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D’altra parte, in molti casi pratici il segnale di misura risulta flottante, cioè la tensione del
segnale di interesse (vs Rs) non è riferita al punto comune, e inoltre nessuno dei due morsetti
del generatore di segnale può essere collegato al common dell’amplificatore, per motivi di
funzionamento del circuito, come verrà mostrato più avanti.
In tali casi, gli stadi amplificatori di tipo single-ended non sono utilizzabili e bisogna ricorrere
a configurazioni apposite (vedi la Fig.1.1B) basate sull’amplificatore differenziale.
Amplificatori di isolamento
Gli amplificatori di isolamento trovano applicazione in numerosi casi pratici; in particolare
quando la tensione di modo comune risulta troppo elevata per l’integrità del dispositivo
amplificatore (tipicamente quando supera la tensione di polarizzazione, per esempio ±15V),
oppure per motivi di sicurezza delle persone.
Per chiarire e giustificare il loro impiego si può considerare l’esempio in Fig.1.3. Si tratta di
un carico elettrico alimentato dalla rete pubblica di distribuzione a 220 V e 50 Hz e si vuole
misurare la corrente I che fluisce nel circuito tramite uno shunt Rs del quale si preleva la
caduta di tensione ΔV. Normalmente lo shunt ha un valore di resistenza molto piccolo e
pertanto anche la caduta di tensione ΔV risulta piccola e deve essere amplificata.
In Fig.1.3 le tensioni Eb+ ed Eb- sono le tensioni necessarie per polarizzare l’amplificatore.
Tipicamente l’uscita Vout è riferita al punto comune Com, e questo è al potenziale di terra.
Notiamo che nei comuni sistemi di distribuzione dell’energia elettrica si impiega il conduttore
di Fase e il conduttore di Neutro per formare un circuito monofase. In particolare, il polo di
Neutro viene portato al potenziale del terreno (messo a terra) dall’Ente Distributore, presso la
propria cabina di distribuzione.
Dall’esame del circuito in Fig.1.3 e da quanto detto, risulta che i morsetti dello shunt si
trovano entrambi praticamente alla tensione di 220 V rispetto a terra. Pertanto l’amplificatore
presenta entrambi i morsetti di ingresso H e L con una tensione che è di 220 V rispetto a terra.
Poiché il punto comune Com, cui sono riferite le tensioni di polarizzazione dell’amplificatore
e la tensione in uscita, si trova al potenziale di terra, allora la tensione di 220 V risulta di
modo comune per l’amplificatore. Tale tensione di modo comune è troppo elevata e non può
essere sostenuta dai normali amplificatori per strumentazione.
In casi come quello appena esaminato sono necessari amplificatori di isolamento, che
garantiscono la completa separazione galvanica fra i segnali d’ingresso e d’uscita e possono
sostenere tensioni di modo comune molto più elevate (anche 2000 V). Questi amplificatori
non presentano collegamenti metallici diretti fra la porta d’ingresso e quella d’uscita.
Gli amplificatori di isolamento trovano impiego, oltre che in campo industriale, anche in altri
ambiti dove, per motivi di sicurezza delle persone, non è consentito il collegamento diretto fra
il sensore che rileva il segnale utile e l’elettronica di amplificazione ed elaborazione del
segnale. Un esempio significativo si ha nelle applicazioni elettromedicali, quando la
strumentazione è connessa alla rete di alimentazione a 220 V e 50 Hz.
Da un punto di vista circuitale e di funzionamento gli amplificatori di isolamento sono
costruiti con varie tecnologie; per esempio si impiegano dispositivi ad accoppiamento
trasformatorico oppure ottico.
Accoppiamento ottico
In Fig.1.4 è rappresentato lo schema di un amplificatore di isolamento con accoppiamento
ottico (per esempio, fotodiodo e fotorivelatore). La sezione di ingresso e quella d’uscita sono
elettricamente indipendenti (galvanicamente separate) e hanno ciascuna una propria
alimentazione: rispettivamente (VDD1 Gnd1) e (VDD2 Gnd2).
Il segnale in ingresso è applicato fra i morsetti (Vin+ e Vin- ); il segnale in uscita è raccolto fra i
morsetti (Vout+ e Vout- ). In alcuni casi è presente anche uno schermo conduttore (CMR shield),
posto a massa sull’uscita (Gnd2), che ha lo scopo di drenare a massa le piccole correnti
capacitive, evitando per quanto possibile che disturbino i circuiti secondari d’uscita.
Connessioni a massa
Il problema dei collegamenti a massa è uno dei più critici nell’interconnessione di componenti
e circuiti elettronici di misura. Quello che in teoria viene assunto come punto comune cui
riferire i potenziali di un circuito, in realtà non esiste.
