatoriale, che in psichiatria sono quelli che davvero curano le persone. La nostra non è
una specialità in cui pensiamo di ristabilire tutto con un ricovero. Questi pz invece
droppano, abbandonano i trattamenti e si verifica quel fenomeno che si chiama “revolving
doors”: droppano il trattamento e tre giorni dopo li ritrovi al PS tagliati da capo a piedi.
Nuovo ricovero, nuovo affido al trattamento ambulatoriale, nuovo drop-out.

6. Come reagiscono gli psichiatri davanti a tutto questo? Questi pz sono i pz che non piacciono
agli psichiatri, qualcuno si rifiuta di curarli, (non so se il prof Marchesi vi ha fatto un
accenno alla sua visione dei ddp, per lui se non esistessero sarebbe meglio. Forse per tutti,
però esistono.) Perché c’è questa sensazione? Perché richiedono un sacco di tempo a fronte
di un apparente non collaborazione con il trattamento. La percezione dei clinici è di
intrattabilità. Queste sono alcune frasi che ho raccolto negli anni di telefonate con il povero
malcapitato specializzando di turno:

• ‘Non c’è niente da farci’

• ‘I Farmaci sono inutili’

• ‘Ecco, ho sbagliato di nuovo’

• ‘Non saprei cosa dirgli’

Alcuni, dopo il terzo tentativo di suicidio in una settimana, mandano messaggi tipo “Basta, mi
arrendo. Hanno Vinto loro, con questi mezzucci…” Quello che questi pz ci inducono è la spinta
a fare qualcosa. Sono così caotici, fanno casino, che noi pensiamo “Devo fermarli in qualche
modo!” “Cosa devo fare adesso, e come lo calmo?” Abbiamo una sensazione di urgenza ad
agire. C’è una percezione di non saper cosa fare ma di dover fare qualcosa, a tutti i costi e
subito.

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Cos’è un ddp? Definizione.

 Una definizione che secondo me funziona bene è quella del fallimento che coinvolge tre
aree di funzionamento dell’individuo.
“Un ddp è un fallimento che coinvolge tre aree di funzionamento
dell’individuo, distinte ma correlate: il sistema del Se, le relazioni familiari
o di parentela, le relazioni sociali o di gruppo.”
C’è qualcos’altro nella nostra vita oltre questi tre sistemi? No, racchiude tutto. È un fallimento
dell’intera persona. È la persona che non funziona in niente.

 L’OMS dice: Un grave disturbo nel carattere e nelle tendenze comportamentali


dell’individuo, che in genere coinvolge diverse aree della personalità, ed è pressochè
invariabilmente associato con gravi deficit personali e sociali.
 Noi facciamo riferimento al manuale diagnostico dell’associazione psichiatrica
americana e questi sono i criteri generali per fare diagnosi di ddp, che recita:
A. Un modello abituale di esperienza interiore di comportamento che devia
marcatamente rispetto all’aspettative della cultura dell’individuo. Questo modello si
manifesta in due o più delle aree seguenti:
1)Cognitività (cioè modi di percepire e interpretare se stessi, gli altri e gli avvenimenti)
2) Affettività (cioè la varietà, intensità, adeguatezza della risposta emotiva)
3)Funzionamento interpersonale
4)Controllo degli impulsi
B. Il modello abituale risulta inflessibile e pervasivo in una varietà di situazioni
personali e sociali.
C. Il modello abituale determina un disagio clinicamente significativo e
compromissione del funzionamento sociale, lavorativo e di altre aree importante.
D. Il modello è stabile e di lunga durata, e l’esordio può essere fatto risalire almeno
all’adolescenza o alla prima età adulta.
E. Il modello abituale non risulta meglio giustificato come manifestazione o
conseguenza di un altro disturbo mentale.

Cognitività: hanno quindi un modo di interpretare se stessi, gli altri e gli avvenimenti che è
deviante. Vedono ad esempio tutti come cattivi o tutti come buoni. Anche noi magari a volte lo
facciamo, momentaneamente, ad esempio in condizioni stressanti. Però noi per mitigare questi
pensieri facciamo un’operazione cognitiva, es. “questo prof. anche se mi ha bocciato ad un esame
non è un mostro”. Può essere una reazione comprensibile sul momento, ma il nostro modello di
interpretare gli altri e quello che fanno non può essere sempre così. Se non riesco a rivalutare le
cose, a mettermi da una prospettiva diversa, distaccata, allora quello è un modello pervasivo di
cognitività alterata che è tipico dell’individuo con ddp.

Lo stesso capita con l’affettività. Noi quando siamo tristi perché ci è capitato qualcosa di brutto, non
corriamo a suicidarci. Prima cerchiamo delle soluzioni, controlliamo le nostre risposte affettive.
Ovviamente a volte saremo tristi, ma cerchiamo una soluzione.

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Modello stabile e pervasivo: Questo comportamento alterato capita sempre, in tutte le situazioni.

Si tende a non fare una diagnosi in adolescenza, anche se gli antecedenti sono chiari… però si dice
che la personalità durante l’adolescenza non è ancora formata.

 Tutto ciò si può riassumere in una frase: incapacità stabile e pervasiva di amare e di
lavorare.

Diverso da un episodio depressivo, ad esempio, che non è stabile e pervasivo.

Ci sono tre gruppi differenti di DDP che hanno una presentazione


clinica molto diversa, detti “cluster”:
Poi la clinica la facciamo la prossima volta, però in generale sono questi A, B, C.

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 Il Cluster A “eccentrico” si caratterizza per pensieri e comportamenti bizzarri, sembrano
strani. Il secondo Cluster è quello che tutti gli psichiatri odiano, che rompe terribilmente le
scatole, che fa casino. Il cluster C è forse l’unico, noiosissimo, che gli psichiatri riescono a
tollerare.

Esempio clinico di cluster A: pz di 35-40 anni.

Questo è un tipico esempio di disturbo schizotipico del cluster A. Vedete che il mondo interno è
caratterizzato dall’assorbimento in pensieri bizzarri, e il mondo esterno è caratterizzato da un
incapacità e disinteresse a stabilire relazioni soddisfacenti. Notiamo che lui non ha chiesto
trattamento, è stato mandato dalla madre.

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 Cluster B “drammatico”

*SPDC: Servizio psichiatrico di diagnosi e cura (servizio di pronto soccorso psichiatrico per
acuti) Nota: dal punto di vista dello psichiatra è ugualmente pericoloso usare droghe leggere
e non.

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È arrivata che sembrava stesse morendo dalla disperazione, 12 ore prima aveva fatto un tentativo di
suicidio. Poi il giorno dopo non sembra più depressa. Infermieri e specializzandi sono target molto
ambiti per questi pz, gli chiedono di uscire… Questo è un esempio classico di disturbo borderline,
che è un po’ il principe dei ddp. (Studenti fanno notare che è simile alla trama del film “Ragazze
interrotte”, la prof conferma che “l’Angelina Jolie era una borderline, anche narcisista e
antisociale”)

 Cluster C “ansioso”: ansioso e inibito. Caso clinico: donna di circa 40-50 anni.

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Notate che va spesso dal medico di base. Non giudichiamo se il marito eticamente abbia fatto
bene o male a lasciarla, però è anche un po’ lei che distrugge le relazioni interpersonali, è
incapace di affrontare il cambiamento.

Quali sono le difficoltà diagnostiche in questi casi?


Voi avete fatto la psichiatria vera. Di solito ci sono dei sintomi che il pz riferisce. Nei ddp però è
importante osservare il pz e le sue modalità di interazione. Per il pz tutto ciò fa parte di lui, i sintomi
sono egosintonici. Non li riconosce come sintomi. Per esempio il primo caso, per lui non è un
problema vivere da solo, il problema è quando gli altri gli dicono di uscire! Il problema sono gli
altri, non è lui, lui vuole essere lasciato in pace. La paziente di cluster B invece chiede trattamento
però poi non fa nulla per seguirlo, non si adatta alle norme del reparto… (non si portano le canne in
reparto!) Cluster C: la colpa è solo del marito, non sua!

Molto importante anche il colloquio con altri che notano cose che il pz stesso non nota. Importante
è che il modello comportamentale deve essere stabile e pervasivo.

L’unico modo è fare interviste diagnostiche strutturate. È una diagnosi comunque da fare con le
pinze, però va fatta. Ci sono quattro domini di funzionamento che sono necessari per fare diagnosi:
sintomi, diversi nei diversi cluster, funzionamento interpersonale, la storia lavorativa (possiamo
scoprire licenziamenti, abbandoni, disoccupazione…) e poi l’esperienza interna del pz.

Infine, dicevamo, trovare un’altra persona (famigliare, amico, compagno…) che ci può informare.

Come possiamo riconoscere quindi una patologia di personalità?


Qua mi permetto di fare un salto in psicologhese, spero che non vi dispiaccia… una cosa che
possiamo tenere presente si chiama ORGANIZZAZIONE DI PERSONALITÀ . C’è quella
normale e quella patologica. Si caratterizza per:

1. L’ identità, ovvero il senso di sé, una struttura interna. Senso di identità ben integrato… mi
alzo stamattina e so di essere la stessa persona di ieri, non sempre è una banalità. Ho deciso
di studiare una cosa e la continuo, sono consapevole delle mie attitudini. So pianificare, ad
esempio, faccio il liceo classico e poi medicina. Avere un senso delle proprie risorse, valori,
obiettivi di vita, sapere come raggiungerli.

2. Un’altra è questa cosa terribile, che vi saprà di psicanalisi, il livello predominante dei
meccanismi di difesa. Non l’avrete mai sentito nominare e vi esorto quando farete l’esame
con il professor marchesi magari di non nominarlo! Però esistono. Esistono quelle adattive e
quelle patologiche. Sono modi di affrontare gli stressors esterni o interni. Es. “Sono triste
perché ho preso un brutto voto, però cerco di rivalutare il prof e di non odiarlo per sempre”.
È un meccanismo adattivo, ci permette di andare avanti, di non suicidarci. Riusciamo a

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distanziarci dalla nostra affettività e ad andare avanti, a fare altri esami. Altri meccanismi di
difesa sono molto più primitivi. Sono disadattivi. Non ci aiutano. Un esempio è “Mi molla il
moroso, invece che chiamare una mia amica, mi taglio” (acting out). Un altro è la
proiezione, es. “mi va male un esame, la colpa non è mia ma è degli altri che mi
perseguitano”. Nei disturbi di personalità i meccanismi di difesa predominanti sono
disadattivi, immaturi, un po’ primitivi (es. acting out, proiezione…). Anche la dissociazione
per esempio. Dissociare quello che non vogliamo vedere.

3. L’organizzazione di personalità si caratterizza anche per l’esame della realtà. Nelle psicosi
ad esempio diamo giudizio di realtà ad allucinazioni che in realtà non esistono… oppure
anche a dei contenuti del pensiero che diventano irrefutabili, sono dei deliri. Qua non si
parla di allucinazioni e deliri ma c’è una cosa più subdola.

Voi verreste in costume a lezione? Bè, quelli di scienze motorie ci vengono. Però loro vengono
dalla piscina, è normale. Voi no perché è contro le convenzioni sociali. Oppure, voi arrivate
cronicamente in ritardo? Sempre? La sbobinatrice si sente a questo punto chiamata in causa e
sghignazza con aria colpevole. De Panfilis: Però quando lei arriva in ritardo sa che sbaglia? Non si
stupisce se gli altri glielo fanno notare? Chicca: No, non mi stupisco. De Panfilis: Ah, ecco.

Voi tentate di sedurre chiunque ci sia tra i vostri colleghi? No.

I pz con ddp non riconoscono queste cose come problemi. Hanno un esame di realtà alterato, non
vedono le convenzioni sociali, si comportano in modo che devia marcatamente, tipo arrivare sempre
in ritardo… cose di tutti i giorni. Non capiscono quando gli altri gli fanno degli appunti, c’è uno
scollamento tra quello che loro pensano di dover fare e quello che la realtà chiede. Se gli altri
dicono qualcosa viene interpretato come un attacco personale. “Non è colpa mia, è colpa degli
altri”. Anche la donna di cluster C, lei in costume in università non ci andava, però le mancava la
capacità di leggere i segnali sociali… si stupisce se il marito ci rimane male perchè lei non vuole
mai allontanarsi da casa.

4. Il quarto, sempre molto gergo psicanalitico, da dire alle persone giuste: qualità delle
relazioni oggettuali, ovvero interpersonali. Avete un’idea degli altri come sono? Riuscite a
descrivere la persona che vi sta accanto? Facciamo allegri esperimenti facendo descrivere
agli studenti un loro amico, e conveniamo che sì, riusciamo a descrivere una persona e
dare un senso di com’è. Per es. “è una ragazza simpatica, socievole, solo apparentemente
schiva”. Abbiamo un’idea integra degli altri e sappiamo descriverli. I pz con ddp invece
vedono gli altri in maniera contradditoria. Direbbero ad esempio “è una persona simpatica,
non saprei… è schiva… però anche molto socievole…” non hanno un concetto unitario… la
persona oggi è schiva, e domani è socievole. Le relazioni interpersonali inoltre sono vissute
solo nel senso del soddisfacimento dei bisogni. La persona viene giudicata in base a quello
che porta all’individuo. Infatti le relazioni interpersonali sono deficitarie. Ovviamente va
legata al primo punto perché non hanno un senso integrato né di sé né degli altri.

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Domanda: dato che siamo una cinquantina di persone qui, è possibile che 7 di noi in questo
momento abbiano un disturbo di personalità? Come si stanno sentendo?? 7 sono tanti!

Risposta: Probabilmente tra di noi qui dentro è meno probabile che ci siano persone con disturbi di
personalità, un’organizzazione di personalità così patologica si associa a disagio clinicamente
significativo, è meno probabile che riuscirebbero a seguire un percorso universitario. Gli studi sono
fatti su campioni di popolazione generale, voi non siete un campione rappresentativo della comunità
generale.

Domanda: Un pz si riconoscerebbe se ascoltasse la lezione?

Risposta: Se uno gli fa proprio una lezione un po’ sì, infatti uno dei trattamenti è la
psicoeducazione, spiegare qual è il disturbo. Può portare sollievo al paziente. È un ausilio
terapeutico.

5. C’è un ultimo punto, funzionamento morale. Di solito i nostri valori sono in accordo con
quelli della società. I pz con organizzazione patologica di personalità in diversi modi hanno
un comportamento etico alterato, una coscienza o troppo rigida (cluster C ad esempio) o
completamente assente es. nei disturbi antisociali.

Quando ci sono queste aree alterate si parla di disturbo di personalità. Questa è la base
comune a tutte.

Alcune persone però potrebbero avere alcune di queste caratteristiche di personalità, magari non
così estremizzate. Però non vuol dire che sia un disturbo di personalità.

I TRATTI DI PERSONALITA’
La personalità normale è fatta da tratti. Sono normalmente distribuiti nella popolazione, come
l’altezza. Tutti abbiamo un dato punteggio su una curva gaussiana per vari tratti di personalità. Cosa
sono i tratti di personalità?

 Modalità coerenti di comportamento, emozioni e stile cognitivo


 Differenze interindividuali nel comportamento, che rimangono stabili nel tempo e nei
contesti
 I tratti sono egosintonici, non sono avvertiti come problematici. Ad esempio l’impulsività è
un tratto di personalità. Lo osservano più facilmente gli altri.
 Questi tratti costituiscono un amalgama di TEMPERAMENTO ( fattoti genetici) e di quello
che impariamo, l’ESPERIENZA.

Il temperamento è un po’ la radice biologica della psichiatria, è affascinante.

Quindi questi disturbi anche hanno delle basi biologiche importanti… però sono anche patologie
dell’anima dove i pz edificano il proprio male.

