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Renato Donfrancesco

Morton Feldman e Mark Rothko

Il mondo artistico americano ha vissuto negli anni 50 una stagione


particolarmente viva ed importante frutto di una molteplicità di fattori tra i quali, non
secondari, quelli politici e sociali. Da una parte il Federal Art Project, iniziato e voluto
da Roosvelt nell'ambito del New Deal, aveva consentito sin dal 1935 a migliaia di
giovani artisti di potersi dedicare alla loro espressione creativa senza doversi
preoccupare eccessivamente del proprio sostentamento, dall'altra la guerra aveva spinto
molti tra i migliori pittori ad emigrare da Parigi a New York permettendo il
diffondersi negli Stati Uniti di nuove idee 1. Nell'ambito delle arti visive il fenomeno
più importante fu la nascita di un vasto movimento, l'espressionismo astratto,
destinato ad acquisire rapidamente una posizione di grande prestigio internazionale.
Rappresentato tra gli altri da Jacson Pollock, Clyfford Still, Franz Kline, Willem De
Kooning, Barnett Newman, Ad Reinhardt, Philip Guston e Mark Rothko esso crebbe
a stretto contatto con i musicisti della scuola di New York, Earle Brown, John Cage,
David Tudor, Christian Wolff e Morton Feldman , tutti compositori animati da uno
spiccato interesse per le arti figurative 2. Il fenomeno di uno stretto contatto tra pittori e
musicisti non era certo nuovo nel novecento, basti pensare alla amicizia tra
Schoenberg e Kandinskij 3, tuttavia in quegli anni assunse una dimensione e
caratteristiche particolari. Fra i primi a riconoscere tale specificità è stato Theodor W.
Adorno che negli ultimi scritti 4 ha sostenuto con vigore come la convergenza tra
musica e pittura fosse al centro della intera problematica dell'arte degli anni 50 e 60.
Essa non andava nel senso di un facile sincretismo quanto in quello di una influenza
reciproca che si estrinsecava sia sul piano della poetica che delle tecniche utilizzate.
Non stupisce allora come Pollock tendesse a trasferire sulla tela il tempo visualizzato
dal drippings o che Rothko rivelasse di essere diventato pittore per portare la pittura
allo stesso livello di intensità della poesia e della musica e che lo " spirito della
musica" doveva ispirare le sue tele 5. D'altronde Cage dipingeva 6 ed aveva spesso
intense conversazioni con Feldman sulle arti visive 7, mentre quest'ultimo passava
molte ore con Guston comparando le reciproche visioni estetiche 8, era solito visitare il
Metropolitan Museum in compagnia di Rothko 9 ed intitolava alcune sue composizioni
dedicandole ai suoi amici pittori. Per comprendere dunque lo sviluppo della musica
della scuola di New York è molto importante ricostruire la rete concettuale di questi
rapporti. Questo vale soprattutto per la poetica e le modalità compositive di Morton
Feldman che molto più di Cage rimase fedele negli anni all'espressionismo astratto.
Bisogna prima di tutto operare delle distinzioni, perché la parola
"espressionismo astratto" è adeguata solo dal punto di vista storico, perché consente
l'individuazione di un certo gruppo di pittori per lo più operanti a New York intorno
agli anni 50, ma il termine non ci dice nulla circa le caratteristiche specifiche delle
concezioni artistiche e delle tecniche utilizzate dal gruppo. L'unico tratto che forse
poteva essere condiviso era un sostanziale romanticismo di fondo, che tuttavia veniva
interpretato in due modi antitetici: da una parte l'arte gestuale rappresentata soprattutto
da Pollock, dall'altra i pittori color-field e cioè Clyfford Still, Barnett Newman e Mark
Rothko. Questi ultimi erano chiamati così perché valorizzavano al massimo
l'espressività del colore che disponevano in larghe superfici capaci di saturare lo
sguardo. Essi ricercavano, come Barnett Newman sosteneva spesso, un ideale dell'arte
come idea pura, come sublime, molto distante se non incompatibile con la bellezza.
Mondrian era avversato perché portatore nell'ambito dell'arte moderna del valore del
bello come armonia e perfezione di forme che per secoli era stato a fondamento
dell'arte europea, mentre i pittori color-field volevano distruggere la forma . Questa
ricerca portava Rothko a sostenere che se l'arte voleva rivelare una esperienza
trascendentale doveva sbarazzarsi di tutte le esperienze familiari : le immagini, le idee,
le forme convenute. La memoria, la storia e la geometria erano considerate come
ombre di idee ma mai idee in se. Allora l'uso di larghe distese di colore serviva a
produrre un effetto di infinito sullo spettatore, caratteristica che per i pittori color-field
era un attributo del sublime. Per accentuare questa esperienza nello spettatore essi
cercavano colori molto vicini tra loro evitando transizioni cromatiche brusche. La scala
monumentale adoperata era poi voluta non per ottenere una visione da lontano (anzi lo
spettatore era invitato a mettersi vicino alla tela), ma perché l'estensione del quadro
producesse un senso di intimità 10. Le tele di Rothko nella loro inesorabile frontalità
erano fortemente emozionali, esse tuttavia, al contrario di quelle di Pollock, non
riportavano alcuna traccia del loro processo di elaborazione e del modo di intervento
dell'artista. D'altra parte l'assenza di esattezza nel contorno , di precisione o di misura
non permetteva di scorgere l'imposizione della volontà dell'autore. Risultava invece
fondamentale la passività e l'impersonalità del tocco di pennello come espressione di
una umiltà creativa che suggeriva allo spettatore di sbarazzarsi del proprio Ego per
aprirsi ad una identificazione di ordine cosmico. Le infinite pulsazioni della superficie
cromatica davano poi al colore una qualità evanescente che accentuava l'atmosfera
rarefatta e sublime data dal grande formato. Le modulazioni di colore sottilmente
sfumate dematerializzavano i contorni, li rendevano fluttuanti ed impedivano alle forme
di irrigidirsi per farle planare fuori dalla tela ed inglobare lo spettatore nell'ambiente
luminoso che essi emettevano 11. Le differenze con i pittori gestuali come Pollock erano
enormi: lì dove l'action painting considerava l'artista come un eroe esistenziale che
cerca di svelare più direttamente possibile i propri atti creatori i pittori color-field
eliminavano tutte le tracce autobiografiche. Essi piuttosto concepivano l'artista come un
oracolo ed il suo atto creativo partiva da una profonda rinuncia della propria
soggettività nel tentativo di raggiungere un assoluto super-individuale 12.

