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Una nuova classe dirigente.

I limiti della politica economica della Destra.


Nei 15 anni successivi all'unificazione la Destra storica era riuscita a collocare l'Italia in una posizione primaria nel sistema delle relazioni
internazionali. Ma purtroppo la distanza fra le classi dirigenti e quelle minori si era ampliata a causa di un eccessivo carico fiscale che aveva
oppresso soprattutto le classi più povere. Inoltre la Destra non era riuscita a rappresentare del tutto i nuovi bisogni della classe
industriale. Sotto il LIBERISMO ECONOMICO adottato dalla Destra era nato un sistema agromanifatturiero (l'agricoltura e l'industria tessile
si completavano); tale sistema non poteva che rappresentare la classe dirigente italiana del tempo, la quale era per la maggior parte formata da
proprietari fondiari.
Crisi delle manifatture centro-meridionali e sviluppo di nuovi centri industriali.
Il liberoscambismo della Destra però ebbe diversi effetti:
• Aveva rafforzato le esportazioni di prodotti agricoli e tessili.
• Aveva invece contrapposto l'esile industria italiana ai colossi europei; infatti le manifatture del centro-meridione, esposte alla
concorrenza internazionale, subirono un grave colpo.
Resistette e si rafforzò solo l'industria tessile padana, inoltre Genova, Torino e Milano iniziavano ad assumere i tratti delle città industriali, infatti
nascevano nuove imprese in vari settori (alimentare, chimico, meccanico,..) ed anche nuove banche.
L'emergere del nuovo ceto industriale e la crisi della Destra.
L'accrescimento delle ferrovie permise alle poche fabbriche meccaniche italiane di inserirsi nel mercato dei prodotti ferroviari. Certo l'industria
italiana non poteva competere con quella estera, però la sua formazione aveva portato alla creazione di una nuova aristocrazia finanziaria
(proprietari fondiari, banchieri, ricchi mercanti) che investiva nella nuova industria ferroviaria. Così nacquero anche i primi istituti bancari
moderni. Nell'Italia settentrionale la pressione della concorrenza internazionale aveva portato alla creazione di un esiguo sistema industriale in cui
si stava formando il nuovo ceto industriale il quale, manifestando una visione sempre più chiara dei propri interessi, chiedeva allo stato di essere
tutelato. Per i nuovi imprenditori era necessario abbandonare un poco la politica liberista e l'ossessione di pareggiare il bilancio per cercare invece
di promuovere lo sviluppo economico.
Intanto la Destra era definitivamente caduta nel 1876, dopo che già la maggioranza si era ridotta qualche anno prima. Questa "riduzione" avvenne
a causa della posizione della Destra sulle ferrovie:
• Essa voleva che diventassero proprietà dello stato (per riabilitarlo).
• La sinistra invece si opponeva fermamente a tale progetto.
Con questa posizione riuscì ad accattivarsi la maggioranza facendo crollare il governo Minghetti nel '76 appunto, al suo posto salì al potere
Agostino Depretis, un imprenditore agricolo.
Le componenti sociali della destra e della sinistra.
La sinistra italiana era caratterizzata da tre correnti principali:
• Liberali moderati piemontesi: Eredi di Rattazzi e guidati da Depretis.
• Mazziniani moderati: Che presentavano alcuni estremisti di sinistra.
• Sinistra meridionale: Che rappresentavano gli interessi della borghesia agraria del sud.
Tra sinistra e destra al tempo non vi erano grandi differenze, questo perché votavano solo i ceti più abbienti, che eleggevano così deputati
appartenenti alla loro stessa categoria sociale. La destra invece:
• Rappresentava gli interessi dei commercianti più ricchi, dei proprietari fondiari e degli imprenditori agricoli centro-settentrionali
• Portava avanti una politica liberista. Il liberismo della destra avvantaggiava l'esportazione dei prodotti dell'agricoltura mediterranea degli
imprenditori agrari, ottenendo così, almeno inizialmente, grande successo.
Il protezionismo e il programma della sinistra.
La strategia liberista però nel 1873, a causa di una grave crisi, dovette cedere il passo ad una politica PROTEZIONISTA.
La crisi fu dovuta allo squilibrio tra produzione e consumo; il mercato internazionale era troppo ristretto per smaltire la grande quantità di prodotti.
Questo portò una sovrapproduzione che determinò:
• Crollo dei prezzi.
• Conseguenti fallimenti di tante industrie in svariati settori.
L'adozione del protezionismo risultò necessaria per difendere il mercato interno dalla concorrenza degli altri stati. Fu così che la sinistra (che
appoggiava appunto una politica protezionista) incontrò larghi favori, specialmente tra gli industriali.
Nacque così il governo Depretis che sin dal 1878 impose il protezionismo e iniziò ad elargire cospicue sovvenzioni per promuovere
l'industrializzazione. Data la struttura principalmente agricola dello stato, la crisi colpì principalmente questo settore.
Gli imprenditori agricoli, prima avversi al protezionismo, finirono per appoggiarlo. Iniziò così un periodo di governo della sinistra.
