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Maurizio

Zani è nato a Brescia il 6 febbraio 1969. Laureatosi in Ingegneria


Elettronica e conseguito il Dottorato di Ricerca in Fisica presso il Politecnico di
Milano, attualmente è Ricercatore presso il Dipartimento di Fisica dove svolge
ricerca tramite microscopia e spettroscopia Auger a scansione.
(http://www.mauriziozani.it)

Dello stesso autore:

• Fisica sperimentale
Meccanica. Termodinamica. Elettromagnetismo

• Raccolta di lezioni per Termodinamica


Solidi. Fluidi. Gas
• Raccolta di lezioni per Elettromagnetismo
Elettricità. Corrente. Magnetismo
• Raccolta di lezioni per Onde
Acustica. Onde elettromagnetiche. Ottica

• Raccolta di esercizi per Meccanica


Punto materiale. Gravitazione. Corpo rigido
• Raccolta di esercizi per Termodinamica
Solidi. Fluidi. Gas
• Raccolta di esercizi per Elettromagnetismo
Elettricità. Corrente. Magnetismo
Maurizio Zani

Raccolta di lezioni per


Meccanica
Punto materiale. Gravitazione. Corpo rigido

II edizione
ISBN 978-88-916-2086-6

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didattico, non autorizzata.

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Diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale


con qualsiasi mezzo sono riservati per tutti i Paesi.

Pubblicato nel mese di marzo 2017


“I will be there
at your side...”

Queen
Prefazione

Questo testo è una raccolta delle lezioni svolte in aula dal sottoscritto in questi
anni durante i corsi di Fisica Sperimentale a Ingegneria presso il Politecnico di
Milano. Il testo è organizzato con una sequenza che bene o male segue quella
tenuta in aula.

Lungi da me pensare che il testo sia esaustivo, e che consenta di evitare di


frequentare le lezioni in aula; è invece uno strumento complementare, che può
aiutare a seguire più agevolmente le tematiche proposte, con il supporto di avere
sott’occhio i procedimenti seguiti in aula.

Consigli: nel testo sono contenuti degli esercizi d’esempio per le diverse
tematiche, evidenziati con un segno a lato come il seguente

Esercizio d’esempio

E’ comunque importante che di ogni tematica trattata si capisca l’ambito di


validità, così da poterla applicare ai vari casi che si presentano e non fermandosi
ai soli esempi presentati.

Ogni termine o definizione importante compare in grassetto nel testo, e viene poi
riportato per comodità nell’indice degli argomenti a fondo libro; è presente
anche un indice degli autori richiamati nel testo, un indice delle costanti e un
indice delle unità di misura.

Errori: ne è piena la Terra, figurarsi qui dentro!! Che dire, vi sarei grato, e con
me gli studenti futuri, se voleste segnalarmeli, così che questo strumento possa
essere continuamente migliorato nelle successive edizioni
(maurizio.zani@polimi.it)

Ringraziamenti: mi fa piacere cominciare a ringraziare proprio gli studenti, dai


quali molte volte ho preso ispirazione per cercare nuovi esempi che chiarissero
la tematica, per continuare con i colleghi con i quali ho condiviso il compito di
docente e dai quali ho appreso utili consigli per il compito dell’insegnamento.

Ora basta essere così seri (chi ha seguito le mie lezioni sa a cosa mi
riferisco): prendete carta, penna e calamaio e... buon lavoro!

Maurizio Zani

Marzo, 2017
Sommario

Metrologia
Metodo sperimentale
Scienza
Fisica
Grandezze fisiche
Unità di misura
Grandezze fondamentali e derivate
Grandezze adimensionali
Sistemi di unità di misura
Conversioni di unità
Operazioni tra grandezze con unità
Analisi dimensionale
Notazione
Notazione scientifica
Notazione ingegneristica
Errori e cifre significative
Errore sistematico
Errore statistico
Propagazione degli errori
Cifre significative
Arrotondamenti

Cinematica del punto


Cinematica scalare
Sistema di riferimento
Posizione
Velocità
Accelerazione
Moto del grave
Moto armonico
Cinematica vettoriale
Posizione
Velocità
Accelerazione
Moto del proiettile
Moto piano

Dinamica del punto


Primo principio della dinamica
Sistema di riferimento inerziale
Secondo principio della dinamica
Forza
Massa
Struttura della materia
Problema fondamentale della dinamica
Quantità di moto
Terzo principio della dinamica
Reazioni vincolari
Azione e reazione
Grandezze angolari
Momento della forza
Momento d’inerzia
Momento angolare
Statica del punto
Equilibrio
Forze

Esempi di forze
Forza d’inerzia
Peso
Appoggio
Forza d’attrito
Attrito radente
Attrito volvente
Attrito viscoso
Tensione
Filo ideale
Filo reale
Carrucola
Forza elastica
Moto armonico libero
Moto armonico smorzato
Moto armonico forzato

Meccanica relativa
Cinematica relativa
Posizione
Velocità
Accelerazione
Dinamica relativa
Forze apparenti
Sistemi inerziali
Sistemi non inerziali
Statica relativa

Meccanica relativistica
Metrologia relativistica
Misure indipendenti
Simultaneità
Lunghezza trasversale
Intervallo di tempo
Lunghezza longitudinale
Cinematica relativistica
Cinematica inerziale relativa
Cinematica inerziale relativistica
Principi di relatività
Principi semplici
Principi speciali
Principi generali

Relazioni integrali
Impulso
Impulso
Impulso angolare
Lavoro e potenza
Lavoro
Potenza
Energia
Energia cinetica
Energia potenziale
Statica del punto
Energia meccanica
Principi di conservazione

Meccanica dei sistemi


Cinematica dei sistemi
Centro di massa
Densità
Dinamica dei sistemi
Quantità di moto
Momento angolare
Equazioni cardinali
Dinamica relativa dei sistemi
Sistema di riferimento del centro di massa
Primo teorema di König
Secondo teorema di König
Relazioni integrali
Impulso
Impulso angolare
Energia cinetica
Energia potenziale
Energia propria
Energia interna
Principi di conservazione
Urti
Urti elastici
Urti anelastici

Gravitazione
Cinematica gravitazionale
Prima legge di Kepler
Seconda legge di Kepler
Terza legge di Kepler
Dinamica gravitazionale
Forza gravitazionale
Massa gravitazionale
Campo gravitazionale
Energia potenziale gravitazionale
Orbite planetarie
Energia potenziale efficace
Energia totale

Meccanica del corpo rigido


Statica del corpo rigido
Sistema equipollente
Sistema di forze parallele
Centro di gravità

Bibliografia

Indice
Indice degli autori
Indice delle costanti
Indice delle unità di misura
Indice degli argomenti
Metrologia

Sino al 1600 la fisica veniva considerata una filosofia naturale, si cercava di


spiegare perché la natura si comportasse in un determinato modo formulando
delle spiegazioni basate sul ragionamento o sulle credenze del tempo. Nel XVII
secolo nasce quella che poi verrà chiamata scienza; Galilei1 introduce il metodo
sperimentale, ossia delle regole da seguirsi perché le scoperte e le spiegazioni
date ai fenomeni abbiano valore scientifico, così da capire effettivamente come
la natura si comporti. La spiegazione di un fenomeno non deve più basarsi su
idee preconcette, ma sull’osservazione.

Metodo sperimentale

Poiché non ci si vuole più basare sulle sensazioni personali, oggetto di studio
della fisica saranno delle grandezze: da qui il nome di grandezze fisiche, delle
quali dovremo dare una definizione operativa, ossia le regole di come le si
misura, così da sostituire alla sensazione un numero inequivocabile.

Scienza

Il metodo sperimentale proposto da Galilei parte dall’osservazione del


fenomeno, dalla quale si cerca in primo luogo di ricavare un modello di
comportamento, una schematizzazione semplice e in analogia con la realtà
(inferenza induttiva).

Al modello deve poi seguire una verifica, e a tal scopo si eseguono degli
esperimenti: se il risultato è concorde col modello proposto (inferenza deduttiva)
abbiamo costruito una teoria, esprimibile attraverso un certo numero di principi
(relazioni fra le grandezze fisiche, sono le basi della teoria) e di leggi (ricavabili
a partire dai principi o da altre leggi). La teoria così costruita va poi verificata,
con la possibilità che essa possa predire il risultato di ulteriori esperimenti;
inoltre deve essere generale (abbracciare più ambiti possibile) e accurata (predire
il risultato con una certa precisione), e può essere superata da una successiva
teoria quando quest’ultima migliora uno di questi due aspetti.

Ciò che fa la differenza rispetto al passato è la presenza dell’esperimento come


metodo di verifica e apprendimento, non più il solo ragionamento astratto o
speculazioni intellettuali: nella scienza, quindi, nulla è evidente e vero se non è
dimostrato sperimentalmente.

Conviene comunque fare una precisazione: il metodo sperimentale non esclude


la possibilità di usare considerazioni teoriche per formulare delle ipotesi sulle
quali costruire dei modelli, ma tali modelli andranno poi comunque verificati
sperimentalmente, così che la spiegazione di quanto osservato non abbia basi
squisitamente personali e soggettive, legate alle opinioni, come accadeva nei
secoli scorsi.

Questa metodica permette alla fisica di passare dallo status di filosofia naturale a
quello di scienza, un complesso di conoscenze acquisite in modo sistematico: si
è soliti distinguere gli ambiti scientifici in
• scienze naturali (o applicate), delle quali la fisica è la scienza principale,
che studiano la natura, i fenomeni materiali, ossia tutto ciò che si può
misurare;
• scienze sociali (o umane) che trattano l’essere umano in relazione alle
interazioni sociali, come la storia o la psicologia.

Visto che l’oggetto di studio sono delle grandezze, la presenza dei numeri risulta
fondamentale nella scienza, proprio per quantificare le misure effettuate: la
matematica, come affermato da Galilei2,è il linguaggio con il quale è scritto il
libro della natura, ed è importante conoscere tale “lingua” sotto le varie forme
della trigonometria, del calcolo vettoriale, dell’analisi di funzione. Detto in altre
parole, la fisica di Newton3 è descritta dalla matematica di Leibniz4.
Le teorie che si riescono a costruire sono comunque teorie provvisorie (come
ricorda Popper5 parlando della falsificabilità della scienza: un solo esperimento
può falsificare un’intera teoria), non potendosi dimostrare rigorosamente la loro
verità. Come diceva Einstein6: “Per quanto le proposizioni della matematica
[utilizzate in fisica, N.d.A.] facciano riferimento alla realtà, esse non sono certe”.

Le verifiche delle teorie non finiscono mai, ed è questo che affascina ancor più il
gioco.

Fisica

La fisica ha come fine ultimo lo studio dei costituenti della materia, e come
questi interagiscono tra loro. A seconda dell’ambito di interesse al quale si
possono ricondurre le grandezze fisiche studiate, nascono nel tempo varie
discipline fisiche, che possiamo suddividere in due grandi filoni: la fisica
classica e la fisica moderna.

La fisica classica rende conto dell’osservazione quotidiana, legata ai sensi


umani, all’inizio la sola fonte di informazione: ecco quindi suddividersi nella
meccanica (la fisica del moto), la gravitazione (la fisica planetaria: a partire dal
XVII secolo il moto di caduta dei corpi e il movimento dei pianeti risulta
spiegabile con le leggi della meccanica, perciò la gravitazione è stata ritenuta
parte della meccanica), la termodinamica (la fisica del calore), l’acustica (la
fisica del suono), l’ottica (la fisica della luce: ha una base comune con l’acustica
per quanto riguarda la fisica delle onde in generale) e l’elettromagnetismo (la
fisica della radiazione: si sviluppa più tardi a partire dal XIX secolo, non essendo
legata ad alcuna sensazione fisica).

Fu solamente nel secolo scorso, da cui il nome di fisica moderna, che alcune
osservazioni sperimentali (proprio loro, il ragionamento talvolta portava da
tutt’altra parte...) mostrarono come alcune discipline andassero perfezionate e
meglio investigate: l’ottica venne fatta rientrare nell’ambito
dell’elettromagnetismo (la classificazione che qui si riporta è quella del
fenomeno fisico, e non delle discipline che tutt’ora sussistono), in quanto si
scoprì come la luce altro non era che radiazione elettromagnetica di una
particolare lunghezza d’onda.

Ciò che però fece cambiar passo alla scienza furono un paio di evidenze che
mostrarono come la natura non si comportasse esattamente come la fisica
classica prevedeva:
• se i corpi in studio avevano velocità decisamente elevate (oggi diciamo
prossime alla velocità della luce, c = 299 792 458 m/s) la meccanica
falliva nel tentativo di spiegare tale moto, e si dovette a quel punto
ricorrere a una teoria più raffinata, la fisica relativistica di Einstein7. La
fisica relativistica è il classico esempio di come la scienza sia fallibile: la
meccanica classica, al tempo ritenuta in grado di spiegare tutti i fenomeni
naturali, fallisce nel tentativo di spiegare il comportamento propagativo
della luce;
• allo stesso modo, quando si tentava di osservare fenomeni che
avvenivano su scale dimensionali molto piccole (in tale ambito una
costante caratteristica è la cosiddetta costante di Planck8, h = 6.6256·10-
34 Js) fu necessario ricorrere a una raffinatezza maggiore con la fisica

quantistica. Con la fisica quantistica si scoprono fattori della realtà non


presenti nel mondo macroscopico, come la quantizzazione (nel mondo
microscopico le grandezze sono discrete, contrapposte all’apparente
continuità sperimentata nel macroscopico mondo quotidiano) e
l’indeterminazione (contrapposta al rigido determinismo della fisica
classica).

Qualora le condizioni di velocità e lunghezza rientrino nei parametri classici,


entrambe queste discipline ovviamente confluiscono nella fisica classica.

A tali discipline va poi aggiunta la fisica atomica, che penetra nell’intimo della
materia per analizzare cosa vi accade: il progresso scientifico consentì di
investigare meglio la materia, arrivando a identificarne i costituenti
fondamentali: la materia intorno a noi è fatta di atomi (quelle parti che un tempo
si credevano indivisibili9), ognuno dei quali è costituito da un nucleo, fatto di
protoni e neutroni, e da una nube di elettroni che vi “gravitano” intorno (in un
modo ben più complicato di quanto l’assonanza col termine planetario possa far
supporre).

La fisica cerca, man mano che progredisce, di ricondurre la sua conoscenza ai


minimi termini, cercando di descrivere il mondo attorno a sé con la minima
dotazione di argomenti: a tutt’oggi, in quella che viene chiamata teoria standard,
la nostra conoscenza fisica si basa sulle particelle fondamentali,
• alcune intese come particelle nel senso più simile al comune (dotate di
massa e altre caratteristiche), ad esempio gli elettroni, responsabili della
conduzione elettrica;
• altre come interazioni (che esprimono come le particelle precedenti si
parlano tra loro), ad esempio i fotoni, responsabili dei fenomeni luminosi
e in generale di quelli elettromagnetici.

Spero di avervi affascinato mostrando che il menù per capire il mondo è ampio e
ghiotto (e non concluso), quindi eviteremo di abbuffarci subito e cominceremo
dall’inizio: il nostro antipasto (terminato l’ambito metrologico) sarà lo studio
della meccanica.

Grandezze fisiche

La misurazione di una grandezza fisica è il processo con cui si associa un


numero10 alla grandezza in questione, e tale numero diventa la misura della
grandezza fisica. Alla base del metodo scientifico c’è l’idea della riproducibilità
delle misure, dovendosi ottenere gli stessi risultati partendo dalle stesse
condizioni sperimentali.

Unità di misura

La definizione di una grandezza fisica richiede un campione di riferimento,


rispetto al quale riferire la nostra misura: potremo fornire una misura per
confronto con tale riferimento (prendiamo un bastone, e misuriamo la grandezza
“lunghezza” di una stanza come il numero di volte che devo accostare il bastone
per coprire l’intera stanza) o tramite il calcolo tra misure già effettuate di altre
grandezze (otterremo la “velocità” quando avremo misurato lo “spostamento”,
avremo misurato “l’intervallo di tempo” e faremo il rapporto di queste due
grandezze).

Ora serve un nome e un simbolo da associare a ogni campione di riferimento:


tali caratteristiche prendono il nome di unità di misura della grandezza in esame.
Ad esempio potremmo stabilire che il bastone dell’esempio precedente,
utilizzato per definire la lunghezza L, per definizione misura 1 metro, dove con
“metro” avremo indicato il nome dell’unità di misura, e assoceremo a tale nome
il simbolo “m”, così che in definitiva la lunghezza del bastone risulti essere 1 m.

Negli anni i campioni di riferimento delle diverse grandezze sono cambiati, per
tener conto della possibilità che il campione si deteriorasse e variasse questa sua
proprietà; riportiamo come esempio la storia del metro:
• nel 1799 il metro era definito come 1/10 000 000 del quadrante della
Terra (sicuramente non proprio comodo...);
• nel 1889 si scelse di costruire una sbarra di una lega di platino-iridio (Pt-
Ir), dalle robuste caratteristiche meccaniche e poco incline a deformarsi.
Ne vennero fatte 29 copie da distribuirsi ai vari paesi, di cui la n° 1,
consegnata all’Italia, è tuttora custodita a Roma presso l’Ufficio Metrico
Centrale;
• nel 1892 si perfeziona il riferimento scegliendolo come un multiplo della
lunghezza d’onda rossa del cadmio (Cd), misurabile grazie
all’interferometro di Michelson11-Morley12;
• nel 1960 si passa a un multiplo della lunghezza d’onda in vuoto della luce
rosso-arancione relativa a una transizione tra due livelli energetici del
kripton (86Kr);
• nel 1983 si fissa la velocità della luce in c = 299 792 458 m/s, e si pone il
riferimento del metro come lo spazio percorso dalla luce in 1/299 792
458 1/s. In questo modo il campione non è più migliorabile, a meno di
migliorie nella misura degli intervalli di tempo.

Data una generica grandezza (ad esempio la lunghezza L), ci riferiremo alla sua
unità di misura (nel caso dell’esempio il “metro”, simbolo m) scrivendo il
simbolo della grandezza tra parentesi quadre seguita dal simbolo dell’unità di
misura

[L] = m

Grandezze fondamentali e derivate

Alcune grandezze, dette grandezze fondamentali, risultano essere più importanti


di altre, per il solo fatto che in funzione di esse è possibile esprimere la misura di
tutte le altre grandezze, perciò dette grandezze derivate. Il numero delle
grandezze fondamentali è stato fissato dall’Ufficio Internazionale di Pesi e
Misure13 in 7, insieme al nome dell’unità di misura e al simbolo utilizzato.

Nel 1960 l’XI Conferenza Generale di Pesi e Misure, riunitasi per trovare un
accordo sulle unità di misura da utilizzarsi e definire quali fossero le diverse
grandezze fondamentali, ha ritenuto (anche con le riunioni negli anni a seguire,
fino ai nostri giorni) di istituire un sistema internazionale (SI) di unità di misura,
basato sulle grandezze di seguito elencate:

Quali sono le definizioni di queste grandezze e relative unità di misura?


Vediamole
• tempo: il secondo (simbolo s)è la durata di 9 192 631 770 periodi della
radiazione emessa dall’atomo di cesio 133 nella transizione tra i due
livelli iperfini (F=4, M=0) e (F=3, M=0) dello stato fondamentale 2S1/2;
• lunghezza: il metro (simbolo m) è la distanza percorsa dalla luce nel
vuoto in un intervallo di tempo di 1/299 792 458 di secondo;
• massa: il kilogrammo (simbolo kg) è la massa del prototipo
internazionale conservato al Pavillon de Breteuil, Sevres, in Francia;
• temperatura: il kelvin (simbolo K) è la frazione 1/273.16 della
temperatura termodinamica del punto triplo dell’acqua;
• quantità di sostanza: la mole (simbolo mol) è la quantità di sostanza che
contiene tante entità elementari (tale numero è detto numero di
Avogadro, ed è pari a NA = 6.022·1023 1/mol) quanti sono gli atomi in
0.012 kg di carbonio (12C). Quando si usa la mole deve essere specificata
la natura delle entità elementari, che possono essere atomi, molecole,
ioni, elettroni, altre particelle o gruppi specificati di tali particelle;
• corrente elettrica: l’ampere (simbolo A) è la corrente che, se mantenuta in
due conduttori paralleli indefinitamente lunghi e di sezione trascurabile
posti a distanza di un metro nel vuoto, determina tra questi due conduttori
una forza di 2·10-7 N per metro di lunghezza;
• intensità luminosa: la candela (simbolo cd) è l’intensità luminosa, in
un’assegnata direzione, di una sorgente che emette una radiazione
monocromatica di frequenza 540·1012 Hz e la cui intensità energetica in
tale direzione è 1/683 W/sr.

Non meno importanti sono però le grandezze derivate, quelle per cui l’unità di
misura si ottiene a partire dalle unità di misura di grandezze fondamentali. Un
esempio è l’area di una figura piana, definita dal prodotto di due lunghezze, e
quindi avente come unità di misura il metro al quadrato (m2), oppure la velocità,
data dal rapporto tra spostamento (che si misura in metri) e intervallo di tempo
(che si misura in secondi), così da ottenere come unità di misura corrispondente
il metro al secondo (m/s).

Ad alcune grandezze derivate viene addirittura dato un nome e un simbolo


proprio: ad esempio, la forza si ottiene dal prodotto tra la massa (che si misura in
kilogrammi, kg) e l’accelerazione (che si misura in metri al secondo quadro,
m/s2), e l’unità di misura corrispondente risulta essere il kilogrammo per metro
al secondo quadro (kg·m/s2), detta newton ed espressa dal simbolo N.

Grandezze adimensionali

Vengono definite grandezze adimensionali quelle grandezze che non hanno una
unità di misura, ma anche quelle grandezze la cui definizione prevede il rapporto
fra grandezze omogenee (ossia aventi la stessa unità di misura). Un esempio è
dato dalle due seguenti definizioni:

• l’angolo piano è la porzione di spazio intercettata da due semirette che


convergono in un punto O; la misura α di tale angolo è definita come il
rapporto fra la lunghezza s dell’arco di una circonferenza di raggio R
(intercettata dalle due semirette e avente il centro nel punto O di
intersezione delle due semirette)e il raggio stesso, ossia

La grandezza risulta adimensionale, ma per meglio evidenziarla si


preferisce assegnare all’angolo piano l’unità di misura radiante (simbolo
rad). Nel quotidiano siamo abituati a utilizzare il grado sessagesimale
(simbolo °, spesso chiamato solo grado) anziché il radiante, basato
sull’antico sistema babilonese che aveva base 60 anziché 10.
L’angolo piano relativo all’intero piano (angolo giro) risulta pari al
rapporto fra il perimetro della circonferenza (2πR)e il raggio R, quindi
pari a 2π rad. Per un angolo giro espresso nei due sistemi di misura si ha
la relazione 2π rad = 360°: la conversione per angoli intermedi è
facilmente desumibile;
• l’angolo solido è la porzione di spazio intercettata da un cono di semirette
che convergono in un punto O; la misura Ω di tale angolo è definita come
il rapporto fra l’area S di una porzione della superficie di una sfera di
raggio R (intercettata dal cono di semirette e avente il centro nel punto di
intersezione del cono di semirette)e il quadrato del raggio stesso, ossia

La grandezza risulta adimensionale, ma per meglio evidenziarla si


preferisce assegnare all’angolo solido l’unità di misura steradiante
(simbolo sr).
L’angolo solido relativo all’intero spazio risulta pari al rapporto fra la
superficie della sfera (4πR2) e il quadrato del raggio (R2), quindi pari a 4π
sr.

Sistemi di unità di misura

Non si è arrivati senza fatica ad avere un insieme di grandezze fondamentali:


ogni popolo ha da sempre le sue tradizioni, e questo vale anche per il metodo di
misura delle grandezze. E’ risaputo che in Inghilterra, oltre a guidare a sinistra, il
bicchiere di birra non si misura in decilitri, ma in pinte (tra l’altro ha lo stesso
nome, ma valore differente rispetto a quella americana), per non parlare dei
campi di calcio lunghi non metri, ma iarde. Esistono quindi diversi sistemi di
unità di misura oltre al sistema internazionale, ognuno con le proprie grandezze
fondamentali.

Ciò non impedisce che i restanti sistemi siano inclusi nell’uso quotidiano, ma
quando si tratta di comunicare in ambito scientifico si preferisce adottare un
linguaggio comune. Tanto per citarne qualcuno, relativamente alle prime 3
grandezze fondamentali (quelle utilizzate in meccanica) abbiamo:

• il sistema MKS (metro, kilogrammo, secondo), proposto da Giorgi14, un


sottoinsieme del sistema internazionale;

• il sistema CGS (centimetro, grammo, secondo) o scientifico, avente le


stesse grandezze, ma espresse in unità di misura differenti;

• il sistema tecnico o pratico, in cui anziché la massa si è preferito scegliere


come grandezza fondamentale la forza;

• il sistema FPS (foot, pound, second) o britannico, diversamente dai


precedenti non è un sistema decimale, anche se contiene le stesse
grandezze del sistema pratico, ma ovviamente con unità di misura
differenti spesso basate su campioni derivanti da parti del corpo umano.

dove l’acronimo relativo al nome del sistema di riferimento è formato dalle


iniziali delle 3 grandezze scelte.

