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Il Paradigma Dinamico e Il Paradigma Statico

Il paradigma dinamico è un modello basato sulla scoperta e su un rinnovamento


continuo che si applica in molteplici ambiti e che rinuncia a valori assoluti e verità
eterne. Una caratteristica di questo paradigma è che l’ educatore prende atto prima di
tutto del livello culturale di partenza del bambino o dell’adoloscente e valorizza tale
cultura come punto di partenza su cui costruire il processo di crescita dell’ individuo.
Per rendersi conto che anche i bambini piccoli possiedono una propria “cultura
musicale”, basta osservarli e ascoltarli quando giocano o da soli, nel dar vita a storie
inventate, o in gruppo nei loro gioichi cantati. Ovviamente questa cultura musicale del
bambino non è un bagaglio innato ma si è formato grazie all’educazione indiretta detta
anche educazione informale ricevuta dall’ ambiante; basti pensare alla ninna-nanna
materna, la colonna sonra del cartone animato, il frammento di una canzone televisiva
ecc... Al contrario il paradigma statico predilige l’ educazione formale partendo dal
presupposto che il bambino sia un’ imperfezione da condurre alla perfezione senza
considerare che il bambino è già in grado di esprimere “perfettamente” il suo mondo,
con le parole, con i gesti, con la musica. In effetti il paradigma statico è in generale un
sistema molto più rigido, volto all’ ubbidienza, al rispetto dell’ autorità e che lascia
pochissimo spazio all’ iniziativa individuale.
Invece non sta a noi educatori bloccare la libertà espressiva del bambino che per
esempio può inventare una musica con un proprio ritmo, una propria melodia, senza che
conosca la notazione musicale o le regole alla base dell’ armonia; lo stesso accade
quando chiediamo ad un bambino di usare creativamente la parola, inventando una
storia o una favola, non pretendiamo che sappia classificare le parti del discorso o che
sappia razionalizzare le regole della sintassi! Inoltre se al bambino volessimo fargli
capire la differenza tra il modo maggiore ed il modo minore, una canzone napoletana
può andar meglio di una Sinfonia di Schubert o per enfatizzare il gioco di domanda-
risposta tra una frase in dominante ed una frase in tonica non è necessaria la Romanza
di Mendelssohn ma può bastare anche una canzoncina popolare. Se invece volessimo
promuovere la creatività in ambito strumentale, potremmo per esempio scrivere delle
frasi musicali di 4-8 battute, adattandole al singolo allievo, che poi dovrà leggerle a
prima vista, praticarne delle variazioni, inventarne delle altre ecc.. in questo modo
miglioriamo sia la sua inventiva sia la sua abilità tecnica. Ecco che emerge il concetto
della liberalizzazione del repertorio senza una divisione tra brani di serie A e brani di
serie B. Mentre il paradigma statico predilige una gerarchia rigorosa all’ interno del
repertorio musicale dal quale attingere per la formazione quindi ci sono brani di serie A
come quelli di Bach e Beethoven e brani di serie B come quelli appartenenti alla musica
leggera o alla musica etnica. Addirittura fino a qualche tempo fa anche strumenti
musicali come il sax o la fisarmonica non venivano considerati all’ altezza di essere
inseriti nei conservatori.
Rientra nei fondamenti del paradigma dinamico anche il concetto di diritto allo studio
ovvero quel diritto che fornisce, a tutti i componenti della società, le occasioni e gli
strumenti per crescere culturalmente. Infatti non dobbiamo dimenticare che il nostro
obiettivo non è quello di ricercare e valorizzare solo i cosiddetti bambini prodigio che
rappresentano un’ eccezione, e che in virtù di questa eccezionalità dovrebbero avere
ben poca importanza per un docente. Peraltro si è visto che molti bambini prodigio a
seguito di un continuo sovraffaticamento al quale sono sottoposti, molto spesso finiscono
per diventare dei musicisti ordinari o addirittura spariscono dal panorama artistico.
Inoltre bisogna tener presente che al giorno d’oggi si cerca di non predestinare le
persone verso determinate professioni almeno fino a che lo studente non abbia espresso
al meglio le proprie attitudini e non sia in grado egli stesso di orientarsi sull’ indirizzo da
scegliere seguendo i propri interessi e le proprie vocazioni. Il paradigma statico è invece
molto più incentrato sugli allievi dotati di maggior talento, sfavorendo coloro che
incontrano maggiore difficoltà.
Per il paradigma dinamico è importante riempire la giornata scolastica di esperienze
forti che siano in grado di motivare il bambino; per esempio un’esperienza forte è
quella che permette all’ alunno di “capire come fare”: non solo per affrontare lo stesso
compito su materiali nuovi, ma anche per estendere le proprie competenze al di fuori
dell’ambiente scolastico. Per esempio insegnare ad un alunno di scuola media a cantare
leggendo uno spartito potrà portarlo ad eseguire egregiamente delle semplici melodie
pentatoniche alla fine del corso di studi; certo non potrà cantare a prima vista ogni
melodia ma gli avremo fornito la chiave per estendere eventualmente la sua
competenza ad un livello superiore (sempre che l’esperienza sia stata per lui
gratificante). Fatto sta che in quale direzione andrà a sviluppare le proprie competenze
sarà la vita a suggerirglielo, saranno gli interessi, la vocazione, le opportunità sociali e
così via.
Proseguendo con la trattazione, un altro fondamento sul quale si basa il paradigma
dinamico è l’educazione all’ autonomia ovvero si aspira a far acquisire e padroneggiare
all’ allievo tutti i mezzi necessari affinchè possa compiere le proprie scelte in maniera
autonoma. Ora, mentre nel paradigma statico l’ autonomia è si ammessa ma come un
risultato finale dell’ intero percorso educativo ( es. Il docente che dice: obbedisci
ciecamente ai miei comandamenti e al termine possederai tutti i mezzi che ti servono
per agire autonomamente), invece nel paradigma dinamico l’ autonomia va promossa
gradualmente fin dall’ inizio del percorso educativo stimolando l’ iniziativa dell’ allievo
e facendo in modo che usi l’ esperienza maturata in modo creativo. Così facendo
imparerà a riconoscere di volta in volta il valore espressivo della dinamica e dell’
agogica e riuscirà a decidere per conto proprio una soluzione esecutiva piuttosto che un’
altra. D’ altra parte l’ educazione all’ autonomia richiede che l’ insegnante abbia una
consolidata sicurezza personale che emerge nel momento in cui l’ allievo giunge ad una
posizione diversa dalla nostra o contesta una nostra decisione; infatti renderlo autonomo
significa anche insegnarli ad essere critici nei nostri confronti e dobbiamo essere disposti
ad accettarlo e a vederlo come un successo che ha ottenuto la nostra educazione.
Prima di passare alle finalità del paradigma dinamico, è bene sottolineare l’ importanza
che esso dà alla formazione pluri-culturale cioè alla formazione che insegna all’ allievo
non solo a cantare o suonare ma anche a comporre e improvvisare. Questo veniva
promosso nella didattica pre-ottocentesca ma si è persa nel corso dell’ ottocento in
favore di una formazione mono-culturale tipica del modello statico incentrata solo ad
accrescere la voce nel cantante, l’abilità esecutiva nello strumentista, l’ abilità
compositiva e inventiva nel compositore. Tuttavia così facendo si perde la figura del
cosiddetto “musicista intero” promossa da Jacques-Dalcroze. Sempre in quest’ ottica il
paradigma dinamico favorisce la musica d’insieme sin dalle prime lezioni come mezzo
per arricchire la formazione solistica; infatti così facendo viene migliorata la capacità di
leggere a prima vista, viene acquisita la capacità di adattare il proprio suono a quello
degli altri o la capacità di reagire prontamente alle richieste del direttore d’ orchestra,
e si va ad estendere il proprio repertorio. Inoltre il suonare o il cantare insieme non solo
è un’ esperienza gratificante ma anche motivante e sappiamo quanto la motivazione sia
fondamentale per permettere all’ allievo di migliorarsi. Al contrario il paradigma statico
impronta la formazione più sulla carriera solistica e sul mero nozionismo con il rischio
che ad un certo punto il bambino possa avere dei cali motivazionali e di interesse che lo
portano ad interrompere gli studi musicali.