Una nuova Italia nel contesto internazionale.
La politica riformatrice della sinistra e l'allargamento delle basi sociali dello stato.
Oltre che rappresentare gli interessi dei gruppi industriali, il programma Depretis voleva anche allargare le basi sociali dello stato. Così il governo
iniziò una cauta politica riformista per ottenere il consenso delle masse dei lavoratori:
• Venne ABOLITA LA TASSA SUL MACINATO.
• Venne resa obbligatoria la frequentazione della scuola primaria.
• Venne emanata una prima legislazione sociale (tutela dei lavoratori).
• Venne modificata la legge elettorale: Si abbassò la soglia del censo e l'età richiesta per il diritto di voto; fu così che il numero di elettori
passò da 450000 a un milione.
Quest'ultimo provvedimento cambiò radicalmente gli equilibri in politica. Un deputato per essere eletto infatti necessitava adesso di un maggiore
consenso; questo portò alla nascita di un primo sistema di PARTITI.
In alcune zone continuò a resistere un sistema clientelare che faceva eleggere i notabili locali, ma in altre si videro più candidati nello stesso
seggio e svolte radicali nel risultato della votazione; ad esempio venne eletto il parlamentare di stampo socialista Andrea Costa, aspetto che
dimostra l'importanza che stava guadando in quegli anni il MOVIMENTO DEI LAVORATORI in Italia.
L'ascesa delle classi lavoratrici.
• Nel settore agricolo: Dal 1884 nelle campagne padane si sviluppò un grande movimento di lotta tra i contadini impoveriti dalla crisi;
essi volevano ottenere salari più alti e un'occupazione più sicura. Era nata una nuova coscienza civile nelle classi agricole che vedeva le
istituzioni pubbliche non più come gli strumenti di oppressione dei signori, ma come il terreno da conquistare per migliorare le proprie
condizioni.
• Nell'industria: Per quanto riguarda le fabbriche, il processo era avvenuto anche prima e più velocemente. Nel 1882 era stato fondato il
PARTITO OPERAIO ITALIANO a Milano e in altre città industriali erano stati costituiti dei circoli socialisti che alla fine avrebbero
portato alla creazione del PARTITO SOCIALISTA a Genova nel 1892.
Il timido riformismo del governo rappresentava solo una magra risposta a questo irrompere dei lavoratori sulla scena politica. L'Italia dei
lavoratori era sconosciuta ai signori, per questo in quel periodo si portarono avanti alcune inchieste per studiare i problemi e le possibili soluzioni.
Depretis e la pratica del trasformismo.
I processi di avvicinamento alle problematiche sociali per lungo tempo incisero molto poco sul sistema politico. Il blocco sociale dominante
rimaneva lo stesso e nonostante il riformismo le disuguaglianze erano diminuite. Si era presentato, anzi, un nuovo fenomeno:
• TRASFORMISMO: Per cui si annullò la tradizione bipartitica del parlamento e si andò a formare un “GRANDE CENTRO”. La
maggioranza non era più formata sulla base di un programma predeterminato, ma si creava di giorno in giorno con una continua
trattazione che portò tanti esponenti anche della Destra storica più conservatrice a entrare a far parte di questo partito. Si sviluppò anche
un sistema clientelare nel parlamento per cui tanti esponenti conservatori entrarono nelle file di questo “partito” per mezzo della
corruzione. Inizialmente il processo ebbe origine per contrastare la sinistra formata dai gruppi socialisti, radicali ecc.
La scelta coloniale e la Triplice alleanza.
A partire dal 1870 i legami tra Francia e Italia andarono affievolendosi; questo perché:
• La Francia guardava con timore alla formazione di un nuovo stato unitario sul Mediterraneo.
• L'economia italiana era ormai indipendente da quella francese.
Inoltre nello scenario internazionale andava delineandosi il fenomeno del COLONIALISMO, destinato a modificare radicalmente l'assetto delle
potenze mondiali e che avrebbe portato chi sarebbe rimasto fuori da questo a non divenire una grande potenza. Così nel trentennio dal 1870 al
1900 le grandi potenze si spartirono i grandi continenti dell'Africa e dell'Asia.
Anche l'Italia tentò la sua avventura coloniale sotto il governo Depretis; questa scelta ruppe del tutto i rapporti con la Francia, che ormai vedeva il
nostro stato come un rivale, ma li saldò con la Prussia, che ancora non era riuscita a creare un suo impero e che vedeva nell'Italia un possibile
alleato per riuscirvi.
La disfatta di Dogali e la crisi della sinistra.
I rapporti con la Francia divennero tesissimi quando nel 1881 quest'ultima conquistò la Tunisia; ciò determinò grandi proteste in Italia, interessata
a quei territori. I governi della sinistra cercarono perciò di creare delle alleanze per essere più forti in ambito internazionale.
• 1882: venne firmato un trattato con Germania e Austria chiamato TRIPLICE ALLEANZA.