Le grandezze scelte dai diversi sistemi di riferimento e relative unità di misura


sono riassunti nella tabella sottostante:
Conversioni di unità

Si può passare da un sistema a un altro con la conversione di unità, che consiste


nell’esprimere la medesima grandezza con una diversa unità di misura. Ecco
quindi alcune conversioni utili (tra parentesi il nome dell’unità di misura).

Sistema CGS:

Sistema FPS:

Altri sistemi:

Operazioni tra grandezze con unità

E’ possibile effettuare delle operazioni matematiche anche con grandezze dotate


di unità di misura, purché si seguano alcune regole:

• l’addizione/sottrazione è possibile, purché le grandezze in gioco siano


omogenee, ossia dotate della medesima unità di misura;

3 m + 5 m = 8 m

• la moltiplicazione/divisione non presenta problemi, la grandezza


risultante avrà come valore il prodotto/rapporto delle grandezze ivi
comprese le rispettive unità

6 m / 4 s = 1.5 m/s
• gli argomenti delle funzioni trigonometriche/esponenziali/logaritmiche
devono essere adimensionali, senza unità di misura

sin(ωt)   va bene se   [ω] = rad/s; [t] = s

così che [ωt] = rad, che è adimensionale.

eαx   va bene se   [α] = 1/m; [x] = m

così che [αx] = 1, che è adimensionale.

Analisi dimensionale

I membri di un’equazione devono essere omogenei in termini delle unità di


misura; possiamo sfruttare tale proprietà per determinare con una analisi
dimensionale il tipo di dipendenza di una grandezza dalle altre, in base alla
coerenza con le unità di misura.

La forza centripeta (che studieremo in meccanica) cui è soggetto un corpo che


sta ruotando può dipendere dalla massa m del corpo, dalla sua velocità v, dal
raggio di curvatura R della traiettoria: possiamo capire come sia la dipendenza
della forza da tali grandezze? Scriviamo tale forza in funzione di tutti questi
parametri

in cui k è una costante moltiplicativa adimensionale, mentre α, β, γ sono


esponenti da determinarsi in base all’analisi dimensionale. Scriviamo l’unità di
misura della grandezza risultante in base a quelle delle grandezze a secondo
membro

Conoscendo le unità di misura delle singole grandezze, ed esprimendole per


mezzo delle grandezze fondamentali

se sostituiamo tali unità nella relazione sopra


otteniamo delle relazioni tra gli esponenti

per cui la relazione complessiva risulta

come quella (quantitativa, in cui troveremo che k = 1) che determineremo con


la dinamica del punto.

Notazione

I valori delle grandezze fisiche si possono scrivere in modalità differenti, ognuna


delle quali presenta dei vantaggi in alcune situazioni; analizziamo alcune di
queste notazioni.

Notazione scientifica

Per poter esprimere in modo compatto sia numeri molto piccoli sia numeri molto
grandi si è soliti scrivere tali valori in una forma esponenziale detta notazione
scientifica, del tipo

a·10b

Il termine a prende il nome di mantissa, ed è un numero compreso tra 1 e 10,


estremo destro escluso (1 ≤ a > 10). Il termine b viene detto esponente: è
sufficiente variare l’esponente di poche unità per poter esprimere numeri grandi
e piccoli, in quest’ultimo caso facendo assumere a b anche valori negativi. Ad
esempio:

1.2·103 = 1.2·1000 = 1200

oppure per numeri piccoli


7.3·10-2 = 7.3/102 = 7.3/100 = 0.073

L’esponente serve anche per identificare l’ordine di grandezza (per il quale si


utilizza il simbolo ~), ossia la potenza di 10 che stima (entro un fattore 10) il
valore della grandezza: il calcolo dell’ordine di grandezza si effettua
approssimando il logaritmo del numero in questione all’intero; questo implica
che, nel caso di mantissa positiva

• se la mantissa è inferiore a 5, l’esponente da dare a 10 per valutare


l’ordine di grandezza è pari all’esponente originale della grandezza

2.53·105= 105.043 ~ 105

• se la mantissa è uguale o superiore a 5 tale esponente viene aumentato di


uno

0.5 = 5·10-1 = 10-0.301 ~ 100

0.00685 = 6.85·10-3= 10-2.16 ~ 10-2

Nei casi in cui la mantissa sia negativa se ne prende il modulo.

Notazione ingegneristica

Possiamo associare il concetto precedente alle grandezze fisiche; in tal caso è


possibile sostituire il termine esponenziale (il 10b nel nostro esempio) con un
simbolo che precede l’unità di misura e quindi detto prefisso. Ad esempio
possiamo scrivere

2.57·103 m = 2.57·1000 m   oppure   2.57 km

In questo caso il simbolo “k” ha sostituito il termine esponenziale 103. Esistono


vari prefissi per i diversi termini esponenziali, ma quelli che più ci interessano
hanno la caratteristica di variare di 3 in 3 man mano che si sale o si scende nella
scala: questo tipo di notazione è detta notazione ingegneristica.

Di seguito si riporta una tabella con i prefissi utilizzati a seconda del valore
dell’esponente e relativo nome:
Non è consentito usare più prefissi in cascata, per evitare confusione.

Errori e cifre significative

A ogni misura di una grandezza fisica è associato un certo grado di incertezza,


che è dovuta a motivi differenti: tale incertezza rappresenta l’errore nella misura.

Errore sistematico

L’errore sistematico dipende dallo strumento e dal metodo di misura, e


solitamente si ripresenta alla stessa maniera, con lo stesso segno e valore
ripetendo la misura.

La qualità dello strumento o l’imperizia dello sperimentatore possono portare a


un’errata valutazione della misura della grandezza fisica:
• provate a pensare al tentativo di misurare una temperatura con un
termometro che non sia stato tarato in modo opportuno,
• oppure all’errore di parallasse che compie lo sperimentatore leggendo la
lancetta dello strumento in direzione non perpendicolare al quadrante
dello strumento.

L’errore sistematico può quindi essere potenzialmente corretto, se si capisce il


motivo che lo ha generato e si pone maggiore cura nella misura.

L’accuratezza è definita come lo scostamento del dato teorico o sperimentale


rispetto al dato reale (supponendo di conoscerlo).

Errore statistico
L’errore statistico o casuale è dovuto all’inevitabile imperfezione dello
strumento, dello sperimentatore e a fattori esterni poco controllabili e
prevedibili, per cui si presenta ogni volta differente, con segni e valori variabili.

La temperatura influenza il funzionamento di molti dispositivi, per cui


ripetendo la medesima misura in istanti differenti (che corrispondono a
temperature differenti dell’ambiente) possiamo non ottenere il medesimo
valore dal nostro strumento.

Si ottiene quindi una migliore stima della misura ripetendo più volte la stessa
misura e facendone una media, proprio perché l’errore si presenta con valori
statisticamente differenti.

La precisione è definita come la deviazione standard dei dati rispetto al loro


valore medio.

Specifichiamo meglio i termini (statistici) introdotti: sia data una serie n di


misure xi relative a una grandezza fisica; il valore medio di tale misura è definito
come

dove xi è il valore della i-esima misura, ed n è il numero complessivo di misure


effettuate. Il valor medio rappresenta il valore più plausibile della misura, tanto
più quanto maggiore è il numero di misure effettuate (ossia per n→∞).

Ogni misura è quindi affetta da un errore assoluto ε, definito come il suo


scostamento dal valore medio della misura, e per quanto detto sopra si nota come
l’errore medio sia nullo (ecco perché il valore medio di una serie di misure è il
valore più plausibile della misura)

E’ utile introdurre il concetto di errore relativo εr, definito come il rapporto tra
l’errore assoluto e il valore medio della misura
L’errore medio non è quindi un buon indice (essendo nullo!) per stimare lo
scostamento delle misure dal loro valore medio; definito il valore quadratico
medio di una serie di misure, e a seguire la varianza (che è pari al valore
quadratico medio dell’errore)

l’indice utilizzato per valutare l’errore in una serie di misure (e non più in una
singola misura) è la deviazione standard o scarto quadratico medio18, definita
come la radice quadrata della varianza

In tal modo, elevando al quadrato ogni errore si valuta lo scostamento delle


misure dal valore medio indipendentemente dal loro segno.

Si può dimostrare come la varianza sia ricavabile direttamente a partire dal


valore medio e dal valore quadratico medio della serie di misure, infatti

Il risultato di una serie di misure potrà quindi essere indicato come

e l’intervallo corrisponderà all’intervallo di attendibilità delle misure.

Per tener conto dello scostamento medio relativamente al valore medio delle
misure, si introduce la deviazione standard relativa o coefficiente di variazione,
definita come il rapporto tra la deviazione standard e il valore medio delle
misure

Propagazione degli errori

Ora che sappiamo come stimare l’errore in una serie di misure, ci chiediamo
come fare a valutare l’errore nel caso in cui tra le misure vengano eseguite delle
operazioni matematiche; ecco alcune semplici regole relative alla propagazione
degli errori nel caso le due serie di misure siano indipendenti o non correlate:
• se l’operazione da eseguirsi tra le misure è una somma o una differenza,
la varianza del risultato dell’operazione sarà dato dalla somma delle
varianze delle singole misure;
• se l’operazione da eseguirsi tra le misure è un prodotto o un rapporto, la
deviazione standard relativa del risultato dell’operazione sarà dato dalla
somma delle deviazioni standard relative delle singole misure.

Supponiamo di avere due misure

Sommando le due misure, il risultato andrà scritto come

Supponiamo di avere le stesse due misure precedenti

Moltiplicandole tra loro, il risultato andrà scritto come


Cifre significative

Abbiamo visto come la misura di una grandezza venga o effettuata con uno
strumento o calcolata a partire da altre misure effettuate; poiché lo strumento
avrà una certa sensibilità, definita come lo scostamento minimo che lo strumento
è in grado di apprezzare, questo impone di esprimere la grandezza con un
numero limitato di cifre, dette cifre significative.

Di un numero,
• la cifra meno significativa è la prima da destra diversa da zero (se il
numero ha una parte decimale, anche lo zero va bene), e rappresenta
l’incertezza nel valore della grandezza;
• la cifra più significativa è la prima da sinistra diversa da zero;
• le cifre significative sono tutte quelle comprese tra i due estremi (inclusi)
sopra definiti.

Presentiamo alcuni esempi per chiarire:


• nel numero 0.0376, la cifra meno significativa è 6, la più significativa 3,
e quindi il numero di cifre significative è 3;
• nel numero 0.024150, la cifra meno significativa è 0, la più significativa
2, e quindi il numero di cifre significative è 5;
• nel numero 7.894, la cifra meno significativa è 4, la più significativa 7,
e quindi il numero di cifre significative è 4;
• se scriviamo 1300, è chiaro che 1 è la cifra più significativa, ma ci può
essere confusione se la meno significativa sia il 3 o lo 0, così da avere 2
o 4 cifre significative. Per rimuovere tale dubbio, per i numeri maggiori
di 1 è meglio scrivere il numero in notazione scientifica (per quelli
inferiori a 1 tale situazione non si presenta): scrivendo 1.5·103 avremo 2
cifre significative, scrivendo 1.50·103 avremo 3 cifre significative,
scrivendo 1.500·103 avremo 4 cifre significative
Quante cifre significative otteniamo effettuando delle operazioni tra numeri
aventi un numero diverso di cifre significative? Il numero di cifre varia a
seconda del tipo di operazione:
• in somme o differenze, il numero di decimali del risultato deve essere
pari al numero più piccolo di decimali presenti tra i due addendi, per cui
si ragiona sul numero di decimali, e non sul numero di cifre significative.
• in prodotti o rapporti, il numero di cifre significative del risultato deve
essere pari al numero inferiore di cifre significative dei due termini.

Alcuni esempi:
• se vogliamo sommare tra loro 3.147 e 53.6, osservando che il primo
numero ha 3 decimali e il secondo una, il numero inferiore di decimali è
uno e quindi dovremo mantenere una cifra significativa nel risultato
dell’operazione, per cui il risultato sarà 56.7;
• se vogliamo moltiplicare tra loro 2.48 è 0.93, osservando che il primo
numero ha 3 cifre significative e il secondo 2, il numero inferiore di
cifre significative è 2 e quindi dovremo mantenere due cifre
significative nel risultato dell’operazione, per cui il risultato sarà 2.3;

Arrotondamenti

L’arrotondamento è un’operazione da compiersi sulla cifra meno significativa,


nel caso in cui si debba ridurre il numero di cifre significative (ad esempio dopo
aver compiuto una delle operazioni descritte nel paragrafo precedente):
• nell’arrotondamento per difetto (o troncamento) si procede
semplicemente troncando le cifre oltre quella meno significativa;
• nell’arrotondamento per eccesso:
 se la prima cifra oltre quella meno significativa è minore di 5, la
cifra meno significativa rimane inalterata;
 se la prima cifra oltre quella meno significativa è uguale o
maggiore di 5, la cifra meno significativa viene aumentata di uno;

Alcuni esempi per chiarire il tutto:


• prendendo il numero 5.674 e supponendo di dover arrotondare a 3 cifre,
la cifra meno significativa è il 7, e poiché la prima cifra oltre quella
meno significativa è 4 il numero dovrà essere arrotondato a 5.67;
• prendendo il numero 84.26 e supponendo di dover arrotondare a 3 cifre,
la cifra meno significativa è il 2, e poiché la prima cifra oltre quella
meno significativa è 6 il numero dovrà essere arrotondato a 84.3;
• prendendo il numero 0.4275 e supponendo di dover arrotondare a 3
cifre, la cifra meno significativa è il 7, e poiché la prima cifra oltre
quella meno significativa è 5 il numero dovrà essere arrotondato a
0.428;

1
Galileo Galilei (Pisa, Italia 1564 - Firenze, Italia 1642)
2
Il saggiatore (1623)
3
Isaac Newton (Woolsthorpe, Inghilterra 1643 - Londra, Inghilterra 1727), Philosophiae naturalis
principia mathematica (1687)
4
Gottfried Wilhelm von Leibniz (Lipsia, Germania 1646 - Hannover, Germania 1716)
5
Karl Popper (Vienna, Austria 1902 - Londra, Inghilterra 1994)
6
Albert Einstein (Ulm, Germania 1879 - Princeton, Stati Uniti 1955)
7
Annalen der Physik 17, 891 (1905); 49, 769 (1916)
8
Karl Ernst Ludwig Marx Planck (Kiel, Germania 1858 - Gottinga, Germania 1947)
9
dal greco ατομος, indivisibile
10
il valore potrà essere a una (scalare) o più (vettoriale o tensoriale)dimensioni
11
Albert Abraham Michelson (Strzelno, Polonia 1852 - Pasadena, Stati Uniti 1931), American Journal of
Science 3, 22, 120 (1881)
12
Edward Williams Morley (Newark, Stati Uniti 1838 - West Hartford, Stati Uniti 1923)
13
in francese Bureau International des Poids et Measures, http://www.bipm.org
14
Giovanni Giorgi (Lucca, Italia 1871 - Livorno, Italia 1950), Unità razionali di elettromagnetismo (1901)
Atti AEI
15
la iarda è la distanza tra la punta del naso e la punta delle dita del braccio teso
16
in questo caso la “g” si riferisce all’accelerazione di gravità, e non all’unità di misura grammo
17
è il peso di un campione di massa pari a un kilogrammo misurato a livello del mare e 45° di latitudine
18
in inglese RMS, root mean square
Cinematica del punto

Una delle prime discipline studiate è stata sicuramente, essendo tra le percezioni
che l’uomo ha della natura, il movimento: come descriverlo (cinematica),
capirne le cause (dinamica) ed eventualmente impedirlo (statica). La disciplina
scientifica che tratta del moto in tutti i suoi aspetti prende il nome di meccanica,
che viene suddivisa per comodità nelle tre branche sopra riportate in parentesi.

Cinematica scalare

Ciò che ci approntiamo a studiare non è il moto di un qualsiasi corpo, bensì di un


sistema semplice, il più semplice possibile: il punto materiale. Dicendo punto
materiale non intendiamo riferirci alle dimensioni dell’oggetto (come per il
punto geometrico), ma al fatto che o stiamo osservando il corpo da molto
lontano relativamente alle sue dimensioni o ne stiamo trascurando il moto
proprio: in base a questa premessa, anche un pianeta potrà essere considerato un
punto nello studio del suo moto planetario (se trascuriamo la rotazione intorno al
proprio asse).

Sistema di riferimento

Per descrivere il moto di un punto abbiamo bisogno di un sistema di riferimento,


qualcosa rispetto a cui riferire le nostre misure, e che sia composto di due parti,
per ognuna delle quali ci servirà uno strumento di misurazione:
• una parte dove misurare lo spazio: abbiamo già visto la definizione di
lunghezza, come misurarla (ad esempio con un metro da sarto) e la sua
unità di misura, il metro;
• una parte dove misurare il tempo: il tempo è quella grandezza che si
misura tramite un orologio (ricordate? Serve una definizione operativa), e
la sua unità di misura è il secondo.
D’ora innanzi, visto che il tempo in meccanica classica ha una sola dimensione,
un solo verso di scorrimento1 e una sua misura è indipendente dal sistema di
riferimento spaziale2, faremo particolare riferimento solo alla parte spaziale del
sistema di riferimento, dando per scontata la parte temporale: scelta un’origine
dei tempi, la misura t del tempo o dell’istante temporale rispetto all’origine
scelta risulterà positiva quando concorde al naturale verso di scorrimento
temporale.

Posizione

Come possiamo localizzare dove si trovi un punto? Il sistema di riferimento


scelto deve comprendere un’origine e un verso di riferimento. Nell’ambito che
stiamo studiando, la cinematica scalare, ci basterà prendere la linea lungo la
quale si muoverà il punto materiale.

Segnata su questa linea l’origine O e il verso di riferimento tramite una freccia,


definiremo la posizione lineare (d’ora innanzi semplicemente posizione: quando
l’aggettivo non sarà specificato, ci si riferirà sempre a grandezze lineari) o
ascissa curvilinea s del punto P su questa linea come la misura della lunghezza
della linea curva che, a partire dall’origineO, arrivi al punto P, dandole un segno
positivo se ci saremo mossi nel verso concorde alla freccia o segno negativo in
caso contrario. La posizione è l’unica coordinata necessaria per individuare in
modo univoco il punto, per cui sarà una grandezza scalare; essendo una
lunghezza, la sua unità di misura è il metro

[s] = m
1) Ora che sappiamo misurare la posizione di un punto, possiamo ripetere questa
misura in diversi istanti temporali t, e segnarci in una tabella le diverse posizioni
s assunte dal punto P; se il corpo manterrà una posizione costante nel tempo
parleremo di quiete, se la posizione varierà nel tempo avremo un moto.
Nell’esempio in figura,s0 sarà la posizione iniziale assunta dal punto materiale
all’istante iniziale t0 (posto per convenienza pari a 0), mentre s4 sarà una
posizione negativa.

2) Alternativamente, possiamo rappresentare i dati in un grafico, riportando in


ascissa gli istanti temporali e in ordinata le posizioni misurate. Come si può
osservare anche dal grafico, il tempo è una grandezza che ha un solo verso di
scorrimento, scorre sempre in avanti: in natura possiamo indietreggiare con la
posizione, ma non col tempo.

3) Un terzo modo di rappresentare i dati, se questi sono presi con una certa
continuità, è tramite una funzione analitica: riprendendo il grafico e pensando di
riuscire a misurare la posizione in istanti temporali che variano in modo
continuo, scriveremo che la posizione del punto P varia secondo la legge

s = s(t)

Quale che sia dei 3 modi scelti


• l’insieme dei punti percorsi, indipendentemente dall’istante di tempo in
cui ciò è avvenuto, si chiama traiettoria (dove mi muovo, l’aspetto
geometrico del moto)3
• mentre l’insieme delle posizioni misurate in funzione del tempo prende il
nome di legge oraria (come mi muovo, l’aspetto cinematico del moto).

Traiettoria e legge oraria sono concetti disgiunti, possiamo avere la stessa legge
oraria per diverse traiettorie, così come la stessa traiettoria percorsa con
differenti leggi orarie: un moto è univocamente definito quando se ne conosca la
traiettoria e la legge oraria.

In tabella riportiamo alcuni esempi:


• la nomenclatura relativa alla traiettoria si riferisce alla forma della linea
percorsa durante il moto (se questa può essere definita da un nome,
altrimenti sarà varia);
• parleremo di legge oraria uniforme quando la posizione avrà un
andamento lineare nel tempo, armonica quando l’andamento sarà
sinusoidale, varia negli altri casi: altri esempi saranno presentati in
seguito;
• il nome del tipo di moto è una composizione del nome della traiettoria e
della legge oraria.

Definiremo ora la grandezza spostamento lineare come la differenza fra due


posizioni: introducendo l’operatore Δ, che significa “variazione, differenza tra il
valore finale e il valore iniziale”, lo spostamento potrà essere scritto come

Δs = s2 - s1   [Δs] = m

L’unità di misura dello spostamento risulta essere, come quella dei 2 membri, il
metro. Osserviamo che ciò che è “finale” è ciò che è “iniziale” nella relazione
scritta sopra è relativo, a discrezione dell’utente: infatti non è necessario che in
questa differenza ci si riferisca agli istanti di tempo in cui le posizioni sono
assunte, anche se spesso e volentieri questo è il caso, così che un’ovvia
estensione di scrittura possa essere
Δs = s(t2) - s(t1) = s2 - s1

Ciò detto, può succedere di avere uno spostamento negativo, a significare che la
posizione finale è inferiore a quella iniziale (ossia il punto avanza in verso
contrario rispetto a quello arbitrario positivo scelto inizialmente).

Lo spostamento così definito non coincide con la quotidiana accezione di


spostamento, che più propriamente va inteso come spazio percorso: dopo una
passeggiata in bicicletta e il ritorno a casa, lo spostamento sopra definito
risulterà nullo (perché è nulla la differenza fra 2 posizioni coincidenti), mentre
sarà non nullo lo spazio percorso, dato dalla somma di tanti piccoli spostamenti,
ognuno valutato in valore assoluto, fra gli istanti successivi:

• lo spostamento complessivo Δs risulta essere la somma, tra la posizione


iniziale e quella finale, dei singoli spostamenti;

• lo spazio percorso L risulta essere la somma, tra la posizione iniziale e


quella finale, dei soli moduli dei singoli spostamenti (non importa il verso
di percorrenza o il segno dello spostamento, per valutare uno spazio
percorso)

Come è ovvio, lo spazio percorso coincide con lo spostamento complessivo se


tutti gli spostamenti hanno segno positivo (mi muovo solo avanzando, con
spostamenti aventi sempre lo stesso segno positivo).

Nel caso in cui la traiettoria seguita sia circolare (di centro C e raggio R), è
possibile servirsi di una coordinata angolare anziché lineare4: in questo caso la
posizione angolare del punto Pè definita come la misura dell’angolo θ che, a
partire dall’origine O, arrivi al punto P, con la medesima convenzione della
posizione lineare per quel che riguarda il segno. L’unità di misura della
posizione angolare è quella di un angolo, e quindi espressa in radianti.

Il legame tra posizione lineare e angolare è esattamente la definizione di angolo


piano:

Dato il raggio della traiettoria, potremo conoscere la legge oraria del punto
dandone indifferentemente la legge lineare o angolare, osservando che la misura
di un angolo è definita a meno di 2π rad (angolo giro).

Con ovvia estensione, lo spostamento angolare sarà definito come la differenza


di 2 posizioni angolari:

Δθ = θ2 - θ1   [Δθ] = rad

Velocità

Nella definizione di spostamento non compare un’informazione che può essere


importante: la modalità con cui tale spostamento sia stato effettuato. A tal
proposito si definisce una grandezza opportuna, la velocità lineare media,
definita come il rapporto fra lo spostamento effettuato e il tempo necessario a
effettuarlo:
la cui unità di misura è il metro al secondo.

Il medesimo spostamento può essere effettuato con tempi differenti: la velocità


media tiene conto della rapidità con la quale ciò avviene. Dalla definizione data,
si può vedere come la velocità possa risultare negativa:
• il tempo scorre sempre in avanti, per cui Δt < 0 sempre,
• ma lo spostamento Δs può essere negativo, dando quindi una velocità
negativa.

Cosa significa? Semplicemente che il punto materiale avanza in verso contrario


rispetto a quello arbitrario positivo (come si era già evidenziato parlando dello
spostamento) scelto inizialmente.