Infatti esistono più punti che, per il fatto di essere collegati tramite conduttori, vengono
ritenuti equipotenziali. In pratica le correnti che fluiscono in tali conduttori (return path)
stabiliscono delle differenze di potenziale fra i diversi punti che si vorrebbero equipotenziali.
Il fenomeno è rappresentato in Fig.2.1.
Nel collegamento in serie dei common ground dei tre circuiti, l’impedenza finita delle
connessioni comporta che V1 ≠ V2 ≠ V3. Inoltre la tensione sul punto comune di ciascun
circuito dipende dalle correnti a massa degli altri circuiti.
Viceversa nel collegamento separato (radiale), il potenziale di massa di ciascun circuito non
dipende dalle correnti di ritorno a massa degli altri.
I sistemi più complessi possono avere più di un common ground, uno per ogni settore
circuitale (analogico, digitale, per i segnali a basso livello, ecc.).
Spesso tutti questi punti di massa confluiscono nel power ground.
Il power ground è di norma presente nelle apparecchiature elettroniche alimentate dalla rete e
costituisce il collegamento a terra di protezione (earth ground o safety ground).
Al collegamento a terra (insieme a idonei dispositivi di interruzione) è affidato il compito di
protezione contro le tensioni di contatto in caso di guasto, qualora cioè si perda l’isolamento
delle parti che normalmente si trovano alla tensione di rete.
Comunque, nei riguardi del segnale di misura, la differenza di potenziale fra due punti di
massa si manifesta come un disturbo e questo agisce in modo diverso sul segnale utile a
seconda della configurazione del circuito.
Con riferimento ai collegamenti a massa, le configurazioni principali sono quelle single-ended
e differenziali.
Configurazioni single-ended
Si consideri lo schema di Fig.2.2A, dove il segnale utile Vs viene applicato allo strumento di
misura attraverso un amplificatore single-ended con impedenza di ingresso Zin.
Il fatto che le masse per il segnale e per il dispositivo di misura possano essere a potenziali
diversi è posto in evidenza utilizzando per esse simboli differenti. Indicheremo pertanto con
Vg e Zg i parametri del generatore equivalente di disturbo presente fra i due punti di massa.
Nelle configurazioni single-ended, il disturbo dovuto alla tensione Vg fra le masse è
particolarmente insidioso in quanto si presenta in serie con il segnale utile.
Tavolta può risultare utile creare un collegamento diretto fra la massa del segnale e quella
dello strumento (Fig.2.2B). Bisogna tuttavia tener presente che il collegamento Zb, benché a
bassa resistenza, presenta anche delle induttanze parassite, la cui importanza cresce con la
frequenza.
Configurazioni differenziali
Nelle configurazioni differenziali, la tensione di disturbo fra le masse risulta di modo comune.
Per valutare l’influenza di questo disturbo, si faccia riferimento al circuito equivalente di
Fig.2.3A. In questo schema, Zin è l’impedenza differenziale fra i due ingressi H ed L, mentre
ZC sono le impedenze che ciascun ingresso H ed L presenta verso massa (guardando dentro
l’amplificatore). Nei casi pratici, le impedenze Zin e ZC presentano valori estremamente elevati
e dello stesso ordine di grandezza. Un valore tipico può essere 109 Ω in parallelo con 2 pF.
L’effetto della tensione di modo comune Vg sull’ingresso differenziale Zin può essere
fortemente ridotto (tanto da risultare praticamente trascurabile) se si cura la simmetria delle
impedenze in serie su ciascun ingresso H ed L, cioè se (Zs+Za = Zb).
Per rendersi conto di questo fatto, si consideri lo schema di Fig.2.3B, dove con Z1 e Z2 sono
state indicate genericamente le impedenze attraverso le quali viene applicato il segnale su
ciascun ingresso H ed L. Si può valutare l’effetto della tensione di modo comune VC
sull’ingresso Zin cominciando a calcolare il suo contributo direttamente sugli ingressi H ed L,
ai capi dell’impedenza differenziale Zin. Il generatore equivalente di Thevenin fra i morsetti H
ed L sarà caratterizzato dai seguenti parametri VT e ZT:
⎡ ZC ZC ⎤
VT = [VH − VL ]0 = VC ⎢ − ⎥ ; Z T = Z1 Z C + Z 2 Z C (2.1)
⎣ Z1 + Z C Z 2 + Z C ⎦
Poiché, nella pratica, le impedenze ZC sono molto maggiori di Z1 ed Z2, si ha:
Z 2 − Z1 ΔZ
VT = VC Z C ≅ VC Z T ≅ Z1 + Z 2 (2.2)
( Z C + Z1 )( Z C + Z 2 ) ZC
avendo posto ΔZ=Z2 -Z1. Il generatore equivalente di Thevenin risulta applicato all’impedenza
differenziale Zin (con Zin>>ZT). Pertanto, ai capi di Zin si stabilisce praticamente tutta la
tensione a vuoto VT dovuta al modo comune. Questa tensione equivalente VT viene amplificata
con guadagno differenziale AD proprio dell’amplificatore differenziale (o amplificatore per
strumentazione) e produce sull’uscita un contributo:
AD VC Z C
Vout = VT AD = VC AC ⇒ CMRR = = ≅ (2.3)
AC VT ΔZ
Da cui si deduce che la reiezione del modo comune complessiva migliora al diminuire dello
sbilanciamento delle impedenze di ingresso ΔZ = Z2-Z1.
