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EUGAD : European Citizens working for the global development agenda

EUGAD is one of the actions that implement the European Commission Programme of Public awareness and education
for development in Europe
EuropeAid Contract: DCI-NSA ED/2008 153-791
Programme reference: EuropeAid/126341/C/ACT/Multi

For more information see:


- Interview on Youtube, Italian language: http://www.youtube.com/watch?v=IVt8gpGJ8DI
- Eugad website: http://www.eugad.eu/
- Interview to Umberto Allegretti: http://www.eugad.eu/wiki/index.php?title=Allegretti_Umberto
- Manuals Chapter: Participatory approach and Transparency to Development actions and policies
ahttp://www.eugad.eu/wiki/index.php?title=Participatory_Approach_and_Transparency_to_Developme
nt_Actions_and_Policies

INTERVIEW to Prof. UMBERTO ALLEGRETTI (2010)

PARTICIPATIVE DEMOCRACY and ROLE of


GOVERNMENT, LOCAL INSTITUTIONS, COMMON PEOPLE

by Wilma Massucco

Constitutionalist, Professor of Public Law at University of Florence


(Italy), Umberto Allegretti is director of the magazine Democrazia e
Diritto, of the Association CRS (Centre for Studies and Initiatives for the
reform of the Italian Government). He's also coordinator of the national
research project titled “Fondamenti, strumenti e procedure della
Democrazia Partecipativa tra Stato; Regione, Enti Locali e Unione
Europea”. In addition, Allegretti has always been involved in social
projects as well (he's member, among others, of the Radiè Resch network
and of Pax Christi).

Key points of the interview

Umberto Allegretti, Constitutionalist, Professor of Public Law at University of Florence (Italy) believes that the
Participative Democracy is an interaction between society and institutions which can be successful only if there's a
reciprocal trust: administrations must come into play, and citizens must take interest and part in the administration
decisional process, with the will for a reciprocal learning.

This process should be developed in such a way that what nowadays is only an influence, exercisable by common
citizens on the administrative decisional process, becomes a tendential obligation, to which Administrations voluntarily
submitted themselves.

He also cites some good examples of participatory approaches applied in Italy, in the process of reconstruction after
catastrophes like the earthquakes happened in the regions of Friuli, Umbria, Marche.
He highlights how much important can be the influence exercisable by the government on the effective application of
participatory approach.
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And, referring to the last earthquake of L'Aquila (Italy, 2009) he complains about the centralized decisions applied in
such a case by the Environmental Protection Services which, not having involved at all the citizens in the process of
reconstruction, conducted to a quality of reconstruction that has been very criticized by city planners and by common
people as well.

"As a matter of fact, in democracy it’s people who must decide about their own issues - he says - I believe in middle
long term democracy will win, while in the short term there’s difficulty in Italy to live democracy in practice".

INTERVIEW, INTEGRAL EDITION, Italian language

INTERVISTA a UMBERTO ALLEGRETTI

Costituzionalista, Ordinario di Diritto Pubblico all’Università di Firenze, Umberto Allegretti è direttore della rivista
“Democrazia e Diritto”, dell’Associazione CRS ( Centro Studi e Iniziative per la riforma dello Stato) ed è coordinatore
del progetto di ricerca nazionale “Fondamenti, strumenti e procedure della Democrazia Partecipativa tra Stato;
Regione, Enti Locali e Unione Europea”. Oltre che un grande studioso, Allegretti è sempre stato uomo impegnato nel
sociale ( è tra le altre aderente alla Rete Radiè Resch e a Pax Christi).

DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA e RUOLO DEL GOVERNO, DELLE ISTITUZIONI, DEI CITTADINI

di Wilma Massucco

Democrazia Partecipativa non significa chiedere interlocuzione alle amministrazioni quando abbiamo una necessità o
un problema, né significa essere interpellati per sapere di cosa abbiamo bisogno. E’ piuttosto un’interazione tra
società e istituzioni che presuppone una reciproca fiducia: l’amministrazione si mette in gioco nei processi decisionali;
i cittadini si assumono la responsabilità di prendervi parte.
Con una “volontà di apprendimento reciproco”.
Fino a far sì che la potenziale influenza esercitabile da parte della società diventi piuttosto un “vincolo tendenziale” a
cui le amministrazioni volontariamente si sottopongono.
A partire dai processi post catastrofi, per esempio, di cui l’Italia è stata più volte protagonista …..

Prof. Allegretti, quali sono le caratteristiche della democrazia partecipativa?


La democrazia partecipativa è un’interazione tra società e istituzioni. Prevede delle procedure in cui vi è il
riconoscimento dell’apporto della base sociale di semplici cittadini a certe decisioni che l’amministrazione deve
prendere. L’amministrazione in qualche modo si mette in gioco, perché accetta questa dialettica. Poi, le decisioni
formali verosimilmente le prenderà l’amministrazione, però c’è la speranza – e la pratica dice che la cosa si verifica
spesso – che quanto emerge attraverso una discussione tra cittadini ed amministrazioni diventi poi materia della
decisione dell’Amministrazione.