Adesso passiamo a soffermarci sulle finalità di questo paradigama dinamico. In


particolare lo studioso Benjamin Bloom le ha suddivise in :
1) Finalità cognitiva

2) Finalità affettiva/etica
3) Finallità psicomotoria

Dopo di che, Bloom individua sei categorie nella finalità cognitiva : conoscenza,
comprensione, analisi, applicazione, sintesi e valutazione.
Invece Will French include nella finalità affettiva/etica : realizzare se stessi; acquisire
comportamenti adeguati all’ integrazione nella propria comunità.
Infine Anita Harrow individua nella finalità psicomotoria : movimenti riflessi,
movimenti di base, comunicazione non verbale ecc..

Portando questi concetti generali nell’ ambito specifico dell’ educazione musicale allora
vediamo che le abilità cognitive sono quelle che consentono di capire e produrre la
musica, le abilità affettive non sono solo funzionali alla vita di classe e al rapporto
insegnante-allievo ma anche per cogliere la dimensione emotiva di una musica, le abilità
motorie sono fondamentali nella pratica musicale.
Ovviamente queste tre finalità vanno perseguite da tutto il team di insegnanti, in modo
che si vada ad assumure il ruolo di educatori e non di semplici trasmettitori di contenuti
disciplinari. Tuttavia c’è da aggiungere che tra le finalità esposte, quella cognitiva e
quella psicomotoria sono state da tempo presentate nei programmi scolastici, mentre
solo recentemente vengono proposte le finalità affettive/etiche. Queste sono state da
tempo sottovalutate a favore delle altre ma in realtà sono molto importanti dato che
alcune mirano ad accrescere la dimensione INTRApersonale dell’ allievo :
• Conoscersi fisicamente
• Apprezzarsi fisicamente
• Conoscere i propri stati d’ animo
• Reagire ai propri vissuti negativi non cadendo in depressione
• Conoscere le proprie vocazioni
• Essere curiosi verso le novità
Altre accrescono la dimensione INTERpersonale dell’ allievo :
• Ascoltare gli altri
• Accettare il “diverso” come persona (capendo che il comportamento altrui che
risulta inspiegabile è tale in quanto incompreso)
• Gestire l’ invidia imparando a saper godere delle buone prestazioni altrui
• Accettare le norme della comunità scolastica e civile
In ambito musicale il tutto si riscontra nel bambino che avendo la capacità di reagire
affettivamente al suono, quindi con emozione musicale e senza apatia, riesce ad avere
una giusta intonazione (che altrimenti ne risentirebbe) oppure desidera riprodurre suoni
che hanno lasciato in lui delle immagini uditive.