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Temperamento è la tendenza innata a reagire agli stimoli ambientali. Le caratteristiche del
temperamento sono biologiche, stabili, ereditabili, geneticamente determinate. (sono sempre molti i
geni implicati)

I modelli più accreditati del temperamento riconoscono quattro dimensioni temperamentali, che si
distribuiscono in modo normale nella popolazione, ognuno di noi ha un livello in ognuna di queste
dimensioni:

1. Ricerca di stimoli forti e novità

Sono normali differenze interindividuali. Se siamo in un punto molto alto della gaussiana può
essere che abbiamo dei tratti molto marcati, estremi, ad esempio continuo bisogno di stimoli nuovi,
che ti danno un picco di dopamina. Se non lo faccio mi sento annoiato. Ad un estremo basso di
questa gaussiano gli stimoli potenzialmente nuovi mi spaventano. I genitori e gli insegnanti
descriverebbero questi bambini come il bambino perfetto, i compagni di classe invece lo trovano
noioso. Entrambi gli estremi possono essere dannosi. Domanda: Possono essere predisponenti per i
disturbi di personalità? Sì dopo ne parliamo. (Poi ovviamente ci sarà anche l’interazione con
l’ambiente.)

2. Sistema di inibizione comportamentale

La maggior parte di noi, come dicevamo, sta nel mezzo. Se uno è troppo alto è molto apprensivo, ha
paura di tutto. Chi è particolarmente basso invece non ha per niente paura, si mette in situazioni
pericolose non tanto perché le vuole ma perché non gli fanno paura. Queste dimensioni sono
indipendentemente ereditabili, per cui per esempio un bambino potrebbe nascere alto sia sulla
ricerca di nuovi stimoli che sull’ inibizione comportamentale: in questo caso ad esempio il bambino
del Bronx vorrebbe rubare motorini ma ha paura della punizione. L’effetto sul comportamento
sembra neutro, però questo bambino può avere delle sofferenze.

3. Dipendenza dai rinforzi sociali, gratificazione

Ad esempio ipersensibilità al rifiuto: un po’ è normale, siamo animali sociali. Chi è molto basso in
questa dimensione non gliene fregherà nulla se gli altri lo lodano o lo disprezzano. Chi è molto alto
invece gliene frega troppo. La sua autostima dipende troppo da quello che gli altri pensano. La
maggior parte delle persone comunque ha punteggi medi.

4. Capacità di autoregolazione

O controllo volontario, serve a regolare tutto il resto. Le altre dimensioni sono reattive, questa è
attiva (poi tutte sono soggette a influenze ambientali). È la capacità di regolare le proprie reazioni
immediate (impulsività, paura…) in vista di obbiettivi futuri. Rinuncio ad esempio ad un piacere
immediato in vista di un piacere futuro maggiore.

Su Youtube digitate “marshmallow test” e vedrete dei video meravigliosi. Si tratta di un


esperimento incominciato negli anni ’70, adesso è al 40esimo anno di follow up. Sono stati studiati
due gruppi di bambini: quelli dell’asilo della Columbia University, quindi figli di dipendenti
dell’università, e un gruppo di bambini del Bronx. Ai bambini hanno fatto fare questo esperimento,

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perché gli psicologi fanno degli esperimenti cattivissimi. Il bambino veniva messo in una stanza con
un marshmallow sul tavolo. Gli dicevano “ Io adesso esco, se quando torno tu non avrai mangiato il
marshmallow che è qui, te ne darò un altro”. C’era chi lo mangiava subito, chi cercava di resistere,
chi non lo mangiava affatto…

La quantità di secondi che un bambino riesce ad aspettare è predittiva di esiti in salute mentale da
adulti, indipendentemente dal gruppo di appartenenza, Bronx o Columbia. La capacità di
dilazionare la ricompensa predice miglior funzionamento scolastico e lavorativo, minor abuso di
sostanze, miglior adattamento sociale…

Quindi il temperamento può influenzare grandemente la vita delle persone. Poi vedremo le
influenze dell’ambiente. Ad esempio il controllo volontario migliora crescendo. Oppure ad
esempio un bambino molto impulsivo che si scotta cento volte con un fornello magari alla fine
impara.

Il carattere è la modalità di comportamento appresa a partire dai tratti comportamentali e dalle


esperienze di vita. I tratti particolarmente estremi mi renderanno più difficile imparare certe cose. Il
carattere è un po’ quello che abbiamo visto riguardo all’organizzazione di personalità.

Si parte dal temperamento, poi c’è l’apprendimento sociale, e questo porta ai tratti di personalità.

Com’è che si arriva al DDP, che è una cosa completamente diversa?


Si arriva tramite un meccanismo di amplificazione, in presenza di fattori di rischio.

Ci sono persone con dei tratti estremi, nella parte molto alta o bassa della gaussiana, che in presenza
di fattori di rischio sviluppano un ddp. Alcuni invece possono avere dei tratti estremi ma non un
vero e proprio disturbo di personalità, per questo è difficile fare diagnosi.

I fattori di rischio sono innanzi tutto biologici: tratti molto estremi. Oppure psicologici: anamnesi
famigliare disastrosa. Sociali: traumi, perdite, relazioni a rischio. Sembrerebbe che questi
precipitino la situazione.

Questo non è vero ma lo vedremo la prossima volta perché adesso è tardi e siamo stanchi. La
prossima volta vedremo esattamente qual è il meccanismo alla base di questa amplificazione.

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Ripresa dei disturbi di personalità:

Esistono dei tratti di personalità non patologici, quindi se ci sembra di avere dei disturbi di personalità non
dobbiamo preoccuparci perché predisposizione non significa malattia: si parla di malattia quando c’è un
malfunzionamento di questi tratti di personalità. Questi tratti di personalità sono in parte geneticamente
determinati (la parte temperamentale), ma è la costellazione, la totalità di tutti i tratti di personalità
dell’individuo, che predispone ai DP. I tratti di personalità determinano la “forma” del disturbo di personalità
che un individuo potrà eventualmente sviluppare.

 Ad esempio: se io sono sempre alla ricerca di stimoli forti e di novità (“alta su ricerca di stimoli forti
e novità”), è improbabile che questo mi predisponga ad uno sviluppo del disturbo del cluster C (che
caratterizza gli individui ansiosi ed inibiti). In questo caso sarà più probabile lo sviluppo di disturbi
impulsivi, che sono disturbi del cluster B.
 Oppure: se io sono bassa sulla reward dependence (gratificazione interpersonale) avrò una maggior
predisposizione a sviluppare un disturbo del cluster A (eccentrico).

Quindi, quello che determina lo sviluppo di un DP è la predisposizione genetica associata al sopraggiungere


di altri fattori di rischio (fattori psicologici e sociali). Questi fattori fanno superare la soglia della normalità ai
normali tratti di personalità, che diventano maladattativi (cioè causano disfunzione) e si ha lo sviluppo del
DP.

Definizioni di DP:
 Disturbi nel concetto del sé e nelle reazioni interpersonali (mondo interno-realtà esterna).
 Schneider: persone che, per il loro modo di essere fatte, soffrono o fanno soffrire gli altri.

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C’è una relazione tra tratti
del temperamento e
fattori stressanti
collezionati nel corso della
vita. Questa relazione non
casuale si indica con 2
parametri:

 GXE: interazione
gene-ambiente
 rGE: correlazione
gene-ambiente
Entrambi forniscono
informazioni importanti
sullo sviluppo dei DP.

La variabilità di ogni individuo nei confronti di


vari eventi ambientali dipende da differenze
individuali nel temperamento (non siamo tutti
uguali nelle reazioni contro eventi stressanti, cioè
non è detto che tutti facciamo diventare
maladattativi i nostri tratti di personalità). Es:
l’abuso sessuale infantile (antecedente comune
nei DP) può determinare Disturbo antisociale di
personalità (quello dei serial killer) oppure anche
assolutamente nessun sviluppo di DP (cosiddetti
bambini resilienti: bambini sanissimi, con la testa
sulle spalle e senza nessun disturbo). Questo è
causato dalla variabilità genetica: i geni
determinano la nostra responsività/reattività agli
agenti ambientali.

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Esistono influenze genetiche che agiscono non sulla risposta, ma sulla ESPOSIZIONE del soggetto a
particolari circostanze ambientali. ES:

1. Abuso fisico- il genoma dei genitori determina l’ambiente a rischio per la prole. Già il
bambino è scontroso di suo (perché ha corredo genetico derivato dai genitori) in più i
genitori disturbati reagiscono male: si può creare un circolo vizioso di eventi che mi causa il
DP.

2. il bambino abusato non cercherà tendenzialmente compagnie tranquille, ma i compagni turbolenti,


le risse, marinerà la scuola, frequenterà ambienti dove si usano droghe…. (si accentua il tratto di ricerca
della novità e di impulsività).

3. la tendenza all’impulsività susciterà negli altri reattività (liti etc) o esclusione del soggetto
(isolamento). Questo è molto grave, perché con le liti e l’isolamento vengono a mancare tutti i
meccanismi tampone che aiutano lo sviluppo del ragazzo (frequentare gente brava, andare bene a
scuola…) Il concetto è che è il genotipo del soggetto che in buona sostanza determina buona parte delle
variazioni nell’ambiente che circonda il soggetto stesso.

Questa slide sta ad indicare, sostanzialmente, che l’ambiente che una persona si trova di fronte non è
indipendente dalla persona, ma è l’espressione tra fattori genetici e precedenti eventi ambientali che hanno
influenzato il soggetto stesso.

EDIFICARE IL PROPRIO MALE


Quando però entriamo nel campo della patologia, sono i pazienti che fanno tutto: cioè sono i pazienti stessi
che “creano” l’ambiente con cui interagiscono. Lo creano in virtù di come sono fatti e quindi questo crea
una sorta di stabilità tra loro e l’ambiente. Questi soggetti tendono a ripetere le stesse cose e questo crea una
stabilità tra loro e l’ambiente che li circonda, un loop. Questo porta ad alterazioni stabili delle strutture di
personalità (identità, operazioni difensive, valori morali). Come dire che quello che è accaduto nel passato
causa un continuo eco, un feedback che stabilizza la personalità del soggetto. In una persona normale
l’interazione con l’ambiente cambia la persona stessa (es: facendo una vacanza e conoscendo gente nuova, o

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facendo nuove esperienze se ne può uscire arricchiti e con nuove idee o obbiettivi), mentre in un soggetto
con DP l’ambiente non lo cambia, ma lo rende sempre uguale a se stesso. Il suo interfacciarsi con l’ambiente
e le sue caratteristiche non fanno altro che evocare le stesse risposte: questo è EDIFICARE IL PROPRIO
MALE. L’edificazione del proprio male è tipica dei pazienti con DP.

Nei disturbi di personalità in genere il trattamento farmacologico è inutile, perché un farmaco non può
cambiare la struttura della personalità del soggetto: l’unico meccanismo, come si sarà già intuito, è
interrompere il loop, il vortice che trascina il paziente nel DP. Cioè bisogna cercare di modificare la
struttura di personalità del paziente per evitare l’edificazione del male.

A volte il paziente si presenta chiedendo un trattamento perché ha dei sintomi che gli stanno dando fastidio,
ma non perché crede che in lui ci sia qualcosa di sbagliato o di alterato.

PSICODINAMICA, CONCETTO DI TRANSFERT e CONTROTRANSFERT


Tutto quello che abbiamo detto fino ad ora, nella pratica si può riassumere con concetti di psicodinamica. La
PSICODINAMICA è l’insieme di teorie psicologiche che dicono che il mondo interiore esiste, e che
l’estrinsecazione di ciò che succede nell’ambiente esterno è l’estrisecarsi di conflitti che abbiamo dentro di
noi. In poche parole, dal punto di vista psicodinamico, il mondo interno del paziente distorce le
situazioni reali. Anche se l’ambiente è ideale, il paziente trova sempre qualcosa che non va perché non
è in grado di interfacciarsi in maniera plastica con l’ambiente. Il paziente è condannato a ripetere
comportamenti del passato malgrado la situazione sia nuova, diversa e cambiata, distorcendo le reali
relazioni (TRANSFERT). Il paziente rivede nei soggetti che gli stanno intorno delle situazioni passate, non
cose presenti e realistiche. E questo succede anche nelle relazioni medico-paziente.

Il medico riconosce il transfert in maniera molto semplice: basta che la risposta del paziente sia
chiaramente una risposta che differisce dalla risposta ordinaria che sarebbe attesa in analoghe circostanze da
un qualsiasi altro individuo. Può essere che:

 L’orario di arrivo alla visita non sia rispettato (cronico anticipo o cronico ritardo) oppure non
viene neanche alla visita.
 I convenevoli siano anomali (insulti o improperi)
 Sono sospettosi, secondo loro il medico è incompetente e le medicine non funzionano.
 La compliance è bassa o nulla.

Esempio: ragazza con disturbo alimentare, viene dalla prof per disintossicarsi dalle Benzodiazepine; si inizia
la detossificazione da benzodiazepine. La paziente chiama in maniera continuativa la prof contandole il suo
stato di salute, e poi decide di avvertirla che continuerà con le benzodiazepine perché vuole dormire tutto il
giorno. Dopo essersi sentita dire che questa non è la soluzione al suo problema e che si deve fare controllare
da suo marito, la paziente si adira e decide di non venire più alle visite perché si è sentita umiliata. Fa una
intossicazione massiccia da BD e viene ricoverata. Decide poi di autodimettersi perché, a detta sua, gli altri

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pazienti erano troppo gravi rispetto a lei. Il suo punto di vista ora è che lei non ha assolutamente nulla, ma
capisce che tutti credono che lei sia pazza. Essendo nel giusto quindi, prosegue con le BD.

Il medico (o qualunque persona), nell’interfacciarsi con un paziente con TRANSFERT, ha il cosiddetto


CONTROTRANSFERT (sono tipici sentimenti e reazioni dettati dalla stessa patologia del paziente, una
reazione a come il paziente mi vede e mi tratta). È possibile un senso di frustrazione, di arrabbiatura…ma
anche la volontà di deviare dal trattamento stabilito o almeno di accettare una deviazione da esso voluta dal
paziente. É una reazione EVOCATIVA.

Noi medici non dobbiamo agire in preda ad


un controtransfert, perché significherebbe
agire contravvenendo alle linee guida
terapeutiche per quella patologia. Quindi non
dobbiamo ad esempio, se siamo stanchi della
mancata compliance del paziente, rifiutargli
altre visite. NON DOBBIAMO AGIRE
D’IMPULSO. Dobbiamo fermarci a riflettere e
decidere con freddezza un eventuale
impostazione terapeutica per provare a far
imparare ai pazienti a controllare il proprio
comportamento.

Il paziente si può dire guarito dal DP solo quando riesce a stare con gli altri e ad interfacciarsi in maniera
realistica con il mondo che lo circonda.

I DISTURBI DELLA PERSONALITA’ (DP)

Quali sono i disturbi della personalità?

Vengono raggruppati in tre Cluster

A: disturbo schizotipico, paranoide, schizoide

B: disturbo antisociale, narcisistico, istrionico, borderline

C: disturbo ossessivo, compulsivo, evitante, dipendente

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1’ disturbo del Cluster A: DP Schizotipico

Gamma ristretta di espressioni emotive (coartata) o


incongrua rispetto alle circostanze. I pazienti stanno
male nella società e questo disagio non diminuisce
nelle situazioni a loro familiari. Il disturbo è
egosintonico (io sto bene così, sono gli altri che mi
fanno stare male. Tutto quello che abbiamo detto
fino ad ora sui disturbi di personalità vale un po
meno per il disturbo schizotipico di personalità
perché, nonostante soddisfi i criteri per essere
considerato un DP, questo è una forma lieve di
schizofrenia.

