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La pazienza e il diritto

Una prima versione del presente testo è stata discussa il 30 maggio 2006, a Pavia, nell’incontro dedicato alla “Pazienza” facente
parte del ciclo “Le Passioni. Diritto, filosofia e psicologia in dialogo” organizzato dal Collegio Universitario Giasone del Maino. Una
seconda versione è stata discussa il 27 luglio 2006, a Noto (Siracusa), durante la prima edizione delle “Vacanze filosofiche”
organizzate dal “Centro di Etica Generale e Applicata” (C.E.G.A.) e dedicate al tema “Affetti e legami”.

1. Pazienza come istituzione.

1.1. Il diritto è fenomeno complesso. Ogni formula che lo voglia caratterizzare è necessariamente
riduttiva. Ma credo che sia legittima una prospettiva (accanto ad altre prospettive) secondo cui il
diritto può essere pensato come l’istituzionalizzazione della pazienza.
Nel diritto è infatti all’opera quella che mi sembra essere una caratteristica essenziale della
pazienza: il differimento della volontà buona. Non si tratta di un semplice differimento di una
volontà in quanto istinto, pulsione ancorata in bisogni naturali o desiderio individuale: sicuramente
nel diritto v’è anche questo: infatti il diritto, in quanto cultura, partecipa, insieme alle altre forme
della cultura, ad una secondarizzazione degli istinti, ad una loro civilizzazione. Ma il diritto è
istituzionalizzazione della pazienza in un senso più proprio: nel senso di un differimento non di una
volontà qualsiasi, ma di una volontà buona, cioè di una volontà che ha buone ragioni per attuarsi
immediatamente, e che, invece, differisce pazientemente la propria attuazione. Il diritto è
l’istituzionalizzazione di questo differimento. Grazie al diritto, questo differimento della volontà
buona non è lasciato alla buona volontà, all’arbitrio, dei singoli. Il diritto istituisce la pazienza.
L’istituzionalizzazione della pazienza riguarda tutti e tre i poteri nei quali si sviluppa il diritto:
produzione di norme (potere legislativo), risoluzione dei conflitti (potere giudiziario),
amministrazione (potere esecutivo).
In tutti e tre i poteri il diritto si attua attraverso un differimento della volontà buona: legislatore,
giudice e funzionario possono agire solo in quanto differiscono pazientemente la loro volontà.

1.2. Il differimento della volontà, proprio della pazienza in generale, non va interpretato come
abulia, né come insensibilità o indifferenza. Se la pazienza dei filosofi classici (ad es. la kartería
degli stoici) era una virtù ancora egocentrica e triste1, già nel primo pensiero cristiano e quindi

1
Cfr. Michel Spanneut, Patience, 1984, col. 441.

1
nell’iconografia medievale era superato l’appiattimento della pazienza sulla passività e ne era
presentata la paradossale unione di passività ed attività.2
Lévinas ha così efficacemente caratterizzato la complessità strutturale della pazienza: “la passivité
du subir et, cependant, la maîtrise même”. 3 Infatti, differire la propria volontà non significa
rinunciare alla propria volontà, ma esercitarla in un modo più ampio.
Più specificatamente, duplice è il movimento della volontà che è all’opera nella pazienza. In un
primo movimento (volontà passiva) il soggetto si ritrae, si de-soggettivizza, per lasciare posto
all’altro da sé; in un secondo movimento (volontà attiva) il soggetto permane nella distanza che ha
saputo mantenere e soggettivizza secondo la sua volontà quell’altro da sé che ha lasciato essere.4
Per quanto riguarda il diritto, la pazienza consente la sospensione del principio fisico di azione-
reazione e la sostituzione ad esso dei principî giuridici per i quali la reazione non è esito di
automatismi.

1.3. Ma quali sono i modi della pazienza istituita dal diritto?


Credo che sia possibile individuare almeno tre modi che, come cerchi concentrici, si comprendono
l’uno nell’altro.