Didattica della musica nel Novecento

Con l’ espressione “metodo attivo” si intende un metodo di apprendimento che si basa


sull’ atteggiamento partecipativo dell’ allievo; di fatto in musica è bene stimolare la
curiosità degli allievi mediante l’ utilizzo del canto, di giochi ritmici corporei e di
semplici strumenti musicali e il tutto ancor prima che essi conoscano la teoria musicale
o che si approccino allo studio di uno specifico strumento. Le origini di tale metodo
risalgono a Guido d’ Arezzo che utilizzò un metodo per il solfeggio che non partiva dalla
notazione musicale ma dalla memorizzazione dei canti liturgici ai quali associare solo in
un secondo momento la decodificazione della notazione. Seguì diversi secoli dopo
Rousseau sul cui pensiero si fondano i metodi di alcuni compositori neoclassici
affermatisi nel ventennio tra la prima e la seconda guerra mondiale. Dalcroze e Willems
in Svizzera, Kodàly in Ungheria, Carl Orff in Germania e Martenot in Francia. Tutti loro
sostenevano che ognuno di noi possieda delle attitudini musicali che meritano di essere
coltivate indipendentemente dal talento di ciascuno e che l’ insegnamento deve porre al
centro non tanto la materia in se per se ma il bambino. Scendendo più nel dettaglio:
1) Jacques-Dalcroze :
- per quanto riguarda le caratteristiche generali del suo metodo egli sostiene che l’
educazione del corpo attraverso la ritmica costituisce il principio alla base dell’
espressione artistica delle emozioni e quindi l’ allievo è sollecitato ad ascoltare e
reagire fisicamente alle caratteristiche della musica che gli giunge: può essere un
regolare martellamento del basso o un cambiamento improvviso di registro, glissandi
ecc.. In particolare egli dà molta importanza alla camminata come mezzo per la libera
espressione musicale, creando così un circuito tra l’ orecchio che riceve, il cervello che
comanda e dà un senso ai suoni e il corpo che esprime.
- La formazione melodica secondo Dalcroze consiste nel sensibilizzare l’orecchio alla
differenza fra toni e semitoni. A questo scopo, l’ insegnante prescrive lo studio della
scala di do maggiore facendola intonare per sequenze ascendenti e parallelamente
raccomanda l’ interpretazione di un gran numero di canzoni eseguite in questa tonalità.
L’ allievo incomincia successivamente l’ analisi del circolo delle quinte partendo sempre
dal do o dalle sue alterazioni; in questo modo si pone l’ allievo nella condizione di saper
spostare i semitoni del modo maggiore in funzione della tonica designata, senza essere
aiutato dalla scala di do maggiore. Chiaramente ben prima di arrivare a tale approccio
alla scala, Dalcroze suggerisce di abituare l’ allievo alla tonalità e al gioco della
modulazione attraverso la pratica del canto accompagnato dal pianoforte.
Inoltre per perseguire il suo obbiettivo di correlare il suono al movimento egli si avvale
di:
Palline da tennis che possono essere utilizzate per imparare a battere il tempo. Il primo
tempo coincide con il primo rimbalzo della pallina al suolo. I tempi successivi con il
recupero in mano della pallina e il suo trasferimento da una mano all’ altra fino al
ritorno periodico del primo tempo.

Fazzoletti colorati che possono essere utilizzati per evidenziare le sfumature espressive
della melodia grazie al fatto che i fazzoletti prolungano il gesto del tronco, del braccio e
del polso, fornendo un’ estensione visiva ai fluttuamenti della linea melodica.
I cerchi possono essere utilizzati per esempio per delimitare sul pavimento uno spazio da
dove l’ allievo può uscire durante i periodi di svolgimento della melodia per poi
ritornarvi all’ avvicinarsi della cadenza conclusiva.
2) Kodàly : Ogni insegnante che segue il metodo Kodàly fonda l’ educazione musicale
sul folklore nazionale, privilegiando l’ uso di filastrocche e canzoni per l’ infanzia.
Inoltre, nel metodo Kodàly la solmisazione è la base su cui si fonda l’ orecchio
melodico e armonico. Questo sistema consiste, a partire dal canto, nell’ associare la
struttura della scala alle sillabe latine do, re, mi ecc.. senza considerare la tonalità
assoluta e quindi considerando Do ogni tonica maggiore e La ogni tonica minore.
• In questo metodo è data molta importanza alla fonomimica ovvero l’ allievo
percepisce uno stimolo visivo che associa ad una sillaba della scala a sua volta
corrispondente ad un grado della scala. In questo modo il maestro detta una
melodia muta ai suoi allievi, i quali possono decodificare i gradi cantandoli con la
voce o ascoltandoli interiormente per scriverli alla fine del dettato. Questo
procedimento è molto efficace per la formazione dell’ orecchio melodico e per
sviluppare notevolmente la capacità di intonare dei suoni. Scendendo più nel
dettaglio troviamo:

Do pugno chiuso, sensazione di punto di ancoraggio alla tonica maggiore;


Re mano aperta in posizione obliqua, m0vimento di slancio della scala;
Mi mano aperta con il palmo verso il basso, posizione di riposo della mediante;
Fa pugno chiuso con il pollice puntato verso il basso, movimento di attrazione verso
il mi;
Sol mano aperta con il palmo verso di sé e il pollice verso il cielo, affermazione
della dominante;
La mano china verso terra con polso ricurvo;

Si pugno chiuso con indice diretto verso il basso, tensione della sensibile verso la
tonica.