Possiamo anche visualizzare la velocità nel grafico della posizione nel tempo: la
velocità media risulta la pendenza (in opportune unità di misura di cui tener
conto per mezzo della costante5 k) del segmento che unisce i punti che
rappresentano le 2 posizioni in esame

Se scegliamo una posizione finale s2 diversa, a parità di posizione iniziale s1, la


velocità media che ne ricaviamo sarà diversa
Ciò fa intuire come, in alcuni casi, possa servire un’informazione più precisa di
quella media.

Se infatti restringiamo l’intervallo temporale nel quale valutare lo spostamento,


al limite facendo tendere tale intervallo a zero, possiamo scrivere la velocità
media come

Si può notare dal grafico come questa situazione corrisponda a valutare la


tangente alla curva, la sua pendenza nell’istante iniziale considerato.

Per distinguere questo tipo di analisi (puntuale) dalla precedente (globale), la


velocità così calcolata prende il nome di velocità lineare istantanea (d’ora
innanzi solo velocità): è la derivata temporale della posizione.

Come talvolta si usa, una derivata svolta rispetto alla variabile temporale si
scrive anche ponendo un punto sopra la funzione da derivare
Quiete: in tale caso, per definizione, la posizione del corpo è costante

Un corpo in quiete (ci sembra ovvio) non è dotato di velocità.

Moto uniforme: uniforme vuol dire che la velocità istantanea è costante

La velocità è la derivata della posizione: quale funzione ha derivata costante?


Una retta, ma esistono infinite rette con la stessa pendenza: per scegliere quella
corretta ci serve un’altra informazione, ad esempio un punto per il quale passa
la retta.

Se tale posizione s0 è scelta per t = 0, questa prende il nome di condizione


iniziale, e la legge oraria risulta (verificatelo derivandola per ottenere la
velocità)

In un moto uniforme la posizione cresce linearmente nel tempo.


Ora che sappiamo come ricavare la velocità a partire dalla legge oraria, come
possiamo adoperarci per l’operazione inversa, ossia ricavare la legge oraria a
partire dalla funzione velocità? Conoscendo la velocità media in un certo
intervallo di tempo, lo spostamento effettuato in tale intervallo sarà
semplicemente

Nel caso si conoscano le velocità medie in diversi intervalli temporali, lo


spostamento complessivo non sarà altro che la somma dei singoli spostamenti, e
quindi

Dai dati delle velocità medie contenuti nel grafico, possiamo ricavare lo
spostamento complessivo subito dal corpo

Δs = Δs1 + Δs2 + Δs3 = vm1Δt1 + vm2Δt2 + vm3Δt3

dove

Δs1 = vm1Δt1   Δs2 = vm2Δt2   Δs3 = vm3Δt3

Osserviamo che Δs3 è uno spostamento negativo (visto che lo è la velocità


media nel medesimo intervallo di tempo), e che lo spostamento complessivo
corrisponde all’area (con segno) del grafico delle velocità medie, evidenziata
dai diversi tratteggi.
Partendo dalla generica posizione iniziale s0 (la nostra condizione iniziale),
possiamo così ricavare le altre posizioni assunte dal corpo dopo i diversi
intervalli temporali e riportate nel grafico a lato, che risulteranno essere

Se la nostra conoscenza della velocità assunta dal corpo è più precisa (se ne
conosce il valore istante per istante) e ne abbiamo una funzione analitica,
possiamo riferirci a degli spostamenti infinitesimi. Il generico spostamento
infinitesimo sarà legato alla velocità istantanea dalla relazione

così che lo spostamento complessivo sarà dato dalla somma dei singoli
spostamenti infinitesimi: è l’integrale temporale della velocità

Ovviamente si devono specificare gli estremi (iniziale e finale) di integrazione,


che indicano dove iniziare e terminare la somma dei vari termini infinitesimi:
• se l’estremo finale è definito, il risultato dell’integrale sarà lo
spostamento complessivo;
• se lo lasceremo indefinito, potremo ricavare l’andamento dello
spostamento complessivo in funzione dell’istante finale scelto (e da
questo ricavare la posizione istante per istante, ossia la legge oraria).

Dal grafico (o dalla funzione) della velocità, ricaviamo la posizione in funzione


del tempo: riprendiamo la relazione

Il primo integrale è lo spostamento complessivo, dato dalla differenza tra le


posizioni finale e iniziale, mentre il secondo integrale è l’area sottesa dalla
curva della funzione velocità (confrontate l’esempio precedente).

Se prendiamo una posizione iniziale s0 e come posizione finale una generica


posizione s, possiamo ricavare

riportata nel grafico a lato. Ancora una volta, la conoscenza della velocità non è
sufficiente per ricavare la posizione, è necessario conoscere un’ulteriore
condizione: la posizione iniziale.

Possiamo fare il medesimo discorso nel caso di una traiettoria circolare,


utilizzando grandezze angolari. La velocità angolare media sarà definita come il
rapporto fra lo spostamento angolare effettuato e il tempo necessario a
effettuarlo

mentre nel caso di spostamenti infinitesimi ricorreremo alla velocità angolare


istantanea, definita come la derivata temporale della posizione angolare

Il legame tra velocità lineare e angolare è ancora una volta legato al raggio R
della traiettoria circolare; ricordando il legame tra posizione lineare e angolare,
ricaviamo

Se abbiamo un moto periodico, ossia un moto che si ripete identico dopo ogni
giro (con stessa legge oraria), possiamo definire il periodo T come il tempo
necessario per compiere un intero giro: essendo un intervallo di tempo, l’unità di
misura del periodo è il secondo

[T] = s

Legata alla precedente grandezza, definiamo la frequenza f del moto come il


numero n di giri percorsi nell’intervallo di tempo Δt; considerando che per
compiere un giro serve esattamente un periodo di tempo, si ricava che

L’unità di misura della frequenza è l’inverso del secondo, definita nel sistema
internazionale come hertz (simbolo Hz).

A tal proposito, osserviamo che per un moto periodico


• non è necessario che la traiettoria sia percorsa con moto uniforme: ne
vedremo un esempio parlando del moto armonico;
• il concetto di moto periodico si estende ovviamente anche a traiettorie
non circolari, con medesima definizione: ne vedremo un esempio
trattando del moto gravitazionale e delle orbite planetarie;
• la traiettoria può benissimo non essere chiusa come in un circuito, ma
aperta (non si “ripassa dal via” come a Monopoli, ma si ritorna indietro
per la medesima traiettoria per ricominciare il moto): ne vedremo un
esempio parlando del moto del pendolo.

Moto circolare uniforme: in questo caso è la velocità angolare istantanea a


essere costante

Facendo un discorso duale a quello già svolto per il moto uniforme, anche per
il moto circolare uniforme la posizione angolare cresce linearmente nel tempo,
e la legge oraria risulta

dove con θ0 abbiamo indicato la condizione iniziale, ossia la posizione


angolare assunta dal corpo all’istante iniziale t = 0: in un moto circolare
uniforme la posizione angolare cresce linearmente nel tempo, ricordando che la
posizione angolare è definita a meno di multipli di angolo giro (2π rad).
Possiamo ricavare anche il periodo: imponendo che dopo un intervallo di
tempo T la posizione angolare sia aumentata di 2π rad, sostituendo nella legge
oraria si ha il periodo

e la frequenza del moto

Ribaltando queste relazioni abbiamo il legame diretto con la velocità angolare


Accelerazione

Possiamo migliorare le informazioni sul moto del nostro corpo valutando come
varia la sua velocità nel tempo; si definisce quindi una nuova grandezza, la
accelerazione lineare media, come il rapporto fra la variazione di velocità e il
tempo necessario per effettuare tale variazione

L’accelerazione media valuta quindi la rapidità di variazione della velocità del


corpo e, come per la velocità media, anch’essa può risultare negativa, indicando
che il corpo nel tempo diminuisce la sua velocità6.

Anche in questo caso possiamo visualizzare l’accelerazione nel grafico della


velocità nel tempo: l’accelerazione media risulta la pendenza (in opportune unità
di misura di cui tener conto per mezzo della costante7 k) del segmento che unisce
i punti che rappresentano le 2 velocità in esame

Se scegliamo una velocità finale v2 diversa, a parità di velocità iniziale v1,


l’accelerazione media che ne ricaviamo sarà diversa
Ciò fa intuire come, in alcuni casi, possa servire un’informazione più precisa di
quella media.

Se restringiamo l’intervallo temporale nel quale valutare l’accelerazione, al


limite facendo tendere tale intervallo a zero, possiamo scrivere l’accelerazione
media come

Si può notare dal grafico come questa situazione corrisponda a valutare la


tangente alla curva, la sua pendenza nell’istante iniziale considerato.

Per distinguere questo tipo di analisi (puntuale) dalla precedente (globale),


l’accelerazione così calcolata prende il nome di accelerazione lineare istantanea
(d’ora innanzi solo accelerazione): è la derivata temporale della velocità.
Come già menzionato, una derivata svolta rispetto alla variabile temporale si
scrive anche ponendo un punto sopra la funzione da derivare

Possiamo esprimere l’accelerazione non solo in funzione della velocità, ma


anche della posizione, unendo i tre concetti cinematici

I due punti sopra la funzione posizione indicano una derivata di ordine due (una
derivata seconda) rispetto al tempo.

Quiete: come già abbiamo visto, la posizione del corpo è costante

Un corpo in quiete non è dotato né di velocità né di accelerazione.

Moto uniforme: in un moto uniforme la velocità istantanea è costante, e ciò


implica che l’accelerazione

sia nulla in ogni istante.


Moto uniformemente accelerato: vuol dire che l’accelerazione istantanea è
costante

L’accelerazione è la derivata della velocità: quale funzione ha derivata


costante? Una retta, ma esistono infinite rette con la stessa pendenza: per
scegliere quella corretta ci serve un’altra informazione, ad esempio un punto
per il quale passa la retta.
Se tale velocità v0 è scelta per t = 0, questa prende il nome di condizione
iniziale, e l’andamento della velocità nel tempo risulta (verificatelo derivandola
per ottenere l’accelerazione)

In un moto uniformemente accelerato la velocità cresce linearmente nel tempo.


Dall’andamento della velocità possiamo ricavare l’andamento della posizione,
ossia la legge oraria: dobbiamo trovare una funzione che abbia una derivata (la
velocità) che cresce linearmente nel tempo. Tale funzione è una parabola, ma
esistono infinite parabole che hanno lo stesso andamento di pendenza: per
scegliere quella corretta ci serve un’altra informazione, ad esempio un punto
per il quale passa la parabola, una seconda condizione iniziale.
Se tale posizione s0 è scelta per t = 0, la legge oraria risulta (verificatelo
derivandola per ottenere la velocità)

Dal grafico della legge oraria è anche facile verificare che la pendenza della
funzione nell’istante iniziale corrisponde alla velocità iniziale

Ora che sappiamo ricavare l’accelerazione a partire dalla velocità, possiamo


cercare l’operazione inversa per ricavare la velocità a partire dall’accelerazione.
Conoscendo l’accelerazione media in un certo intervallo di tempo, la variazione
di velocità in tale intervallo sarà semplicemente

Ne caso si conoscano le accelerazioni medie in diversi intervalli temporali, la


variazione complessiva di velocità non sarà altro che la somma delle singole
variazioni, e quindi

Dai dati delle accelerazioni medie contenuti nel grafico, possiamo ricavare la
variazione di velocità complessiva subita dal corpo

Δv = Δv1 + Δv2 + Δv3 = am1Δt1 + am2Δt2 + am3Δt3


dove

Δv1 = am1Δt1   Δv2 = am2Δt2   Δv3 = am3Δt3

Osserviamo che Δv3 è una variazione negativa (visto che lo è l’accelerazione


media nel medesimo intervallo di tempo), e che la variazione complessiva di
velocità corrisponde all’area (con segno) del grafico delle accelerazioni medie,
evidenziata dai diversi tratteggi.

Partendo dalla generica velocità iniziale v0 (la nostra condizione iniziale),


possiamo così ricavare le altre velocità assunte dal corpo dopo i diversi
intervalli temporali e riportate nel grafico a lato, che risulteranno essere

Se la nostra conoscenza dell’accelerazione assunta dal corpo è più precisa (se ne


conosce il valore istante per istante) e ne abbiamo una funzione analitica,
possiamo riferirci a delle variazioni infinitesime. La generica variazione
infinitesima di velocità sarà legata all’accelerazione istantanea dalla relazione

così che la variazione complessiva di velocità sarà ancora una volta la somma
delle singole variazioni infinitesime: è l’integrale temporale dell’accelerazione
Ovviamente si devono specificare gli estremi (iniziale e finale) di integrazione,
che indicano dove iniziare e terminare la somma dei vari termini infinitesimi:
• se l’estremo finale è definito, il risultato dell’integrale sarà la variazione
complessiva di velocità;
• se lo lasceremo indefinito, potremo ricavare l’andamento della variazione
complessiva di velocità in funzione dell’istante finale scelto (e quindi la
funzione velocità).

Dal grafico (o dalla funzione) dell’accelerazione, ricaviamo la velocità in


funzione del tempo: riprendendo la relazione

Il primo integrale è proprio la variazione complessiva di velocità, data dalla


differenza tra la velocità finale e iniziale, mentre il secondo integrale è l’area
sottesa dalla curva della funzione accelerazione (confrontate l’esempio
precedente).

Se prendiamo una velocità iniziale v0 e come velocità finale una generica


velocità v, possiamo ricavare
riportata nel grafico a lato.

Ancora una volta, la conoscenza dell’accelerazione non è sufficiente per


ricavare la velocità, è necessario conoscere un’ulteriore condizione: la velocità
iniziale.

Possiamo fare il medesimo discorso nel caso di una traiettoria circolare,


utilizzando grandezze angolari. La accelerazione angolare media sarà definita
come il rapporto fra la variazione di velocità angolare e il tempo necessario per
effettuare tale variazione:

mentre nel caso di variazioni infinitesime ricorreremo alla accelerazione


angolare istantanea, definita come la derivata temporale della funzione velocità
angolare

Il legame tra accelerazione lineare e angolare è ancora una volta legato al raggio
R della traiettoria circolare; ricordando il legame tra velocità lineare e angolare,
ricaviamo

Moto circolare uniformemente accelerato: in questo caso è l’accelerazione


angolare istantanea a essere costante.

Con un discorso simile a quello già presentato per il moto circolare uniforme,
la velocità angolare risulta

dove con ω0 abbiamo indicato la condizione iniziale, ossia la velocità angolare


assunta dal corpo all’istante iniziale t = 0. Possiamo anche ricavare la legge
oraria, valutando quale funzione abbia una derivata (la velocità angolare)
lineare: tale funzione è una parabola (ricordando che la posizione angolare è
definita a meno di 2π rad), e quindi la legge oraria risulta

dove con θ0 indichiamo una seconda condizione iniziale, la posizione angolare


assunta dal corpo all’istante iniziale.

Siamo ora in grado, dalla conoscenza dell’accelerazione in funzione del tempo e


con l’aggiunta di due condizioni iniziali (la posizione e la velocità, che
rappresentano lo stato meccanico del punto materiale) di ricavare la legge oraria
del corpo puntiforme in movimento.

Talvolta l’accelerazione non è espressa in funzione del tempo, ma in funzione


della posizione che assume il punto8; in tal caso l’integrazione dell’accelerazione
per ricavare la velocità è un poco più laboriosa. Scriviamo l’espressione
dell’accelerazione in funzione della posizione (lasceremo scritto a(s) per
ricordare che la conoscenza dell’accelerazione è funzione della posizione e non
del tempo)

Svolgendo la derivata di una funzione di funzione possiamo riscrivere la


relazione come segue

La relazione è ora integrabile

e ci consente di ottenere la velocità del corpo in una generica posizione s

Questa è una relazione che ritroveremo quando parleremo di lavoro ed energia


cinetica, e precisamente nel teorema dell’energia cinetica.

Se in particolare l’accelerazione è costante con la posizione, è immediato


ricavare

Riepiloghiamo le grandezze cinematiche sinora viste, dividendole in lineari e


angolari:

Potremmo proseguire con le operazioni di derivazione delle grandezze


cinematiche, ma fisicamente (ossia dal punto di vista della fisica) ciò non serve:
vedremo come in dinamica sia sufficiente conoscere l’accelerazione, ossia la
derivata seconda della legge oraria (più le due condizioni iniziali per posizione e
velocità), per descrivere compiutamente il moto del punto materiale.

Moto del grave

Il moto di un corpo in caduta libera che non si discosta dalla verticale è detto
moto del grave: in tale situazione, se la quota non è troppo elevata, durante il
moto il corpo è soggetto a un’accelerazione costante detta accelerazione di
gravità (g = 9.80665 m/s2), che risulta essere costante e diretta verso il basso9.
Scegliendo di prendere un sistema di riferimento verticale orientato verso l’alto,
otteniamo quindi per le grandezze cinematiche le espressioni

dove s0 e v0 rappresentano rispettivamente la posizione e la velocità (rispetto al


verso scelto) del punto materiale assunti nell’istante iniziale.

Va da sé che, se avessimo deciso di scegliere il sistema di riferimento orientato


verso il basso, l’ultimo termine (-1/2gt2) del II membro nell’ultima equazione
avrebbe avuto segno positivo (1/2gt2), in quanto l’accelerazione sarebbe stata
concorde al verso convenzionale positivo scelto.

Il moto che ne risulta è quindi rettilineo uniformemente accelerato, con le


relative considerazioni già espresse nei paragrafi precedenti.

Un proiettile viene sparato verso l’alto da una quota pari a y0 = 100 m con una
velocità v0 = 98 m/s. Trovare:
• la massima altezza raggiunta dal proiettile;
• il tempo impiegato per raggiungere tale quota;
• il tempo totale per arrivare a terra.

Prendiamo come origine di riferimento il suolo, con direzione positiva verso


l’alto: sapendo che il proiettile si muove di moto uniformemente decelerato
verso il basso, scriviamo le equazioni del moto:

Raggiungeremo la massima altezza quando la velocità si annulla

Per conoscere il tempo totale impiegato per arrivare a terra, poniamo la


condizione y = 0 nella legge oraria, che risolta fornisce ttot = 20.97 s

Moto armonico

Nel moto armonico la legge oraria è espressa da una funzione armonica, ossia
una funzione trigonometrica10 del tipo
Quali sono i parametri coinvolti:
• poiché la funzione sinusoidale è limitata ad assumere valori tra -1 e +1, la
posizione si estenderà tra -A e +A: la grandezza A è detta ampiezza del
moto;

• sappiamo inoltre che la funzione sinusoidale è periodica con periodo 2π,


ed ω0 è la pulsazione con la quale oscilla il punto; dalla sua conoscenza
possiamo risalire al periodo T del moto, ponendo che dopo un certo
intervallo di tempo la fase della funzione sia la medesima a parte un
fattore 2π

• l’ultimo termine che compare nella legge oraria è φ, la fase iniziale, ossia
l’argomento della funzione sinusoidale nell’istante iniziale.

Possiamo ricavare i parametri del moto (ampiezza e fase iniziale) una volta note
le condizioni iniziali di posizione s0 e velocità v0; dall’equazione sopra
ricaviamo infatti

da cui quadrando e sommando

Derivando ancora, possiamo ricavare l’accelerazione del punto materiale

Come si può notare anche dal grafico seguente


• la velocità risulta in anticipo di π/2 rad rispetto alla posizione (si dice che
le due funzioni sono in quadratura di fase);
• l’accelerazione è in anticipo di π/2 rad rispetto alla velocità, e quindi
anticipa di π rad la posizione (accelerazione e posizione sono in
opposizione di fase).

Tali relazioni si possono ricavare analiticamente osservando come le tre


grandezze siano espresse dalla stessa funzione sinusoidale con una differente
fase iniziale; infatti

Osserviamo come l’accelerazione, pari alla derivata seconda della posizione,


risulti proporzionale e opposta alla posizione
e quindi combinando le due equazioni otteniamo un’equazione differenziale
caratteristica del moto armonico

Tutte le volte che incontreremo un’equazione differenziale simile a questa


sapremo che la sua soluzione11 sarà una funzione armonica, di cui potremo
conoscere direttamente la pulsazione dal coefficiente del termine di ordine 0
nell’equazione, mentre per conoscere ampiezza e fase iniziale del moto avremo
bisogno (come detto in precedenza) di conoscere le condizioni iniziali del moto,
ossia posizione e velocità12.

Lo studio del moto armonico è molto importante, anche perché


• un oggetto che si trovi in un punto di equilibrio stabile oscilla, per
ampiezze non troppo elevate, di moto armonico;
• ogni moto periodico può essere scomposto (secondo Fourier) in una serie
di funzioni armoniche.

Cinematica vettoriale

Estendiamo l’analisi cinematica sinora svolta cambiando sistema di riferimento:


non descriveremo più il moto del punto materiale nel riferimento della traiettoria
percorsa (in tale ambito le coordinate vengono perciò anche dette coordinate
intrinseche, mobili con il sistema), ma osservando il moto dall’esterno della
traiettoria, ossia dal mondo nel quale la traiettoria si trova (per mezzo delle
coordinate estrinseche, fisse rispetto al sistema, che potranno essere di vario
tipo: cartesiane, polari, cilindriche, ...).

Posizione

Se per individuare la posizione del punto P sulla traiettoria sinora è stato


sufficiente un solo numero (una coordinata), ora ci serviranno
• 2 coordinate se ci troviamo in un piano;
• 3 coordinate se ci troviamo nello spazio.

Tali coordinate, necessarie alla descrizione della posizione del corpo, prendono
anche il nome di componenti; in tale contesto la posizione non è più uno scalare,
ma risulta una grandezza vettoriale (ossia una grandezza a più componenti).

Se scegliamo come sistema di riferimento un piano cartesiano13, avente assi tra


loro ortogonali, la posizione del punto sarà univocamente individuata una volta
che siano note le sue componenti x0 ed y0 lungo tali assi, anche dette coordinate
cartesiane della posizione.

Alternativamente, possiamo individuare graficamente la posizione del punto per


mezzo di una freccia che vada dall’origine O del sistema di riferimento sino al
punto P.

Osservando il disegno, una descrizione con parametri alternativi a quelli


cartesiani è fornita dalle coordinate polari, che considerano la lunghezza r0 (detta
modulo) della freccia congiungente l’origine con il punto e l’angolo θ0 che essa
forma con l’asse delle ascisse individuandone la direzione orientata, ossia il
verso.14

Dopo quest’ultima rappresentazione, è chiaro perché un vettore venga spesso


rappresentato con una piccola freccia sopra il simbolo della grandezza: nel caso
della posizione, la grandezza verrà indicata nel modo seguente

dove ux e uy rappresentano i versori degli assi cartesiani, vettori di modulo


unitario orientati come gli assi del sistema di riferimento.
Poiché la posizione del punto è ovviamente univoca15 nei due casi in cui si
utilizzano le coordinate cartesiane o quelle polari, tale sarà anche il vettore che la
identifica16, e si potrà passare in modo equivalente da una rappresentazione
all’altra osservando quali siano le relazioni geometriche tra le componenti

Come le grandezze scalari introdotte nel paragrafo precedente, anche la


posizione vettoriale sinora descritta è una grandezza fisica, e quindi per essa
dovremo darne l’unità di misura, che risulterà la medesima della posizione
scalare (essendo le componenti del vettore due posizioni scalari), ossia il metro.
Potremo quindi scrivere che

Ora che sappiamo come descrivere la posizione del punto, ripetendo tale
descrizione in diversi istanti di tempo saremo in grado di descriverne il moto: la
posizione diventa una funzione del tempo, e tali sono anche le sue componenti

In questa descrizione estrinseca legge oraria e traiettoria non sono più


indipendenti come lo erano in precedenza nella descrizione intrinseca, ma
ricavabili entrambe una volta noto il vettore posizione istante per istante.
Possiamo però scrivere tale vettore separando le descrizioni: il vettore r(s)
rappresenta la parte geometrica, poiché le sue componenti sono la formulazione
in forma parametrica dell’equazione della traiettoria

mentre la funzione s(t) identifica17 la parte cinematica, ossia la legge oraria.

Data una posizione variabile nel tempo secondo la legge

scegliendo l’origine dell’ascissa curvilinea nel punto di intersezione della


posizione r(t) con l’asse y, si ha come legge orarial’espressione

per cui, ricavando la variabile temporale e sostituendo nell’espressione della


posizione, ricaviamo l’equazione della traiettoria

Riprendendo i concetti già espressi in cinematica scalare, la traiettoria sarà nota


conoscendo il luogo delle posizioni assunte dal punto materiale durante il suo
moto (aspetto geometrico), ossia conoscendo il vettore posizione istante per
istante, così da poterlo rappresentare ad esempio in un grafico cartesiano

Scrivendo il vettore posizione per mezzo delle sue componenti, possiamo


ricavare la traiettoria eliminando il parametro (il tempo t) nelle leggi orarie

Calcoliamo la traiettoria nel caso in cui le leggi orarie delle due componenti del
moto siano

Ricaviamo il parametro temporale dalla prima equazione e sostituiamolo


nell’altra

così da ottenere la traiettoria, che nel nostro caso risulta una parabola a
concavità negativa
La legge oraria invece ci indicherà come tale punto si stia muovendo sulla
traiettoria (aspetto cinematico); poiché la posizione è individuata da due
parametri, serviranno due grafici (tre se ci muoviamo nello spazio) per mostrare
la legge oraria assunta, che descrivano come cambiano tali parametri nel tempo.
Ognuno dei due grafici ricorda quindi la descrizione della legge oraria data con
la cinematica intrinseca.