L'Italia comprò poi dalla società Rubattino (che si occupava dei trasporti marini tra l'Italia e l'oriente) quindici piroscafi; a questo acquisto si
ribellò il Negus -re- dell'Etiopia e scoppiò una vera e propria guerra.
• 1887: a Dogali la colonna italiana venne annientata dalle truppe etiope, in Italia la notizia venne accolta in maniera assolutamente
negativo e questo portò:
 Fine della leadership di Depretis.
 Formazione del nuovo governo, sempre guidato dalla sinistra storica, con a capo Francesco Crispi.
Il modello bismarckiano di Crispi.
L'alleanza tra proprietari terrieri e industriali.
Negli anni della crisi stava formandosi un nuovo blocco sociale, caratterizzato dall'alleanza tra ceti diversi:
• Borghesia industriale: arricchita grazie alla crescita delle ferrovie e dalla politica di sostegno delle attività industriali.
• Grandi proprietari fondiari: specializzati nella produzione dei cereali.
Si era creata una nuova classe dirigente differente da quella POSTRISORGIMENTALE. Gli interessi di questa coincidevano con la politica
protezionistica, infatti necessitava di uno stato forte:
• Capace di difendere il mercato dalle merci straniere.
• Capace di difenderla dal sempre maggiore conflitto sociale.
• Capace di promuovere l'acquisizione di nuovi mercati esteri.
L'uomo che rappresentò questa politica fu Francesco Crispi leader del gruppo degli imprenditori meridionali.
Le proteste dei lavoratori e la politica autoritaria di Crispi.
Nel 1887 divenne capo del governo, dopo essere stato deputato della sinistra dal 1861. Fu un fervente ammiratore di Bismark e avviò una rigida
politica AUTORITARIA e di ACCENTRAMENTO; tenne infatti contemporaneamente le cariche di Primo Ministro, Ministro degli Esteri e
Ministro degli Interni e quasi tutti i poteri.
Fu un rigido esponente del blocco agrario-industriale e represse ogni movimento popolare. I lavoratori avevano dato il via ad una serie di scioperi
(specialmente i Fasci lavoratori -socialisti- in Sicilia) perché la politica protezionista aveva portato al RINCARO DEL PANE e dei generi di
prima necessità e al peggiorare delle condizioni di vita. Crispi usò il pugno di ferro contro costoro; in Sicilia fu proclamato lo stato d'assedio, i
Fasci furono sciolti e i capi imprigionati. Inoltre vennero inasprite:
• La legislazione contro le organizzazioni operaie, compreso il Partito Socialista.
• I controlli sull'ordine pubblico; i Prefetti divennero gli strumenti di controllo capillare dello Stato.
L'ingresso dei cattolici nella vita politica e sociale.
Il programma repressivo non colpì solo i socialisti, ma anche il MOVIMENTO SOCIALE CATTOLICO. Nel decennio crispino infatti i
cattolici erano entrati a far parte della vita politica e sociale.
Poiché il divieto papale impediva ai fedeli di partecipare alla politica, i cattolici più aperti iniziarono a lavorare in campo SOCIALE. Furono
coordinate dall'OPERA DEI CONGRESSI una serie di iniziative benefiche che portarono i cattolici e il clero in generale di fronte al grave
problema della QUESTIONE SOCIALE (povertà delle classi lavoratrici rispetto a quelle dirigenti).
La presa di coscienza e l'aumento dell'organizzazione portò il movimento cattolico a istituire un proprio PENSIERO SOCIALE alternativo a
quello socialista. Papa Leone XIII, assecondando questo, emanò il Rerum Novarum, che identificava questi principi:
• Necessità di una più equa divisione delle ricchezze.
• Legittimità dei lavoratori ad unirsi e organizzare sindacati, mantenendo il rispetto dell'ordine e della proprietà.
Questo portò ad un'ulteriore spinta dell'iniziativa cattolica, con la formazione anche di veri strumenti sindacali; grazie poi alla capillarità delle
parrocchie e al prestigio del clero, i movimenti di questo tipo crebbero sempre più fino a rivaleggiare con quelli socialisti. Fu così che nacque il
problema tra i cattolici di FONDARE UN PROPRIO PARTITO.
Una nuova fase della politica coloniale.
La politica di Crispi si manifestò anche con una svolta ESPANSIONISTICA e aggressiva. Il colonialismo era ormai necessario per il capitalismo
italiano, che necessitava di nuovi mercati e nuove fonti di materie prime. Così l'Italia si inserì nel processo di spartizione dell'Africa.
Crispi fece le stesse scelte portate avanti da Depretis, compresa la Triplice Alleanza:
• Intensificò i rapporti con la Germania.
• Riprese l'espansione coloniale in Abissinia.
Le sconfitte su questo fronte furono però innumerevoli; la più famosa e cocente fu quella di Adua, che portò CRISPI ALLE DIMISSIONI e
pose fine alla seconda fase della politica coloniale italiana.
Il tutto sfociò in una gravissima CRISI POLITICA che raggiunse il culmine con l'assassinio di Umberto I da parte di un anarchico. La monarchia
costituzionale sembrò a quel punto vacillare dinnanzi le spinte autoritarie dei gruppi conservatori, delle gerarchie militari e della Corona.