D
• Per quanto riguarda la formazione ritmica, l’ allievo impara a pronunciare con
onomatopee le formule ritmiche evinte dalle canzoni. Le principali onomatopee
ritmiche utilizzate da Kodàly sono:

Ti-ti ta croma-croma-semiminima
Tim-ri ta croma puntata-semicroma-semiminima
Ti-tiri ta croma- 2 semicrome- semiminima
Tiri-tiri ta 4 semicrome- semiminima
Ta-a minima

Ta-i-ti ta semiminima puntata-croma-semiminima


Ecc…
Chiaramente quando arriva il momento di decodificare formule ritmiche più
complesse, l’ allievo non avrà più bisogno di queste onomatopee; tuttavia per
giustificare il loro utilizzo ci basti sapere che diverse ricerche psicopedagogiche
hanno evidenziato dei vantaggi di queste onomatopee ritmiche nell’
apprendimento della durata dei suoni.

3) Martenot : I due principi su cui si fonda il metodo Martenot sono:

• Il risveglio delle facoltà ritmiche : egli pone alla base della scoperta del ritmo
musicale lo sviluppo del senso della pulsazione che sarà l’ elemento cardine della
struttura temporale. Anche Martenot raccomanda che le diverse formule ritmiche
siano espresse con onomatopee, lalala, o altre, al fine di favorire la
rappresentazione mentale degli elementi musicali. Inoltre, contrariamente alle
pratiche pedagogiche tradizionali, secondo le quali l’ approccio agli esercizi di
apprendimento deve avvenire al rallentatore, Martenot promuove di adattare il
tempo musicale al tempo fisiologico del bambino: 110-120 battiti alla semiminima
in modo da stimolare costantemente l’ attenzione del bambino invece che
addormentarlo.
• Gli esercizi-gioco. Il nostro scopo con questi esercizi gioco non sarà quello di far
divertire i bambini facendoli giocare ma sarà quello di ispirarci ai giochi
tradizionali dell’ infanzia per stimolare l’ interesse dell’ allievo portandolo ad
assimilare i motivi ritmici.

Il rapporto tra il maestro e gli allievi che viene promosso da Martenot è del “solo
versus tutti” alla cui base c’è l’ apprendimento per imitazione che è
fondamentale nei metodi attivi. Quindi il maestro esegue una breve formula
ritmica o melodica che un allievo scelto a caso ripete con i nomi delle durate
musicali o intona sui nomi delle note, e che poi la classe riprende
collettivamente.

4) Orff : nel metodo Orff il corpo svolge un ruolo di strumento produttore di suoni
attraverso lo schiocco delle dita, battiti delle mani, colpi di piede sul terreno. Con l’
alternarsi dell’ assolo del maestro e il tutti della classe e le varie combinazioni con
imitazioni a canone, ripetizioni, improvvisazioni, ne deriva una ritmica che favorisce
la fiducià in sé e rafforza la coordinazione motoria. Detto questo, vediamo le
caratteristiche di questo metodo:

• Parlare ritmato. Si parte con la scansione dei versi prima di imparare la melodia,
versi che vanno ripetuti secondo diversi tipi di emozioni ( in maniera allegra,
triste, energica ecc..).
• Il canto. Una volta aver familiarizzato con il parlare ritmato, il maestro insegna la
melodia che va imparata per imitazione, con gli allievi che ripetono dopo il
maestro frase dopo frase in modo da giungere gradualmente alla memorizzazione
della strofa completa e infine dell’ intera canzone. Bisogna sottolineare che tutto
questo lavoro di preparazione si basa principalmente sull’ ascolto; non a caso il
metodo Orff non prevede l’ utilizzo della partitura per le classi di giovanissimi
allievi.

• Lo strumentario. Si è imposto in tutto il mondo grazie alla sua efficacia nell’


esecuzione collettiva. Gli strumenti percussivi che vengono utilizzati sono sia
melodici sia ritmici e ciascuno di essi rimanda ad una specifica geografia sonora.
L’ Africa è rappresentata dagli xilofoni, la Cina dai gong, il Sud-America dalle
maracas, l’ Europa rinascimentale dal flauto dolce e dai carillons.

• La danza. Dopo aver imparato i versi, la melodia e aver preparato l’


orchestrazione corporea e/0 corporea, il prodotto musicale raggiunge la sua
massima completezza con una piccola coregrafia sancendo il forte legame tra
musica e gestualità.

5) Metodo strumentale Suzuki (riferito al violino essendo lui violinista) :


Si fonda su due principi.

• Il principio audio-vocale secondo il quale lo studio dello strumento si basa sull’


ascolto e sull’ imitazione. In pratica il bambino comincia cantando il suo
repertorio di canzoni per l’ infanzia con parole e melodia, poi la ripete
cantando con le cifre della diteggiatura che sarà utilizzata nell’ esecuzione
strumentale della melodia. Infine la esegue allo strumento lasciandosi guidare
dall’ associazione tra parole, melodia e diteggiatura.