2. Pazienza come mediazione.

2.1. Dei tre modi della pazienza istituita dal diritto, il primo modo, quello corrispondente al cerchio
più ampio, è quello in cui la pazienza istituita dal diritto si realizza nella mediazione.
Il diritto è pazienza istituita in quanto è mediazione, e non immediatezza.
Secondo questo punto di vista, può essere pensato anche il rapporto, che vi è in Hegel, tra Moralität
(relativa alla coscienza individuale) e Sittlichkeit (relativa alla normatività oggettivata nella stabile
intersoggettività sociale).
La pazienza istituita dal diritto si realizza come mediazione. Ma quali sono i termini con cui la
volontà buona si media? Nella mediazione del diritto, la volontà buona subisce tre elementi ad essa
esterni, e può realizzarsi solo attraverso la triplice mediazione con essi:
1. l’altro soggetto / gli altri soggetti: la relazionalità del diritto;

2
Cfr. Gerald Schiffhorst (ed.), The Triumph of Patience: Medieval and Renaissance Studies, 1978.
3
Emmanuel Lévinas, Totalité et Infini: essai sur l’extériorité, 1961; 21974, p. 216.
4
Paola Ricci Sindoni mi ha segnalato l’analogia tra il duplice movimento della volontà che è all’opera nella pazienza e
il duplice movimento che costituisce, secondo Martin Buber, il principio dell’essere uomo: il movimento di
“Urdistanzierung” (distanziamento originario) ed il movimento di “In-Beziehungtreten” (entrare-in-relazione).

2
2. il terzo (ad es. testimone, giudice, arbitro,...): la terzietà del diritto;
3. il pre-dato giuridico (la norma, la tradizione, il giudicato,...): la storicità del diritto.

2.2. Forse il caso più provocatorio di mediazione della volontà buona è quando tale volontà si può
realizzare solo sulla base di presupposizioni giuridiche fattualmente false, come è il caso della fictio
iuris.
Fictio iuris è, secondo la bella ridefinizione proposta da Edoardo Dieni, “in re certa, contra
veritatem, sine intentione celandi adversionem veritati, exclusa probatione contrarii, assumptio”.5
Limitrofa alla finzione è la figura della presunzione, che così Dieni ridefinisce: “in re non certa, sine
intentione, si casus ferat, celandi adversionem veritati, exclusa probatione contrarii, assumptio”. 6 La
presunzione sconfina nella finzione “quando è iuris et de iure ed è noto che il fatto assunto come
vero non è vero”.7

2.2.1. Due esempi paradigmatici di finzione sono, nel Codice di diritto canonico del 1983, “la
finzione per cui il matrimonio regolarizzato tramite sanatio in radice è considerato essere stato
sempre valido” (can. 1161)8 e “la finzione che considera legittimi i figli nati da un matrimonio
valido, benché concepiti fuori del matrimonio” (can. 1137) 9: entrambe queste finzioni hanno una
funzione lato sensu politica: “recuperare alla “regolarità” situazioni derivanti da condotte
potenzialmente o effettivamente peccaminose”.10

2.2.2. Ma è al diritto romano che si deve “attribuire la creazione cosciente e l’utilizzazione


sistematica dello strumento tecnico della finzione, con impegno e rigore che non si riscontrano in
nessun altro ordinamento, antico e moderno”.11
Tra i molti esempi possibili, ricordo quello relativo alla actio Publiciana in cui si fingeva
(“fingitur”) che l’attore avesse usucapito la res di cui aveva perso il possesso e che prima aveva
ricevuto per traditio ed in base ad una iusta causa (la actio ficticia fu introdotta dal ius honorarium
perché, secondo il ius civile, la semplice traditio non consentiva di diventare dominus ex iure

5
Edoardo Dieni, Finzioni canoniche: dinamiche del “come se” tra diritto sacro e diritto profano, 2004, p. 146.
6
Edoardo Dieni, Finzioni canoniche: dinamiche del “come se” tra diritto sacro e diritto profano, 2004, p. 146.
7
Edoardo Dieni, Finzioni canoniche: dinamiche del “come se” tra diritto sacro e diritto profano, 2004, p. 216.
8
Edoardo Dieni, Finzioni canoniche: dinamiche del “come se” tra diritto sacro e diritto profano, 2004, p. 208 e pp.
210-212.
9
Edoardo Dieni, Finzioni canoniche: dinamiche del “come se” tra diritto sacro e diritto profano, 2004, p. 210 e p. 212.
10
Edoardo Dieni, Finzioni canoniche: dinamiche del “come se” tra diritto sacro e diritto profano, 2004, p. 323.
11
Salvatore Pugliatti, Finzione, 1968, p. 662.