Come visto in cinematica scalare, definiamo ora lo spostamento come la


differenza tra due posizioni; in questo caso la posizione è identificata da un
vettore, per cui avremo

L’unità di misura dello spostamento risulta essere, come quella delle due
posizioni, il metro. Possiamo visualizzare lo spostamento anche nel piano
cartesiano.

Da osservare come il modulo dello spostamento vettoriale (relativo al sistema di


riferimento) non coincida con lo spostamento scalare (relativo alla traiettoria): se
il primo è dato dalla lunghezza del vettore relativo, il secondo è pari alla
lunghezza del tratto di traiettoria che va dalla posizione iniziale a quella finale, e
quindi generalmente maggiore del precedente

Le due grandezze tendono ad assumere lo stesso valore se restringiamo


progressivamente la distanza tra i punti finale e iniziale, come vedremo nel
prossimo paragrafo, o se il tratto di traiettoria è rettilineo.

Come per la posizione, anche per lo spostamento possiamo scrivere le


componenti del vettore, che in questo caso saranno pari rispettivamente alla
differenza tra le componenti dei vettori posizione finale e iniziale

Velocità

Continuando l’analogia, passiamo ora a definire la velocità media come il


rapporto tra lo spostamento effettuato e il tempo necessario a effettuarlo

Come si evince dalla definizione, la velocità media avrà la stessa direzione del
vettore spostamento (ovviamente nel grafico i due vettori spostamento e velocità
media non sono confrontabili come dimensione, in quanto non omogenei avendo
unità di misura differenti).

Possiamo poi migliorare l’informazione cinematica, passando a un intervallo


temporale sempre più breve, al limite tendente a zero, e definendo così la
velocità istantanea

Anche la velocità istantanea è un vettore, che in questo caso risulta tangente alla
traiettoria; infatti, sapendo che il rapporto tra il modulo dello spostamento
vettoriale e lo spostamento scalare tende all’unità nel caso in cui tenda a zero la
distanza tra i punti finale e iniziale

otteniamo, sfruttando la derivata di funzione composta18

dove ut è il versore tangente alla traiettoria, avente la medesima orientazione del


vettore dr, mentre v è proprio la velocità scalare introdotta nel paragrafo
precedente.

Per determinare le componenti del vettore velocità partiamo dalle componenti


della posizione, e deriviamo: dalle proprietà delle derivate di vettori otteniamo
infatti

Poiché un vettore lo possiamo sempre scrivere come formato dalle sue


componenti
dal confronto delle due espressioni ricaviamo che le componenti del vettore
velocità si ottengono derivando nel tempo le relative componenti del vettore
posizione, come se avessimo due moti indipendenti lungo i due assi cartesiani19:
il moto complessivo è quindi una composizione di moti lungo i vari assi

Se ora scriviamo il vettore velocità secondo le due rappresentazioni cartesiana e


intrinseca

è immediato trovare la relazione tra le due rappresentazioni: essendo il vettore il


medesimo, pur se dato in due rappresentazioni differenti20, il suo modulo sarà lo
stesso nei due casi, e quindi otteniamo

Da osservare come i versori, nelle due rappresentazioni, abbiano un differente


comportamento:
• nella rappresentazione cartesiana sono fissi e orientati come gli assi;
• nella rappresentazione intrinseca il versore è uno solo, variabile in
direzione secondo la direzione della traiettoria.

Ora che abbiamo determinato la velocità a partire dalla posizione possiamo


eseguire l’operazione opposta, cercando di ricavare la posizione una volta nota la
velocità istante per istante, come già svolto in cinematica scalare.

Dal valore della velocità media possiamo facilmente ottenere lo spostamento

e se le velocità medie sono note in diversi intervalli temporali sarà sufficiente


considerare lo spostamento complessivo

Dai dati delle velocità medie possiamo ricavare lo spostamento complessivo


dove

e idem per gli altri spostamenti. Partendo dalla posizione iniziale r1 possiamo
ricavare le altre posizioni assunte dal corpo dopo i diversi intervalli temporali

Discorso analogo nel caso in cui si conosca la velocità istante per istante; in tal
caso lo spostamento infinitesimo legato a un particolare istante sarà dato da

mentre per ottenere lo spostamento complessivo dovremo sommare (integrare) i


singoli spostamenti infinitesimi

Diversamente da quanto visto in cinematica scalare, in questo caso l’integrale


della velocità non corrisponde all’area della funzione nel piano cartesiano; il
ragionamento si può invece ancora svolgere per le singole componenti, infatti
considerando la proprietà distributiva degli integrali otteniamo21
Per conoscere lo spostamento dobbiamo specificare gli estremi di integrazione:
• se l’estremo finale è definito, il risultato dell’integrale sarà lo
spostamento complessivo;
• se lo lasceremo indefinito, potremo ricavare l’andamento dello
spostamento complessivo in funzione dell’istante finale scelto (e da
questo ricavare la posizione istante per istante).

Riprendendo il grafico precedente, e considerando lo spostamento diviso in


tanti spostamenti infinitesimi potremo scrivere che

dove il primo integrale è lo spostamento complessivo, dato dalla differenza tra


la posizione finale e quella iniziale. Prendendo una posizione iniziale r0 e come
posizione finale una generica posizione r otteniamo

simile all’espressione in termini discreti ricavata in precedenza. Come si nota,


la sola conoscenza della velocità non è sufficiente per ricavare la posizione, è
necessario conoscere anche la posizione iniziale, in questo caso determinata da
due componenti (non più una come in cinematica scalare).

Riprendiamo ora il concetto di velocità angolare già introdotto ed estendiamolo


al caso vettoriale; supponendo che il punto P si muova lungo una traiettoria
circolare come quella di figura, se θ è la posizione angolare definiamo velocità
angolare ω quel vettore che ha modulo come definito in cinematica scalare

e orientato in modo tale che la sua direzione sia normale al piano della
circonferenza e con verso che segue la regola della mano destra (se il pollice
indica la velocità angolare, le rimanenti quattro dita indicano il verso di
percorrenza del moto circolare). In termini vettoriali possiamo scrivere

dove v indica il vettore velocità del corpo ed r il vettore posizione rispetto


all’origine O del sistema di riferimento posto lungo l’asse della circonferenza.

Come si nota, tale definizione è congruente con quella già data in cinematica
scalare (anche se l’origine O del sistema di riferimento non coincide con il
centro della circonferenza di raggio R relativa al moto circolare, purché però
appartenga all’asse della circonferenza); calcolando infatti la velocità del punto
P, troviamo che

come ricavato in precedenza.

Ricordando come la velocità sia la derivata della posizione nel tempo, e che nel
nostro caso il moto sia circolare (quindi la distanza del punto dall’origine non
cambia nel tempo), possiamo riscrivere l’espressione come enunciata nella
relazione di Poisson
Accelerazione

Passando alla terza grandezza cinematica, in analogia con quanto visto per la
velocità possiamo definire una accelerazione media come il rapporto tra la
variazione di velocità e il tempo necessario per effettuare tale variazione

Osservando la figura, si può facilmente osservare come, diversamente dalla


velocità, l’accelerazione media (che ha pari direzione e verso della variazione di
velocità) non abbia né la direzione della traiettoria né quella ortogonale a
quest’ultima, e sembra diretta genericamente verso l’interno della traiettoria:
vedremo meglio questo particolare nel seguito parlando delle componenti
intrinseche dell’accelerazione.

Se restringiamo l’intervallo temporale di analisi, possiamo definire una


accelerazione istantanea svolgendo la derivata temporale del vettore velocità

Per determinare le componenti del vettore accelerazione partiamo da quelle della


velocità, e deriviamo: dalle proprietà delle derivate di vettori otteniamo

Poiché un vettore lo possiamo sempre scrivere come formato dalle sue


componenti
dal confronto delle due espressioni ricaviamo che le componenti del vettore
accelerazione si ottengono derivando nel tempo le relative componenti del
vettore velocità: come evidenziato in precedenza, il moto complessivo è quindi
una composizione di moti lungo i vari assi

Possiamo esprimere il medesimo vettore anche nel sistema di riferimento


intrinseco alla traiettoria; in tal caso scriveremo il vettore come avente
componenti nella direzione tangente (versore ut) e ortogonale o normale (versore
un) alla traiettoria, ossia

Per determinare queste componenti intrinseche potremmo partire dal vettore


velocità scritto in termini delle componenti intrinseche

ma non riusciremmo ancora a distinguere univocamente i termini: come


determinare quindi le componenti? Le ricaveremo al termine del paragrafo...

Passiamo ora all’operazione opposta, cercando di ricavare la velocità una volta


nota l’accelerazione; dal valore dell’accelerazione media possiamo senz’altro
scrivere

e se le accelerazioni medie sono note in diversi intervalli temporali sarà


sufficiente considerare la variazione complessiva di velocità

Conoscendo i valori delle singole variazioni di velocità possiamo ricavare la


variazione complessiva come
dove

e idem per le altre variazioni. Partendo dalla velocità iniziale v1 possiamo


ricavare le altre velocità assunte dal corpo dopo i diversi intervalli temporali

Discorso analogo nel caso in cui si conosca l’accelerazione istante per istante; in
tal caso la variazione infinitesima di velocità legata a una particolare istante sarà
data da

e per ottenere la variazione complessiva dovremo sommare (integrare) le singole


variazioni infinitesime

Ragionando sulle componenti, possiamo scrivere che

Per conoscere la variazione di velocità dobbiamo ora specificare gli estremi di


integrazione:
• se l’estremo finale è definito, il risultato dell’integrale sarà la variazione
complessiva;
• se lo lasceremo indefinito, potremo ricavare l’andamento della variazione
di velocità in funzione dell’istante finale scelto (e da questa ricavare la
velocità istante per istante).
Considerando la variazione di velocità divisa in tante variazioni infinitesime
potremo scrivere che

dove il primo integrale è la variazione complessiva di velocità, data dalla


differenza tra la velocità finale e quella iniziale. Prendendo una velocità iniziale
v0 e come velocità finale una generica velocità v otteniamo

simile all’espressione in termini discreti ricavata in precedenza. Come si nota, la


sola conoscenza dell’accelerazione non è sufficiente per ricavare la velocità, è
necessario conoscere anche la velocità iniziale.

Studiamo ora alcuni casi particolari, per arrivare poi a una formulazione generale
delle componenti dell’accelerazione.

Moto rettilineo: nel caso di moto rettilineo il vettore velocità mantiene la


medesima direzione, pur potendo variare in intensità

L’accelerazione ha quindi solo una componente tangenziale rispetto alla


traiettoria.
Moto circolare uniforme: riprendiamo il moto circolare uniforme affrontato in
cinematica scalare, ma osservando il moto dall’esterno della traiettoria. In
questo caso, per un’orbita circolare di raggio R percorsa con velocità angolare
costante ω, scriviamo il vettore posizione e determiniamo il vettore velocità
lavorando sulle componenti

E’ immediato osservare, per mezzo del prodotto scalare, che i due vettori sono
ortogonali

Il modulo della velocità risulta, come è logico aspettarsi, costante e di valore

Ora ricaviamo l’accelerazione col medesimo procedimento


Possiamo verificare che l’accelerazione è ortogonale alla velocità, e un
confronto con il vettore posizione mostra come l’accelerazione ne sia invece
parallela (ma di verso opposto, ossia diretta verso il centro della traiettoria:
centripeta), per cui possiamo scrivere

il cui modulo risulta

Possiamo utilizzare il risultato ottenuto nell’esempio precedente per ricordare la


relazione di Poisson, che indica come la derivata di un vettore v (in questo caso
il simbolo coincide proprio con la velocità) di modulo costante sia pari a

dove ω è il vettore velocità angolare introdotto nel paragrafo precedente, e


indica non solo come ruota il punto, ma anche come ruota il vettore velocità.
Questo risultato vettoriale ci tornerà utile in meccanica relativa.
Moto vario uniforme: in questo caso la traiettoria sarà generica, ma percorsa
con una velocità in modulo costante. Determiniamo quanto vale
l’accelerazione: prese due posizioni generiche, la variazione di velocità sarà
data da

Già la figura mostra come la variazione di velocità (che ha lo stesso verso


dell’accelerazione) sia diretta verso il centro della traiettoria; ora cerchiamo di
determinarne modulo e direzione. Facendo tendere a zero l’intervallo
temporale di valutazione delle due velocità otteniamo il modulo
dell’accelerazione puntuale

Se l’intervallo temporale è infinitesimo, possiamo approssimare la funzione


trigonometrica sviluppandola in serie di Taylor e fermandoci al I ordine
dove Δs è l’arco sotteso tra i punti iniziale e finale, e ρ è il raggio di
curvatura22, ossia il raggio della circonferenza che al meglio approssima la
traiettoria nel punto che stiamo analizzando. Il raggio di curvatura non va
confuso con la curvatura k, che del precedente ne è il reciproco

Entrambe le grandezze misurano di quanto la traiettoria devia rispetto alla


tangente. Sostituiamo i termini nel limite precedente, ricordando che la velocità
non varia in modulo

dove nel penultimo passaggio abbiamo sostituito la definizione di velocità v =


ds/dt.

Passiamo ora alla direzione dell’accelerazione; ricordando che

si ottiene che nel caso di moto uniforme (velocità costante in modulo)

l’accelerazione risulta ortogonale alla velocità e quindi alla traiettoria (essendo


la velocità tangente alla traiettoria), e quindi l’accelerazione in un moto vario
uniforme ha solo componente normale23 (o centripeta); in sintesi

Valutiamo ora il caso più generale, in cui la traiettoria possa essere varia e
percorsa con un moto anche non uniforme. In questo caso, partendo dalla
definizione già enunciata cerchiamo di determinare i due termini a secondo
membro
• il primo termine è la derivata della velocità nel caso in cui il versore non
cambi nel tempo, e perciò riconducibile al moto rettilineo mostrato in
precedenza

• il secondo termine è la derivata della velocità nel caso in cui sia il suo
modulo a non variare, ma lo possa fare la sua direzione e quindi il suo
versore. Abbiamo ricavato nell’esempio precedente di moto vario
uniforme quanto valga in questo caso l’accelerazione, e come essa sia
diretta in direzione ortogonale alla traiettoria

Perciò nel caso più generale l’accelerazione scritta in termini intrinseci sarà data
da

Come la velocità, anche l’accelerazione può essere scritta in funzione delle


grandezze angolari del moto; dato un moto circolare in cui θ indica la posizione
angolare e ω la velocità angolare, definiamo accelerazione angolare α il vettore
Il suo modulo indica la variazione nel tempo della velocità angolare, mentre la
sua direzione e verso risulta ortogonale al piano del moto e diretto secondo
l’asse (qui sotto indicato con z) del vettore ω

Ricollegandoci all’accelerazione lineare, possiamo scrivere

Se guardiamo ai due termini dell’espressione dell’accelerazione, riconosciamo


proprio le due componenti intrinseche (tangente e normale), ossia

Moto del proiettile

Il moto del proiettile è il moto relativo ad oggetto avente una certa velocità (non
necessariamente verticale come nel caso del moto del grave) e lasciato libero di
muoversi in prossimità della superficie terrestre.

Sappiamo che il moto complessivo sarà una composizione di moti lungo gli assi,
per cui scomporremo il moto nelle due direzioni ognuna delle quali con la
propria caratteristica

• lungo la direzione orizzontale non intervengono forze, in quanto il peso


(unica forza agente in questo contesto) è verticale, e quindi in tale
direzione la relativa componente della velocità rimarrà imperturbata
dando un moto rettilineo uniforme;

• lungo la direzione verticale invece interviene il peso sull’oggetto, a dare


un’accelerazione costante (l’accelerazione di gravità), per cui in tale
direzione avremo un moto rettilineo uniformemente accelerato.

Ora si tratta semplicemente di combinare i due moti, il cui risultato porta (come
l’esempio sotto mostra) ad ottenere un complessivo moto parabolico con
concavità negativa.

Una grossa catapulta si trova inclinata di α = 52° rispetto al terreno; di fronte a


essa si trova una collina, distante d = 64 m e alta h = 18 m, sulla quale si erge
un muro alto dm = 3 m. Oltre la collina, a xc = 47 m si trova un castello, che
giace a yc = 12 m d’altezza rispetto alla catapulta. Trovare:
• la traiettoria del masso scagliato dalla catapulta;
• la velocità necessaria a colpire il castello, e il tempo di volo fino al
castello;
• l’altezza massima raggiunta dal masso;

Cominciamo a studiare il moto del masso scagliato dalla catapulta, e


scomponiamo tale moto lungo i due assi cartesiani prendendo come origine la
posizione della catapulta
Se ora ricaviamo il tempo dalla seconda equazione del moto e sostituiamo nella
prima

otteniamo l’equazione della traiettoria del masso, una parabola con concavità
negativa.
Calcoliamo ora la gittata, ovvero lo spazio percorso dal masso in orizzontale
alla stessa quota di partenza (quindi non l’arrivo al castello), cioè per y = 0

Per avere la massima gittata in dipendenza dall’angolo di tiro (a parità di


velocità iniziale v0), dobbiamo trovare il massimo della funzione, e quindi si
ha:

Occupiamoci ora di colpire il castello: in questo caso basterà porre la


condizione che la traiettoria passi per il punto che individua il castello

e il bersaglio verrà colpito in un tempo

Possiamo calcolare anche quanto vale il tempo di volo, ovvero il tempo


necessario per compiere uno spazio orizzontale pari alla gittata:
Per trovare l’altezza massima raggiunta dal masso, consideriamo

da cui vediamo come il tempo di salita sia la metà dell’intero tempo di volo, il
che ci fa dedurre che tempo di salita e di discesa coincidono (come l’esperienza
poi ci insegna...)

Moto piano

Il moto di un punto P nel piano può essere descritto anche con coordinate
differenti, ad esempio quelle polari, soprattutto nei casi di moti circolari o curvi.
In tal caso il moto piano sarà funzione dei termini radiale e tangenziale, ossia
della lunghezza r (detta modulo) della posizione del punto e l’angolo θ che essa
forma con l’asse delle ascisse individuandone la direzione orientata.

Scriveremo quindi la posizione del punto come


Per ottenere la velocità dobbiamo derivare nel tempo l’espressione della
posizione, separando le componenti dello spostamento infinitesimo in radiale e
angolare

Anche ricordando il moto circolare studiato in precedenza, possiamo ricavare


quanto valga la derivata nel tempo dei versori radiale e angolare; partendo dalla
posizione espressa in termini polari e derivando si ha

Determiniamo quindi le componenti polari della velocità, operando un cambio di


variabile nella derivata del versore per poterci ricondurre alle formule qui sopra

Anche per l’accelerazione svolgeremo la medesima operazione, separando le due


componenti polari
Le componenti polari dell’accelerazione sono quindi

Nel caso in cui il moto piano sia circolare, le coordinate polari si possono
facilmente ricondurre a quelle intrinseche relative alla traiettoria, e si ha

Abbiamo quindi visto come lo stesso vettore possa essere descritto diversamente
a seconda del sistema di coordinate di scelto; relativamente ad un medesimo
vettore accelerazione, vengono mostrate nelle figure sotto tre rappresentazioni
differenti: cartesiana, intrinseca e polare, ma altre ne potremmo introdurre...
1
quello che chiamiamo futuro
2
non è così in meccanica relativistica, in cui spazio e tempo sono due concetti tra loro collegati
3
in cinematica scalare la traiettoria è un sottoinsieme della linea scelta come sistema di riferimento
4
le grandezze lineari sono comode per studiare i moto traslatori, mentre quelle circolari lo sono per i moti
rotatori
5
la costante k, avente come unità di misura m/s, rappresenta la scala del grafico cartesiano
6
fate attenzione a non confondere l’accelerazione con la velocità: accelerazione negativa non vuol dire che
il corpo procede nel verso negativo del sistema di riferimento!
7
la costante k, avente in questo caso come unità di misura m/s2, rappresenta la scala del grafico cartesiano
8
ne vedremo un esempio quando studieremo il moto armonico
9
il motivo di tale accelerazione sarà chiaro quando tratteremo della dinamica e della gravitazione in
particolare
10
poco importa che come funzione trigonometrica si usi sin o cos, le due funzioni hanno la medesima
forma e sono solo ritardate di π/2 rad
11
la soluzione di un’equazione differenziale non è un numero, come per una semplice equazione, ma una
funzione: nel nostro caso tale funzione è proprio la legge oraria s(t)
12
in effetti l’equazione differenziale è del II ordine, per cui per risolverla sono necessarie due condizioni
iniziali
13
per semplicità di rappresentazione grafica, la descrizione che segue si rifà al moto in un piano;
l’estensione al caso tridimensionale è ovvia
14
ne vedremo uno sviluppo parlando del moto piano
15
stiamo rappresentando la stessa situazione in modi alternativi
16
più propriamente la posizione è un vettore applicato, nel nostro caso nell’origine
17
è l’ascissa curvilinea
18
se possiamo scrivere r(t)come r[s(t)], allora la sua derivata risulta r’(t) = r’[s(t)]·s’(t)
19
nell’operazione di derivazione del prodotto abbiamo considerato che i versori degli assi siano costanti nel
tempo, così da poterli “estrarre” dall’operazione di derivazione
20
un vettore è invariante rispetto al sistema di riferimento: cambiano le componenti, ma il vettore resta il
medesimo
21
nell’ultimo passaggio consideriamo che i versori degli assi siano costanti nel tempo
22
nome dato da Leibniz, circulum osculans, che significa “circonferenza che bacia” (la traiettoria)
23
proprio come nel caso particolare di moto circolare uniforme mostrato nell’esempio precedente
Dinamica del punto

Sinora abbiamo studiato come descrivere il moto; ora vorremmo conoscere quale
ne sia la causa, così da sapere come crearlo o, più in generale, come modificarlo.
Il problema generale della dinamica consiste nel determinare il moto del punto
materiale una volta noto il suo stato meccanico iniziale (posizione e velocità) e
quali siano le forze in gioco. I principi che descriveremo sono stati
analiticamente formulati da Newton, e perciò la meccanica del punto è nota
anche come meccanica classica o newtoniana.

Primo principio della dinamica

Ai tempi di Aristotele1 si pensava che lo stato naturale di un corpo (ossia quando


non soggetto a interazioni con altri corpi) fosse la quiete. Questo si sposa bene
con l’esperienza, la quale ci insegna che se vogliamo imprimere un moto
uniforme a un corpo appoggiato su un piano dobbiamo applicare una spinta in
modo continuativo; se solo proviamo a togliere la spinta, poco dopo il corpo
termina il suo moto e torna in quiete.

In questa descrizione abbiamo implicitamente parlato di interazione:


• interazione tra noi e il corpo sarà la spinta che gli imprimiamo;
• interazione tra il corpo e il piano sarà l’appoggio che permetterà al corpo
di essere sostenuto sul piano a causa del peso del corpo;
• così come l’attrito che entrerà in gioco in modo evidente una volta
terminata la spinta esterna, e che causerà l’arresto del corpo.
Diremo che un corpo non sarà soggetto a interazione con un secondo corpo
quando il primo non muterà il suo stato di moto (ossia la sua velocità, in modulo
e direzione) mentre il secondo viene allontanato dal primo, e si dirà essere un
corpo isolato o libero.
Se facciamo in modo di esaminare la situazione dell’esempio cercando di
togliere progressivamente l’interazione tra il corpo da spingere e il piano
(l’attrito), si constata che, una volta tolta la spinta esterna, il corpo tende a
fermarsi sempre più lentamente. Ciò fa supporre che, se fossimo in grado di
ridurre a zero l’attrito tra il corpo e il piano, il corpo continuerebbe a muoversi di
moto uniforme.

Fu questa la scoperta che, nel XVI secolo, fece Galileo2: prese due piani inclinati
consecutivi, e dalla sommità del primo fece scendere una palla, osservando come
la palla non risalisse completamente lungo il secondo. Galileo levigò sia la palla
sia il piano inclinato e riprovò l’esperimento, giungendo alla conclusione che la
perdita di quota in risalita fosse dovuta all’attrito tra i due, e che se fosse stato
possibile eliminarlo completamente la palla sarebbe risalita alla stessa quota di
partenza.