Ispirazione e soggettività

E' allora comprensibile come Rothko abbia preso le distanze dalla action
painting che considerava antitetica allo spirito del suo lavoro, il quale non era volto ad
esprimere se stesso ma qualcosa circa il mondo 13. Questo qualcosa era l'esperienza
trascendentale, e cioè valori che sebbene soggettivi non erano sentiti come meramente
personali. Essi erano considerati ideali o spirituali ma allo stesso tempo immanenti alla
esperienza psichica e sensoriale. L'estasi cui precisamente aspirava Rothko non era
meta-fisica o religiosa ma era fatta di colore o suono 14. Nell'ambito di questo
dibattito si definì con il tempo anche la posizione di Cage che, come Rothko, si
allontanò progressivamente dall'espressionismo astratto, anche lui perché non
condivideva il soggettivismo della action painting. Feldman che negli anni 50 era,
come già detto, molto vicino a Philip Guston ebbe con lui una rottura quando questo
artista passò dalla pittura astratta a quella figurativa 15 e rimase per molti anni
sostanzialmente vicino a Rothko cui dedicò un'opera eseguita per l'inaugurazione, nel
'71 della Rothko Chapel di Houston. Sulla tematica della soggettività nella creazione
artistica vi era infatti un importante punto di contatto. Feldman era solito ripetere :
for art to succeed , its creator must be fail 16 ed in altre occasioni non mancò di
sottolineare con perplessità l'attitudine dei giovani compositori ad attirare l'attenzione
sul loro lavoro e su se stessi piuttosto che sul suono 17.
Non c'è dubbio che sul rifiuto dell'egocentrismo nella creazione artistica vi sia
stata una profonda affinità tra i due artisti, anche perché si trattava di una delle
caratteristiche centrali del circolo di compositori che si era formato intorno a Cage.
Tuttavia rispetto a quest'ultimo la ricerca di Feldman era più orientata, come i pittori
color-field, verso una esplorazione della oggettività nella ispirazione piuttosto che
verso la pratica di tecniche aleatorie. Su questo aspetto possiamo concludere con
Guillame Hazebrouck 18 che per Feldman l'artista doveva essere "dentro" l'opera,
presente a se stesso e al suono, assoggettato alle esigenze che egli incontrava nel
momento dell'atto creatore, trovando, passo dopo passo, un medium appropriato per il
nuovo problema, con soluzioni sempre diverse. Bisogna però precisare che questo
essere "dentro" l'opera non era finalizzato, come in Rothko alla ricerca del sublime.
Con questi condivideva l'importanza dell'arte come esperienza trasformante, come
forza vitale capace di cambiare realmente la vita 19, ma, al momento, non si può
sostenere che questa esperienza potesse essere, per Feldman, "trascendentale".

Concentrazione, suono e colore

Ci si può chiedere allora in che senso Feldman ritenesse non egocentrico il


proprio modo di comporre. Egli considerava fondamentale la concentrazione tanto da
costringersi a scrivere con una penna ad inchiostro che lo aiutava a controllare il
proprio livello attentivo 20. Secondo aspetto molto importante la solitudine, che egli
raccomandava ai giovani 21 ed infine l'essere "deep in thought ":

... if I'm "deep in thought", it's just to get rid of the ideas... For me, it becomes almost
like a physical stamina to just go on with an empty head. That's what I mean by being
"deep in thought" 22

Dove per idee non vanno intese le comuni distrazioni quanto idee musicali,
progetti compositivi. Feldman raccontava che tutte le volte che cercava di manipolare il
suo lavoro con una idea che credeva formidabile il lavoro si fermava. Egli vedeva i
suoni come destinati a "respirare" ed a non essere soffocati da un sistema che era
capace sì, di estendere il vocabolario della musica ma che spesso finiva per essere solo
un modo diverso di dire sempre le stesse cose. Egli vedeva come una sua missione il
porsi al servizio del suono, liberarlo, evitando di mettere il suono al proprio servizio 23.
Liberazione del suono come impossibilità di risalire ad una causalità, come perdita di
un carico linguistico che è pressoché inevitabile in una musica quando una sorgente
demiurgica anteriore impone alla sua produzione ed alle relazioni mutue dei suoni che
la compongono una continuità espressiva. Feldman vedeva invece i suoi colleghi
europei partire da ciò che Nietzsche chiamava l'inganno della grande forma. Mentre per
gli altri, cioè, una immagine musicale era un materiale elaborato, per Feldman un
semplice suono suggeriva già una immagine, era già una immagine musicale, era già
una forma. Quindi giustamente Guillaume Hazebrouk 24 suggerisce come per
Feldman la differenza tra un semplice suono e l'immagine e tra l'immagine e la forma
non fosse nella natura ma in una semplice sfumatura di proporzioni. E' importante però
sottolineare che " fare quello che i suoni dicono" non era per il musicista americano un
tentativo di ipostatizzare il suono o di attribuirgli una verità propria come essenza, per
Feldman il suono risultava sempre fabbricato dall'uomo:
There's an avant-garde aspect which has a very religious, St Thomas attitude about the
"truth of material". In that sense I don't feel that material has any "truths". It has our
truths. We bring it in 25.

