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FONDAZIONE ROSSINI PESARO

I LIBRETTI DI ROSSINI

20

Collana diretta da Cesare Scarton


L’EQUIVOCO STRAVAGANTE
a cura di
Marco Beghelli

FONDAZIONE ROSSINI PESARO 2014


FONDAZIONE ROSSINI PESARO
PRESIDENTE
ORIANO GIOVANELLI

CONSIGLIO D’AMMINISTRAZIONE

ALBERTO BERARDI
MAURIZIO GENNARI
FRANCESCA MATACENA
LUCIO CARLO MEALE
STEFANO PIVATO

ASSEMBLEA
DANIELE VIMINI (presidente)
GIORGIO CERBONI BAIARDI
FABIO CORVATTA
ACHILLE MARCHIONNI
GIANFRANCO SABBATINI
FRANCA MANCINI
DANIELE TAGLIOLINI
MASSIMO TONUCCI

COLLEGIO SINDACALE
VINCENZO GALASSO (presidente)
ALESSANDRO COMANDINI
VALERIA SACCO

SEGRETARIO GENERALE
CATIA AMATI

DIRETTORE DELL’EDIZIONE CRITICA


ILARIA NARICI

COORDINATORE EDITORIALE
DANIELE CARNINI

COMITATO SCIENTIFICO

ANNALISA BINI
DAMIEN COLAS
DAVIDE DAOLMI
RENATO MEUCCI
RETO MÜLLER
ILARIA NARICI
EMILIO SALA
CESARE SCARTON
BENJAMIN WALTON

COPYRIGHT © 2014 BY FONDAZIONE ROSSINI - PESARO


À Reto Müller,
humble allumeur
du soleil rossinien
INDICE

Premessa p. XIII

Sigle di biblioteche e archivi utilizzate nel volume XVII

SAGGI

I. MARCO BEGHELLI, Gasbarri! Chi era costui? XXV

1. Una disistima immeritata XXVI

2. Gli equivoci dell’«Equivoco» XXVIII

3. Don Gaetano, Pastore Arcade XXXVII

4. Nuova vita a Firenze XLIII

5. Librettista, fase seconda XLVI

6. Le trasferte bolognesi LII

7. Fuori dal giro LXIV

8. Con Giovanni e Rosa Morandi LXVIII

9. Rossini visto da lontano LXXIV

10. Affarista e burocrate LXXXII

11. Gli anni della Restaurazione LXXXVII

12. Epilogo XCV

II. FABIO ROSSI, La commedia delle lingue nei libretti


di Gaetano Gasbarri XCIX

1. Il parlar difficile e il metalinguaggio CII

2. Mistilinguismo: il “latinorum” degli azzec-


cagarbugli CXVII

IX
3. Fischi per fiaschi e qui pro quo: dai mala-
propismi alle risemantizzazioni CXXV

4. Il tic dell’interruzione CXXXV

5. Qualche retrodatazione e altre particolari-


tà lessicali CXLII

6. Per concludere, con Goldoni CXLVIII

III. VALENTINA ANZANI - MARCO BEGHELLI, Un sogget-


to equivoco al crepuscolo degli dèi castrati CLV

1. Ultimi castrati all’opera CLV

2. Voci insofferenti CLX

3. Emarginazione e diversità CLXXIX

4. Nuovi spazi per le donne CXC

5. Esclusi dalle scene e dalle cantorie CXCVI

6. Rossini e i castrati CCX

IV. MARCO BEGHELLI - ANTONELLA CAMPANINI - STE-


FANO PIANA, I libretti dell’«Equivoco stravagante»:
storia di una censura maldestra CCXXI

1. La macchina prefettizia bolognese CCXXII

2. Un libretto scellerato CCXLI

3. Dopo il debutto CCLXXIII

4. Un inane tentativo di resurrezione: «L’a-


mor geografo» CCLXXVIII

5. Reincarnazioni rossiniane CCLXXXIII

DOCUMENTI CCXCI

V. MARCO BEGHELLI - NICOLA USULA, Di «Equivoco» in


«Equivoco»: lo stravagante falso triestino (1824) CCCLXV

1. Varo e naufragio di un «rappezzato navi-


glio» CCCLXV

2. Dalla commedia al libretto CCCLXXIV

3. Nell’officina del raffazzonatore CCCLXXXIV

4. Post scriptum CDV

X
TESTI

GAETANO GASBARRI, L’equivoco stravagante, dramma gio-


coso per musica (manoscritto, 1811) 3
GAETANO GASBARRI, L’equivoco stravagante, dramma gio-
coso per musica (Bologna, 1811) 53
ADOLFO BASSI, L’equivoco stravagante, dramma giocoso
[per musica] (Trieste, 1824) 103

APPENDICE

MARCO BEGHELLI - GIANLUCA NICOLINI, Lettere di Gaeta-


no Gasbarri a Giovanni Morandi 157
1. Natura e consistenza del carteggio 157
2. Gasbarri e Morandi: tracce di un’amicizia
all’ombra di Rossini 160
LETTERE 165

XI
PREMESSA

Questo volume è il frutto di un lungo (18 mesi) e laborioso (oltre


ogni previsione) lavoro di équipe: l’indice, con i tanti nomi elencati in
riferimento ai vari capitoli, ne rivela solo in parte la storia genetica.
Dovendo affrontare uno dei testi librettistici più complessi fra quelli
messi in musica da Rossini, bisognoso di essere studiato da più e di-
versificati punti di vista (storico, linguistico, sociologico, legale), era
necessario affiancare distinte competenze al tradizionale curatore uni-
co di questa collana. I nomi non sono stati scelti a caso. Un manipolo
di studiosi aveva già lavorato in questi anni con passione all’Equivoco
stravagante di Gaetano Gasbarri e Gioachino Rossini, e sarebbe stato
impossibile non coinvolgerli tutti: Stefano Piana, co-curatore dell’e-
dizione critica della partitura, dapprima per la Deutsche Rossini Ge-
sellschaft (1999), poi per la Fondazione Rossini (2002); Fabio Rossi,
linguista, già autore di un illuminante studio sulla lingua dei libret-
ti rossiniani (2005) e folgorato dalla ricchezza lessicale e stilistica di
quello gasbarriano; Gianluca Nicolini, autore di una tesi di laurea sul
misconosciuto Gasbarri (2006), di cui per primo ha fatto emergere
documenti biografici dagli archivi fiorentini; Antonella Campanini,
storica e archivista, che da perfetto segugio ha scovato le più segre-
te carte prefettizie bolognesi con le quali fu condannato all’oblio il
testo di Gasbarri, e l’opera di Rossini con esso, rintracciando fra l’al-
tro il libretto manoscritto passato alla revisione della censura (2001),
raro esempio di simile documento giunto fino a noi. A questi colle-
ghi si sono aggiunti due giovani ma ben solidi allievi di cui mi onora
la collaborazione: Nicola Usula, che ha messo a frutto la sua acribia
di librettologo comparatista per lo studio di uno stravagante “falso”
rossiniano, e Valentina Anzani, le cui attuali ricerche sociologiche
sui cantanti castrati s’intrecciavano a meraviglia con il soggetto del
libretto di Gasbarri.

XIII
PREMESSA

In un lavoro di scambio reciproco di informazioni e competenze,


è capitato più volte che i documenti o le osservazioni addotti da un
autore siano poi confluiti per coerenza fra le pagine di giurisdizio-
ne di un altro autore, sotto la supervisione generale del curatore del
volume. In altri casi, lo stesso documento è servito a completare il
discorso di più autori, e sarà dunque possibile vederlo ripetuto all’in-
terno del volume.

I tanti documenti citati non sarebbero stati individuati, acquisi-


ti, interpretati e trascritti senza l’apporto di numerose persone, che
si sono fatte in quattro per servire alla causa di questo libro; ad esse
si aggiungono amici e colleghi che hanno offerto il loro aiuto disinte-
ressato su vari fronti. Ricordandoli un po’ disordinatamente: gli staff
dell’Archivio di Stato di Bologna, dell’Archivio di Stato di Firenze, del
Museo Internazionale e Biblioteca della Musica di Bologna, della Bi-
blioteca Comunale “Aurelio Saffi” di Forlì (Raccolte Piancastelli), del
Museo Teatrale alla Scala, del Centro studi per la ricerca documentale
sul teatro e il melodramma europeo della Fondazione “Giorgio Cini”
di Venezia, del Civico Museo Teatrale “Carlo Schmidl”, della Civica
Biblioteca “Angelo Mai” di Bergamo, della Biblioteca “Giuseppe Dos-
setti” di Bologna; inoltre Elena Abramov-van Rijk, Annelies Andries,
Mario Armellini, Michael Aspinall, Alice Bellini, Stefano Bianchi, Lo-
renzo Bianconi, Piergiorgio Brigliadori (†), Biancamaria Brumana, Ma-
rina Calore, Federica Camata, David Cranmer, Maria Grazia Cupini,
Carla Di Carlo, Marcello Eynard, Patrizio Foresta, Yves Fournier, An-
drea Franzoni, Céline Frigau Manning, Albert Gier, Emilio Gin, Corso
Gineprari, Antonella Imolesi, Francesco Lora, Michael Malkiewicz,
Andrea Malnati, Raffaele Mellace, Enrico Meroni, Gabriele Moroni,
Sergio Paciolla, Maria Luigia Pagliani, Willem Peerik, Angelo Pom-
pilio, Sergio Ragni, Anna Maria Rao, Aldo Salvagno, Matteo Sartorio,
Raffaele Talmelli, Lucio Tufano, Silvia Urbani, Huub van der Linden,
Annarosa Vannoni, Romano Vettori, Alfredo Vitolo. Scuse anticipate
per coloro che sono stati involontariamente qui dimenticati.
Alla Fondazione «Gioacchino Rossini» di Pesaro, al suo comitato
scientifico e a tutto il suo staff va il ringraziamento per avermi ecce-
zionalmente acconsentito di lavorare sia alla partitura dell’Equivoco
stravagante nella collana «Edizione critica delle opere di Gioachino
Rossini», sia nello stesso tempo a questo volume della collana «I libret-
ti di Rossini»: due imprese solitamente disgiunte e affidate a curatori
diversi, ma che nel caso specifico si sono giovate della unione d’intenti.
A ciò si aggiungono i ringraziamenti dei singoli autori dei saggi qui

XIV
PREMESSA

raccolti, che grazie alla lungimiranza del curatore della collana, Cesare
Scarton, hanno avuto carta bianca nell’affrontare ad ampio raggio le
problematiche sollevate dal libretto in esame, spingendosi ben al di là
del circoscritto mondo rossiniano.
Un particolare ringraziamento a Saverio Lamacchia, sempre pronto
a sovvenire ai quotidiani problemi della ricerca, e a Gioia Filocamo, le
cui intuizioni anticonvenzionali offrono spesso una spiegazione plausi-
bile a dubbi esegetici inesplicabili.
Su tutti voglio ringraziare Antonella Bartoloni, che settimane inte-
re si è messa a completa disposizione per indagini a tappeto fra varie
biblioteche e archivi pubblici e privati di Firenze, cercando di stanare
dall’oblio qualche dettaglio anagrafico sullo sfuggentissimo Gasbarri e
sulla sua famiglia, con un entusiasmo crescente a dispetto dei risultati
quasi sempre deludenti.
Una speciale gratitudine a Valentina Anzani, che oltre al suo ruolo
di coautrice di un capitolo si è generosamente prestata anche a compie-
re ricerche necessarie per completare i capitoli altrui.
A questo lungo elenco di ringraziati manca ancora un nome: quello
di Reto Müller, anima e corpo della Deutsche Rossini Gesellschaft e
membro del comitato scientifico della Fondazione «Gioacchino Ros-
sini», luminoso quanto discreto astro di orientamento fra i mille docu-
menti biografici e bibliografici relativi al nostro compositore, imprescin-
dibile per i ricercatori rossiniani, che da lui ricevono continui impulsi,
suggerimenti, consigli e rettifiche, con precisione, schiettezza e liberalità
che non hanno l’eguale, a sola maggior gloria dell’amato Rossini. E come
Rossini – stando a Balzac – seduto a tavola fra brillanti commensali sa-
peva tener viva la conversazione facendosi «l’humble allumeur qui, dans
un feu d’artifice, va mettre le feu à chaque soleil. Ecco!» (lettera a Mada-
me Hanska, 26 novembre 1834), del pari Reto Müller sa stimolare negli
altri gli studi sul “suo” sole rossiniano, accendendo il sacro fuoco della
ricerca nelle tante menti che a lui si rivolgono. Voilà!
Anche in questa occasione ogni capitolo del volume, passando al suo
vaglio competente, si è mondato di errori e arricchito di informazioni.
A lui, che per primo ha creduto nel troppo bistrattato Equivoco strava-
gante, promovendone a più riprese il ritorno sulle scene in un’edizione
finalmente attendibile (Bad Wildbad 1993, 1994, 2000, 2002), all’infa-
ticabile Reto viene pertanto affettuosamente dedicato questo volume.
Marco Beghelli
Da Bologna, nella quasi città di Rossini,
il 28 febbraio, nel suo quasi compleanno

XV
III
Valentina Anzani - Marco Beghelli *
UN SOGGETTO EQUIVOCO
AL CREPUSCOLO DEGLI DÈI CASTRATI

1. Ultimi castrati all’opera

Il Dramma, che ha per titolo l’Equivoco stravagante, e di cui Ella mi tra-


smise il Libretto colla pregiata sua del 31. Ottobre, è così contrario alla pubbli-
ca decenza, che ottima cosa, e degna d’ogni mia approvazione fu l’impedirne
l’ulteriore rappresentazione. Oltre lo stile ripieno tutto di Laide espressioni, e
di frasi allusive alle più basse scurrilità, il nodo stesso dell’azione riposto tutto
nell’equivoco di Ernestina, che per artificio di Frontino supponesi essere non
una donna, ma un eunuco, bastar doveva perché questo Dramma non fosse
permesso. Mi fa quindi meraviglia come non siasi da codesta Prefettura im-
pedito, che venisse sulle scene esposto, da che il Sig.r Ispettore per le stampe
doveva averlo già prima esaminato. Io l’incarico perciò, Sig.r Prefetto, non
solo di ammonire lo stesso Sig.r Ispettore, perché sia più cauto in avvenire
nella previa revisione de’ Drammi, ma di far ritirare ancora tutte le copie del
1
libretto, che le verrà fatto di sorprendere .

Così il 6 novembre 1811 tuonava da Milano Francesco Maria Mo-


sca Barzi, Direttore Generale della Polizia del Regno d’Italia, con-
tro Alvise Quirini Stampalia, Prefetto del Dipartimento del Reno in
Bologna e il suo sottoposto Pietro Landi, Ispettore provvisorio della
Stampa e Libreria, per aver fatto passare tra le maglie troppo larghe
della censura bolognese un soggetto operistico tanto stravagante per
intreccio quanto equivoco per moralità (cfr. il cap. IV, § 3 di questo

*
Per la scrittura di questo capitolo, i due autori hanno messo in comune i frutti
complementari delle rispettive ricerche. La stesura del testo è stata condotta a quattro
mani (§§ 2-5). Marco Beghelli è responsabile in proprio dei §§ 1 e 6.
1
Lettera del Direttore Generale di Polizia al Prefetto del Dipartimento del Reno,
Milano, 6 novembre 1811, in I-Bas, Prefettura del Dipartimento del Reno, Atti riservati,
1811, busta 80 (trascritta integralmente in coda al cap. IV di questo volume, Doc. 15).

CLV
ANZANI – BEGHELLI

volume). Mentre l’Ispettore aveva puntato la sua attenzione sulle «laide


espressioni» e sulle «frasi allusive», facilmente eliminabili con un tratto
di penna, era stato «il nodo dell’azione» a suggerire i più scurrili laz-
zi in scena e a suscitare l’indignazione fra i benpensanti del pubblico.
Eppure si parlava “soltanto” di castrati, vale a dire della più eclatante
realtà canora degli ultimi due secoli, gli dèi dell’opera seria, i virtuosi
per eccellenza, i musici per antonomasia con cui tutto il Settecento si
era inebriato e su cui aveva spesso e volentieri anche sorriso e ironizza-
to. Ma un castrato falso, una finta donna o un uomo travestito (come
avrebbe voluto l’autore dell’ipotizzato rifacimento dell’opera: cfr. cap.
4, § 4 di questo volume) facevano evidentemente all’epoca più ribrezzo
di un vero eunuco...
La protagonista del dramma giocoso L’equivoco stravagante di Gae-
tano Gasbarri per Gioachino Rossini 2, la giovane erudita Ernestina, è
stata promessa al borioso Buralicchio dall’ambizioso padre Gambe-
rotto. Per favorire Ermanno, sinceramente innamorato della ragazza,
l’astuto servo Frontino ordisce un inganno assai stravagante («nuovo,
e stupendo», lo dice a II.2): fa credere a Buralicchio che Ernestina sia
in realtà Ernesto, castrato da fanciullo per essere destinato al teatro,
rimasto però poi in casa col padre, che lo nasconde ora sotto spoglie
femminili. L’espediente darà adito a numerosi equivoci, mettendo fuori
gioco Buralicchio, che abbandona alfine il suo progetto matrimoniale a
favore di Ermanno:

BURALICCHIO La sposi, se la prenda, (ad Ermanno)


non me ne importa affatto,
perché questa materia, (accenna Ernestina)
che voi chiamate femmina,
amici cari, è un musico!
(G. GASBARRI, L’equivoco stravagante, II.ultima)

La presa di coscienza che lo porterà a desistere era culminata per Bura-


licchio in un’espressione fra le più icastiche (e scurrili) di tutto il teatro
d’opera: «Perché pavento un scoglio | entrando in alto mar» (II.4).
Il libretto parla dunque di castrazione infantile a fini artistici, cioè
di quell’operazione chirurgica sui testicoli più o meno ampiamente

2
Libretto a stampa: «L’EQUIVOCO STRAVAGANTE, dramma giocoso per musica da
rappresentarsi in Bologna nel Teatro del Corso l’Autunno del 1811», Bologna, Fratelli
Masi e Comp., [1811].

CLVI
UN SOGGETTO EQUIVOCO AL CREPUSCOLO DEGLI DÈI CASTRATI

praticata in Italia dal XVI al XIX secolo, con modalità differenti, che
inibiva una catena di processi fisici (lo sviluppo dei caratteri sessuali
secondari: voce virile, barba, muscolatura, ecc.) e induceva una se-
rie di effetti psicologici (irascibilità, depressione, infantilismo, ecc.) a
causa dall’alterazione dell’equilibrio ormonale naturale. Il libretto di
Gasbarri ne parla e ne ride, come si può ridere di un fenomeno cono-
sciuto, sì, e tragico in sé, ma sempre vissuto attraverso la lente defor-
mante del piacere estetico procurato a generazioni intere di spettatori
teatrali. Un fenomeno, comunque, ormai in nettissimo declino all’e-
poca dell’Equivoco stravagante (1811): dagli ultimi anni del Settecento
era infatti in atto una progressiva riduzione della sua portata, con il
conseguente calo della disponibilità di castrati idonei a calcare le sce-
ne, fino alla loro definitiva estinzione. Secondo i dati offerti nell’Indice
de’ teatrali spettacoli , nella stagione 1794/95 si udirono cantanti ca-
3

strati in sole 13 città italiane (Bergamo, Bologna, Brescia, Cremona,


Firenze, Genova, Livorno, Napoli, Padova, Reggio, Trieste, Venezia,
Vicenza), su più di sessanta piazze operistiche attive; si esibirono in
esse un totale di 24 musici, equamente suddivisi fra primi e secondi
uomini (quasi ogni opera seria prevedeva infatti all’epoca l’intervento
di due castrati), mentre ben 12 donne furono costrette in altre città a
ripiegare sui ruoli en travesti, evidentemente per la mancata disponi-
bilità di ulteriori cantanti castrati. E tutto questo, va sottolineato, in
un’annata che vide «chiusi per ordine superiore» i teatri di Roma e
dello Stato Pontificio 4, vale a dire i maggiori utenti della fauna canora
in questione, per via del divieto alle donne di calcare le scene (cfr. il
§ 4 di questo capitolo). Dove si erano dunque imboscati – se altri ve
n’erano – i rimanenti evirati cantori, oltre ai pochi presenti nelle 17
piazze straniere?
La situazione precipiterà dopo il giro di secolo. L’Almanach aus
Rom del 1811 (l’anno dell’Equivoco stravagante) scriveva che i «Ca-
straten» attivi all’epoca erano «Vitale Damiani, Pietro Matteucci, Giov.
Batt. Veluti» 5, quel Giovanni Battista Velluti che di Rossini terrà a bat-

3
Indice de’ teatrali spettacoli di tutto l’anno dalla Primavera 1794 a tutto il Carne-
vale 1795, Milano, s. e., 1795 (lo si consulta, in ristampa anastatica, in Un almanacco
drammatico. L’Indice de’ teatrali spettacoli 1764-1823, a cura di ROBERTO VERTI, Pesaro,
Fondazione Rossini, 1996, pp. 1117-1159).
4
«Tanto i Teatri in questa Capitale, che quelli in tutto lo Stato Pontificio restano
chiusi per ordine superiore anco in quest’anno» (Indice cit., p. 109; rist. anast. p. 1149).
5
Almanach aus Rom für Künstler und Freunde der bildenden Kunst, zweiter Jahr-
gang, a cura di FRIEDRICH SICKLER e CHRISTIAN REINHART, Leipzig, G. J. Göschen, 1811,
p. 179.

CLVII
ANZANI – BEGHELLI

tesimo l’opera Aureliano in Palmira (Milano 1813) e la cantata Il vero


omaggio (Verona 1822): l’ultimo castrato chiamato a calcare le scene, si
è sempre detto, attivo ancora a Firenze nel 1833 per un estremo Crocia-
to in Egitto che Meyerbeer aveva scritto a sua misura nove anni prima.
L’ultimo (forse), ma non l’unico: qualcun altro, invero, se ne ritro-
va ancora in quegli anni, fra le cronologie dei teatri italiani maggiori e
minori. Il napoletano Gaetano Granata (1778 ca. - 1831), contralto, è
scritturato alla Scala come secondo Uomo fino alla stagione di Carnevale
1811, continuando poi il suo servizio nella Regia Cappella di Torino .
6

Il milanese Angelo Testori [Angiolo Maria Testori Villa] (1760-1844),


contralto, «Primo Cantante di Sua Maestà Sarda», attivo alla Scala già
nel 1790, terrà a battesimo l’Andromeda di Sarti (San Pietroburgo,
1798), il Tancredi di Stefano Pavesi (Milano 1812), La rosa bianca e la
rosa rossa di Mayr (Genova 1813) e canterà ancora il Tancredi di Rossini
nell’estate 1814 a Siena e I riti d’Efeso di Giuseppe Farinelli nella Qua-
resima 1817 a Verona, aggregato poi anch’egli nella Regia Cappella di
Torino, dal 1815 . Anche il marchigiano Filippo Sassaroli (1775 - post
7

1827), musico alla corte di Sassonia, interpreterà in scena il Tancredi


rossiniano (Dresda 1817) 8. Il napoletano Moisè Tarquinio [Mosè Tar-
quini, Tarquino, Tarquenio] (1790 ca. - post 1845), soprano, altrettanto
longevo, attivo già nel 1807 (Artemisia di Cimarosa e Il trionfo di Tomi-
ri di Andreozzi al San Carlo), interpreterà sempre a Napoli la Messa di
Gloria scritta da Rossini nel 1820; lasciata l’Italia, sarà Primo Soprano
nella Cappella Reale di Dresda fino al 1845, ma restò per anni in attesa
di essere stabilizzato, aspettando la morte di uno dei quattro colleghi
ufficialmente incardinati . Eugenio Boccanera faceva il «supplemento»
9

(il ‘sostituto’, nella terminologia coeva) del contralto Carolina Bassi alla
Scala nella stagione di Carnevale 1813 (Tamerlano di Giovanni Simone
Mayr, L’isola di Calipso di Pietro Carlo Guglielmi, I riti d’Efeso di Giu-

6
Cfr. ROSY MOFFA, Storia della regia Cappella di Torino dal 1775 al 1870, Torino,
Centro studi piemontesi - Fondo Carlo Felice Bona - Associazione piemontese per la
ricerca delle fonti musicali, 1990, p. 162.
7
Ibid., pp. 114-115.
8
«Allgemeine musikalische Zeitung», XIX, n. 19, 7 maggio 1817, col. 331.
9
Cfr. TREUMUND WANDERER, Dresden und die Dresdener, oder Spiegelreflexe aus
Dresdens Gegenwart, Leipzig, Druck und Verlag von Otto Wigand, 1846, p. 378 n.;
FLORENTIUS CORNELIS KIST, Reize door Duitschland in het jaar 1843. Een onpartijdig on-
derzoek naar den toestland der Muzijk aldaar, «Caecilia. Algemeen muzikaal tijdschrift
van Nederland», V, n. 11, 1 giugno 1848, pp. 91-93: 92, nota 1; FRANZ SALES KANDLER,
Der Musikstand von Neapel im Jahre 1826, «Caecilia. Eine Zeitschrift für die musika-
lische Welt herausgegeben von einem Vereine von Gelehrten, Kunstverständigen und
Künstlern», VI, n. 24, 1827, pp. 235-296: 262. Vedi anche i §§ 2 e 6 di questo capitolo.

CLVIII
UN SOGGETTO EQUIVOCO AL CREPUSCOLO DEGLI DÈI CASTRATI

seppe Farinelli), e canterà parti minori a Firenze fino al 1817, per poi
entrare nel coro della Cattedrale di Perugia 10. Giovanni Grilli, contralto
della Cappella Lauretana, compare tra gli interpreti degli Orazj e Curiazj
di Domenico Cimarosa a Macerata nel 1810 e della Distruzione di Geru-
salemme di Zingarelli a Pesaro nel 1813 , dopo aver esercitato al Teatro
11

di Lisbona prima dell’arrivo dell’armata napoleonica.


Il Real Theatro de São Carlos, attivo dal 1793, aveva di fatto as-
sorbito gran parte degli ultimi castrati attivi sul finire del Settecento:
per un motivo ignoto (non sembrando sussistere particolari dispo-
sizioni di legge locali), anche a Lisbona, come a Roma, non erano
impiegate donne sulla scena 12. L’impresario Francesco Lodi scritturò
fra il 1793 e il 1799 ben quattordici castrati: Andrea Rastrelli, Bo-
naventura Mignucci, Carlo Onesti, Domenico Caporalini, Domenico
Neri, Girolamo Crescentini, Giovanni Grilli, Giovanni Zamperini,
Giuseppe Capranica, Michele Cavanna, Natale Rossi, Pasquale Ros-
setti, Pietro Bonnini, Pietro Mattucci 13. Altri erano attivi nella Cap-
pella Reale, e col trasferimento della corte portoghese in Brasile (a
causa dell’invasione napoleonica) la voce dei castrati finì per udirsi
anche nel Nuovo Mondo. Tomassini, Bartolazzi e Fasciotti, approda-
ti a Rio de Janeiro con altri sette fra il 1808 e il 1820 , si esibirono
14

occasionalmente anche in teatro : in particolare, Giovanni France-


15

sco Fasciotti, giunto in città nel 1816, canta Aureliano in Palmira nel
1826, Tancredi nel 1827, Otello (Rodrigo trasposto un’ottava sopra,
come s’usava in Europa affidandolo a una donna) nel 1828 . Mar-
16

10
Cfr. JOHN ROSSELLI, Singers of Italian Opera, Cambridge, Cambridge University
Press, 1992, p. 46, trad. it. Il cantante d’opera, storia di una professione (1600-1990),
Bologna, Il Mulino, 1993, p. 62.
11
Oltre ai relativi libretti a stampa, cfr. CARLO CINELLI, Memorie cronistoriche del
Teatro di Pesaro dall’anno 1637 al 1897, Pesaro, Tipografia A. Nobili, 1898.
12
Cfr. DAVID J. CRANMER, Opera in Portugal 1793-1828: A Study in Repertoire and
its Spread, tesi di dottorato, University of London, 1997, p. 18.
13
Cfr. FRANCISCO DA FONSECA BENEVIDES, Real Theatro de S. Carlos de Lisboa
desde a sua fundação em 1793 ate a sua actualidade: estudo histórico, Lisboa, Tipografia
Castro Irmão, 1883, pp. 43-44.
14
Cfr. ALBERTO JOSÉ VIEIRA PACHECO, Castrati e outros virtuoses: a prática vocal
carioca sob influência da corte de D. João VI, São Paulo, Annablume, 2009, pp. 78-114.
Il suggerimento a questo e ai testi successivi viene da BENJAMIN WALTON, Rossini in Sud
America, «Bollettino del Centro rossiniano di studi», LI, 2011, pp. 111-136.
15
Cfr. CARL SCHLICHTHORST, Rio de Janeiro, wie es ist: Beiträge zur Tages- und
Sitten-Geschichte der Hauptstadt von Brasilien, Hannover, Im Verlage der Hahn’schen
Hofbuchhandlung, 1829, p. 152.
16
Cfr. PAULO MUGAYAR KÜHL, Cronologia da Ópera no Brasil - século XIX (Rio
de Janeiro), Campinas, CEPAB - Istituto de Artes, 2003 (risorsa on-line <http://

CLIX
ANZANI – BEGHELLI

celo Tanni, sarà il fulcro dell’Aureliano in Palmira a Buenos Aires


nel 1829, accanto ai suoi fratelli tenore e soprano , e con gli stessi
17

si trasferirà nel 1830 a Montevideo per dar vita alla prima stagione
d’opera uruguayana 18, in cui canterà Aureliano in Palmira, Tancredi
e Otello . In Europa, ma al di fuori ormai delle scene teatrali, pare
19

essere Paolo Pergetti l’ultimo castrato attivo in ambito profano, se-


gnalato a Londra ancora nel 1844 20 (per la situazione in ambito sacro,
cfr. i §§ 5 e 6 di questo capitolo).
Dopo di ciò, castrati all’opera ve ne saranno soltanto occasional-
mente nella colonna sinistra delle locandine, quella dei personaggi e
non degli interpreti: un «Musico» in voce di mezzosoprano nella Ma-
non Lescaut (1893) di vari librettisti e Giacomo Puccini, un «Hüter
der Schwelle des Tempels» in voce di falsetto nella Frau ohne Schatten
(1919) di Hugo von Hofmannsthal e Richard Strauss e poco altro, fino
a quando gli antichi castrati non diverranno essi stessi protagonisti di
opere biografiche in voce di controtenore , come in Farinelli, oder Die
21

Macht des Gesanges (1998) di Walter Jens e Siegfried Matthus o in Fa-


rinelli, la voce perduta (1996) di Sandro Cappelletto e Matteo D’Amico
(un Farinelli in voce di soprano si era già visto nell’opéra-comique La
Part du diable (1843) di Eugène Scribe e Daniel Auber).