A questo punto, Galileo diminuì progressivamente l’inclinazione del secondo


piano fino a renderlo quasi orizzontale, e facendo così compiere alla palla spazi
sempre più lunghi prima di fermarsi: ipotizzò quindi che se fosse stato possibile
eliminare completamente l’attrito, la palla avrebbe proseguito indefinitamente
lungo il piano orizzontale, senza rallentare. Anche Descartes3 (italianizzato in
Cartesio) riprese e sostenne questa ipotesi.

Quella appena descritta è la formulazione del primo principio della dinamica: un


corpo libero, ossia non soggetto a interazioni, permane in uno stato di moto
rettilineo uniforme. Poiché “uniforme” significa “con velocità in modulo
costante”, e anche la quiete è in realtà un caso particolare di moto uniforme,
possiamo scrivere il primo principio della dinamica, detto anche principio
d’inerzia (in quanto con inerzia si definisce la riluttanza di un corpo a cambiare
il suo stato di moto) così come venne formulato da Newton:

“Un corpo non soggetto a interazioni


permane nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme”

Riconosciamo ovviamente che il concetto di corpo libero è irrealistico, in quanto


non esiste nessun luogo in cui un corpo risulti privo di interazioni col mondo
esterno, ma tale concetto ideale ben si applica e riesce a spiegare parecchi
fenomeni osservati, pur non potendo essere dimostrato direttamente.

Un corpo non sarà sottoposto a interazioni nette non solamente quando le


interazioni sono assenti, ma anche quando le varie interazioni presenti si
compensano a vicenda (principio di sovrapposizione statica delle forze): ad
esempio, riprendendo l’esempio di inizio paragrafo
• l’equilibrio di un corpo appoggiato su un tavolo, in particolare l’assenza
di moto nella direzione verticale, è assicurato dal fatto che il peso del
corpo è perfettamente bilanciato dall’interazione d’appoggio del tavolo
sul corpo, da cui si ottiene la quiete del corpo.
• per muovere un corpo a velocità costante su un piano (in questo caso
stiamo riferendoci alla direzione orizzontale) è necessario applicare una
spinta che compensi esattamente l’attrito, da cui si ottiene il moto
rettilineo uniforme.

Abbiamo imparato studiando la cinematica che ogni moto va descritto solo dopo
aver scelto il sistema di riferimento (se pensiamo a quale sistema scegliere per
descrivere il moto di un corpo, la prima risposta che ci viene in mente è il
laboratorio nel quale effettuiamo la misura, che possiamo ritenere saldamente
fissato al suolo terrestre), e tale scelta pone una domanda: il primo principio
risulta valido in ogni sistema di riferimento che scegliamo?

Sistema di riferimento inerziale

La risposta alla domanda precedente è negativa: non in ogni sistema, ma


esistono alcuni sistemi rispetto ai quali si mostra valido il primo principio, e
daremo il nome di sistema di riferimento inerziale a quel sistema per il quale
risulta verificato il principio d’inerzia. Ciò sottintende che esistono sistemi di
riferimento (che con ovvia estensione chiameremo non inerziali) rispetto ai quali
l’assenza di interazioni non è una condizione sufficiente per avere la quiete del
corpo o un suo moto rettilineo uniforme.

Tutti noi abbiamo esperienza di un treno nel momento della partenza o che
rallenta il suo moto; in entrambi i casi il passeggero, magari fermo in piedi a
causa dell’affollamento della carrozza (...), si sente come tirato (indietro nel
primo caso, avanti nel secondo) anche se nessuna mano è presente. La presenza
di un’accelerazione (che modifica lo stato di quiete nel quale si trovava il
passeggero) in mancanza di una forza reale (l’assenza di interazione) non è
coerente col primo principio della dinamica, e quindi in questo caso il sistema
di riferimento (ossia il treno) non risulta essere (alla partenza o quando
rallenta) un sistema di riferimento inerziale.

In base a quanto abbiamo detto, potremo riformulare il primo principio della


dinamica nel modo seguente, che risulta in pratica anche la definizione di
sistema di riferimento inerziale:

“In un sistema di riferimento inerziale,


un corpo non soggetto a interazioni
permane nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme”

Alcune osservazioni:
• esiste nella realtà almeno un sistema di riferimento inerziale? Si
presuppone di sì, anche se non si è in grado di dimostrarlo;
• esistono più sistemi di riferimento inerziali? Sì, lo sono tutti quelli che,
rispetto a un sistema di riferimento inerziale (e ora abbiamo ipotizzato
che ve ne sia almeno uno), sono spostati o traslano di moto rettilineo
uniforme, e sono tutti fra loro equivalenti: questo principio, detto
principio di relatività galileiana, afferma come non esista un sistema di
riferimento inerziale privilegiato del quale si possa rilevare il moto
assoluto.

Tratteremo ancora dei sistemi di riferimento inerziali e non quando parleremo


della meccanica relativa.

Secondo principio della dinamica


Abbiamo visto che un corpo non soggetto a interazioni ha la tendenza, o inerzia,
a permanere nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme; se vogliamo
cambiare tale stato, dovremo quindi applicare al corpo in questione una qualche
interazione, una forza.

Forza

Per parlare delle cause del moto abbiamo bisogno di introdurre una nuova
grandezza fisica, la forza, della quale abbiamo già un concetto intuitivo: basti
pensare alla fatica che dobbiamo compiere per spostare un oggetto o cambiarne
il moto, o allo sforzo necessario per deformarlo, e così via. Le precedenti sono
esempi di forze a contatto, ma esistono anche forze non a contatto, come la forza
attrattiva che una calamita esercita su un pezzetto di ferro, o la forza peso che
sperimentiamo tutti i giorni e che è responsabile della caduta libera degli oggetti.

Come grandezza fisica dobbiamo però darne una definizione operativa.


Dall’esperienza sappiamo che se appendiamo un oggetto a una molla questa
subisce una deformazione a causa del peso dell’oggetto; possiamo allora definire
la forza (in questo caso il peso) come quella grandezza legata alla deformazione
subita dalla molla (vedi figura). A un particolare valore della deformazione d
assoceremo un particolare valore della forza F, e calibreremo lo strumento per
confronto con la taratura appena effettuata: il valore della forza ottenuta
appendendo due oggetti corrisponderà alla somma delle forze misurate
valutando le deformazioni che i due corpi produrranno appendendoli
separatamente. Lo strumento così costruito prende il nome di dinamometro.

La forza risulta una grandezza che dipende dall’orientazione che noi diamo ai
corpi: agganciare un oggetto a una molla che è posta orizzontalmente su un
tavolo non produce alcuna deformazione in essa (d = 0 =>F = 0). Da ciò
deduciamo il carattere vettoriale della forza, della quale dovremo perciò darne
modulo, direzione e verso.

La forza è quindi quella grandezza che si misura valutando l’entità e la direzione


della deformazione di un dinamometro (nel caso dell’esempio precedente,
potremo affermare che la forza in questione ha solo componente verticale e non
orizzontale). Definita la grandezza, a essa va assegnata un’unità di misura, il
newton (simbolo N); come tale unità di misura venga definita sarà spiegato più
avanti, dopo il concetto di massa.

Sappiamo cos’è una forza, e la sappiamo misurare: ora chiediamoci come una
forza modifica lo stato di un moto di un punto materiale. L’esperienza ha
permesso di enunciare il secondo principio della dinamica, il quale come
formulato da Newton4 afferma che

“In un sistema di riferimento inerziale,


un corpo soggetto a interazioni cambia il suo stato di moto
con un’accelerazione proporzionale alla forza applicata”

Quella appena citata è una relazione vettoriale, essendo vettori sia la forza
applicata sia l’accelerazione misurata. Espressa in forma analitica si ha

dove m rappresenta la costante di proporzionalità tra la forza applicata e


l’accelerazione misurata.

Si osserva sperimentalmente che vale anche un principio di sovrapposizione


dinamica delle forze: applicando più forze contemporaneamente a un corpo,
l’accelerazione cui risulta sottoposto il corpo è pari alla somma delle
accelerazioni cui sarebbe sottoposto il corpo qualora fosse soggetto
separatamente alle singole forze, perciò quando utilizzeremo il secondo principio
della dinamica la forza che compare nell’equazione dovrà essere la forza
risultante, somma vettoriale di tutte le forze applicate al corpo

dove Fi indica la i-esima forza applicata al corpo, ed F la forza risultante.


Il primo principio della dinamica non è banalmente un caso particolare del
secondo, in quanto è proprio il primo a stabilire l’ambito di validità (i sistemi di
riferimento inerziali) del secondo, come studieremo con la meccanica relativa.
E’ quindi errato considerare che il primo principio scaturisca dal secondo
semplicemente ponendo F = 0 nella legge fondamentale, desumendone un
moto rettilineo uniforme.

Massa

Quando applichiamo una forza, ci aspettiamo che i vari corpi non reagiscano
nello stesso modo a tale interazione, potendo risultare più o meno propensi a un
cambio di stato di moto a parità della forza applicata.

La costante m che abbiamo prima introdotto è infatti relativa al corpo che stiamo
studiando: dato un certo corpo, la relazione tra forza applicata e accelerazione
subita è costante al variare della forza applicata, ma ciò non vuol dire che se
cambiamo corpo la costante risulti la medesima. Tale costante viene detta massa
(grandezza che Newton chiamava erroneamente quantità di sostanza5) o massa
lineare.

La massa misura l’inerzia del corpo a cambiare stato di moto, da cui anche il
nome di massa inerziale dato alla stessa: a parità di forza risultante applicata,
maggiore è la massa del corpo minore risulta l’accelerazione subita dallo stesso.

L’unità di misura scelta per la massa è il kilogrammo (simbolo kg). La misura


della massa di un corpo parte dalla scelta arbitraria di una massa di riferimento
posta pari ad 1 kg, da cui poter passare a definire operativamente l’unità di
misura della forza: una forza di 1 newton (simbolo N) sarà quella che applicata a
un corpo di massa pari ad 1 kg produrrà su di esso un’accelerazione di 1 m/s2.

Nel sistema CGS, l’unità di misura della forza è la dina (simbolo dina)

L’espressione del secondo principio così come l’abbiamo scritta mostra che la
conoscenza della massa del corpo e delle forze a esso applicato consentono di
ricavare l’accelerazione cui istante per istante sarà soggetto il corpo, e da questa
derivare il suo stato meccanico in ogni istante successivo6 per mezzo delle leggi
della cinematica: questo è il problema fondamentale della meccanica, e il
secondo principio viene perciò anche chiamato legge fondamentale della
dinamica del punto.

La legge fondamentale è espressa da un’equazione vettoriale: ciò vuol dire che


tale equazione si può separare in tante equazioni scalari quante le dimensioni dei
vettori in gioco (2 se siamo nel piano o 3 se siamo nello spazio). In quest’ottica,
possiamo rileggere la legge fondamentale dicendo che nascerà una componente
di accelerazione quando il corpo sarà soggetto a una forza risultante avente una
componente in quella direzione.

Supponiamo di avere un corpo appoggiato su un tavolo rigido; se applichiamo


al corpo una spinta (una forza F) come quella in figura, quale sarà
l’accelerazione cui sarà sottoposto il corpo?

Come studieremo trattando i vari tipi di forze, il tavolo reagisce all’appoggio


del corpo fornendo una forza di reazione che è ortogonale al piano del tavolo, e
che compenserà la componente verticale della forza esterna. L’unica forza che
potrà agire sul corpo per cambiarne lo stato di moto orizzontale è quella
esterna, della quale dobbiamo valutare la sola componente orizzontale parallela
al piano, e applicare poi la seconda equazione della dinamica scomposta lungo
tale direzione

La legge fondamentale può anche essere una definizione dinamica della massa:
dato un corpo, possiamo definire la sua massa come il rapporto fra la forza a
esso applicata e l’accelerazione cui è sottoposto. Daremo anche una definizione
statica della massa quando tratteremo della forza peso.

Sperimentalmente, risulta valere un principio di sovrapposizione della massa:


qualora si applichi una forza a un corpo costituito dall’unione di due (o più)
singoli corpi, l’accelerazione cui il corpo complessivo sarà sottoposto sarà pari
all’accelerazione cui sarebbe sottoposta una massa di valore pari alla somma
delle masse dei singoli corpi.

La massa è una grandezza invariante nel tempo e durante il moto. In realtà tale
osservazione è corretta solamente quando la velocità cui è soggetta la massa
risulta ben inferiore alla velocità della luce;questa branca della fisica è trattata
compiutamente in meccanica relativistica. Quando la velocità della massa non
può essere trascurata, la teoria di Einstein ci dice che la massa varia con la
velocità secondo la legge

dove c = 299 792 458 m/s indica la velocità della luce ed m0 la massa a riposo
del corpo, ossia la massa che attiene al corpo quando questo è fermo:
quest’ultimo è il valore utilizzato in meccanica classica.

Si può osservare come la massa tenda asintoticamente all’infinito man mano che
la velocità si avvicina a quella della luce: ciò fa intuire come non si riesca a
superare tale valore di velocità, in quanto aumentando la massa aumenta la forza
necessaria per imporre una certa accelerazione, un certo cambio di velocità, sino
ad arrivare a una condizione limite in cui risulterebbe necessaria una forza
infinita per raggiungere la velocità c.

Se la forza applicata al corpo è nulla, il moto che ne risulta è rettilineo


uniforme (ossia il corpo mantiene il modulo e la direzione della velocità
iniziale)

Se la forza applicata al corpo è costante, tale risulterà anche l’accelerazione, e


si avrà un moto uniformemente accelerato
In particolare, nel caso in cui la velocità iniziale v0 sia parallela
all’accelerazione (e quindi alla forza che è stata impressa), la velocità manterrà
la stessa direzione lungo il moto, pur variandone il modulo, e il moto sarà
quindi rettilineo.

Qual è la forza necessaria a un corpo perché questo percorra una traiettoria


circolare e il moto venga eseguito in modo uniforme? Sappiamo dallo studio
della cinematica che l’accelerazione deve essere ortogonale (normale) alla
traiettoria, da cui

Tale forza è detta centripeta: la forza centripeta non è il nome di una particolare
forza, ma della componente normale alla traiettoria della forza risultante, ossia
diretta verso il centro della traiettoria.

Se il moto circolare non viene percorso in modo uniforme, avremo anche una
componente tangenziale dell’accelerazione (e quindi una componente
tangenziale della forza) che farà accelerare il sistema lungo la traiettoria.

Struttura della materia

Sinora abbiamo descritto l’aspetto macroscopico della materia presente intorno a


noi, ma come è strutturata la materia a livello microscopico? Quali sono i suoi
costituenti elementari?

La materia è costituita da atomi, a sua volta formati da un nucleo (costituito da


protoni e neutroni) e da una nuvola di elettroni che vi orbitano attorno. Quando
poi si tenta di descrivere il comportamento meccanico di queste particelle
elementari, si scopre che la fisica classica non è più sufficiente: per descrivere un
atomo serve ora la fisica relativistica e la fisica quantistica, mentre per descrivere
molti atomi ricorriamo in aggiunta anche alla fisica statistica.

Se gli atomi che costituiscono il corpo rigido sono disposti in modo disordinato,
il solido si dice solido amorfo; se invece gli atomi si ripetono in configurazioni
ordinate, ripetitive, a costituire un reticolo regolare, abbiamo un solido
cristallino. Naturalmente esistono situazioni intermedie: quando il corpo è
costituito da porzioni granulari, ognuna delle quali è una struttura cristallina, si
ha un policristallo.

Richiamiamo brevemente le grandezze che caratterizzano le particelle


fondamentali sopra menzionate:

• protone: massa e carica

• elettrone: massa e carica

• neutrone: massa e carica

Risulta conveniente definire una carica elementare

e = 1.602176·10-19 C

che è, in modulo, il medesimo valore di carica assunto sia da un elettrone sia da


un protone.

Problema fondamentale della dinamica

Come abbiamo accennato, il problema fondamentale della meccanica consiste


nel determinare la legge del moto del corpo una volta noto lo stato meccanico
iniziale e le forze in gioco.
• Se conosciamo la posizione r(t) assunta dal corpo nel tempo, è immediato
ricavare la forza complessiva cui è soggetto il corpo durante il suo moto,
e tale soluzione è univoca

• Ribaltando il problema, se conosciamo la forza F(t)in funzione del tempo


non sempre siamo in grado di ricavare analiticamente la legge oraria
• Ancor più complicata è la questione nel caso in cui si conosca la forza
non in funzione del tempo, ma della posizione (come capita per forze
posizionali come la forza elastica, o la forza gravitazionale); in tal caso la
ricerca della legge oraria passa ancora per la legge fondamentale della
dinamica, ma avremo a che fare con una equazione differenziale, la cui
soluzione è proprio la legge del moto richiesta

Consideriamo ad esempio un caso monodimensionale in cui la forza applicata


al corpo sia quella elastica, e cerchiamo di ricavare la legge oraria. La forza
elastica (come studieremo nel prossimo capitolo) è sempre una forza di
richiamo, e la sua intensità è proporzionale alla distanza dalla sua posizione a
riposo; sostituendo la sua espressione nella legge fondamentale otteniamo

ossiaun’equazione differenziale (lineare del secondo ordine a coefficienti


costanti) già incontrata in cinematica, la cui soluzione sappiamo essere la legge
oraria di un moto armonico avente pulsazione ω0

che prende il nome di pulsazione propria o naturale (perché dipende dai


parametri propri del sistema, ossia la costante elastica di proporzionalità della
forza e la massa del corpo), mentre per determinare gli altri parametri del moto
(ampiezza A e fase iniziale φ) abbiamo bisogno di conoscere le condizioni
iniziali del moto, ossia posizione e velocità (come ricavato in cinematica)
La forza elastica può essere facilmente osservata se appendiamo una massa a
una molla disposta verticalmente: il risultato sopra ottenuto mostra come
l’ampiezza di oscillazione e la fase dipendano dalla posizione e dalla velocità
iniziali date alla massa, ma la frequenza di oscillazione (fissata la massa m e la
costante elastica k) risulta sempre la medesima.

Quantità di moto

Definiamo ora una nuova grandezza, che meglio della sola massa descrive la
capacità di un corpo di interagire dinamicamente con altri (affronteremo tale
argomento di mutua interazione parlando degli urti). La nuova grandezza è la
quantità di moto

in cui m è la massa del corpo mentre v la sua velocità: quando di un punto


materiale si conoscono queste due grandezze, si dice che è noto lo stato di moto
del corpo, che risulta quindi complessivamente individuato dalla conoscenza
della quantità di moto. Come è immediato osservare dalla definizione, la
quantità di moto è una grandezza vettoriale.

Possiamo riscrivere più correttamente il secondo principio della dinamica in


funzione della quantità di moto, così come venne formulato originariamente da
Newton

“In un sistema di riferimento inerziale,


un corpo soggetto a interazioni varia la sua quantità di moto
in modo proporzionale alla forza applicata”

ossia

anche detto teorema della quantità di moto7 (sebbene più che un teorema
sappiamo essere un principio).
Questa formulazione della legge fondamentale si riconduce alla precedente nel
caso in cui la massa sia costante durante il moto; svolgendo l’operazione di
derivazione si ha infatti

Nel caso invece in cui la massa possa variare (pensate ad esempio a un camion
che perda sabbia durante il suo moto, o ad corpo materiale che viaggi a una
velocità prossima a quella della luce per cui la massa possa variare per effetti
relativistici), la semplificazione precedente non è consentita, e derivando la
legge fondamentale otteniamo

in cui si nota come l’applicazione di una forza contribuisca sia a variare la


velocità del corpo (in modulo, direzione e verso) sia a tener conto del cambio di
massa.

Un prototipo dell’Arcadia (l’astronave di Capitan Harlock) di massa m0 si sta


muovendo nello spazio con una velocità v0; volendo incrementare la velocità,
accende i razzi ed espelle i gas residui della combustione del propellente con
una velocità vp (rispetto all’astronave) e una portata in massa k. Qual è la legge
oraria dell’astronave nello spazio dopo l’accensione?

Nello spazio non vi sono forze esterne, per cui si conserva la quantità di moto
dell’astronave; consideriamo la massa complessiva (astronave + gas) in un
istante generico costituita da
• una parte m1 che si muove a velocità v1;
• una parte m2 relativa al gas residuo espulso alla velocità v2.
Scriviamo la conservazione della quantità di moto in termini differenziali
La velocità dei gas espulsi è legata, come dice il testo dell’esempio, alla
velocità dell’astronave tramite la velocità relativa di espulsione dei gas, per cui
dalla meccanica relativa (con la legge di composizione delle velocità) possiamo
scrivere

Inoltre la massa si deve conservare prima e dopo l’espulsione dei gas; la massa
m1 (la massa totale) sarà diminuita di una certa quantità dm1, proprio pari alla
massa dm2 dei gas espulsi

Va poi considerato che, prima dell’espulsione, il gas fa parte dell’intera massa


m1 del sistema (non vi è ancora stata la separazione in due parti), e quindi

Possiamo intuire questo concetto pensando che inizialmente il sistema è


costituito da una sola parte (la massa m1), e dopo l’espulsione si forma una
massa infinitesima dm2 dovuta alla separazione dalla massa m1, che nel
contempo è diminuita della stessa quantità.

Sostituendo i vari termini nell’equazione di conservazione della quantità di


moto, otteniamo un’espressione facilmente integrabile per ricavare la velocità
dell’astronave in funzione della massa m1
Sfruttando la conoscenza della portata dei gas espulsi, possiamo esprimere la
velocità anche in funzione del tempo

Se il punto materiale è isolato, ossia non soggetto a interazioni, possiamo


ricavare il principio di conservazione della quantità di moto

per il quale la quantità di moto del corpo rimane costante. E’ questo uno dei
principi chiave di conservazione di una grandezza fisica, al quale si
aggiungeranno altre grandezze nei capitoli a seguire, e che troveranno ancora
maggiore applicazione quando tratteremo dei sistemi di punti materiali.

Terzo principio della dinamica

Premettendo che un punto materiale non esercita alcuna azione su sé stesso, le


interazioni si manifestano sempre come un’azione e una reazione: non esiste la
presenza di una forza singola che agisca unicamente da un corpo attivo verso un
secondo passivo8.

Reazioni vincolari

Ogni volta che un corpo si trova a contatto con un altro corpo, quest’ultimo
esercita sul primo una certa interazione, detta reazione vincolare. Tale reazione
limita il moto del corpo in analisi, e costituisce perciò un vincolo.

Il valore della reazione vincolare dipende dal tipo di contatto tra i corpi:
• la direzione e il verso dipendono dal vincolo;
• l’intensità della reazione dipende dalle condizioni meccaniche, e va
determinata caso per caso.

I vincoli possono essere suddivisi in varie categorie:


• in base al verso, un vincolo si dirà
 monolatero se la reazione vincolare potrà avere un solo verso
consentito lungo la direzione d’azione (es. l’appoggio, o la
tensione di un filo);
 bilatero se entrambi i versi saranno consentiti (es. una rotaia);
• in base all’attrito, un vincolo si dirà
 liscio quando non soggetto a forze d’attrito;
 scabro quando soggetto all’attrito.

Azione e reazione

In realtà, come anticipato all’inizio del paragrafo, anche il vincolo subisce la


reazione del corpo con cui si trova a contatto, e l’entità di tale reazione è
determinata dal terzo principio della dinamica, o principio di azione e reazione

“In un sistema di riferimento inerziale,


a ogni azione del corpo A sul corpo B corrisponde
una reazione del corpo B sul corpo A uguale e contraria”

Il principio afferma che non esiste una forza isolata, ma le interazioni si


mostrano sempre a coppie9, ossia che ogni interazione è sempre mutua, e inoltre
non c’è un privilegio di quale sia l’azione e quale la reazione.

La coppia di forze (azione e reazione) può essere sia attrattiva sia repulsiva, vale
per corpi a contatto e non, fermi o in movimento. Comunque, come dice
Feynman10, se è presente anche un terzo corpo non allineato con i primi due, il
principio non implica che la risultante sul primo corpo sia uguale e contraria alla
risultante sul secondo, poiché il terzo corpo esercita a sua volta un’interazione.
La conclusione è che le due risultanti saranno differenti, e non uguali e opposte.
Inoltre, sebbene sembra che lo stesso Newton non l’abbia scritto (anche se
probabilmente lo ha tacitamente assunto), azione e reazione hanno la medesima
retta d’applicazione11 (ma con verso opposto).

Un semplice esempio lo ricaviamo dal quotidiano: un corpo appoggiato su un


piano rimane in equilibrio, in quanto la reazione del piano equilibra la forza
peso del corpo stesso. Ciò vuol anche dire che, per il principio di azione e
reazione, sul piano agisce una forza di reazione che ha la stessa intensità
dell’azione del corpo, ma diretta in verso opposto: il piano sorregge il corpo,
ossia il suo peso.
L’esempio appena presentato si riferisce a un caso statico con corpi a contatto: il
principio di azione e reazione vale però anche per forze non a contatto (come ad
esempio per la forza gravitazionale), e anche mentre il corpo si trova in
movimento. In realtà quest’ultima affermazione presuppone che l’interazione tra
i corpi sia istantanea, ossia si propaghi con velocità infinita: se così fosse, un
evento risulterebbe simultaneo per qualsiasi osservatore anche in moto, e inoltre
il tempo che trascorre tra due eventi risulterebbe il medesimo per i vari
osservatori. In quest’ambito (meccanica classica) si ha perciò che spazio e tempo
sono concetti assoluti.