• Il principio della musica collettiva. L’esecuzione strumentale va eseguita


collettivamente con il maestro che dà l’ esempio e gli alunni che eseguono
subito dopo di lui. Ne risulta una uniformità nei movimenti dell’ avambraccio,
dell’ articolazione del polso, uniformità che si traduce ben presto in quei
riflessi condizionati tanto necessari alla formazione strumentale.
Intorno al concetto di competenza
musicale
La competenza musicale è un’ espressione che ha sostituito nel linguaggio didattico
quello di musicalità per via della sua ambiguità; essa può essere concepita come un’
insieme di capacità che possono sussistere in un soggetto anche senza che egli ne abbia
consapevolezza teorica. Per esempio Sloboda mette in evidenza come anche l’
ascoltatore comune è in grado di distinguere una musica tonale da una non tonale, se la
melodia è in sospeso o è conclusa oppure sono in grado di valutare la correttezza dell’
intonazione nel canto. Inoltre afferma che già ragazzi di 14 anni ( oggi si parla
addirittura di 8 anni) , senza possedere un’ educazione specifica, mostrano la
cosiddetta sensibilità allo stile ovvero la capacità di riconoscere se due brani musicali
appartengono allo stesso stile o meno e quindi se appartengono allo stesso periodo o
autore. Ovviamente con l’ accrescersi della propria competenza musicale saranno
sempre maggiori gli aspetti che si sarà in grado di riconoscere, analizzare e valutare.
Dopo questa premessa, scendiamo più in dettaglio riguardo la differenza tra competenza
attiva e competenza passiva. A tal proposito il compito dell’ insegnante è quello di
accrescere la competenza musicale passiva ovvero accrescere l’ insieme delle
conoscenze necessarie a percepire e comprendere il linguaggio musicale. Per percepire
si intende la capacità di cogliere le caratteristiche di durata, altezza, intensità, timbro,
melodia, armonia ecc.. Per comprendere si intende, invece, la capacità di saper
contestualizzare un brano musicale, quindi sapere in quale contesto storico-sociale-
economico-politico si va a collocare un determinato brano ma si intende anche la
capacità di saper collegare quel brano con alcune immagini, gesti, situazioni emotive..

Compito dell’ insegnante è anche quello di accrescere la competenza musicale attiva


che può essere definita come l’ insieme delle conoscenze necessarie a eseguire musiche
composte da altri o inventarne di proprie; per inventare si intende l’ insieme di attività
come comporre, improvvisare, arrangiare, trascrivere.
Detto questo, capiamo bene come i termini passiva e attiva acquistano un significato
diverso da quello che normalmente hanno nel linguaggio comune. Passivo è infatti
sinonimo di inerte, indifferente ed invece è evidente che in tal caso passivo è usato
come sinonimo di relativo all’ ascolto e implica livelli di partecipazione e
coinvolgimento del soggetto del tutto analoghi a quelli presenti durante le attività che
richiedono competenza attiva. Quindi possiamo dire che un soggetto si definisce a pieno
competente musicalmente quando ha maturato buone capacità di percezione, di
comprensione di un brano, è capace di suonare e/o cantare correttamente ed è capace
di usare un linguaggio musicale per esprimere il proprio mondo interiore. Per questo
motivo, come già visto con il paradigma dinamico, è importante ridiscutere il primato
attribuito dalla didattica tradizionale alle abilità esecutive a scapito delle attività di
interpretazione della musica.
Infine non ci resta che analizzare il problema della notazione musicale. Nell’ educazione
musicale di base è ormai ampiamente condivisa la concezione che la notazione è in
qualche modo subordinata allo sviluppo delle quattro abilità fondamentali: percepire,
comprendere, eseguire ed inventare. Tuttavia quando facciamo riferimento all’
esecuzione di repertori tradizionali si rende necessaria la capacità di decodificare la
notazione cioè la capacità di associare al segno che vediamo un preciso suono; dovrebbe
essere sviluppata contemporaneamente anche la capacità di codificare la notazione cioè
di scrivere il segno corrispondente al suono percepito. Tuttavia nella didattica
tradizionale si predilige soprattutto la capacità di decodificare più che di codifica che è
importante per rafforzare le abilità di percezione e comprensione della musica; non a
caso saper scrivere le note, il ritmo o l’ armonia di un brano è un’ abilità preziosa per lo
sviluppo della competenza musicale.