2. Voci insofferenti

Allorché Paolo Pergetti fa il suo debutto in Inghilterra (Londra,


concerto della Società Armonica, 6 maggio 1844), il recensore del
Musical World esprime tutto il suo risentimento contro la persistenza

www.iar.unicamp.br/cepab/opera/cronologia.pdf>), pp. 25 e 27; AYRES DE ANDRADE,


Francisco Manuel da Silva e seu tempo, 1808-65: uma fase do passado musical do Rio
de Janeiro à luz de novos documentos, 2 voll., Rio de Janeiro, Tempo Brasileiro, 1967,
vol. II, p. 166.
17
Cfr. «The British Packet and Argentine News», 14 novembre 1829.
18
Cfr. LAURO AYESTERÁN, Crónica de una temporada musical en el Montevideo en
1830, Montevideo, Ceibo Ediciones, 1943.
19
Cfr. ID., La música en el Uruguay, Montevideo, Servicio Oficial de Difusión
Radio Eléctrica, 1953, vol. I, pp. 303-305.
20
Cfr. «The Musical World», XIX, n. 19, 9 maggio 1844, p. 158 e n. 23, 6 giugno
1844, p. 191.
21
Su tale surrogato postmoderno dell’antico castrato nelle attuali scene operi-
stiche, cfr. PETER GILES, The History and Technique of the Counter-Tenor: A Study of the
Male Hight Voice Family, Aldershot, Scolar Press, 1994 e Der Countertenor. Die männ-
liche Falsettstimme vom Mittelalter zur Gegenwart, a cura di CORINNA HERR, ARNOLD
JACOBSHAGEN e KAI WESSEL, Mainz, Schott, 2012.

CLX
UN SOGGETTO EQUIVOCO AL CREPUSCOLO DEGLI DÈI CASTRATI

di uomini castrati e l’accondiscendenza mostrata dagli organizzatori


in un mondo che ha da tempo superato le più crudeli barbarie e le
più insane assurdità, quando ormai anche «the negroes of the British
dominions have been placed in the class HUMAN», «France has aban-
doned her revolutionary bias» e persino «an Indian widow may now
choose between life with a new husband, or the funeral pyre with an
old body» . Poco meno scortese era stata la critica tedesca quindi-
22

ci anni prima, recensendo un concerto viennese di Moisè Tarquinio


(Teatro di Porta Carinzia, 28 e 30 dicembre 1829), «tardivo rappre-
sentante di un genere di cantante, che la generazione più giovane co-
nosceva solo per sentito dire» :
23

Si è esibito in quattro arie di Cimarosa, Rossini, Raimondi e Zingarelli


con scarso successo. La sua esecuzione è certamente di scuola, ma fredda;
la voce pungente, quasi senza suono. Nel complesso, è impressione niente
affatto piacevole sentire una vocetta sottile come un filo uscire da un fisico
tanto colossale. Appartiene alle riforme benefiche del nostro tempo che per
l’onore dell’umanità sia stato posto alfine l’anelato termine a queste mutila-
24
zioni innaturali .

E dire che, sentendolo nove anni prima cantare a Napoli la Messa di


Gloria di Rossini, il musicofilo inglese John Waldie aveva annotato sul
suo diario (24 marzo 1820): «voce stupefacente», «il più celebrato Ca-
strato in Italia (molto superiore a qualunque altro in Roma)» . Pure
25

22
Q., Pot Pourri, «The Musical World», XIX, n. 19, 9 maggio 1844, pp. 157-160:
158.
23
«Das Jahr 1829 verschaffte den Wienern das bereits sehr selten gewordene Ver-
gnügen, einen Castraten zu hören. Signor Mosè Tarquinio aus Dresden war dieser ver-
spätete Repräsentant einer Sängergattung, welche die jüngere Generation von damals
nur mehr vom Hörensagen kannte» (EDUARD HANSLICK, Geschichte des Concertwesens
in Wien, Wien, Wilhelm Braumüller, 1869, p. 265).
24
«Er zeigte sich in vier Arien von Cimarosa, Rossini, Raimondo und Zingarelli
mit geringem Erfolge. Sein Vortrag ist wohl schulgerecht, aber kalt; der Ton schnei-
dend, fast ohne Klang. Ueberhaupt ist der Eindruck keinesweges angenehm, aus einer
so kolossalen Masse ein fadendünnes Stimmchen zu vernehmen. Es gehört zu den se-
genbringenden Reformen unserer Zeiten, dass diesen unnatürlichen Verstümmelungen
zur Ehre der Menschheit endlich ein erwünschtes Ziel gesetzt wurde» («Allgemeine
musikalische Zeitung», XXXII, n. 7, 17 febbraio 1830, col. 112).
25
«[...] the amazing voice (Soprano) and brilliant execution of Tarquinio, the
most celebrated Castrato in Italy (very superior to any at Rome) was heard to great ad-
vantage» (ms. US-LAur, Charles E. Young Research Library, Collection 169, Journal n.
45, c. 187, trascritto in The Journal of John Waldie Theatre Commentaries, 1799-1830, a
cura di FREDERICK BURWICK, Los Angeles, University of California, 2008 (risorsa on-line
<http://escholarship.org/uc/uclalib_dsc_waldie>).

CLXI
ANZANI – BEGHELLI

l’austriaco Franz Sale Kandler aveva avuto occasione di parlarne lusin-


ghieramente ancora nel 1826, sentendolo cantare durante un pomposo
rito liturgico napoletano (accanto a un altro giovane castrato di nome
Villani):
Il soprano Tarquini di circa 36 anni, ha una voce bella, pura, ben intonata,
splendidamente ricca di metallo in acuto, la più splendida che io abbia mai
sentito di questo tipo, non eccettuati Crescentini e Marchesi. Il suo portamen-
to è molto buono, e meriterebbe anch’esso l’attenzione degli intenditori al
massimo grado, se non gli mancassero alcuni attributi della buona scuola, che
sono: dizione marcata, sfumature del chiaroscuro più sottili, un trillo franco,
26
limpido, v e r o ecc .

In pochi anni era evidentemente mutato il gusto generale: da sol-


lazzo alla moda per i vecchi aristocratici, il castrato era divenuto un
corpo estraneo nella nuova società borghese, oggetto di distaccata cu-
riosità, se non di vera repulsione. Così ne riferiva a metà secolo il let-
terato fiammingo Florentius Cornelis Kist, quasi stesse descrivendo un
extraterrestre:
Immaginate, cari lettori, un uomo un po’ al di sopra della normale altezza
e larghezza, con una testa piccola e capelli biondi lisci che cadono giù dritti,
volto imberbe, occhi azzurri opachi e bocca piccola, da cui esce una voce fem-
minile, seduto su un sofà; figuratevi un uomo, la cui intera condizione fisica
e psicologica esprima il carattere di un castrato, unito tuttavia a cordialità e
cortesia, e avrete davanti a voi l’italiano Mosè Tarquinio, cantante sessanten-
ne, l’ultimo [castrato] rimasto nella Cappella di Corte Imperiale, e che dopo la
27
sua partenza, così crediamo, da nessun altro è stato sostituito .

26
«Der Sopran Tarquini von ungefähr 36 Jahren hat eine wunderschöne, reine,
wohlintonirte, vorzüglich in der Höhe metallreiche Stimme, die vorzüglichste, die ich
in dieser Art je gehört habe, Crescentini und Marchesi nicht ausgeschlossen. Sein Por-
tamento thut ungemein wohl, und würde derselbe die Aufmerksamkeit des Kenners in
hohem Grade verdienen, fehlten ihm nicht einige Attribute der guten Schule, als da
sind: Markirter Vortrag, feinere Nuanzirung des Helldunkels, ein aufrechter, unver-
schleierter, w i r k l i c h e r Triller etc.» (F. S. KANDLER, Der Musikstand von Neapel
cit., p. 263).
27
«Verbeeldt u, geachte lezers! een’ man van eenigzins buiten gewone lengte en
dikte, met een klein hoofd en blonde, regt nederhangende haren, met eene baardeloo-
ze tronie, fletse blaauwe oogen en kleinen mond, waaruit zich eene vrouwelijke stem
laat hooren, op eene sopha zittende; verbeeldt u, een’ man, wiens geheele physische en
psychologische gesteldheid het karakter eens castraats uitdrukt, nogtans daarmede ge-
paste vriendelijkheid en beleefdheid parende, en ge hebt den Italiaan Mose Tarquinio
voor u, den 60jarigen zanger, den laatsten, die in de K. Hofkapel nog overig was en die,
na zijn vertrek, zoo wij meenen, door geen anderen vervangen is» (FLORENTIUS CORNE-
LIS KIST, Reize door Duitschland in het jaar 1843. Een onpartijdig onderzoek naar den

CLXII
UN SOGGETTO EQUIVOCO AL CREPUSCOLO DEGLI DÈI CASTRATI

La posizione del castrato era sempre stata a cavallo di un crinale


che divideva detrattori ed entusiasti: alle critiche di tipo morale, facenti
leva sull’inaccettabilità della mutilazione solo in virtù di una scommes-
sa sulla futura evoluzione della voce, si accostavano quelle di tipo este-
tico, fra coloro che non ne apprezzavano la vocalità e che preferivano
invece la voce naturale di donne o bambini. S’aggiungano poi alcuni
sgradevoli risvolti sociali: c’erano le intemperanze caratteriali che alcu-
ni castrati esibivano in pubblico («l’impertinente Carluccio», dirà Car-
lo Goldoni del musico nell’Impresario delle Smirne, 1759) 28, c’erano gli
atteggiamenti d’esasperato divismo autoalimentati (Meneguccio Sfron-
tati è il significativo “nome parlante” attribuito da Francesco Albergati
al virtuoso della commedia Il ciarlator maldicente, 1785), c’era non ul-
timo l’imbarazzo sull’identità sessuale di tali evirati («Diventano quasi
tutti grandi e grassi come capponi, coi fianchi, il sedere, le braccia, il
petto, il collo tondi e paffutelli come le donne» ), spessissimo prete-
29

sto per accuse di scostumatezza («[virtuoso] di camera, di camerino,


o di camerotto, ove la gran virtù di voi altri eunuchi starebbe sempre
assai meglio» è il facile calembour osceno) , nonché imputazioni di tur-
30

bamento della morale pubblica («A Roma le donne non salgono sulla
scena: sono castrati travestiti da donna. E questo ha un pessimo effetto
sui costumi: nulla infatti (che io sappia) ispira più l’amore filosofico ai
romani») e generiche accuse discriminatorie («Gli puzzan di castrato
31

toestland der Muzijk aldaar, «Caecilia. Algemeen muzikaal tijdschrift van Nederland»,
V, n. 18, 1 luglio 1848, pp. 107-108: 107).
28
Commento affidato alle cosiddette Memorie italiane premesse ai singoli volu-
mi dell’edizione Pasquali delle sue opere (CARLO GOLDONI, «L’autore a chi legge», in
Delle commedie di Carlo Goldoni avvocato veneto, vol. XV, Venezia, Per Giambattista
Pasquali, 1761 [recte 1776-1777], pp. 1-8: 1).
29
«Ils deviennent pour la plupart grands et gras comme des chapons, avec des
hanches, une croupe, les bras, la gorge, le cou rond et potelé comme des femmes»
(CHARLES DE BROSSES, L’Italie il y a Cent Ans, ou Lettres [familières] écrites d’Italie a
quelques amis en 1739 et 1740, publiès poir la première fois sur les manuscrits auto-
graphes par M. R. Colomb, Paris, Alphonse Levasseure libraire, 1836, «Lettre L., À M.
de Maleteste: Spectacles et Musique», vol. II, pp. 345-395: 364).
30
FRANCESCO ALBERGATI CAPACELLI, Il ciarlator maldicente, in Opere di France-
sco Albergati Capacelli, vol. XII, Venezia, Nella Stamperia di Carlo Palese, 1785, pp.
1-123: 21 (I.5).
31
«À Rome, les femmes ne montent pas sur le théâtre; ce sont des castrati habillés
en femmes. Cela fait un très mauvais effet pour les mœurs: car rien (que je sache) n’ins-
pire plus l’amour philosophique aux Romains» (CHARLES-LOUIS DE SECONDAT, BARON
DE LA BRÈDE ET DE MONTESQUIEU, Voyages de Montesquieu [ms. 1728], a cura del Baron
Albert de Montesquieu, vol. I, Bordeaux, Imprimerie G. Gounouilhou, 1894, p. 220;
trad. it. Viaggio in Italia, a cura di GIOVANNI MACCHIA e MASSIMO COLESANTI, Bari,
Laterza, 1990, p. 164). Con “amor filosofico” o “amor socratico” s’intendeva all’epo-

CLXIII
ANZANI – BEGHELLI

| le mani, il viso, il fiato») . L’insofferenza di alcuni intellettuali nei


32

confronti dei castrati monta nel corso del Settecento, rimanendo però
voce inascoltata nella “società dei piaceri”:
Nel declamare contro i castrati, non intendo di togliere a qualcheduno di
essi quei meriti di cultura, di onestà, e di viver civile che in pochi d’essi si tro-
33
vano, ma che pure trovansi . Io mi scateno contro la lor professione, contro lo
stato loro, e contro l’indegna massima di mantenerlo, alimentarlo, fomentarlo,
premiarlo. La sola Italia ha il bel vanto di produrre e coltivar sì bel frutto. E
la sola Francia ha poi quello di aborrirlo e di ricusarlo. Ognuno infatti è di-
spensato dal conoscere l’uomo in costoro. Pure i rari pregi di qualcheduno di
essi fanno sì forte illusione che talvolta si giunge a scordarsi ancora della loro
mostruosità. Ma il tempo sarebbe ormai che si cessasse di sacrificare queste
misere vittime. Non basta che la gola ed il lusso espongano le vite di tante gen-
ti a tanti disastri sol per comporci e recarci alle labbra una tazza di cioccolata
[il riferimento è agli eccidi coloniali], che ancor si vuole ridur gli uomini in vili
mostri schifosi solo per solleticarci le orecchie con un’arietta? Facilmente si
potria dimostrare che, dopo che la barbarie ha resi vili e deformi questi infelici
destinati ad un canto sì snaturato, d’ordinario la pessima loro educazione, il
non studiare che il canto, il dover conversare sovente con altri loro simili, poi
le carezze, poi gli applausi degli ignoranti, poi l’oro dei pazzi e dei prodighi,
34
contribuiscono a renderli ognora più temerarj e malvagi .
La condanna dei castrati si esplica perlopiù in pungenti satire lette-
rarie contro i loro comportamenti, calcando la mano sugli aspetti ridi-
coli e non perdendo occasione per ingigantirne i tratti con espressioni
offensive. In letteratura abbondano le locuzioni impietose lanciate con-
tro di loro anche a fenomeno esaurito, come «ignobili evirati», «pre-
potenti sanguisughe», «belava la sua aria di bravura», «cantata poi in
modo snervante da snervati cantanti» (sono solo alcune delle imputa-

ca l’omosessualità maschile. Altre testimonianze coeve si leggono in MARCO BEGHELLI,


Erotismo canoro, «Il Saggiatore musicale», VII, n. 1, 2000, pp. 123-136 e in DAVIDE
DAOLMI - EMANUELE SENICI, «L’omosessualità è un modo di cantare». I contributi “queer”
all’indagine sull’opera in musica, ibid., pp. 137-178.
32
GIROLAMO GIGLI, La Dirindina, farsetta per musica, Lucca, Leonardo Venturi-
ni, 1715, p. 6 (I.1).
33
Forse il pensiero del bolognese Albergati va qui primariamente a Carlo Broschi
detto Il Farinelli (1705-1782), il più acclamato cantante dell’epoca, morto appena tre
anni prima nella sua stessa città, dove aveva trascorso gli ultimi quattro lustri di vita
stimato e onorato proprio per la statura intellettuale e umana (cfr. THOMAS MCGEARY
- CARLO VITALI, Farinelli Recovered in Documents: Visitors to His Villa, in Il Farinelli
ritrovato, Atti del Convegno del Centro Studi Farinelli (Bologna, Oratorio di San Fi-
lippo Neri, 29 maggio 2012), a cura di LUIGI VERDI, Lucca, Libreria Musicale Italiana,
2014, pp. 141-187).
34
F. ALBERGATI CAPACELLI, Il ciarlator maldicente cit., «Prefazione», pp. 3-9: 7-9.

CLXIV
UN SOGGETTO EQUIVOCO AL CREPUSCOLO DEGLI DÈI CASTRATI

zioni scagliate dell’intollerante storico del teatro Paglicci Brozzi a fine


Ottocento) , per tacere degli infamanti appellativi in uso durante la
35

piena diffusione del fenomeno: «capponi» , «capretti» , «castroni» ,


36 37 38

«crastatin» (con metàtesi dialettale) e via dicendo. Il librettista Calza-


39

bigi, nel poema eroicomico La Lulliade (1789), li dice «italiani cantori


imberbi e patici | e (oh! ludibrio peggior) senza testicoli» ; il comme-
40

diografo Albergati mette in bocca a un suo personaggio (1785) «rossi-


gnoli spennati» ; e «castrataccio» avanza poi Gasbarri nell’Equivoco
41

stravagante del 1811 (II.3), insieme ad «anfibio» (II.4) e «capponara»


(II.11), intesa come la cella in cui verrà rinchiuso il presunto castrato,
mentre nel finto Equivoco stravagante del 1824 (cfr. il cap. V di questo
volume) un giovinetto dall’aspetto efebico – ma è donna che si finge
uomo – viene immediatamente rapportato alla categoria dei musici in
forma spregiativa:

35
ANTONIO PAGLICCI BROZZI, Sul teatro giacobino ed antigiacobino in Italia: 1796-
1805; studi e ricerche, Milano, Tip. Luigi di Giacomo Pirola, 1887, rispettivamente alle
pp. 196, 30, 28, 30.
36
Appellativo molto diffuso in ambito tedesco (Kapaune). Così, ad esempio,
scriveva euforico Federico il Grande all’amico Algarotti: «Cigno melodioso, […] Sto
aspettando tutti i buoni cantanti che ci sono in Italia; in breve, avrò i migliori capponi
canori della Germania» («Melodischer Schwan, […] Ich erwarte alle guten Sänger,
die es in Italien gibt; kurz, ich werde die bestsingenden Kapaune von Deutschland ha-
ben»: lettera di Federico II di Prussia a Francesco Algarotti, Potsdam, 18 luglio 1742,
in MAX HEIN, Briefe Friedrichs des Großen, vol. I, Berlin, Reimar Hobbing, 1914, pp.
213-214).
37
Appellativo in uso tra i francesi (cabretti): «Il Santo Padre [Innocenzo XI] tiene
nei confronti delle opere una condotta opposta quella tenuta da Clemente IX; il quale
non voleva che ci fossero capretti, ovvero eunuchi, e per questo non c’erano che le can-
terine; ora il Papa non ne vuole più, di queste canterine, e vi sono solo capretti» («Le
Saint Père tient à l’égard des opéras une conduite opposée à celle que tenait Clément
IX; celui-ci ne voulait pas qu’il y eût de cabretti, c’èst-à-dire d’eunuques et ce pour cau-
se, et qu’il n’y eût que des cantarine; le Pape ne veut pas qu’il y ait de cantarine, et qu’il
n’y ait que des cabretti»: lettera di Dom Claude Estiennot a Dom Bulteau, Roma, 21
ottobre 1687, in JEAN MABILLON - BERNARD DE MONTFAUCON, Correspondance inédite de
Mabillon et de Montfaucon avec l’Italie, vol. II, Paris, Labitte, 1846, pp. 116-121: 117).
38
Appellativo tipicamente italiano: cfr. ad esempio SALVATOR ROSA, La Musica
[1645 ca.], in Satire di Salvator Rosa dedicate a Settano, Amsterdam, Presso Severo
Protomastix, [1694], pp. 5-24: 11 (v. 206).
39
GIOVANNI CAMILLO PERESIO, Il Maggio romanesco, overo Il palio conquistato. Po-
ema epicogiocoso nel linguaggio del volgo di Roma, Ferrara, Per Bernardino Pomatelli,
1688, p. 244 (canto VII, ottava 97).
40
RANIERI DE’ CALZABIGI, La Lulliade [1753-1789], poema postumo, in GABRIELE
MURESU, La ragione dei buffoni (La Lulliade di Ranieri de’ Calzabigi), Roma, Bulzoni,
1977, pp. 49-342: 141 (Canto VI, strofa 10); pàtico: ‘sessualmente passivo’ («qui mu-
liebria patitur»).
41
F. ALBERGATI CAPACELLI, Il ciarlator maldicente cit., p. 22 (I.5).

CLXV
ANZANI – BEGHELLI

GELSOMINO Quel musichetto


mi dà sospetto.
42
(A. BASSI, L’equivoco stravagante, I.7)

Per contro, a una ragazza poco esperta di lessico musicale che nell’Im-
postore di Andrea Leone Tottola per Luigi Mosca (1802) chiede a un
compositore:

LEGGIADRA Dica: è un musico perfetto?


o nell’arte è ancor leggiero?

per informarsi sul suo livello di preparazione tecnico-musicale, quegli


risponde offeso:

DON TIRITOFOLO Nenna mia, sogn’ommo intiero


di perfetta Umanità.
43
(A. L. TOTTOLA, L’impostore, I.3)

(Sull’equivoco etimologico di umanità, da umano/uomo, gioca anche


Gasbarri nell’Equivoco stravagante:

BURALICCHIO Più lo guardo, più l’osservo,


più l’Eunuco in lui ravviso,
femminin non è quel viso
ha un tantin d’umanità.
(G. GASBARRI, L’equivoco stravagante, II.4)

mugugna fra sé e sé il promesso sposo, guardando per la prima volta


Ernestina con nuova consapevolezza sulla sua presunta condizione di
castrato.)
Fra i letterati più ingiuriosi emerge Giuseppe Parini, che nelle ter-
zine della satira Il teatro (1754) si spinge fino a «un fracido castron

42
Libretto a stampa: «L’EQUIVOCO STRAVAGANTE, dramma giocoso in due atti da
rappresentarsi nel Gran Teatro di Trieste il Carnovale dell’anno 1825, musica del ma-
estro Gioacchino Rossini», [Trieste], Dalla Tipografia Weiss, [1824]. Si tratta di un
“pasticcio” confezionato da Adolfo Bassi (libretto e partitura), utilizzando molta mu-
sica di Rossini.
43
Libretto a stampa: «L’IMPOSTORE, commedia per musica di Andrea Leone Tot-
tola da rappresentarsi nel Teatro Nuovo sopra Toledo per la second’Opera di Està del
corrente anno 1802», Napoli, Nella stamperia Flautina, 1802.

CLXVI
UN SOGGETTO EQUIVOCO AL CREPUSCOLO DEGLI DÈI CASTRATI

che a’ suoi belati | il folto stuol de’ baccelloni alletta» (vv. 71-72) e «il
sucidume | del sopran floscio» (vv. 100-101) , espressioni ineleganti
44

che anticipano le più famose sestine iniziali dell’ode La musica (1762)


– un’invettiva che più propriamente avrebbe potuto chiamarsi Il musi-
co – nella quale Parini si pronuncia ferocemente contro la castrazione:

Aborro in su la scena
un canoro elefante,
che si strascina a pena
su le adipose piante,
e manda per gran foce
di bocca un fil di voce.

Ahi, pera lo spietato


genitor che primiero
tentò di ferro armato
l’esecrabile e fiero
misfatto, onde si duole
la mutilata prole!
45
(G. PARINI, La musica, vv. 1-12)

La rivendicazione di stampo umanitario contro il diritto violato


è nondimeno minoritaria per tutto il Settecento. La presa di posi-
zione più forte arriva a fine secolo dalla Rivoluzione Francese, che
con un articolo lapidario del nuovo Codice Penale decreta nel 1791:
«Le crime de la castration sera puni de mort» . L’intero Codice en-
46

44
In GIUSEPPE PARINI, Tutte le opere edite e inedite, a cura di GUIDO MAZZONI,
Firenze, D. Barbèra, 1925, pp. 417 e 418.
45
Ibid., pp. 152-153. L’espressione canoro elefante entrerà nell’uso comune. Leg-
giamo nel libretto di una farsa d’inizio Ottocento: «In Italia poi sentite, | che spettacoli
e stordite: | cavatine sui cavalli, | con i cori e con i balli, | dei rondò colle catene, |
elefanti sulle scene» (libretto a stampa: «PAMELA, farsa in musica da rappresentarsi nel
Nobile Teatro Vendramin di San Luca l’Estate dell’anno 1802, Poesia del sig. Rossi,
Musica del sig. Farinelli», Venezia, Casali, 1802, p. 28 = I.15). A fugare ogni dubbio
che il librettista Gaetano Rossi intendesse riferirsi in quel verso a improbabili elefanti
indiani condotti in palcoscenico, valga l’ingresso del sintagma pariniano fin nel Tom-
maseo-Bellini, non come lemma, ma addirittura con funzione definitoria: «E perché in
certi luoghi eviravansi alcuni musici, Musico valeva evirato, canoro elefante» (NICCO-
LÒ TOMMASEO - BERNARDO BELLINI et alii, Dizionario della lingua italiana nuovamente
compilato, vol. III, Torino, Società dell’Unione Tipografico-Editrice, 1871, p. 418, ad
vocem «Musico», firmata dallo stesso Tommaseo).
46
Code Pénal (Decreto dell’Assemblée Nationale Constituante, 25 Settembre
1791), Première partie: «Des condamnations», Titre II: «Crimes contre les particu-

CLXVII
ANZANI – BEGHELLI

trerà progressivamente in vigore anche nei territori occupati da Na-


poleone, Roma compresa 47. Nell’attesa, non mancavano occasioni di
sensibilizzazione al problema scaturite dal basso, com’è il caso di un
anonimo sonetto satirico di straordinaria fortuna, tramandatoci da
varie fonti con minime varianti (effetto evidente di una trasmissione
orale) :
48

Sonetto.

Per la castrazione de’ ragazzi, di cui, tra gli altri articoli della pace pro-
posti e ricusati, ha la repubblica francese dimandato in vano l’abolizione al s.
padre:

Sarà dunque permesso alli villani


nello stato papale impunemente
di castrare i lor figli sì empiamente,
acciò strillin cantando in modi strani!
49
Che si castrino i gatti, oppure i cani,
un cavallo, un somar, non dico niente;
ma i figliuoli? per Cristo onnipotente
ah son padri assai crudi ed inumani!