La crisi di fine secolo.
La crisi economica e il fallimento degli istituti bancari.
La crisi politica fu accentuata dalla CRISI ECONOMICA. Infatti il miglioramento delle condizioni del mercato grazie al protezionismo si era
fermato e la situazione economica internazionale era peggiorata. Era iniziata una depressione economica caratterizzata da:
• Minor produzione.
• Minori investimenti.
• Minori esportazioni.
Le BANCHE furono le principali vittime, poiché negli anni si erano immobilizzate investendo in IMPIEGHI A LUNGA SCADENZA, di cui
non poteva essere pretesa velocemente la restituzione in una situazione di emergenza simile. Fu così che tra il 1883 e il 1886 si erano create le
condizioni ideali per la nascita di una crisi. Infatti, travolte da fallimenti a catena, tantissime banche furono messe in liquidazione.
Il salvataggio e il riordino del sistema bancario.
Avvenne così il primo salvataggio del sistema bancario; lo stato dal 1880 al 1891 sorresse le banche, paralizzate dal numero enorme di
IMMOBILIZZI da loro acquistati e di cui non poteva essere richiesta la restituzione. Per fare questo fu imposto alle banche di immettere nel
mercato nuovo denaro, ma senza copertura aurea (corso forzoso), o assorbendo i crediti delle banche maggiormente in difficoltà. Le banche più
sane erano state così chiamate a sostenere quelle maggiormente in crisi.
Mentre Crispi avviava il progetto colonialista, la crisi raggiunse il culmine. In questo periodo si scoprì dello SCANDALO DELLA BANCA
ROMANA e si agì riordinando il settore bancario; inoltre venne affidato il compito di emettere liquidità esclusivamente alla Banca D'Italia.
Sul vecchio sistema venne fondato il nuovo:
• Banca mista: nasce in Italia in questo periodo. Erano banche orientate al credito di breve, medio e lungo periodo con vastissima
clientela; in breve tempo assunsero la forma di COLLETTORI DEL RISPARMIO PRIVATO (“immagazzinavano” i risparmi della
popolazione) usato per il finanziamento dell'industria.
Le ripercussioni sociali della crisi.
Le turbolenze economiche ebbero ripercussioni sociali; le condizioni di vita dei lavoratori erano sempre più gravi a causa:
• Del protrarsi della crisi anche dopo le rigide repressioni del governo Crispi tra il 1893 e il 1894.
• La politica colonialista, che aveva portato ad un aumento delle tasse per sostenere i costi della guerra.
Il malcontento così esplose prima in campagna e poi in città.
• 1897: i lavoratori nelle risaie, più di 200000 iniziarono una vasta agitazione sindacale per ottenere maggiori salari e minor
disoccupazione.
• 1898: in diverse città scoppiano tumulti per il rialzo del prezzo del pane. La risposta del governo fu durissima e caratterizzata dal cercare
di ridurre la questione sociale ad un semplice problema di ordine pubblico. Per decisione di Di Rudinì, nuovo capo del governo, venne
incaricato il generale Bava Beccaris di reprimere i moti; egli rispose all'ordine sparando cannonate sulla folla.
Nel mentre la forza pubblica arrestò i dirigenti socialisti e alcuni esponenti cattolici; era ormai in gioco la sopravvivenza del parlamento, infatti la
corte, le alte sfere militari e alcuni deputati chiamavano a gran voce una svolta autoritaria che limitasse le libertà di STAMPA e
ASSOCIAZIONE e aumentasse i poteri dell'ESECUTIVO.
Un decreto del nuovo primo ministro Pelloux venne portato in parlamento per tal ragione, ma nonostante tutto venne respinto e il ministro fu
costretto alle dimissioni.
Le elezioni del 1900 e la sconfitta del fronte autoritario.
Le elezioni del 1900 videro le opposizioni ottenere la maggioranza dei voti, ma per effetto della legge elettorale, MENO SEGGI in parlamento.
All'origine della sconfitta del fronte autoritario stavano:
• L'azione delle minoranze.
• I gravi smacchi in politica estera.
• Grosse divisioni all'interno del fronte autoritario stesso; cosa che aveva portato all'emersione di una componente più moderna e dinamica
legata all'industria e favorevole al dialogo con i Sindacati e i Socialisti.
• Inoltre la crisi economica era ormai superata e non erano più necessari provvedimenti reazionari.
Per questo motivo Umberto I si trovò costretto a dare il mandato governativo ad un liberale di sinistra, Giuseppe Saracco. Umberto I nel mentre
fu assassinato da un anarchico, ma nemmeno questo evento riuscì ad arrestare la nuova tendenza liberale del paese.
Il nuovo re Vittorio Emanuele III nominò primo ministro Giuseppe Zanardelli, strenuo avversario di Di Rudinì e leader della sinistra. Costui
appena giunto al potere abolì la legislazione autoritaria e si fece promotore di una organica legislazione sociale; aiutato dalla ripresa economica,
che stava aprendo nuovi orizzonti al nostro paese.