A riguardo viene un dubbio, ovvero che questo coinvolgimento dei cittadini sia soltanto una formalità per costruire
consenso, piuttosto che per favorire un’effettiva partecipazione dal basso
Qualche volta questo avviene, cioè la amministrazioni possono avere interesse a cercare il consenso su questioni già
predeterminate, su cui la cittadinanza non sarà chiamata a decidere realmente. Naturalmente, come ogni processo
dialogico, presuppone una reciproca fiducia: l’amministrazione si deve saper mettere in gioco; i cittadini a loro volta
devono partecipare. A volte i cittadini sono preda di un atteggiamento di diffidenza pregiudiziale intorno a ciò che

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decideranno i rappresentanti elettivi. Ci vuole indubbiamente una “volontà di apprendimento reciproco”, per dirla come
il filosofo Habermas.

Supponiamo che ci sia anche questa fiducia reciproca. Resta comunque la domanda: chi decide davvero?
Questo è il punto più delicato. La pratica riuscita è nel senso che, previa la formulazione di alcuni criteri, di carattere
tecnico e politico, l’amministrazione si impegni politicamente a travasare in decisioni formali ciò che scaturisce dal
processo partecipativo. Questa è l’esperienza di molti comuni brasiliani. In Italia si può citare il caso del piccolo ma
vivacissimo comune di Grottammare, che pratica un Bilancio partecipativo dal 1994. Certo molte esperienze non
arrivano a questo livello. L’influenza effettiva sulla decisione non sempre si realizza.

E comunque, quando si realizza, resta spesso nell’ambito di un’influenza effettiva. Come si può passare da un’influenza
effettiva ad un “tendenziale vincolo”?
La proposta secondo me può essere quella che vi sia da parte dell’amministrazione una previa assunzione di un vincolo
tendenziale (sicuramente non può essere assoluto).
Come stimolare, come oggettivare questo vincolo tendenziale?
Di solito lo si fa con l’indicazione di alcuni criteri. Ad esempio lo scopo della procedura può essere quello di distribuire
bene certi interventi sul territorio, in base alle esigenze, in base al deficit di servizi. Nella buona formulazione dei criteri
sta poi saper impostare il segreto di un effettivo adeguamento. Quello però che dobbiamo superare è l’idea di una
formalità assoluta del “chi decide”. La scommessa è che ci sia una sorta di co-decisione tra base sociale ed
amministrazione.

Mi risulta che nei processi post-catastrofi ci siano buoni esempi di democrazia partecipativa. Facciamo riferimento ad
esempio alle catastrofi avvenute in Friuli, in Umbria, e da ultimo a L’Aquila ….
In Italia abbiamo a riguardo esperienze che sono molto diverse tra loro. Nel caso Belice, come nel caso Vajont, la
ricostruzione è stata egemonizzate da decisioni assolutamente centrali dello Stato. Nel caso Friuli, invece, la
popolazione è stata costantemente presente, accanto agli enti locali, ed è stato un processo giudicato oggi molto riuscito.
Così pure in Umbria e nelle Marche. Invece a L’Aquila si è ritornati ad un processo finora molto centralizzato, in cui il
tipo di ricostruzione è stato deciso a livello di Servizi di Protezione civile, presso la Presidenza del Consiglio, ed è
molto criticato oggi dagli urbanisti più coscienti e da una buona parte della popolazione, che sta cominciando a
organizzarsi per influire davvero sul futuro della ricostruzione.

Visto che l’esperienza della democrazia partecipativa è comunque abbastanza recente (se ne è iniziato a parlare a partire
dagli anni 2000 in poi), come vede il caso dell’Aquila, ovvero delle scelte fatte dalle politiche del governo attuale in
merito ad un processo che sembra spingere in direzione opposta a quella della democrazia partecipativa?
A riguardo io credo che possiamo essere molto critici sul comportamento dell’attuale governo. Penso che, avendo alle
spalle esperienze riuscite come quelle del Friuli e dell’Umbria e delle Marche, ed essendo in un periodo in cui viene più
largamente teorizzata e praticata una forma di partecipazione popolare, nel caso dell’Aquila si è, direi volutamente,
rovesciato il modello precedente. E lo si è fatto evidentemente per ragioni politiche, legate alla preminenza di un potere
molto personalizzato, al centro dello Stato, e quindi con un regime che intende essere paternalisticamente colui che
provvede ai bisogni del popolo. Invece il popolo in democrazia deve prendere in mano le decisioni che lo riguardano.

Qual è dunque, a suo parere, il futuro della democrazia partecipativa in Italia?


Il futuro è incerto. Non solo però, bisogna dire, per il governo ma anche perché le forze all’opera nella società non
sempre vanno in questa direzione. Siamo in un periodo in cui l’appello al fatto che il governo deve, come dice un
grande teorico francese, “praticare una forma di politica di prossimità e di particolarità”, cioè di vicinanza ai bisogni
effettivi del popolo, può essere realizzato in due maniere totalmente opposte, dal punto di vista teorico ma anche molto
pratico. Da una lato ritenendo che ci sia chi può interpretare i bisogni popolari, ed è il caso di un’oligarchia o di un
regime personalistico; dall’altro con una teoria e una pratica democratica, che vogliono che sia il popolo a prendere in
mano il proprio destino. La sfida è chi, nel breve ma soprattutto speriamo nel medio e lungo termine, vincerà. Io penso
che nel medio lungo periodo vincerà la democrazia. Nel breve periodo, invece, c’è difficoltà in Italia a vivere la pratica
democratica reale.

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