E Roma soffrirà che ne’ suoi stati

liers», Section I: «Crimes et attentats contre les personnes», Article 28 (in Collection
complète des Lois, Décrets, Ordonnances, Réglemens, Avis du Conseil-d’État, publiée sur
les éditions officielles du Louvre, de l’Imprimerie Nationale, par Baudouin, et du Bulletin
des Lois (De 1788 à 1830 inclusivement, par ordre chronologique), a cura di JEAN-BAP-
TISTE DUVERGIER, vol. III, Paris, Chez A. Guyot et Scribe Libraires-Éditeurs, 1834, pp.
352-366: 359).
47
Codice penale messo in vigore negli stati Romani, Prima Parte: «Delle condan-
ne», Titolo II: «Delitti contro i particolari»; Prima sezione: «Delitti e attentati contro le
persone», Articolo 28: «Il delitto della castrazione sarà punito di morte» (in Bollettino
delle Leggi e Decreti Imperiali pubblicati dalla Consulta straordinaria negli Stati Romani,
vol. II, n. 19, Roma, Presso Luigi Perego Salvioni Stampatore, 1809, pp. 24-105: 79,
con testo francese a fronte).
48
Lo si legge manoscritto ad es. in I-PLn, ms. III. E. 3., c. 440; in I-Vmc, Correr,
ms. 348, p. 611 (con rubrica «Sonetto sopra l’uso inumano di castrar li fanciulli nello
Stato Pontificio»); in I-Bca, Manoscritti B, ms. B.3392 (Poesie satiriche, encomiasti-
che e politiche in lingua italiana e in dialetto bolognese e veneto, secc. XVIII-XIX),
c. 20v (con rubrica «Solamente nello Stato Papal si castrano gli uomini. Sonetto»); a
stampa sul «Termometro politico della Lombardia», n. 35, 1o Annebbiatore dell’Anno
V Repubblicano (22 ottobre 1796). Si trascrive quest’ultima fonte, generalmente più
convincente delle altre.
49
Variante: «overo» (I-Bca).

CLXVIII
UN SOGGETTO EQUIVOCO AL CREPUSCOLO DEGLI DÈI CASTRATI

50
un mutilato attor de’ più birboni
51
serva a spasso di donna alli prelati?
52
Se i romani a castrar son belli e buoni ,
53
deh, castrassero almeno i porporati ,
54
ché il collegio sarìa senza coglioni.

Dalla satira contro il castrato si stava insomma progressivamente pas-


sando all’accusa contro i responsabili sociali della castrazione, comin-
ciando dal padre del piccolo malcapitato: «Oh misero mortale, | [...] |
cangi gli uomini in mostri, | e lor dignità prostri» .
55

Lungo il Settecento, il teatro italiano fa del castrato una “masche-


ra” occasionale, inserendolo con una tipizzazione negativa fra la varia
umanità che popola le commedie alla moda: Albergati lo rappresenta
come un approfittatore vanesio (Il ciarlator maldicente, 1785), Goldoni
ne deride la frivolezza e l’impertinenza (L’impresario di Smirne, 1759),
Sografi le smanie divistiche (Le convenienze teatrali, 1794; Le incon-
venienze teatrali, 1800) . Ma sulle scene d’opera si riderà a fatica dei
56

castrati, e non a caso. Se un «Eunuco Musico di Corte» (la corte elle-


nica in Sciro) faceva già capolino nella Finta pazza di Giulio Strozzi
e Francesco Sacrati (Venezia 1641) 57, il primo tentativo irriverente di
inserire un castrato fra i personaggi contemporanei di un libretto me-
tateatrale verrà da Girolamo Gigli con la figura del castrato Liscione
(nomen omen) negli «intermedj» La Dirindina, messi in musica da Do-
menico Scarlatti fra gli atti di un suo Ambleto (Roma 1715) . La parte
58

di Liscione crea problemi di attribuzione vocale, essendo stata scritta


per metà in chiave di tenore (il primo intermedio) e per l’altra metà

50
Varianti: «bricconi» (I-PLn), «birbanti» (I-Bca, con elusione della rima).
51
Varianti: «finga la donna a spasso dei Prelati?» (I-PLn), «serva di spasso da
Donna alli Prelati!» (I-Bca, verso ipermetro).
52
Variante: «Ma se i Prelati voglion esser buoni» (I-PLn).
53
Varianti: «castrin piuttosto gli altri porporati» (I-PLn), «che castrassero almen
li porporati» (I-Bca).
54
Varianti: «sarà» (I-PLn), «sarebbe» (I-Bca, con ipermetria).
55
È ancora G. PARINI, La musica cit., vv. 19 e 35-36.
56
La caricatura dei castrati nelle commedie di Carlo Goldoni e Antonio Simeone
Sografi è analizzata in modo approfondito da ROBERTO CUPPONE, “Come farfalla al lume
e cane agli ossi”. I castrati nelle metafore di animali, «Biblioteca teatrale», XVI, 1990,
pp. 42-81.
57
Libretto a stampa: «LA FINTA PAZZA, drama di Giulio Strozzi», Venezia, Gio.
Battista Surian, 1641.
58
Libretto a stampa: «AMBLETO, drama per Musica da rappresentarsi nella Sala de’
Signori Capranica nel Carnevale dell’Anno MDCCXV», Roma, Per il Bernabò, 1715.

CLXIX
ANZANI – BEGHELLI

in chiave di soprano (il secondo intermedio); il libretto a stampa della


serata annuncia come interprete «Il Signor Tommaso Bizzarri Sanese»,
non altrimenti noto (un nome falso?); ma all’ultimo minuto la rappre-
sentazione della Dirindina venne proibita, dopo che ne era già stata
impedita la stampa del testo poetico fra gli atti dell’Ambleto, come ci
rivela una lettera dello stesso librettista 59:

Ma mi pare, che V. S. Illustrissima, dica, che s’è già pieno un foglio di


carta senza parlare della Dirindina, famoso scandalo degli scrupolosi Revisori
di Roma, e celebre divertimento di tutte le conversazioni più discrete. Discor-
riamone dunque un poco: Ma avverta che non ci stia a sentire qualche Musico
60
Politico, o il Padre C.... nemico dichiarato di D. Pilone, e della sua Sorellina ,
che hanno con Dirindina tanto stretta attenenza.
Or sappia dunque, che, essendomi stato comandato il passato Carnevale
un intermezzo per questo Teatro [Capranica], composi quella frascheria senza
nessun fine particolare, ma per dipingere generalmente un costume, che an-
cora non era stato ritratto su le scene. Piacque il pensiero di tal sorte, che ne
precorse un poco d’applauso prima del recitamento. I Musici, temendo farsi
redicoli, procurarono impedirne la recita per via di Francesco de Castris, e
61
de’ suoi Protettori , e per via d’una potente Signora innamorata d’un Mu-
sico recitante [nell’Ambleto]: In somma tanto si dibatté la faccenda, che il
Governatore giudicò per lo meglio sospenderlo; tanto più che il Maestro del

59
Nella copia del libretto conservata in I-Bc, l’indicazione «Intermedj» in locan-
dina, con i relativi interpreti (p. 7), risulta cancellata da tratti di penna; nella copia in
CDN-Ttfl la cancellatura è talmente pesante da rendere illeggibile ogni parola. Sull’in-
tera vicenda, cfr. FRANCESCO DEGRADA, Una sconosciuta esperienza teatrale di Domenico
Scarlatti: la Dirindina, «Quadrivium», XII, 1971, n. 2, pp. 229-265: 233-234, poi in Il
palazzo incantato. Studi sulla tradizione del melodramma dal Barocco al Romanticismo,
vol. I, Fiesole, Discanto, 1979, pp. 67-97: 69.
60
Il riferimento immediato è a due commedie satiriche dello stesso Gigli: Il Don
Pilone, ovvero Il bacchettone falso (1711), adattamento del Tartufo di Molière, e La so-
rellina di Don Pilone, o sia L’avarizia, più onorata nella serva, che nella padrona (1712),
dove la satira è rivolta alla propria stessa famiglia. Non sfugga tuttavia il doppio senso
osceno, nel riferimento di Don Pilone e della sua Sorellina agli organi sessuali rispetti-
vamente maschile e femminile, ben invisi a Padre C.... [il gesuita Ignazio Chiaberge?],
che hanno con l’argomento della Dirindina «tanto stretta attenenza».
61
Il cantante castrato Francesco de Castris (1650 ca. - 1724), detto Cecchino o
Francesco de’ Massimi (per la protezione del Cardinale Camillo Massimi), già intima-
mente legato a Ferdinando de’ Medici. Ormai ritiratosi dall’attività artistica, esercitava
evidentemente ancora un notevole potere fra i notabili romani (cfr. WARREN KIRKEN-
DALE, The Court Musicians in Florence during the Principate of the Medici, Firenze,
Olschki, 1993, pp. 437-446 e CARLO VITALI, Un cantante legrenziano e la sua biografia:
Francesco de Castris “musico politico”, in Giovanni Legrenzi e la cappella ducale di San
Marco, Atti dei convegni internazionali di studi (Venezia 24-26 maggio 1990, Clusone
14-16 settembre 1990), a cura di FRANCESCO PASSADORE e FRANCO ROSSI, Firenze, Ol-
schki, 1994, pp. 567-603).

CLXX
UN SOGGETTO EQUIVOCO AL CREPUSCOLO DEGLI DÈI CASTRATI

Sacro Palazzo ad insinuazione del partito musicale impuntò per la stampa.


Ma dispiacque tanto al popolo tal proibizione, che ne diede più volte segni in
Teatro, gridando: fuora Liscione, fuora Dirindina.
Ora io trovandomi un poco piccato da questo divieto ho stimato bene,
con l’approvazione di molti Personaggi, pubblicare la Dirindina, e farne veni-
62
re fino 500. copie in Roma per via di pieghi ; non senza qualche fine di mio
sparagno, imperocché troppo mi costava il dover sodisfare a tutti, che me ne
63
chiedevano delle copie .

Dopo l’esperimento abortito della Dirindina, limitata fortuna avrà


il «divertimento comico» metateatrale Chi non fa non falla (Bologna
1729), parole e musica di Giuseppe Maria Buini : «Alipio Musico,
64

amante di Lispina» è dipinto nei versi come un qualunque “amoroso”


e senza ombre caricaturali, al punto che se non vi fosse «Imbroglio,
Procuratore dell’Impresario» a chiamarlo «il Musichino Alipio» (I.5)
dubiteremmo della sua natura di castrato e la crederemmo parte affida-
ta al “mezzo carattere” della compagnia (cioè un tenore; il libretto della
prima rappresentazione nulla ci dice sull’interprete e la partitura è per-
duta). La serie dei testi metateatrali continua con la fortunata comme-
dia L’Orazio di Antonio Palomba e Pietro Auletta (poi “impasticciata”
65

da Gaetano Latilla): per quanti castrati vi fossero all’epoca in giro per


l’Italia, la parte di «Mariuccio, Musico» fu sostenuta da donne a Napoli
nel 1737 (Vittoria Pasi), a Milano nel 1746 (Anna Tonelli), a Bologna
nel 1747 (Giustina Moretti), a Verona nel 1748 col titolo L’impresario
(Anna Tonelli); ma già nella ripresa a Reggio nell’Emilia del 1748 la

62
La citata edizione lucchese per i tipi di Leonardo Venturini (1715), con almeno
tre edizioni in pochi mesi (tale stampa viene oggi considerata erroneamente da alcuni
alla stregua di un libretto d’opera, e dunque la prova di un’esecuzione della partitura
scarlattiana in quel di Lucca, che tuttavia mai ebbe luogo).
63
Lettera di Girolamo Gigli ad Anton Francesco Marmi, Roma, 3 dicembre 1715,
in Collezione completa delle opere edite ed inedite di Girolamo Gigli celebre letterato sa-
nese, vol. II, All’Aja, s. e., 1797, pp. XXII-XXV: XXIV-XXV.
64
Libretto a stampa: «CHI NON FA NON FALLA, divertimento comico per mu-
sica da rappresentarsi in Bologna nel Teatro Marsilj Rossi il Carnovale dell’Anno
MDCCXXIX», Bologna, Per Costantino Pisarri sotto le Scuole, [1729].
65
Libretto a stampa: «L’ORAZIO, commedia per musica di Antonio Palomba na-
poletano da rappresentarsi nel Teatro Nuovo sopra Toledo nel Carnovale di quest’An-
no 1737, dedicata a Sua Eccellenza il Signor D. Lelio Pacecco Carafa, Marchese d’A-
rienzo, Grande di Spagna di prima classe, Cavaliero dell’insigne Ordine del Toson
d’oro, Gentiluomo di Camera di S. M. C., Marescial di Campo de’ suoi Reali Eserciti,
Alfiero della Compagnia Italiana delle sue Reali Guardie del Corpo, e Capitano della
medesima Compagnia della Maestà del nostro Re, che Dio guardi», Napoli, A spese di
Nicola di Biase, 1737.

CLXXI
ANZANI – BEGHELLI

parte era soppressa. Analoga sorte toccherà a L’opera in prova alla moda
di Giovanni Fiorini e Gaetano Latilla (Venezia 1751) : la parte di «Se-
66

molino, primo Musico» toccò a un’interprete femminile fin dalla prima


esecuzione (Cattarina Flavis) e così per tutte le riprese documentate.
Sembra insomma che fosse difficile ridere di un castrato su quelle
stesse scene operistiche che di castrati si alimentavano, ed è ben com-
prensibile che fosse sentito come inopportuno chiedere a un castrato
di fare la caricatura di sé stesso; del resto, dal punto di vista dello spet-
tatore, cosa ci sarebbe stato di ridicolo in un castrato che cantasse da
castrato? Nel secondo Settecento il personaggio del Musico rimarrà
pertanto spesso escluso da testi metateatrali anche importanti: La bella
verità di Carlo Goldoni per Niccolò Piccinni (Bologna 1762), L’impresa
d’opera di Bortolomio Cavalieri per Pietro Alessandro Guglielmi (Ve-
nezia 1769), Prima la musica, poi le parole di Giovanni Battista Casti
per Antonio Salieri (Vienna 1786), L’impresario in angustie di Giusep-
pe Maria Diodati per Domenico Cimarosa (Napoli 1786), La prova di
un’opera seria, parole e musica di Francesco Gnecco (Milano 1805),
ecc. Con le immancabili eccezioni a confermare la regola: ad esempio,
L’impresario alla moda di autori anonimi, rappresentato a Firenze nel
1752, ebbe nel castrato Giacomo Veroli l’interprete di «Celidoro pri-
mo Musico» ; ma le repliche finirono lì.
67

Pur di non coinvolgere veri castrati, si arrivò dunque al paradosso


di affidare i personaggi di Musico dei testi metateatrali a cantanti tito-
lari di voce virile, tenori e bassi, come se la voce cantata dell’interprete
non dovesse necessariamente corrispondere alla voce “reale” del per-
sonaggio interpretato: forse che vi corrispondeva quella dei tanti Rinal-
di, Orlandi, Cesari e Alessandri Magni messi in scena dall’opera seria
proprio con i suoi castrati? o forse era l’intento caricaturale a spingere
per ironia verso la voce opposta, come era accaduto sin dal Seicen-
to per tante nutrici dell’opera veneziana? La situazione sembra però
notevolmente diversa: un conto è ridere sulla donna matura e poco
avvenente facendola interpretare da un uomo che ne accentui i tratti

66
Libretto a stampa: «L’OPERA IN PROVA ALLA MODA, dramma giocoso per musica
da rappresentarsi nel Teatro Giustiniani di S. Moisè nel Carnovale MDCCLI», [Vene-
zia], s. e., [1751].
67
Libretto a stampa: «L’IMPRESARIO ALLA MODA, dramma per musica da rappresen-
tarsi in Firenze nel Teatro di Via del Cocomero nell’Autunno dell’Anno 1752, sotto la
protezione della Sacra, Cesarea, Real Maestà di Francesco I. Imperadore de’ Romani
sempre Augusto Duca di Lorena, e di Bar, ec. ec. e Gran Duca di Toscana», Firenze,
Per Gio. Batista Stecchi, 1752.

CLXXII
UN SOGGETTO EQUIVOCO AL CREPUSCOLO DEGLI DÈI CASTRATI

di scarsa femminilità; altra cosa è affidare la parte di un castrato a un


uomo che ne sopprima la sua ragion d’essere (un castrato con barba e
voce virile non è più “ridicolo”).
L’anonimo «dramma bernesco per musica» Le cantatrici intonato
da Giovanni Battista Lampugnani vide alla prima esecuzione (Milano
1758) la parte di «Saetta, Musico» interpretata da Lodovico Felloni, in
carriera come buffo caricato (cioè un basso: cantò forse in falsetto?) ;
68

ripreso due anni dopo col titolo La scuola delle cantatrici (Modena
1760), il testo venne privato del personaggio di Saetta . Analogamente,
69

nell’anonima Critica teatrale con musica di Gennaro Astarita (Torino


1771) – derivazione da quell’Opera seria di Ranieri de’ Calzabigi (Vien-
na 1769) che fu capostipite di un intero filone metateatrale – il perso-
naggio di «Ritornello, Musico» venne affidato a Gioachino Caribaldi,
attivissimo come buffo di mezzo carattere (cioè un tenore: cantò for-
se in falsetto?) 70; nella ripresa di quattro anni dopo (Venezia 1775), la
parte andò a Giuseppe Secchioni, buffo di mezzo carattere altrettanto
attivo . Nella medesima stagione lo stesso Secchioni, evidentemente
71

specializzatosi in simili parti, canterà anche «Saltarello, Musico» in Li


due amanti in inganno, libretto anonimo, musica di Giacomo Rust e
Matteo Rauzzini ; qualche anno più tardi lo ritroviamo nuovamente
72

come «Ritornello, Musico» nelle Discordie teatrali (Firenze 1779), en-


nesima declinazione dell’Opera seria di Calzabigi, ancora con musica di
Astarita . Dal goldoniano Impresario delle Smirne discende un libretto
73

68
Libretto a stampa: «LE CANTATRICI, dramma bernesco per musica da rappresen-
tarsi nel Regio Ducal Teatro di Milano nell’Autunno del corrente Anno 1758, dedicato
a Sua Altezza Serenissima il Duca di Modena, Reggio, Mirandola ec. ec., Amministra-
tore e Capitano Generale della Lombardia Austriaca ec. ec.», Milano, Nella Stamperia
di Giovanni Montano, [1758].
69
Libretto a stampa: «LA SCUOLA DELLE CANTATRICI, dramma piacevole per musica
da cantarsi nel Teatro Rangone il Carnevale dell’anno 1760», Modena, Per gli Eredi di
Bartolomeo Soliani, [1760].
70
Libretto a stampa: «CRITICA TEATRALE, dramma giocoso per musica da rappre-
sentarsi nel Teatro di S. A. Serenissima il Signor Principe di Carignano nell’Autunno
dell’Anno MDCCLXXI», Torino, Presso Onorato Derossi Librajo della Società de’
Signori Cavalieri, [1771].
71
Libretto a stampa: «LA CRITICA TEATRALE, dramma giocoso per musica da rap-
presentarsi nel Teatro Tron di San Cassiano nel Carnovale dell’Anno 1775», Venezia,
Presso Gio. Battista Casali, 1775.
72
Libretto a stampa: «LI DUE AMANTI IN INGANNO, dramma giocoso per musica da
rappresentarsi nel Teatro Tron di San Cassiano nel Carnovale dell’Anno 1775», Vene-
zia, Presso Gio. Battista Casali, 1775.
73
Libretto a stampa: «LE DISCORDIE TEATRALI, dramma giocoso per musica da rap-
presentarsi nella Città di Firenze nel Teatro di Borgo Ognissanti l’Autunno dell’Anno

CLXXIII
ANZANI – BEGHELLI

di Giuseppe Foppa per Giuseppe Rossi (Venezia 1793) , poi rinnovato


74

in un libretto anonimo per Domenico Rampini (Trieste 1798) : anche


75

in questi casi la parte di «Carluccio, Musico Soprano» venne affidata


rispettivamente a un buffo (Vittorio Ronconi) e a un mezzo carattere
(Carlo Borsari).
La perdita di tutte queste partiture ci impedisce di verificare la re-
ale natura vocale delle parti in questione: la possibilità di “falseggiare”
caricaturalmente alcune note, per un basso o un tenore, sarebbe infatti
possibile soltanto in un passo ristretto all’ambito acuto dell’estensione
(sopra il Re3), secondo una prassi dell’opera buffa italiana in vigore al-
meno dal Pimpinone di Tomaso Albinoni (1708) al Falstaff di Giuseppe
Verdi (1893). Tuttavia un conto è abbozzare un paio di frasi caricatura-
li in falsetto, ben altra cosa è sostenere in falsetto un’opera intera, arie
comprese (come fanno i moderni controtenori solo dopo anni di stu-
dio e raffinamento di quella voce artficiosa). Un altro passo goldoniano
dalla sua più volte citata commedia metateatrale sembra nondimeno
spingerci verso tale ipotesi pur difficilmente credibile:

TOGNINA [...] è venuto in capo ad un Turco di formar una compa-


gnìa per le Smirne [...]
PASQUALINO Vi ha detto [...] qual è il posto, che vi daranno?
TOGNINA Oh non c’è dubbio [...] nessuna potrà levarmi la parte
di Prima Donna.
PASQUALINO Se vi son due Tenori, voglio essere il Primo.
TOGNINA Caro Pasqualino, voi siete giovane; avete un buon fal-
seto, e de’ buoni acuti, non potreste far voi la parte del
76
primo soprano?
PASQUALINO Per qual ragione?
TOGNINA Perché, caro il mio bene, mi preme, che anche quando
recitiamo, facciamo all’amore insieme; si canta con più
piacere l’aria tenera, quando si applica secondo l’inten-

1779, dedicato all’Illustriss. Sig. Abate Stefano Rossi», Firenze, Per Gaetano Cambiagi
Stampator Granducale, 1779.
74
Libretto a stampa: «L’IMPRESARIO DELLE SMIRNE, dramma giocoso per musica di
Giuseppe Foppa da rappresentarsi nel Nobilissimo Teatro Giustiniani in San Moisè
l’Autunno dell’Anno 1793», Venezia, Appresso Modesto Fenzo, 1793.
75
Libretto a stampa: «L’IMPRESARIO DI SMIRNE, dramma giocoso per musica da
rappresentarsi nel Ces. Reg. Teatro di Trieste nel Carnovale 1798», [Trieste], Cesarea
Regia Privilegiata Stamperia Governiale, [1798].
76
Vale a dire la parte dell’eroe maschile nell’opera seria, dell’amoroso tradizional-
mente in voce di soprano, all’epoca affidato al cantante castrato o in sua assenza a una
donna (al contrario, il tenore era perlopiù destinato a parti da antagonista).

CLXXIV
UN SOGGETTO EQUIVOCO AL CREPUSCOLO DEGLI DÈI CASTRATI

zione. Se vi è un’aria che dica: Cara per te sospiro, pro-


priamente le si dà della forza, quando si dice di cuore, e
il Popolo conosce, e giubbila, e dice: bravi.
77
(C. GOLDONI, L’impresario delle Smirne, II.1)

O forse l’abitudine d’affidare nelle opere metateatrali la parte del


musico a una voce virile sottintende invece tutt’altro fenomeno dram-
maturgico, apparentemente sfuggitoci fino ad oggi. Potremmo ad
esempio immaginare che la comicità stesse proprio nell’inverosimi-
glianza (un castrato con voce di basso), all’interno di un genere tea-
trale che punta al realismo ben più di quanto faccia l’opera seria; le
situazioni inscenate in quelle opere non sono tuttavia necessariamente
farsesche. Oppure l’intento era esattamente l’opposto: la voce invero-
simile del castrato (inverosimile perché innaturale), fuori dall’esercizio
delle funzioni sceniche legate all’opera seria veniva ricondotta nell’o-
pera comica a un timbro più naturale (pur accompagnata da alquanti
ammiccamenti espressivi e gesti corporei atti a sottolineare la scarsa
virilità del personaggio); nel salotto dell’impresario o nella sala prove
del teatro, dove i dialoghi della conversazione si dipanano – per così
dire – senza il coturno richiesto da un Licida o un Megacle, anche la
voce del castrato perdeva insomma le sue caratteristiche di ecceziona-
lità, attestandosi forse su un timbro più prossimo alla voce comune 78.
La partitura superstite (in A-Wn) dell’Opera seria di Ranieri de’
Calzabigi e Florian Leopold Gassmann (Vienna 1769) sembrerebbe
confermare tale ipotesi: al personaggio di «Ritornello, Primo Musico»
(ignoto l’interprete) venne affidata una parte in chiave di tenore nella
prima porzione della «Commedia per musica», di ambientazione “quo-
tidiana” («Camera con Tavolino e Sedie in Casa dell’Impresario»); ma
quando prenderà il via la meta-recita dell’«Opera seria intitolata L’O-
ranzebe» («Gran piazza d’Agra, Capitale dell’Indostan»), interpretata
dai medesimi personaggi-cantanti che l’Impresario aveva scritturato

77
CARLO GOLDONI, L’impresario delle Smirne, versione in prosa della precedente
commedia in versi martelliani, in Delle commedie di Carlo Goldoni avvocato veneto,
vol. XII, Venezia, Per Giambattista Pasquali, 1761 [recte 1774], pp. 265-332: 288. Un
ringraziamento a Saverio Lamacchia per aver attirato l’attenzione su questo passo.
78
Poco sappiamo in realtà sulla voce “a riposo” del castrato, sulla sua voce
“spontanea”, non “impostata”, non “teatrale”: l’argomento verrà ripreso al § 3 di que-
sto capitolo, con alcune nuove ipotesi sulla presenza di una ritardata mutazione della
voce pure nei castrati, e la conseguente acquisizione anche da parte loro di una voce
tendenzialmente “virile”, accanto a quella spiccatamente “femminile” per cui erano
tanto richiesti (cfr. in particolare le rapide osservazioni in coda alla nota 94).

CLXXV
ANZANI – BEGHELLI

durante il primo atto, ecco allora che a Ritornello interprete di «Naser-


cano, Gerneralissimo dell’Armi Mogole» il compositore riserverà una
parte in chiave di contralto.
La situazione vocalmente ambigua del personaggio Musico si ripe-
te del tutto simile per il personaggio Eunuco, il parente turchesco del
castrato italiano, rinvenibile in un certo numero di commedie e libretti
comici. Goldoni prendeva in ridere la contrapposizione fra le due figu-
re proprio nell’Impresario delle Smirne, nella scena in cui «Carluccio
detto Il Cruscarello, Musico Soprano» 79 si presenta al turco Alì, «ricco
negoziante delle Smirne» improvvisatosi impresario d’opera:
CARLUCCIO Servitor suo. Mi hanno parlato di Lei, e per il piacer di
conoscerla, son venuto a riverirla.
ALÌ Star Omo, o star Donna? (a Carluccio)
CARLUCCIO Star Uomo, Padrone mio. (con un poco di caldo) [...]
Vedo, Signore, che voi non mi conoscete. Io sono un
Virtuoso di Musica, e posso vantarmi di essere uno de’
più famosi, e forse il più famoso de’ nostri giorni. E ven-
go ad esibirmi per la vostra Impresa, non per necessità,
o per interesse, ma per curiosità di vedere le Smirne.
ALÌ Smirne, non aver bisogno di tua persona. Se voler andar
Turchìa, io tì mandar Costantinopoli, Serraglio de Gran
Signore.
CARLUCCIO A che far nel Serraglio?
ALÌ Custodir Donne de Gran Sultan.
CARLUCCIO Chi credete, ch’io sia?
ALÌ Non star Eunuco?
CARLUCCIO Mi maraviglio di voi; non sono di questa razza villana.
Sono un Virtuoso di Musica.
ALÌ Star Musico? (con meraviglia)
CARLUCCIO Star Musico. (con caricatura)
ALÌ Chi poder pensar, che Italia voler Omo, come Tu, per
cantar per Donna? Turchìa voler Donna per Donna.
CARLUCCIO Io sono un Soprano. La mia voce è argentina, ma recito,
e canto nelle parti da Uomo.

79
Dichiarata è la caricatura goldoniana – nel nome e nel soprannome – del più
celebre fra i castrati, vale a dire Carlo Broschi detto Il Farinello (II.3): «Eh, tutti noi
abbiamo per solito un soprannome. Anch’io so che mi chiamano Cruscarello, quasi
ch’io fossi la crusca di Farinello; ma farò vedere al mondo, ch’io sono fior di farina
della più scelta e della più pura» (C. GOLDONI, L’impresario delle Smirne cit., p. 292).
Sui soprannomi dei castrati settecenteschi, cfr. VALENTINA ANZANI, Pseudonimi all’ope-
ra: un soprannome per la celebrità, «il Nome nel testo», XVII, 2015, in fase di stampa.