Il programma liberal-democratico di Giolitti.
Una stagione di riformismo sociale: Zanardelli e Giolitti.
Era ormai avvenuta una svolta nella politica che aveva dimostrato che era impossibile opporsi allo sviluppo dell'azione politica e sociale del
lavoratori tramite una politica autoritaria. Per Zanardelli e i liberali progressisti il conflitto sociale si poteva superare garantendo ai ceti minori:
• L'inserimento nella vita politica.
• Una stagione di riformismo sociale.
Giolitti, successore di Zanardelli nel 1903 governò per quindici anni dando inizio alla cosiddetta ETÀ GIOLITTIANA. Durante questo periodo
la sua politica fu caratterizzata dal tentativo di conciliare gli interessi della borghesia con le aspirazioni del proletariato. Per questo motivo, nel
1903, tentò di associare al governo Filippo Turati, capo dei socialisti riformisti del PSI. Prese poi diversi provvedimenti:
• Inaugurò una politica di RIGOROSA NEUTRALITÀ nei confronti dei CONFLITTI SINDACALI. I prefetti furono invitati a essere
tolleranti con gli scioperi a scopo economico e reprimere solo quelli di carattere politico.
• Di legislazione sociale per: tutela del lavoro di donne e bambini, infortuni, invalidità e vecchiaia. Vennero poi costituiti COMITATI
CONSULTIVI per l'emigrazione, lavoro a cui partecipavano socialisti e sindacalisti.
• Si diede nuovo slancio ai lavori pubblici e nelle gare d'appalto vennero accettate COOPERATIVE di lavoratori.
Nei ceti più modesti aumentò così sempre di più il consenso verso l'azione del governo, in piena controtendenza con gli anni precedenti.
Le convergenze politiche tra Giolitti e i socialisti.
L'apertura del governo alla cooperative mostra a quale categoria era dedicata la politica di riformismo sociale giolittiana: le aristocrazie operaie,
cioè quei settori dei lavoratori che partivano da condizioni migliori rispetto alla maggioranza, costituita da proletari. Giolitti si dedicò a costoro
perché avevano per censo e così via, diritto di votare, a differenza invece dei più poveri.
Questa élite corrispondeva anche alla base sociale nella quale i riformisti del PSI ottenevano più consensi. La tutela dei diritti di queste categorie
consentì l'unione tra Giolitti e il PSI, anche se essa non fu ufficializzata da un esplicito appoggio parlamentare. Da questo compromesso rimase
esclusa la maggior parte del proletariato, fu così che il PSI si suddivise in due correnti interne:
• Massimalisti: rappresentavano la fazione più estremista e volevano si perseguisse come unico obbiettivo il MASSIMO PROGETTO
DEL SOCIALISMO, la RIVOLUZIONE; iniziarono a rappresentare gli interessi ignorati dei proletari.
Che erano contrapposti alla corrente capeggiata da Turati:
• Minimalisti: ritenevano che si dovessero raggiungere il programma MINIMO, cioè il raggiungimento di obbiettivi parziali -le riforme-
con lo scopo di migliorare le condizioni del popolo, e rappresentavano l'aristocrazia operaia.
I massimalisti erano contro la collaborazione con il governo e divennero la maggioranza all'interno del PSI. Questa però vittoria coincise con un
periodo di continue sconfitte per il PSI, che finì per indebolire l'influenza dei massimalisti e rafforzare di nuovo quella degli altri.
Il grande balzo industriale.
I settori chiave dello sviluppo economico.
Con la ripresa economica, anche in Italia vi fu l'incremento della produzione industriale, specialmente nel settore tessile moderno, il cotoniero, e
nei settori trainanti della meccanica -quelli delle materie prime come siderurgico o chimico-. Infatti aumentarono le importazioni di materie
grezze da raffinare.
In questo periodo aumentò enormemente il parco industriale italiano, nacquero infatti industrie quali: la Pirelli, la Fiat e l'Olivetti ecc. Inoltre
avvenne una radicale trasformazione nell'organizzazione delle imprese, infatti si affermò il sistema delle SOCIETÀ PER AZIONI. questo portò
ad un enorme aumento del numero delle imprese, specialmente nelle attività direttamente produttive. Questo fenomeno si affermò per mezzo di
due processi:
• Il capitale azionario si orientò verso i settori più moderni dell'industria.
• Il “capitale impersonale” si orientò verso la grande fabbrica meccanizzata, modificandola radicalmente.
La tradizionale figura del “padrone-capitano” d'industria, possessore del capitale e gestore in prima persona venne sostituita da quella del
CAPITALISTA-IMPRENDITORE detentore di pacchetti azionari di diverse società e che agisce nei consigli di amministrazione.
Il settore siderurgico e la meccanica pesante.