Molti psichiatri lo considerano tale grazie agli studi danesi sugli adottivi. Questi studi avevano come scopo
quello di valutare la prevalenza di schizofrenia e di disturbi dello spettro schizofrenico nei familiari biologici
e adottivi di bambini dati in adozione nelle prime settimane di vita, per vedere se c’entra la correlazione
gene-ambiente passiva. Questi bambini, dati a familiari adottivi, vengono valutati da adulti per vedere se
siano diventati schizofrenici. Tra il 1968 e il 1994 i ricercatori hanno studiato tutti i registri delle adozioni
delle persone adottate tra il 1924 ed il 1947, e hanno identificato, comparandoli con i registri delle
ospedalizzazioni psichiatriche e dei controlli ambulatoriali, che di 14400 adottati c’erano 42 soggetti con
schizofrenia. Prendono altrettanti pazienti sani come controlli per fare un raffronto. Poi vanno ad intervistare
(con il registro della adozioni) tutti i familiari di 1°grado dei pazienti (sia i familiari adottivi, sia biologici) e

78
con il registro psichiatrico vanno a valutare se sono pazienti psichiatrici anche loro. Ottengono in totale, per
84 pazienti, ben 279 dati di familiari biologici Vs 234 dati di familiari adottivi. Poi i dati vengono inviati
negli USA per un raffronto indipendente.

Il risultato, importantissimo, ha evidenziato che c’è una aumentata prevalenza di schizofrenia nei
familiari biologici di adottivi schizofrenici rispetto ai familiari dei controlli. Cioè i bambini adottati che
da grandi hanno sviluppato schizofrenia mostrano una aumentata prevalenza di schizofrenia nei familiari
biologici rispetto ai familiari biologici dei bambini che da grandi non hanno sviluppato schizofrenia.
Inoltre nei familiari biologici di adottivi che hanno sviluppato schizofrenia, c’è anche una prevalenza
(rispetto ai genitori dei controlli) di Schizofrenia latente (forma subattenuata di schizofrenia) e di
Disturbo schizotipico di personalità (quello in questione); è per questo che qualcuno considera il
Disturbo schizotipico la base genetica della Schizofrenia; questo si trasmetterebbe ai figli ed altri stressors lo
fanno evolvere in franca Schizofrenia. Invece non c’erano differenze rispetto ai genitori dei controlli
riguardo alla prevalenza di schizofrenia pseudonevrotica, disturbi d’ansia, alcolismo…

Questo invece è un articolo che


spiega come suddividere le
personalità borderline con la
schizofrenia borderline. Da una
parte c’è il disturbo di p.
schizotipico, dall’altra ci sono tutti
gli altri disturbi di personalità in
cui vanno a ricadere tutte le forme
di schizofrenia pseudonevrotica o
borderline. Quindi il disturbo
schizotipico è molto diverso dagli
altri disturbi.

79
2’ disturbo del Cluster

A: DP Paranoide

é un disturbo PERICOLOSO che non


conduce allo stesso distacco sociale dello
schizotipico (che sta male nelle situazioni
sociali), ma ad un distacco sociale dettato dal
fatto che è dovuto alla convinzione pervasiva
di essere sfruttati, ingannati o danneggiati.
Questi dubitano ricorrentemente degli altri e
pensano che tutto quello che gli diciamo
serva per ingannarli. L’ambiente è percepito
in maniera corretta (non sono allucinazioni)
ma il significato è distorto. Il paziente cerca
continuamente significati oscuri, ha una
iperattivazione dell’attenzione, e nella stanza insieme ad un paziente del genere il medico ha la sensazione di
essere controllato e scrutato dalla testa ai piedi, e c’è anche una sensazione di paura dettata da questo suo
atteggiamento. Anche il paziente ha paura, perché crede che gli altri (chiunque) siano aggressivi nei suoi
confronti, che lo attacchino e che lo vogliano ingannare. Questi pazienti, per non essere soppraffatti,
sviluppano la mania del controllo: devono controllare tutto e tutti per mettersi, secondo loro, al sicuro. Nella
vita di queste persone, proprio perché sono sospettosi e paranoici, ci sono rotture relazionali (per gelosia
eccessiva etc), vicende giudiziarie (denunciano per mobbing i loro capi perché secondo loro li stanno
trattando male, fanno causa con tutti), liti etc.

 Il confine con la paranoia, che possono avere anche soggetti sani, è che in questa non c’è un franco
delirio di persecuzione.
Si è visto inoltre che se un individuo con disturbo paranoide ha un altro disturbo di asse 1 (disturbo
dell’umore, depressione maggiore ricorrente), il DP preesistente è patoplastico nei confronti del secondo
disturbo (episodio depressivo) e come conseguenza, durante l’episodio depressivo maggiore è più probabile
che il paziente abbia episodi paranoici più gravi dei soliti.

3’ disturbo del Cluster A: DP Schizoide

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Rarissimo nella pratica clinica, la
maggior parte dei pazienti
probabilmente non si fa neanche
vedere (Barboni). Ha indifferenza
nelle relazioni sociali (no reward
dependance) e sia venendo criticato
che lodato lui rimane indifferente e
non è triste o allegro. C’è una
correlazione gene-ambiente attiva ed
evocativa (lui seleziona lavori o
contesti in cui rimane da solo).
Distanzia gli altri con l’indifferenza.
Si isola e non chiede trattamento.

Anche qui rimane la possibile


relazione con la schizofrenia. Mentre
la schizoidia è generalmente più
vicino alla schizofrenia, il DP schizoide non si sa bene in che relazione sia con la schizofrenia. A volte la
fase residuale della schizofrenia (senza allucinazioni o deliri) assomiglia alla Schizoidia.

Es: un paziente con DP schizoide riferisce: a me, quello che manca è l’Amaro Montenegro <<Amaro
Montenegro, il piacere di stare insieme>>.

TERAPIA dei disturbi del CLUSTER A


I disturbi del cluster A, proprio perché sono un po’ correlati con la schizofrenia, sono quelli che un po’
rispondono alla terapia: si somministrano Antipsicotici di 2 Generazione a basse dosi.

Il problema però è convincerli a prendere i farmaci, perché loro non ritengono di essere malati
(soprattutto i paranoici). Inoltre, quello che da medici potremmo essere tentati di fare è il
Controtransfert complementare, cioè ad esempio voler dimostrare ad un paziente che è sospettoso di
essere il miglior medico possibile (pacche sulle spalle, sorrisi, comprensione…). È il modo migliore per
farsi ammazzare (talvolta i paranoici, che leggono questo atteggiamento come un plateale tentativo di
volerli ingannare, pugnalano alle spalle il medico infingardo!!). Importante è mantenere un atteggiamento di
distacco e non dare molta confidenza al paziente.

Inizia appena i disturbi del Cluster B. Mancano ancora disturbi del Cluster B e C.

81
CLUSTER B: DISTURBO DI PERSONALITA NARCISISTICO
Si caratterizza per la presenza di pervasiva grandiosità nella fantasia o nel comportamento.
Necessita ammirazione da parte degli altri, è un po’ simile all’antisociale con cui a volte ci sono dei
tratti almeno in comorbidità, mancanza di empatia ( la preoccupazione per gli stati d’animo altrui ).
Vuole dire che il nucleo della patologia del disturbo narcisistico di personalità, è che nel mondo
interno del paziente, è in corso una strenua lotta per mantenere la propria stima di sé : vuol dire che
la cosa più importante è MANTENERE LA STIMA DI SE. Per questo motivo sono ipersensibili
alle critiche, al rifiuto e alle reazioni altrui ( è un po’ il contrario dello schizoide ). In realtà non è
che sono semplicemente sensibili, dipende da cosa intendiamo per sensibili, perché di fatto a causa
della loro mancanza empatia, gli altri non hanno bisogno proprio, gli altri non esistono in quanto
individui. Gli altri esistono in quanto persone o strumenti atti a sopportare l’autostima de paziente.
Gli altri valgono se mi ammirano, se no sono nulla. Il correlato è una delle caratteristiche cardine
che nel disturbo di personalità è più evidente, cioè l’INCAPACITA DI AMARE. Un pz con il DP
narcisistico non avrà una relazione intima con qualcuno.

Esistono in realtà due tipi fenomenici di DP narcisistico:

- Inconsapevole o overt cioè conclamato, aperto manifesto


- Ipervigile o covert cioè coperto, nascosto

Il nucleo della patologia è sempre lo stesso cioè bisogna mantenere a tutti i costi l’autostima.
Quest’ultima si ritrova anche nei soggetti sani, però a differenza dei pz narcisistici, quelli sani
vivono, decidono la loro carriera, la loro autostima cade se vengono bocciati però studiano di più
per aumentare la loro autostima… in poche parole vanno avanti nella loro vita. Nel disturbo
narcisistico non c’è bisogno di sostenere un’autostima normale, c’è la pervasiva grandiosità per cui
l’autostima è ipertrofica cioè lui deve essere la persona migliore di tutti. Il controtransfert che si
prova con il pz narcisistico è che lui è più intelligente del terapeuta cioè sanno tutto loro. Lo
possono esprimere in modi diversi, sia apertamente sia in modo timido( appaiono inibiti). Quelli di
cui parlavamo prima sono overt; e invece quelli timidi sono covert, però sono sempre ipersensibili
all’approvazione degli altri, che consciamente sentono un’autostima bassissima ( al contrario
dell’altro che la sente altissima ) ma nella fantasia si sentono persone grandiose. Quindi vivono una
tragedia perché c’è molto divario tra la loro esperienza cosciente e quello che loro vorrebbero,
anche perche qualsiasi cosa fanno non sarà mai abbastanza per raggiunger quel ideale, che è un
ideale patologico. La grandiosità è sempre patologica!!!

CLUSTER B: DISTURBO DI PERSONALITA ISTRIONICO


Più frequente nelle femmine; si caratterizza per pervasiva emotività( cioè ogni manifestazione
emotiva è accentuata, si piange a dismisura, si rude a dismisura c’è anche une rapida alternanza di
emozioni) e di ricerca di attenzione ( in questo, è un po’ simile al narcisista però più smarcato).
Sono le persone con comportamento seduttivo o provocatorio, che considerano le relazioni più
intime di quanto lo siano. Sono ego sintonici per cui è importante osservare il pz , non stare soltanto
a quello che lui dice. L’espressione delle emozioni è superfiale e mutevole, e c’è una facile

82
suggestionabilità. Vuole dire che le emozioni si attaccano cioè se uno piange, il pz piange anche lui.
Non gliene frega niente degli altri perché c’è il fattore superficialità delle emozioni ( non è
empatia)!!! L’interazione con gli altri si caratterizza con comportamento seduttivo e provocatorio e
tipicamente considera le relazioni più intime di quanto lo siano. È un tipo di esibizionismo avido e
esigente nel senso che c’è sempre questa tendenza allo sfruttamento degli altri, anche qui gli altri
sono necessari per la propria immagine di sé. Sono intolleranti alle frustrazioni dell’abbandono,
perche gli altri devono sempre essere a disposizione o sempre presenti per calmare i vari disturbi
della persona. In anamnesi, la comorbidità più tipica è con disturbi somatoformi( disturbi in cui ci
sintomi somatici inspiegate rispetto a cause mediche cioè sintomi riferiti dal pz ma non vi è una
causa medica).

CLUSTER B: IL DISTURBO DI PERSONALITA BORDERLINE


Si caratterizza dall’ipersensibilità interpersonale o ipersensibilità al rifiuto. Nel soggetto sano, il
rifiuto scatena il meccanismo secondo cui il soggetto cerca di migliorare per essere accettato dal
gruppo. Apparentemente nel soggetto borderline questo meccanismo è esagerato, il che vuol dire
che vedono il rifiuto deve non c’è, mentre noi le vediamo se c’è.

Le relazioni interpersonali dei soggetti borderline sono tanto instabili quanto intense, e sono
caratterizzate dall’alternanza tra le estreme di iperidealizzazione e svalutazione(la percezione degli
altri è come tutti buoni o rifiutanti e malevoli), questa succede nel mondo interno del soggetto. Nel
mondo esterno, le relazioni del soggetto saranno alternanti tra ipercoinvolgimento( lo amo
tantissimo ) e distacco ( è un mostro, me ne vado ). Quindi intense le relazioni però instabili.

- Scissione intrapsichica: gli altri significativi sono percepiti come idealizzanti ( quando
gratificanti ) o svalutati ( quando frustranti ).

La motivazione principale del borderline è la costante preoccupazione e sforzi disperati per evitare
un reale o immaginario abbandono. Si può chiamare intolleranza alla solitudine e predisporre a
quello che chiamiamo acting out con meccanismo di difesa molto disadansivo, per cui non riesce a
dire alla persona sai mi piacerebbe che stai con me [ butto tutto all’ aria, faccio casino e vediamo
poi e come… perché la rabbia, l’insoddisfazione, la frustrazione non vengono verbalizzati o in
un’immagine unitaria di sé,ma espressi nel comportamento].

L’instabilità affettiva è dovuta ad una marcata reattività dell’umore. La prima volta che vediamo un
borderline, mimma una marcata depressione endogena. Il borderline ( disturbi del tono dell’umore)
si discosta dal disturbo S1 dell’umore con la reattività e la notevolezza. Non esiste un borderline
che fa un mese di depressione( con depressione tutti i giorni) , perché nel borderline i cambiamenti
del tono dell’umore dipende da quello che succede intorno ( reattività). Il tono d’umore prevalente è
euforia intensa e episodica; irritabilità e ansia di solito per poche ore o giorni questa instabilità.
L’impulsività in almeno due aree che sono dannose per il soggetto: spese eccessive, sesso
eccessivo, abuso di droghe( non nel senso dell’abuso, ma episodico), guida spericolata
abbuffate…quindi tutto il controllo degli impulsi può essere alterato. I borderline hanno un segno
patognomonico che sono i tagli dappertutto sugli avambracci, però quelli più sgarbati hanno segni
anche sulla pancia e le gambe. Quindi ci possono essere vari tipi di comportamenti, anche quelli

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suicidari ( atto a portare alla morte ), parasuicidari ( sono gli atti auto lesivi che non portano alla
morte come spegnersi la sigaretta a dosso, strapparsi i capelli) .

Non c’è mai psicosi ne disturbo borderline!!!

In generale i borderline hanno tanti comorbidità: disturbi dell’umore, disturbi d’ansia, disturbo
somatoforme, disturbi alimentari, abuso di sostanze… Per cui i soggetti borderline hanno quattro
tipi di farmaci: antidepressivi, stabilizzatore, antipsicotico, Benzodiazepine. L’unica cosa che
funziona con questi pazienti è la psicoterapia che non la cosa più facile da fare ( quasi nessuno la fa
).

BORDERLINE UGUALE CAOS

TERAPIA DEI DISTURBI DEI CLUSTER B


Si riferisce alla terapia dei borderline perché è quella più studiata ed è vero anche che hanno
comorbidità che vanno insieme cioè non esiste un borderline che non abbia uno straccio di
narcisismo o istrionismo ecc.

ATTENZIONE: Benzodiazepine da evitare per rischio di abuso

Si curano i sintomi:

- Per il discontrollo impulsivo, si usano gli antipsicotici atipici e gli stabilizzatori(motrigina +


indicato; acido valproico; carbamazepina; il litio non à un buon candidato, è indicato nel
bipolare)
- Per la disregolazione affettiva, si usano gli stabilizzatori
- Per il pensiero quasi psicotico, la de realizzazione si usano antipsicotici atipici

I farmaci non sono curativi, aiutano a migliorare la funzionalità psichica. Un’altra cosa che si deve
fare è la psicoeducazione dei familiari: dobbiamo spiegare che né il pz né i familiari sono colpevoli
del disturbo, però tutti sono responsabili della loro cura. La psicoterapia è a lungo termine.