CLXXVI
UN SOGGETTO EQUIVOCO AL CREPUSCOLO DEGLI DÈI CASTRATI

ALÌ Non star voce de Omo. Io non star così bestia a voler
Musico, che cantar come gatto.
CARLUCCIO I Musici miei pari si stimano, si onorano dappertutto, e
sono rari al Mondo. [...]
ALÌ De tutte tue bravure, non m’importar.
80
(C. GOLDONI, L’impresario delle Smirne, III.2)

A differenza del castrato operistico, per gli eunuchi del Vicino


Oriente l’evirazione poteva intervenire anche dopo la pubertà: una
variabile ben rilevante dal punto di vista della resa vocale! Non è
dunque facile stabilire se l’Osmin del Ratto dal serraglio di Johann
Gottlieb Stephanie per Wolfgang Amadé Mozart (Die Entführung aus
dem Serail, Vienna 1782) , supposto eunuco come tanti funzionari
81

dei pascià ottomani, sia stato creato per basso iper-profondo (Karl
Ludwig Fischer) con intento ironico oppure semplicemente imma-
ginando per lui un’evirazione in età adulta. Sta di fatto che pure la
parte di «Albazar, Eunuco nero» dell’anonimo Il bon ton vinto dal
buon senso messo in musica da Joseph Schuster (Venezia 1780) 82
era stata scritta per voce di basso (Giovanni Marliani; e la partitura
in D-Dl conferma l’estensione grave, sotto il Do centrale), mentre
«Gianghier, Eunuco in abito femminile» nella Buona figliola supposta
vedova di Antonio Bianchi e Gaetano Latilla (Venezia 1766) 83 venne
affidato a un tenore (il suddetto Giuseppe Secchioni specialista di
musici). Anche per gli eunuchi operistici la lista di cantanti “virili”
potrebbe dunque rivelarsi lunga, dall’«Eunuque» baritonale nel Ta-
rare (Paris 1787) di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais e Anto-
nio Salieri (interprete Le Roux cadet), all’«Eunuco nero» tenorile nel
Corsaro (Trieste 1848) di Francesco Maria Piave e Giuseppe Verdi
(interprete Francesco Cucchiari), per citare due opere meno margi-
nali. In area rossiniana, giova almeno ricordare «Albazar, un tempo

80
C. GOLDONI, L’impresario delle Smirne cit., pp. 299-300.
81
Libretto a stampa: «DIE ENTFÜHRUNG AUS DEM SERAIL, ein Singspiel in drey Auf-
zügen, nach Bretznern frey bearbeitet, und für das. k. k. Nationalhoftheater einge-
richtet, in Musik gesetzt vom Herrn Mozart, Aufgeführt im k. k. Nationalhoftheater»,
Wien, Zu finden beym Logenmeister, 1782.
82
Libretto a stampa: «IL BON TON VINTO DAL BUON SENSO, dramma giocoso per
musica da rappresentarsi nel Teatro Giustiniani in S. Moisè il Carnovale dell’Anno
1780», Venezia, s. e., [1780].
83
Libretto a stampa: «LA BUONA FIGLIOLA SUPPOSTA VEDOVA, dramma comico per
musica d’Antonio Bianchi veneziano da rappresentarsi nel Teatro Tron di S. Cassiano
in Carnovale dell’Anno 1766», Venezia, Appresso Modesto Fenzo, 1766.

CLXXVII
ANZANI – BEGHELLI

Primo Eunuco di Selim» nel Turco in Italia di Catterino Mazzolà per


Franz Seydelmann (Dresda 1788), affidato a un basso (per contro a
un Selim seduttore in chiave di soprano!) ; rielaborato da Felice Ro-
84

mani dopo un quarto di secolo per le scene italiane ad uso di Rossini


(Milano 1814), il nuovo Turco in Italia dirà di Albazar (affidato a un
tenore): «prima confidente di Selim, poi Zingaro seguace ed amico
di Zaida» 85, eliminando così fin ogni riferimento alla menomazione
anatomica di natura culturale:

Al di là delle esigenze musicali (utilizzare la voce di un tenore [...]), il


fatto che un libretto neghi sopravvivenza alla figura dell’eunuco concedendola
invece al cicisbeo [tale è l’altro tenore, «D. Narciso, cavaliere servente di D.
Fiorilla»] – entrambi residuati settecenteschi e tutti e due biasimati dalla lette-
ratura coeva – consente forse di concludere come per la morale dell’Ottocento
il peso dei tabù sessuali fosse più vincolante di quelli del costume, si trattasse
86
pure di un costume erotico .

Stante questa situazione di base, stupisce ancor più L’equivoco stra-


vagante di Gaetano Gasbarri (Bologna 1811), uno degli ultimi libretti
d’opera a occuparsi di castrati; e stupisce in particolar modo perché
non se ne occupa in termini metateatrali, bensì sociali:

BURALICCHIO Come? che sento! parla...


FRONTINO Ma...
BURALICCHIO Su via,
Di tacer ti prometto.
FRONTINO Il mio padrone
sapete che in Abruzzo nacque…
BURALICCHIO Il so.
FRONTINO Ove il fiero costume

84
Libretto a stampa: «IL TURCO IN ITALIA, dramma giocoso per musica da rap-
presentarsi nel Teatro di S. A. E. di Sassonia, di Caterino Mazzola, poeta dell’Elettore
di Sassonia / DER TÜRKE IN ITALIEN, ein musicalisches Lustspiel für das Churfürstlich-
Sächsische Theater von Caterino Mazzola», Dresden, s. e., 1788. All’interno: «Musica
di Seydelmann, maestro di capp. al serv. di S. A. S. di Sassonia / Die Musik ist von
Herrn Seydelmann».
85
Libretto a stampa: «IL TURCO IN ITALIA, dramma buffo per musica in due atti da
rappresentarsi nel R. Teatro alla Scala per primo spettacolo dell’Autunno del 1814»,
Milano, Giacomo Pirola, [1814]. All’interno: «La musica è di nuova composizione del
Sig. Maestro Gioachimo Rossini di Pesaro».
86
FIAMMA NICOLODI, Da Mazzolà a Romani (e Rossini), in Il turco in Italia, a cura
di FIAMMA NICOLODI, Pesaro, Fondazione Rossini, 2002 («I libretti di Rossini», vol. 9),
pp. IX-XLIX: XL.

CLXXVIII
UN SOGGETTO EQUIVOCO AL CREPUSCOLO DEGLI DÈI CASTRATI

regnava anticamente
di mutilare i teneri bambini
per farli poi (oh desiderio strano!)
da contralto cantar, o da soprano.
BURALICCHIO Avanti.
FRONTINO Gamberotto, uom miserabile
com’era allora, Ernesto sottopose
a quella operazione;
ma poi pensier cangiò,
né più al teatro il figlio destinò.
BURALICCHIO Pezzo di birbantaccio!
Volea darmi per moglie un castrataccio!
Segui pur.
FRONTINO In appresso il fe’ soldato,
poi, ricco essendo, il fece
dal Corpo disertar, e sotto il nome
d’Ernestina, qual donna
lasciò questi i calzon, prese la gonna.
(G. GASBARRI, L’equivoco stravagante, II.3)

3. Emarginazione e diversità

Ebbene, del «fiero costume» di mutilare i bambini poteva già dir-


si, nel 1811, che «regnava anticamente»? Se non imperava ormai più,
non era però nemmeno estinto in Italia. L’argomento della castrazione,
nelle sue innumerevoli declinazioni mediche e penali, continuerà ad
essere trattato dai manuali di medicina legale per lungo tempo . An-
87

cora a inizio ’900 un manipolo di cantori castrati risultava arruolato


nei ranghi della Cappella Sistina di Roma: almeno sette se ne possono
identificare nella ben nota fotografia del 1898 che ritrae Alessandro
Moreschi (1858-1922) circondato dai colleghi attivi in Vaticano ; Mo-
88

reschi, il primo – e per ora unico – cantante castrato professionista ad


aver consegnato la sua voce al disco (registrazioni del 1902 e 1904),
subisce il fatale intervento chirurgico negli anni ’860. In altri ambiti e

87
Cfr. ad esempio GIACOMO BARZELLOTTI, Questioni di medicina legale secondo
lo spirito delle leggi civili e penali veglianti nei Governi d’Italia, settima edizione, vol.
I, Pisa, Presso Ranieri Prosperi Stampatore dell’I. e R. Università, 1835, pp. 42 e 44.
88
La si vede ad esempio in NICHOLAS CLAPTON, Moreschi. The Last Castrato, Lon-
don, Haus Publishing, 2004, p. 110; trad. it. Alessandro Moreschi, l’angelo di Roma,
Monte Compatri, Photo Club Controluce, 2008, p. 104.

CLXXIX
ANZANI – BEGHELLI

culture, la castrazione a fini religiosi, rituali, sociali sussisterà ancora


nel secolo XX: la pratica secolare dell’evirazione completa diffusa fra
gli hijras (letteralmente “fuoriusciti”), considerati dalla cultura indiana
un terzo genere sessuale, è soltanto la forma oggi più nota e studiata,
in quanto tuttora prosperante ; definitivamente estinti con l’ambiente
89

che li accoglieva sono invece gli eunuchi funzionari e servitori della


corte imperiale ottomana (esiliata nel 1924) 90, mentre gli eunuchi che
facevano capo alla corte imperiale cinese (destituita nel 1912) manter-
91

ranno una propria identità e tradizione fin oltre la metà del secolo (un
gruppo di 26 eunuchi poterono essere studiati da due urologi cinesi
ancora nel 1960) 92. Setta ortodossa sempre ostacolata dal governo im-
periale russo fu viceversa quella degli skopcy (letteralmente “castrati”),
sterminati in toto dal governo stalinista : di alcuni skopcy evirati in età
93

prepuberale sono tuttavia superstiti registrazioni canore effettuate a


inizio Novecento, che ci offrono dunque un’evidenza sonora ulteriore
(e molto diversa) rispetto a quella – ritenuta erroneamente unica ed
esclusiva – di Moreschi .
94

89
Cfr. SERENA NANDA, Neither Man nor Woman: The Hijras of India, Belmont,
Wadsworth, 1990, 19992.
90
Cfr. HICKMET (de Constantinople) - FÉLIX REGNAULT, Les Eunuchs de Constanti-
nople, «Bulletins et Mémoires de la Société d’Anthropologie de Paris», V serie, vol. II,
1901, pp. 234-240; FERDINAND WAGENSEIL, Beiträge zur Kenntnis der Kastrationsfolgen
und des Eunuchoidismus beim Mann, «Zeitschrift für Morphologie und Anthropolo-
gie», XXVI, n. 2, 1927, pp. 264-304; MARMON SHAUN, Eunuchs and Sacred Boundaries
in Islamic Society, Oxford, Oxford University Press, 1995.
91
Cfr. FERDINAND WAGENSEIL, Chinesische Eunuchen, «Zeitschrift für Morpho-
logie und Anthropologie», XXXII, n. 3, 1933, pp. 415-468; MARY M. ANDERSON, Hid-
den Power. The Palace Eunuchs of Imperial China, Buffalo, NY, Prometheus Books,
1990; JENNIFER W. JAY, Another Side of Chinese Eunuch History: Castration, Marriage,
Adoption, and Burial, «Canadian Journal of History. Annales canadiennes d’histoire»,
XXVIII, 1993, pp. 459-478; JOCELYN CHATTERTON - MATTHEW BULTITUDE, Castration.
The Eunuchs of Qing Dynasty China: A Medical and Historical Review, «De Historia
Urologiae Europaeae», n. 15, 2008, pp. 39-47.
92
CHIEH PING WU - FANG-LIU GU, The Prostate in Eunuchs, in Urological Onco-
logy: Reconstructive Surgery, Organ Conservation, and Restoration of Function, Pro-
ceedings of the Sixth Course in Urologic Oncology, held at Ettore Majorana Centre,
Erice, Sicily, Italy, March 25-31, 1990, a cura di PHILIP H. SMITH e MICHELE PAVONE
MACALUSO, New York, Wiley-Liss, 1991 («Progress in Clinical and Biological Re-
search», 370; «EORTC Genitourinary Group Monograph», 10), pp. 249-255.
93
L’evirazione totale degli organi sessuali maschili e la corrispondente aspor-
tazione del seno nelle donne erano praticate con intenti di purificazione (cfr. JULIUS
TANDLER - SIEGFRIED GROSZ [GROSS], Untersuchungen an Skopzen, Wien, Braumüller,
1908).
94
Le registrazioni, effettuate da Julius Tandler a Bucarest il 27 dicembre 1907,
si conservano al Phonogrammarchiv di Vienna. I documenti sono stati esaminati in
SERGIO PACIOLLA, La voce dei castrati: studi medici coevi e incisioni inedite, tesi di laurea

CLXXX
UN SOGGETTO EQUIVOCO AL CREPUSCOLO DEGLI DÈI CASTRATI

Di certo il clima politico e intellettuale che dominava in Europa


durante l’occupazione napoleonica doveva comunque aver cambiato
molte cose anche in questo campo: le nuove idee egalitarie avevano
infatti innescato un processo di modifica delle gerarchie sociali fino a
quel momento in vigore, con la conseguente neutralizzazione di quelle
che erano state le abitudini e i simboli delle classi sociali aristocratiche;
ne fu coinvolto anche il teatro d’opera, per il quale si emanarono nuove
regolamentazioni.
Alla luce dei fatti, l’influsso indiretto della Rivoluzione francese
colpirà in Italia usi e costumi estranei alla pratica teatrale d’Oltralpe:
così come a Napoli si proibiva per legge il recitativo secco nell’opera
seria, in quanto estraneo all’opera parigina, prescrivendo che ogni reci-
tativo venisse accompagnato «da tutto, o parte dell’orchestra [compre-
so il cembalo], e non già dal violoncello e bassi [insieme al cembalo],
siccome io ho già per sistema ordinato altre volte» , analogamente a
95

in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo, Università di Bologna, 2015,
relatore Marco Beghelli. Per i soggetti skopcy sicuramente castrati in età infantile, l’a-
nalisi spettrografica della voce cantata (voci spontanee impegnate in canti popolari di
limitata estensione) evidenzia frequenze fra i 170 e i 400 Hz, cioè tra il Fa2 e il Sol3: un
range anfibio, troppo grave per dirsi l’àmbito “naturale” di una donna e troppo acuto
per dirsi l’àmbito “naturale” di un uomo. Per quanto le precarie registrazioni possano
poi far percepire, il timbro (molto simile fra i diversi esecutori) rimanda alla tipica
emissione a gola stretta delle donne anziane ancora in uso nel canto popolare delle
campagne russe (un ringraziamento a Elena Abramov-van Rijk per l’indicazione); la
qual cosa non può non rievocarci la singolare testimonianza di Horace Walpole sul Se-
nesino ormai quiescente, incocciato per caso nella campagna toscana, e sul suo parlare
a gola stretta con voce acuta e stridula (cfr. nota 113). Per altri versi, il timbro di quegli
skopcy registrati nel 1907 potrebbe facilmente essere scambiato anche con una voce
maschile acuta, cosa che convaliderebbe l’ipotesi avanzata di recente sull’acquisizione
della voce virile anche da parte dei castrati in seguito a naturale (tardiva?) muta – la
voce bianca che ci tramandano i testimoni antichi e che conosciamo dalle registrazioni
di Moreschi essendo piuttosto il frutto di studio e artificio, come la voce lirica della
donna soprano, come il falsetto dell’uomo controtenore (cfr. MARCO BEGHELLI, The
Manly Voice of Castrati: A New Hypothesis, articolo di prossima pubblicazione, e rivedi
al § 2 di questo capitolo le osservazioni sui musici in voce di tenore e basso nelle opere
metateatrali settecentesche). Sulla muta della voce nei castrati, cfr. le note 141 e 142;
altre testimonianze sulla loro voce parlata alle note 107 e 110-114; per la voce di More-
schi paragonata a quella di un tenore molto acuto, cfr. le note 114-115.
95
Disposizione del Sopraintendente dei teatri napoletani Giovanni Carafa Duca
di Noja in data 8 maggio 1813 nei confronti dei Riti di Efeso di Giuseppe Farinelli,
I-Nas, Teatri, fascio 4 (citato da TOBIA R. TOSCANO, Per una storia del Teatro di San
Carlo dalla rivoluzione del 1799 alla caduta di Murat, in Il Teatro di San Carlo, 1737-
1987, vol. II: L’opera e il ballo, a cura di BRUNO CAGLI e AGOSTINO ZIINO, Napoli,
Electa Napoli, 1987, pp. 77-118: 115n, ora in ID., Il rimpianto del primato perduto.
Studi sul teatro a Napoli durante il decennio francese 1806-1815, Roma, Bulzoni, 1988,
pp. 7-113: 97n).

CLXXXI
ANZANI – BEGHELLI

Milano si ostracizzava quella categoria di cantanti che non aveva mai


trovato posto nei teatri francesi – e solo nei teatri, giacché nei salotti e
nelle chiese di Parigi e Versailles i castrati erano stati sempre più che
attesi – vietando loro di punto in bianco l’esercizio della professione.
Con Calzabigi:

perché in Francia han per matti gl’Italiani


che apprezzan più la voce che i pendenti
e in tutti i ceti, ranghi e condizioni
96
fan grandissimo caso de’ coglioni .

Inequivocabile è il Rapporto della Commissione sui teatri emanato


nella capitale della neonata Repubblica Cisalpina il 13 Messidoro anno
VI repubblicano (1o luglio 1798):

4o. Sono proscritti dalle scene i castrati. Non è permesso ai castrati fora-
97
stieri di cantare né meno fuor delle scene, sotto pena di sei mesi di carcere .

Per garantire i servizi religiosi era dunque concesso di cantare nelle


chiese ai soli castrati della Repubblica; ma la volontà di bandire dai
palcoscenici tutti i castrati in circolazione era fermissima. Il nuovo
contratto d’appalto per la gestione del Teatro alla Scala e del Teatro
della Canobbiana di Milano stipulato fra il governo della Repubblica
Cisalpina e gli impresari Francesco Benedetto Ricci e Giovanni Battista
Gherardi (18 ottobre 1798) prevedeva infatti esplicitamente al capito-
lo 13o:

Non vi saranno più cantanti evirati, ma invece di questi sarà obbligato


l’appaltatore a scritturare una prima donna assoluta e due primi tenori, più
98
un’altra prima donna .

proprio come diventerà consuetudine a Napoli, influenzando com’è


noto anche la locale produzione di Rossini.

96
R. DE’ CALZABIGI, La Lulliade cit., pp. 70-71 (Canto II, strofa 13).
97
Trascritto in Assemblee della Repubblica Cisalpina, vol. V, a cura di CAMILLO
MONTALCINI e ANNIBALE ALBERTI, Bologna, Zanichelli, 1927 («Atti delle assemblee
costituzionali italiane dal Medio Evo al 1831», Serie 2: Parlamenti dell’età moderna,
Divisione 1: Repubbliche italiane, Sezione 2: Repubblica Cisalpina), pp. 846-850: 848.
98
I-Mt, Archivio Storico Civico, Spettacoli Pubblici, Cart. n. 29 (cit. da REMO GIA-
ZOTTO, Le carte della Scala. Storie di impresari e appaltatori teatrali (1778-1860), Pisa,
Akademos & Libreria Musicale Italiana, 1990, p. 42).

CLXXXII
UN SOGGETTO EQUIVOCO AL CREPUSCOLO DEGLI DÈI CASTRATI

Gli acclamati castrati Luigi Marchesi (1754-1829) e Girolamo


Crescentini (1762-1846), già protagonisti di tante produzioni mi-
lanesi, scompaiono dunque dal cartellone (nel 1796 Marchesi si era
platealmente rifiutato di cantare per Napoleone, ricevendone onori-
fica menzione da Vittorio Alfieri nel Misogallo, Epigramma XXIV);
nel Carnevale 1799 si affiancano dunque alla Scala i tenori Giovanni
(John) Braham e Adamo Bianchi. Ma il 28 aprile 1799 gli Austriaci
riprendono il possesso della città, cosa che consentirà agli impresari
della Scala di recuperare Marchesi per l’inaugurazione della stagio-
ne di Carnevale 1800. Dopo Marengo, Napoleone torna a Milano (2
giugno 1800), e con lui i tenori Adamo Bianchi e Antonio Brizzi che
inaugurano in coppia la stagione di Carnevale 1801, sostituiti dai ben
più titolati Matteo Babini e Giacomo David nel Carnevale 1802. Il
passaggio (26 gennaio 1802) dalla Repubblica Cisalpina alla Repub-
blica Italiana, emanazione anch’essa dell’ordine napoleonico, parreb-
be far cadere – inaspettatamente – le precedenti limitazioni legislati-
ve, visto che il Teatro alla Scala tornerà a godere di Luigi Marchesi
(Carnevale 1803, 1805) e Girolamo Crescentini (Carnevale 1804). L’i-
stituzione del Regno d’Italia (19 marzo 1805) attiverà il compromesso
di prime parti da musico affidate a donne en travesti, come Augusta
Schmalz (Carnevale 1806) e Imperatrice Sessi (Carnevale 1807) 99, fin-
ché faranno definitivamente ritorno gli ultimi castrati superstiti (Mar-
chesi si era ritirato nel 1805), in una sorta di Restaurazione vocale
precedente di qualche anno quella politica: Pietro Matteucci (Carne-
vale 1808), Giovanni Battista Velluti (Carnevale 1809, 1810), Angelo
Testori (Carnevale 1812) e da ultimo ancora Velluti, per l’Aureliano
in Palmira di Rossini (Carnevale 1814) .
100

Più che in severi e duraturi decreti legislativi e in proibizio-


ni esplicite, le cause della progressiva uscita dei castrati dalle scene
italiane in età napoleonica andranno dunque cercate altrove. Se nel
Seicento i nuovi cantori avevano trovato rapidamente una propria
collocazione sociale, divenendo parte della “normalità” quotidiana,

99
In realtà, per il Carnevale 1806 era stato scritturato proprio Crescentini, che
però non aveva poi onorato il contratto (cfr. la sua lettera di scuse al nuovo impre-
sario Antonio Della Somaglia, in I-Mt, Archivio Storico Civico, Autografi, busta 95).
100
Più che le moderne cronologie, che ignorano i ruoli drammatico-vocali, cfr.
G[IUSEPPE] C[HIAPPORI], Serie cronologica delle rappresentazioni drammatico-pantomi-
miche poste sulle scene dei principali Teatri di Milano dall’Autunno 1776 sino all’intero
autunno 1818, coi rispettivi elenchi dei signori poeti, maestri di musica, compositori dei
balli, titoli delle rappresentazioni, primi attori di canto, ec. ec., Milano, Per Giovanni
Silvestri, 1818, ad annos.

CLXXXIII
ANZANI – BEGHELLI

dopo un secolo di crociate ideologiche gli ormai vecchi cantori erano


diventati un corpo estraneo nella mentalità di primo Ottocento, oltre
che un elemento sempre più raro a rinvenirsi, e dunque inusuale. A
fine Seicento il castrato Filippo Bàlatri poteva ben rispondere con
101

ironia alle pruriginose curiosità dello Zar di Russia sulla sua identità
sessuale:

Incomincia dal farmi domandare


se Maschio son o Femmina, e daddove,
se nasce tale Gente (ovvero piove)
con voce e abilitade per cantare.

Rest’imbrogliato allor per dar risposta.


Se Maschio, dico quasi una bugia.
Femmina, men che men dirò ch’io sia;
e dir che son Neutral, rossore costa.

Pure, fatto coraggio alfin rispondo,


che son maschio, Toscano, e che si trova
Galli nelle mie parti che fann’Uova,
dalle quali i Soprani son al Mondo;

che li Galli si nomano Norcini,


ch’annoi le fan covar per molti giorni,
e che, fatt’il Cappon, son gl’Uovi adorni
da lusinghe, carezze, e da quattrini.
102
(D. F. BALATRI, Frutti del mondo, vv. 69-71)

Ma quella imbarazzante neutralità di genere che, a detta di Bala-


tri, avrebbe meglio di ogni altra specifica indicato correttamente il suo
stato di castrato – e che era la causa prima di «lusinghe», «carezze» e
«quattrini», insomma del suo successo sociale e della sua ragion d’es-

101
Dionisio Filippo Balatri (1672-1756) rimase al servizio dello Zar tra il 1691 e il
1701. Le sue memorie sono oggetto del poema autobiografico Frutti del mondo, esperi-
mentati da F. B. nativo dell’Alfea in Toscana datato Monaco 1735 (ms. D-Mbs, Cod.ital.
39/1-2), edito solo due secoli dopo: FILIPPO BALATRI, Frutti del mondo. Autobiografia di
Filippo Balatri da Pisa (1676-1756), a cura di KARL VOSSLER, [Palermo], Sandron, 1924.
Il cantante volle anche stilare uno scritto che ironizzava sulla sua condizione di castrato
al termine della carriera: Testamento (burlesco), o sia Ultima volontà di Filippo Balatri
nativo Alfeo, datato Monaco 1737 (ms. D-Mbs, Cod.ital. 329).
102
D. F. BALATRI, Frutti del mondo cit., cc. 36v-37r.

CLXXXIV
UN SOGGETTO EQUIVOCO AL CREPUSCOLO DEGLI DÈI CASTRATI

sere – a inizio Ottocento non si accordava più con la mentalità rivolu-


zionaria fondata sul recupero di valori trascurati nel Settecento, quali
eroismo e virilità: così verrà salutata la morte dell’ultimo importante
castrato approdato alla Regia Cappella di Torino (il suddetto Angelo
Testori, deceduto il 7 ottobre 1844), in un irriverente epigramma offer-
togli sotto forma di equivoco epitaffio dal giornalista Antonio Baratta:

Preci, o Testori, innalzano


per te ai superni Elisi
quei che da te pendevano
103
e fur da te divisi .

I castrati erano figli di un’epoca storica in cui la differenza tra il


maschile e il femminile risultava assottigliata da una predilezione per
l’ambiguità, evidente soprattutto nelle scelte di moda, che vedevano gli
uomini truccarsi il viso con gli stessi belletti delle donne e vestire con
analoga quantità di trine e merletti . La voce non naturale dei castrati,
104

absoluta da ogni vincolo corporeo, incarnava più d’ogni altro artificio


l’ideale di una indifferenziazione sessuale, o meglio di una devirilizza-
zione della mascolinità, eliminando insieme all’acre fragranza di ormo-
ni maschili anche la flagranza umana:

Il superamento virtuosistico di ogni faticoso limite fisiologico della voce


[...] sublima l’effetto drammatico, e riattinge alla fin fine la mimesi impossi-
bile e ideale del burattino. Il burattino appunto toglie di mezzo quel che c’è
di organico, animale, fastidiosamente umano nella figura del cantante sulla
scena. La musica del Seicento più classicistico, più cartesiano mal tollera il
sudore, la goffaggine dei movimenti, il singhiozzone, e altrettanti impacci a
una «verosimiglianza» che pochissimo si interessa del quotidiano, moltissimo
dell’universale. Per questa musica il Seicento inventò con gioia i castrati, esseri
105
diafani e artificiali fatti di sola voce .

Col recupero sociale della corporeità e della virilità, il divario tra


nuove donne, nuovi uomini e vecchi castrati diverrà giorno dopo gior-

103
Citato in ALBERTO VIRIGLIO, Torino e i torinesi: minuzie e memorie, Torino, S.
Lattes & C., 1898, p. 150.
104
Cfr. GIOVANNI SOLE, Castrati e cicisbei: ideologia e moda nel Settecento italiano,
Soveria Mannelli, Rubbettino, 2008, pp. 31-39.
105
LORENZO BIANCONI, Un dramma per musica, nel 1688, in Flavio Cuniberto, li-
bretto di Matteo Noris, musica di Domenico Gabrielli, programma di sala, Bologna,
Feste Musicali, 1974, pp. 14-19: 19.