3 - Accoppiamenti induttivi
Schema di principio
I disturbi sul circuito di misura che nascono per accoppiamento induttivo sono dovuti alla
circolazione di correnti.
Si considerino pertanto due conduttori come rappresentato nello schema di Fig.3.1.
Il primo, detto circuito disturbante, è percorso dalla corrente I1; il secondo, detto circuito
disturbato, trasferisce il segnale di misura Vs allo stadio di ingresso Rin di uno strumento.
La corrente I1 circolante nel conduttore "1" determina un flusso Φ che si concatena anche con
il conduttore "2". La mutua induttanza M12 presente fra i due conduttori è responsabile
dell’accoppiamento induttivo.
La tensione di disturbo Vn che risulta in serie con il segnale utile Vs è data da:
Vn = jωM 12 I1 (3.1)
Per ridurre l’entità del disturbo dovuto all’accoppiamento induttivo bisogna ridurre la mutua
induzione. Questo si può ottenere ponendo i due circuiti (1 e 2) il più possibile distanti e
perpendicolari. Inoltre è opportuno disporre il conduttore attivo del circuito disturbato il più
possibile vicino al suo ritorno (sia esso il piano di massa, oppure la pista di un circuito
stampato o un semplice cavo, purché siano uguali le correnti di andata e ritorno): in tal modo
si riduce l’area della spira con la quale si concatena il flusso magnetico prodotto dalla corrente
I1. Tali considerazioni trovano applicazione pratica con l’impiego di coppie twisted e di cavi
coassiali, rappresentati in Fig.3.2.
4 - Accoppiamenti capacitivi
Schema di principio
I disturbi che nascono sul circuito di misura per accoppiamento capacitivo sono dovuti alla
presenza di parti in tensione.
Si considerino pertanto due conduttori come rappresentato nello schema di Fig.4.1.
A tale schema può essere associato un circuito equivalente secondo Thevenin come riportato
in Fig.4.2B. I parametri del circuito equivalente risultano:
C12 C
Ceq = C12 + C 20 Veq = V1 = V1 12 (4.1)
C12 + C 20 Ceq
La tensione di disturbo Vn che si manifesta ai capi della resistenza R e quindi sul circuito di
ingresso dello strumento, risulta infine:
R jω / ω* ⎛ ⎞
Vn = Veq = Veq ⎜ posto ω* = 1 ⎟ (4.2)
1 1 + jω / ω* ⎜ RCeq ⎟⎠
R+ ⎝
jωCeq
Si osserva che l’andamento della tensione di disturbo Vn dipende dalla frequenza, come
rappresentato nella Fig.4.2C. La tensione di disturbo Vn varia linearmente con la pulsazione
ω, approssimativamente fino al valore ω*=1/RCeq. Per valori superiori della pulsazione, la
tensione di disturbo rimane praticamente costante con valore pari a Veq.
Nella Fig.4.2, tali andamenti sono stati riportati con riferimento a due differenti valori della
capacità (C12 e C’12 < C12).
Per avere un’idea dei valori in gioco, possiamo considerare l’esempio seguente:
V1 = 10 V; f = 100 kHz; C12 = 50 pF; C20 = 150 pF; R = 50 Ω.
La capacità e la tensione equivalenti sono rispettivamente:
Ceq = 200 pF e Veq = 2,5 V.
La pulsazione del punto di rottura è:
ω* =1/(50⋅200⋅10-12) = 108 rad/s.
Poichè: ω = 2π⋅105 rad/s << ω*, risulta in definitiva: |Vn| ≈ Veq ω/ω* = 15,7 mV.
Fra il conduttore disturbante "1" e quello disturbato "2" rimane solo la capacità C12
riguardante la porzione di cavo "2" non coperta dallo schermo S. Tale capacità è in pratica
molto piccola e può spesso essere trascurata.
Allora, se lo schermo S viene posto a massa, la corrente dovuta alla tensione V1 e che
attraversa la capacità C1s viene condotta direttamente a massa dallo schermo, senza interessare
la capacità C2s e pertanto senza determinare tensioni disturbanti sul conduttore "2".
In tal caso quindi Vn = 0.
Riguardo al punto in cui fare il collegamento a massa dello schermo, tale punto è irrilevante