Nel settore siderurgico si formarono due grandi TRUST (sorta di accordo tra disponente, gestore e beneficiario). Attraverso l'utilizzo di tecnologie
avanzate queste nuove imprese diedero una grande spinta alla produzione di ghisa e acciaio, estraendo il ferro grezzo dalle miniere dell'Elba
affidate loro gratuitamente dallo stato (disponente). A fianco di queste imprese continuarono a lavorare impianti siderurgici basati sulla
trasformazione del rottame -con il compito di costruire usando la materia prima in parole povere-.
La meccanica pesante era legata principalmente alle domande dello stato di ROTAIE e COSTRUZIONI NAVALI, che permisero a queste
aziende di crescere esponenzialmente negli anni. Queste avevano però vari gravi handicap, il principale risiedeva nel fatto che si dedicavano a
soddisfare la domanda dello stato, ignorando quella delle altre Imprese, che invece veniva soddisfatta dall'industria estera.
Un apparato industriale poco orientato al mercato interno.
Nel settore siderurgico emerge quello squilibrio tipico dell'industria italiana, e cioè il fatto che era poco orientata al mercato interno. Esemplare di
questo è per esempio lo sviluppo dell'industria SACCARIFERA, che durante l'età giolittiana ebbe un grande sviluppo grazie alla diffusione della
coltivazione della BARBABIETOLA. Questo fenomeno fu dovuto alla specializzazione nelle COLTIVAZIONI INDUSTRIALI, intrecciate con
la ZOOTECNIA. Attorno a questa attività si diffusero le AZIENDE DI TRASFORMAZIONE, che avevano il compito di produrre lo zucchero
vero e proprio. Le aziende si riunirono nell'Unione Zuccheri, che monopolizzò la produzione. Questa non si dedicò alla diffusione del consumo
dello zucchero tra la popolazione per mezzo di bassi prezzi; impose invece altissime barriere doganali che fecero aumentare esponenzialmente il
prezzo del prodotto, che così in Italia, maggiore produttrice, era meno consumato che nel resto di Europa.
Al mercato di massa si dedicarono invece i produttori di nuovi beni (automobili ecc.). Fu così che in questi settori nacquero e si diffusero la catena
di montaggio, la produzione di serie, la pubblicità.
L'industria chimica e il nuovo ramo dell'industria idroelettrica.
L'industria chimica, tranne la Pirelli, rimase limitata alla produzione di concimi per l'agricoltura, e in questo settore la Montecatini ottenne il
monopolio. Rimasero però limitate le iniziative industriali applicate alla sintesi delle materie organiche e produzione di soda caustica. Settori che
vennero così dominati dalle industrie straniere. In un altro ambito l'industria italiana si impose a livello internazionale:
• Industria IDROELETTRICA: che tra il 1898 e il 1911 incrementò enormemente la produzione; l'elettricità fornita era utilizzata
principalmente per gli impianti industriali, per l'illuminazione cittadina e per i trasporti.
L'elettricità prodotta divenne così importante da essere soprannominata “Carbone Bianco” che sostituì il vapore e la forza motrice idraulica, solo
il carbone resistette. In questo nuovo tipo di industria, come già nella siderurgia, fu determinante l'INTERVENTO STATALE, infatti:
• Lo stato diede in concessione a queste aziende, con tasse esigue, le risorse idriche del paese.
• Lo stato istituì un quadro legislativo per il trasporto dell'energia.
Allo stesso modo furono determinanti i capitali stranieri investiti da attività finanziare estere in questo mercato italiano e che contribuirono a
migliorarne l'attività. Anche qui il mercato fu velocemente monopolizzato da poche imprese a livello regionale, come la Edison o l'Alta Italia, che
però era controllata dalla Siemens (-ecco i capitali stranieri-).
In realtà tutto il settore era controllato indirettamente dalla Banca Commerciale Italiana; presente in tutti gli intrecci societari grazie alla grande
quantità di azioni da essa possedute. Questa non era un'eccezione, ma un'anomalia del sistema economico italiano, che da questo periodo in poi
vedrà tutti i settori trainanti dell'economia posti sotto l'effettivo comando delle banche.
I fenomeni demografici legati all'industrializzazione.
Con l'industrializzazione si verificarono in Italia tutti quei fenomeni demografici che non si erano ancora presentati nel nostro paese:
• Urbanesimo: Le città crebbero e la popolazione iniziò ad agglomerarsi nei medi e grandi centri urbani.
Questo portò alla riorganizzazione dei centri urbani, che assunsero una forma del tutto simile a quella moderna:
• Il centro cittadino divenne il nucleo nel quale avvenivano le principali attività economiche.
• La popolazione abbiente si trasferì nei quartieri residenziali, molto vicini al centro cittadino.
• I lavoratori si ammassarono nelle periferie e nei quartieri popolari, limitrofi alla zona industriale. In queste zone si viveva in condizioni
precarie, con dimore sovraffollate per l'esosità degli affitti, con servizi sociali e igienici quasi inesistenti, in mezzo a malattie e alcolismo.
Queste caratteristiche delle periferie erano legate a un fenomeno tipico dell'industrializzazione: la grande crescita del proletariato industriale.
Il riformismo autoritario di Sidney Sonnino.