CLXXXV
ANZANI – BEGHELLI

no più evidente: fino a quando erano rimasti inseriti in un contesto


in cui la distanza tra maschio e femmina risultava poco visibile, o più
spesso volutamente annullata, anche coloro la cui mascolinità era ine-
vitabilmente compromessa avevano infatti potuto trovare un proprio
spazio sociale; ma ciò non sarà più possibile al cospetto di donne che
avevano cominciato a scoprire spalle e seno indossando gonne strette
alla vita sempre più snella («Quei fianchi son da musico», obietterà
invece Buralicchio nell’Equivoco stravagante, II.4), e soprattutto di uo-
mini che avevano improvvisamente abbandonato boccolose parrucche,
finti nèi e belletti sbiancanti per dar spazio a maschi mustacchi, barba
scura e vistosi basettoni, mentre trine e fronzoli degli abiti erano stati
rimpiazzati da sobrie marsine e braghe a vita alta, ben aderenti ai ge-
nitali 106.
Alla studiata ostentazione delle diversità anatomiche fra uomini e
donne faceva poi da contrasto l’inevitabile caratterizzazione vocale dei
castrati, evidente anche quando non cantavano. Nel citato Ciarlator
maldicente, Albergati prescriveva che l’attore chiamato a interpretare
la parte di «Meneguccio Sfrontati, detto lo Scarpinello, musico Mar-
chigiano» recitasse in falsetto, se non fosse stato un castrato egli stes-
so . Discendendo tale direttiva, come crediamo, dalla volontà d’inse-
107

rire nella rappresentazione teatrale un elemento di adesione alla realtà


(foss’anche in misura accentuata), possiamo allora supporre che la voce
parlata dei castrati risultasse riconoscibile come tale anche al di fuori
delle scene – correlato acustico dei tratti gentili del viso, praticamente
privo di barba per carenza di testosterone: «un cantante senza barba»
dirà Goldoni nelle sue memorie per indicare con un eufemismo il per-
sonaggio del castrato Carluccio che agisce nella commedia L’impresario
delle Smirne ; e, proprio al semplice parlare, Carluccio verrà imme-
108

diatamente identificato come «eunuco» dall’impresario turco (III.2),


ignaro della presenza di castrati sulle scene operistiche italiane (rivedi
il § 2 di questo capitolo).
Altre testimonianze confermano la specificità della loro voce par-

106
Il fenomeno sociale è ben delineato in D. DAOLMI - E. SENICI, «L’omosessualità
è un modo di cantare» cit., pp. 159-161.
107
«Si avverte che questa parte deve essere recitata o da un musico vero, o da un
Attore che per gioventù, e col parlare sempre in falsetto possa parer tale, ma non mai
da una donna vestita da uomo» (F. ALBERGATI CAPACELLI, Il ciarlator maldicente cit., p.
10).
108
«Il y a un Chanteur sans barbe qui le désole, qui le met au désespoir» (Mé-
moires de M. Goldoni, pour servir à l’histoire de sa vie, et à celle de son théâtre, 3 voll.,
Paris, Chez la Veuve Duchesne, 1787, vol. II, p. 251, cap. XXX).

CLXXXVI
UN SOGGETTO EQUIVOCO AL CREPUSCOLO DEGLI DÈI CASTRATI

lata. Questo il dialogo che si legge in una commedia di fine Settecento


(Il maestro di cappella di Giovanni Gherardo De Rossi, 1791), fra Co-
lombina, cameriera in casa di un musicista, e Limoncelli, il castrato di
turno:

COLOMBINA E chi è questo bel giovinotto [...] ? Bisogna, che sia


qualche musico. Quanto mi piacciono questi musici!
Quanto sono più belli di questi altri uominacci pelosi!
Per me, se ho da prender marito, lo voglio senza bar-
109
ba . [...]
LIMONCELLI [...] Vorrei parlare al Sig. Riccardo. [...]
COLOMBINA Non gli parli però con quel vocino così sottile, che non
la sentirà; perché ha un poco le campane grosse.
LIMONCELLI Gli parlerò colla voce, che potrò. Ragazza mia, i toni
bassi non sono il mio forte.
110
(G. G. DE ROSSI, Il maestro di cappella, I.1)

Per il Président de Brosses, prodigo di informazioni sulla dimensio-


ne sociale dei castrati, «Quando si incontrano in un gruppo di persone
si rimane sbalorditi, mentre parlano, a sentire uscire da questi colos-
si una vocetta da bambini» . Gli studiosi che registrarono i suddetti
111

skopcy nel 1907 scrissero della loro voce parlata in termini di «voce
tremolante di registro relativamente acuto, che ricorda quella di un ra-
gazzo in fase di mutazione vocale» . Il letterato Horace Walpole, in
112

viaggio per la campagna toscana, s’imbatté casualmente in Francesco


Bernardi detto Il Senesino (1686-1758), pochi giorni dopo il suo defi-
nitivo ritiro dalle scene operistiche (1740):

109
Par di sentire l’eco della celebre Sesta Satira di Giovenale: «Vi son poi quel-
le che illanguidiscono ai baci lascivi di effeminati eunuchi: niente barba che punga,
nessun pericolo di aborti» («Sunt quas eunuchi inbelles ac mollia semper | oscula de-
lectent et desperatio barbae | et quod abortivo non est opus»: DECIMUS IUNIUS IUVENA-
LIS, Saturae [127 ca.], liber II, Satura VI, vv. 366-368).
110
GIOVANNI GHERARDO DE ROSSI, Il maestro di cappella, in ID., Commedie, vol. II,
Bassano, s. e., 1791, pp. 183-254: 190, 193.
111
«Quand on les rencontre dans une assemblée, on est tout étonné, lorsqu’ils
parlent, d’entendre sortir de ces colosses une petite voix d’enfant» (CH. DE BROSSES,
L’Italie il y a Cent Ans, ou Lettres [familières] cit., vol. II, p. 364). Sulla voce parlata
degli skopcy paragonata a quella di un ragazzo che sta mutando la voce, vedi le note
112 e 142.
112
«Es ist eine relativ hohe, in ihren Tonlagen schwankende Stimme, die an die
eines mutierenden Knaben erinnert» (JULIUS TANDLER - SIEGFRIED GROSZ [GROSS],
Über den Einfluß der Kastration auf den Organismus. II. Die Skopzen, «Archiv für Ent-
wicklungsmechanik der Organismen», XXX, n. 2, 1910, pp. 236-253: 240).

CLXXXVII
ANZANI – BEGHELLI

Scendendo una ripida collina con due miserabili ronzini, uno è caduto
sotto il calesse; e mentre lo stavamo liberando, giunse un calesse con una per-
sona in mantello rosso, fazzoletto bianco sulla sua testa e cappello nero: la
pensammo una vecchia donna grassa; ma parlava in uno stridulo tono acuto, e
113
si è dimostrato essere il Senesino .

Franz Haböck, che incontrò Alessandro Moreschi nel 1914, ne


descrive la voce parlata coi termini «luminosa» e «metallica», il regi-
stro e il carattere sonoro come «di tenore che parli assai in acuto» :
114

l’espressione concorda perfettamente con l’immagine sonora della sua


voce cantata, che secondo Nicholas Clapton corrisponderebbe a quella
di un tenore esageratamente acuto .
115

Quanto a vezzi e difetti caratteristici nel parlare, Jean-Jacques


Rousseau tramanda (1768) che i castrati parlavano e pronunciavano
peggio dei «veri uomini» e che alcune lettere, come la r, non venivano
scandite bene dai più . Impedimento fisiologico o diffuso vezzo sman-
116

ceroso? È curioso notare come ancor oggi il primo tratto linguistico


che si va a intaccare per mettere in caricatura atteggiamenti di scarsa
virilità o ambiguità sessuale nel maschio sia proprio la pronuncia del-
la r, che diviene artificiosamente “moscia” (rotacismo). Doveva essere
cognizione comune anche all’epoca, se Charles Burney si premurava di
smentire (1776) l’errata convinzione che un evirato non sapesse pro-
nunciare la lettera r; e aggiungeva che i difetti di articolazione non era-

113
«Coming down a steep hill with two miserable hackneys, one fell under the
chaise; and while we were disengaging him, a chaise came by with a person in a red
cloak, a white handkerchief on its head, and black hat: we thought it a fat old woman;
but it spoke in a shrill little pipe, and proved itself to be Senesini» (lettera di Horace
Walpole a Richard West, Radicofani, 23 marzo 1740, in The Works of Horatio Walpole,
Earl of Orford, in Five Volumes, vol. IV, London, G. G. e J. Robinson - J. Edwards,
1798, p. 443).
114
«Dieselbe war hell und metallreich und hatte die Lage und den Klangcha-
rakter eines sehr hochsprechenden Tenors» (FRANZ HÄBOCK, Die Kastraten und ihre
Gesangskunst: eine gesangsphysiologische, kultur- und musikhistorische Studie, Stuttgart
- Leipzig, Deutsche Verlags-Anstalt, 1927, p. 126).
115
«A few moments listening to his singing reveals that in terms of vocal tech-
nique the castrato soprano was effectively a tenor singing “impossibly” high, and doing
so in a way that corresponds closely with present-day conceptions of how tenors sang
in the period before the arrival of Duprez. […] Had Moreschi been an alto castrato,
he would have sounded like a baritone or bass singing “an octave too high”» (N. CLAP-
TON, Moreschi cit., pp. 143-144; trad. it. pp. 134-135).
116
«Ils parlent et prononcent plus mal que les vrais hommes, et il y a même des
lettres telles que l’r, qu’ils ne peuvent point prononcer du tout» (JEAN-JACQUES ROUS-
SEAU, Dictionnaire de musique, Paris, Chez la Veuve Duchesne, 1768, pp. 76-77: 77, ad
vocem «Castrato»).

CLXXXVIII
UN SOGGETTO EQUIVOCO AL CREPUSCOLO DEGLI DÈI CASTRATI

no particolarità degli eunuchi più di quanto non lo fossero di ogni altro


essere umano 117.
La patente ambiguità fisica e sonora dei castrati – quell’ambiguità
118

su cui tanto avevano contato compositori e librettisti del Settecento


per creare intriganti giochi di travestimento sessuale sulla scena (dal
metastasiano Achille in Sciro in giù) – era dunque guardata con sospet-
to e disprezzo nel nuovo secolo, mentre la borghesia emergente addi-
tava quei cantanti old style come simbolo estetico del divario sociale
con gli aristocratici, personificazioni dell’artificio Ancien Régime che in
tutto anteponeva l’esibizione dello sfarzo, votato a spese immense per
il soddisfacimento d’un capriccio, così come era disposto a sacrificare
l’integrità di un corpo umano per produrre un mezzo straordinario di
costosissimo divertimento. Il giudizio dello storico ottocentesco, a fe-
nomeno ormai concluso, era categorico e senza appello:

L’opera musicale [assorbiva] enormi capitali, ingoiati inesorabilmente dal-


le ugole elastiche degli evirati usignoli. [...]
Con quegli esseri incompleti e cascanti, dalle ugole perfette, come quelle
che non da natura, ma dall’arte venivano prodotte e perfezionate, non si po-
teva sperare la forza e la robustezza del canto musicale, ma si otteneva invece
quell’esecuzione meccanicamente perfettissima ed incolore di fioriture e dif-
ficoltà d’ogni genere che oggi sembrerebbero del tutto impossibili a potersi
119
eseguire .

Paglicci Brozzi si esprime con sguardo retrospettivo e giudica fa-


cendo una comparazione con i gusti a lui contemporanei (1887), che
pretendevano invece un canto spiegato e di forza; se critica la tendenza
all’artificio tipica del Settecento, sottolinea comunque che non erano

117
«Prejudice has been carried so far as to say, that an Evirato is unable to utter
the letter r; indeed, if an Italian, he will not perhaps snarl that letter in so canine a
manner as some French and English singers do, perhaps to shew their manhood; but
defect of elocution is no more peculiar to eunuchs, than to any other part of the human
species» (CHARLES BURNEY, A General History of Music: From the Earliest Ages to the
Present Period, vol. IV, London, Printed for the Author, 1776, p. 43).
118
Per quella latente, non visibile in società, sono testimoni vari referti medici
dell’epoca, esibiti soprattutto in circostanze processuali (casi di annullamenti matri-
moniali e simili): cfr. ad esempio i documenti citati in HELEN BERRY, The Castrato and
His Wife, Oxford, Oxford University Press, 2011. Sugli aspetti dell’intervento chirur-
gico e le conseguenze sul corpo, cfr. anche GIORGIO APPOLONIA, Il fenomeno della voce
castrata, «Nuova Rivista Musicale Italiana», XXXII, 1998, pp. 164-177: 172-175. La
documentazione medica coeva sarà oggetto di uno studio condotto da Sergio Paciolla
per il volume Inauditi castrati, a cura di MARCO BEGHELLI, in preparazione.
119
A. PAGLICCI BROZZI, Sul teatro giacobino cit., pp. 28 e 31.

CLXXXIX
ANZANI – BEGHELLI

le composizioni musicali di per sé ad essere di cattivo gusto, bensì il


modo di eseguirle da parte dei castrati:

Si sentiva però universalmente che a quella musica divina, a questi maestri


ispirati mancava qualche cosa, e questo qualche cosa era appunto la virilità del
120
concetto, la robustezza dell’esecuzione .

4. Nuovi spazi per le donne

Ben si intuisce come la scarsa virilità cui Paglicci Brozzi faceva ri-
ferimento non fosse solo quella «del concetto». E ne avevano approfit-
tato a piene mani gli impresari che, in quei teatri dello Stato Pontificio
dove le donne non calcavano le scene, impiegavano giovani cantanti
castrati anche a ricoprire le parti di personaggi femminili («giovanetti
eunuchi da donne vestiti, e che per lo più non eccedono gli anni dell’a-
dolescenza per conservare il verisimile») , con tutti gli equivoci che
121

ciò poteva scatenare fra gli spettatori più sensibili: «La credono gallina,
ed è un cappone» (L’equivoco stravagante, II.11). La sublimazione let-
teraria di tale imbarazzante situazione è notoriamente il racconto Sar-
rasine (1830) di Balzac, il cui protagonista s’innamora della cantante in
scena, scoprendo solo tardivamente trattarsi di un castrato . (Appena
122

più sfumata era la situazione nel teatro di parola, dove le parti femmi-
nili venivano assunte a Roma da ragazzini dilettanti, con esiti artistici
spesso disastrosi.)
123

Di questi stravaganti equivoci d’identità avevano approfittato per


contro alcune donne che, non riuscendo a farsi scritturare come tali, si

120
Ibid., p. 31.
121
R. DE’ CALZABIGI, La Lulliade cit., p. 308 («Annotazioni al Canto VI»). Lo stes-
so Velluti aveva debuttato in scena come prima buffa nel 1798, in occasione dello spet-
tacolo inaugurale del nuovo Teatro di Jesi.
122
Cfr. l’analisi fattane da ROLAND BARTHES, S / Z, Paris, Seuil, 1970; trad. it. S / Z,
Torino, Einaudi, 1973.
123
Famoso è il passo delle sue memorie in cui Goldoni, giunto appena a Roma
(1758), assiste alle prove della Vedova spiritosa: «Si comincia: Donna Placida e Don-
na Luigia. Erano due giovani romani: un garzone di Parrucchiere e un apprendista
Falegname. || Oh Cielo! che declamazione caricata! quale goffaggine nei movimenti!
nessuna verità, nessuna intelligenza; parlo in generale sul cattivo gusto della loro decla-
mazione» («On commence; Donna Placida & Donna Luigia; c’étoient deux jeunes Ro-
mains, un garçon Perruquier & un Apprentif Menuisier. || Oh Ciel! quelle déclamation
chargée! quelle gaucherie dans les mouvemens! point de vérité, point d’intelligence; je
parle en général sur le mauvais goût de leur déclamation»: C. GOLDONI, Mémoires cit.,
pp. 301-302).

CXC
UN SOGGETTO EQUIVOCO AL CREPUSCOLO DEGLI DÈI CASTRATI

fingevano castrati, strappando così agli impresari anche una remunera-


zione più alta. Fuori dalla scena (nella vita reale, ovvero nella finzione
letteraria), anche per loro il rischio dell’equivoco sentimentale era die-
tro l’angolo, stante l’archetipo shakespeariano di Viola che si fa passa-
re per l’eunuco Cesario nella Dodicesima notte (1600 ca.), suscitando
l’interesse tanto del Duca Orsino quanto della Contessa Olivia: c’è il
caso di Teresa Lanti, che canta in scena fingendosi il castrato Bellino
e invaghisce l’impenitente Casanova (1744) ; c’è quello di Hildegard
124

von Hohenthal, che nell’omonimo romanzo di Wilhelm Heinse (1796)


canta “da castrato” al Teatro Argentina di Roma sotto il nome d’arte
«Passionei», suscitando l’interesse di un nobiluomo inglese 125; analoga-
mente, la protagonista della comédie-vaudeville Le Soprano di Scribe
e Mélesville (1831) si fa passare per il castrato Gianino, ammaliando
con la voce Le Cardinal de Trivoglio e con il corpo il di lui nipote, Le
Prince de Forli 126.
La situazione opposta, quella cioè di un personaggio con tutti gli
attributi virili che si finge un castrato, pare invece possibile solo nel-
la finzione operistica, là dove i protagonisti maschili dell’opera seria
erano in sé veri castrati professionisti e potevano dunque con tutta
verosimiglianza impersonare sedicenti evirati: è il caso ad esempio di
«Arbante, Principe di Tebe, sotto nome d’Ormondo, finto Musico,
e Pittor forestiero» nell’Igene Regina di Sparta di Aurelio Aureli e
Carlo Francesco Pollarolo (Vicenza 1708) , parte scritta su misura
127

124
Vicenda narrata a più riprese in GIACOMO CASANOVA DE SEINGALT, Histoire de
ma vie [1790-98, opera postuma], 6 voll., Wiesbaden - Paris, Brockhaus - Plon, 1960-
1962, passim (su cui cfr. VALENTINA ANZANI, Castrato per amore: Casanova, Salimbeni,
Farinelli e il misterioso Bellino (Bologna 1740), in Il Farinelli ritrovato cit., pp. 75-100).
125
WILHELM HEINSE, Hildegard von Hohenthal [1796], in Hildegard von Hohen-
thal: Musikalische Dialogen, a cura di WERNER KEIL, Hildesheim, Georg Olms Verlag,
2002, pp. 7-255 (un ringraziamento a Kordula Knaus per la segnalazione di questo
testo).
126
EUGÈNE SCRIBE - MÉLESVILLE [AIMÉ-HONORÉ-JOSEPH DUVEYRIE], Le Sopra-
no, comédie-vaudeville en un acte, représentée pour la première fois, à Paris, sur
le Théâtre du Gymnase-Dramatique, le 30 Novembre 1831, Paris, Pollet, 1831 (un
ringraziamento ad Albert Gier per la segnalazione di questo testo). Nella traduzione
inglese di Norman R. Shapiro The Castrata (in A Flea in Her Rear, or Ants in Her Pants
and Other Vintage French Farces, New York, Applause Books, 1994), la commedia ha
trovato nuova fortuna teatrale.
127
Libretto a stampa: «IGENE REGINA DI SPARTA, drama per musica di Aurelio Au-
reli, da recitarsi nel Teatro Nuovo di Piazza in Vicenza in tempo della Fiera di Maggio
l’Anno 1708, consacrato all’Illustriss. & Eccellentiss. Signori Gio. Duodo Podestà et
Antonio Francesco Farsetti Capitanio, degnissimi Rettori della Città», Venezia, Per
Antonio Bortoli, 1708.

CXCI
ANZANI – BEGHELLI

del celebre castrato Nicola Grimaldi detto Il Nicolino; oppure «Ar-


rigo, Cavalier di Sicilia, amante di Valeria, finto Musico» nella Forza
d’amore di Lorenzo Burlini e di nuovo Pollarolo (Venezia 1697) ,
128

che millanta un falso stato per potersi avvicinare alla sua dama ra-
pita dal Re di Siracusa; oppure «Orgonte, Principe di Tracia, sotto
nome di Sifalce, finto Musico, Amante di Agarista» negli Inganni fe-
lici di Apostolo Zeno e ancora Pollarolo (Venezia 1695) 129, a sua vol-
ta amato da «Oronta, Principessa della Tessaglia, finta Astrologo in
abito da uomo, sotto il nome di Alceste», ugualmente credibile nel
suo falso stato in un ecosistema canoro dove gli uomini cantano ben
spesso con voce femminile. Ma, al di fuori di tale ambiente, l’uomo
che simula l’eunuco volge immediatamente in farsa, all’epoca quanto
oggigiorno, come avviene nel film Le voci bianche di Pasquale Festa
Campanile e Massimo Franciosa (1964), il cui intraprendente prota-
gonista si finge castrato sfruttando la voce di falsetto – e dunque un
castrato vocalmente di quart’ordine – per assumere tutti i privilegi
sociali degli evirati cantori (in particolare per essere libero di amoreg-
giare con le donne della nobiltà romana, perfettamente complici nella
cornificazione dei rispettivi mariti).
Ebbene, pur nel genere farsesco, se gli inganni dell’occhio e della
mente non fossero stati all’ordine del giorno non avrebbe avuto ragio-
ne quello ordito da Frontino contro Buralicchio nel nostro Equivoco
stravagante. Fino a prova contraria, il libretto di Gasbarri non vanta
un modello letterario specifico di riferimento, ma – stante la stereotipia
di “caratteri” e “situazioni” che caratterizza l’opera buffa coeva – si
limita a reiterare gli equivoci dei travestimenti così come da sempre se
n’erano operati in teatro e – entro certi limiti – anche nella vita reale.
Ma questo deve pur significare un’altra cosa. Tralasciando l’eccellen-
za di castrati come Farinelli o Carestini, Pacchierotti o Marchesi – eccel-
lenti per tecnica vocale, per stile esecutivo, per efficacia espressiva – la
resa sonora di un castrato medio non doveva essere poi troppo distante,
in termini timbrici, da quella di una cantante femminile media (media in

128
Libretto a stampa: «LA FORZA D’AMORE, drama per musica da rappresentarsi
nel Teatro di SS. Gio. e Paulo l’Anno 1697, dedicato all’Illustriss. & Eccell. Sig. Duca
Francesco Bonelli, Duca di Salci, e Montanara, Marchese di Cassano, Conte del Bosco,
Signor di San Pietro, e Capitano d’Huomini d’armi nello Stato di Milano &c.», Vene-
zia, Per il Nicolini, 1697.
129
Libretto a stampa: «GL’INGANNI FELICI, drama per musica da recitarsi nel Tea-
tro di S. Angelo l’Anno M.DC.XCVI. consacrato all’Illustrissimo Signor Don France-
sco Girolamo Cravena, Marchese di S. Giorgio», Venezia, Appresso il Nicolini, 1696.

CXCII
UN SOGGETTO EQUIVOCO AL CREPUSCOLO DEGLI DÈI CASTRATI

un range che, allora come oggi, andava dal contralto profondo al sopra-
no iperacuto, dal timbro soave a quello petroso, dalla voce esile a quella
matronale): non si spiegherebbero altrimenti i casi di fraintendimento
negli ascoltatori dell’epoca. La differenza doveva imporsi piuttosto in
termini di qualità artistica di base, dovuta a un diverso training didatti-
co: i giovani castrati avevano infatti il privilegio di poter essere seguiti da
un esperto maestro per molte ore al giorno e nel corso di molti anni, di-
versamente da quanto accadeva alle ragazze, che assecondavano la pre-
disposizione naturale con ben poche lezioni di canto, per l’impossibilità
di trascorrere tempi prolungati a contatto con maestri dell’altro sesso
(senza contare le occasioni di crescita culturale e intellettuale offerte ai
maschi in misura superiore che alle femmine, sin dalla prima età). Non
mancavano comunque le eccezioni. Il caso di Nancy Storace, che, istrui-
ta da Sacchini, sapeva imitare in scena la voce di Luigi Marchesi è esem-
plificativo di quanto le due vocalità potessero avvicinarsi, se l’istruzione
impartita era adeguata, e di quanto un castrato potesse ritenersi minac-
ciato dalla concorrenza di una donna rivale:

[Nel 1789 Nancy Storace] andò a Firenze, dove il famoso soprano Mar-
chesi era scritturato al Teatro della Pergola. All’epoca lui era all’apice del suc-
cesso e pendeva dalle sue labbra non solo tutta Firenze, ma, si può dire, tutta
la Toscana. La Storace era scritturata per interpretare la seconda donna nelle
sue stesse opere; e all’episodio che andiamo a raccontare, ben conosciuto in
tutto il continente, lei deve l’immediata svolta della sua professione.
Bianchi aveva composto la famosa cavatina «Sembianza amabile | del mio
bel sole» [per l’opera Castore e Polluce], che Marchesi cantava con gusto in-
cantevole; in un passaggio improvvisò una volata cromatica di [più] ottave
conferendo all’ultima nota una tale potenza e forza mirabili, da meritarle in se-
guito l’appellativo a tutti noto di La Bomba del Marchesi! Subito dopo questa
aria, la Storace ne aveva da cantare un’altra, ed era determinata a dimostrare
al pubblico come anche lei fosse in grado di lanciare una bomba sul campo di
battaglia. Ci provò, e vi riuscì, fra l’ammirazione e lo stordimento del pubbli-
co, ma provocando la costernazione del povero Marchesi. Campigli, l’impre-
sario, le chiese di non farlo più, ma lei si rifiutò con decisione, affermando di
avere il buon diritto di esibire la potenza della propria bomba come chiunque
altro. La contesa ebbe termine con la dichiarazione di Marchesi che se lei non
avesse lasciato il teatro, l’avrebbe fatto lui stesso; e per quanto ingiusto fosse,
l’impresario fu obbligato a mandarla via e scritturare un’altra donna che non
130
fosse tanto ambiziosa da esibire una bomba .

130
«[Nancy Storace] went to Florence, where the celebrated soprano singer
Marchesi was engaged at the Pergola theatre. He was then in his prime, and attracted

CXCIII
ANZANI – BEGHELLI

Il soprano femminile in vece del castrato non era soltanto un fur-


bo escamotage di qualche cantante truffatrice o di impresari senza scru-
poli: era la soluzione più naturale per portare in scena un personaggio
maschile con parte da soprano o da contralto, ogniqualvolta non fosse
disponibile in compagnia un castrato. Con l’improvvisa loro penuria a
inizio Ottocento, quella che era stata fin allora l’eccezione divenne in
breve la regola (l’eccezione, negli anni ’10 e ’20, era semmai poter sentire
Velluti). Le donne contralto che già usavano riprender le parti scritte ori-
ginariamente per Marchesi o Crescentini divennero a loro volta destina-
tarie di parti originali che conservavano però in sé la medesima androgi-
nia drammaturgica: personaggio maschile incarnato da voce femminile.
Cambiava sostanzialmente il corpo (e in certi casi neppure più di tanto,
fra un castrato effeminato e una donna mascolina), ma non doveva cam-
biare sostanzialmente la voce. Ciò che mutava – e doveva essere cosa de-
terminante agli occhi della nuova generazione di spettatori – era invece il
presupposto sociale: l’ambiguità sessuale sussisteva soltanto scenicamen-
te, come convenzione drammaturgica e dunque fittizia (la donna Maria
Marcolini che interpreta per Rossini l’uomo Ciro o l’uomo Sigismondo),
senza più alcun risvolto fisico o psicologico in chi cantava come in chi
ascoltava; un’ambiguità più per la mente che per i sensi.
Molte donne contralto d’inizio Ottocento erano per altro state al-
lieve di castrati, e di questi avevano ereditato apertamente non solo
ruoli drammatici e parti musicali, ma anche peculiarità canore . I con-
131

not only all Florence, but I may say all Tuscany. Storace was engaged to sing second
woman in his operas; and to the following circumstance, well known all over the con-
tinent, did she owe her sudden elevation in her profession. Bianchi had composed the
celebrated cavatina «Sembianza amabile del mio bel sole», which Marchesi sung with
the most ravishing taste; in one passage he ran up a voletta of semitone octaves, the
last note of which he gave with such exquisite power and strength, that it was ever
after called La Bomba del Marchesi! Immediately after this song, Storace had to sing
one, and was determined to show the audience that she could bring a bomba into the
field also. She attempted it, and executed it, to the admiration and astonishment of the
audience, but to the dismay of poor Marchesi. Campigli, the manager, requested her
to discontinue it, but she peremptorily refused, saying that she had as good a right to
shew the power of her bomba as any body else. The contention was brought to a close
by Marchesi’s declaring that if she did not leave the theatre, he would; and unjust as
it was, the manager was obliged to dismiss her, and engage another lady, who was not
so ambitious of exhibiting a bomba» (MICHAEL KELLY, Reminiscences of Michael Kelly,
of the King’s Theatre, and Theatre Royal Drury Lane, Including a Period of Nearly Half
a Century, vol. I, London, Colburn, 1826, pp. 97-98). Un ringraziamento a Saverio
Lamacchia per la segnalazione di questo episodio.
131
Cfr. MARCO BEGHELLI - RAFFAELE TALMELLI, Ermafrodite armoniche: il contralto
nell’Ottocento, Varese, Zecchini Editore, 2011, p. 111.