CLUSTER C: DISTURBO DI PERSONALITA EVITANTE


Si caratterizza per la presenza di inibizione sociale per pervasivi sentimenti di inadeguatezza e
timore di critica ed umiliazione. C’è inibizione perché c’è questo iniziale sentimento di non essere
all’altezza e questo fa si che questa persona abbia timore dell’umiliazione. Nella realtà esterna il pz
eviterà le relazioni interpersonali per cui sono persone che eviteranno di andare in luoghi affollati,
in generale dove c’è un contatto interpersonale, luoghi pubblici… Questo sentimento( timidezza) è
un meccanismo di difesa contro la vergogna. Il vero problema degli evitanti è di essere esposti a
vergogna. È importante ricordare che questo sentimento diminuisce con la familiarità perché va in
diagnosi differenziale con lo schizoide. Non è che gli evitanti non vogliono conoscere le persone, il
punto è che hanno paura che la loro intrinseca debolezza( come arrossamento ) sia vista dagli altri.

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Se conoscono bene le persone, questa paura me si calma. I disturbi d’interpersonalità sono meno
gravi nel cluster C rispetto al cluster B, perché il cluster C riesce ad avere pochi amici.

L’anamnesi personale è di isolamento sociale ed evitamento di luoghi o circostanze. La fobia


sociale è una delle comorbidità, attacchi di panico in situazione fobiche cioè sociali.

La terapia del disturbo di panico è di spezzare l’ansia anticipatoria e le condotte di evitamento


perché quando si comincia ad evitare le situazioni in realtà la pura aumenta. Si inizia la terapia con
dei serotoninergici, poi quando è un po’ coperto, si danno degli ansiolitici che sospendiamo dopo
tre settimane, dopo di che si dice al paziente di affrontare pian pino le situazioni temute.

CLUSTER C: DISTURBO DIPENDENTE DI PERSONALITA

Si caratterizza per un pervasivo bisogno di accadimento che induce ad un comportamento


sottomesso ed adesivo. Condividono con il borderline la paura della separazione o intolleranza
all’abbandono. Però la paura della separazione è nel dipendente strettamente collegata ad
un’immagine di sé negativa, nel borderline l’immagine è stabile,è scissa. Loro invece pensano che
non sono in grado di stare da soli, sono grandiosi nelle loro inadeguatezza ( non riescono a pagare il
bollo dell’auto da soli, ad andare a lavorare da soli, a fare una vita sa soli…). E cosi loro
cercheranno il prossimo perche ne hanno bisogno( non perché hanno bisogno della relazione, ma
solo per rassicurazione). Il dipendente cerca una relazione e basta, che sia gratificante o no. IL
paranoide è il partner ideale per le persone dipendenti.

ATTENZIONE: La dipendenza a volte maschera l’agressività!!!

L’anamnesi personale è di scarsa qualità delle relazioni sociali, disturbi depressivi e disturbi
dell’adattamento.

CLUSTER C: DISTURBO DI PERSONALITA OSSESSIVO COMPULSIVO


Si caratterizza per una pervasiva preoccupazione per l’ordine, la perfezione e il controllo mentale ed
interpersonale ( io stesso ma anche gli altri ): questo è il mondo interno.

Il mondo esterno è caratterizzato da:

- Una eccessiva attenzione per dettagli e regole a spese flessibilità, larghezze di vedute ed
efficienza. Sono perone ad esempio che vogliono fare tutto molto bene, cosi tanto bene che
devono programmare tutto, e alla fine non riescono a fare tutto.
- Eccessiva dedizione alla produttività( fare le cose che devo come lavorare) a spese di attività
di svago e di amicizie. C’è una tendenza al controllo di sentimenti propri ed altrui; e la
ricerca delle perfezioni.

In realtà, il funzionamento è migliore rispetto agli altri disturbi di personalità. Le comorbidità più
frequenti sono disturbi depressivi e disturbi di panico. Gli ossessivi arrivano quasi sempre in ritardo
perche vogliono fare tutto tanto bene che poi alla fine gli sfugge sempre qualcosa, per cui rovinano

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sempre quello che vogliono fare. Non riescono ad esprimere quello che vogliono dire, non arrivano
mai in tempo ( o mezz’ora prima o mezz’ora dopo ).

TERAPIA DEI DISTURBI DI CLUSTER C


- Psicoterapia
- SSRI (+ BDZ )

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DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE (DCA)

Per definizione non si può parlare di DCA se non sono soddisfatti i seguenti 4 criteri

sn:

A)Disturbo delle abitudini alimentari o dei comportamenti diretti al controllo del peso.

B)Eccessiva influenza di forma e peso corporei sui livelli di autostima. (disturbo dell'immagine
corporea)

C) A + B devono causare un deterioramento clinicamente significativo della salute fisica o del


funzionamento psicosociale.

(Analogamente ai disturbi di personalità una “cosa” non è un disturbo se non causa un


deterioramento clinicamente significativo nel funzionamento.)

D)Assenza di patologie internistiche o psichiatriche come causa di base. (A, B, C non devono essere
secondari ad altra patologia)

Il punto B (disturbo dell'immagine corporea) è la caratteristica psicopatologica principale, nucleare,


più importante di tutti i DCA e che li rende patologie psichiatriche.

Non basta la presenza di un “disturbo delle abitudini alimentari o dei comportamenti diretti al
controllo del peso” per definire un DCA, se questi non sono sottesi da “Eccessiva influenza di
forma e peso corporei sui livelli di autostima”.

Esistono 3 tipi di DCA:

-AN → anoressia nervosa

-BN → bulimia nervosa

-NAS → DCA non altrimenti specificati. È una categoria sotto-soglia rispetto ad AN e BN


cioè vengono sempre rispettati i 4 criteri generali che definiscono un DCA ma non
ci sono i criteri specifici per diagnosi di anoressia o bulimia.

Letteralmente anoressia significa mancanza di appetito mentre bulimia significa fame da bue.
Questi nomi sono forvianti perchè implicano che i DCA siano disturbi della regolazione
dell'appetito mentre AN e BN non sono disturbi dell'appetito, ma il disturbo alimentare c'è perchè i

87
soggetti hanno un disturbo dell'immagine corporea (questa è la caratteristica psicopatologica
nucleare che rende i DCA una patologia psichiatrica.)

Prevalenza → la prevalenza dei DCA nelle popolazioni a rischio (adolescenti tra 13-18 anni) sta
aumentando: AN = 0,5 – 1 %

BN = 1 – 8%

Decorso → < 50% paz guarisce completamente.

Mortalità → 5-20%. È la più alta tra tutte le patologie psichiatriche insieme all'abuso di sostanze,
questo perchè è tra le patologie psichiatriche in cui si ha il maggiore deterioramento
fisico. In psichiatria la mortalità è data principalmente dal suicidio, nei DCA solo il
2% delle morti è per suicidio il rimanente è secondaria a cause mediche dovute al
disturbo stesso.

Difficoltà del Trattamento → per definizione il trattamento di un DCA è sempre, soltanto e


comunque multidisciplinare: medico + psichiatrico.

I DCA pongono dei problemi sia all'internista se il paz è primitivamente psichiatrico perchè
si associa ad assenza di consapevolezza di malattia e rifiuto dei trattamenti sia allo psichiatra
che si trova ad affrontare problematiche come squilibri elettrolitici, aritmie etc..

Il paz deve essere seguito da più specialisti contemporaneamente!

Eziologia dei DCA

2 modelli (valgono per tutti i disturbi psichiatrici):

–Modello Bio-Psico-Sociale

Vari fattori biologici, psicologici/familiari e socioculturali si combinano in modo additivo per


produrre una patologia del comportamento alimentare.

–Modello Diatesi (vulnerabilità)/Stress

Esiste una predisposizione biologica (es genetica, non un singolo gene ma molti) che determina la
forma del disturbo (cioè la vulnerabilità a sviluppare un DCA piuttosto che Schizofrenia;
vulnerabilità all'AN piuttosto che BN), l'esposizione a eventi stressanti (psicologici, culturali,
socioculturali) determina se il disturbo si svilupperà o no.

88
Un soggetto nasce con una predisposizione genetica (vulnerabilità) che determina l'eventuale forma
del disturbo (AN, BN, nessuno..) poi l'esposizione a eventi stressanti determinano se il disturbo si
sviluppa o no.

Nei DCA dobbiamo spiegare il disturbo dell'immagine corporea (insoddisfazione per il corpo).

È vero che tutti i sogg cn DCA hanno insoddisfazione per il corpo ma chi non ce l'ha?? Bisogna
differenziarla.

Il disturbo dell'immagine corporea è comune ad AN e BN ed è imputato a

Fattori di rischio Culturali:

-Culture dell'abbondanza ma che idealizzano la magrezza: i DCA sono più frequenti in paesi
ricchi ma che idealizzano la magrezza, una cultura paradossale in cui c'è tanto da
mangiare ma l'aspetto più valutato è la magrezza.

(attenzione: idealizzazione della magrezza non vuol dire “essere magro è bello” ma
significa “essere magri è giusto”. Le nostre culture dicono che è giusto perchè sono
culture dell'abbondanza in cui il rischio è sovrappeso, sedentarietà, obesità... nelle
culture dell'abbondanza si da un valore etico oltre che estetico alla magrezza. Se non
consideriamo questo valore etico si rischia di considerare i DCA come dei “capricci”)

-Influenza dei coetanei

-Influenza dei media

Questi fattori di rischio culturali spiegano alcune cose dei DCA:

1)L'aumento dei DCA tra il 1930 e 1980 → periodo in cui si afferma la cultura
dell'abbondanza con idealizzazione della magrezza

2)Aumentata prevalenza del sesso F (F : M = 9,5 : 0,5 in anoressia, F:M=8:2 in bulimia)

3)Esordio in adolescenza

Tuttavia i fattori culturali non sono in grado di spiegare l'ereditabilità (H) cioè la proporzione di
varianza spiegata da fattori genetici.

L'ereditabilità in DCA sono molto alte: H= 46-84% in AN

H= 50-83% in BN

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Se fossero patologie dovute solamente a fattori di rischio culturali l'ereditabilità non ci sarebbe, ciò
significa che dobbiamo cambiare il nostro concetto rispetto a insoddisfazione per il corpo;
dobbiamo capire come i fattori culturali a cui tutti siamo esposti sono in grado di far insorgere un
DCA, tutti sono esposti a fattori di rischio culturali e quindi a rischio di insoddisfazione per il corpo
ma non tutte le persone insoddisfatte per il corpo sviluppano un DCA.

Il punto di transizione è spiegato dagli altri fattori di rischio del modello bio-psico-sociale che
possono essere suddivisi in 2 categorie:

--Fattori Familiari → sono aspecifici, presenti in molti altri disturbi psichiatrici.

-Familiarità psichiatrica: storia familiare di disturbi psichiatrici.

-Storia di commenti materni sul peso e forma, storia di DCA nella madre

-Scarse Cure-Elevato Controllo → ambiente familiare caratterizzato dal modello del


controllo senza affetto cioè poca empatia affettiva ma dall'altra parte
ostacolo al raggiungimento dell'autonomia da parte dei figli.

(EX: non ti do calore ma allo stesso tempo ti impedisco di cresce, controllo che tu non vada
troppo lontano, non ti faccio fare scelte.. si chiama Over protection ed è tipico nella storia
familiare di paz con ansia o DOC)

-Abuso fisico o sessuale

--Fattori Genetici → intesi non come un gene perchè non si eredita la bulimia o l'anoressia ma ci
sono fattori genetici che viaggiano nelle famiglie: sono le dimensioni
temperamentali o dei tratti di personalità ad essi connessi.

-Perfezionismo → nell'AN si ha tendenza al perfezionismo quindi nei familiari di I°grado è


possibile trovare ipercontrollo, stile cognitivo rigido, perfezionismo.

-Affettività Negativa → soprattutto per la BN si ha tendenza a oscillare senza saper regolare


le proprie alterazione dell'affettività.

-Tratti ossessivi, alterazioni cognitive → per l'AN-R (anoressia nervosa restrittiva)

-Impulsività → per la BN e l' AN-P (anoressia nervosa “purging” cioè con tratti bulimici)

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Questi fattori sono i più importanti perchè a causa di quello che è successo nel passato e che in parte
si è ereditato si arriva alla prima adolescenza con l'immediato antecedente del DCA che è una cosa
molto difficile da studiare e definire ma che si osserva in tutti i pazienti.

L'immediato antecedente del DCA è la “condicio sine qua non” avere o no avere un DCA ed è
definito come un sentimento pervasivo di inadeguatezza (uneffectiveness) (sensazione di sé
instabile, non so esattamente chi sono e cosa voglio essere, non so controllare me stesso, non ho la
sensazione della mia efficacia interpersonale e personale, non mi sento mai all'altezza della
situazione) è molto simile a problemi di personalità ma si ha in ragazzini di 12-13 anni che è l'età
d'esordio dei DCA.

In presenza di questo anello di congiunzione l'insoddisfazione per il corpo compie una transizione
nell'adolescenza e diventa disturbo dell'immagine corporea. (caratteristica psicopatologica
nucleare dei DCA).

Attenzione: se per il medico il disturbo dell'immagine corporea è un problema poiché definisce il


DCA, per il paz è un aiuto enorme cioè rappresenta la risposta ai problemi di identità
e di controllo perchè basta controllare il corpo e il peso per risolvere il senso di
inadeguatezza (il paz arriva a prima adolescenza con il sentimento di inadeguatezza
dato dai fattori biologici, psicologici e familiari e trova una cultura che dice “se sei
magro vai bene” quindi al paz che ha problemi nell'autoregolazione e sensazione di sé,
basta controllare il corpo e il peso per risolvere il senso di inadeguatezza).

Questo passaggio è la transizione fondamentale per i DCA perchè conferisce alla vita del paz un
senso e significato che prima mancavano. Da qui originano le difficoltà di trattamento perchè il paz
si vede togliere qualcosa che lo ha fatto lo fa stare bene.

“Il disturbo dell'immagine corporea può contribuire ai DCA principalmente conferendo significato.
L'esclusivo focus sul peso di fatto rende la vita più semplice, più certa e più efficace e adeguata. Le
paz trovano una soluzione mal adattativa alla loro sofferenza, confusione e inadeguatezza
identificandosi col loro peso.” Cit.

Questo è il disturbo dell'immagine corporea, tutta la persona si identifica nel peso della persona.

È difficile capire cosa sia, non c'è nella in psicopatologia di simile. Sicuramente non è un disturbo
della percezione, il più classico è l'allucinazione (percezione senza oggetto, percezione
patologicamente erronea). Si potrebbe dire la paz anoressica che si vede grassa ha un'allucinazione
ma no è così perchè di fatto vedono la loro immagine magra e leggono il loro peso. Il disturbo
dell'immagine corporea è interno perchè è l'identificare tutto me stesso col mio peso quindi
malgrado il peso già basso se io sono identificato nella necessità di mantenerlo sempre più basso io
devo continuare a mantenerlo sempre più basso perchè questo mi risolve l'inadeguatezza.

Clinica dei DCA

91
L'esordio dei DCA è comune sia per l'AN che BN e la storia tipica è la seguente (ovviamente
esistono variazioni da caso a caso):

si ha un sovrappeso in adolescenza che causa insoddisfazione non solo nel paz ma in tutti: genitori,
medico che si preoccupa delle conseguenze, allenatore che vuole la forma fisica... tutti sono
concordi (giustamente) che il sovrappeso va ridotto.