L'industrializzazione, determinando una crescita del proletariato di fabbrica, portò anche a un rafforzamento del PSI, che era votato da costoro.
Tale processo rese, in pratica, obbligatoria la politica di LARGHE INTESE con il PSI portata avanti da Giolitti, che quindi non fu abbandonata
nemmeno quando lasciò la sua carica e fu sostituito dal CONSERVATORE LIBERALE Sidney Sonnino.
Infatti, pur essendo Sonnino un avversario politico di Giolitti, esso non voleva riprendere una politica autoritaria come si era fatto anni prima; la
principale differenza era che:
• Sonnino voleva portare avanti riforme sociali imposte direttamente dal governo, su modello bismarckiano.
Queste riforme dovevano trasformare la società e il partito liberale al punto da far diventare quest'ultimo un MODERNO PARTITO DI MASSA.
Inoltre il riformismo doveva essere in chiave ANTISOCIALISTA e funzionale a un'AZIONE DI CONSERVATORISMO SOCIALE.
Dualismo economico e politica di potenza.
Il Mezzogiorno tra arretratezza ed emigrazione.
La politica interna di compromesso di Giolitti si rivolgeva unicamente ad alcuni settori del mondo dei lavoratori e promuoveva solo certi processi
di trasformazione della società; cioè:
• Promosse unicamente il decollo dell'industria.
• Tutelò i lavoratori meno poveri; questi erano concentrati principalmente nel NORD.
Il Sud venne così ignorato in buona parte e rimase arretrato nella sua struttura AGRARIA, anzi, addirittura peggiorò le proprie condizioni perchè:
• il protezionismo impedì di esportare i prodotti agricoli con gli stessi risultati di come si faceva ai tempi del liberismo.
• Avvennero delle gravi calamità naturali, come l'eruzione del Vesuvio o il terremoto di Messina e Reggio Calabria.
In realtà il governo di Giolitti portò avanti anche alcuni provvedimenti a favore del meridione, ad esempio la costruzione dell'acquedotto pugliese.
Una situazione come quella del Mezzogiorno era però così grave da richiedere riforme ben più grosse che rifondassero e ammodernassero il
sistema economico e societario. In questo quadro la miseria non faceva altro che alimentare l'altissima EMIGRAZIONE.
Il fenomeno dell'emigrazione si era già manifestato prima dell'unità, ma negli anni era sempre peggiorato fino a portare nel PRIMO DECENNIO
DEL '900 vari milioni di lavoratori a migrare, specialmente nei paesi transoceanici. Ovviamente coloro che partivano erano persone quasi
sempre analfabete, costrette a fuggire per la fame e la disoccupazione e per la mancanza di assistenza da parte dello stato.
La politica giolittiana non aveva fatto altro che ACCENTUARE IL DIVARIO tra Nord e Sud. Oltretutto il primo ministro aveva sfruttato per
tutto il suo mandato senza scrupoli la corruzione elettorale da parte di gruppi mafiosi per assicurarsi consensi, portando all'espandersi nella
politica del germe del clientelismo, della corruzione ecc. Salvemini denunciò la situazione definendo Giolitti “Ministro della malavita”.
Le spinte al colonialismo e l'impresa in Libia.
Giolitti diede durante il suo mandato anche una svolta alla politica estera. Dopo il disastro della prima impresa coloniale ormai l'Africa era stata
spartita tra Francia e Inghilterra, così per poter agire nel continente era necessario avere l'appoggio di queste due potenze.
L'Italia trovò l'accordo per agire in Libia, che apparteneva all'impero Ottomano. L'impresa libica ebbe inizio nel 1911 e fu sollecitata da:
• Opposizione di destra.
• Un'ondata di fortissimo nazionalismo.
• Pressioni di gruppi economici italiani che avevano già investito in queste zone.
• Convinzione che questa zona sarebbe potuta essere una valvola di sfogo per il flusso migratorio.
Le operazioni belliche furono subito piuttosto difficoltose grazie alla lotta delle tribù berbere e alla resistenza dei turchi. Per risolvere la situazione
si decise di spostare il nucleo del conflitto nel Mar Egeo. Qua si occuparono Rodi e alcune isole e si tentò di raggiungere Istanbul.
L'impero ottomano fu così costretto a siglare la pace (il conflitto stava diventando troppo pericoloso per l'equilibrio dello stato turco); l'Italia
ottenne la Libia e, nonostante l'accordo che affermava il contrario, non restituì più le isole conquistate nell'Egeo.
Le ripercussioni politiche dell'impresa libica.
La conquista della Libia aveva da una parte ottenuto grandi consensi, dall'altra aveva causato la destabilizzazione della vita interna in Italia.
Giolitti fino a quel momento era riuscito nel suo obbiettivo di costruire una politica di larghe intese per mantenere l'equilibrio e il potere.
Per quanto riguarda il PSI, grazie anche a Giolitti, si era indebolito a causa della frattura interna. La mediazione con Turati aveva resistito fino alla
guerra in Libia, ma a quel punto avvenne una vera e propria scissione:
• Gruppo riformista di destra: aveva appoggiato il colonialismo ed era stato così espulso dal PSI. Si era in seguito riorganizzato in un
nuovo partito che appoggiava gli ideali del socialismo riformista.