Dunque quando Feldman parla di suono parla di ciò che il musicista ci "mette"
o, più precisamente, l'attenzione che l'artista pone alla materialità del suono, il frutto
dell'incontro tra il compositore ed il suono. Per comprendere meglio potrebbe essere
utile vedere ciò che il musicista americano vede in contrasto con il "mestiere" , con la
metodologia come immagine del controllo della composizione:

“In music, when you do something original, you're an amateur. Your imitators, these
are the professionals. It is these imitators who are interested not in what the artist did,
but the means he used to do it. This is where craft emerges as an absolute, as an
authoritarian position that divorces itself from the creative impulse of the
originator”.26

Ci sembra dunque possibile ipotizzare una modalità compositiva in cui


Feldman, con una attitudine di intensa concentrazione sulla materialità del suono che
andava producendo, attingeva ad un impulso creativo estraneo sia a idee preconcette
prodotto dall' io cosciente a priori, sia dall'automatismo incoscio dei surrealisti che
egli, come Rothko, non condivideva. La creazione avveniva passo dopo passo
lavorando al piano, strumento che consentiva al musicista di rallentare e di percepire
bene le pause 27 seguendo con scrupolo un impulso che era soggettivo solo perché
non estraneo al creatore come persona. Oltre alle affermazioni di Feldman abbiamo
una conferma diretta di questo stile di lavoro attraverso la testimonianza di Michael
Tilson Thomas 28 che ha avuto l'opportunità di assistere, durante le molte serate passate
insieme al musicista, alla composizione di alcune opere. Possiamo allora formulare due
ipotesi:
la poetica di Feldman era intimamente orientata a valorizzare l'autonomia dell'arte
perché votata alla proposizione in termini musicali della creatività in se e per se e la
rinuncia al proprio egocentrismo si esprimeva con il rifiuto di finalizzare l'opera alla
presentazione di un concetto prodotto a priori (dove la soggettività viene negata nella
finalità ma non nella sorgente) l'impulso creativo, pur essendo soggettivo perché
comunque prodotto da una persona, risulta oggettivo perché trans-personale in quanto
espressione della natura umana come natura (la soggettività viene negata alla fonte).
Dagli scritti del compositore e dalle interviste non pare possibile definire con
chiarezza quale di queste possibilità descriva meglio la sua personalità artistica.
Probabilmente in entrambe vi è qualcosa di vero. La creatività frutto dell'incontro tra
musicista e suono, intesa non solo come mezzo ma come fine, è certamente al centro
della poetica di Feldman. Alla domanda su cosa aveva preso dagli espressionisti astratti
rispondeva:

“The insight where process could be a fantastic subject-matter”. 29

dove il musicista americano dimostrava di condividere il ricorso attraverso, la


concentrazione, agli strati più interiori della propria personalità, ma anche la propria
meraviglia di fronte al manifestarsi in se della creazione, al suo aspetto sorgivo, al
momento in cui "capiva" cosa voleva fare. Questo stupore di fronte all'impulso
creativo che altre volte Feldman segnalava con eccitazione 30 e riportato anche dalla
testimonianza diretta di Michael Tilson Thomas 31, ci consente di interpretare forse in
modo più profondo ciò che spesso ripeteva:

“What I do is what I mean”. 32

L'oggettività dell'impulso creativo inteso come natura potrebbe invece essere


compatibile con quelle affermazioni con cui Feldman non mancava di ricordare le
proprie radici culturali che, oltre che essere europee, erano profondamente legate al
panteismo ed al naturalismo americano 33. Radici che erano ampiamente condivise da
Rothko che negli anni '40 aveva espresso il proprio panteismo con la intensa
luminosità che bagnava le sue tele 34. In lui più che in Feldman era forte l'attrattiva per
Nietzsche dal quale mutuava il disprezzo per una creatività ingabbiata in regole e la
profonda istanza di profezia, per cui si può comprendere come respingesse le teorie dei
colori provenienti dalla Germania e propugnasse il "learning by doing". Dunque
anche in Rothko era presente un rifiuto del "mestiere" che era accompagnato da un
acuto senso della ispirazione che lo portava, come in Feldman, a lavorare con una
estrema concentrazione in uno studio silenzioso 35. La sorgente creativa era però, nel
pittore, più chiaramente individuabile in una ricerca dell'aforisma , in una istanza di
profezia, in una ricerca di arte come "rivelazione" che mancava nel musicista.
Potrebbe essere a questo punto suggestivo fare questo accostamento: come a
Feldman era cara una ricerca sul suono così a Rothko era cara una ricerca sul colore.
Così come Feldman diceva di non fare composizioni così a Rothko premeva di
sottolineare che non faceva pitture. In realtà tali accostamenti sono decisamente
imprudenti. Effettivamente Rothko era impegnato ad articolare il colore attraverso
contrasti ed assimilazioni che costituivano il suo linguaggio di base, maturato
studiando a lungo Matisse di cui era un grande ammiratore. Ma proprio studiando
Matisse l'artista americano scoprì come una luce esterna poteva rivelare una luce
interna, attraverso l'abolizione dei contorni divenuti indistinti ed espressi tecnicamente
col bianco della tela. Molte tele di Rothko fanno per questo pensare ad una ossessiva
ricerca di un'aura come sottile ed invisibile emanazione. Si potrebbe pensare che egli
cercasse più che una luce una metafora della luce. Lentamente questa elaborazione
condusse Rothko ad una concezione romantica dell'aura e degli spettri, fino a farlo
sostenere di non occuparsi in realtà di colore ma di luce e di non fare pitture ma
piuttosto immagini che erano per lui come visioni 36. Tutto ciò era molto distante dalla
poetica di Feldman. Questi infatti quando diceva di non fare composizioni si riferiva
piuttosto alla sua ricerca di sospensione del tempo, che, come vedremo in seguito,
porterà il musicista a ritenere la propria opera sospesa tra musica e pittura. Egli semmai
aveva in comune con Rothko il sentimento della inadeguatezza delle consuete categorie
artistiche per definire il proprio lavoro.
Dunque la creazione musicale di Morton Feldman non si avvaleva di
procedimenti aleatori, almeno così come codificati dalla scuola di New York, ma
scaturiva da una stretta affinità con gli artisti color-field ed in particolare da quella
con Mark Rothko. Essa tuttavia procedeva da una propria originale visione, con
differenze dettate non solo dalla diversità del mezzo espressivo. Tutto questo poneva il
musicista americano in una posizione piuttosto distante rispetto a Cage al quale,
nonostante la fraterna amicizia non solo artistica, rimproverava una eccessiva vicinanza
a Duchamp 37.