Questi presupposti non sono però rigorosamente veri, come mostrato dalla teoria
della relatività (meccanica relativistica), ma finché trattiamo di situazioni in cui
le velocità sono ben inferiori a quella della luce (con cui si propaga
l’interazione) possiamo trascurare questa differenza.

Prendiamo il caso di un uomo che si trovi sulla Terra; sappiamo che


l’accelerazione subita dall’uomo a causa del suo peso (l’accelerazione di
gravità) è pari, secondo la legge fondamentale, a

Anche la Terra sarà soggetta alla medesima forza, ma l’effetto prodotto sulla
stessa sarà diverso, in quanto diversa è la massa sulla quale agisce; detta m2 la
massa della Terra, si ha

Se supponiamo che l’uomo abbia una massa m1 = 60 kg, osserviamo come il


rapporto tra le due accelerazioni risulti dell’ordine di 1023, per cui lo
spostamento subito dalla Terra in un certo intervallo temporale è ben inferiore
a quello sperimentato dall’uomo. Abbiamo quindi mostrato come anche l’uomo
attragga la Terra, con la medesima forza con la quale la Terra attrae l’uomo:
l’interazione è la medesima, è l’effetto che risulta differente.

Se il caso dell’appoggio si riferisce a un esempio statico, possiamo pensare a


un esempio dinamico del terzo principio immaginandoci su una barca posta in
acqua e attraccata al molo; se vogliamo far sì (senza remare) di spostare la
barca al largo, ci viene istintivo dare una spinta al muro del molo. In tal modo,
in base al principio appena enunciato, il molo reagirà con una forza uguale e
contraria facendo allontanare la barca.

Naturalmente, anche se la forza è la medesima, gli effetti sono differenti in


quanto dipendono dalle masse in gioco: il molo ha una massa enormemente più
grande di quella della barca ed è ancorato al suolo, per cui rimane (per nostra
fortuna) fermo al suo posto, mentre la barca, quando soggetta alla forza, può
scivolare sull’acqua e spostarsi dalla sua posizione.

Grandezze angolari

Se ci riferiamo a un moto circolare, possiamo ricavare lo stato di moto del punto


materiale anche per mezzo di altre grandezze che contengono le medesime
informazioni di quelle già introdotte, ma espresse con una formulazione più
comoda.

Momento della forza

La prima grandezza che definiamo è il momento della forza: dato un punto


materiale P al quale è applicata la forza F e scelto un punto O’ (detto polo)
rispetto al quale12 riferire la posizione, il momento della forza F è definito come

dove rO’ identifica la posizione del polo O’ scelto, mentre r e r’ sono,


rispettivamente, la posizione del punto P rispetto all’origine O e al polo O’.
L’unità di misura del momento è
Volendo collegare tale grandezza a quella che possiamo calcolare rispetto
all’origine O (fissa) del sistema di riferimento, si ha

Sappiamo che differenza esista nell’aprire una porta spingendo vicino allo
spigolo esterno o vicino ai cardini: nel secondo caso, rispetto al primo,
l’efficacia è decisamente inferiore. Abbiamo applicato la stessa forza, ma il
momento della forza risulta differente, e differente è quindi l’efficacia nel far
compiere alla porta la rotazione voluta. Vedremo nel prosieguo di quantificare
la relazione tra causa (momento della forza) ed effetto (movimento rotatorio),
così come abbiamo fatto col secondo principio della dinamica nel caso lineare.

Momento d’inerzia

Nel caso particolare in cui il corpo sia in rotazione attorno a un asse, possiamo
introdurre un’altra grandezza, il momento d’inerzia

dove R è la distanza del punto materiale dall’asse di rotazione. Tale grandezza


risulta, come vedremo nel prossimo paragrafo, l’equivalente angolare della
massa lineare perché rappresenta l’inerzia del corpo alla rotazione, e perciò
viene anche detta massa angolare.

Momento angolare

La quantità di moto descritta in precedenza prende anche il nome di momento


lineare, per distinguerla da una grandezza simile, e che ne costituisce il duale in
un moto circolare: il momento della quantità di moto o momento angolare. Dato
un punto materiale P al quale è associato il vettore quantità di moto Q e scelto un
polo O’ rispetto al quale riferire la posizione, il momento angolare è definito
come
dove, come per il momento della forza, rO’ identifica la posizione del polo O’
scelto, mentre r e r’ sono rispettivamente la posizione del punto P rispetto
all’origine O e al polo O’. L’unità di misura del momento angolare è

Il fatto di calcolare il prodotto vettoriale tra la posizione e la quantità di moto fa


sì che si consideri solo la componente trasversale (ossia non radiale) della
velocità, quella che descrive di quanto il punto materiale “ruota” rispetto
all’origine. Volendo ora collegare il momento angolare a quello calcolato
rispetto all’origine O (fissa) del sistema di riferimento, si ha

Derivando ora l’espressione del momento angolare rispetto al tempo otteniamo

La velocità del punto materiale è parallela alla quantità di moto

per cui possiamo ottenere


Se il polo scelto O’ è un punto fisso la sua velocità è nulla, e in tal caso

Tale relazione costituisce il teorema del momento angolare, duale del teorema
della quantità di moto per i moti lineari.

Abbiamo così espresso le equazioni che regolano il moto del punto materiale
sia in termini lineari sia in termini angolari

Diversamente dal caso lineare, in cui la causa (F) è legata direttamente


all’effetto (Q) da un’operazione di derivazione, in questo caso angolare
dobbiamo tener conto anche del polo scelto per il calcolo dei momenti.

Anche nel caso di grandezze angolari possiamo formulare un principio di


conservazione; scelto un polo fisso, nel caso in cui il momento delle forze
applicate al polo sia nullo vale il principio di conservazione del momento
angolare

Per un moto circolare (rotatorio) di raggio R, nel caso in cui O’ appartenga


all’asse di rotazione e stia nel centro della circonferenza si ha

e per mezzo della velocità angolare possiamo scrivere


dove I è il momento d’inerzia del punto materiale rispetto all’asse di rotazione.
La relazione ottenuta è la duale di quella utilizzata nel caso di moto lineare
(traslatorio)

Se invece il polo O’ è scelto sull’asse di rotazione, ma in punto diverso dal


centro della circonferenza (vedi figura), il momento angolare e la velocità
angolare sono due vettori non paralleli.

Una forza è detta forza centrale se la sua direzione è radiale e il suo modulo
dipende solo dal raggio

In tali condizioni il momento della forza calcolato rispetto all’origine O è


sempre nullo poiché la retta d’azione della forza passa per il polo, e quindi il
corpo conserva il suo momento angolare

Il moto risultante, detto moto centrale, risulta un moto piano; infatti dato un
generico istante, il vettore posizione e il vettore velocità identificano un piano
(nella figura è il piano xy). Poiché la forza e quindi l’accelerazione sono vettori
diretti come il vettore posizione, anche la variazione di velocità apparterrà a
tale piano, e ugualmente la velocità finale.

Un’altra caratteristica di tale moto è che la velocità areolare (grandezza che


rappresenta l’area spazzata dal raggio vettore durante il suo moto, e che
incontreremo studiando la gravitazione) è costante. L’area spazzata dal raggio
vettore è pari all’area del triangolo curvo (vedi zona ombreggiata in figura),
identificato dal tratto di traiettoria e dai due vettori posizione iniziale e finale;
se l’intervallo temporale tra le due posizioni è infinitesimo, la loro distanza
dall’origine tende a coincidere a un valore r, il tratto curvo può essere
assimilato a un segmento dr e possiamo calcolare l’area del triangolo come

Poiché abbiamo dimostrato sopra che il momento angolare è costante, anche la


velocità areolare risulta costante con il moto; quando tratteremo della
gravitazione, studieremo che la forza gravitazionale è una forza centrale, e
osserveremo questo aspetto della velocità areolare per mezzo della seconda
legge di Keplero.
Inoltre una forza di questo tipo, come studieremo nel capitolo relativo al lavoro
e all’energia, risulta essere una forza conservativa.

Statica del punto

La statica altro non è che una particolare applicazione della dinamica in cui non
si ha alcun moto: se inizialmente il corpo è fermo, l’equilibrio è assicurato se
esso non trasla (e quindi non è soggetto a una forza risultante non nulla) e non
ruota (e quindi non è soggetto a un momento risultante non nullo).
Nel caso di un punto materiale, la sola condizione necessaria è la prima (nessuna
traslazione), in quanto non si “apprezza” una rotazione del corpo su sé stesso per
definizione di punto materiale; la seconda condizione sarà invece parimenti
necessaria quando tratteremo del corpo rigido.

Equilibrio

Una posizione si dirà di equilibrio quando in tal punto la risultante delle forze è
nulla; vi sono due tipi di equilibrio:
• nell’equilibrio meccanico si ha equilibrio delle forze, quindi il corpo
potrà essere fermo o muoversi di moto rettilineo uniforme (in base al
principio d’inerzia);
• nell’equilibrio statico si ha ancora equilibrio delle forze, e in più il corpo
ha quantità di moto iniziale nulla, per cui inizialmente non si sta
muovendo.

Se non diversamente scritto, ci occuperemo del secondo tipo di equilibrio.

Forze

Se cerchiamo un punto di equilibrio statico, il punto inizialmente in quiete


rimarrà tale solo se non sarà soggetto ad alcuna forza risultante; infatti, dal
secondo principio della dinamica

Sarà quindi sufficiente porre l’equilibrio di tutte le forze applicate al punto,


verificando che la somma vettoriale delle stesse dia il vettore nullo, oppure
calcolando quale valore deve avere una determinata forza per bilanciare
esattamente la somma delle restanti.

Nel caso di un corpo rigido, la condizione statica prevede una condizione


aggiuntiva: non solo che il corpo non trasli (F = 0), ma anche che non ruoti (M
= 0).
In una cantina stanno riposando 3 insaccati, disposti come nella figura (α =
60°, β = 30°). Sapendo che la massa del cotechino è mc = 2 kg, determinare la
massa di salame e pancetta, trascurando attriti e la massa di fune e carrucole.

Questo è un problema di statica, nel quale la somma vettoriale delle forze che
agiscono sul sistema dev’essere nulla, e in questo caso abbiamo vari sistemi da
studiare.

Disegniamo il diagramma vettoriale delle forze che agiscono sugli insaccati

aggiungendo il punto nel quale convergono le 3 trazioni (indicato con A in


figura). Perché ogni punto sia in equilibrio, la somma vettoriale delle forze che
agiscono su ogni sistema dev’essere nulla.

Sostituendo le prime espressioni nelle seconde due si ricava

e infine
1
Aristotele (384 - 322 a.C.)
2
Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attenenti alla mecanica e i
movimenti locali (1638)
3
René Descartes (La Haye en Touraine, Francia 1596 - Stoccolma, Svezia 1650), Principia
philosophiae(1644)
4
Philosophiae naturalis principia mathematica (1687)
5
la massa non va confusa con la quantità di sostanza contenuta nel corpo, che è misurata dal numero di
moli
6
una volta che sia noto lo stato meccanico iniziale, ossia le due condizioni iniziali di posizione e velocità,
come abbiamo visto in cinematica
7
tale relazione vale anche in meccanica relativistica, diversamente dalla legge fondamentale formulata in
precedenza
8
ecco perché parliamo di interazione, di azione reciproca
9
fate attenzione, azione e reazione sono applicate a corpi diversi!
10
vedi bibliografia
11
così da dare un momento complessivo delle forze nullo, come studieremo tra poco
12
mentre l’origine O del sistema di riferimento è fissa, il polo O’ può anche essere mobile
Esempi di forze

In questo capitolo verranno presentati alcuni esempi di forze che si incontrano


nell’ambito della meccanica, dalla forza peso ad alcune reazioni vincolari.
L’elenco non è certo esaustivo, perché sono vari gli ambiti della fisica con le
loro interazioni (ad esempio la forza elettrica e quella magnetica).

Tutte le forze, soprattutto quelle a contatto, possono essere ricondotte a livello


atomico a poche interazioni elementari e perciò dette forze fondamentali; tali
interazioni, non a contatto, sono
• l’interazione gravitazionale (tra masse);
• l’interazione elettromagnetica (tra cariche);
• l’interazione debole (responsabile del decadimento beta);
• l’interazione forte (ad esempio tra protoni nel nucleo).
Non ci occuperemo studiando la meccanica di tali interazioni, a parte quella
gravitazionale nel relativo capitolo della gravitazione.

Forza d’inerzia

In queste serie di esempi vogliamo partire proprio con la forza d’inerzia che una
forza non è, ma una grandezza fittizia introdotta allo scopo di semplificare la
scrittura del secondo principio della dinamica. Definita da d’Alembert1 come

permette di scrivere la legge fondamentale come un equilibrio di forze, ossia

considerando le forze agenti sul corpo e la forza d’inerzia alla stessa stregua.
Non ne faremo uso nel nostro studio.
Peso

Il peso è uno dei primi tipi di forza di cui abbiamo esperienza: un oggetto,
lasciato libero di muoversi, cade verso il basso con una certa accelerazione
costante. In base a ciò che abbiamo studiato, ora sappiamo che a tale
accelerazione deve corrispondere una forza che ne è la causa: il peso P
dell’oggetto

L’accelerazione che misuriamo e già introdotta in cinematica studiando il moto


del grave è detta accelerazione di gravità (pari a g = 9.80665 m/s2) ed è
indipendente dalla massa dell’oggetto scelto. Noto è l’esperimento ipotetico
(perché in realtà mai avvenuto) che fece Galileo2 per mostrare come due oggetti
di massa diversa lasciati liberi di cadere dall’alto di una torre (la torre di Pisa, nel
suo pensiero) giungano a terra nel medesimo istante, mostrando come
l’accelerazione sia la medesima per entrambi.

Naturalmente perché si realizzi tale moto con pari accelerazione non dobbiamo
prendere in considerazione l’attrito dell’aria, che frena il corpo durante la
discesa: a tal scopo, possiamo
• scegliere due corpi della medesima forma (così facendo l’attrito dell’aria
agirà nel medesimo modo su entrambi): una sfera di alluminio e una di
piombo, aventi massa notevolmente differente;
• fare in modo che non vi sia aria (ad esempio lasciando cadere gli oggetti
all’interno di una campana in cui precedentemente si sia fatto il vuoto): in
tal caso anche una piuma e una sfera cadranno con la stessa legge oraria.

In realtà il valore dell’accelerazione di gravità non è costante in ogni punto della


superficie terrestre, ma di questo e del legame di tale accelerazione con
l’attrazione terrestre ce ne occuperemo nel capitolo relativo alla gravitazione.

Appoggio

In generale, per risolvere un problema di dinamica disegneremo


schematicamente il corpo puntiforme da studiare e le varie forze cui è
sottoposto: tale rappresentazione prende il nome di diagramma delle forze o di
corpo libero, in quanto il corpo viene rappresentato senza l’ambiente circostante,
ma solamente con le interazioni che l’ambiente rivolge al sistema in studio. Per
costruire il diagramma di corpo libero del corpo in studio, sostituiremo a ogni
altro corpo presente nell’ambiente le forze di interazione che questi hanno sul
corpo.

Abbiamo già accennato all’appoggio, trattando dell’equilibrio di un corpo;


l’appoggio è un vincolo monolatero, la cui reazione vincolare R sul corpo è
ortogonale al piano e con verso uscente dallo stesso:

• preso un piano orizzontale, un corpo appoggiato su di esso permane nel


suo stato di quiete. Poiché sappiamo che il corpo è soggetto alla forza
peso P, per il primo principio ciò vuol dire che sul corpo agirà anche
un’altra forza, uguale e contraria alla prima, tale da assicurare
l’equilibrio: tale forza è la reazione vincolare R del piano d’appoggio.

Ovviamente, per il terzo principio della dinamica, sul piano agirà una
forza uguale e contraria a R, ed entrante nel piano stesso: l’appoggio
ideale può sopportare qualsivoglia valore della reazione vincolare, quello
reale no.

• preso un piano inclinato, un corpo appoggiato su di esso sarà soggetto a


due forze: il suo peso P e la reazione vincolare R del piano, che sarà
ortogonale al piano stesso.

In questo caso la reazione vincolare R del piano non potrà più


compensare l’intero peso P del corpo, ma solo la sua componente
ortogonale al piano, per cui il corpo sarà soggetto a una forza netta diretta
come il piano inclinato, che ne causerà il moto in tale direzione.
Un frigorifero rotto viene fatto scivolare lungo una pedana, lunga d = 7 m e
inclinata di α = 23°, che porta al deposito dei rottami. Sapendo che la sua
massa è m = 84 kg, determinare la velocità con la quale giunge sul fondo
partendo da fermo, e la reazione vincolare della pedana sul frigorifero.

Utilizziamo l’equazione fondamentale della dinamica: essendo una relazione


vettoriale, la scomponiamo in due direzioni arbitrarie, non necessariamente x
ed y. In questo caso scomponiamo lungo la direzione di scivolo (tangenziale,
positiva verso sinistra) e lungo la direzione ortogonale a questa (normale,
positiva verso l’alto), considerando tutte le forze in gioco

Abbiamo scelto queste due direzioni in quanto il moto del frigorifero avviene
solo lungo la direzione tangenziale (supponiamo la pedana impenetrabile), così
che an = 0; unendo i termini dell’equazione di Newton otteniamo

La seconda espressione ci permette di trovare la reazione sperimentata dalla


pedana (utile ad esempio per sapere se la pedana è in grado di reggere il
frigorifero)
mentre la prima ci consente di trovare l’accelerazione del frigorifero lungo la
pedana

Ora diventa un problema di cinematica trovare velocità e spostamento

Forza d’attrito

L’attrito è una forza necessaria e inevitabile nella nostra vita, che si esercita tra
due corpi a contatto tra loro opponendosi al moto relativo dei due. Ve ne sono di
vario tipo:
• radente (per il moto traslatorio, lo strisciamento);
• volvente (per il moto rotatorio, il rotolamento);
• viscoso (per il moto di un solido all’interno di un fluido).

Un vincolo si dirà liscio quando non soggetto ad attrito, scabro altrimenti.

Attrito radente

Estendiamo ora il concetto di appoggio visto in precedenza; anche se una


superficie a prima vista può sembrare liscia, se la osserviamo su scala
microscopica scopriamo che è rugosa, ruvida, non perfettamente regolare e
levigata, per cui volendo spingere un corpo lungo tale superficie abbiamo
bisogno di applicare una certa forza che vinca la resistenza (l’attrito radente) del
corpo al moto. In particolare, come l’esperienza ci insegna, tale attrito può essere
di tipo
• statico: è la forza minima per mettere in moto il corpo;
• dinamico: è la forza per mantenere il corpo in moto uniforme.
Possiamo rappresentare in un grafico l’andamento della forza d’attrito in
funzione della forza esterna applicata al corpo, supponendo che all’inizio il
corpo sia fermo:
• aumentando la forza esterna il corpo permane nel suo stato di quiete, a
indicare che la forza d’attrito statico Fs compensa esattamente la forza
esterna Fext;
• quando la forza esterna ha raggiunto un certo valore massimo Fs max,
l’attrito statico non è più in grado di trattenere il corpo, che si mette in
moto frenato dall’attrito dinamico Fd.

I primi studi sulle forze d’attrito e relative relazioni sono state formulate da
Leonardo da Vinci3, che studiò in modo sistematico il problema, distinguendo tra
le diverse tipologie (radente e volvente). Note sono poi le osservazioni empiriche
di Amontons4: la forza d’attrito, sia per il valore massimo di quella statica sia per
quella dinamica
• è proporzionale alla forza ortogonale a contatto tra i due corpi (ossia alla
reazione vincolare dell’appoggio prima introdotta);
• non dipende dall’estensione della superficie.

L’origine dell’attrito radente è da ricercarsi nella fusione dei punti di contatto tra
il corpo e la superficie, causa le forze elettriche: il movimento rompe e ricrea le
saldature, e quindi il corpo subirà dei “saltelli” lungo il suo moto, dovuti al
formarsi e al rompersi di tali legami. In base a tale comportamento, possiamo
osservare come aumentando la superficie del corpo a parità di massa aumenti il
numero dei punti di fusione, ma contemporaneamente diminuisca la forza che
agisce su ogni punto (perché il peso, che è il medesimo, si distribuisce su una
superficie maggiore diminuendo la pressione di contatto), così che la forza
complessiva dovuta ai punti di fusione risulta indipendente dalla superficie del
corpo.
Fu poi Coulomb5 a scoprire che
• il coefficiente d’attrito dipende dai due materiali a contatto;
• la forza d’attrito non dipende dalla velocità di strisciamento6.

Il termine di proporzionalità è detto coefficiente d’attrito radente, statico o


dinamico a seconda del caso, per cui anche rifacendoci all’andamento della forza
d’attrito prima riportato nel grafico possiamo scrivere che

Relativamente ai due coefficienti, notiamo come il primo debba necessariamente


essere maggiore del secondo (μs < μd), a parità di corpi a contatto, altrimenti
giungeremmo a un paradosso in cui la forza esterna possa essere sufficiente a
mettere in moto il corpo (Fext < Fs max) senza essere sufficiente a mantenerlo
(Fext > Fd).

E’ invece senza fondamento l’affermazione, che talvolta si ritrova anche su


alcuni testi, per cui il coefficiente d’attrito sarebbe sempre inferiore all’unità,
anche se questa è la situazione prevalente.

Attrito statico: ricaviamo l’inclinazione massima di un piano inclinato perché


un corpo appoggiato su di esso non scivoli. La condizione richiede di non
superare il valore massimo della forza d’attrito statico

da cui ricavare la condizione limite di non scivolamento (oltre quest’angolo si


scivola)
Ogni corpo appoggiato è quindi sottoposto a due forze, una normale (la
reazione ideale dell’appoggio) e una tangenziale (dovuta all’attrito); se
vogliamo che il corpo non scivoli deve valere, come appena ricavato, la legge
di Coulomb-Morin

Tale condizione definisce un cono d’equilibrio, all’interno del quale la


risultante delle forze applicata al corpo deve rientrare se vogliamo che il corpo
resti in equilibrio.

Quando osserviamo della sabbia lasciata cadere su un piano, osserviamo che si


dispone a formare un cono; l’inclinazione di tale cono è legata all’attrito della
sabbia con sé stessa, per cui il valore di tale angolo è dato dalla legge di
Coulomb-Morin ricavata nell’esempio sopra

Attrito dinamico: c’è differenza tra spingere o tirare un corpo con una
medesima forza Fext inclinata di un angolo α rispetto all’orizzontale, facendo sì
che il corpo si muova di moto uniforme?Se il moto è uniforme, vuol dire che la
componente orizzontale della forza esterna deve compensare la forza d’attrito;
proiettando le forze agenti nelle due direzioni orizzontale e verticale otteniamo

• se spingiamo si ha

da cui
• se tiriamo si ha

da cui

quindi conviene tirare perché si applica una forza inferiore.

Possiamo trovare qual sia l’angolo ottimale di tiro per il quale si ha la minima
forza d’applicazione

e quindi

In tabella trovate un elenco di alcuni coefficienti d’attrito radente statico e


dinamico:
Attrito volvente

Come per il caso traslatorio, anche nel moto rotatorio un corpo è soggetto a una
forza d’attrito detta attrito volvente; si riscontra anche in tal caso una relazione di
proporzionalità tra la forza d’attrito e la forza ortogonale

dove il termine di proporzionalità tra la forza normale e la forza d’attrito è detto


coefficiente d’attrito volvente.

In questo caso rotatorio, riprendendo il modello dei punti di fusione, si ha meno


attrito che nel moto traslatorio, in quanto le micro-saldature si deformano, più
che spezzarsi.

Attrito viscoso

Quando un corpo (solitamente solido) si muove all’interno di un fluido è


soggetto alla forza d’attrito col fluido: si tratta della forza d’attrito viscoso, la cui
intensità dipende dalla geometria del corpo e dal suo moto nel fluido

• a basse velocità si ha un regime laminare: il fluido segue regolarmente i


contorni del corpo, e le linee di flusso si addensano o meno per seguirne i
bordi. In questo caso la forza d’attrito risulta proporzionale alla velocità v
del corpo

dove γ è un coefficiente geometrico relativo al corpo in movimento ed η è


il coefficiente di viscosità del fluido. In particolare, per una sfera di
raggio R in moto con velocità v la forza d’attrito vale

detta legge di Stokes7, enunciata dallo scienziato nel 1851

• se la velocità aumenta si passa a un regime turbolento: in tali condizioni il


fluido non è più in grado di seguire il contorno del corpo, e quindi
nascono delle scie turbolente. In questo caso la forza d’attrito dipende dal
quadrato della velocità secondo una legge del tipo

dove C è una costante geometrica che dipende dalla forma del corpo, S è
la proiezione della superficie incontrata e ρ è la densità del fluido: come
si nota, non compare la viscosità del fluido!