Il paz comincia una dieta prescritta dal medico o autonomamente, inizialmente perfettamente
bilanciata ma ad un certo punto il paz inizia a togliere troppe cose riducendo drasticamente l'apporto
calorico e mangiando sempre meno.

La prima conseguenza è la perdita di peso che determina euforia nel paz adolescente sovrappeso
(fase della luna di miele) che ha le stesse caratteristiche di un episodio ipomaniacale: elevato tono
dell'umore. Tutto riesce facile e il paz sta bene per la prima volta in vita sua a causa della storia di
senso di inadeguatezza. Le persone intorno non sono preoccupate ma anzi contente e apprezzano la
forma fisica (in questa fase il peso non è ancora drasticamente basso). In questa fase non c'è mai
richiesta di trattamento da parte del paz.

Il perseverare di questa condizione determina il passaggio da insoddisfazione per il corpo a


disturbo dell'immagine corporea che porta all'impossibilità di fermare la perdita di peso perchè il
paz è identificato nel suo peso e nella necessità di controllare il peso. Questa è l'unica cosa che
mantiene alta l'autostima dei paz con DCA. Con la comparsa del disturbo dell'immagine corporea si
è già nella malattia conclamata in cui il paz cerca qualsiasi mezzo per ricercare la magrezza, i più
usati sono:

-Iperattività fisica pianificata e ritualistica (cercare il modo più faticoso di fare ogni cosa)

-Schemi alimentari rigidi, fissi e stereotipati (nulla a che fare con la dieta iniziale)

Il problema è la fame che inevitabilmente insorge perchè c'è un “digiuno” cronico. I paz negano
sempre la fame con scuse come “ho problemi familiari e mi è passata la fame...” a cui non si deve
mai dare ascolto. La fame è definita latente e negata e determina l'insorgenza di ossessioni sul cibo
e regimi alimentari cioè pensieri, idee o immagini intrusivi egodistonici (in disaccordo con l'io
cosciente del soggetto). I paz con DCA sono costretti tutto il giorno a pensare al cibo nonostante sia
la cosa a cui non vogliono pensare. (la lotta è contro il peso ma il nemico n°1 è il cibo quindi
pensano a come fare per andare a casa prima e preparare loro, a come mangiare solo parte del cibo...
in questa fase non si saltano i pasti ma tutto deve essere ritualizzato: come faccio ad andare in
pizzeria con amici? Cosa faccio per magiare mezza fetta solo e smaltire la pizza?)

La fame riemerge in 2 modi diversi che determinano a questo punto la distinzione tra i diversi tipi di
DCA:

--50% casi → si hanno crisi bulimiche e vomito autoindotto, abuso diuretici, lassativi e sostanze
anoressizzanti

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Questo comportamento è caratteristico della BN e AN-P (AN sottotipo bulimico)

--50% casi → continuano le restrizioni caloriche ma sempre senza saltare i pasti, tutto è ritualizzato.
Il peso continua a scendere.

Questo comportamento è caratteristico della AN-R (sottotipo restrittivo)

Cosa determina la differenza tra l'intraprendere una strada o l'altra?

Sono i fattori genetici cioè la predisposizione ad un disturbo piuttosto che un altro. In generale chi
ha caratteristiche genetiche di ipercontrollo, ossessività, rigidità è più vulnerabile a sviluppare

AN-R mentre chi ha caratteristiche di discontrollo impulsivo e instabilità affettiva tendenzialmente


seguirà la via dei disturbi di tipo bulimico.

Anoressia Nervosa (AN)

Criteri Generali → per definire l'anoressia rervosa devono essere soddisfatti insieme ai 4 criteri che
definiscono genericamente un DCA.

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A)Rifiuto di mantenere peso corporeo sopra o al minimo del peso ideale per l'età e statura.
In genere si parla di peso < dell' 85% del peso normale

B)Intensa paura di acquistare peso o diventare grassi anche se si è sottopeso

C)Alterazione del modo in cui il paz vive il peso e la forma corporea o eccessiva influenza
del peso e della forma sui livelli di autostima o rifiuto di ammettere la gravità della
situazione di sottopeso (tutto indica Disturbo dell'Immagine Corporea)

D)Amenorrea (assenza di almeno 3 cicli consecutivi)

2 Sottotipi → hanno manifestazioni differenti.

-AN-R → Restrittivo. Soggetti con ipercontrollo, continuano con le restrizioni

-AN-P → Purging. Con abbuffate o condotte di eliminazione, vomito, abuso lassativi etc

Simili a paz con BN, l'unica differenza è il peso e amenorrea (però a volte c'è in
BN)

Caratteristiche Cliniche
Le caratteristiche psicopatologiche che si amplificano sono:

-Sintomi depressivi, ansiosi, ossessivi

-Isolamento Sociale (il focus sul controllo del peso causa disinteresse verso gli altri, richiede
troppo tempo per il controllo del cibo..)

-Tratti perfezionistici mal adattativi, stile cognitivo rigido

-Disinteresse sessuale

-Pensiero magico (se mangio un finocchio è come se avessi distrutto il Duomo)

Inoltre lo stato di malnutrizione è responsabile dell'esacerbazione

-Preoccupazioni intrusive circa il cibo (aumentano le ossessioni sul cibo)

-Raccolta compulsiva di cibo

-Anomale preferenze di gusto e disturbi di regolazione dell'appetito (fasi avanzate)

-Tendenza ad abbuffate

-Depressione, ossessività, apatia e irritabilità

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-Cambiamento della personalità

Parlando con una persona anoressica in fase di stato non si parla con la persona reale ma con una
persona che non si sa chi è e non si può sapere chi è finchè non si corregge la condizione di
malnutrizione. Quindi una valutazione psicologica completa non è possibile finché non si corregge
la malnutrizione.

Manifestazioni Internistiche → date dalla malnutrizione, sono manifestazioni non complicanze.

-Cardiovascolari → ipotensione ortostatica, acrocianosi, bradicardia, aritmia, QT allungato

-Muscolo-scheletriche → deplezione massa muscolare a scopo catabolico

osteopenia → osteoporosi → fratture patologiche

(ridotto apporto di Ca + ritorno a pattern prepuberali di secrezione FSH e LH perchè


ipotalamo registra insuffic massa grassa per sostenere
gravidanza. Il poco Ca assunto non viene fissato a causa di ipo-
estrogenemia.)

-App Riproduttivo → Amenorrea, arresto o regressione sviluppo sessuale

Ipoestrogenemia e pattern pre puberali di secrezione FSH e LH

-Sist Emopoietico → Anemia

-Endocrino-Metabolico → Iper-cortisolemia, anomalie elattrolitiche

Sindrome del r-T3 (reverse T3) tiroide produce tiroxina ma poi la


rende inattiva per evitare dispendio energetico.

-Gastrointestinale → dolore e distensione addominale ai pasti

stipsi

-Urinario → iperazotemia, ↓ GFR, nefropatia ipovolemica

-Tegumenti → lanugo (peluria priva di distribuzione dettata da caratteri sessuali secondari)

-SNC → deterioramento cognitivo, abulia, apatia, umore depresso e disforico,

idrocefalo ex-vacuo per riduzione sostanza cerebrale.

Diagnosi Differenziale

-Gravi deperimenti secondari a: -Malattie Organiche (tumori ipotalamo e III ventricolo)

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-Disturbi Endocrini (DM1, Addison, Ipertiroidismo,
panipopituitarismo)

-Pato GI (RCU, Ulcera peptica, enterocoliti, tumori)

-Depressione Maggiore → soprattutto melanconia

-Schizofrenia → deliri di veneficio, il paz ha convinzione che qualcuno avveleni il cibo


quindi non mangia. Passa con antipsicotici

-Disturbo Fobico → attacchi di panico situazionali con paura di ingoiare per soffocare

La discriminante per la DD con altre pato psichiatriche è; ha o no il disturbo dell'immagine


corporea? È o no è preoccupato per la perdita di peso?

Nei DCA non si fa diagnosi aggiuntiva di dismorfo fobia anche se il paz ha una sede corporea
specifica su cui si concentra.

Nei DCA il disturbo dell'immagine corporea non è mai un'ossessione ma è un'idea prevalente
cioè sottesa da un fondo affettivo intenso e che ha un fine (nei DCA sono i paz stessi a volere essere
magri, non è un'ossessione o pensiero intrusivo). Le ossessioni ci sono ma sono rispetto al cibo e ai
regimi alimentari e sono egodistoniche e danno fastidio al paz.

Il disturbo dell'immagine corporea non da fastidio al paz (è la risposta ai problemi non il problema!)
per questo non chiedono di essere trattati e se lo chiedono chiedono di esserlo per le ossessioni.

Bulimia Nervosa (BN)


La BN è la più tragica tra i disturbi alimentari (l'AN-P si accomuna a BN solo che inoltre rispetta i
criteri di AN).

Le AN-R dal punto di vista del DCA sono delle vincitrici cioè il loro disturbo dell'immagine
corporea dice al pz che deve controllare il suo peso sempre di più e loro ci riescono finché non
muoiono. Le AN-R sono tipicamente noiosissime, tostissime, affettività zero non c'è modo di
agganciarle.

Le BN rappresentano il range tragico dei DCA cioè le bulimiche condividono con le anoressiche il
fatto di dover sempre controllare il loro peso e l'esordio è lo stesso quindi hanno sperimentato lo
stare bene controllando il peso e sono passate nella fase di AN-R con stadio ipomaniacale di euforia
ma ad un certo punto falliscono nella cosa per loro più importante (controllo del corpo) perchè
incorrono in ricorrenti abbuffate.

Criteri Generali
A)Ricorrenti Abbuffate → -assunzione di ingenti quantità di cibo in un definito periodo
di tempo (< di 2h, di solito in 30 min)

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-Sensazione di perdere il controllo e di non riuscire a fermarsi
(sensazione di derealizzazione)

B)Ricorrenti e inappropriate condotte compensatorie per prevenire l'aumento di peso a causa


di abbuffata (vomito autoindotto, abuso lassativi, diuretici, digiuno o esercizio
eccessivo)

C)Le abbuffate e condotte compensatorie si devono verificare in media almeno 2 volte a


settimana per 3 mesi (criterio di frequenza altrimenti non è un disturbo)

D)I livelli di autostima sono indebitamente influenzati dalla forma e peso corporei.

2 Sottotipi

Con condotte di eliminazione → le condotte compensatorie inappropriate sono


comportamenti tesi ad eliminare l'effetto del cibo ingerito sull'aumento
di peso ex: vomito autoindotto o uso inappropriato di lassativi o
diuretici.

Senza condotte di alimentazione → i comportamenti compensatori inappropriati sono dati da


digiuno o esercizio fisico eccessivo (prima di dormire, in vacanza..).

Le AN-R si distinguono perchè non digiunano visto che devono


controllare tutto.

Epidemiologia
-Prevalenza in popolazione generale 1-4%

-Prevalenza in popolazione a rischio (studenti liceali, universitari) 3,8-8%

-Rapporto F:M=8:2

-Esordio tra 12-35 con picco a 18. Esordio è più tardivo di AN.

-Categorie a rischio: modelle, ballerine atleti di ambo i sessi

-L'esercizio fisico può precipitarne l'esordio, ex in atleti che devono mantenere un certo
range di peso e si devono allenare molto prima è come se si sviluppasse una specie
bulimia autoindotta cioè stanno molto a dieta e ciò rappresenta il fattore scatenante
per iniziare a fare abbuffate e poi condotte compensatorie.

-Elevata comorbidità psichiatrica nei familiari di I°grado: DCA, abuso sostanze (alcolismo),
disturbi dell'umore e obesità

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Clinica
--Esordio → è comune a quello di AN con:

-Periodo di restrizioni dietetiche in soggetti predisposti all'obesità (nella BN c'è più


alta predisposizione all'obesità infamiglia)

-Quasi sempre si ha una fase di AN-R associata a fase ipomaniacale

-Circa 1 anno dopo iniziano le abbuffate e vomito abituali

-Sintomi Egodistonici → le abbuffate sono davvero egodistoniche (non in armonia


con i bisogni dell'Io)

La grande differenza rispetto ad AN è che i sintomi (abbuffate) sono davvero


egodistonici. Il disturbo dell'immagine corporea è egosintonico (in armonia con i
bisogni e desideri dell'Io) ma le abbuffate sono egodistoniche (non in armonia con i
bisogni dell'Io) quindi danno fastidio al paz e lo spingono a richiedere trattamento.

I paz sono molto disturbati dall'insorgenza di abbuffate e chiederanno di essere


trattati ma non per la BN ma solo per riuscire nuovamente a controllare le abbuffate e
poter seguire i dettami del disordine dell'immagine corporea cioè per tornare indietro
al periodo in cui riuscivano a fare le restrizioni e stare bene.

Chiedono trattamento ma solo x poter controllare il loro peso e l'alimentazione. Sia


nell'AN e ancora di più nella BN i paz vogliono sempre tornare alla “fase della luna
di miele” e non guarire dalla malattia.

--Malattia Conclamata

 -ompleto sovvertimento delle abitudini alimentari con crisi bulimiche alternate a


periodi di digiuno totale.

 -ipiche e frequenti oscillazioni ponderali. Non esiste un peso target della bulimia,

ma normalmente è normopeso (se fosse sottopeso faremmo diagnosi di AN-P)

però a causa delle abbuffate, digiuni e vomito si hanno oscillazioni continue


con periodi alterni di normopeso e sovrappeso.

-Compromissione Sociale Elevatissima → l'abbuffata è un evento che distrugge la


vita del paz a causa del disturbo dell'immagine corporea, da qui origina la
tragedia dei paz bulimici: sono costretti ad abbuffarsi ma non lo vogliono
fare, è un impulso (essere costretti a fare qualcosa che non vorrebbero perchè

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amngiare = ingrassare) che dipende da una predisposizione individuale al
discontrollo impoulsivo.

La compromissione sociale deriva dal crollo dell'autostima e dal disgusto di


sé indotto dalle abbuffate che significano fallimento perchè i paz sono
identificati nel loro peso.

Caratteristiche della Crisi Bulimica → abbuffata o binge

Durata limitata < di 2 h (solitamente in 30 min)

Frequenza giornaliera

Fattori Scatenanti: -Stati d'animo spiacevoli (solitudine, noia, ansia, collera, irritaz..)

-Vista di cibi proibiti. I paz bulimici sono cronicamente a dieta cioè


affamate e malnutrite quindi per un meccanismo tipo pensiero
magico se vede 1 cioccolatino deve mangiarne 3 scatole.

Si caratterizza per l'elevata quantità di cibo ingerito, ad alto contenuto calorico e


ricco di carboidrati e grassi. La consistenza del cibo è tale da poter essere inghiottito
con facilità.

L'ingestione è vorace, caotica, compulsiva e accompagnata dalla sensazione di


perdita di controllo, non si riesce a fermare a meno che non accada qualcosa di
estraneo (entra qualcuno, fatica a respirare, sto male, finisce il cibo etc..)

È seguita da tipici sentimenti associati: colpa, autodisprezzo, depressione e disgusto di sé.

La abbuffata è identica sia nella BN che nella AN-P quindi la diagnosi differenziale tra le due si
fonda su:

-Peso < dell' 85% del peso normale (AN) o normopeso cn oscillazioni (BN)

-Amenorrea (almeno 3 cicli consecutivi) (AN)

-Frequenza delle Abbuffate

Nelle AN-P si parla di abbuffate soggettive cioè loro hanno una percezione di enorme perdita di
controllo a fronte di una abbuffata piccola. Soggettivamente l'abbuffata sembra enorme ma
oggettivamente è più piccola di quella di una BN.