Per un curricolo verticale di


strumento
Partiamo dalla scelta del proprio percorso musicale considerando che sono molte le
professioni che un soggetto potrebbe intraprendere al termine degli studi: esecutore
solista o di musica d’ insieme, compositore, direttore d’ orchestra o di coro,
organizzatore di eventi e così via.. Il bambino che inizia il suo percorso musicale nella
scuola primaria o il ragazzo che si iscrive alla SMM ( scuola media ad indirizzo musicale)
o l’ adolescente che sceglie il liceo musicale, di certo non hanno già deciso quale delle
professioni prima citate vorranno perseguire: probabilmente non hanno neanche idea
che ci siano così tanti sbocchi ! E allora sarà compito della scuola offrire loro la
possibilità di conoscere e sperimentare diversi ambiti. Tuttavia a questa considerazione
viene avanzata l’ obiezione che così facendo si disperde del tempo in tanti ambiti che
possono impedire allo studente di raggiungere i livelli di eccellenza indispensabili al
buon strumentista. Quindi andremmo a favorire gli studenti che si dedicheranno a
professioni musicali teoriche, ma penalizza coloro che vogliono diventare strumentisti.
In realtà le ricerche fin qui condotte affermano esattamente il contrario: la figura dell’
abile esecutore volto solo alla padronanza tecnica del proprio strumento, sembra ormai
tramontata in favore di una figura poliedrica con diverse abilità che contribuiscono al
successo musicale; in particolare :
➢ Le abilità percettive sono necessarie per lo sviluppo di: una buona intonazione,
accuratezza ritmica e abilità nell’ improvvisare.
➢ Le abilità cognitive sono necessarie nei processi di : lettura della musica,
comprensione della tonalità e dell’ armonia, memorizzare la musica, comporre
musica.
➢ Le abilità tecniche sono richieste per lo sviluppo di : abilità strumentale,
articolazione, qualità espressiva del suono.
➢ Le abilità comunicativo-espressive riguardano: la capacità di suonare in modo
espressivo e di trasmettere significati, lo sviluppo del controllo.
➢ Le abilità richieste dalla performance includono: essere capaci di comunicare
con il pubblico, avere presenza scenica, capacità di coordinare un gruppo.
Riguardo all’ organizzazione dello studio musicale, la Hallam fa notare che i musicisti
esperti si differenziano dai principianti per la quantità di strategie di studio che
conoscono e adoperano, per esempio studiare un passaggio con diverse articolazioni, a
differenti velocità, piuttosto che ripetere sempre le stesse azioni. Per questo, bisogna
insegnare ai principianti a utilizzare diverse tecniche di studio e per fare ciò, diverse
ricerche indicano che non è sufficiente che il docente suggerisca verbalmente allo
studente come studiare ma è necessario che sia l’ insegnante stesso a mostrare in prima
persona la nuova tecnica di studio, avendo così un’ influenza più profonda rispetto a ciò
che viene semplicemente detto. Questo significa far apprendere in modo significativo.
Tuttavia l’ obiezione principale a questo modo di procedere è che richiede tempi lunghi,
e in effetti l’ apprendimento significativo richiede tempi più lunghi di quello meccanico;
ma si tratta di un allungamento ampiamente recuperato nel medio e nel lungo periodo.
Infatti quando si cominciano a dimenticare delle nozioni si verificano delle interferenze
con il nuovo apprendimento e la velocità di acquisizione diventa relativamente più bassa
che nell’ apprendimento significativo, in cui il ricordo è più forte e l’ apprendimento più
facile.
Resta da definire come il tutto va gestito nelle varie istituzioni. La proposta avanzata da
Franca Ferrari è che nella scuola primaria a indirizzo musicale gli schemi di
manipolazione del suono devono essere costruiti a partire dalle più diverse attività, per
esempio provando più strumenti musicali e con l’ uso della voce, dando spazio all’
attività corale intesa non solo come esecuzione di repertori dati, ma come mezzo
attraverso il quale promuovere la sperimentazione e l’ invenzione. Nella scuola media l’
obiettivo è invece il passaggio alla fase di concettualizzazione, la scoperta del lavoro
musicale in gruppi e della musica come strumento di relazione. Infine nei licei musicali
diventa fondamentale la capacità di interrogare i testi musicali e di farne emergere
subito le caratteristiche strutturali e stilistiche.

Valutazione e Strumento musicale


La capacità di saper valutare un allievo al meglio richiede che si sia instaurato un
rapporto di fiducia in modo che diventi un momento di crescita sia per l’ insegnante sia
per l’ allievo stesso.
Quindi non si riesce a perseguire l’ assoluta oggettività nel processo di valutazione
proprio perchè non solo chi valuta fa parte di tale processo ma bisogna anche tener
conto che gli esseri umani sono tutti diversi e quindi vanno valutati diversamente.
Questo concetto si evidenzia ancor di più quando riferito all’ esecuzione strumentale
dove il gusto personale, le proprie emozioni giocano un ruolo ancora più rilevante. E
allora per ricercare una certa obbiettività ci si può avvalere anche dell’ opinione di un
team di colleghi.
Tenendo conto di quanto appena esposto, vi sono diversi modelli di valutazione . Per
esempio in una commissione d’ esame spesso sono messi in atto diversi modelli di
valutazione, sia tra commissari diversi, sia dallo stesso commissario durante la stessa
sessione di esame. Quindi uno strumentista potrebbe essere valutato secondo un
modello assoluto ovvero ciascun esaminatore possiede una propria interpretazione
ideale di un’ esecuzione e valuta quanto l’ esaminato le si avvicini; oppure lo
strumentista potrebbe essere valutato secondo un modello personale: il valutatore, in
questo caso, è attento al progresso che l’allievo ha conseguito tenendo conto delle sue
capacità. Ancora, i commissari, dopo aver sentito più candidati, possono introdurre il
modello comparativo con il quale si confronta il singolo candidato con l’ allievo
“standard” di riferimento. Ovviamente il modello che si andrà ad adottare cambierà a
seconda del contesto nel quale ci si trova a valutare.
Un altro modello è quello definito a criterio o formativo attraverso il quale l’insegnante
valuta la prestazione di ciascuno strumentista confrontando gli obiettivi che erano stati
programmati con i risultati ottenuti; la finalità di questo modello è quello di formare
l’allievo più che di giudicarlo per quella singola esecuzione. e si presta ad un impiego
nelle lezioni individuali o di gruppo.
Tra questi modelli quello di riferimento a livello internazionale è quello dell’ABRSM
(Associated Board of The Royal Schools of Music), leader mondiale nell’organizzazione di
esami e valutazioni musicali. Il sistema dell’ ABRSM si propone come un percorso in cui
ogni esame è un tassello che spinge pian piano l’ allievo non tanto a sentirsi giudicato
ma ad accrescere la propria motivazione per raggiungere nuovi livelli di abilità.
Inoltre, i valutatori dell’ABRSM nel momento in cui si trovano a valutare un’ esecuzione
non partono da un’ “esecuzione perfetta” che vale il massimo punteggio, ma
considerano un’”esecuzione sufficiente “come standard qualitativo e da qui salgono o
scendono con i punteggi utilizzando degli indicatori, i principali sono:

1. Precisione, continuità e scioltezza.


2. Controllo tecnico e coordinazione indispensabili a produrre il ritmo giusto e la
continuità di esecuzione.
3. Tempo chiaro e convincente.