3
Quiritum).12 Anche nel caso della actio Publiciana, la finzione rispondeva a “evidenti ragioni di
equità ed esigenze di tutela della buona fede”.13

2.3. Un esempio emblematico di limitazione del vero in nome del giusto (che dalla pienezza del
vero potrebbe essere limitato) è rappresentato dall’attuale modo di determinazione del punteggio
nelle gare di tuffi. Infatti il punteggio viene determinato non facendo la media dei voti espressi da
tutti i giudici, ma eliminando i voti più alti e i voti più bassi:

“Nelle gare individuali quando operano sette (7) Giudici le segreterie


devono cancellare i due (2) voti più alti e i due (2) più bassi. Quando due o
più voti si equivalgono solo due dei voti uguali devono essere cancellati. Se
operano invece solo cinque (5) Giudici, le segreterie devono cancellare il
più alto e il più basso dei voti” (art. D. 7.5 Regolamento Tuffi FINA).

3. Pazienza come forma.

3.1. Dei tre modi della pazienza istituita dal diritto, il secondo modo, quello corrispondente al
cerchio intermedio, è quello in cui la pazienza istituita dal diritto si realizza nella forma.
La volontà buona è nel diritto una volontà formale, non informale. E, correlativamente, la forma nel
diritto è sempre forma di volontà. Come scrive Rodolfo Sacco, nel diritto il termine ‘forma’ “si è
specializzato fino a comprendere soltanto: il modo con cui avviene la manifestazione di volontà
(ossia lo speciale mezzo semantico; o lo speciale frasario)” o “il modo in cui la manifestazione di
volontà è resa certa (presenza di testi, redazione di verbale, ecc.)”.14
Tale forma è così importante che può arrivare ad esaurire interamente la stessa volontà che la forma
dovrebbe manifestare, come accade nel formularismo di alcune diritti antichi (ad es. nelle legis
actiones del primo diritto processuale romano dove era sufficiente che l’attore, che agiva per il
taglio di viti, nominasse nell’azione il fitonimo ‘viti’ invece che ‘alberi’ perché perdesse la causa,
cfr. Gai Institutiones, IV:11 e IV:30).
Come scrive Sacco, è “difficile disconoscere i vantaggi che il formalismo può arrecare per la
protezione della certezza del diritto e anche per la protezione della buona fede”. 15 Ecco, quindi, che

12
Gai Institutiones, IV:36; cfr. Ernesto Bianchi, Fictio iuris: ricerche sulla finzione in diritto romano dal periodo
arcaico all’epoca augustea, 1997, pp. 294-304.
13
Ernesto Bianchi, Fictio iuris: ricerche sulla finzione in diritto romano dal periodo arcaico all’epoca augustea, 1997,
p. 296.
14
Rodolfo Sacco, Il contratto, 1975, p. 421.
15
Rodolfo Sacco, Il contratto, 1975, p. 428.

4
anche nelle società moderne e contemporanee la volontà buona non può, nel diritto, realizzarsi
informalmente, ma è necessario che si dia in una forma pazientemente prodotta. Ad esempio, “per
emettere un pagherò cambiario, bisogna inserire nella promessa le parole cambiale, pagherò
cambiario, o vaglia cambiario”.16
Questa è anche la ragione perché le regole ipotetico-costitutive (o le hartiane rules of change) sono
così presenti qualitativamente e quantitativamente.

3.2. Una caratteristica importante della forma giuridica è la sua solennità: ciò che anche Hegel
chiamò “Feierlichkeit”.17 Ad esempio, non è sufficiente il consenso per sposarsi o per sciogliere il
matrimonio, ma si richiede un atto solenne.
Possiamo definire la solennità come un eccesso della forma sulla funzione.
L’atto giuridico è tipicamente un atto solenne, cioè un atto che si conclude attraverso un eccesso
formale che costituisce una soluzione di continuità rispetto al dato pre-giuridico. È solo rispetto a
questo dato pre-giuridico che la forma, anche quando adeguata, appare eccedente, inutile, esteriore:
l’eventuale inadeguatezza della forma va valutata non rispetto al dato pre-giuridico, ma alla
sostanzialità giuridica che quella forma deve consentire.
È questa solennità che ostacola strutturalmente ogni riduzione del diritto all’economia.