Le AN-P hanno una doppia sfortuna cioè sono sia anoressiche che bulimiche quindi hanno la
convergenza di 2 fattori di rischio genetici cioè sono sia tendenti al perfezionismo e rigidità che
tendenza ad impulsività perchè le dimensioni di personalità e temperamento sono indipendenti le

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une dalle altre. Sono le più tendenti al suicidio perchè aspirano al perfezionismo ma dall'altra parte
hanno discontrollo impulsivo che lo impedisce. (vivono in un dilemma continuo).

Le morti per suicidio nei DCA sono poche e la maggior parte di AN-P. Le AN-R non si suicidano
perchè sono delle “vincitrici”.

Le abbuffate sono seguite da Comportamenti tesi ad eliminare il cibo ingerito o annullare il suo
effetto sul peso. I più comuni sono:

-Induzione del Vomito

-Abuso di Lassativi (20-40%)

-Abuso Diuretici

-Esercizio Estenuante

I paz diabetici con BN hanno un'arma estremamente potente cioè non assumere l'insulina. Così il
glucosio assunto con forma trigliceridi perchè non passa nel tessuto adiposo.

L'autostima e l'efficacia interpersonale dipendono totalmente dal peso, aspetto e proporzioni del
corpo (disturbo immagine corporea). Da questo deriva il grande deterioramento psicosociale, non
c'è nulla che fa star bene come il controllo sul peso e alimentazione ma con l'abbuffata questo è
fallito allora sono un reietto ed è meglio che mi isoli.

Il peso è normale o fluttuante nel tempo quindi possono essere alternativamente rispettati i criteri
ponderali dell'AN in un periodo e successivamente passare ad obesità.

A volte ci sono comunque i i correlati psicopatologici della malnutrizione (depressione, irritabilità..)


nonostante il peso sia normale, ciò dipende la fatto che spesso il set-point ponderale di questi
soggetti con storia di obesità sia alterato e quindi nonostante abbuffate e digiuni siano normopeso;
anche se il peso è normale il paz è malnutrito allora depresso e irritabile.

Eterogeneità delle Sindromi Bulimiche:


Non tutte le sindromi bulimiche sono uguali ma si distinguono 2 categorie:

100
1)BN semplice o uni-impulsiva → Personalità intatta, perfezionismo.

Soggetti ipercontrollati, compulsivi.

Si ha perfezionismo ma meno impulsività che è limitata al range alimentare. Si tende a


pensarla un po'meno grave.

2)BN border-line o multi-impulsiva → Disregolazione più ampia dell'affettività e dell'autocontrollo.

(autolesionismo, frequenti tentativi di suicidio, rabbia improvvisa immotivata, abuso di


sostanze, attività sessuale promiscua, furto compulsivo)Compare nell'ambito di un disturbo
border-line quindi si parla di disturbo borderline di personalità che infatti è estremamente in
comorbilità con BN.

Manifestazioni Internistiche

-Apparato GI → dolore e discomfort addominale, stipsi, vomito automatico (fasi avanzate),


alterata motilità, gastrite, esofagite, erosioni gastroesofagee, reflusso,
Sindr Mallory-Weiss (rottura esofagea durante vomito), pancreatite, colon da
catartici (incapacità di defecare senza catartici).

Erosioni e carie dentarie fino alla caduta.

↑ volume gh salivari x tamponare acidità bocca ( Aiuta a fare diagn differenz


con AN perchè il BN sembra meno magro a parità di peso.)

-Sist Endocrino-metabolico → Debolezza, crampi muscolari, QT lungo, torsione di punta,


asistolia.

Derivano da disturbi elettrolitici i particolare ipo-K. Inoltre si hanno


disidratazione, alcalosi ipo-K ipo-Cl, ipo-Mg etc..

-App Riproduttivo → irregolarità mestruali xkè il peso è oscillante.

-Tegumenti → Segno di Russel (patognomonico) lesioni dito medio e anulare x sfregamento


con incisivi a causa di induzione del vomito.

101
Principi di Cura dei DCA
Parola chiave è Multidiciplinare: non esiste terapia per i DCA che non sia multidisciplinare.

Team Multidisciplinare: psichiatra, neuropsichiatra, psicologo, internista, pediatra, nutrizionista, IP


e altri specialisti.

Obiettivi: -Terapia della fase acuta in cui si hanno manifestazioni sia fisiche che psichiche, si
trattano sempre insieme non si aspetta mai di trattare prima un aspetto poi l'altro.

-Terapia dei conflitti familiari se paz adolescenti

-Riabilitazione e prevenzione ricadute.

I paz con DCA scelgono un comportamento piuttosto che subire i sintomi di una malattia quindi il
medico si chiede se sono irresponsabili visto che basterebbe mangiare per stare bene. Il problema è
che non possono farlo a causa del disturbo dell'immagine corporea.

È lo psichiatra che deve sapere e riconoscere il ruolo ansiolitico e antidepressivo del disturbo
dell'immagine corporea cioè l'internista vuole togliere il disturbo dell'alimentazione ma per il paz
quello è l'unica cosa che da un significato. Questa natura bivalente di fondo della patologia spiega la
multidisciplinarietà del trattamento.

Bisogna empatizzare con il paz, creare un minimo di alleanza terapeutica e avere il coraggio di dire
“so che per te ingrassare vuol dire morire, lo capisco e lo rispetto”, ciò non significa però non fare
niente.

Anche di fronte a paz apparentemente complianti vanno sempre indagate la resistenza e


l'ambivalenza rispetto al trattamento perchè c'è sempre una parte del paz che vuole curarsi (se AN si
vuole curare per le ossessioni, se BN per le abbuffate) ma anche una parte che rema contro a causa
del disordine dell'immagine corporea e non vuole dipendere dal medico.

Bisogna aumentare la motivazione al trattamento cioè motivare il paz sul fatto che quando sarà
guarita non ci sarà più il disturbo dell'immagine corporea e quindi ciò che le serve ora per stare
bene dopo non servirà più. È importante far capir che il processo di guarigione è lungo ma che
insieme all'aiuto potrà farcela.

Alleanza e contratto terapeutico → solitamente si fissa un certo peso che il paz deve raggiungere
entro un mese, ciò lo decide il nutrizionista ma coinvolge anche lo psichiatra.
Si procede un gradino alla volta, i cibi sono scelti insieme al paz.

102
Ruolo dei Farmaci nel Trattamento dell'AN

“L'autore W.G somministrando medicamenti sia tonici che alterativi non ha osservato grandi
vantaggi poiché ritiene che la malattia sia dovuta ad un difetto di equilibrio mentale riporrebbe più
fiducia nell'influenza morale e nel nutrimento che nelle medicine” Data: 1873

Non ci sono farmaci che sconfiggono l'anoressia nervosa. L'avanzamento farmacologico rispetto la
AN è nullo dal 1873.

Ciò conferma che non si tratta di un disturbo psicotico altrimenti gli anti-psicotici funzionerebbero.

“Se uso un antidepressivo che fa aumentare l'appetito?” Non serve perchè l'AN non è un disturbo da
mancanza di appetito. I paz hanno già fame, se gli si fa aumentare l'appetito si peggiora la loro
angoscia visto che passano tutto il loro tempo a controllare la loro fame. Mai dare farmaci che
aumentano l'appetito (ex TCA) a paz AN e ancora meno a paz BN, è contro l'alleanza terapeutica.

Strategie di Trattamento per AN

-Terapia di Fase Acuta → la prima cosa da fare è stabilire alleanza e contratto terapeutico perchè
serve un ripristino dello stato nutrizionale accettabile. Non deve essere normo peso
ma di un peso accettabile ma peso = 85% del peso ideale.

Questo va iniziato subito perchè senza il peso accettabile ci sono quei sintomi
psicopatologici dettati dalla malnutrizione quindi lo psichiatra non riesce a parlare
con la paz reale perchè a parlare è la malnutrizione.

In questa fase va sempre:

-Serve aumentare costantemente la motivazione al trattamento (nessuno vuole


farti ingrassare, lo scopo è vivere e avere un peso salutare. Se correggi la
malnutrizione la psicopatologia diminuisce, le ossessioni o tendenze ad abbuffarti
diminuiscono)

-Terapia nutrizionale (fatta dal nutrizionista)

-CTB → terapia cognitivo comportamentale (in fase di trattamento un po' più


avanzata)

In fase acuta non si usano psicofarmaci. Nessun farmaco si e rivelato capace di far
aumentare il peso in soggetti con AN in fase acuta (né farmaci attivi su centro
ipotalamico della fame né TCA che inducono appetito).

L'unica cosa efficace per l'aumento del peso è la terapia nutrizionale fatta in un
contesto multidisciplinare con lo psichiatra ecc..

103
Terapia di Mantenimento → mira a : -Stabilizzazione del peso raggiunto

-Prevenire le ricadute

Fondamentale è la psicoterpia.

In questa fase inoltre gli psicofarmaci sono utili in particolare gli SSRI che aiutano il
paz a mantenere il peso raggiunto.

Il farmaco SSRI più adatto è la Fluoxetina perchè da il minore aumento di appetito


tra tutti. In questa fase c'è bisogno che la paz abbia la percezione del controllo
sull'alimentazione perciò voglio limitare l'incremento di appetito dato dai farmaci.

Alcuni usano anche la Sertralina.

Strategie di Trattamento per BN

il trattamento è un po'diverso da AN perchè prima bisogna vedere di che tipo di bulimia si tratta poi
si trattano le condotte e infine t disturbi associati.

3 fasi:

1)Valutazione individuale pre-trattamento → controllo dei disturbi psichiatrici associati

-Sintomi Muliimpulsivi → psicofarmaci (SSRI, stabilizzatori. Evitare TCA xkè aumentano


appetito e Litio xkè ha basso indice terapeutico)

Se sono presenti sintomi multiimpulsivi cioè di tutto ciò che rientra nella comorbilità del
disturbo borderline si trattano. Evito farmaci che aumentano appetito.

2)Trattamento delle condotte alimentari patologiche

-Counseling Nutrizionale (internista, nutrizionista. Multidisciplinare come per AN)

-CTB (terapia cognitivo comportamentale)

-Psicofarmaci (Fluoxetina 60-80 mg riduce nel breve termine il discontrollo impulsivo sul
cibo poi perde efficacia dopo un anno)

3)Trattamento a lungo termine dei disturbi psichiatrici e di personalità associati

-Psicoterapia individuale

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-Psicofarmacoterapia di mantenimento (eventualmente se serve)

Livelli di Cura per i DCA

Tendenzialmente ogni paz conDCA si dovrebbe trattare a livello ambulatoriale cioè il livello di cura
meno restrittivo (controlli periodici 1-2 settimane e terapia a casa).

A volte ciò non è sufficiente ed è necessario il ricovero. Esistono 2 tipologie di ricoveri che

sono:

Ricovero Urgente → si fa per 2 motivi

Psichiatrico: es soggetto con BN + disturbo borderline e altre comorbilità che in quel


momento sta male dal punto di vista psichiatrico (grave depressione,
tentativo di suicidio...). In questo casi il ricovero è inambiente
psichiatrica.

Internistico: si fa quando è necessaria nutrizione artificiale o monitoraggio per


prevenire ulteriore riduzione di peso. Questo tipo più comune per le
AN (difficili da agganciare ambulatorialmente) e viene effettuato
strutture di medicina interna.

Ricovero Riabilitativo → si effettua al di fuori della fase di urgenza medica o psichiatrica. Si


richiede quando si ha ragione di ritenere che a livello ambulatoriale il paz da solo
non riesca a seguire il trattamento (perché famiglia disturbata, vomita spesso, serve
contenimento maggiore...).

Si fa ricovero in una struttura (Villa Maria Luigia a Pr) per 3 mesi in cui si cucina e
mangia tutti insieme, i bagni sono chiusi e i controllo è maggiore.

Livelli di Cura:

criteri di

scelta

105
Diagramma

Diagnostico-Terpeutico

Decorso dei DCA

Nel grafico è mostrato il decorso dei DCA.

La maggior parte delle frecce vanno dai disturbi maggiore ai disturbi atipici (NAS) ed è da questi
ultimi che si guarisce.

Ad un follow-up a 5 anni si ha la regola dell' 1/3:

1/3 outcome buono;

1/3 outcome intermedio;

1/3 outcome invariato (qui si ha la mortalità tra il 5-20% dei DCA);

Nella Anoressia Nervosa:

Il decorso è complicato da: -Drop-out in fase acuta (30-50%)

-Ricadute a 1 anno (30-50%)

I soggetti con esordio precoce (13 anni) [2 picchi per AN: 13 e 18 anni] hanno decorso
autolimitante e sono quelli che guariscono meglio. Questo perchè in questi soggetti sono più
forti i fattori di rischio culturali rispetto alla predisposizione genetica (nel modello
diatesi/stress conta di più lo stress in questi soggetti, appena trovano un altro modo di
colmare la propria identità abbandonano il disturbo dell'immagine corporea).

Nel 20% dei casi però il decorso può essere intrattabile e cronico.

Più spesso il decorso è fluttuante cioè il disturbo dell'immagine corporea non va via del tutto
ma rimane sotto forma di preoccupazioni

106
Nella Bulimia Nervosa:
Solitamente ci sono 5 anni di malattia attiva prima di richiesta di trattamento

Follow-up a 5 anni mostra sintomi significativi nel 30% dei casi

La bulimia multiimpulsiva (con disturbo borderline) è la più difficile da trattare e hanno


elevate % di drop-out e ricadute a lungo termine.

Fattori prognostici negativi: -Obesità nell'infanzia

-Scarsa autostima

Consigli per Non Specialisti


Ricordare sempre che il trattamento è multidisciplinare e che la nutrizione da sola può salvare la
persona in quel momento ma porta a ricaduta. Non si esce da anoressia solo con la
nutrizione ma non si deve far finta che non esista il sottopeso.

Psicoterapeutici che curano un DCA senza un internista di riferimento fanno solo peggio.

Attenzione all'uso di sostanze e al fatto che vomito e abbuffate aumentano la mortalità.

In caso di soggetti adolescenti ricordare che tenteranno di ingannare il medico dicendo che non
mangino perchè hanno problemi familiari, depressione etc.

Se si ha un DCA prima si tratta questo visto che è lui che determina irritabilità, ansia, apatia,
deterioramento cognitivo. Prima si cura la malnutrizione.

Farmaci hanno scarsa utilità nella Anoressia Nervosa e anzi alcuni sono pericolosi ad esempio!

Olanzapina (riduce la preoccupazione sull'immagine corporea e l'iperattività ritualistica ma


causa un elevato aumento di appetito e soprattutto allunga il QT già lungo per l'ipo-K).

107
ACCERTAMENTI E TRATTAMENTI SANITARI OBBLIGATORI
Gli accertamenti e i trattamenti sanitari obbligatori sono un capitolo estremamente delicato della
pratica medica. Per questa ragione non possono mancare alcuni riferimenti alla legislazione che li
regola.

Riferimenti legislativi:

- Costituzione (art.32)
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della
collettività, e garantisce cure agli indigenti.”

Qui ci sono due concetti molto importanti. La salute è un diritto fondamentale dell’individuo
non del cittadino, non della persona, ma dell’individuo. Tant’è vero che la Sanità Italiana
assicura cure a tutti, clandestini e non clandestini, senza fare distinzioni. Poi vi sono delle
norme per regolamentare queste condizioni, ma le cure vengono prestate.

Ma è anche un interesse della collettività, cioè la salute non viene rappresentata solo come
un bene individuale, ma anche come qualcosa che riguarda l’intera collettività. Questo è un
concetto che non viene sempre esplicitato: il benessere dell’individuo è in parte dipendente
dalla collettività. Questo è facilmente intuibile, basta pensare alle malattie infettive o alle
condizioni in cui vigerebbe la collettività se non ci fossero cure garantite a tutti.

“Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per


disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto
della persona umana.”

Questo riferimento per i medici è fondamentale. Indica che gli accertamenti e i trattamenti
sanitari sono di norma volontari. Sancisce la volontarietà del trattamento sanitario e il limite
oltre il quale non si può andare, ovvero il rispetto della persona umana.

- Legge 180/1978 e poi 833/1978 (artt. 33, 34, 35) → Legge 180 del 1978 di riforma
psichiatrica, poi confluita nella 833 dello stesso anno

Innanzitutto questa legge (che sarà ripresa nella lezione seguente) conferma che gli
accertamenti e i trattamenti sanitari obbligatori sono volontari, compresi quelli psichiatrici.
Cioè si sancisce il diritto alla cura e anche il diritto a non prestare il consenso. E’ il consenso
a costituire la base per il trattamento sanitario.

I provvedimenti obbligatori possono essere disposti solo in forza delle leggi. Sempre
bisogna rispettare la dignità della persona e garantire i diritti dei cittadini.

- Codice deontologico

108
Vi sono diverse altre leggi complementari (qui non citate) cui un medico deve attenersi e
ovviamente il Codice Civile e il Codice Penale.

Qui l’attenzione si concentra sui trattamenti obbligatori per malattie mentali. Ma ve ne possono
essere anche altre forme, ad esempio le vaccinazioni ai bambini secondo il calendario vaccinale
dell’infanzia. Alcune vaccinazioni sono obbligatorie, ma non sono coatte, cioè vige l’obbligatorietà
ma non c’è una sanzione per chi non le fa. Tant’è vero che in molti casi l’obbligatorietà è stata
sostituita dalla volontarietà, cioè si cerca di convincere del loro beneficio. Può essere obbligatorio
un periodo di quarantena, cioè un periodo di isolamento prima di tornare alla propria collettività.

Sono poche, circoscritte, le condizioni per cui esiste un’obbligatorietà dei trattamenti. La stragrande
maggioranza di questi sono basati sul consenso.

Il consenso

Di solito si scambia il consenso con il modulo che viene fatto firmare quando ci si accinge ad
effettuare delle pratiche. Questa è invece solo una raccolta burocratica del consenso, che ha
pochissimo valore dal punto di vista medico-legale. Cioè se ci fosse un problema, tutela molto poco
il fatto di aver ottenuto così una firma o il consenso al trattamento dei dati personali. Infatti due
sono i consensi che vengono raccolti: quello alle cure e quello al trattamento dei dati personali, sulla
base della legge sulla privacy (196, del 2003).

Il consenso reale è qualcosa di più complesso. Ciò si evince dal fatto che il bene della vita, della
salute e dell’integrità fisica e psichica sono oggetto dei diritti della persona; si tratta di diritti
naturali, essenziali e quindi assoluti e come tali indisponibili, irrinunciabili, non trasmissibili, non
espropriabili. Questo non è il consenso, questa è la premessa del consenso.

Il consenso è una piena condivisione tra medico e paziente di una determinata procedura
diagnostica o di un determinato trattamento terapeutico.

Le caratteristiche che il consenso alle cure deve avere:

- personale

109
cioè dato dalla persona a cui le indagini diagnostiche o il trattamento vengono proposti. Può
essere dato da qualcun altro solamente in casi particolari, ad esempio nel caso di un bambino
che è tutelato dai genitori (comunque, soprattutto nella fascia d’età tra i 14 ai 18 anni, c’è
sempre la necessità di ascoltare il punto di vista del minore, anche se il consenso dal punto
di vista legale lo darà il genitore)

- libero e spontaneo

non ci deve essere una coercizione al consenso e questo deve essere espresso
spontaneamente dalla persona

- consapevole e informato

cioè il medico deve aver dato la necessaria e appropriata comunicazione, fatta


dell’informazione ma anche della verifica del suo recepimento da parte della persona,
dell’indicazione, dei rischi, dei benefici di quel trattamento, di quell’indagine diagnostica .
Va fatto tenendo conto del punto di vista del paziente, usando un linguaggio a lui
comprensibile, adattandosi alla persona che si ha davanti.

Il procedere in assenza di consenso è molto grave per quanto attiene le responsabilità del
medico. Non è privo di conseguenze.

- attuale

cioè deve essere raccolto nella imminenza o comunque in prossimità, anche temporale,
dell’intervento previsto sia diagnostico sia terapeutico. In Italia non c’è una legge sulle
azioni anticipate, cose che vengono decise ora per allora, se non per la donazione degli
organi.

- gratuito

cioè non deve essere remunerato. In Italia non esiste, ma nel mondo ci sono casi di
donazioni dietro pagamento.

- manifesto

cioè raccolto in maniera manifesta dal medico e che sia in qualche modo testimoniato. Ecco
perché si usano i moduli scritti. Specialmente per trattamenti che comportino un alto rischio.
Deve essere manifesto anche che si è seguito l’iter per raccogliere il consenso.

110
Il Consenso non coincide con l’Assenso cioè con il semplice benestare, acconsentire passivo a
qualcosa.

Il Consenso richiede un incontro di volontà, di alleanze e di partecipazione attiva sia del medico sia
del paziente. Si raccoglie con l’interazione reciproca nell’ambito di una relazione di fiducia intorno
a ciò che le due controparti (medico e paziente) insieme dovranno fare.

Il Consenso informato è una decisione condivisa all’interno di una relazione di cura fondata sulla
fiducia e sulla chiarezza comunicativa.

Si può tenere presente qualche altra caratteristica. Il consenso non è permanente. Ciò vale
soprattutto per le cure che si protraggono nel tempo. A volte si possono iniziare le cure con un
semplice assenso, per lavorare poi alla costruzione del consenso. A volte il consenso c’era, poi il
paziente è diventato via via demente e può essere non più in grado di esprimerlo, allora qui saranno
altri che potranno sostenere il diritto del paziente (come i familiari). Il consenso informato è un
processo dinamico: va costruito, va mantenuto, va continuamente rinnovato, va ricostituito se viene
meno. Tutto ciò perché il consenso è fondamentale per il trattamento.

Non solo i pazienti con disturbi mentali non si curano volentieri: circa la metà dei pazienti diabetici
non si cura volentieri, buona parte dei pazienti con disturbi cronici non prende correttamente la
terapia. Ci sono molti studi che dimostrano che l’alleanza tra medico e paziente è fondamentale per
la continuità delle cure e la continuità delle cure è fondamentale per buoni esiti.

Il medico deve sempre motivare il paziente al trattamento, non in maniera irrealistica. Ma in


maniera realistica, sempre tenendo viva la speranza. Bisogna prendersi cura della persona, e non
soltanto della malattia della persona. E’ indispensabile questa fase in cui il medico cerca di entrare
in contatto con il paziente. Tenendo presente che la relazione che si instaura con certi pazienti è in
sé un elemento della cura. La cura non va intesa in maniera restrittiva come terapia farmacologica.

Curare è anche sviluppare un alleanza terapeutica, che non sarà mai tutto o niente. In certi momenti
sarà buona, in altri meno. E’ una particolare tipologia di relazione umana.

Per tutti i disturbi bisogna fare riferimento al consenso. Di norma anche la cura dei disturbi mentali
è volontaria e si basa sul consenso.

Perché sono possibili i Trattamenti Sanitari Obbligatori


(TSO)?
I disturbi mentali possono determinare assenza di consapevolezza di malattia e, sulla base di
rappresentazioni e valutazioni gravemente alterate, vengono rifiutati interventi sanitari necessari ed
urgenti.

Questa è la ragione teorica che consente di operare in maniera obbligatoria nell’ambito dei disturbi
mentali. Cioè si ritiene che il disturbo mentale sia così grave da far venir meno il rapporto con se
stessi e con la realtà. Ciò è emblematico nel paziente schizofrenico.

111
Nel resto della medicina invece si accetta che il paziente possa accordare o negare il consenso.
Peraltro anche in psichiatria ci sono condizioni in cui si accetta che la persona non segua il
trattamento. Per esempio se un soggetto è affetto da attacchi di panico, è bene che segua un
trattamento per contrastarli, ma non è obbligato a farli. Non esiste l’obbligatorietà.

Anche di fronte a situazioni molto importanti di rischio per la persona, il consenso può essere
negato. Per esempio un paziente diabetico che rischia la gangrena di un arto, ma è consapevole, può
decidere tranquillamente di non sottoporti all’amputazione rischiando la morte per gangrena. In
questo caso è bene che il medico informi il Giudice Tutelare, tutelandosi a sua volta. Sempre perché
il paziente deve essere attuale. Alla persona va richiesto nel tempo se è ancora della stessa idea o
meno. Sono situazioni delicate, da valutare con attenzione. E’ bene che tutti i medici che
intervengono sul caso, non solo gli psichiatri, se è necessario informino l’autorità giudiziaria,
soprattutto se il divario tra benefici di quello che viene proposto e rischi della sua non messa in atto
è molto grande.

Anche il malato di mente grave può essere lucido, consapevole, in grado di esprimere un consenso.
Non è detto che la malattia mentale comprometta tutto il funzionamento mentale.

Che cos’è il TSO?


Il TSO costituisce l’estremo mezzo per rendere effettivo il diritto alla salute di un individuo affetto
da una grave patologia psichica di cui non è consapevole.

Viene fatto nell’interesse della persona e anche della collettività, non tanto come “difesa sociale”
ma come recupero dell’individuo alla collettività. L’idea della “difesa sociale” era quella del
manicomio, attuata con l’intenzione di allontanare un membro della collettività dalla collettività
stessa, per proteggersi da esso. La Legge 180 dice proprio che la persona deve essere trattata nel
territorio, di norma deve stare a casa sua, dove ha interesse a vivere, non in ospedale psichiatrico.

Anche il TSO deve essere sempre accompagnato alla ricerca del consenso di chi vi è obbligato.
L’obbligatorietà non è un’alternativa al consenso, ma uno strumento eccezionale. Prima, durante,
dopo si continua a lavorare per la costruzione del consenso.

Le condizioni per il TSO


Queste sono le uniche condizioni che consentono un TSO secondo la legislazione attuale. Sono tre
concetti fondamentali.

1. Alterazioni psichiche tali (cioè talmente gravi) da richiedere interventi terapeutici urgenti
(non differibili nel tempo, cioè da farsi subito nell’imminenza della visita)
2. Gli interventi terapeutici non vengono accettati dall’infermo (il rifiuto è strettamente
correlato/dipende dal disturbo mentale)
3. Non sussistono le condizioni e le circostanze per attuare idonei e tempestivi interventi in
ambito extraospedaliero

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Il disturbo mentale compromette a tal punto la rappresentazione della realtà, da comportare un
rifiuto delle cure che pure sono urgenti. E’ una condizione in cui la sua percezione è fortemente
compromessa dal disturbo mentale, non è una sua libera scelta.

Non è indicata nelle tre condizioni la pericolosità agli altri, come molti credono. La pericolosità non
è condizione per fare un TSO. Lo era nella vecchia legislazione (1904), ma non lo è più.

I disturbi di personalità di norma non rientrano in queste condizioni, perché non tendono a dare una
compromissione così grave dell’esame della realtà. Potrebbero andare incontro a condizioni di
gravità, un episodio psicotico transitorio, allora per quell’evento lì, per un periodo il TSO può
essere attuabile. Di norma è sì una condizione che va curata, ma sulla base del consenso non
dell’obbligatorietà. LO stesso discorso può valere per gli attacchi di panico, che in situazioni
protratte possono comportare anche conseguenze gravi.

L’obbligatorietà va usata con molta discrezione.

Procedura

La figura professionale che può proporre il TSO è solo il medico, nessun altro. E’ un potere
importantissimo. Qualunque medico, non solo lo psichiatrica.

Ciò comporta grande attenzione alla persona, alla famiglia, al contesto, ma anche ai principi etici e
alla tutela dei diritti. Bisogna esercitare con professionalità e responsabilità.

Eseguire TSO impropriamente comporta un rischio professionale.

La procedura è complessa.

1. il medico (abilitato alla professione) visita la persona e verifica personalmente se sussistono


le tre condizioni di legge
2. nel caso sussistano, prepara una documento di Proposta Motivata di TSO (in triplice copia
con firma autografa). In questi moduli bisogna inserire i dati anagrafici della persona,
motivare come sono state rilevate le tre condizioni precedenti ed eventualmente ribadirle
3. interviene un secondo medico (che non sia uno psichiatra) della struttura pubblica (dell’
Unità sanitaria locale) che visita la persona, prende atto del documento di proposta ed
eventualmente parla col collega che l’ha redatto
4. nel caso sussistano le condizioni, il secondo medico redige un secondo documento di
Convalida della proposta (in triplice copia con firma autografa)
Sono medici della struttura pubblica anche i medici di medicina generale, i pediatri di libera
scelta, i medici del 118 e anche i servizi di guardia medica. Si intende per medico
appartenente alla struttura pubblica, colui che ha un rapporto con l’ente pubblico.

5. il documenti di Proposta e Convalida vengono recapitati per tramite della Polizia Municipale
al Sindaco (in qualità di massima Autorità Sanitaria, secondo l’attuale normativa) o a un
assessore da lui delegato, del luogo in cui il paziente si trova in quel momento

6. nel mentre il medico assiste il paziente. Generalmente durante queste operazioni il medico
non è solo, ma circondato da altri operatori sanitari

113
7. il sindaco emette l’Ordinanza di TSO (dal punto di vista legale è un’ordinanza).
Eventualmente una volta che ha in mano la documentazione, può chiedere ulteriori
chiarimenti agli attuatori di Proposta e Convalida, ma per legge non può rifiutarsi e
generalmente ha un atteggiamento collaborativo
8. il TSO viene eseguito dalla Polizia Municipale di concerto con il personale sanitario fino al
ricovero, trasporto (in genere in ambulanza o comunque in mezzi che garantiscano la
sicurezza) compreso. Anche se il ricovero avviene in una provincia limitrofa (evenienza
rara) coloro che hanno iniziato le operazioni, devono portarle a termine

9. il ricovero può avvenire solo nei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura. In Italia non c’è
possibilità di fare TSO al di fuori di queste strutture, sia che siano luoghi pubblici che
privati. Bisogna reperire un posto letto all’interno della struttura e ciò spetta ai medici del
SPDC

Motivazioni

La motivazione non può limitarsi alla diagnosi (già risaputa) e alla valutazione della gravità del
caso, ma deve riportare gli elementi raccolti a prova della sussistenza delle condizioni dalla legge
per il TSO. Bisogna motivare chiaramente la proposta. E’ opportuno, per il TSO in degenza
ospedaliera, (ma anche per l’ASO e per il TSO extraospedaliero), che siano documentati gli
interventi fatti “per assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi è obbligato”. Ciò
anche per far fronte a eventuali contestazioni e ricorsi all’autorità amministrativa e al Tribunale da
parte del paziente. Tutto ciò deve essere redatto in maniera sintetica.

Sicurezza

Un TSO richiede la collaborazione continuativa fra sanitari e polizia. Se, prima o nel corso
dell’esecuzione del TSO vi sono turbative o pericoli per l’incolumità delle persone (compreso chi vi
è sottoposto) o dell’ordine pubblico potranno essere attivate, di solito dalla Polizia municipale, le
Forze dell’Ordine (Carabinieri, Polizia ecc.) e potranno essere attivati anche altri enti (Vigili del
fuoco ecc.). Questa parte della sicurezza non compete ai medici.