4. Evidente obbedienza alle istruzioni per l’esecuzione.


5. Un grado di sonorità accurata.
6. Consapevolezza timbrica.
7. Modo in cui si usa lo strumento.
8. Capacità di produrre un suono deciso e coerente.
9. Capacità di controllare e contrastare le dinamiche e gli attacchi a seconda del
contesto musicale.
10.Abilità di produrre un buon fraseggio.
11.Espressività nell’esibizione.
12.Conoscenza e comprensione intima della musica.
A ciascuno di questi indicatori in genere si attribuisce un punteggio e dopo di che si fa
una media che va confrontata con altri colleghi al fine di perseguire sempre una certa
obbiettività di valutazione.
L’ultimo modello preso in analisi è quello dell’autovalutazione, la cui prima finalità è
quella di sviluppare una conoscenza delle proprie competenze in maniera autonoma per
aumentare la stima di sé. Inoltre autovalutarsi con la guida dell’insegnate, abitua lo
studente ad individuare:
- La qualità del suono
- Il controllo della pulsazione
- Elementi legati al fraseggio, alla dinamica, al timbro ecc.
Infine come un insegnate che dice al proprio allievo “ Devi studiare di più” in realtà non
lo incoraggia a studiare meglio, così l’autovalutazione assume un significato solo alla
condizione che sia accompagnata da riferimenti su cosa e come studiare di più e in
questo il docente mantiene almeno nelle fasi iniziali una propria valenza.
Per concludere, da tutto quanto esposto precedentemente si evince che la valutazione
di una singola esecuzione non è la valutazione complessiva dell’allievo e che
soprattutto in ambito scolastico è bene promuovere una valutazione globale che prenda
in esame anche la regolarità nello studio; per questa ragione la professoressa Elisabetta
Betti, propone ai ragazzi di compilare un “diario di studio” dove possono appuntare per
ogni giorno cosa hanno studiato. Un altro elemento importante la partecipazione al
lavoro collettivo (orchestra, saggi), che ben si presta alla valutazione da parte di un
gruppo di docenti di strumento.

La musica nell’ attivismo educativo:


figure da riscoprire
La prima figura di cui parliamo è Maria Montessori. La Montessori parlava già di
educazione musicale sia per la scuola dell’ infanzia che elementare promuovendo l’
educazione dell’ orecchio (intesa come capacità di discriminare i suoni), attività
ritmiche, ritmico-motorie, di ascolto e di esecuzione strumentale/vocale . Vengono così
previsti dalla Montessori dispositivi didattici di vario tipo, come:
- Le scatole dei rumori sono 3 piccoli cilindri rossi e 3 piccoli cilindri blu all’
interno dei quali sono presenti materiali diversi che producono suoni differenti. Il
compito del bambino è quello di associare il cilindro rosso al cilindro blu che
produce lo stesso suono o viceversa.
- La serie di campanelli, di grandezza uguale ma di suoni diversi, è disposta su di
un supporto diviso in spazi bianchi e neri (indicanti i toni e i semitoni). I bambini
o da soli o in gruppo giocano a battere con un martelletto i campanelli “fissi”
cercando tra quelli che vengono “mescolati” proprio quelli che corrispondono
allo stesso suono. In questo modo gradualmente il bambino scoprirà da sé la scala
diatonica e quella cromatica e riuscirà a riconoscere e a dominare tutte le note
dell’ ottava ( il cui nome può comparire in dischetti colorati posti davanti alla