4. Pazienza come dilazione temporale dell’esercizio della volontà buona.

4.1. Dei tre modi della pazienza istituita dal diritto, il terzo modo, quello corrispondente al cerchio
più interno, e dunque più specifico, è quello in cui la pazienza istituita dal diritto si realizza nella
dilazione temporale dell’esercizio della volontà buona, anche quando tale volontà buona
corrisponde ad un diritto (right o power) giuridicamente riconosciuto.
La volontà buona non può essere attuata considerando solo la bontà di tale attuazione.
L’avere un diritto non è condizione sufficiente per esercitarlo.
La volontà buona e l’esercizio del diritto possono subire la dilazione temporale e realizzarsi solo
attraverso tale dilazione temporale.

16
Rodolfo Sacco, Il contratto, 1975, p. 467.
17
Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts, 1821, § 164 (tr. it. p. 144).

5
4.2. La dilazione temporale dell’esercizio della volontà buona è il modo di essere della pazienza
quale longanimità, longanimitas, makrothumía. La longanimità rientra fenomenologicamente nella
pazienza in quanto ha come proprio oggetto la “dilazione del bene sperato”, “dilatio boni sperati”.18
La dilazione, propria della pazienza, offre un supplemento temporale sia al divenire dell’ente, sia al
comprendere del soggetto; cioè consente, ex parte obiecti, che l’ente possa divenire oltre il già
accaduto (possibilità particolarmente rilevante quando il già accaduto si è manifestato come male),
e consente, ex parte subiecti, una ermeneutica più adeguata grazie ad una maggiore distanza e una
più sviluppata storia degli effetti.

4.3. Nel diritto la dilazione temporale dell’esercizio della volontà buona si realizza nel modo più
diretto attraverso la previsione di termini dilatori, cioè periodi di tempo che devono trascorrere
prima che un determinato atto possa compiersi o possa produrre i suoi effetti.
Ecco tre esempi di termini dilatori presenti nel processo civile:

(i.) in linea generale, “tra il giorno della notificazione della citazione e


quello dell’udienza di comparizione debbono intercorrere termini liberi non
minori di novanta giorni se il luogo della notificazione si trova in Italia e di
centocinquanta giorni se si trova all’estero” (art. 163 bis c.p.c., 1° comma);

(ii.) e sempre in linea generale “non si può iniziare l’esecuzione forzata


prima che sia decorso il termine indicato nel precetto e in ogni caso non
prima che siano decorsi dieci giorni dalla notificazione di esso” (art. 482
c.p.c.);

(iii.) e ancora in linea generale, “l’istanza di assegnazione o di vendita dei


beni pignorati non può essere proposta se non decorsi dieci giorni dal
pignoramento” (art. 501 c.p.c.).

Ed ecco tre esempi di termini dilatori presenti nel processo penale:

(i.) “l’invito a presentarsi è notificato almeno tre giorni prima di quello


fissato per la comparizione, salvo che, per ragioni di urgenza, il pubblico
ministero ritenga di abbreviare il termine, purché sia lasciato il tempo
necessario per comparire” (art. 375 c.p.p., 4° comma);

(ii.) tra la data del decreto che dispone il giudizio e la data fissata per il
giudizio “deve intercorrere un termine non inferiore a venti giorni” (art. 429
c.p.p., 3° comma);

(iii.) “il presidente dispone la citazione della persona offesa, osservando un


termine non inferiore a cinque giorni” (art. 519 c.p.p., 3° comma).

18
Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa-IIae, q. 136, a. 5, co.

6
Nella prospettiva che vede nella dilazione un effetto della pazienza che il diritto istituzionalizza,
appare eccessivamente restrittivo l’orientamento della Corte costituzionale secondo cui sono
“illegittime le norme che prevedono termini dilatori senza una giustificazione costituzionalmente
rilevante” (Ordinanza n. 519/2002).

4.4. Un esempio ancora più significativo della dilazione temporale dell’esercizio della volontà
buona è rappresentato dal rinvio all’autorità giudiziaria per la tutela dei diritti. Secondo l’art. 99
c.p.c. “chi vuole far valere un diritto in giudizio deve proporre domanda al giudice competente” e
secondo l’art. 2907 c.c. “alla tutela giurisdizionale dei diritti provvede l’autorità giudiziaria su
domanda di parte e, quando la legge lo dispone, anche su istanza del pubblico ministero o
d’ufficio”.