Proviamo a calcolare la velocità che raggiungerebbe una goccia di pioggia


cadendo da un’altezza di 1 km: dallo studio della caduta di un grave avremmo

ossia un’alta velocità di impatto. Se non ci fosse l’attrito viscoso della goccia
con l’aria, correremmo il rischio che la pioggia ci perfori!

In tabella trovate il valore di viscosità relativo ad alcuni fluidi a temperatura


ambiente:

Tensione

La reazione vincolare di un filo è detta tensione: anche tale vincolo, come


l’appoggio, è monolatero, poiché la sua reazione vincolare T sul corpo è
parallela al filo e con verso entrante nello stesso (l’opposto dell’appoggio).

Filo ideale

Un filo per sua definizione è:


• inestensibile: non vi sono deformazioni, per cui ogni punto del filo è
soggetto allo stesso valore di accelerazione scalare istante per istante;
• perfettamente flessibile: sopporta solo forze dirette come il filo, e non
forze trasversali.

Se il filo è senza massa viene detto filo ideale, e la tensione si trasmette


inalterata in modulo lungo il filo, poiché non serve un gradiente di forza per
spostare un oggetto senza massa.

Nella macchina di Atwood, una fune scorre senza attrito su un sostegno di


massa m = 1 kg, sospeso mediante un cavo. Alle estremità della fune sono
appesi 2 quadri di m1 = 1 kg e m2 = 500 g. Determinare la tensione della fune e
del cavo di sostegno.

Scriviamo le equazioni del moto per i quadri (consideriamo positiva


l’accelerazione se ha verso come il peso di m1; inoltre abbiamo che a1 = a2 = a,
perché la fune è inestensibile)
Dalle 2 equazioni possiamo ricavare l’accelerazione e la tensione della fune

Scriviamo ora l’equazione di equilibrio per il sostegno

Pendolo conico: una massa m viene fatta ruotare su una circonferenza


orizzontale all’estremo di un filo inestensibile, di massa trascurabile e
lunghezza r. Sapendo che il filo forma un angolo θ con la verticale, si
determinino la velocità v e il periodo τ del moto.

Le forze presenti sono il peso del corpo appeso e la tensione del filo a cui è
collegato: poiché il moto che avviene nel piano è circolare uniforme (con raggio
R), l’unica accelerazione cui è soggetta la massa è quella centripeta.
Tenendo conto di ciò, scomponiamo l’equazione del moto lungo la verticale e
lungo l’orizzontale:

Sostituendo i vari termini otteniamo

ossia

Per ricavare il periodo, osserviamo infine che

Filo reale

Se il filo non è più ideale, e possiamo associare a esso una massa non più
trascurabile, le forze cui sarà soggetto dovranno tener conto anche di tale
grandezza per mezzo della legge fondamentale della dinamica, e parleremo di
filo reale.

Possiamo facilmente capire ciò di cui stiamo parlando se pensiamo ad un corpo


di massa m1 tirato da una forza esterna F per mezzo di un filo di massa m2 non
trascurabile; se scriviamo l’equazione del moto separatamente per la fune e per il
corpo (limitandoci alle componenti orizzontali)

scopriamo che
• la forza esterna F è necessaria a spostare sia il corpo sia il filo [F = (m1 +
m2) a];
• la tensione T non si trasmette inalterata lungo il filo, ma deve presentare
un gradiente tra i suoi estremi proprio a causa della massa del filo [F≠T].

Carrucola

La carrucola è un dispositivo che serve a cambiare la direzione della forza.

Se la carrucola è senza massa si dice carrucola ideale, e la tensione si trasmette


inalterata in modulo, perché non serve un momento netto delle forze per far
ruotare la carrucola

Il caso di una carrucola reale, ovvero dotata di massa, è oggetto di discussione


quando si studia il corpo rigido.

Forza elastica

Un corpo in realtà è rigido solo in prima approssimazione, poiché se lo


sottoponiamo a delle forze questo può subire delle deformazioni variando le sue
dimensioni: nel caso della trazione o della compressione, la forza è applicata
perpendicolarmente al corpo, nel tentativo di variarne la lunghezza.

Definiamo
• il carico o lo sforzo normale σ come il rapporto fra la forza applicata F
sulla superficie S e l’area della superficie stessa

• la deformazione relativa ε come il rapporto fra l’allungamento Δx (la


deformazione) generato dallo sforzo e la lunghezza originale x0 (è quindi
un parametro adimensionale, talvolta espresso in forma percentuale)

Possiamo rappresentare in un grafico l’andamento della deformazione relativa in


funzione dello sforzo applicato, in cui si evidenziano delle zone con
comportamenti differenti:
• regione elastica: la deformazione è lineare e reversibile, togliendo lo
sforzo si torna alla lunghezza originale;
• snervamento: oltre il valore dello sforzo di snervamento σs la
deformazione è permanente, togliendo lo sforzo il campione non torna
alle dimensioni originali;
• regione plastica: la deformazione ha un andamento non lineare e non
reversibile;
• rottura: quando si arriva allo sforzo di rottura σr si ha la rottura del
campione.

Nella regione elastica il rapporto tra sforzo e deformazione relativa è costante


(retta a pendenza costante nel grafico), e si può quindi scrivere la legge di Hooke

dove E è detto modulo di elasticità o modulo di Young, e risulta pari alla


pendenza della retta. Il concetto di modulo8 fu introdotto da Young9 nel 1807
(una misura della rigidità dei materiali), ma concretizzato da Navier10 nel 1826:
la sua unità di misura è

In campo ingegneristico talvolta si preferisce usare come unità di misura

1 kgf/cm2 = 105 N/m2

Un corpo si dirà tanto più rigido quanto più presenta un elevato valore del
modulo di Young (retta con elevata pendenza), altrimenti si dirà elastico.

Fu Hooke11, assistente di Boyle12, nel 1660 a stabilire la relazione di


proporzionalità tra la forza applicata e allungamento di una molla, già
introdotta definendo il concetto di forza

Stabilito il campione (di lunghezza x0 e sezione S), possiamo ricavare dal


modulo di Young proprio la sua costante elastica k

che risulta determinata dal tipo di materiale (E) e dai parametri geometrici del
corpo (S ed x0). Ad Hooke mancò comunque l’intuito di collegare lo sforzo
alla deformazione relativa e non alla semplice deformazione per ricavare la
legge che porta il suo nome: il risultato finale fu invece ottenuto da Cauchy13.

La molla lavora sia in trazione sia in compressione, per cui risulta essere un
vincolo bilatero.

Poiché le forza è sempre di richiamo, possiamo esprimere la legge di Hooke in


forma vettoriale come

Si abbiano i 3 sistemi indicati in figura: determinare in ogni caso


l’allungamento dalla posizione di equilibrio.

Il primo caso è quello semplice: il peso dell’oggetto deve essere equilibrato


dalla forza elastica della molla. Sapendo che la forza elastica dipende in modo
lineare dalla deformazione d della stessa, ricaviamo la condizione di equilibrio
e la deformazione che subisce la molla per equilibrare il peso:
Nel secondo (molle in serie), il peso è equilibrato dalla forza elastica della
seconda molla (mg = k2d2), mentre nel punto tra le 2 molle si ha equilibrio tra
le forze (k1d1 = k2d2); la deformazione totale subito dal peso è dato dalla
somma dei singoli allungamenti:

ossia vince la molla più debole, quella con la costante elastica più piccola (vi
immaginate cosa succederebbe se incollaste insieme la sospensione di un TIR e
la molla della BIC? La deformazione totale sarebbe praticamente tutta dovuta
alla molla della BIC)

Nel terzo caso (molle in parallelo) è la deformazione di entrambe le molle a


essere uguale, visto come sono connesse, mentre il peso è equilibrato dalle due
forze elastiche

ossia vince il più forte: riprendendo TIR e BIC... la deformazione è regolata


dalla sola molla del TIR.

Moto armonico libero

Nel caso di un corpo di massa m sottoposto a una forza elastica avente costante
elastica k, qual è il tipo di moto che ne risulta? Sappiamo che la forza elastica è
una forza di richiamo, e nel caso in cui questa sia la sola forza presente si ha (per
semplicità trattiamo il caso monodimensionale)

L’equazione del moto sarà quindi data dall’equazione dell’oscillatore armonico


la cui soluzione fornisce proprio la legge del moto armonico già studiato in
cinematica

dove la pulsazione ω0 (detta pulsazione propria) dipende dal sistema meccanico


in studio (in questo caso la costante elastica e la massa del corpo), mentre i
parametri del moto (ampiezza A e fase iniziale φ) si ricavano dalle condizioni
iniziali di posizione e velocità

Per osservare un moto armonico è sufficiente collegare un oggetto a una molla


su un piano orizzontale, con la molla fissata a un estremo. Se tiriamo il corpo
oltre la posizione di riposo della molla, esso sarà soggetto alla forza elastica
lungo l’orizzontale, perciò in tale direzione si osserverà un moto armonico (col
tempo si farà sentire l’effetto della inevitabile forza d’attrito, per cui le
oscillazioni risulteranno meno ampie sino ad arrestare il moto).

Se la molla viene tenuta in verticale, con il corpo appeso e libero di oscillare


verticalmente, il peso del corpo semplicemente sposterà il punto di equilibrio
intorno al quale si hanno le oscillazioni, mentre per il resto il tipo di moto
armonico sarà identico al precedente.
Possiamo risolvere direttamente l’equazione differenziale: cerchiamo soluzioni
di tipo esponenziale

Sostituendo nell’equazione differenziale

troviamo due soluzioni immaginarie per l’esponente

dove ω0 è la pulsazione propria del sistema.

Dalla formula di Eulero (diretta o inversa), possiamo scrivere l’esponenziale


complesso per mezzo delle funzioni trigonometriche

La soluzione complessiva è la combinazione lineare delle possibili soluzioni:


essendo una equazione differenziale di ordine 2 (lineare e a coefficienti
costanti), avremo 2 soluzioni indipendenti, e utilizzando la formula di Eulero

Ricordando le proprietà delle funzioni trigonometriche

otteniamo
Dalle condizioni iniziali x0 e v0 ricaviamo il valore dei parametri A1 e A2 del
moto

per cui ora si ha

che può essere scritta, utilizzando le formule di addizione, come la legge del
moto armonico

Infatti, essendo

si ha
Il pendolo semplice è costituito da un corpo appeso a un filo privo di massa e
lasciato libero di oscillare: il moto risultante (come mostra l’esempio sotto) è
periodico. Osservando l’isocronismo delle oscillazioni, Galileo pensò di
utilizzarlo proprio come sistema di riferimento per la misura degli intervalli di
tempo. Nel caso di piccole oscillazioni, il moto del pendolo semplice risulta
armonico.

Una corpivendola (chi ha orecchie per intendere...) è ferma a lato della strada
mentre “aspetta l’autobus”, e nell’attesa la sua borsetta oscilla avanti e indietro.
A un certo punto si ferma una macchina, si abbassa il finestrino e un signore
all’interno chiede: “Ehi, bella... qual è l’equazione del moto della tua
borsetta?”. Certe gente non ha proprio nient’altro da fare!

Cominciamo col disegnare le forze che agiscono sulla borsetta (trascuriamo la


massa della tracolla), ossia peso e reazione della tracolla; scomponendo
l’equazione del moto lungo la direzione della tracolla e lungo la direzione
ortogonale a questa, otteniamo:

dove abbiamo considerato come positivo il verso della direzione tangenziale


quando è concorde con il verso crescente dell’angolo θ (in riferimento alla
prima figura, vuol dire muovendosi in senso orario a partire dalla verticale).

Possiamo esprimere l’arco che va dalla verticale alla borsetta come s = Lθ,
dove L è la lunghezza della tracolla della borsetta; da cui, per passare alla
velocità lungo la traiettoria e ancora all’accelerazione sempre lungo la
traiettoria (che è l’accelerazione tangenziale) il passo è breve:

Sostituendo nella II equazione di cui sopra otteniamo

Questa è un’equazione differenziale del II ordine, non facilmente risolubile;


possiamo però fare un’approssimazione, ossia pensare che l’angolo di
oscillazione θ non sia così grande, così da poter approssimare (ossia sviluppare
in serie di Taylor al I ordine )

e ottenere un’equazione differenziale, la cui soluzione è un moto armonico

dove θ0 rappresenta l’ampiezza di oscillazione, e di cui possiamo anche


indicare la pulsazione e il periodo

Si può osservare come la pulsazione sia indipendente dalla massa, l’unico


modo per variare tale grandezza è dare alla borsetta una tracolla più lunga; è la
stessa cosa che avviene per la pendola della nonna o per il metronomo, se
volete regolarli (perché anticipa o ritarda l’ora il primo, oppure perché volete
ottenere una frequenza diversa di oscillazione per il secondo) dovete muovere
la massa lungo l’asta della pendola o del metronomo...

E se provate a osservare l’asta del metronomo, noterete che la frequenza che


trovate indicata (qui espressa in battiti al minuto) varia come la radice della
lunghezza dell’asta, come si può osservare dalla formula seguente

Dimezzando la posizione della massa lungo l’asta, la frequenza diventa √2 più


grande.

Moto armonico smorzato

Se oltre alla forza elastica14 è presente anche una forza d’attrito viscoso (regolata
dalla legge di Stokes: per velocità non elevate la forza dipende linearmente dalla
velocità), il moto armonico subirà uno smorzamento delle oscillazioni

L’equazione del moto diventa

Per risolvere l’equazione differenziale cerchiamo soluzioni del tipo esponenziale


(come per il moto armonico libero)

dove il valore della pulsazione ωc


prende il nome di pulsazione critica, così come il reciproco τc che chiameremo
costante di tempo critica. Avremo casi diversi a seconda del valore del
discriminante:

1.  , ossia : moto sotto-smorzato (per bassi valori di attrito)

2.  , ossia : moto sovra-smorzato (per alti valori di attrito)

3.  , ossia : moto smorzato critico

1) Moto sotto-smorzato, o sotto-critico

Il moto presenta un’oscillazione che si attenua nel tempo

Gli esponenti sono complessi coniugati; la parte reale fornisce l’attenuazione,


mentre la parte immaginaria è legata all’oscillazione

Si noti come la pulsazione di oscillazione ω non sia esattamente quella ω0


dovuta al moto proprio del sistema, ma se ne discosti (diminuendo) tanto più
sensibilmente quanto più è grande la pulsazione critica ωc e quindi il coefficiente
d’attrito viscoso β.

Come già accennato studiando il moto armonico, i due parametri A e φ vanno


determinati conoscendo le condizioni iniziali del moto di posizione e velocità.

2) Moto sovra-smorzato, o super-critico

Il moto presenta un decadimento simil-esponenziale

Gli esponenti sono reali negativi

per cui entrambe le costanti di tempo sono più grandi della costante di tempo
critica.

Come nel caso precedente, i due parametri A e B vanno determinati dalle


condizioni iniziali del moto di posizione e velocità.

3) Moto smorzato critico

E’ il moto più rapido ad andare a regime rispetto agli smorzamenti precedenti


Gli esponenti sono coincidenti

L’attraversamento o meno dell’asse delle ascisse (al massimo una volta) dipende
dal segno del rapporto dei coefficienti

Come nel caso precedente, i due parametri A e B vanno determinati dalle


condizioni iniziali del moto di posizione e velocità.

Moto armonico forzato

Ora valutiamo cosa accade nel caso in cui sia presente anche una forza esterna; il
moto non evolve in modo spontaneo, ma è guidato e “forzato” da quest’ultima

L’equazione del moto diventa


La soluzione è data dalla somma di una soluzione generale (che soddisfa
l’equazione omogenea associata, e si attenua nel tempo come mostrato nei casi
precedenti di moti smorzati) e una soluzione particolare (che dipende dal tipo di
forza esterna, e ne è simile).

Studiamo il caso di forza esterna armonica avente pulsazione forzante15 o


eccitatrice ωf, perché ogni forza generica potrà poi essere scomposta secondo
Fourier in una serie di armoniche; dopo un transitorio (dato dalla soluzione
generale, che si smorza nel tempo), la soluzione risulta un moto armonico avente
la stessa pulsazione della forza esterna, ma la cui ampiezza e fase iniziale
dipendono dalla pulsazione della forza esterna

L’ampiezza dell’oscillazione presenta un massimo per una pulsazione della


forzante ωf pari alla pulsazione propria ω0 del sistema: in tali condizioni si parla
di risonanza. L’ampiezza alla risonanza è tanto meno elevata (e la campana tanto
più allargata) quanto più è grande il coefficiente d’attrito viscoso β.
La fase è sempre positiva, quindi il sistema è sempre in ritardo rispetto alla forza
esterna; in particolare, alla risonanza il moto si trova in quadratura di fase (π/2)
rispetto alla forzante esterna. Lo sfasamento nell’intorno della risonanza è tanto
più morbido quanto più è grande il coefficiente d’attrito viscoso β.

Il caso di un soprano lirico che rompe un bicchiere di cristallo con il suo acuto
è un caso di sistema in risonanza: i legami tra gli atomi del materiale possono
essere modellizzati con forze elastiche aventi proprie costanti elastiche, per cui
trovando la giusta frequenza della forzante esterna (in questo caso una forza
acustica) l’ampiezza di oscillazione può raggiungere valori così ampi da
rompere i legami stessi, e frantumare il bicchiere.

Se in meccanica classica parliamo di onde sonore, in meccanica quantistica la


particella coinvolta nelle vibrazioni reticolari prende il nome di fonone,
introdotto da Einstein e da Debye16 per spiegare il comportamento del calore
specifico nei solidi.

Anche i nostri sensi si basano su sistemi risonanti: sappiamo che il nostro


orecchio ascolta suoni nell’intervallo di frequenze acustiche

così come l’occhio, che vede nell’intervallo di frequenze della luce visibile

e che ha differenti curve di risonanza per i bastoncelli e ognuno dei coni.

1
Jean Baptiste Le Rond d’Alembert (Parigi, Francia 1717 - ivi 1783), Traité de dynamique (1743)
2
Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attenenti alla mecanica et i
movimenti locali (1638)
3
Leonardo da Vinci (Vinci, Firenze 1452 - Amboise, Francia 1519)
4
Guillaume Amontons (Parigi, Francia 1663 - ivi 1705), Histoire et Mémoires de l’Académie Royale des
Sciences 112 (1699)
5
Charles Augustin de Coulomb (Angoulême, Francia 1736 -Parigi, Francia 1785)
6
diversamente dall’attrito viscoso, come vedremo
7
George Gabriel Stokes (Skreen, Irlanda 1819 - Cambridge, Inghilterra 1903), 1851
8
dal latino modulum, misura
9
Thomas Young (Milverton, Somerset, Inghilterra 1773 - Londra, Inghilterra 1829)
10
Claude-Louis Navier (Dijon, Francia 1785 - Parigi, Francia 1836)
11
Robert Hooke (Isola di Wight, Inghilterra 1635 - Londra, Inghilterra 1703), De potentia restitutiva
(1678)
12
Robert Boyle (Lismore Castle, Irlanda 1627 - Londra, Inghilterra 1691)
13
Augustin Louis Cauchy (Parigi, Francia 1789 - Sceaux, Francia 1857)
14
nel caso di un pendolo, la forza elastica è data dalla componente tangente della forza peso, che per angoli
piccoli ha espressione lineare con l’angolo
15
in quanto forza il moto del sistema
16
Peter Josephus Wilhelmus Debye (Maastricht, Olanda 1884 - Ithaca, New York, Stati Uniti 1966),
Annalen der Physik 39, 4, 789 (1912)
Meccanica relativa

Uno stesso fenomeno può essere osservato da differenti punti di vista, e quindi
presentare descrizioni differenti; ovviamente il fenomeno in sé non cambia, ma è
probabile che cambi il modo di descriverlo. Il nome meccanica relativa indica
che una certa descrizione della meccanica del punto sarà valida solo
relativamente al sistema di riferimento che avremo preventivamente scelto.

Cinematica relativa

Abbiamo già osservato come i concetti di quiete e moto siano legati alla
definizione di un sistema di riferimento, così come (di conseguenza) lo studio
dei fenomeni meccanici.

Per secoli si è pensato che lo spazio fosse riempito d’etere, una sostanza
immaginaria rispetto a cui riferire il moto: un corpo si sarebbe detto in quiete se
fosse risultato fermo rispetto all’etere, e ogni altro sistema di riferimento avrebbe
dovuto esser descritto relativamente a esso. Tale supposizione è risultata poi
falsa, portando alla conclusione che non vi sia un sistema di riferimento assoluto
rispetto al quale descrivere ogni moto.

Gli esperimenti hanno mostrato come in alcuni casi la scelta del sistema di
riferimento non influenzi le leggi fisiche che descrivono un certo fenomeno:
fissato un primo sistema di riferimento rispetto al quale svolgere le misure, se ne
scegliamo un secondo anch’esso fisso che, rispetto al primo, risulti spostato o
inclinato, il risultato ottenuto dalle misure non cambia, mostrando quindi lo
stesso comportamento per i due sistemi di riferimento fissi.

La situazione cambia se vogliamo confrontare le misure tra due sistemi di


riferimento in moto fra loro: in tal caso non è detto che si mantenga l’invarianza
delle leggi fisiche, che possono assumere una forma differente per i due sistemi
di riferimento a seconda del loro moto relativo. Cercheremo ora di descrivere le
varie grandezze cinematiche in base al tipo di osservatore scelto, che possa
essere in moto rispetto a un sistema di riferimento inerziale (rispetto al quale
siamo invece già in grado di descrivere la dinamica del punto).

Per comodità, anche se nessuno dei due sistemi avrà un ruolo preferenziale,
chiameremo
• grandezze assolute quelle che si riferiscono al primo sistema di
riferimento, pensato fisso e inerziale;
• grandezze relative quelle che si riferiscono al secondo sistema di
riferimento, generalmente mobile rispetto al primo.

Cerchiamo ora le relazioni cinematiche tra la descrizione del moto del punto nel
sistema relativo e quella riferita al sistema assoluto: di ciò si occupa la
cinematica relativa.

Posizione

Dato un punto materiale posto nella posizione P, rappresentiamo la posizione di


tale punto rispetto al sistema di riferimento assoluto xy e a quello relativo x’y’:
indicheremo sempre con un apice le componenti dei vettori espresse rispetto al
sistema di riferimento relativo.

Dalla figura, relativamente alle posizioni possiamo scrivere

detta legge di composizione delle posizioni, dove il vettore ra indica la posizione


assoluta del punto materiale (posizione rispetto al sistema assoluto), rr indica la
posizione relativa del medesimo punto materiale (posizione rispetto al sistema
relativo) mentre rO’ indica la posizione dell’origine del sistema di riferimento
relativo

La posizione del punto rilevata nel sistema di riferimento relativo risulta quindi

e può essere espressa in termini di coordinate del sistema di riferimento assoluto


(rr) sia del sistema di riferimento relativo (in questo caso lo scriveremo con
apici, r’r), per cui

E’ il medesimo vettore, inerente la posizione relativa del punto, solo


rappresentato secondo sistemi di riferimento differenti.

Velocità

Effettuiamo ora la derivata dell’espressione precedente delle posizioni

Deriviamo ora i singoli termini; ricordando che i versori degli assi del sistema di
riferimento assoluto sono fissi, otteniamo la velocità assoluta

e la velocità dell’origine del sistema relativo


Deriviamo ora la posizione relativa, tenendo presenti entrambi i sistemi di
riferimento (quello assoluto e quello relativo) rispetto ai quali valutare tale
vettore

La prima parentesi nell’ultimo membro costituisce la velocità relativa, ossia la


velocità del punto materiale dal punto di vista del sistema relativo considerando
fissi i relativi assi di riferimento (indicati genericamente con ui’)

Come possiamo meglio esprimere i due termini restanti contenuti nella seconda
parentesi? Sappiamo dall’analisi vettoriale che possiamo scrivere la derivata di
un vettore c di modulo costante per mezzo della relazione di Poisson

dove ω è un vettore che in modulo indica la variazione angolare del punto.


Riconosciamo quindi nei due termini contenuti nella seconda parentesi la
derivata della posizione relativa avente modulo costante, ossia la cui variazione
sia dovuta solo a causa della rotazione del sistema relativo (e quindi dei rispettivi
assi ui’), e perciò possiamo scrivere

Otteniamo quindi per la derivata del vettore posizione relativa


Quella ottenuta è l’estensione della relazione di Poisson a vettori con modulo
non uniforme

dove il vettore c è riferito al sistema assoluto, il vettore c’ al sistema relativo ed


ω è la velocità angolare del sistema relativo rispetto a quello assoluto.