CXCIV
UN SOGGETTO EQUIVOCO AL CREPUSCOLO DEGLI DÈI CASTRATI

temporanei furono perfettamente consapevoli di tale avvicendamento


storico:

Questa rivoluzione musicale e ragioni più gravi di convenienza e d’uma-


nità fecero sparire i castrati dall’opera italiana. Gli ultimi due che abbiamo
sentito in Europa furono Crescentini e Velluti, che cantava ancora a Londra
nel 1826. Rossini li ha sostituiti con i contralti femminili: e, così come si
erano trovati ammirevoli virtuosi che avevano diffuso in Europa le creazio-
ni dei maestri italiani del XVIII secolo, sorse un’intera famiglia di cantanti
straordinarie che hanno reso il medesimo servizio ai capolavori della nuova
scuola musicale. La Gafforini, la Malanotte, la Marcolini, la Mariani, la si-
gnora Pisaroni, la signora Pasta e la signora Malibran, sono le principali
rappresentanti di questo gruppo di contralti che ha esercitato una notevole
influenza sul talento di Rossini. A questo gruppo appartiene anche la signo-
132
ra Alboni .

Maria Marcolini (1780 ca. - post 1820) era dunque uno di tali con-
tralti che emulavano i castrati. Sulla sua figura, sulla sua voce e perso-
nalità fu costruita la parte drammatica e musicale di Ernestina nell’E-
quivoco stravagante: la scelta del soggetto giunse infatti ben dopo la
formazione della compagnia di canto, come dimostra il cartellone di
presentazione della Stagione d’Autunno 1811 al Teatro del Corso di
Bologna, che ancora tace il titolo della seconda opera buffa (cfr. il cap.
I, § 6 di questo volume). Specializzata in parti serie en travesti, la Mar-
colini amava anche i soggetti comici che le consentissero occasionali
travestimenti maschili o comunque atteggiamenti virileggianti : La
133

dama soldato di Ferdinando Orlandi era nel suo repertorio, e nell’Equi-

132
«Cette révolution musicale et des raisons plus graves de convenance et d’hu-
manité firent disparaître les castrats de l’opéra italien. Les deux derniers qu’on ait en-
tendus en Europe furent Crescentini, et Veluti, qui chantait encore à Londres en 1826.
Rossini les remplaça par des contralti féminins: et, de même qu’il s’était trouvé d’admi-
rables virtuoses pour propager dans toute l’Europe la création des maîtres italiens du
dix-huitième siècle, il se forma toute une famille de chanteuses incomparables qui ren-
dirent le même service aux chefs-d’œuvre de la nouvelle école musicale. La Gaforini,
la Malanotte, la Marcolini, la Mariani, madame Pisaroni, madame Pasta et madame
Malibran, tels sont les principaux représentants de ce groupe de contralti qui exer-
cèrent sur le talent de Rossini une influence remarquable. C’est à ce groupe aussi que
se rattache mademoiselle Alboni» (PAUL SCUDO, L’Art du chant en Italie. Les Contralti.
Mademoiselle Alboni, in Critique et littérature musicale, [Première série], Paris, Victor
Lecou, 1852, pp. 93-115: 105-106).
133
Cfr. SAVERIO LAMACCHIA, Maria Marcolini contralto: profilo, documenti d’ar-
chivio e antologia delle recensioni, in Malibran. Storia e leggenda, canto e belcanto nel
primo Ottocento italiano, Atti del convegno (Bologna, Accademia Filarmonica, 30-31
maggio 2008), a cura di PIERO MIOLI, Bologna, Pàtron, 2010, pp. 329-391: passim.

CXCV
ANZANI – BEGHELLI

voco stravagante – così come nella successiva Pietra del paragone che ne
eredita molta musica – viene indotta a indossare abiti militari e come
tale è scambiata per uomo. È dunque significativo che – pur con tutte
le attenuanti della finzione scenica – basti un sospetto instillato all’o-
recchio del promesso sposo Buralicchio perché Ernestina/Marcolini
sia da lui creduta un vero castrato vestito da donna:

BURALICCHIO Che briccone! al vederlo


sembra proprio una donna tale, e quale.
Ma voglio vendicarmi.
Corro dal Comandante
della Colonna mobile
che qui alloggiato sta,
e la vo’ accomodar come che va.
Di desertor si tratta.
Lo condurran fra poco in casa matta.
(G. GASBARRI, L’equivoco stravagante, II.5)

5. Esclusi dalle scene e dalle cantorie

Abbandonate le velleità teatrali, il presunto castrato Ernesto dell’E-


quivoco stravagante era stato dunque segregato in vesti femminili (di
nuovo la conferma – perlomeno “letteraria” – che un siffatto travesti-
mento potesse essere ritenuto plausibile) per evitargli il servizio milita-
re. L’invenzione andava però qui oltre la realtà: la castrazione era infatti
uno dei motivi di esclusione dagli eserciti, e non solo napoleonici. Ne-
gli elenchi dei registri di leva d’inizio Ottocento, ricorre in Italia con
una certa frequenza l’annotazione «musico», a indicare il motivo dell’e-
sonero: non ‘musicista’ bensì, eufemisticamente, ‘castrato’, e senza che
ciò significasse necessariamente ‘cantante di professione’ 134. Altre volte
è la qualifica di «impotente» che sembra doversi riferire alla medesima
mutilazione : indicata fra i «segni apparenti» che comportano l’esclu-
135

134
Cfr. MARCO BEGHELLI, Marche, terra di castrati, in Cantante di Marca, Atti del
convegno (Macerata, 12-14 novembre 1999), a cura di ELISABETTA PASQUINI, Urbino,
QuattroVenti, 2003 («Quaderni musicali marchigiani», n. 10), pp. 23-36: 27 n.
135
Cfr. ad esempio la Lista dei coscritti della prima classe, chiamati dalla Legge
13 agosto 1802, anno I, Coscrizione dal 17 aprile fino al 16 maggio 1803 (I-Bas, Con-
siglio Dipartimentale e Distrettuale di Leva, Serie VII, 1): su oltre mezzo migliaio di
ventenni esaminati, solo due (ovvero, ben due) risultano registrati con l’etichetta di
«impotente».

CXCVI
UN SOGGETTO EQUIVOCO AL CREPUSCOLO DEGLI DÈI CASTRATI

sione (accanto a «cieco», «storpio», ecc.), non si ravvisa infatti altra


modalità di stabilire l’impotentia generandi al semplice esame obiettivo
di un giovane ragazzo, se non verificando l’assenza dei testicoli trami-
te palpazione (restavano dunque escluse, allora come un secolo dopo,
menomazioni funzionali dovute a cause non chirurgiche: vedi al propo-
sito la triste storia di Lily Dan, nome d’arte di un “castrato ormonale”
cui verrà negata la carriera operistica in epoca fascista, ma non l’arruo-
lamento in periodo di guerra) .
136

La famosa Legge di Coscrizione militare (Milano, 13 agosto 1802),


che istituì la leva obbligatoria nella Repubblica Italiana, non indica-
va invero eccezioni fra «tutti i Nazionali dall’età di 20 anni compiuti
a quella di 25 terminati» . Le Istruzioni applicative stabilivano tut-
137

tavia:

Art. VII: I regolamenti militari escludono dall’attività nell’armata i muti-


lati, i viziati negli arti principali, i ciechi, i muti e i sordi, i gobbi, gli storpj e
tutti coloro che sono affetti da vizj organici ed incurabili. L’Amministrazione
comunale fa esaminare da un medico e da un chirurgo chiunque creda di esse-
re nelle circostanze del paragrafo precedente, e riferisce la loro dichiarazione
138
nella decima colonna .

La castrazione, da sempre considerata una mutilazione corporea, ri-


entrava evidentemente nella casistica generale delle esclusioni. Solo
nei successivi regolamenti militari del restaurato Regno delle Due Si-
cilie troveremo esplicitata «L’evirazione per castrazione completa o
per amputazione del pene», all’interno della Tabella delle imperfezio-
ni fisiche esimenti dal servizio militare dell’armata 139. Forse era realtà
storicamente più sentita a Napoli che altrove, in quella Napoli dove
già nel 1806 era stata proibita ai castrati la loro stessa naturale voca-

136
Storia raccontata da RAFFALE TALMELLI, Ricordi di Lily Dan, in M. BEGHELLI -
R. TALMELLI, Ermafrodite armoniche cit., pp. 195-210.
137
Bollettino delle Leggi della Repubblica Italiana, I: «Dalla Costituzione procla-
mata nei Comizj in Lione al 31 dicembre 1802», n. 11, Milano, Presso Luigi Veladini
Stampatore Nazionale, [1802], pp. 234-252: 236.
138
Istruzioni alle Autorità amministrative sulla formazione regolare ed uniforme
delle liste dei Coscritti in esecuzione della Legge 13 agosto 1802, reperibili ad esempio in
I-Bas, Consiglio Dipartimentale e Distrettuale di Leva, serie XII, 1.
139
Cfr. ad esempio il Regolamento per la esecuzione della leva dell’anno 1819 (Na-
poli, 9 novembre 1818), in Collezione delle Leggi e de’ Decreti reali del Regno delle Due
Sicilie. Anno 1818. Semestre II. Da Luglio a tutto Dicembre, n. 161, Napoli, Dalla Reale
Tipografia della Cancelleria Generale, 1818, pp. 325-338: 333.

CXCVII
ANZANI – BEGHELLI

zione musicale, impedendo «l’ammissione degli eunuchi» al conser-


vatorio .
140

Condizione necessaria ma non sufficiente per diventare un evirato


cantore, la castrazione lasciava dietro di sé molti tentativi falliti:

A volte la voce dei castrati cambia al momento muta [in pubertà], oppure
si abbassa con gli anni, e da soprano che era, diventa contralto. Non è raro
che, nella pubertà, la perdano addirittura del tutto; sicché non resta loro più
141
nulla del baratto fatto, e l’affare si dimostra assai svantaggioso .

(La persistenza di una mutazione vocale, benché lenta e tardiva, anche


fra i castrati sembra essere confermata dall’osservazione degli skopcy:
«La voce dei castrati oscilla in altezza e timbro, suona come quella
di un ragazzo in fase di mutazione. Nell’anziano diventa un po’ più
grave» .) In caso di perdita delle facoltà canore, al castrato non re-
142

stava che adattarsi a quanto il mondo offriva ai comuni mortali, con


l’aggravante però di una condizione individuale di marginalità sociale.
Calzabigi, nell’ironica Lulliade (1789), vi scherzava sopra per bocca di
cinici interlocutori:

A tutto sono idonei costoro, qualora per disgrazia rarissima non riescono
nel canto: ponno esercitar qualunque arte e occupar qualunque carica e im-
piego, se si eccettui quello della milizia. E la Santa Chiesa cattolica non gli ha
nemmeno esclusi (come farlo non poteva senza ingiustizia) dalla nobilissima e
143
rispettabilissima dignità del sacerdozio .

140
Disposizione del 27 novembre 1806 (cfr. l’Indice generale-alfabetico della Col-
lezione delle Leggi e dei Decreti per il Regno delle Due Sicilie distinto per materie con
ordine cronologico dall’anno 1806 a tutto il 1836, a cura di DOMENICANTONIO VACCA,
Napoli, Stamperia dell’Ancora, 1837, p. 189).
141
«Quelquefois la voix des châtrés change à la mue, ou baisse en vieillissant, et
devient contralto, de soprano qu’elle était. Il n’est pas rare qu’ils la perdent tout à fait
à la mue; de sorte qu’il ne leur reste rien en retour du troc, marché tout à fait désavan-
tageux» (CH. DE BROSSES, L’Italie il y a Cent Ans, ou Lettres [familières] cit., vol. II, p.
364).
142
«Die Kastratenstimme schwankt in Tonhöhe und Timbre, sie hört sich an wie
die eines mutierenden Knaben. Im Alter wird sie etwas tiefer» (J. TANDLER - S. GROSZ,
Über den Einfluß der Kastration auf den Organismus cit., p. 249).
143
R. DE’ CALZABIGI, La Lulliade cit., p. 223, «Annotazioni al Canto II». Alcuni
castrati presero effettivamente i voti, giungendo anche fino al sacerdozio, nonostan-
te la proibizione biblica: «Parla ad Aronne e digli: Nelle generazioni future nessun
uomo della tua stirpe, che abbia qualche deformità, potrà accostarsi ad offrire il
pane del suo Dio; perché nessun uomo che abbia qualche deformità potrà accostar-
si: né il cieco, né lo zoppo, né chi abbia il viso deforme per difetto o per eccesso, né
chi abbia una frattura al piede o alla mano, né un gobbo, né un nano, né chi abbia

CXCVIII
UN SOGGETTO EQUIVOCO AL CREPUSCOLO DEGLI DÈI CASTRATI

In realtà, doveva già considerarsi un successo quando l’intervento


non conduceva il bambino a morte per infezione . Se sopravviveva,
144

e la voce pure, anche in mancanza delle caratteristiche di ecceziona-


lità richieste a un primo uomo dell’opera, restavano a disposizione le
“seconde parti” maschili, quasi sempre presenti nei drammi per mu-
sica settecenteschi, che allineavano in locandina due musici (cfr. § 1).
A molti castrati davano accoglienza le cappelle musicali ecclesiasti-
che, numerosissime in Italia, sia con impieghi fissi (anche come soli-
sti), sia con ingaggi occasionali a rimpolpare le fila dei cori in partico-
lari circostanze solenni. Burney azzarda che a cantare in chiesa erano
solo «gli scarti dei teatri d’opera», contingenza che in Italia andava a
detrimento della qualità delle esecuzioni di musica sacra, essendo di
fatto «molto raro imbattersi in una voce tollerabile nell’organico di
qualunque chiesa italiana» 145.
Al di là degli esiti artistici, restava poi l’imbarazzo di ascoltare in
chiesa le stesse “voci d’angelo” che caratterizzavano sempre più il tea-
tro; e talvolta erano proprio i medesimi divi del palcoscenico a prestar-
si per qualche mottetto virtuosistico in occasione di festività religiose,
venendone spesso ben remunerati. Già a metà Seicento, con un’iper-
bole, tuonava Salvator Rosa nella sua prima Satira:

E fin dentro alle chiese a questi allocchi


s’aprono i nidi; i profanati tempj
146
scemano in parte il vituperio a’ socc[h]i .

E pur è ver che con indegni esempj


diventano bestemmie a’ giorni nostri
di Dio gl’Inni, e li Salmi in bocca agl’empj.

una macchia nell’occhio o la scabbia o piaghe purulente o sia eunuco» (Lev. 21.16-
20; ma la Vulgata Clementina in vece di «eunuco» diceva «herniosus»). Vedi anche
nota 151.
144
Cfr. G. APPOLONIA, Il fenomeno della voce castrata cit., p. 175.
145
«Indeed all the musici in the churches at present are made up of the refuse of
the opera houses, and it is very rare to meet with a tolerable voice upon the establish-
ment in any church throughout Italy. The virtuosi who sing there occasionally, upon
great festivals only, are usually strangers, and paid by the time» (CHARLES BURNEY, The
Present State of Music in France and Italy, or The Journal of a Tour Through Those
Countries, Undertaken to Collect Materials for a General History of Music, London,
Printed for T. Becket and Co., 1771, pp. 303-304).
146
Ai teatri, per sineddoche, essendo il socco la calzatura utilizzata nell’antichità
dai commedianti.

CXCIX
ANZANI – BEGHELLI

147
Che scandalo è il sentir ne’ sacri Rostri
148
grunnir il Vespro, ed abbaiar la Messa,
149
raggiar la Gloria, il Credo, e i Pater nostri.
[…]
Chi vidde mai più la Modestia offesa?
150
Far da Filli un Castron la sera in palco,
151
e la mattina il Sacerdote in Chiesa!
152
(S. ROSA, La Musica, vv. 184-192; 205-207)
Ironia della storia, i castrati attratti in Italia per soddisfare le esi-
genze musicali della Chiesa (far polifonia sacra durante i riti, senza ri-
correre alle donne) e convertitisi solo successivamente al più remu-
153

nerativo sistema teatrale, venivano ora considerati immorali proprio in


quei servizi liturgici che ne avevano giustificata l’importazione da altre
società e la rapida diffusione a macchia d’olio, non solo in Italia. La
cultura napoleonica, escludendo i castrati dai teatri ma non dalle chie-
se, riportava dunque la situazione all’origine, senza risolvere quello che
molti ritenevano essere un abominio teologico, vale a dire l’ingaggio
di castrati nelle fiorenti cappelle musicali ecclesiastiche: una prospet-
tiva allettante sul piano economico e sociale, che favoriva fatalmente
l’incremento della castrazione infantile fra le famiglie povere (si veda
al § 6 ciò che avverrà anche in casa Rossini). La posizione ufficiale di
Santa Romana Chiesa era stata sempre ambigua, perché se è vero che
già l’Antico Testamento stigmatizzava la mutilazione genitale (Deut.
23.2: «Non entrerà nella comunità del Signore chi ha il membro con-

147
Nella tribuna del presbiterio, per associazione con la tribuna degli oratori nel
Foro Romano, denominata appunto “i rostri” (rostra).
148
Ovvero: grugnir.
149
Ovvero: ragliar.
150
Fillide (Filli), classico nome arcadico femminile, comune a tante cantate e ope-
re pastorali.
151
Era infatti possibile vedere e sentire castrati non solo in teatro, ma pure all’al-
tare (sui castrati ammessi al sacerdozio, rivedi nota 143). L’affermazione si potrebbe
comunque anche interpretare in senso lato: seppur laici, nel momento in cui intonano
le parole del rito sacro con funzione ministeriale i cantori sono investiti del ruolo di
officianti; ed ecco il termine «Sacerdote» usato per estensione semantica. Dal medesi-
mo principio teologico discendeva il motivo per cui le donne, non essendo autorizzate
a officiare il servizio divino, fino al 1967 (cioè fino alle riforme del Concilio Vaticano
II) non poterono ufficialmente neppure cantare nella schola cantorum durante la Messa
(cfr. nota 153 e il § 6 di questo capitolo).
152
S. ROSA, La Musica cit., pp. 10-11.
153
Una carrellata sulle disposizioni pontificie che nei secoli hanno motivato e re-
golato la presenza dei castrati e l’assenza delle donne per il canto nelle chiese cattoliche
è in V. ANZANI, Castrato per amore cit., pp. 82-86.

CC
UN SOGGETTO EQUIVOCO AL CREPUSCOLO DEGLI DÈI CASTRATI

tuso o mutilato») , il Vangelo esaltava però coloro «che si sono fatti


154

eunuchi per il regno dei cieli» (Mat. 19.12), elogio ambiguo, con cui
poteva essere giustificata tanto l’amputazione autoinflittasi dal teologo
Origene o quella subita dal filosofo Pietro Abelardo (ricordato anche
da Ermanno, nell’Equivoco stravagante I.7, come esempio degno d’i-
mitazione), quanto l’operazione chirurgica comminata ai bambini dei
conservatori musicali per farne angeli senza sesso atti a cantare le glorie
di Dio: è infatti indubitabile che proprio la Chiesa, con le sue varie
proibizioni alle donne da un lato, con lo sfruttamento a 360° dei castra-
ti disponibili dall’altro, finì per favorire la castrazione in Italia più di
ogni altra istituzione o potere civile:
I papi sono stati i primi che alla fine del XVI secolo hanno introdotto o
tollerato nelle loro cappelle i castrati, allorché erano ancora sconosciuti nei te-
atri e nelle chiese italiane. […] Quando Innocenzo XI e altri papi impedirono
alle cantanti e alle attrici di calcare le scene dello Stato Pontificio, dovevano
avere completamente perduto il senso della realtà per non rendersi conto che
155
sarebbero stati i castrati ad assumere i loro ruoli .

Per tacere poi dei danni morali che i castrati producevano sullo stesso
clero, che trovava in essi un surrogato alle donne negate agli ecclesiastici:

Quanto all’Opera, [a Roma] è assolutamente dello stesso genere di quanto


ho assistito a Firenze, con qualche inconveniente in più. Infatti, cosa ci può
essere di divertente in un’opera in cui si sentono solo uomini e da cui le donne
sono bandite? Che illusione può fare, ad esempio, la morte di Cesare, veden-
do il ruolo di Marco Antonio affidato a un castrato? Che divertimento ci può
essere in un balletto allorché la prima ballerina è un ragazzo? Se si temeva di
far apparire belle attrici davanti alla folla di giovani ecclesiastici che popolano

154
Così nella Bibbia di Gerusalemme, Bologna, Edizioni Dehoniane, 1971, p. 368.
Secondo la Vulgata Clementina (1592): «Non intravit eunuchus, attritis vel amputatis
testiculis et abscisso veretro, ecclesiam Domini» (Deut. 23.1). Per un esaustivo studio
sulle implicazioni teologiche della castrazione nella storia della cristianità, si rimanda a
PETER BROWE, Zur Geschichte der Entmannung: eine religions- und rechtsgeschichtliche
Studie, Breslau, Müller & Seiffert, 1936.
155
«Die Päpste waren doch die ersten, die am Ende des 16. Jahrhunderts die
Kastraten, als sie auf den Theatern und in den anderen italienischen Kirchen noch
unbekannt waren, in ihre Kapelle eingeführt oder da geduldet haben. […] Wenn Inno-
zenz XI. und andere Päpste anordneten, daß Sängerinnen und Schauspielerinnen auf
den Bühnen des Kirchenstaates nicht mehr auftreten dürften, so müßten sie doch zum
Leben keine Beziehung gehabt haben, wenn sie nicht erfahren hätten, daß Kastraten
deren Rollen übernahmen» (P. BROWE, Zur Geschichte der Entmannung cit., p. 102).
Sulla proibizione cfr. ALESSANDRO ADEMOLLO, I teatri di Roma nel secolo decimosettimo,
Roma, Pasqualucci, 1888, pp. XVI-XXVII.

CCI
ANZANI – BEGHELLI

i teatri, la morale ci guadagna forse nel vedere questi giovani dissoluti inviare i
loro omaggi a quelli che sostituiscono gli oggetti che la natura ci indicherebbe?
156
Niente è più scandaloso di quello che sta accadendo in questo senso a Roma .

Se da un lato il diritto canonico stigmatizzava ogni forma di mu-


tilazione corporea, se alcuni papi giunsero fin a bloccare totalmente
l’attività dei teatri d’opera romani (come Innocenzo XII, che dal 1699
obbligò il Teatro Capranica alla chiusura per 11 anni), altri pontefici
e molti cardinali si erano invece distinti come protettori dei castrati,
venendo poi accusati dai più intransigenti di promuovere e sostenere
situazioni di dubbia moralità. Così un’anonima pasquinata (1691) salu-
tava la morte di Alessandro VIII (al secolo Pietro Ottoboni), accusan-
dolo di aver sovraccaricato la Cappella Sistina di cantori evirati, con
la compiacenza del nipote cardinale Pietro Ottoboni, noto come loro
protettore (vv. 1-12):

Li Musici, Ruffiani, Puttane con ogni vitio


trionfaro’ sotto la dirett.ne d’Ales.o 8.o e Nepoti.

O musici, spirò già il Papa vostro,


che sia pur benedetto in sempiterno,
per che per voi fiera non fu, né mostro.

Prohibito vi fu dal Padre eterno


cantar le note là tra le professe,
or vi lice cantar note d’Inferno.

Benedetto Alessandro che in Cappella


voi Castron puzzolenti ammise a schiera
e a schiera correvate in groppa, e in sella.

156
«Quant à l’Opéra, il est absolument dans le même genre que celui dont j’ai
été le spectateur à Florence, avec quelques désagréments de plus. En effet, quel
plaisir peut-on prendre à un opéra où l’on n’entend que des hommes et où les
femmes sont bannies? Quelle illusion peut faire, par exemple, la mort de César en
voyant le rôle de Marc-Antoine rempli par un castrato? Quelle jouissance peut-on
avoir à un ballet lorsque la première danseuse est un garçon? Si l’on a craint de
faire paraître de jolies actrices devant la foule de jeunes ecclésiastiques qui peuplent
les théâtres, les mœurs y gagnent-elles davantage en voyant ces jeunes débauchés
adresser leurs hommages à ceux qui remplacent les objets que la nature nous in-
dique? Rien n’est plus scandaleux que ce qui se passe à cet égard à Rome» (JO-
SEPH-THOMAS-ANNE, COMTE D’ÉSPINCHAL, Journal d’émigration du Comte d’Éspinchal
publié d’après les manuscrits originaux [1789], a cura di ERNEST D’HAUTERIVE, Paris,
Perrin, 1912, pp. 75-76).

CCII
UN SOGGETTO EQUIVOCO AL CREPUSCOLO DEGLI DÈI CASTRATI

Di voi Musici o di canaglia altiera


Pietruccio il Cardinal grande la stima
157
tenne, ogni altro guardò con torva cera .

Nel 1755 Papa Benedetto XIV (al secolo Prospero Lambertini) si


interrogava pubblicamente se il bando dei castrati dalle cantorie eccle-
siastiche avrebbe potuto causare il risentimento dei fedeli:
Nondimeno, ciò che chiediamo è solo questo: se nelle attuali circostanze
di situazioni e tempi,
– giacché è evidente che l’autorità secolare consente, perlomeno dissimulan-
do, che avvengano impunemente evirazioni di bambini per nulla infrequen-
ti, qualsiasi cosa le leggi civili abbiano stabilito al contrario (né a ciò si esige
più il permesso dei vescovi),
– poiché nelle Chiese è introdotto da gran tempo quel sistema di musica [scil.
la polifonia] che a stento o per nulla può essere sostenuto senza le voci degli
eunuchi,
– e siccome siamo abituati già da molto tempo a udire le voci di costoro nei
concenti delle Chiese, e per di più nella stessa Capella del Romano Pontefice,
chiediamo insomma se in queste circostanze si comporti saggiamente quel
Vescovo che elimina gli eunuchi cantori dai Cori musicali delle sue Chiese
158
per decreto Sinodale , o se in realtà per questo non incorra a ragione nel

157
Da una miscellanea di satire e pasquinate diffuse in Roma durante le sedi va-
canti di Clemente X, Innocenzo XI e Alessandro VIII, in I-Rn, Vittorio Emanuele, ms.
V.E. 302 (308), cc. 146r-146v (in ossequio alla metrica, sono state sciolte le abbrevia-
zioni presenti all’interno dei versi).
158
Cioè secondo disposizione del Sinodo provinciale. Contrariamente all’opinione
comune, tramandata anche da tante Storie della musica, il Concilio di Trento non prese
decisioni specifiche in ambito musicale (abolizione delle sequenze, esclusione dei castra-
ti dai cori ecclesiastici, ecc.), ma si espresse soltanto per linee generali e in modo superfi-
ciale nelle sue ultime sessioni: Sessio XXII (17 settembre 1562), Decretum de observandis
et evitandis in celebratione Missa: «Tengano poi lontano, dalle Chiese quelle musiche,
dove o con l’organo, o col canto si frammischia qualche cosa di lascivo, ed impuro» («Ab
Ecclesiis vero musicas eas, ubi sive organo, sive cantu lascivum, aut impurum aliquid mi-
scetur [...] arceant»: Il sacro concilio di Trento con le notizie più precise riguardanti la sua
intimazione a ciascuna delle sessioni. Nuova traduzione italiana con testo latino a fronte,
Venezia, Appresso gli eredi Baglioni, 1822, p. 231); Sessio XXIV (11 novembre 1563),
Decretum de Reformatione, Caput XII (Quales esse debeant promovendi ad dignitates, &
Canonicatus Cathedralium Ecclesiarum; quidve promoti præstare teneantur): «Tutti poi
siano costretti ad esercitare gli uffizj divini da per sé stessi, e non per mezzo de’ sostituti,
ed assistere e sentire il Vescovo che celebra, o fa altri Pontificali, e nel coro destinato
per salmeggiare, a lodare il nome di Dio riverentemente, distintamente, e divotamente
con Inni, e Cantici» («Omnes vero divina per se, & non per substitutos, compellantur
obire officia, & Episcopo celebranti, aut alia Pontificalia exercenti, adsistere, & inser-
vire, atque in choro, ad psallendum instituto, hymnis, & canticis Dei nomen reverenter,
distincte, devoteque laudare»: ibid., p. 307). Le questioni particolari vennero invece de-
mandate ai singoli Sinodi provinciali, nei quali si riunivano i vescovi locali per deliberare

CCIII
ANZANI – BEGHELLI

rimprovero e odio della gente, non senza perturbazione della pubblica tran-
159
quillità, quasi fosse promotore di una novità inopportuna .