Silenzio e superficie
Nella musica di Feldman i silenzi non hanno meno importanza della delicata
trama sonora:

“Also silence is my substitute for counterpoint” 38

Tutta la sua musica è pervasa da un clima di quiete e di silenzio. Questo sembra


avere due diverse funzioni: quella di separare distinte gruppi di note in clusters e quella
di generare una atmosfera di calma penombra percettiva. Ad un primo ascolto l'impatto
è spesso sostenuto da questa atmosfera di calmo raccoglimento che sollecita la
concentrazione ed il distacco dal chiasso della vita quotidiana e dalla banalità. Esso
sembra essere un prerequisito, una preparazione che introduce gradualmente alle
immagini sonore proposte dall'impulso creativo dell'artista.
Anche in Rothko troviamo un profondo interesse per il silenzio. L'origine di
questa attrazione è forse da ricercarsi nel contatto culturale con gli intellettuali
francesi, Sartre, Merleau-Ponty, Camus. Forse il clima intellettuale dell'esistenzialismo
aveva favorito l'iniziazione di Rothko a quello che Mallarmé suggeriva essere il
problema del vuoto, del silenzio, dell'assenza con i suoi echi metafisici. La solitudine
ed il silenzio divenivano la guida verso una esperienza trascendentale 39. I contorni
sfumati, fluttuanti e talvolta debordanti e i colori scuri delle sue composizioni fino al
vuoto del nero, richiamavano questo desiderio profondo di silenzio. Egli amava
soprattutto la penombra che aveva esplicitamente richiesto negli allestimenti delle sue
opere alla Tate Gallery di Londra ed alla Rothko Chapel di Houston e che ora a noi
ricorda la lentezza delle composizoni di Feldman. In queste ultime, oltre a
caratterizzare l'atmosfera generale delle piéces, il silenzio è in rapporto all'uso sapiente
delle pause che origina da una diversa concezione del tempo del compositore:

“The search for art, all too often, has been another mask for the search for knowledge.
Another attempt to reach heaven with facts. Since the tower of Babel, this attempts has
failed.... The anxiety of art is a special condition, and actually is not an anxiety at all,
though it has all the aspects of one. It comes about when art becames separate from
what we know, when it speaks with its own emotion. Where in life we do everything
we can to avoid anxiety, in art we must pursue it. This is difficult. Everything in our life
and culture, regardless of our background, is dragging us away. Still there is the sense
of something imminent. And what is imminent, we find, is neither the past nor the
future, but simply the next ten minutes. The next ten minutes....”.40

L'ansia per ciò che è imminente, al di fuori della storia e del tempo. La storia per
Feldman non aveva nulla a che vedere con l'arte, è un'altra cosa, come la chimica è
un'altra cosa rispetto alla fisica. L'accettazione del proprio impulso creativo per come
esso si mostra passo dopo passo, imminente, conduce Feldman ad una scrittura fatta di
gruppi di note che si succedono intervallate da pause di silenzio che sembrano isolare
frammenti di musica e sospenderli nel tempo. La musica di Feldman è in gran parte
molto lenta e soprattutto oscilla intorno ad una intensità molto debole rasentando il
pianissimo. I suoni si succedono in una sorta di pienezza calma e dolce e per questa
serenità che si libera da tutte le pièces di Feldman essi acquistano una sottile presenza.
Colui che inizia l'ascolto di questa musica può avere la sensazione di essere entrato in
una stanza buia dove solo con il tempo l'occhio si abitua alla luce. Allora egli comincia
a scorgere oggetti numerosi e diversi in una incredibile varietà. La difficoltà dell'ascolto
è quindi soprattutto dovuta alla necessità di estremo affinamento percettivo che può
richiedere un esercizio ripetuto. Piano piano ci si sente come invitati ad un cammino
che si segue nota dopo nota, talvolta perdendosi e ritornando sui propri passi e quindi
ripartendo senza alcuna direzione. Se si accetta questa erranza si scopre la bellezza del
paesaggio. Si avanza nel nostro cammino guidati da ciascuna nota per scoprire dietro a
questo quasi monodismo uno spazio armonico colorato in zone di ombra e di chiaro. E'
una verticalità nello stesso tempo magica e naturale che ci invita progressivamente. Ma
in che senso verticalità? Come definito da Jonathan Kramer, 41 il tempo musicale esiste
in due forme di base. Il tempo lineare coinvolge una successione di eventi nel quale
ogni evento precedente implica quello successivo e quello successivo è una
conseguenza di quello precedente. Il tempo non lineare o verticale interessa un
"presente esteso" non teleologico, che rinuncia alla variazione, allo sviluppo, ai motivi,
ai gruppi ritmici, gerarchia ed espressione. Kramer ritiene che la musica di Feldman
rappresenti l'epitome di un tempo verticale poiché non ha nulla a che vedere con la
teleologia. La verticalità nella musica del compositore americano risponde ad
un'esigenza ben precisa:

“Mon obsession de la surface est la théme de ma musique dans ce sens, mes


compositions ne sont réellement pas du tout des "compositions". On devrait les appeller
toiles temporelles, toiles que J'imprime plus ou moins d'une teinte musicale."42

Questo è un punto fondamentale per comprendere l'evoluzione artistica di


Morton Feldman. Egli è interessato a produrre una musica che si avvicini il più
possibile alla resa artistica delle arti visive, e che, come vedremo, riesca ad avvalersi
delle conquiste raggiunte dalla ricerca dei suoi amici della color-field painting. La
poetica del musicista persegue due finalità, da una parte dare alla musica la
caratteristica di una "tela temporale", dall'altra questa tela deve poter raccogliere
l'evoluzione operata da Cezanne e poi dall'espressionismo astratto segnata dalla
progressiva riduzione della costruzione (l'aspetto storico) a vantaggio della superficie
(l'aspetto poetico). In questa ricerca la verticalizzazione del tempo rappresenta un
elemento decisivo. Infatti di fronte ad un quadro noi possiamo percepire e valutare con
facilità i rapporti tra i segni ed i colori presenti sulla tela. In questo processo la memoria
ha una parte minima perché l'occhio ha davanti a se istantaneamente tutta l'opera nella
sua interezza. Nella musica invece non si può avere nessuna percezione globale
dell'opera prima di averla sentita fino alla fine. Non si può procedere avanti o indietro
lungo il percorso perché la conoscenza dei particolari e quella della forma globale
crescono nello stesso tempo. La sola possibilità di riconoscere la forma sta nel lavoro
della memoria. In pittura la percezione è facilitata dal fatto che il tempo di riflessione è
imposto da chi guarda, viceversa in musica la percezione può essere disturbata dal fatto
di dover dipendere dal tempo di esecuzione. La verticalizzazione del tempo che libera
gli eventi musicali dal legame lineare con ciò che precede e con ciò che segue può
consentire alla musica di sottrarsi alle esigenze della memoria ed avvicinarla così alle
arti visive. Feldman opera una sospensione del tempo cancellando i rapporti tra gli
accordi e la loro provenienza. Egli lavorando con assiduità sulla differenza tra gli
accordi cerca di cancellare nella memoria dell'ascoltatore quello che è successo
prima43. Ogni accordo è un mondo seguente rispetto al precedente. Si è così disponibili
ciascun istante. La musica assume l'aspetto di una catena di differenze che può essere
senza fine come dimostrano i suoi ultimi lavori, di durata elevatissima (fino a 6 ore).
Essi sono l'esempio di una illimitata catena di differenze che crea l'illusione di un
accessibile permanente presente. Per riuscirci Feldman lavorava per moduli separati:

“I work very moduly, I don't work in a continuity, I work moduly.... If I just Think in
terms of module, I could take this in another place like Frankenstein, and I could put it
over here... (draws). ...I do it by ear and so, very quickly I look my material and I
could see. The reason is that I want to bring back a kind of fake association”. 44

Per non farsi coinvolgere in un processo lineare Feldman costruiva frasi su


carta musicale che poi, una volta esaminata la potenzialita dei vari moduli creati,
ricuciva a posteriori sfruttando la possibilità di avere una percezione visiva
dell'insieme. Era un metodo che il musicista raccontava di aver appreso dal modo di
lavorare di Tolstoj , così come descritto dalla figlia dello scrittore, e che amava
paragonare alla tecnica del "cut-up" impiegata da Burroughs nel creare "The naked
lunch". 45
E' molto importante però chiarire come venivano costituiti i moduli ed i loro
cambiamenti. Feldman infatti sosteneva che nella cultura musicale l'attacco
strumentale, col passare dei secoli, era caratterizzato sempre dagli stessi gesti. Per cui si
otteneva sempre lo stesso piano sonoro. Secondo Feldman, la risposta generale dei
compositori era quello di attivare qualcosa per variarlo. La differenziazione diveniva
così il soggetto di molte composizioni, mentre ciò che variava poco, come il Socrate di
Satie, non veniva apprezzato. Il soggetto della composizione assumeva allora l'aspetto
di una straordinaria impresa atletica, di un corridore abituato a correre indietro a grande
o lenta velocità, e questo come risultato di quella che per Feldman era l'ossessione
dell'idea della variazione: dover guardare sempre indietro al materiale per poter
procedere avanti 46. L'unica soluzione per Feldman era il cambiamento del piano
sonoro, facendo sì che l'attacco fosse senza origine, e la successiva organizzazione per
moduli distribuiti in modo non lineare. Abolita la variazione rispetto all'attacco, e
quindi come relazione tra i moduli, il cambiamento era caratterizzato da slittamenti,
decentramenti, spostamenti nell'ambito del tipo di modulo scelto per comporre.
Risultano così prodotti sonori similari, omologhi, omofoni, omografi. 47