4.5. Uno sviluppo del principio del rinvio all’autorità giudiziaria per la tutela dei diritti, e che
rafforza ulteriormente la dilazione temporale dell’esercizio della volontà buona, è costituito dal
divieto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
Anche negli ordinamenti basati sulla vendetta, qualora siano ordinamenti giuridici, la vendetta non
è mai arbitraria. Così nell’ordinamento barbaricino, ricostruito da Antonio Pigliaru, la vendetta
“deve essere proporzionata, prudente e progressiva” (art. 18).
E nell’ordinamento italiano gli artt. 392 e 393 del codice penale vietano l’esercizio arbitrario delle
proprie ragioni con violenza sulle cose o alle persone:

art. 392 c.p.: “chiunque, al fine di esercitare un preteso diritto, potendo


ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo, mediante
violenza sulle cose, è punito [...]”; art. 393 c.p.: “chiunque, al fine indicato
nell’articolo precedente, e potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente
ragione da sé medesimo usando violenza o minaccia alle persone, è punito
[...]”.

Come si legge in una sentenza della Corte di Cassazione, nei casi di esercizio arbitrario delle
proprie ragioni, l’agente “intende realizzare, con mezzi illeciti, una pretesa che ritiene
materialmente lecita e giusta”; “è insita nella stessa struttura dell’art. 392 c.p. la “pretesa di
esercitare un diritto”, con l’effetto che la sussistenza di una tale finalità, accompagnata dalla
convinzione dell’agente fondato o putativo, di vantare in diritto, costituisce elemento essenziale del
reato” (Corte di Cassazione, Sez. VI, sent. n. 13115/2001).

4.6. La dilazione temporale della volontà buona riguarda anche il legislatore.

7
Emblematica è la tesi di Tommaso d’Aquino secondo cui la legge umana non deve essere mutata
tutte le volte in cui si prospetta un miglioramento (“quando aliquid melius occurrit”)19: cioè, non
sempre va introdotta una nuova legge anche quando essa sarebbe contenutisticamente migliore di
quella che andrebbe ad abrogare. In ciò, secondo Tommaso, il diritto si distingue dalle tecniche, in
cui “se si trova qualcosa di meglio, si abbandonano le acquisizioni precedenti” 20, infatti nelle
tecniche, a differenza che nel diritto, “tutta l’efficacia deriva dalla ragione (ex sola ratione)”.21 Tale
tesi è apparentemente sorprendente in quanto proviene da un giusnaturalista quale è Tommaso, ma
diventa meno sorprendente se si considera che il giusnaturalismo di Tommaso è quello classico e
realista, e non ancora quello moderno e astratto. Tommaso privilegia la paziente consuetudine alla
impaziente legislazione: “consuetudo et habet vim legis, et legem abolet, et est legum
interpretatrix”.22 Mentre quando la mutazione della legge non avviene secondo consuetudine, tale
mutazione “implica di per sé una menomazione del bene comune”; infatti, “quando si muta una
legge si ha una diminuzione della sua forza coattiva, in quanto le viene tolto il sostegno della
consuetudine”.23

5. Inattualità e necessità della pazienza / inattualità e necessità del diritto.

5.1. Dopo una lunga storia che va da Omero fino a tutto il XIX secolo, la pazienza sembra avere
esaurito la sua corsa: “la patience n’apparaît plus comme une vertu essentielle dans l’enseignement
religieux ou profane”24;“la patience ne semble plus aujourd’hui une vertu à la mode”25.
Già nella modernità la pazienza appariva inattuale:

“Il mondo moderno ha dimenticato la virtù della pazienza. L’azione rapida


ed efficace che travolge tutto ha sbiadito l’oscuro barbaglio della capacità di
attendere e di patire.” “La lenta maturazione delle cose è intollerabile”.26

La post-modernità ha accentuato tale tendenza, poiché è l’idea stessa di futuro ad essere in crisi, in
quanto non si riesce più a immaginare il domani a partire dall’oggi. La vita individuale e collettiva

19
Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 97, a. 2.
20
Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 97, a. 2, arg. 1.
21
Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 97, a. 2, ad 1.
22
Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 97, a. 3, co.
23
Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 97, a. 2, co.
24
Michel Spanneut, Patience, 1984, col. 470.
25
Michel Spanneut, Patience, 1984, col. 474.
26
Emmanuel Lévinas, Vertus de patience, 1963; tr. it. p. 196.