Nell’enciclica Annus qui (19 febbraio 1749), fra le raccomandazioni


all’ordine e al decoro nelle chiese e nei riti espresse in vista dell’Anno
Santo, il Pontefice si era dunque limitato a esortare che lo stile teatrale
fosse tenuto lontano dalla musica liturgica 160.
Per trovare emanazioni di regolamenti che restringessero le possi-
bilità d’impiego dei castrati in ambito ecclesiastico, si dovranno aspet-
tare gli inizi dell’Ottocento. Nella Cappella Sistina, da cui erano tradi-
zionalmente escluse non solo le donne ma anche i bambini (supplivano

sulla gestione del territorio loro affidato (ivi): «Le altre cose, le quali appartengono al do-
vuto regolamento negli uffizj divini, e circa al conveniente modo di cantare, o di modu-
lare in essi, e ad una certa legge di radunarsi, e di stare in coro, e nello stesso tempo circa
a tutti i ministri della Chiesa, e s’altre ve ne saranno di simil sorta, che sieno necessarie,
il Sinodo Provinciale prescriverà a ciascheduna una certa formula, secondo l’utilità, e i
costumi di ciascheduna Provincia» («Cætera, quæ ad debitum in divinis officiis regimen
spectant, deque congrua in his canendi, seu modulandi ratione, de certa lege in choro
conveniendi, & permanendi, simulque de omnibus Ecclesiæ ministris, quæ necessaria
erunt, & si qua hujusmodi, Synodus provincialis, pro cujusque provinciæ utilitate, &
moribus, certam cuique formulam præscribet»: ibid., p. 308). Un ringraziamento a Gioia
Filocamo per queste precisazioni.
159
«Verumtamen, quod hic quaerimus, hoc demum est: an in praesentibus rerum
ac temporum circumstantiis, cum nempe secularis potestas, quidquid civiles leges con-
tra statuerint, haud infrequentes puerorum evirationes impune fieri, saltem dissimu-
lando, permittit, nec amplius ad id Episcoporum licentia postulatur; cum in Ecclesiis
jampridem invecta est ea musicae ratio, quae vix, aut ne vix quidem, absque eunucho-
rum vocibus sustineri valet; cumque istorum voces in Ecclesiarum concentibus, et qui-
dem in ipsa Romani Pontificis Cappella, a multo jam tempore audiri consueverint; an,
inquam, in his circumstantiis prudenter se gereret Episcopus, qui Synodali decreto a
Choris musicis Ecclesiarum suarum eunuchos cantores eliminaret; an vero per hoc in
hominum reprehensionem et odium, non sine publicae tranquillitatis perturbatione,
tamquam importunae novitatis auctor, merito incurreret» (BENEDICTUS PAPA XIV, De
Synodo dioecesana libri tredecim, Romae, Excudebat Jo. Generosus Salomoni, 1755, p.
408, lib. XI, cap. VII, n. 5; l’argomento non era anora presente nella prima edizione
(1748): De Synodo diocesana libri octo). Cfr. anche BONIFACIO GIACOMO BAROFFIO, La
Chiesa cattolica e i cantori evirati, in SANDRO CAPPELLETTO, La voce perduta. Vita di Fa-
rinelli evirato cantore, Torino, EdT, 1995, pp. 163-168: 167.
160
Cfr. ROBERT F. HAYBURN, Papal Legislation on Sacred Music, Collegeville, The
Liturgical Press, 1979, pp. 92-107; OSVALDO GAMBASSI, Estetica e prassi della musica sacra
nei documenti di Benedetto XIV, in Musica e Filologia. Contributi in occasione del festival
“Musica e Filologia” (Verona, 30 settembre - 18 ottobre 1982), Verona, Edizioni della So-
cietà Letteraria, 1983 («Quaderni della Società Letteraria di Verona», n. 1), pp. 187-200:
194-195; ID., Concezione estetica e disposizioni pratiche di papa Lambertini in musica sacra
e orientamento artistico e normativo dell’Accademia, in L’Accademia Filarmonica di Bolo-
gna. Fondazione, Statuti e aggregazioni, Firenze, Olschki, 1992, pp. 85-99: 93; MAURÍCIO
MONTEIRO, A encíclica “Annus qui” de Benedito XIV & a música no ocidente cristão: um
ensaio preliminar, São Paulo, Sociedade Brasileira de Musicologia, 1999.

CCIV
UN SOGGETTO EQUIVOCO AL CREPUSCOLO DEGLI DÈI CASTRATI

alle parti acute della polifonia i falsettisti e i castrati), si arrivò al punto


di lamentare che la voce dei castrati era indecorosa proprio perché ri-
cordava la sensualità di quella femminile. Così si legge nell’introduzio-
ne a un ordinamento del 1834:
Dopo la seconda invasione francese [1814] incominciò il card.le di Sta-
to Ercole Consalvi a lagnarsi che i soprani nel mezzo al Presbiterio degli
e[minentissimi] cardinali disdicevano troppo con il loro canto delle Lezioni,
delle Profezie e delle Litanie, giacché le loro voci bianche, essendo isolate, han-
no una analogia con quella delle donne, e de’ ragazzi impuberi, e perciò pareva
161
che non più si addicessero alla maestà e decoro delle s[acre] funzioni .
Tale «Memoria storica» accompagnava il nuovo Regolamento sulle fun-
zioni della Cappella Sistina, nel quale per ogni sezione della liturgia
venivano prescritti specifici organici musicali. Ebbene, «Restano da
questi esenti i sig. soprani» 162, vale a dire i castrati.
È evidente quindi che in ognuno degli ambiti in cui erano impie-
gati, fosse sulla scena o nelle cantorie, lo spazio riservato nel nuovo
secolo ai vecchi castrati diventava sempre più ristretto. La diminuzione
degli interventi chirurgici operati sugli adolescenti italiani, iniziata ben
prima della fine del secolo XVIII, veniva così a sposarsi virtuosamente
con una serie di mutamenti in corso, dettati al par di quella – lo si è
già detto più volte – non solo da cambiamenti di gusto estetico, ma
anche di mentalità sociale. È in tali anni che la persona umana inizia ad
essere considerata un individuo con dignità propria, ed è questa la mo-
tivazione principale addotta da John Rosselli per giustificare l’evidente
crollo della pratica della castrazione, dopo anni di proteste da parte
degli intellettuali più illuminati : a fine ’700, passata la grande crisi
163

economica che aveva imperversato in tutta Europa fino a sessant’anni


prima, le famiglie diventano nucleari (padre, madre e figli che abita-
no nella stessa casa) e l’individuo acquisisce distinzione come singolo;
l’idea che con la castrazione si andasse a ledere un diritto umano che
compromette la vita futura del bambino su numerosissimi fronti iniziò
a diventare importante nella decisione dei genitori, che in misura sem-
pre minore saranno disposti a sottoporre i figli alla mutilazione. D’altro
canto, che l’operazione non fosse indispensabile per ambire comunque

161
Memoria storica in appoggio dei 5 articoli organici proposti e accettati dal R.do
Collegio sotto il dì 9 marzo 1834 (I-Rvat, Cappella Sistina, Diari 250, cc. 77r-78v).
162
Regolamento e destinazione di quei Cappellani Cantori che nelle sagre funzioni
della Cappella Apostolica dovranno in avvenire cantare le lezioni, le profezie e le litanie
(I-Rvat, Cappella Sistina, Diari 250, cc. 81r- 82v).
163
J. ROSSELLI, Singers of Italian Opera cit., pp. 54-55 (trad. it. pp. 72-73).

CCV
ANZANI – BEGHELLI

a una carriera di cantante era stato chiaro da sempre. La bella avventu-


riera Sarah Goudar, notoriamente allergica agli uomini castrati, scrive-
va già nel 1773 in una serie di lettere indirizzate al Conte di Pembroke:

La professione di musicista è limitata a un certo numero. Quando si fan-


no tanti Castrati, si finisce per avere meno Tenori. Quelli eliminano questi;
chi può dubitare che Carestini non sarebbe stato un eccellente basso, lui che
aveva conservato note molto gravi, quando invece fu destinato a svilupparne
di acutissime? È molto probabile che Caffarelli si sarebbe distinto sulla scena
[anche] con una voce naturale, e che Egiziello uomo avrebbe fatto versare più
lacrime di Egiziello eunuco; si può [anche] presumere che Guadagni sarebbe
164
stato un eccellente tenore acuto .

Spostandosi dalla sfera pubblica a quella privata, a un uomo dalla


virilità compromessa si precludevano innumerevoli aspetti della vita af-
fettiva, gli si rendeva impossibile contrarre matrimonio e gli si negava
165

la possibilità di formarsi quella rete di soccorso e tutela che è la fami-


glia, più che necessaria a fine carriera. Nonostante le retribuzioni arti-
stiche potessero raggiungere cifre anche molto elevate, non tutti erano
in grado di gestire il proprio patrimonio in modo da non finire la vita in
indigenza, specie se avevano prestato servizio nelle chiese piuttosto che
nei più munifici teatri. Molte sono le testimonianze di castrati morti
in povertà . Filippo Balatri avvisa nel suo sarcastico Testamento del
166

rischio che si correva nel non risparmiare quando si era in tempo:

164
«La Profession de Musicien est bornée à un certain nombre défini; or lorsqu’on
fait beaucoup d’Eunuques, il y a moins de Tenori. Ceux là prennent sur ceux-ci; qui
peut douter que Caristini n’eut été un excellent basse, lui qui conserva des tons très-
graves, lorsqu’on l’eût destiné à en former de très-aigus? Il est très-probable que Cafa-
relli se fut distingué sur la Scène par une voix naturelle, & qu’Egiziello homme eût fait
verser plus de larmes qu’Egiziello Eunuque; on peut présumer que Guadagni eût été
un excellent haute-contre» (SARAH GOUDAR, Lettre V, in Supplément aux Remarques sur
la musique et la danse, ou Lettres de M.r G... à Milord Pembroke, Venise, Chez Charles
Palese Imprimeur, 1773, pp. 29-44: 40).
165
Sulle disposizioni di legge relative al divieto invalso per i castrati di sposarsi o
anche solo di convivere con una donna, si rimanda ancora a V. ANZANI, Castrato per
amore cit., pp. 80-81.
166
Cfr. MARCELLO DE ANGELIS, La felicità in Etruria. Melodramma, impresari,
musica, virtuosi: lo spettacolo nella Firenze dei Lorena, Milano, Ponte delle Grazie,
1990, p. 53, in cui sono trascritte alcune testimonianze di Niccolò Susier dai suoi diari:
«1751: A dj 21 Marzo è morto Raffaello Baldi d’Anni 74. […] era Musico, e Soprano
[…] e non ha Lasciato Roba è Morto Miserabile, e campava con la tenue Provvisione
della Cappella del Duomo, e S. Giovanni e quattro scudi il Mese tirava di Pensione
dal Nostro Gran Duca»; uguale sarà la formula annotata per la morte di Giuliano Al-

CCVI
UN SOGGETTO EQUIVOCO AL CREPUSCOLO DEGLI DÈI CASTRATI

Non ho figli (torno a dir, grazie al Cielo e alla mia generosa e spiritosissi-
ma precauzione, ed a chi la secondò) […] né ho parenti che mi riconoschino,
e che mi sian vicini. Non ho amici che tendino a restar tutori dei pupilli […].
Son già qualche mesi che io mi vado […] procurando qualche provvisio-
ne (come le formiche) per a suo tempo; mentre è sempre meglio fidarsi poco
167
dell’altrui labile memoria .

L’ormai anziano castrato prosegue poi disincantato parlando di sé stes-


so in terza persona:

Morranno, ad un’ad uno, i cortigiani ch’il conobbero, e si comincierà poi


a domandare: chi è colui? Finché vi resterà chi per inteso dire potrà risponde-
re: un tal Filippo B., ah vivrà almeno il nome; ma si arriverà ben presto a non
168
trovarsi più chi lo domandi, né chi sappia rispondere al quesito .

Trascorsa l’epoca napoleonica, i pochi castrati superstiti si erano


dunque ritirati nelle cappelle musicali ecclesiastiche da dove erano
venuti, e anche i contralti femminili lasciarono ben presto il ruolo di
primo uomo al nuovo genere di tenore romantico, non più antagonista
della coppia di amanti soprano-contralto, bensì amoroso egli stesso nei
confronti del soprano, trovando a sua volta nel baritono il nuovo an-
tagonista. Ma anche in ambito ecclesiastico gli ultimi castrati superstiti
avevano ormai vita breve:

Intanto, sig.r maestro, le sovvenga che il grande Pier Luigi Palestrina am-
mise i fanciulli a prender parte nei suoi canti sublimi e che, a giudizio certo dei
sommi maestri, fra’ quali il Mustafà, debbonsi anche oggi introdurre nelle me-
lodie sacre. E pertanto insistiamo nella disposizione datale fin da varii giorni
indietro, ossia che fin dal 7 corr., nella solenne messa funebre che la Cappella
Pontificia eseguirà in Sistina sieno chiamati a cantare almeno 4 fanciulli de’
più esperti della Scuola Pontificia di canto stabilita appunto dal pontefice Pio
IX presso le Scuole Cristiane di S. Salvatore in Lauro.
Per questa prima volta, forse, non si avrà quell’effetto che si desidera dalle
loro voci, ma conviene che si sappia e si senta che anche i fanciulli sono am-
messi a cantare nella Pontificia Cappella secondo il disegno del grande Pale-
169
strina .

bertini, deceduto il 6 aprile dello stesso anno: «[…] non ha Lasciato gran Roba, tirava
solamente la tenue Provvisione della Cappella del Duomo, e S. Giovanni».
167
D. F. BALATRI, Testamento cit., cc. 11v-12r e 95r.
168
Ibid., cc. 95r e 96v-97r.
169
Lettera della Prefettura dei Sacri Palazzi Apostolici a Vincenzo Sebastianelli,

CCVII
ANZANI – BEGHELLI

Con questa lettera del febbraio 1891 si caldeggiava dunque la riam-


missione dei fanciulli nella Cappella Sistina, suggerimento confermato
il mese successivo da un regolamento ufficiale avallato da Domenico
Mustafà (1829-1912), ultimo castrato chiamato a dirigere tale istituzio-
ne:

Art. I, h: Ai 32 cantori saranno aggregati non meno di quattro fanciulli


scelti di preferenza nella Scuola Pontificia di S. Salvatore in Lauro, o in un
170
istituto ecclesiastico .

Ammettere i fanciulli nella cappella papale era il primo passo per


permettere la formazione di figure professionali in grado di sostituire
i castrati, evidentemente in numero ormai insufficiente per compiere il
proprio ufficio. Quando poi, durante un’udienza con Papa Leone XIII
(2 febbraio 1902), il nuovo direttore Lorenzo Perosi riuscirà a far sancire
la proibizione di assumere nuovi cantori evirati nella Cappella Sistina ,
171

verrà di fatto ratificata la loro scomparsa naturale dagli organici. Quel-


li che già appartenevano alla Cappella erano comunque autorizzati a
rimanere in servizio : fra costoro, il più volte citato Alessandro Mo-
172

reschi (1858-1922), ultimo castrato a lasciare l’istituzione, nel 1913, un


anno dopo la morte di Domenico Mustafà. Tra gli esclusi, a torto, vi sarà
Domenico Mancini (1891-1984), sopranista non castrato, ma recante il
peccato originale di essere stato allievo di Moreschi:

Non mi volle nella scuola, Perosi, inquantoché avevo studiato con More-
schi, e Perosi pensava che io fossi castrato: e allora non mi volle, perché era
venuto il motu proprio che eliminava le voci dei castrati dai cori. Quelli che
c’erano, erano tenuti fino all’esaurimento, alla maturazione della pensione, ma
se c’erano dei giovani non sono stati ammessi. E Perosi ebbe l’impressione
che io… siccome cantavo nel modo di Moreschi, che io fossi di quelle voci là,
e allora Moreschi mi mise a San Salvatore in Lauro, dove ho fatto lì tutti [gli
studi], ho ripreso le scuole elementari, che non avevo fatto, e poi sono andato

Maestro pro-tempore della Cappella Pontificia, Roma, 3 febbraio 1891 (I-Rvat, Cappel-
la Sistina, Diari 293 (2), cc. 12r-13v: 13r-v).
170
Regolamento pel Collegio dei cantori della Cappella Pontificia elaborato d’accor-
do col maestro cav.r Domenico Mustafà (I-Rvat, Cappella Sistina, Diari 293 (8), c. 23r).
171
Cfr. ALBERTO DE ANGELIS, Domenico Mustafà: la Cappella Sistina e la Società
musicale romana, Bologna, Zanichelli, 1926, p. 80.
172
Diversamente da quanto vorrebbero Mario Rinaldi, secondo cui i cantanti
evirati furono «allontanati» dalle cappelle (MARIO RINALDI, Lorenzo Perosi, Roma, De
Santis, 1967, p. 155), o Leopold Kantner, che usa addirittura il termine «licenziati» (L.
M. KANTNER - A. PACHOVSKY, La Cappella musicale pontificia nell’Ottocento cit., p. 57).

CCVIII
UN SOGGETTO EQUIVOCO AL CREPUSCOLO DEGLI DÈI CASTRATI

al Conservatorio a studiare il contrabbasso. Mi sono diplomato e faccio il con-


173
trabbassista, anch’ora che ho settantasei anni .

Il motu proprio cui allude Mancini (vale a dire il documento legisla-


tivo con cui il Papa decide e dispone per iniziativa personale) era il pas-
so successivo compiuto da Pio X a pochi mesi dalla sua elezione al so-
glio pontificio, un nuovo regolamento sulla musica sacra in cui si legge:
13. Dal medesimo principio segue che i cantori hanno in chiesa vero offi-
cio liturgico e che però le donne, essendo incapaci di tale officio, non possono
essere ammesse a far parte del Coro o della cappella musicale. Se dunque si
vogliono adoperare le voci acute dei soprani e contralti, queste dovranno esse-
174
re sostenute dai fanciulli, secondo l’uso antichissimo della Chiesa .

Senza nominare esplicitamente i castrati, si scriveva così la parola


fine a una storia cominciata più di tre secoli prima, quasi per caso.
Quando la disposizione papale divenne di pubblico dominio, un gior-
nale romano commentò:
È stata trasformata in decreto e da ora in avanti avrà pieno vigore una
disposizione ex audientia sanctissima emanata diversi mesi orsono, sinora te-
nuta segreta, con la quale i cantori diremo così… imperfetti dal lato fisico,
sebbene… completi come cantanti, sono esclusi assolutamente dalla Cappella
Sistina. Si tratta di una vittoria del maestro Perosi, il quale, fin dal suo ingresso
nella Sistina aveva propugnato la riforma. […]
Chi sa se non sia lontano il tempo in cui, dopo essere state ammesse nei
concerti di chiesa, le soavi voci femminili debbano anche echeggiare sotto i
severi archivolti della Cappella michelangiolesca?
Ad ogni modo con il decreto recentissimo il ricordo della famosa scritta
che si leggeva non più di un secolo fa sulla insegna di un barbiere dei Banchi
Vecchi “Qui si castrano fanciulli per la Cappella papale”, diviene assoluta-
175
mente una memoria… archeologica .

L’apertura del canto liturgico alle donne era però ancora di là da venire...

173
Intervista rilasciata da Domenico Mancini nel 1967, pubblicata in registrazio-
ne audio nell’LP Le Voci di Roma, vol. I, Roma, Edizioni del Timaclub, 1981 (TIMA37);
la trascrizione è tratta da M. BEGHELLI - R. TALMELLI, Ermafrodite armoniche cit., pp.
117-118.
174
PIUS PAPA X, Motu proprio Tra le sollecitudini (22 novembre 1903), in Enchi-
ridion della vita consacrata. Dalle Decretali al rinnovamento post-conciliare (385-2000),
a cura di ERMINIO LORA, Bologna-Milano, EDB-Àncora, 2001, pp. 476-482 (nn. 812-
843): 480 (nn. 826-827).
175
Note Vaticane: Le riforme nella Cappella Papale, «La Tribuna», XX, n. 360, 28
dicembre 1902, p. 3.

CCIX
ANZANI – BEGHELLI

6. Rossini e i castrati

Due anni dopo aver riso anch’egli sui castrati, dando vita all’E-
quivoco stravagante, Gioachino Rossini si trovò direttamente alle pre-
se con il più in vista fra loro: il tanto citato Giovanni Battista Velluti
(1780-1861), destinatario della parte di Arsace nell’Aureliano in Pal-
mira (Milano 1813). Di certo non fu Rossini a sceglierlo quale Primo
Uomo ovvero Soprano ovvero Musico (secondo la terminologia equiva-
lente dell’epoca) della sua nuova opera: come s’è visto al § 3, finché
176

poterono, gli impresari della Scala inaugurarono la più importante del-


le stagioni teatrali, quella di Carnevale, con un’opera seria incentrata
sul protagonista castrato.
Non era la prima né l’ultima volta che Rossini incappava in un rap-
presentante di quella categoria ormai in estinzione. Il 4 aprile 1806,
quattordicenne, aveva cantato a Bologna in voce di contralto la parte di
Maria Maddalena nell’oratorio La Passione di Nostro Signore Gesù Cri-
sto del suo futuro insegnante di contrappunto, Stanislao Mattei, accanto
al castrato Vitale Damiani. Con tutta probabilità, negli anni di appren-
distato aveva trovato dei castrati a eseguire le musiche da chiesa che
componeva a Lugo e a Bologna, ma nulla di certo sappiamo su quelle
occasioni. Certamente ebbe a sua disposizione il soprano Moisè Tarqui-
nio (cfr. i §§ 1 e 2 di questo capitolo) fra i primi interpreti della Messa di
Gloria a Napoli (24 marzo 1820) , ideale sostituto di Isabella Colbran,
177

che in quanto donna non poteva esibirsi nella Chiesa di San Ferdinando.
Attorno ai rapporti intercorsi fra il nostro compositore e Velluti è
cresciuta una storiografia falsa e tendenziosa, ancor oggi dura a morire.
Rossini ebbe verosimilmente occasione di udirlo una prima volta a Bo-
logna nel luglio 1809, quando Velluti cantava al Teatro Comunale Traia-
no in Dacia di Giuseppe Nicolini accanto a una Isabella Colbran ancor
fresca di debutto scenico. La prima collaborazione artistica giungerà
nel dicembre 1813, per Aureliano in Palmira alla Scala. Ebbene, si è
detto lungamente che Rossini, disgustato dalla libertà che in tale circo-
stanza il cantante si sarebbe preso sulla sua musica, infarcendola d’ogni

176
Cfr. MARCO BEGHELLI, Il ruolo del musico, in Donizetti, Napoli, l’Europa, a cura
di FRANCO CARMELO GRECO e RENATO DI BENEDETTO, Napoli, Edizioni Scientifiche Ita-
liane, 2000, pp. 321-333: 325.
177
Cfr. RETO MÜLLER, Rossinis «Messa di Gloria» und das Musikleben Neapels von
1819/20 in der Wahrnehmnung des sächsischen Komponisten Carl Borromäus von Mil-
titz, «La Gazzetta. Zeitschrift der Deutschen Rossini Gesellschaft», XXII, 2012, pp.
35-98: 90-91.

CCX
UN SOGGETTO EQUIVOCO AL CREPUSCOLO DEGLI DÈI CASTRATI

tipo di fioritura all’antica, si fosse risolto da allora in poi a scrivere per


esteso cadenze e vocalizzi, sottraendo all’interprete la conclamata ege-
monia sul testo scritto. Tale nozione si è diffusa in particolare attraverso
la monografia rossiniana di Stendhal, carica per altro di imprecisioni:
Rossini arriva a Milano nel 1814, per scrivere l’Aureliano in Palmira; vi
trova Velluti che doveva cantare nella sua opera; Velluti, all’epoca nel fiore
della giovinezza e del talento, e uno degli uomini più affascinanti del suo seco-
lo, abusava a piacere dei suoi mezzi prodigiosi. Rossini non aveva mai ascolta-
to questo grande cantante, e scrisse apposta per lui la cavatina della sua parte.
Alla prima prova con l’orchestra, Velluti canta e Rossini è preso d’ammi-
razione; alla seconda prova, Velluti comincia a fiorire, Rossini riscontra effetti
giusti e pregevoli, approva; alla terza prova, la ricchezza delle fioriture non
lascia quasi più percepire la base della melodia originale. Arriva alfine il gran
giorno della prima rappresentazione: la cavatina e tutta la parte di Velluti fan-
no furore; ma è a malapena che Rossini può riconoscere ciò che Velluti canta:
non ode più la musica che ha composto; nondimeno, il canto di Velluti è pie-
no di bellezze e riscuote un meraviglioso successo fra il pubblico, che, dopo
tutto, non ha torto d’applaudire ciò che gli fa tanto piacere.
L’amor proprio del giovane compositore fu profondamente ferito; la sua
opera cadde e solo il soprano [Velluti] ebbe successo. Lo spirito vivo di Ros-
sini percepì in un attimo tutte le conseguenze che un tale avvenimento poteva
178
suggerirgli .

Dopo questa lunga serie di inesattezze (Aureliano in Palmira è del


1813 e non 1814, Velluti accusava già i primi segni di declino vocale, la
sua voce non era affatto nuova per Rossini, la parte di Arsace è priva di

178
«Rossini arrive à Milan en 1814, pour écrire l’Aureliano in Palmira; il y trouve
Velluti qui devait chanter dans son opéra; Velluti, alors dans la fleur de la jeunesse et
du talent, et l’un des plus jolis hommes de son siècle, abusait à plaisir de ses moyens
prodigieux. Rossini n’avait jamais entendu ce grand chanteur, il écrit pour lui la cava-
tine de son rôle. || A la première répétition avec l’orchestre, Velluti chante, et Rossini
est frappé d’admiration; à la seconde répétition, Velluti commence à broder (fiorire),
Rossini trouve des effets justes et admirables, il approuve; à la troisième répétition, la
richesse de la broderie ne laisse presque plus apercevoir le fond de la cantilène. Arrive
enfin le grand jour de la première représentation: la cavatine et tout le rôle de Velluti
fait fureur; mais à peine si Rossini peut reconnaître ce que chante Velluti, il n’entend
plus la musique qu’il a composée; toutefois, le chant de Velluti est rempli de beautés et
réussit merveilleusement auprès du public, qui, après tout, n’a pas tort d’applaudir ce
qui lui fait tant de plaisir. || L’amour-propre du jeune compositeur fut profondément
blessé; son opéra tombait et le soprano seul avait du succès. L’esprit vif de Rossini
aperçut en un instant toutes les considérations qu’un tel événement pouvait lui suggé-
rer» (STENDHAL [MARIE-HENRI BEYLE], Vie de Rossini, Paris, Chez Auguste Boulland et
C.ie, 1824 [recte 1823], pp. 430-431).

CCXI
ANZANI – BEGHELLI

Cavatina d’esordio, Velluti non convinse nessuno : del resto Stendhal


179

confessava altrove di non essere stato presente a quella esecuzione 180), il


nostro romanziere, non ancora contento di romanzare, sciorina un lun-
go monologo di Rossini che s’interroga sulle immediate conseguenze di
tale evento: ora tutti vorranno imitare Velluti, ma chi assicura che gli
altri cantanti avranno lo stesso spirito e gusto? oltre a rendere la musica
irriconoscibile, il rischio è che la facciano noiosa! meglio allora toglier
loro ogni margine d’azione ed integrare fioriture e abbellimenti nella
linea vocale, direttamente in partitura:
Ho messo in bocca al mio eroe un discorso di cui certamente non mi ha
mai fatto confidenza; ma è impossibile che, in un momento qualunque nei
primi anni della sua carriera, Rossini non abbia tenuto questo monologo fra sé
181
e sé: le sue partiture lo provano .