“So essentially I am working with three notes, of course we have to use the other notes
but the other notes are like shadows of the basic notes.... After a few years I added an
other one (note).... Essentially a piece of about three or four minutes is just
orchestrating the four notes.... You can either do two things with music, you could be
involved with variation, which in simple terms means only vary it, or you could be in
repetition. Reiterative. What my work is, is a synthesis between variation and
repetition”.48

In realtà non tutte le composizioni di Feldman sono organizzate con clusters di


tre-quattro note. Vertical thoughts 4 è composto con cellule comprendenti da 1 a 9
note, ma una piéces di circa 20 minuti, Palais de Mari, procede quasi interamente
attraverso numerose trasposizioni con un modulo di quattro note. Nella tela temporale
così ottenuta abbiamo visto che i clusters si susseguono in una processione, che,
espulsa la memoria dalle categorie dell'ascolto, diviene immobile, ed evoca le categorie
di stasi e movimento che caratterizzano in modo peculiare anche l'arte di Rothko. La
stabilità in Rothko fluisce dai rettangoli, il movimento invece deriva dalla ambigua
relazione fra i rettangoli e la superficie piatta, movimento che non va da parte a parte
ma da dietro a davanti quando i rettangoli appaiono contemporaneamente quando si
avanza o si indietreggia, ed è accentuato dai bordi finemente sfumati dei rettangoli che
sembrano così proiettarsi dolcemente in avanti al di fuori della tela. Questa
caratteristica di contorno estremamente sfumato, evanescente, quasi impercettibile,
ottenuto da Rothko con una complessa e sottile textura, è una caratteristica
fondamentale del pittore, nota come "Rothko-edge". Essa si ripresenta in modo chiaro
ed esplicito anche nella musica di Feldman. Infatti se da una parte il musicista
americano riconosceva che gli elementi di stasi che aveva trovato in Rothko e Guston
erano tra le cose più importanti che aveva appreso dal loro lavoro 49, dall'altra egli cercò
anche di portare sulla "tela temporale" della sua musica il delicato movimento dei
"Rothko-edges". Il confine fra diverse sezioni musicali in Rothko Chapel, per esempio,
appare sfumato e sembra debordante fra una sezione e l'altra. Inoltre nel succedersi dei
clusters musicali di Feldman si ha un continuo riarrangiamento di note, per cui ogni
modulo o frase contiene spesso qualcosa di quello precedente, determinando confini
talvolta vaghi e incerti 50. Una testimonianza di Wilson Baldridge 51 ci riporta che una
sera Feldman era al piano ascoltando una serie scritta come prova. Il musicista non
aveva particolari intenzioni, semplicemente stava suonando, quando ad un tratto scattò
e con un sorriso esclamò "This is a Rothko-edge".
Fin qui la ricerca di Feldman nel tentativo di porre le sue composizioni tra due
categorie: tra musica e pittura, tra tempo e spazio. Ma la riduzione o l'abolizione del
lavoro mnemonico ottenuta con la verticalizzazione si limita ad introdurre nella musica
il concetto di spazio. Essa avvicina la musica alle arti visive, ma non arriva ad avvalersi
delle scoperte operate in quegli anni dai pittori amici del compositore. In una seconda
linea di ricerca Feldman partiva da una interpretazione della storia della pittura che
prevedeva tre tappe. Da una parte l'arte antica dove l'enfasi veniva posta sulla
costruzione dell'opera, per esempio con la prospettiva, al fine di creare una illusione
ottica. Illusione funzionale ad esprimere un contenuto che come tale era legato alla
storia. Questo tipo di pittura per Feldman aveva un soggetto ma non una superficie.
Nella seconda tappa Cezanne riduceva l'importanza della prospettiva e rinunciava in
parte alla illusione modulando la tela con quei caratteristici tocchi di pennello che
sembravano trasferire sulla superficie della tela in modo fisico l'intelligenza poetica del
pittore. Picasso, secondo Feldman, non vide il contributo fondamentale di Cezanne che
fu non come fare l'oggetto o come situarlo nel tempo, ma studiare come questo oggetto
esiste nel tempo. Il tempo, come aveva pensato Aristotele, era visto come immagine.
Era la superficie che le arti visive stavano cominciando a scoprire, la superficie che la
musica aveva trascurato. Con l'espressionismo astratto ed in particolare con Rothko, il
cui nome Feldman invocava spesso quando parlava di questa problematica 52, si ha la
piena comprensione dell'importanza della superficie nelle arti visive, il compiersi di ciò
che Beckett aveva profetizzato: "il tempo si è trasformato in spazio e non ci sarà più del
tempo". La costruzione, la storia, il soggetto venivano meno a vantaggio della poetica.
Ma come trasferire questo in musica? Feldman trovava nel tempo la soluzione del
problema. Egli sosteneva che il tempo andava lasciato "essere" piuttosto che trattarlo
come un elemento della composizione. Il tempo non era, per il compositore, qualcosa
che si poteva manipolare a proprio piacimento. Una musica con una superficie si
costruiva con dei tempi. Invece, la musica che non ha una superficie si somma ai tempi
e diviene una progressione ritmica, in altre parole è costruita utilizzando i tempi, ma
non é una musica con i tempi. Feldman sosteneva per esempio che in Beethoven non si
poteva cogliere il suo "tocco" ma solo la sua logica. Nella sua musica i tempi potevano
essere visti ma non ascoltati. L'artista si rivelava dunque nella superficie che produceva.
Per fare un esempio concreto di cosa intendeva Feldman possiamo descrivere un altro
procedimento che può ricordare i contorni sfumati, i Rothko-edges delle superfici di
Mark Rothko: la costruzione di strati di tempo. Soprattutto nei suoi primi pezzi (es.
Piece for four pianos, 1957), Feldman fa iniziare gli strumentisti tutti insieme per poi
successivamente far svolgere la loro parte a velocità diversa. Sapendo che il
compositore legava il tempo musicale con la superficie visiva, possiamo considerare
questa tecnica un modo per creare multiple superfici in musica. 53
Impulso creativo ed attualità di Morton Feldman