Cautele e indicazioni

Prima di prendere l’iniziativa è bene che il medico si consulti con chi lo può consigliare. In
particolare è importante informare e consultare sempre il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura
locale circa la possibilità/necessità di attuare il TSO. Parlando con specialisti psichiatri presso il
Centro di Salute Mentale o lo stesso SPDC. Spesso infatti si tratta di condizioni già note, che
possono essere meglio inquadrate, tenendo anche conto del contesto e dei familiari del paziente.

Bisogna assicurare sempre la presenza e l’assistenza sanitaria.

Il medico che attua un TSO è esposto anche personalmente sul piano professionale, quindi è bene
che garantisca la sia presenza. In ogni caso qualche operatore sanitario deve essere presente.

114
Durata

Il TSO in regime di ricovero ha una durata massima di 7 giorni.

Se vengono meno le condizioni può essere revocato prima dal direttore del SPDC che lo comunica
al Sindaco.

Se persistono le condizioni il direttore del SPDC può chiedere al Sindaco che ha emesso l’ordinanza
di TSO la proroga motivata indicandone la durata presunta. Le proroghe possono essere più di una,
ma devono sempre essere motivate.

Garanzie della procedura

La prima garanzia è la stessa complessità della procedura.

L’ordinanza di TSO va notificata alla persona che vi è sottoposta che conserva tutti i diritti

civili e politici (compreso quello di comunicare con chi ritiene opportuno).

Deve essere accompagnato sempre dalla ricerca del consenso. Il limite massimo è sempre il rispetto
della dignità della persona.

Il TSO non viene annotato in nessun documento, né nel casellario e non comporta la perdita della
patente ecc.

Il Sindaco che ha emesso il provvedimento entro 48 ore invia l’ordinanza al Giudice Tutelare.

Il Giudice Tutelare, entro le successive 48 ore, assunte le informazioni e gli eventuali accertamenti,
provvede con Decreto motivato a convalidare (o non) il provvedimento del Sindaco. Dunque il
provvedimento del Sindaco sottosta all’esame del Giudice Tutelare.

Se il Sindaco non è quello del comune di residenza, il sindaco scrive al Sindaco del comune di
residenza per comunicargli il TSO. Se il paziente è straniero la comunicazione viene fatta alla sua
Ambasciata.

Il Giudice Tutelare può adottare provvedimenti urgenti per amministrare il patrimonio del paziente.

Chi è sottoposto a TSO e chiunque vi abbia interesse può proporre ricorso contro il TSO sia
rivolgendosi al Sindaco che al Giudice Tutelare. Il Tribunale competente per territorio decide entro
30 giorni.

Le Ausl operano per ridurre il ricorso ai TSO sviluppando le iniziative di prevenzione e di


educazione sanitaria ed i rapporti organici tra servizi e comunità. In un anno nella Provincia di
Parma ci sono circa 120-130 TSO. Non sono molti, ma sono tutti casi complessi.

Limiti

Non sempre l’ urgenza e l’obbligatorietà degli interventi coincidono.

115
E’ un provvedimento che talvolta viene sollecitato dalle pressioni della famiglia e del contesto.

Posizione di responsabilità del medico che è tenuto ad attenersi alla legge, distinguendo le
condizioni che sono effettivamente compatibili con un TSO e quelle che non lo sono. Il TSO non è
né una misura di ordine pubblico, né una misura punitiva.

Se l’ordinanza non viene eseguita

In caso di mancata esecuzione di un ASO o TSO (ed esempio perché il paziente è irreperibile) ne va
data comunicazione al Sindaco e il provvedimento decade entro 48 ore dall’emissione
dell’ordinanza. Se ritenuto ancora necessario, va rinnovata la richiesta di ASO o TSO.

Condizioni che non richiedono TSO

Esistono condizioni che, presentandosi urgenti e complesse, non richiedono l'attivazione delle
procedure di Tso in quanto la persona è incapace di esprimersi rispetto alla proposta di cura. Sono
condizioni in cui il soggetto non è in grado di dare o negare il consenso. Ad esempio un soggetto in
coma, ferito…

La nostra priorità in questi casi è la tutela della salute delle persona, anche se non ha espresso il
consenso. Lui potrebbe dirci “ma dottore, se mi lasciava morire era meglio!” perché magari si
ritrova in sedia a rotelle, però noi abbiamo il dovere di salvarlo prima di tutto.

Anche altre situazioni, ad esempio grave compromissione dello stato di coscienza e impossibilità ad
esprimere/negare il consenso (traumi, intossicazioni, delirium, demenze senili, overdose…) sono
tutte condizioni che non richiedono il Tso.

L’articolo che ci permette di operare in questi casi è l’art 54 del Codice Penale (“stato di necessità”)
che recita: “Non è punibile chiunque compie azioni che altrimenti si configurerebbero come reato,
nella necessità di salvare sé o altri da pericolo attuale di danno grave alla persona non diversamente
ovviabile, purché l’intervento sia proporzionato al pericolo” (Ad esempio se a uno mentre gli
facciamo un massaggio cardiaco gli fratturiamo lo sterno, non succede niente. Se portiamo una
persona in stato confusionale al PS, va bene. Non dobbiamo compilare dei moduli, dobbiamo solo
intervenire.)

Il Tso non può essere utilizzato per obbligare la persona ad effettuare interventi diagnostici e
terapeutici per altre patologie internistiche o chirurgiche che non siano quelle mentali, anche se con
alto rapporto benefici/rischi. I pazienti hanno il diritto di non accettare le cure. Una persona che non
ha un disturbo mentale non possiamo invocare il Tso per convincerla a fare un trattamento.

In questi casi, molto complessi, può essere opportuno coinvolgere il magistrato, che può ad esempio
nominare un amministratore di sostegno, può fare tante cose…e voi medici siete in qualche modo
tutelati.

TSO extra ospedaliero

è previsto dalla normativa anche un Tso particolare che è il Tso extraospedaliero.

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Se sussistono le prime due condizioni per il Tso ma non la terza, può essere proposto il Tso
extraospedaliero che di solito viene utilizzato solo per l’effettuazione di terapie depot di pazienti in
cura ai CSM (es. farmaci antipsicotici che esistono in formulazioni croniche, per os, della durata di
24 ore, e poi ci sono delle forme depot, deposito, iniettive intramuscolo in cui il farmaco è
esterificato con sostanze oleose e questo garantisce la terapia per 15-30 giorni). Per pazienti che
hanno una scarsa compliance.

E’ prevista la stessa procedura del Tso in regime di ricovero. E’ eccezionale e di solito viene
utilizzato nei Centri di Salute Mentale.

TSO e minori

E’ possibile fare il TSO anche su un minore, anche se va sempre ricercato il consenso del minore
(diritto all’ascolto) e famiglia. Il bambino è una persona e il suo punto di vista va ascoltato.

In Emilia Romagna si prevedono due condizioni:

A) Minore bisognoso di cure urgenti e consenziente al trattamento ma genitori contrari

B) Minore bisognoso di cure urgenti, non consenziente e genitori favorevoli

Caso A: l'attivazione del TSO è uno strumento per “forzare“ le resistenze e l’ opposizione dei
genitori, che detengono la patria potestà. Il TSO va comunque formalizzato, specificando in modo
dettagliato la motivazione, per rendere possibile il coinvolgimento del Giudice Tutelare rispetto ad
un provvedimento eccezionale.

Caso B: non ci sarebbe bisogno di formalizzare il TSO sulla base del consenso di chi esercita la
patria potestà (i genitori) ma il rifiuto del minore deve essere valutato e se necessario va
formalizzato il Tso, anche se legalmente basterebbe la firma dei genitori.

In entrambi i casi è utile informare il Tribunale per i Minori in particolare se l’ambiente familiare
non è adeguato.

Questa tabella viene da una conferenza delle regioni, riassume le varie condizioni in cui ci si può
trovare, ma sono essenzialmente quelle che abbiamo visto prima:

117
Citiamo anche l’art. 403 c.c., Intervento della pubblica autorità a favore dei minori: “Quando il
minore è moralmente o materialmente abbandonato o è allevato in locali insalubri o pericolosi,
oppure da persone per negligenza, immoralità, ignoranza o per altri motivi incapaci di provvedere
all’educazione di lui, la pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione dell’infanzia (Servizio
sociale dei comuni) lo colloca in luogo sicuro, sino a quando si possa provvedere in modo definitivo
alla sua protezione” Come medici potremmo trovarci a vedere delle situazioni del genere.

Limiti del TSO

Attualmente non esistono provvedimenti legali che obbligano la persona con disturbi mentali a
seguire le cure a domicilio. Non esiste un Tso prolungato, anche se ci sono state molte proposte di
legge. Ecco perché diventa fondamentale lavorare sul consenso del paziente.

Ricordiamo che non rientra nelle competenze dei medici e degli psichiatri la protezione dei familiari
rispetto a conviventi violenti. Questo provvedimento spetta al giudice, non al medico.

Il Giudice può disporre l’allontanamento della persona violenta, l’inibizione a frequentare


determinati luoghi ecc.

L’accertamento sanitario obbligatorio: ASO

La legge lo prevede quando si ha il fondato sospetto della presenza della prima condizione di legge
prevista per potere intervenire in forma obbligatoria (alterazioni psichiche tali da richiedere
interventi terapeutici urgenti), e che l'approfondimento diagnostico necessario non viene accettato
dal paziente.

118
E’ un intervento eccezionale e va sempre preceduto e accompagnato dalla ricerca del consenso
(strategie di aggancio). Può essere disposto dal medico che ritiene indispensabile e urgente la
valutazione psichiatrica.

La proposta di ASO può essere effettuata dal medico che ha constatato la presenza delle condizioni
sopracitate e previste dalla legge. Poi il sindaco emette l’ordinanza. In questo caso basta un solo
medico: deve fare una proposta contenente le motivazioni dettagliate che sostengono la richiesta di
tale provvedimento e la sede ove effettuarlo. (Deve essere una sede ambulatoriale o di PS, non in
regime di ricovero).

La polizia municipale e il personale sanitario accompagnano la persona nel luogo stabilito per la
visita e assicurano la sua presenza fino al termine della stessa. La visita viene fatta dallo psichiatra.

Come dicevamo, la legge prevede che l’Aso non possa avvenire in regime di ricovero. Può essere
effettato presso il Pronto soccorso, il Centro di Salute Mentale, Ambulatorio ecc.

L’esito dell’Aso può essere diverso: restituzione al Medico di Medicina Generale, presa in cura al
CSM, il ricovero volontario, il Tso. L’esito dell’Aso va comunicato al Sindaco.

Ovviamente si cerca sempre prima di ricorrere a queste procedure di consultare il paziente.

Percorsi per pazienti affetti da schizofrenia e disturbi psicotici:

Il paziente già in cura ha come riferimento il CSM.

In caso di grave pericolo di vita, suicidio, si può chiamare il 118, oppure le forze dell’ordine in caso
di aggressività.

Se il paziente non è consenziente il medico potrà disporre in alcuni casi un ASO.

Vantaggi del sistema: non stigma, punta sul consenso e collaborazione

Limiti: di notte non assicura interventi specialistici a domicilio. I servizi di continuità e 118 possono
sottovalutare l’urgenza psichiatrica.

Pazienti con intossicazione da alcol o sostanze:

L’intossicazione acuta da alcol non prevede il TSO. Va seguita sul piano medico, dal PS. Invitiamo
poi eventualmente le persone ad avere contatti con i servizi per le dipendenze patologiche.

Evitare il ricovero in SPDC.

Intossicazione acuta con pericolo di vita : 118, PS, rianimazione. Intossicazione acuta con gravi
alterazioni comportamentali, agitazione (ad esempio abuso di cocaina, amfetamine): PS, anche
SPDC.

Entro 24 ore consulenza del Servizio Dipendenze Patologiche (Sert).

119
Demenza:

I pazienti con demenza non andrebbero indirizzati al Tso. Di solito non si richiede Aso/ Tso.

è importante definire i percorsi (rapidi) per la valutazione del quadro clinico e terapia, il sostegno
del care giver, se necessario definire la disponibilità di posti letto per ricoveri (geriatrie, RSA, case
protette ecc.)

Pazienti con delirium:

Il Delirium è un’urgenza medica: PS e medicina d’urgenza per definire le cause. Se insorge nei
reparti (es chirurgie dopo interventi, ortopedie ecc.) va ricercata l’eziologia e operato il trattamento.
Non è indicato il ricovero in psichiatria

Il delirium tremens (astinenza da alcolici in pz dipendente) può essere prevenuto nei reparti.

Ruolo del SPDC:

Dovrebbe essere limitato a TSO e interventi brevi non attuabili altrove sempre in un’ ottica
territoriale e di continuità della cura.

Intossicazioni/astinenze con gravi alterazioni psichiche e comportamentali;

Adolescenti con gravi disturbi all’esordio. Rispetto a PS il ruolo del SPDC dipende dalla
funzionalità dei percorsi clinici e sociali. Consulenze psichiatriche in PS e nei reparti.

L’SPDC rischia di divenire il riferimento e talora la sede delle contraddizioni e difficoltà di


gestione comportamentale, delle problematiche psico-sociali con elevato rischio di
inappropriatezza.

Conclusioni:

Il medico deve costantemente lavorare sulla relazione e sul consenso. Ottenere la fiducia della
persona e la sua attiva collaborazione è essenziale per la cura della salute. Non vi è terapia efficace
se questa non verrà assunta. Non basta prescriverla ma va costruita sempre la motivazione e
l’adesione al trattamento.

Al medico la legge attribuisce la facoltà di utilizzare Aso e Tso e questo richiede non solo
conoscenza, responsabilità professionale ed etica, ma anche sensibilità umana, cautela e la capacità
di collaborare con i colleghi, anche psichiatri. Avrete in mano questo strumento che dovrete sapere
come usare bene. I TSO vanno fatti in maniera appropriata. (Ricordatevi le condizioni perché il
professor Marchesi ve le chiede)

Domanda: se faccio un ASO ambulatoriale ad un paziente e lo trovo in una situazione grave, ad


esempio è malnutrito.. poi che faccio?

Risposta: stato di necessità oppure trattamenti consensuali o TSO.

120
Nota: in caso di anoressia grave il cervello può non funzionare più correttamente a causa dei forti
deficit nutrizionali, può essere giustificato un Tso. Anche ricovero in reparti non SPDC. Bisogna
pensare sia a curare la malnutrizione che a curare il paziente a livello psichiatrico.

A volte non possiamo aspettare di curare le persone dopo avere scritto carte e carte: contate che il
sindaco avrebbe 48 ore per firmare, è ovvio che in caso di urgenza non si può! La procedura del
Tso è incentrata più sull’obbligatorietà che sull’urgenza. Secondo noi comunque il meglio è
lavorare sul consenso e sulla collaborazione anche nei disturbi psichiatrici, soprattutto se li
prendiamo subito. Anche uno schizofrenico prima di arrivare a compromettere gravemente il
proprio esame di realtà e non volersi più fare aiutare, ci mette un po’, per cui cerchiamo di
intervenire precocemente.

Garanzie per il paziente sono che il TSO si fa solo in una struttura pubblica, ha una durata limitata.
Se possibile bisogna tutelare la libertà e i diritti delle persone che hanno disturbi psichiatrici.

Dobbiamo convincere i pazienti dell’utilità delle cure, come in tutti i campi della medicina, anche i
diabetici, come dicevsmo, spesso non seguono le cure! non è un problema solo dei pazienti
psichiatrici. Ricordiamo che noi in dipartimento abbiamo in carico circa 12.500 persone, e abbiamo
fatto in un anno solo 120-130 Tso. Gli altri 12.400 si sono comunque curati senza bisogno di Tso.

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