8
sembra collassata su un istante presente che è in totale discontinuità con l’istante che è appena
trascorso e con quello che sarà immediatamente successivo; non solo sul piano ontologico, ma
anche su quello psicologico: non vi è più una “in animo exspectatio futurorum”.27 Zygmunt Bauman
ha scritto di “crisi della procrastinazione”; procrastinare “significa manipolare la possibilità della
presenza di una cosa rimandando e posticipando il suo diventare presente, tenendola a distanza e
differendo la sua immediatezza”.28

5.2. Ma la pazienza istituita dal diritto è anche procrastinazione. Pertanto, la crisi della pazienza non
può non essere anche crisi del diritto. Ed il diritto cerca di rispondere a tale crisi riducendo il
proprio contributo alla pazienza sociale, confondendo quindi gli effetti con le cause.
Così è frutto di un grave fraintendimento sull’essenza e le finalità del diritto (e del diritto
processuale in particolare) che “la ragionevole durata” del processo sia intesa quasi sempre come
durata massima che un processo deve avere, e non anche come durata minima. Infatti, anche gli
autori che opportunamente insistono sulla necessità di equilibrare l’efficienza del procedimento con
i diritti fondamentali che un processo sempre coinvolge, presuppongono un senso di ‘ragionevole
durata’ come breve, sempre più breve, durata.29 Credo, invece, che ‘ragionevole durata’ debba
intendersi più propriamente come la durata conforme sia alla ratio generale che un tipo di processo
in quanto tale (type) ha, sia alla ratio specifica che in un processo particolare (token) si declina.

5.3. Ma l’inattualità della pazienza non è ancora la dichiarazione della sua superfluità per l’uomo.
Come scriveva Lévinas, “il dispiegamento glorioso di energia è mortifero” 30 e come scrive Paul P.
Gilbert, l’impazienza “sopprime l’essere, il tempo e gli altri” e noi “dobbiamo ritrovare il senso

27
Agostino, Confessionun Libri XIII, XI:28.
28
Zygmunt Bauman, Liquid Modernity, 2000; tr. it. p. 180.
29
Ad esempio, Giuliano Scarselli opportunamente scrive che “il giusto processo non si realizza solo abbreviando i tempi
del processo, poiché nel nostro sistema vi sono altri principî costituzionali da rispettare quali quelli della
predeterminazione legale del rito, quelli del contraddittorio, della difesa e della prova, quello di una giustizia resa da un
giudice terzo ed imparziale, e quello del rispetto della parità delle armi tra i vari litiganti”. Ma poi aggiunge
(presupponendo un senso di ‘ragionevole durata’ come breve, sempre più breve, durata): “se il principio della
ragionevole durata del processo entra in collisione con alcuno di questi altri principî processuali (perché, ad esempio, fa
venir meno la predeterminazione legale del rito, oppure comprime il contraddittorio o il diritto alla prova in misura
rilevante), questo è l’ultimo principio costituzionale del processo da rispettare e non il primo e principale” (Giuliano
Scarselli, La ragionevole durata del processo civile, 2003, § 1).
E analogamente nella sentenza n. 219/2004 della Corte costituzionale si legge che “il principio della ragionevole durata
del processo deve essere contemperato con la tutela di altri diritti costituzionalmente garantiti, a cominciare dal diritto
di difesa” (presupponendo, quindi, un senso di ‘ragionevole durata’ come breve durata).
30
Emmanuel Lévinas, Vertus de patience, 1963; tr. it. p. 196.

9
dell’essere, del tempo e delle differenze” 31. E, come osserva Daniela Scotto di Fasano, la pazienza
può essere anche esperienza di piacere:

“La pazienza può essere anche esperienza di piacere, configurarsi come un


laboratorio ricco di fermenti vitali che attendono di svilupparsi, come
mostrano in agricoltura la messa a maggese, in fisica i tempi di
decompressione, nella preparazione di conserve e liquori, la loro messa a
riposo prima dell’utilizzazione”.32

La necessità di ripensare la attualità della pazienza non tanto come “stato della mente”, ma come
“ideale regolativo” (secondo la bella contrapposizione di Scotto di Fasano) è sulla linea di quella
valorizzazione dell’“interstizio” che in sociologia è condotta da Giovanni Gasparini e dagli studiosi
che egli ha saputo convocare attorno a tale tema.33

5.4. La necessità antropologica della pazienza emerge (così come altri bisogni ora sublimati
dall’ideologia del post-moderno) nell’arte. Non è un caso, infatti, che, nonostante il moltiplicarsi dei
dispositivi tecnologici della rappresentazione istantanea e iperrealistica, si sia assistito al recupero
del ricamo proprio da parte di alcuni artisti più esposti alle nuove tendenze. 34 Il ricamo è puro
esercizio di pazienza, mimesi della successione del tempo, esempio perfetto di un valore
interamente risolto in un lavoro che cresce senza discontinuità fino alla chiusura formale.