Abbiamo visto come Morton Feldman abbia sviluppato una poetica del tutto
personale, fortemente tributaria delle ricerche dei pittori color-field ed in particolare di
quelle di Mark Rothko. Salvo in alcuni aspetti, presenti soprattutto all'inizio della sua
carriera, la poetica di Feldman si distanzia dalle ricerche di Cage, del quale pur tuttavia
per molti anni è stato considerato un epigono. Riflettendo oggi sulla storia di ieri va
detto che è difficile sapere dove Cage si incontrasse con Feldman, perché il suo
cammino, a parte una reazione alla cultura musicale europea contemporanea e, nei
primi anni, una ricerca comune sul ruolo dell'esecutore, sembra oggi piuttosto diverso.
Feldman infatti oltre a trovare ingenua la rinuncia all'armonia, si pose fuori dal
dibattito determinazione/indeterminazione. Egli se nella prima parte della sua carriera
compose opere con un (solo) elemento sonoro indeterminato, per esempio la durata
nelle Durations, progressivamente abbandonò la linea di Cage. Fra l'altro Feldman non
mancò di sottolineare la contraddizione di Cage che da una parte affermava che il
processo doveva imitare la natura nelle sue operazioni e dall'altra sosteneva che ogni
cosa era musica.54 Oggi l' originalità di Feldman è ampiamente riconosciuta ed il suo
prestigio si è molto accresciuto anche presso quei compositori che, come Reich 55 e
Andriessen 56, sembrerebbero molto distanti dal suo mondo culturale. D'altra parte si
potrebbe dire che forse, in musica, una rottura della direzionalità era già stata
compiuta dalla logica del pensiero seriale e che la psicologia della musica potrebbe
evidenziare una certa velleità nel programma di affrancamento dalla memoria sonora
tentato da Feldman 57. Tuttavia egli è forse uno dei pochi compositori in cui la ricerca
di un'affinità tra musica e pittura, iniziata operando le prime forme di scrittura grafica,
ha sviluppato un pensiero musicale ad essa pressoché totalmente ispirato, tanto che
possiamo dire che nel rapporto tra questo compositore e Mark Rothko si è realizzato
una specie di laboratorio vivente sulle intersezioni tra mondo sonoro e pittura di
assoluto interesse ed ancora attuale. Ma, oltre a quanto esposto finora, cosa può rendere
Feldman ancora vicino allo sviluppo delle arti visive degli ultimi anni? La pittura, pur
mantenendo un suo spazio, ha ceduto il posto alle ricerche sulle nuove tecnologie:
video, fotografia, computer. La scultura, in mostre importanti come la Biennale di
Venezia, è pressoché scomparsa ed ha lasciato il posto ad installazioni create con
oggetti "ready made". L'arte contemporanea dopo circa due decenni dominati in gran
parte dal minimalismo e dall'arte concettuale ha recuperato da alcuni anni il senso
della autonomia dell'arte, concetto non nuovo, che da Kant in poi ha sempre dato segni
della sua presenza, in particolare nel novecento. Feldman e la sua musica sono
sicuramente in sintonia con questa evoluzione. Alcuni artisti contemporanei, in nome
di questa autonomia, hanno rinunciato, come i pittori color-field, a privilegiare il bello
a vantaggio di una ricerca sulla creatività. Il focus dei fratelli Jake e Dinos Chapman, di
Damien Hirst, di Maurizio Cattelan sembra, come per Feldman, la creatività in se e per
se, con il suo dono di stupore e di meraviglia. Forse un nuovo terreno di incontro.