La realtà è diversa. Rodolfo Celletti fu tra i primi a evidenziare


che il tasso di fioriture scritte nell’Aureliano in Palmira non era af-
fatto inferiore o superiore a quello delle opere precedenti, e che non
v’è traccia di un diverso atteggiamento compositivo in quelle succes-
sive . E se in quell’occasione non scoccò certo una grande amicizia
182

fra i due artisti, Rossini accetterà di collaborare nuovamente con Vel-


luti, confezionando su misura per lui una parte nella cantata Il vero
omaggio (Verona 1822), rielaborazione della precedente Riconoscenza
(Napoli 1821) 183. Forse lo servì anche – come faceva coi migliori can-
tanti – offrendogli proprie varianti vocali per la celebrata Romanza

179
«Veluti a fatto la figura della seconda parte» (lettera di Giovanni David a Fran-
cesco Sforza Cesarini, Milano, 28 dicembre 1813, in GIOACHINO ROSSINI, Lettere e do-
cumenti, vol. I, a cura di BRUNO CAGLI e SERGIO RAGNI, Pesaro, Fondazione Rossini,
1992, pp. 62-63: 62); «Velluti non fece maggiore impressione sull’animo del Pubblico
di quel che fatto ne abbia l’ultima delle Donzelle palmirene al seguito di Zenobia» («Il
corriere milanese», XX, n. 310, 28 dicembre 1813, p. 1240).
180
STENDHAL, Vie de Rossini cit., p. 171.
181
«J’ai mis dans la bouche de mon héros un discours dont assurément il ne m’a
jamais fait la confidence; mais il est impossible qu’à une époque quelconque des pre-
mières années de sa carrière, Rossini n’ait pas eu ce monologue avec lui-même; ses
partitions le prouvent» (ibid., p. 434).
182
RODOLFO CELLETTI, Origini e sviluppi della coloratura rossiniana, «Nuova Rivi-
sta Musicale Italiana», II, 1968, pp. 872-919: 894-899.
183
Sulle modalità – tutt’altro che ovvie – di tale adattamento, cfr. MARCO BE-
GHELLI, Il rapporto compositore-cantante in Rossini, in «Per ben vestir la virtuosa». Die
Oper des 18. und frühen 19. Jahrhunderts im Spannungsfeld zwischen Komponisten und
Sängern, Atti del convegno (Schloß Thurnau, 14-16 maggio 2004), a cura di DANIEL
BRANDENBURG e THOMAS SEEDORF, Schliengen, Edition Argus, 2011 («Forum Musik-
wissenschaft», 6), pp. 177-190: 181-184.

CCXII
UN SOGGETTO EQUIVOCO AL CREPUSCOLO DEGLI DÈI CASTRATI

del Tebaldo e Isolina di Morlacchi, il cui secondo atto era program-


mato in coda alla cantata 184. Di recente, Will Crutchfield ha per di più
evidenziato come Rossini sia stato in un certo qual modo debitore
proprio dello stile ornamentale di Velluti, come riconosciuto già da
alcuni attenti osservatori dell’epoca . Si ribalta in tal modo l’errato
185

assunto iniziale.
Ciò non significa che Velluti non incarnasse davvero una forma di
canto all’antica; ma di tale canto Rossini fu sempre un nostalgico estima-
tore, non un detrattore. Lo dice a chiare lettere nell’incontro registrato
da Edmond Michotte (1858), quando spiega la necessità di una voce
“pura” per lo stile belcantistico, tanto raramente dispensata dalla natura:

Già, fra i miei compatrioti si facilitava questa necessità: si suppliva al di-


fetto di compiacenza della natura fabbricando dei castrati. Il mezzo, è vero,
era eroico, ma i risultati erano meravigliosi. In gioventù mi è stato dato di
poterne ancora incontrare qualcuno di questi prodi.
Giammai potrò dimenticarli. La purezza, la miracolosa flessibilità di quel-
le voci e soprattutto il loro accento così profondamente penetrante, tutto mi
commoveva, mi affascinava al di là d’ogni espressione. Vi dirò che io stesso
scrissi una parte per uno di loro, uno degli ultimi e non dei minori, Velluti. Fu
nella mia opera Aureliana ou Palmira [sic!], rappresentata a Milano nel 1813.
Credereste voi, lo dico fra parentesi, che mancò poco ch’io appartenessi a
questa celebre corporazione, o diciamo piuttosto de-corporazione? Da bambi-
no avevo una voce molto bella, da cui i miei genitori traevano partito per farmi
guadagnare qualche paolo cantando nelle chiese. Uno zio, fratello di mia ma-
dre, per la precisione barbiere di mestiere, era riuscito a convincere mio padre
dell’opportunità ch’egli intravedeva a non lasciare compromettere dalla muta
un organo che – poveri come lo eravamo noi e data qualche disposizione che
mostravo per la musica – avrebbe potuto divenire, per tutti, una fonte sicura
di fortuna per l’avvenire. La più parte dei castrati, e particolarmente coloro
che si votavano alla carriera teatrale, vivevano, in effetti, nell’opulenza. La mia
186
brava mamma non volle acconsentirvi ad alcun prezzo .

184
Si conserva infatti (I-PESr, Altri Brani, n. 15) un esemplare a stampa del Reci-
tativo e Romanza “Caro suono lusinghiero” nel “Tebaldo e Isolina” del Sig.r M.o Morlac-
chi ridotto per canto e pianoforte (Firenze, Giuseppe Lorenzi, s. d., n. edit. 760) arric-
chito da annotazioni manoscritte di Rossini (fioriture, cadenze, ecc.): considerato che a
Verona, il 3 dicembre 1822, Rossini si trovò a dirigere parte dell’opera avendo Velluti
quale interprete di quella pagina, v’è qualche probabilità che il documento superstite
sia connesso con quell’evento.
185
WILL CRUTCHFIELD, G. B. Velluti e lo sviluppo della melodia romantica, «Bollet-
tino del Centro rossiniano di studi», LIII, 2013, pp. 9-83: 57-71.
186
«Jadis, chez mes compatriotes, on facilitait cette besogne: on suppléait au dé-
faut de complaisance de la nature, en fabriquant des castrati. Le moyen, il est vrai, était

CCXIII
ANZANI – BEGHELLI

Sul piano puramente estetico, negli ultimi anni di vita Rossini riba-
diva ancora – e sulla pelle degli altri, verrebbe da dire – la sua posizione
ideale in favore della castrazione a fini artistici: essendosi ormai pratica-
mente estinta, venivano a mancare le «Voci (così dette bianche) Soprani
e Contralti senza le quali non si dèe cantare le Glorie del Signore!» .
187

Ne cercava comunque la soluzione altrove, nelle cantanti donne, come


era avvenuto all’epoca della sua carriera operistica. Si era però giunti a
una situazione di impasse: da un lato non v’erano quasi più castrati nem-
meno nelle istituzioni ecclesiastiche, dall’altro persisteva il divieto per le
donne di cantare in chiesa insieme agli uomini. Eloquente la situazione
in cui venne a trovarsi la principale istituzione cattolica della Sassonia
quando Tarquinio si ritirò dal servizio (cfr. il § 1 di questo capitolo):

Fino all’anno scorso [1845], gli assolo per soprano nella Chiesa di cor-
te cattolica di Dresda erano ancora eseguiti da un castrato, Mosè Tarquinio.
Incredibile, ma vero! Da quando questa sfortunata vittima sacrificale di una
barbarica sevizia umana è in pensione, si sta perennemente in attesa che venga
partorito il verdetto se sia consentito o meno l’impiego di alcune signore per
gli assolo di soprano e contralto. A quanto si dice, il clero si oppone violente-

héroïque, mais les résultats étaient merveilleux. Il m’a été donné, dans ma jeunesse,
d’avoir encore pu entendre quelques-uns de ces gaillards. || Jamais, je ne saurais les ou-
blier. La pureté, la miraculeuse flexibilité de ces voix et surtout leur accent si profon-
dément pénétrant, tout cela m’avait ému, fasciné, au delà de toute expression. Je vous
dirai que j’ai même écrit un rôle pour l’un d’eux, un des derniers et non des moindres,
Velluti. Ce fut dans mon opéra Aureliana ou Palmira, représenté à Milan, en 1813. ||
Croiriez-vous, entre parenthèses, qu’il s’en est fallu de peu que je n’appartenisse à cette
célèbre corporation, disons plutôt dé-corporation. J’avais, enfant, une fort jolie voix,
dont mes parents tiraient parti pour me faire gagner quelques paoli en chantant dans
les églises. Un oncle, frère de ma mère, précisément barbier de son état, avait réussi à
convaincre mon père de l’opportunité qu’il entrevoyait à ne pas laisser compromettre,
par la mue, un organe, lequel – pauvres comme nous l’étions et eu égard à quelques
dispositions que je montrais pour la musique – aurait pu devenir, pour tous, une source
assurée de fortune dans l’avenir. La plupart des castrati, et particulièrement ceux qui
se vouaient à la carrière théâtrale, vivaient, en effet, dans l’opulence. Ma brave mère
ne voulut à aucun prix y consentir» (EDMOND MICHOTTE, Souvenirs. Une Soirée chez
Rossini à Beau-Séjour (Passy) 1858. Exposé par le Maestro des principes du “Bel Canto”,
Bruxelles, V. Feron, s. d., ora in RETO MÜLLER, Gli scritti su Rossini di Edmond Michot-
te, «Bollettino del Centro rossiniano di studi», XLIV, 2004, pp. 53-166: 119-134: 125;
il passo era assente nella prima edizione del testo, apparsa sulla «Revue de l’Institut
des Hautes Études et de l’École de Musique et de Déclamation d’Ixelles», IV, 1-2,
gennaio-febbraio 1911, pp. 1-7).
187
Lettera di Gioachino Rossini a Luigi Grisostomo Ferrucci, Passy de Paris,
23 marzo 1866, in STEFANO ALBERICI, Rossini e Pio IX. Alla luce di documenti inediti
dell’Archivio Segreto Vaticano, «Bollettino del Centro rossiniano di studi», XVII, 1977,
pp. 5-35: 11 (lettera trascritta integralmente più avanti).

CCXIV
UN SOGGETTO EQUIVOCO AL CREPUSCOLO DEGLI DÈI CASTRATI

mente. Gli uomini tonsurati temono forse le tentazioni diaboliche di carne e


ossa femminili? Ecco, dovrebbero essere compenetrati molto profondamente
dalla fragilità dei loro voti e principi, e invece non sono al sicuro da siffatte
188
tentazioni neppure senza le cantanti!

In Italia, al contrario, l’interrogativo sulla possibilità d’impiego


delle donne neppure si poneva. Nella Regia Cappella di Torino , av-
189

viandosi verso la morte gli ultimi affiliati castrati che avevano potuto
vantare ancora una carriera teatrale (Luigi Marchesi nel 1829, Gaetano
Granata nel 1831, Angelo Testori nel 1844: cfr. il § 1 di questo capi-
tolo), non si trovò altri a rimpiazzarli che tale Pietro Tiranti (1800 ca.
- 1856), «giovane dotato di una gradevole natural voce di contralto» 190
(e si noti la serie di eufemismi adottati: all’epoca del documento, il
“giovane” Tiranti era più che quarantenne, e la “naturalezza” della sua
gradevole voce – quasi si trattasse di dote congenita – sa di excusatio
non petita). Il Maestro di Cappella Giuseppe Riccardi si era allora ado-
prato «sino dall’anno 1823 [...] di trovare modo di poter aggiungere ai
cantanti della succitata R.a Cappella cinque o sei voci di Soprano e di
Contralto le quali venissero in ajuto ai due soli cantanti Musici, li Si-
gnori fu Testori, Soprano, e Granata, Contralto», attivando una scuola
di musica per i fanciulli ricoverati nel Regio Ospedale di Carità, con
l’intendimento di avviarli a una possibile professione . Il suo succes-
191

sore Giovanni Turina, subentratogli nel 1858, non ne vorrà tuttavia sa-
pere di bambini, e accetterà l’incarico

solo alla condizione, però, che fossero soppresse le parti di soprano e di con-
tralto allora sostenute dai ragazzi del R. Spedale di Carità; tale condizione fu

188
«Bis zum vorigen Jahre wurden die Sopransoli in der Dresdner katholischen
Hofkirche noch von einem Castraten, Mose Tarquinio, ausgeführt. Es ist unglaublich,
aber wahr! Seitdem dieses unglückliche Schlachtopfer einer menschenschindenden
Barbarei pensionirt ist, liegt man noch immer in Geburtswehen, ob man das Engage-
ment einiger Damen für die Sopran- und Altsoli gestatten soll oder nicht. Dem Ver-
nehmen nach opponirt sich die Geistlichkeit heftig dagegen. Fürchten die tonsurirten
Herren etwa die Anfechtungen des Teufels weiblichen Fleisches und Bein’s? Da müß-
ten sie von der Fragilität ihrer Gelübde und Grundsätze sehr tief durchdrungen sein,
und doch sind sie, auch ohne Sängerinnen, vor derartigen Versuchungen nicht sicher!»
(T. WANDERER, Dresden und die Dresdener cit., p. 378 n.).
189
Cfr. R. MOFFA, Storia della Regia Cappella di Torino cit., p. 170.
190
I-Tas, Sezioni Riunite, Patenti Controllo Finanze, Reg. 99, 1841-1842, c. 228,
18 gennaio 1842.
191
Relazione di Giuseppe Riccardi alla Direzione del Regio Ospedale di Carità,
1854, in I-Tasc, Ospedale di Carità, Categoria III, Ordinati dell’Amministrazione, vol.
LXIX, 1854, c. 105.

CCXV
ANZANI – BEGHELLI

accettata, ed il Turina dové tosto lavorare indefessamente a ridurre per sole


192
voci d’uomini tutta la musica da eseguirsi per servizio della R. Cappella .

Alla morte di Rossini, le cose non erano cambiate; e sarà questo


uno dei primi problemi che Giuseppe Verdi dovrà affrontare nel pro-
getto di una Messa da Requiem in onore del preclaro collega, da ese-
guirsi in San Petronio, a Bologna:

Se io fossi nelle buone grazie del Santo Padre, lo pregherei a voler permet-
tere, almeno per questa sola volta, che le donne prendessero parte all’esecu-
zione di questa musica, ma non essendolo, converrà trovare persona più di me
193
idonea ad ottenere l’intento .

La cosiddetta “Messa per Rossini”, benché integralmente composta (a


più mani), non giunse in porto. Parzialmente riconvertita da Verdi in
“Messa per Manzoni”, verrà eseguita il 22 maggio 1874, ore 11 antime-
ridiane, nella chiesa milanese di San Marco, come musica liturgica du-
rante il rito in anniversario defuncti, dopo faticosa autorizzazione strap-
pata all’Arcivescovo Luigi Nazari di Calabiana (autorizzazione orale
concessa in extremis, ché non volle rilasciare nulla di scritto): ma – si
sa – Calabiana era a suo modo anti Roma, anti Pio IX (che aveva mal
tollerato la sua elezione, gradita invece al Re Savoia, e che non lo volle
mai far cardinale), anti infallibilità del Papa (in posizione minoritaria
al Concilio Vaticano I del 1870), e approfittare di un’occasione così
importante, così in vista per affermare una volta di più l’autonomia
dell’Arcidiocesi ambrosiana di Milano, gli faceva buon gioco. Purché il
rito non fosse propriamente rito (una missa sicca, all’usanza medievale,
cioè senza Consacrazione e senza Comunione) e le donne del coro ve-
stissero rigorosamente di nero come gli uomini, il volto celato dal velo
per impedirne la vista 194.
Pochi anni prima, di fronte all’eventualità di strumentare la Petite

192
Inventario della Musica esistente negli Archivi dell’Ill.mo & Rev.mo Capitolo Me-
tropolitano di Torino compilato da Prospero Succio Musico al Servizio dello stesso Ven.do
Consesso aggiuntivi dal medesimo estensore alcuni cenni biografici di cento Compositori
dei quali hannosi opera nei predetti Archivi, 1882, ms. in I-Td, p. 260.
193
Lettera di Giuseppe Verdi a Tito Ricordi, Sant’Agata, 17 novembre 1868, in
«Gazzetta musicale di Milano», XXIII, n. 47, 22 novembre 1868, p. 379; cfr. anche
CARLO MATTEO MOSSA, Una “Messa” per la storia, in Messa per Rossini: la storia, il testo,
la musica, a cura di MICHELE GIRARDI e PIERLUIGI PETROBELLI, Parma, Istituto di studi
verdiani, 1988, pp. 11-78: 57.
194
Cfr. VALENTINO DONELLA, Un Requiem senza Messa: circostanze e aspetti poco
noti della prima esecuzione del Requiem di Verdi in S. Marco, in Verdi, la musica e il sa-

CCXVI
UN SOGGETTO EQUIVOCO AL CREPUSCOLO DEGLI DÈI CASTRATI

Messe Solennelle, nata nel 1863 per un organico e una destinazione


salottiera, anche Rossini aveva paventato la possibilità di un’esecu-
zione solenne in una grande basilica senza cantanti donne, ma con
i bambini a sostenere le parti acute. Così scrisse dunque nel 1865 al
collega Franz Liszt, che da meno di due mesi aveva ricevuto la ton-
sura e gli ordini minori e che al momento risiedeva stabilmente in
Vaticano:

Oh carissimo mio Abate Liszt lasciate che io vi offra le mie sincere Fe-
licitazioni pel Santo Partito da voi preso che vi assicura il miglior avvenire
possibile. Vivo sicuro però che la musica nella quale Dio vi ha fatto sì Grande
non sarà da voi abbandonata. L’Armonia dei Cieli sarà ognora la vostra mi-
glior scorta su questa Terra. A proposito di musica non so se vi sia noto avere
io composta una Messa di Gloria [sic!] a 4o Parti, che ebbe la sua Esecuzione
nel Palazzo del mio amico Conte Pillet-Will – Detta Messa venne Eseguita da
valenti artisti d’ambo i Sessi e accompagnata da Due Pianoforti ed un Harmo-
nium [...]. Si vorrebbe ch’io la Strumentassi per eseguirla poscia in qualche
Basilica Parigina, io ho ripugnanza ad intraprendere tal Lavoro, avendo posto
in questa Composizione tutto il mio piccolo sapere musicale e lavorato con
vero amore di Religione. Esiste (per quanto mi si assicura) una Fatale Bolla di
un Pontefice passato che proibisce la promiscuità dei due Sessi nelle Chiese,
potrei io mai acconsentire di sentir cantare le mie povere note da Ragazzetti
Stuonatori di prima classe, piutostoché da Femmine che Educate ad hoc per
la Musica Sacra, rappresenterebbero (musicalmente parlando) colle loro in-
tonate voci bianche gli Angeli Celesti??? Se mi fosse dato abitare in Vaticano
come voi, mi getterei a’ Piedi dell’adorato mio Pio IX per intercedere la Gra-
zia di una nuova Bolla che permettesse alle donne di cantare nelle Chiese uni-
tamente agli uomini, questa misura darebbe nuova vita alla Musica Sacra che è
in piena decadenza. Concludo. Se S. S.tà, che so amare la Musica e non esserle
ignoto il mio nome, volesse Emanare tal Bolla acquisterebbe nuova Gloria
nel Paradiso e i Cattolici di ogni Contrada lo Benedirebbero per quest’atto
di Giustizia (poiché nelle Chiese ambo i sessi sono uniti) e di vera Coscienza
Armonica. La nostra Santa Religione sebbene si vorrebbe calpestata da alcuni
miserabili resterà ognora alla sua altezza, e la Musica sarà sempre il primo
ausiliare per i Devoti. Da bravo Abate mio carissimo, unitevi meco e tentiamo
presso S. S.tà di ottenere una grazia che deve starvi a cuore doppiamente, e
195
qual Servo di Dio e come Musico .

cro, Atti del convegno (Roncole Verdi - Busseto, 27-29 settembre 2013), a cura di DINO
RIZZO, Fidenza, Mattioli 1885, 2014, pp. 17-68.
195
Lettera di Gioachino Rossini a Franz Liszt, da Passy de Paris, 23 giugno
1865, in Briefe hervorragender Zeitgenossen an Franz Liszt nach den Handschriften des
Weimarer Liszt-Museums, a cura di LA MARA [MARIE LIPSIUS], vol. II: «1855-1881»,

CCXVII
ANZANI – BEGHELLI

(Non sfugga l’ironico gioco linguistico di Rossini, che per indicare nel
collega il musicista dedicatosi alla Chiesa cattolica utilizza la parola
«Musico», carica di un doppio significato.)
Verosimilmente Liszt non fece alcun passo nei confronti del Pon-
tefice, ma in visita a Parigi nel marzo successivo avrà l’occasione di più
incontri con Rossini, durante i quali l’argomento sarà certamente stato
riaperto. Al punto che proprio in quegli stessi giorni Rossini si convin-
cerà di dover procedere in prima persona, come scrive all’amico lati-
nista Luigi Grisostomo Ferrucci [Ferruzzi], direttore della Biblioteca
Medicea Laurenziana in Firenze (1857-1877):

Ti sarà forse noto avere io composta una Messa Solenne eseguita in una
Gran Sala del mio amico Conte Pillet Wil per la quale s’è menato molto Ru-
more. L’Esecuzione fu perfetta. L’accompagnamento provisorio è di due Pia-
noforti ed un Harmonium (organetto). Esito molto, malgrado le Sollecitudi-
ni dei Sapienti ed Ignoranti ad istrumentarla per poscia poterla Eseguire in
qualche Grande Basilica, e ciò per la mancanza delle Voci (così dette bianche)
Soprani e Contralti senza le quali non si dèe cantare le Glorie del Signore! Mi
spiego – – – –
Un Pontefice di cui ignoro il nome e l’Epoca emanò una bolla che proibi-
va la mutilazione dei Ragazzi per farne dei Sopranisti, questa misura sebbene
abbia un venerabile aspetto è stata fatale per l’Arte Musicale e specialmente
per la Musica Religiosa (ora in tanta decadenza!). Quei Mutilati, che non po-
tean percorrere altra carriera che quella del Canto, furono i fondatori “del
Cantar che nell’Anima si sente”, e la orrenda decadenza del bel Canto Italiano
ebbe origine dalla soppressione di essi – – – – –
Altro Pontefice, di cui pure ignoro il nome e l’epoca, Emanò Bolla che
proibiva la Promiscuità d’ambo i Sessi nelle Cantorie, tu ben ricorderai che
nelle nostre Chiese i Fedeli maschi se ne stavan Soli da un lato, e le Femmi-
ne dall’altro, ora che gli usi sono totalmente cambiati, vale a dire che uomini
e donne sono gli uni framischiati cogl’altri, è ridicolo che si voglia rigorosa-
mente osservare la prescrizione di questa mal augurata ulteriore Bolla; chi
rimpiazza i Sopranisti e le Donne? Sono i Giovinetti dai 9 ai 14 Anni con
voci acetose e per lo più stonate – – pare a te che la Musica Religiosa possa
sussistere con sì misere risorse? Tu mi dirai e i Tenori e i Bassi necessitan
più! io ti risponderò che questi sono Eccellenti pel Deprofundis ed afligenti
per il Gloria in Excelsis Deo – – Veniamo ora alla Morale di questa nojosa
mia Narrativa. Se tu mel consigli vorrei scrivere a Pio IX alfine Emanasse
una nuova Bolla che permettesse alle donne di Cantare (promiscuamente

Leipzig, Druck und Verlag von Breitkopf & Härtel, 1895, pp. 305-306 (ricontrollata
sull’originale).

CCXVIII
UN SOGGETTO EQUIVOCO AL CREPUSCOLO DEGLI DÈI CASTRATI

agli uomini) nelle Chiese, So che egli ama la musica, So ancora non esserle
sconosciuto, poiché persona che lo ha inteso Cantare passeggiando pel Giar-
dino del Vaticano Siete Turchi non vi credo [il Quartetto del Turco in Italia,
I.9] si è accostata a lui per complimentarlo della Bella voce e della Bella ma-
niera di Servirsene alla quale S. S. rispose “Mio Caro, da Giovane io cantavo
sempre la Musica di Gioachino!”
Caro Ferrucci cosa ne dici? debbo io Azzardare un foglio col tuo antico
amico Pio IX?? Se ottenessi quanto desidero sarei Benedetto da Dio e dagli
Uomini, ma il ripeto senza un tuo Consiglio mi starò muto. [...]
Se sei del parere ch’io mi rivolga a S. S., mandami (In Latino benentesi)
196
un modello di Lettera te ne sarò oltremodo riconoscente – – –

Ferrucci accondiscese e scrisse la lettera in latino, che Rossini


si limitò a datare (25 aprile 1866), a firmare («Ioachim Rossini») e
a inviare a Roma tramite il nunzio apostolico a Parigi, l’Arcivesco-
vo Flavio Chigi, già invitato alla prima esecuzione della Petite Mes-
se Solennelle (1864) . Nel frattempo Liszt – o perché informato dei
197

fatti (essendo rientrato in Vaticano), o semplicemente riprendendo le


considerazioni fatte a voce in Parigi – scriveva a Rossini schierandosi
dalla sua parte:

Certamente la causa della partecipazione della voce delle donne alle gran-
di esecuzioni di musica da chiesa che voi perorate è una causa nobile, bel-
la, giusta, e quasi vinta in partenza nel giudizio di tutte le orecchie un tanto
appena musicali. I vostri argomenti di sostegno nella lettera al Santo Padre
suonano giusti e forti; di più, l’autorità del vostro gran nome li rende tanto
persuasivi quanto possibili. Dal punto di vista artistico, è evidente che la mu-
sica soffre, langue, deperisce per l’assenza delle voci di donna. Rimpiazzarle
o rinunciare completamente alle voci bianche nelle composizioni di un certo
tipo, che sono parte integrante del culto, espone ad inconvenienti tanto fasti-
198
diosi quanto dimostrati .

196
Lettera di Gioachino Rossini a Luigi Grisostomo Ferrucci cit. (ricontrollata
sull’originale).
197
Cfr. S. ALBERICI, Rossini e Pio IX cit., pp. 14-18.
198
«Assurément la cause que vous plaidez du concours de voix de femmes aux
grandes exécutions de musique d’église est une cause noble, belle, équitable, et comme
gagnée à l’avance de par l’entendement de toutes les oreilles un tant soit peu musi-
cales. Vos arguments à l’appui dans la lettre au St Père, frappent juste et fort; de plus,
l’autorité de votre grand nom les rend aussi persuasifs que possible. Du point de vue
artistique, il est évident que la musique souffre, languit, dépérit par l’absence des voix
de femmes. Les remplacer ou se passer complètement de voix blanches dans les com-
positions d’un certain ordre, qui appartiennent au Culte, expose à des inconvénients
aussi fâcheux que démontrés» (lettera di Franz Liszt a Gioachino Rossini, [Roma],

CCXIX
ANZANI – BEGHELLI

Il Papa alfine inviò una lettera di riscontro a Rossini, ma dribblan-


do astutamente l’argomento in modo da scongiurare una qualsiasi re-
plica. E al Nostro non restava che darne sconsolata notizia a Ferrucci:
199
Lascia ora che ti dia un cenno della Corrispondenza del tuo Mastai . In
risposta alla tua magnifica Lettera in Latino, dopo trè mesi ne ebbi una pure
in Latino da lui Firmata, nella quale mi si danno Benedizioni, Elogii, Tenerez-
ze etc. etc. ma dell’adesione ch’io reclamo, cioè, che le Donne possan Canta-
re Promiscuamente cogli Uomini nelle Basiliche non se ne fa cenno alcuno!!
200
Capisco bene che in questi momenti egli abbia tali preocupazioni che non
le permettino discender sino a noi, io però passata la Crisi conto ScriverLe in
Italiano e colla mia povera Dicitura dichiararLe che se è in potere di aderire a
miei Desiderii e non lo fa, ne renderà Conto a Dio! se poi non è in suo potere
di esaudirmi lo compiango, e non resterò per ciò meno affezionato a Lui etc.
201
etc. Intendi o mio Ferrucci??

Ma la crisi politica non passò: alle migliori intenzioni sopravvenne la


morte di Rossini (1868) e negli anni immediatamente successivi, con
l’annessione di Roma al Regno d’Italia (1870), l’atteggiamento del pa-
pato sarà tutt’altro che di apertura verso le nuove esigenze di carattere
sociale.
Al capo opposto – rispetto al giovanile Equivoco stravagante – della
parabola artistica rossiniana, la problematica del cantore castrato rie-
mergeva dunque in tutta la sua urgenza. La Petite Messe Solennelle era
stata idealmente – e provocatoriamente – concepita per «Dodici Can-
tori dei tre Sessi: Uomini, Donne, e Castrati» 202. Era quello il rimpianto
estremo per la voce perduta.

28 giugno 1866, in Franz Liszts Briefe, a cura di LA MARA [MARIE LIPSIUS], vol. VIII,
Druck und Verlag von Leipzig, Breitkopf & Härtel, 1905, pp. 179-182 : 180).
199
Pio IX, al secolo Giovanni Maria Mastai Ferretti (1792-1878).
200
Era in corso la III Guerra d’Indipendenza e ferveva il movimento di pensiero
sulla cosiddetta Questione Romana.
201
Lettera di Gioachino Rossini a Luigi Grisostomo Ferrucci, Passy de Paris, 14
ottobre 1866, in S. ALBERICI, Rossini e Pio IX cit., p. 21 (ricontrollata sull’originale).
202
«Douze Chanteurs de trois Sexes: Hommes, Femmes, et Castras»: così sul ma-
noscritto autografo (cfr. GIOACHINO ROSSINI, Petite Messe Solennelle, 3 voll., a cura di
DAVIDE DAOLMI, Pesaro, Fondazione Rossini, 2013, p. XXVII del Commento Critico).

CCXX

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