• Estrema sinistra massimalista: capeggiata da Mussolini, aveva ottenuto la maggioranza nel partito e aveva messo sotto accusa la tattica
filo-giolittiana, trasformando il PSI in un partito con forte vocazione RIVOLUZIONARIA.
La crisi del riformismo socialista portò grosse difficoltà a Giolitti, dato che perse l'interlocutore strategico con la maggior parte della popolazione.
A destra poi:
• Movimento Nazionalista: Aveva ottenuto maggiori consensi negli anni. Era un movimento REAZIONARIO, ANTIDEMOCRATICO
e MILITARISTA. Si era costruito attorno a “Il Regno” di Corradini e aveva assunto la forma di un GRUPPO DI PRESSIONE.
Sfruttarono la guerra a livello propagandistico.
La fine del compromesso giolittiano.
La riforma elettorale e il “Patto Gentiloni”.
Nonostante la scissione il PSI rimase un partito forte sul piano elettorale e quando nel 1912 la riforma elettorale sancì il SUFFRAGIO
UNIVERSALE MASCHILE, il rischio di un forte successo dei socialisti si faceva concreto. Un'eventualità simile avrebbe portato al crollo degli
equilibri della politica di Giolitti.
Per evitare qualcosa di simile Giolitti si alleò con i CATTOLICI CONSERVATORI, organizzati nell'UNIONE ELETTORALE CATTOLICA.
Costoro avevano un largo consenso grazie alla capillarità delle chiese nel territorio e decisero di sfruttarlo durante le elezioni del 1913. Per mezzo
di un accordo con Vincenzo Gentiloni -“PATTO GENTILONI”- Giolitti ottenne la garanzia che avrebbe ottenuto questi voti.
Grazie al Rerum Novarum i cattolici si erano aperti alla politica. Nel 1901 un sacerdote, Romolo Mussi, fondò un movimento politico cattolico di
ispirazione democratica: la DEMOCRAZIA CRISTIANA. In seguito Don Luigi Sturzo ritenne che era necessario fondare un partito di
ispirazione cattolica ma LAICO e FORTEMENTE DEMOCRATICO, non come il blocco formato da Giolitti e Gentiloni, e venne istituito il
PARTITO POPOLARE.
Le elezioni del 1913 e la svolta conservatrice.
Nelle elezioni del '13 vi fu l'avanzata dei socialisti e una forte affermazione dei candidati cattolici nel partito liberale. Si presentava dunque una
situazione di stallo, infatti:
• Da un lato le forze popolari non erano ancora in grado di esprimere un disegno politico.
• Dall'altro i Liberali erano sempre meno in grado di governare il paese ormai radicalmente mutato negli anni.
Il presidente del consiglio rimase però Giolitti e, grazie al Patto Gentiloni, vantava una larga maggioranza. Ormai però la politica giolittiana era
radicalmente influenzata dalle decisioni dei conservatori, che:
• Esprimevano gli interessi degli agrari e degli industriali.
• Erano sensibili alle istanze nazionalistiche e autoritarie.
Per porre fine a questa situazione di “sottomissione” politica, Giolitti pensò di ritirarsi temporaneamente dalla vita politica per poi ritornare nel
momento più opportuno. Nel marzo 1914 il potere fu così dato a Antonio Salandra, ma Giolitti continuava ad essere convinto di poter manovrare
il governo. Presto però le tendenze reazionarie del governo vennero alla luce, durante cioè la SETTIMANA ROSSA, scoppiata in seguito a degli
scontri tra anarchici e stato avvenuti ad Ancona che portò alla morte di tre persone. Venne così indetto uno sciopero generale di 48 ore che portò a
dei moti che non avevano particolari obbiettivi, ma che stavano assumendo la forma di PREINSURREZIONALI.
Venne posta in atto una azione repressiva da parte del governo che impiegò 100000 soldati. Nel mentre a Sarajevo avveniva l'attentato che fece
scoppiare la I guerra mondiale. Giolitti non fu più in grado di riprendere le redini della situazione e la società si divise fra coloro che volevano
intervenire nel conflitto e coloro che invece non volevano.
Il suffragio.
Di solito lo si intende come voto; è il meccanismo per mezzo del quale un individuo può esprimere la propria opinione a livello pubblico. E
dunque partecipare alla vita pubblica. E' strettamente collegato alla borghesia, la quale con la rivendicazione dei diritti alla libertà durante la
lotta contro le monarchie, lo chiese a gran voce. Una volta che la borghesia conquisto il potere, istituì il SUFFRAGIO RISTRETTO, fondato sul
censo e limitato a pochi cittadini ricchi. A partire dell'800 in poi fu sempre più allargato fino a raggiungere il SUFFRAGIO UNIVERSALE, nel
quale votavano tutti i cittadini maschi che avevano raggiunto la maggiore età. Le donne aspetteranno qua in Italia fino al '46.

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