NOTE

1) I. SANDLER, The triumph of american painting. A History of abstract


Expressionism. Trad. Francese: Le triomphe de l'art american.Tome 1- L'
expressionnisme abstrait. Edition Carré, 1990, pp. 13-33.
2) G. BORIO, “Morton Feldman e l'espressionismo astratto”, in Itinerari della
musica americana a cura di G. Borio e G. Taglietti. Ed. Una Cosa Rara, Lucca
1996, pg. 119.
3) P. BOULEZ, Le pays fertile, Gallimard Parigi 1989, Trad. It. Il paese fertile, Paul
Klee e la musica, Leonardo, Milano, 1990, pg. 24.
4) T.W. ADORNO, Ueber einige relationen zwische muzic und malerei, in
T.W.ADORNO, Ggesammelte Schriften 16, hrsg. Von Rolf Tiedemann, Frankfurt
a. M., Suhrkamp 1978, pp 628-642.
5) D. ASHTON, About Rothko, Da Capo Press, New York, 1996, pg. 129.
6) R. KOSTELANETZ, Conversing with Cage, Limelight Editions , New York, 1994,
pp. 173-198.
7) M. FELDMANN, Autobiography, in Morton Feldman Essays , ed. Walter
Zimmermann, Beginners Press, Cologne, 1985, pg.38.
8) M. FELDMANN, After modernism, Art in America, 1971, n. 6, pg. 75.
9) D.ASHTON, About Rothko, cit., pg. 143
10) I. SANDLER, The triumph of american painting. A history of abstract
expressionism, pp. 148-157.
11) Ibid. pp. 168-173.
12) Ibid. pg. 155.
13) D. ASHTON, About Rothko, cit., pp 133-134.
14) Ibid. pg 124.
15) R. STORR, Philip Guston. Abbeville Press, New York, 1986.
16) M. FELDMAN, The anxiety of art, Art in America, 1973, n.5, pg. 90.
17) W. ZIMMERMANN, Desert plants. Conversation with 23 american musicians.
1976, Vancouver aesthetic research centre publications. Trad. Francese W.
Zimmermann, Entretien avec Morton Feldman, in Musique en creation.
Contrechamps editions, Geneve, 1997, pg 52.
18) G. HAZEBROUK, Esquisse a l'étude du geste compositionel dans l'ouvre de
Morton Feldman, memoire de recherche. Manoscritto non pubblicato. Parigi,
Deposito IRCAM n.7254, pg. 29.
19) W. ZIMMERMANN, Entretien avec Morton Feldman, pg. 53.
20) Ibid. pg 46
21) Ibid. pg 56
22) M. FELDMAN, J. CAGE, Radio Happenings, conversations. Musik Texte, Koln,
1993, pg. 27.
23) W. ZIMMERMANN, Entretien avec Morton Feldman, pp. 52-54.
24) G. HAZEBROUCK, Esquisse a l'étude du geste compositionel dans l'ouvre de
Morton Feldman, pg 38.
25) M. FELDMAN, Darmstadt lecture, Essays, pg. 209.
26) M. FELDMAN, The anxiety of art, pp. 88-89. Il corsivo è dell'autore di questo
saggio.
27) W. ZIMMERMANN, Entretien avec Morton Feldman, pg. 46.
28) MICHAEL TILSON THOMAS, testimonianza riportata nel fascicolo allegato al CD
" Coptic Light" ARGO 448 513-2 (The Decca Record Company Limited)
London 1998.
29) M. FELDMAN, An interview by Gavin Bryars and Fred Orton, Studio
International, 192, n. 984, Nov.-Dec. 1976, pg. 244.
30) M. FELDMAN, Anecdotes & Drawings, fotocopie della versione inglese e tedesca
con traduzione manoscritta in francese. Parigi, deposito IRCAM, pg. 167.
(Poiché si tratta in gran parte di trascrizioni da conversazioni registrate, nei testi
riportati è possibile trovare anomalie grammaticali o forme di tipo
conversazionale).
31) MICHAEL TILSON THOMAS, Testimonianza riportata sul fascicolo allegato al CD
"Coptic Light" ARGO 448 513-2, (The Decca Record Limited) London, 1998.
32) M. FELDMAN, An interview by Gavin Bryars and Fred Orton, Studio
International, 192, n. 984, Nov.-Dec. 1976, pg. 245.
33) W. ZIMMERMANN, Entretien avec Morton Feldman, pg. 49.
34) I.SANDLER, The Triumph of american painting. A history of abstract
expressionism, pg. 168.
35) B. NOVAK, B. O' DOHERTY, Rothko's dark paintings: tragedy and void, in Mark
Rothko, Catalogue of the Exibition at National Gallery of Art, Washington, 3
May-16 August 1998, Editors office of the National Gallery of Art,
Washington, 1998, pg.268.
36) D. ASHTON, About Rothko, pp. 138-141.
37) W. ZIMMERMANN, Entretien Avec Morton Feldman, pg. 50.
38) M. FELDMAN, Anecdotes & Drawings, Parigi, pg. 166.
39) D. ASHTON, About Rothko, pp. 112-118.
40) M. FELDMAN, The anxiety of art, pp. 92-93.
41) J. KRAMER, The time of music, New York, Schirmer Books, 1988, pg.20.
42) M. FELDMAN. Between categories. Trad. francese "Entre des catégories,
Musique en jeu, 1, nov 1970, pg 22-26 (Trad D. Bosseur). L'originale inglese
risulta perduto, per cui dell'articolo di Feldman rimangono soltanto la
traduzione tedesca e la francese qui riportata. Il corsivo è dell'autore di questo
saggio.
43) W. ZIMMERMANN, Entretien avec Morton Feldman, pg 46.
44) M. FELDMAN, Anecdotes & Drawings, pp. 166-167.
45) Ibid. pg. 167.
46) M. FELDMAN, The anxiety of art, pg. 90.
47) H. SABBE, The Feldman paradoxes, in: T. DELIO ed. The music of Morton
Feldman, Greenwood Press, West Port, Connecticut, 1996, pg. 11.
48) M. FELDMAN, Anecdotes & drawings, pg. 169.
49) M. FELDMAN, Crippled symmetry, Essays, pg 137.
50) S. JOHNSON, “Rothko Chapel and Rothko's Chapel”, Perspectives of new music.
Vol. 32, n.2, 1994, pg. 36-37.
51) W. BALDRIDGE, “Morton Feldman: one whose reality is acoustic”, Perspective
of new music, vol. 19, fall-winter 1982, spring-summer 1983, pg.112.
52) W. BALDRIDGE, Morton Feldman: one whose reality is acoustic, pg.112.
53) S. JOHNSON, “Rothko Chapel and Rothko's Chapel”, Perspectives of new music.
Vol. 32, n.2, 1994, pg. 39.
54) M. FELDMAN, The anxiety of art, Art, pg. 92.
55) AA.VV, Reich, a cura di E. RESTAGNO, EDT, Torino, 1994, pg. 67.
56) AA.VV., Andriessen, a cura di E. Restagno, EDT, Torino, 1996, pg.55.
57) C. COSTELLO HIRATA, “The sounds of the sounds themselves: analyzing the
early music of Morton Feldman”, Perspectives of new music, vol 34, n.1, Winter
1996, pg. 12.

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