tavoletta)
- Attraverso i righi musicali incavati in una tavoletta di legno, i bambini possono
posizionare i dischetti delle note riportanti il nome e il numero della nota ( per
es. Do-1).
- I pentagrammi su cartoncini colorati consentono successivamente ai bambini di
inventare da soli le melodie e di eseguirle con la serie di campanelli.
- Gli strumenti musicali, a questo punto nasce un desiderio nei bambini di
produrre suoni utilizzando strumenti diversi: a fiato, a corda, ecc..
Oltre ai dispositivi didattici la Montessori assegna una grande valenza al corpo musicale.
Come Dalcroze, l’ educatrice basa l’ educazione ritmica sulla “camminata” scandita da
brani eseguiti al pianoforte. Così facendo i bambini perfezionano la deambulazione, l’
equilibrio, sviluppano la capacità di andare a tempo con la pulsazione ritmica di base,
binaria o ternaria. Da sottolineare come i bambini imparino a rispondere alla musica
spontaneamente e senza che sia l’ insegnante a insegnarglielo.
Negli stessi anni di Maria Montessori, un’ altra figura di spicco è stata quella di Laura
Bassi, fautrice del metodo denominato Ritmica integrale che attraverso l’ uso di giochi
ha l’ obiettivo di arrivare a formulare le regole del linguaggio dei suoni. In particolare l’
utilizzo di alcuni materiali come il pianoforte, tamburelli, triangoli è accompagnato
anche da dispositivi didattici come i 5 pupazzetti (ciascuno associato a un valore
temporale): il babbo cammina a passi “normali”; la bambina fa due passi mentre il
babbo ne fa uno; il cagnolino fa passi ancora più corti e rapidi; il nonno fa due passi
mentre il babbo ne fa uno; la gru fa un passo mentre contemporaneamente il nonno ne
fa due e il babbo quattro. I bambini sperimentano a livello pratico le durate temporali
impersonando i pupazzi e camminando con la loro andatura in modo via via più preciso.
Successivamente verranno associate delle sillabe convenzionali ai valori temporali: Ti
(cagnolino), TE (bambina), TA (papà)…queste sillabe vengono poi a loro volta associate a
battiti delle mani o dei piedi in modo da maturare il senso della durata dei suoni.
Altre figure degne di nota sono Rosa e Carolina Agazzi che hanno concentrato la loro
attenzione sul canto, soprattutto quello spontaneo, come mezzo indispensabile per
educare l’ orecchio a percepire l’ altezza, la durata, l’ intensità dei suoni fino alla vera
e propria bellezza dei suoni. Per perseguire questo obiettivo vengono proposti a tutti i
bambini degli esercizi canori, in particolare a coloro che hanno problemi di intonazione.
Ricordiamo che la stonatura può dipendere da diversi fattori come quello affettivo,
educativo e culturale. Ogni esercizio sarà finalizzato al superamento delle difficoltà
proprie di ogni singola persona, perché per esempio c’è chi intona o non intona secondo
i momenti, chi per intonare ha bisogno di cantare insieme ad altri; e chi invece nel coro
ha difficoltà a cantare. L’importante è non forzare o demotivare questi bambini ma
continuare a stimolarli anche con danze in cerchio, giochi motori cantati. Un altro
aspetto messo in luce dalle sorelle Agazzi è il legame tra musica e linguaggio. Per
esempio si pone attenzione all’ emissione delle vocali, ai modi di aprire la bocca che
ognuna di esse richiede; oppure si fa notare come il respiro non deve spezzare le parole
o renderle incomprensibili.

PROGETTAZIONE
Progettare significa ideare ed elaborare un intervento finalizzato alla soluzione di
problemi e/o alla realizzazione di eventi.

Dovendo presentare un progetto ad altre persone (direttore didattico, preside, collegio,


assessore, genitori, dirigenti di una associazione, ...), è utile predisporre una relazione
sintetica che metta in evidenza gli elementi essenziali del progetto stesso, seguendo, ad
esempio, lo schema seguente:
0. Intestazione.
Denominazione dell'ente, dell'associazione, del gruppo o del singolo operatore che ha
elaborato il progetto. Titolo del progetto.

l. Committenza.
Il committente è colui che richiede il progetto: un ente, un dirigente di una istituzione,
un collegio dei docenti, una associazione, ecc.
2. Utenza.
A chi è rivolto l'intervento. Tipologia e numero previsto di utenti, con breve descrizione
degli elementi che fanno ritenere utile l'intervento di educazione musicale e/o di altre
attività espressivo/creative.
3. Operatori.
Indicare nome e cognome, qualifica professionale e breve curricolo personale di chi
elabora il progetto e del/dei responsabile/responsabili della realizzazione.
4. Motivazioni e obiettivi.
Descrivere brevemente quali obiettivi si intendono perseguire. Per obiettivo intendiamo
quali capacità si intendono far acquisire, sviluppare, nei soggetti cui ci si rivolge.
5. Metodologie e tecniche di intervento.
Descrivere come si intende operare per raggiungere gli obiettivi previsti. Es.: lavoro
individuale, di gruppo, ricerca, ecc.
6. Attività.
Indicare cosa si intende fare (cantare, suonare, ascoltare, giochi ed esercizi, ecc.), e su
quali contenuti si porrà l'attenzione (generi musicali, specifici elementi della teoria
musicale, ecc..).

7. Materiali e sussidi.
Specificare quali materiali e sussidi si ritengono indispensabili per le attività: strumenti
musicali, partiture, libri, apparecchiature di amplificazione e registrazione audio-video,
materiali di consumo (cassette audio-video, carta, coIori,

8. Luogo, calendario e orari.


Indicare dove si dovrebbero svolgere le attività, con che frequenza e in che orario.
Specificare se, in caso di impedimenti, gli incontri e le ore non effettuate verranno
recuperate.
9. Criteri di verifica e di valutazione.
Indicare quando e come si prevedono momenti e strumenti per valutare il
raggiungimento o meno degli obiettivi previsti.
10. Preventivo di spesa e modalità di pagamento.
11. Data e firma di chi elabora e gestisce il progetto.

Possibile domanda: Competenze chiave europee


- Comunicazione nella lingua madre

- Comunicazione nelle lingue straniere


- Competenza matematica e competenze base in campo scientifico e
tecnologico
- Competenza digitale
- Imparare ad imparare : abilità di organizzare il proprio lavoro sia a livello
individuale che in gruppo anche mediante una gestione efficace del tempo e delle
informazioni
- Competenze sociali e civiche
- Consapevolezza ed espressione culturale: consapevolezza dell’importanza
dell’espressione creativa di idee, esperienze ed emozioni attraverso un’ampia
varietà di mezzi di comunicazione, compresi la musica, le arti dello spettacolo, la
letteratura e le arti visive.
- Senso di iniziativa ed imprenditorialità

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