5.5. Franz Kafka ha mostrato la paziente attesa di un uomo di campagna davanti alla porta della
legge. Forse anche se quell’uomo avesse varcato la porta della legge non avrebbe fatto cose molto
diverse: avrebbe dovuto pazientemente aspettare.

5.6. Il diritto, grazie all’istituzione della pazienza, sfida la morte sul suo stesso terreno.

31
Paul P. Gilbert, La patience d’être: métaphysique, 1996 (tr. it. prefazione).
32
Daniela Scotto di Fasano, Abitare luoghi fatti di tempo, 2006, p. 5.
33
Cfr. Giovanni Gasparini (ed.), Le piccole cose: interstizi e teoria della vita quotidiana, 2004.
34
La presenza vitale del ricamo è stata documentata dalla mostra “II racconto del filo: cucito e ricamo nell’arte
contemporanea”, curata da Francesca Pasini e Giorgio Verzotti, che si è tenuta al MART di Rovereto nel 2003. In tale
mostra erano presenti trenta artisti: per l’Austria: Rainer Ganahl; per il Belgio: Wim Delvoye; per la Bosnia Erzegovina:
Maja Bajevič; per il Brasile: Walter Goldfarb; per la Colombia: Doris Salcedo; per il Giappone: Hiroko Nakao; per la
Germania: Rosemarie Trockel, Christiane Löhr; per la Gran Bretagna: Tracey Emin, Mona Hatoum, Jim Lambie; per il
Kossovo: Erzen Shkololli; per l’Italia: Alighiero Boetti, Letizia Cariello, Maria Lai, Claudia Losi, Laura Marchetti, Eva
Marisaldi, Laura Matei, Maurizio Vetrugno, Francesco Vezzoli; per il Messico: Carlos Arias; per l’Olanda: Michael
Raedecker; per la Spagna: Elizabeth Aro, Elena del Rivero; per l’Ungheria: Mariann Imre; per gli USA: Ghada Amer,
Angelo Filomeno, Mike Kelley, Zoe Leonard.
Ricordo poi le opere recenti di sette artisti non presenti a Rovereto: Silvia Chiarini, Jack Marlowe, Sylvie Meylan, Anila
Rubiku, Berend Strik, Elizabeta Tzvetkova, Paola Zampa.

10
Riferimenti bibliografici delle opere citate

Agostino, Confessionun Libri XIII.

Bauman, Zygmunt, Liquid Modernity, Cambridge, Polity Press; Oxford, Blackwell, 2000.
Traduzione italiana di Sergio Minucci: Modernità liquida, Roma-Bari, Laterza, 2002.

Bianchi, Ernesto, Fictio iuris: ricerche sulla finzione in diritto romano dal periodo arcaico
all’epoca augustea, Padova, Cedam, 1997.

Buber, Martin, Urdistanz und Beziehung, Heidelberg, Lambert Schneider, 1951.

Dieni, Edoardo, Finzioni canoniche: dinamiche del “come se” tra diritto sacro e diritto profano,
Milano, Giuffrè, 2004.

Gasparini, Giovanni (ed.), Le piccole cose: interstizi e teoria della vita quotidiana, Milano, Guerini,
2004.

Gilbert, Paul P., La patience d’être: métaphysique, Bruxelles, Culture et vérité (Ouvertures), 1996.
Traduzione italiana di Maria Teresa La Vecchia: Corso di metafisica: la pazienza d’essere, Casale
Monferrato, Piemme, 1997.

Hegel, Georg Wilhelm Friedrich, Grundlinien der Philosophie des Rechts, Berlin, Nicolai, 1821.
Traduzione di Giuliano Marini: Lineamenti di filosofia del diritto, Roma-Bari, Laterza, 1987; 1991.

Lévinas, Emmanuel, Totalité et Infini: essai sur l’extériorité, La Haye, Martinus Nijhoff, 1961;
2
1974.

Lévinas, Emmanuel, Les vertus de patience, in: Lévinas, Emmanuel, Difficile liberté, Paris, Albin
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