Unendo i vari risultati ottenuti, la legge di composizione delle velocità risulta

detta legge di composizione delle velocità o teorema di Galileo, dove si è


indicata con vt la velocità di trascinamento (ossia la velocità che avrebbe il punto
materiale pensato solidale al sistema di riferimento relativo, quindi con vr nullo),
composta da un termine traslatorioe uno rotatorio

La velocità del punto rilevata nel sistema di riferimento relativo risulta quindi

Moto traslatorio: pensiamo a un corpo P osservato da un treno che si muove di


moto rettilineo. Il sistema relativo (nel nostro caso il treno) non ruota (ω = 0),
per cui la velocità relativa risulta
Ritroviamo quindi la più classica legge di composizione delle velocità.

Moto rotatorio: pensiamo a un corpo P osservato da una persona che si trovi su


una giostra in rotazione con velocità angolare ω. Il sistema relativo (nel nostro
caso la giostra) non cambia la posizione della sua origine (vO’ = 0), mentre i
suoi assi ruotano rispetto al sistema assoluto

Se in particolare il corpo non si muove (va = 0), il suo moto osservato dal
sistema relativo risulta un moto rotatorio opposto al moto di rotazione del
sistema relativo stesso

Accelerazione

Deriviamo ora rispetto al tempo l’espressione delle velocità

Come prima, deriviamo i singoli termini; il termine a primo membro fornisce


l’accelerazione assoluta

mentre il primo termine a secondo membro è l’accelerazione dell’origine del


sistema relativo
Otteniamo così

dove nella prima parentesi abbiamo applicato la regola di derivazione per il


prodotto, mentre nella seconda abbiamo utilizzato la relazione di Poisson.
Svolgendo i calcoli, e riconoscendo nel primo termine della prima parentesi
l’accelerazione angolare α e nel primo termine della seconda parentesi
l’accelerazione relativa, otteniamo

detta legge di composizione delle accelerazioni o teorema di Coriolis, avendo


indicato con at l’accelerazione di trascinamento (ossia l’accelerazione che
avrebbe il punto in studio pensato solidale al sistema di riferimento relativo,
quindi con vr e ar nulli)

e con aC l’accelerazione di Coriolis o complementare (presente solamente


quando il punto si sposta rispetto al sistema di riferimento relativo, e
quest’ultimo ruota)

L’accelerazione del punto rilevata nel sistema di riferimento relativo risulta


quindi
Moto traslatorio accelerato: in questo caso il sistema relativo non ruota (ω = 0;
α = 0), per cui l’accelerazione relativa risulta

Moto rotatorio uniforme: pensiamo ancora al corpo osservato da una persona


che si trovi su una giostra in rotazione. Se il sistema relativo non trasla (vO’ =
0; aO’ = 0) e ruota di moto uniforme (α = 0), il termine di trascinamento
diventa

Se in particolare il corpo da osservare è fermo rispetto al sistema relativo (vr =


0; ar = 0), l’espressione si semplifica

Il secondo termine al secondo membro è detto accelerazione centrifuga (è


diretta verso l’esterno della traiettoria, quindi opposta all’accelerazione
centripeta mostrata in figura)

Riassumendo quindi le diverse leggi di composizione abbiamo


Dinamica relativa

Studiando la dinamica del punto materiale in un sistema di riferimento inerziale,


abbiamo osservato come la legge fondamentale leghi la causa del moto (le forze)
all’aspetto cinematico (l’accelerazione)del punto materiale. Cosa avviene ora se
il sistema di riferimento che stiamo considerando è non inerziale? Come
possiamo esprimere il moto del corpo conoscendo le forze a esso applicate e il
moto del sistema di riferimento relativo? Questo è l’ambito della dinamica
relativa.

Forze apparenti

Riportiamo l’espressione della legge di composizione delle accelerazioni, e


moltiplichiamo ogni termine per la massa m del punto materiale

Se ricordiamo che il sistema di riferimento assoluto è inerziale, riconosciamo nel


primo termine a secondo membro la legge fondamentale della dinamica

per cui possiamo ricavare l’accelerazione relativa per mezzo di una relazione che
ha la stessa forma della legge fondamentale, purché si includano altri termini nel
computo della forza risultante detti forze apparenti

che chiamiamo rispettivamente forza di trascinamento e forza di Coriolis

Vediamo ora alcuni casi particolari di applicazione della relazione precedente, in


cui dato il tipo di moto del sistema relativo e la forza risultante applicata al punto
materiale possiamo ricavare i termini cinematici osservati dal punto di vista del
sistema relativo.
Sistemi inerziali

Se il sistema di riferimento relativo si trova in un’altra posizione, potendo anche


avere gli assi inclinati rispetto al sistema di riferimento assoluto, ma né trasla
(vO’ = 0; aO’ = 0) né ruota (ω = 0; α = 0), dalle leggi di composizione ricaviamo

per cui in questo caso non sono presenti forze apparenti

Se il sistema di riferimento relativo si muove solo di moto rettilineo uniforme


(aO’ = 0), senza ruotare (ω = 0; α = 0), dalle leggi di composizione ricaviamo

per cui anche in questo caso non sono presenti forze apparenti

In questi due casi (sistema relativo spostato o in moto rettilineo uniforme) le


forze apparenti non sono presenti, e il moto osservato da entrambi i sistemi porta
allo stesso risultato in termini di accelerazione a parità di forza risultante
applicata: entrambi sono quindi sistemi di riferimento inerziali come il sistema
assoluto.

Tale proprietà va sotto il nome di principio di relatività: la legge fondamentale


della dinamica è la medesima in tutti i sistemi di riferimento inerziali, e non
esiste quindi un sistema di riferimento privilegiato.

Sistemi non inerziali

Se il sistema di riferimento relativo si muove di moto rettilineo accelerato,


quindi senza ruotare (ω = 0; α = 0), dalle leggi di composizione ricaviamo
per cui risulta presente una forza apparente di trascinamento, diretta nel verso
opposto all’accelerazione di trascinamento

Pensiamo a cosa accade quando ci troviamo all’interno di un ascensore: nel


breve istante in cui l’ascensore accelera verso l’alto ci sentiamo (noi,
all’interno dell’ascensore e quindi del sistema relativo) leggermente schiacciati
verso il basso. Questo effetto è dovuto alla forza apparente, che risulta avere
un’orientazione opposta a quella dell’accelerazione aO’ dell’ascensore, e quindi
diretta verso il basso andando ad aggiungersi alla forza peso.

Se il sistema di riferimento relativo si muove di moto circolare uniforme (α = 0),


senza traslare (vO’ = 0; aO’ = 0), dalle leggi di composizione ricaviamo

per cui sono presenti la forza apparente di trascinamento (diretta nel verso
opposto alla forza centripeta) e di Coriolis

Se in particolare il corpo non si muove rispetto al sistema relativo (vr = 0), la


forza di Coriolis diventa nulla, per cui la sola forza apparente presente è la
componente di trascinamento detta forza centrifuga, diretta verso l’esterno della
traiettoria.

Un esempio quotidiano di forza centrifuga è quello che sperimentiamo quando


ci troviamo al volante di un’autovettura che compie una curva: mentre ci
apprestiamo a compiere la traiettoria circolare, ci sentiamo “tirati” verso
l’esterno della traiettoria, nel verso opposto rispetto a quello centripeto diretto
verso l’interno.

Statica relativa

Anche per un sistema relativo possiamo valutare in quali condizioni il corpo si


trovi in equilibrio, ossia la statica relativa; in tal caso, però, dovremo considerare
non solo le forze reali, ma anche le forze apparenti.

Ricordando infatti la relazione ricavata, abbiamo che

per cui il corpo si troverà in equilibrio quando la risultante di tutte le forze,


comprese le forze apparenti, sarà nulla.

Se riprendiamo l’esempio del pendolo conico studiato in dinamica, possiamo


osservare come:

• per il sistema assoluto (ad esempio un osservatore solidale al pavimento


o al soffitto) il corpo sta svolgendo un moto circolare, la cui forza
centripeta è data dalla componente orizzontale della tensione del filo;
• per il sistema relativo (ad esempio un osservatore solidale al corpo in
rotazione) il corpo è in equilibrio (per tale osservatore il corpo non si
muove), per cui forza peso, tensione del filo e forza apparente devono
equilibrarsi.

Lo stesso fenomeno risulta quindi espresso in forme differenti a seconda del


sistema di riferimento scelto.
Meccanica relativistica

Vi sono alcune condizioni per cui due sistemi di riferimento in moto relativo
mostrano le medesime leggi della dinamica (lo abbiamo già osservato per i
sistemi di riferimento inerziali): in tal caso non è possibile stabilire quale dei due
sistemi sia in quiete e quale in moto, e perciò non ha senso parlare di sistema di
riferimento assoluto o privilegiato. In questo ambito, quando le leggi risultano le
medesime indipendentemente dal sistema scelto, si parla di meccanica relativa
(nella visione ristretta alla fisica classica), o di meccanica relativistica qualora si
tenga conto dei limiti imposti dalla velocità della luce.

In questo contesto ci riferiremo alla sola meccanica relativistica speciale (o


ristretta), ossia relativa a situazioni in cui non si considerano gli effetti del
campo gravitazionale (trattati nella meccanica relativistica generale) alla stregua
di un’accelerazione sentita dal sistema.

Metrologia relativistica

Dalla visione meccanica del mondo dei fisici del secolo scorso, considerando
che le onde acustiche si propagano in un mezzo materiale sembrava ragionevole
che anche le onde elettromagnetiche dovessero seguire tale comportamento, e al
mezzo ipotizzato venne dato il nome di etere. L’etere doveva essere senza massa
(perché le onde elettromagnetiche si propagano nel vuoto) e doveva essere
elastico (per trasmettere le vibrazioni elettromagnetiche e consentire quindi la
propagazione, come per le onde acustiche).

Poiché in un sistema inerziale le onde elettromagnetiche costruite a partire dalle


equazioni di Maxwell risultano avere una velocità1 pari alla velocità della luce (c
= 299 792 458 m/s), ci si aspetterebbe che in un altro sistema di riferimento in
moto relativo uniforme rispetto al precedente (e quindi anch’esso inerziale) tale
velocità fosse differente in base alle trasformazioni di Galileo, mentre gli
esperimenti mostrano come essa risulti la medesima in ogni sistema di
riferimento inerziale.

La meccanica relativistica nasce dagli studi di Einstein2 proprio sulla mancata


consistenza tra le trasformazioni di Galileo (viste in meccanica relativa) e le
leggi dell’elettromagnetismo e quindi l’ottica, dove tali trasformazioni non
valgono.

La velocità della luce risulta non solo costante indipendentemente


dall’osservatore, ma è anche la velocità limite raggiungibile da un segnale o da
una particella: da ciò si deduce come le interazioni non si propaghino a velocità
infinita, come invece si era ritenuto con la meccanica classica.

Misure indipendenti

Dovremo perciò fare attenzione a indentificare con chiarezza quale sia il sistema
di riferimento rispetto al quale stiamo riferendo le nostre misure.

Prendiamo due sistemi di riferimento3: un primo sistema O che sia inerziale e un


secondo O’ inizialmente fermo, e su entrambi siano agganciate solidalmente due
barre orizzontali identiche (per comodità i due sistemi sono disegnati
leggermente spostati in verticale, così da rendere più chiaro il disegno). Il
sistema O’ venga poi messo in moto traslatorio uniforme vO’ rispetto al primo
(quindi sarà anch’esso inerziale) lungo l’asse x.

Se ognuno dei due osservatori (solidale col rispettivo sistema di riferimento)


misura la lunghezza della propria barra, dal principio di relatività ne viene che
tale misura deve risultare la medesima (per entrambi L), perché se così non fosse
avremmo uno strumento per distinguere un sistema di riferimento inerziale da un
altro.

Immaginando che a un certo istante dall’estremo sinistro di ciascuna barra parta


un raggio di luce, ognuno dei due osservatori separatamente potrà misurare
l’intervallo di tempo necessario affinché il raggio raggiunga l’estremo destro
della medesima barra, ed entrambi otterranno la medesima misura data dal
rapporto tra la lunghezza che misurano della loro barra e la velocità del raggio di
luce

Le misure effettuate da O’ verranno indicate, come in meccanica relativa, con un


apice.

Sinora abbiamo trattato il caso di misure indipendenti su oggetti identici (ognuno


nel proprio sistema di riferimento), che hanno dato i medesimi risultati; ora
rivolgiamo l’attenzione alla misura di un solo oggetto ottenuta separatamente dai
due osservatori, e confrontiamo tra loro i risultati.

Simultaneità

Dobbiamo quindi rivedere la descrizione degli eventi (intesi come fenomeni che
accadono in un particolare punto dello spazio e in un particolare istante
temporale) e come due eventi siano correlati tra loto, in particolare due eventi
simultanei (ossia che avvengono in punti differenti, ma nel medesimo istante
temporale).

Diversamente da quanto ci si potrebbe aspettare, la simultaneità dipende


dall’osservatore, per cui ciò che risulta simultaneo per uno può non esserlo per
un altro: come per altre grandezze è un concetto relativo, e dovremo perciò fare
attenzione a indentificare con chiarezza quale sia il sistema di riferimento
rispetto al quale stiamo riferendo le nostre misure.
Riprendiamo i sistemi di riferimento precedenti, con O’ in moto traslatorio
uniforme rispetto a O, e consideriamo la sola barra CD solidale al sistema O’. A
un certo istante due raggi di luce partano dal punto medio E di CD verso i due
estremi.

Per il sistema O’ i raggi arrivano simultaneamente in C e in D, in quanto


percorrono il medesimo spazio, da cui

Per il sistema O, invece, dobbiamo tener conto del moto complessivo della barra
e del raggio di luce; scriviamo quindi le equazioni del moto dei punti C e D
(moto traslatorio uniforme con velocità vO’)

e le equazioni del moto dei raggi luminosi che partono dal punto medio rivolti
verso gli estremi (moto traslatorio uniforme di velocità c), rispettivamente a
sinistra verso C e a destra verso D

Valutiamo quando i due raggi di luce incontreranno gli estremi della barra

I due eventi non sono quindi simultanei per O, come invece risultava a O’, e
l’intervallo di tempo Δt che trascorre tra i due eventi è pari a
Unendo a questa informazione la misura che O effettua della distanza Δx tra le
posizioni dei due eventi

si ottiene

Ora che abbiamo visto come la simultaneità risulti, al di là della convinzione


comune, un concetto relativo (ossia dipendente dall’osservatore), passiamo ad
analizzare come cambiano le misure di intervalli di tempo e di lunghezze.

Lunghezza trasversale

Ora diamo una barra a ognuno dei due sistemi di riferimento, ma ruotate
verticalmente in direzione trasversale rispetto al moto relativo dei due sistemi,
che questa volta poniamo (per comodità) in avvicinamento l’un l’altro.

Per il sistema O’ la barra CD appare ferma, e quindi (come già discusso) una sua
misura porterà ad ottenere il valore L.

Per il sistema O, ugualmente, la barra AB appare ferma ed anch’essa lunga L.

Ora ragioniamo per assurdo, valutando cosa possa accadere quando le due barre
si incrociano (così come faranno le loro origini):
• per il sistema O, l’altro sistema (O’) si sta avvicinando con velocità vO’
(vedi figura), e ipotizziamo che vi sia una contrazione delle lunghezze,
ossia O misuri per CD una lunghezza inferiore a quella L della sua barra
AB.
• Anche per O’ l’altro sistema (O) si sta avvicinando, con medesima
velocità; se vale l’ipotesi di contrazione delle lunghezze egli misurerà per
AB una misura inferiore a quella L della sua barra CD.

Ma un medesimo evento (si svolge nella medesima posizione e nel medesimo


istante) non può dare risultati differenti; ad identica contraddizione si giunge
ipotizzando che sussista una dilatazione delle lunghezze, da cui possiamo
concludere che l’unica soluzione possibile è che entrambi misurino il medesimo
valore della bara altrui.

Nulla quindi cambia nella misura se questa è relativa ad una dimensione


trasversale alla direzione del moto, per cui tale misura rimane invariata e pari a
quella che l’oggetto presenta quando si trova a riposo.

Intervallo di tempo

Manteniamo ora una sola barra verticale solidale al sistema O’ e dall’estremo C


facciamo partire un raggio di luce verso D, e valutiamo cosa misurano (della
medesima barra) separatamente i due osservatori.

Per il sistema O’ il raggio ha un percorso verticale, e al termine è ritornato nello


stesso punto da cui è partito, per cui (ricordando che la misura verticale
trasversale al moto non è influenzata dagli effetti relativistici come spiegato in
precedenza)

Per il sistema O si deve calcolare il tempo che il raggio impiega a partire da C,


arrivare in D e poi tornare indietro; poiché però durante la propagazione il
sistema di riferimento relativo si sposta orizzontalmente, il raggio di luce si trova
a essere inclinato rispetto all’orizzontale, e l’intervallo di tempo risulta

dove d indica lo spazio obliquo percorso all’andata (e idem al ritorno) dal raggio
di luce, Δy la lunghezza verticale della barra misurata da O, Δx la misura della
distanza orizzontale percorsa dal sistema di riferimento sia durante l’andata sia
durante il ritorno del raggio di luce. Risolvendo, possiamo mettere in relazione le
due misure temporali

definendo il fattore di Lorentz γ

Quindi per O il tempo scorre più lentamente che per O’, si ha una dilatazione dei
tempi.

Per avere un’idea di quanto conti il termine correttivo relativistico, si riporta in


tabella la corrispondenza tra la velocità del sistema (vO’), la stessa confrontata
con la velocità della luce (per mezzo del termine β) ed il fattore di Lorentz γ.
Si noti che il fattore di Lorentz contribuisce a portare una correzione di solo
l’1% (γ = 1.01) quando la velocità del sistema è pari a v = 151 000 000 km/h (a
questa velocità basterebbero solo 13 secondi per raggiungere la Luna!). Questo
per capire quali siano le velocità in gioco che determinano effettive correzioni
relativistiche.

Lunghezza longitudinale

Rimettiamo la barra orizzontale, e dall’estremo C facciamo partire un raggio di


luce verso D, valutando ora separatamente per i due osservatori la misura della
lunghezza della barra.

Per il sistema O’ la misura della barra è pari a L, come già ricavato, e l’intervallo
temporale perché il raggio compia il doppio percorso è pari a

Per il sistema O scriviamo come prima le equazioni del moto del punto D (moto
traslatorio uniforme con velocità vO’)e del moto del raggio luminoso che parte da
C verso D (moto traslatorio uniforme di velocità c)
Valutiamo quando il raggio luminoso incontra il punto D

da cui determinare l’intervallo di tempo necessario

Allo stesso modo, a partire da tale istante scriviamo l’equazione del moto del
punto C (moto traslatorio uniforme con velocità vO’) e del moto del raggio
luminoso che parte da D per ritornare in C (moto traslatorio uniforme di velocità
c)

e valutiamo nuovamente il tempo necessario

da cui

Quindi il tempo impiegato dal raggio per andata e ritorno è la somma dei due
intervalli di tempo parziali

Poiché tale intervallo deve corrispondere a quanto ricavato nel paragrafo


precedente

si ottiene

Quindi per O l’oggetto appare essere più piccolo che per O’, si ha una
contrazione delle lunghezze detta contrazione di Lorentz4-Fitzgerald5.

Cinematica relativistica

La scelta di un sistema di riferimento è arbitraria, ma può incidere sulla


complicazione della descrizione del fenomeno. In generale due sistemi si dicono
equivalenti quando i fenomeni descritti per essi sono regolati dalle stesse leggi6,
per cui i due membri di un’equazione devono cambiare allo stesso modo, ossia
essere covarianti.

Cinematica inerziale relativa

Riprendiamo le leggi di trasformazione per un sistema di riferimento relativo in


moto traslatorio uniforme lungo l’asse delle x con velocità vO’ rispetto a un
sistema inerziale fisso (quindi si hanno due sistemi inerziali per il principio di
relatività, e tali leggi prendono il nome di trasformazioni di Galileo); la
coordinata y del punto rimane quindi la medesima durante il moto. In questo
caso la legge di composizione delle posizioni, unita alla relazione che lega la
posizione dell’origine del sistema di riferimento relativo alla sua velocità, risulta

che scomposte nelle relazioni scalari diventano

dove gli apici indicano, come in precedenza, che la misura delle coordinate è
riferita al sistema di riferimento relativo. Le leggi di composizione di velocità e
accelerazioni lungo l’asse delle x risultano
e poiché in tal caso le accelerazioni misurate dai due osservatori sono le
medesime, le leggi della meccanica risultano invariate.

Che la velocità della luce sia costante indipendentemente dal sistema di


riferimento non è compatibile con le trasformazioni di Galileo (per le quali le
velocità va sommata alla velocità del sistema di riferimento), come è immediato
da verificare: si può avere vx = vx’ solo se vO’ = 0.

Cinematica inerziale relativistica

Nello svolgere i calcoli di cinematica relativa, abbiamo implicitamente


considerato che le misure di lunghezze e intervalli temporali fossero le
medesime nei due sistemi di riferimento assoluto e relativo, ossia che lo spazio e
il tempo fossero assoluti.

Per velocità elevate, le leggi della meccanica risultano però non invarianti
rispetto a una trasformazione di Galileo; in realtà ora sappiamo che ciò che si
conserva non è lo spazio e il tempo, ma la velocità della luce, che quindi va
inclusa nelle leggi di trasformazione.7

Servono quindi le trasformazioni di Lorentz8, formulate dal fisico olandese nel


1904 (anche se scoperte qualche anno prima da Larmor9) e inizialmente
introdotte per rimuovere le contraddizioni tra la meccanica e
l’elettromagnetismo, in quanto il campo elettromagnetico non è invariante per
trasformazioni di Galileo. Le riportiamo per posizione e velocità, senza ricavarle

Se la velocità vO’ del sistema di riferimento relativo è molto inferiore a quella


della luce, il fattore di Lorentz tende a 1, e le trasformazioni di Lorentz tendono
a quelle di Galileo

Principi di relatività

I vari principi di relatività affermano che le leggi fisiche restano invariate (non
necessariamente i valori delle grandezze) anche se cambia la prospettiva con la
quale si osserva il fenomeno: essendo principi non hanno dimostrazione, ma si
basano sull’evidenza, dalla quale dedurre tali proprietà.

Principi semplici

I principi semplici si basano sul principio di Noether10, che lega l’invarianza


delle leggi fisiche alle caratteristiche di simmetria di alcune grandezze fisiche

“Per ogni simmetria continua


esiste un corrispondente principio di conservazione, e viceversa”

Il nostro universo possiede delle simmetrie spazio-temporali, e per ognuna di


esse si ricava dalla fisica teorica una legge di conservazione di una grandezza
fisica:
• le leggi fisiche sono le stesse in ogni luogo (lo spazio è omogeneo), non
esiste un’origine spaziale privilegiata per i sistemi di riferimento: da tale
osservazione si può ricavare il principio di conservazione della quantità
di moto;
• le leggi fisiche sono le stesse in ogni direzione (lo spazio è isotropo), non
esiste una direzione privilegiata per i sistemi di riferimento: da tale
osservazione si può ricavare il principio di conservazione del momento
angolare;
• le leggi fisiche sono le stesse in ogni tempo (il tempo è omogeneo), non
esiste un’origine temporale privilegiata per i sistemi di riferimento: da
tale osservazione si può ricavare il principio di conservazione
dell’energia.

Principi speciali

I principi speciali affermano che le leggi fisiche sono le stesse in ogni sistema di
riferimento inerziale (riguarda i sistemi in moto relativo uniforme):
• in meccanica classica l’analisi cinematica è svolta per mezzo delle
trasformazioni di Galileo, in cui spazio e tempo sono considerati assoluti;
• in meccanica relativistica speciale (o ristretta) l’analisi cinematica è
svolta per mezzo delle trasformazioni di Lorentz, in cui si assume che la
velocità della luce sia costante per ogni osservatore.

Principi generali

I principi generali affermano che le leggi fisiche sono le stesse in tutti i sistemi
di riferimento (riguarda i sistemi in moto relativo accelerato):
• in meccanica relativistica generale l’analisi dinamica è svolta
introducendo le forze apparenti.

1
nel vuoto
2
Annalen der Physik 17, 891 (1905)
3
d’ora innanzi utilizzeremo l’origine per identificare il sistema di riferimento; sarà chiaro dal contesto se ci
si sta riferendo all’origine o al sistema
4
Hendrik Hantoon Lorentz (Arnhem, Olanda 1853 - Haarlem, Olanda 1928)
5
George Francis Fitzgerald (Dublino, Irlanda 1851 - ivi 1901) The Ether and the Earth’s Atmosphere
(1889)
6
attenzione, non i valori misurati delle grandezze, ma le leggi che contengono tali grandezze
7
solitamente le velocità in gioco nei fenomeni quotidiani sono ben inferiori a quelle della luce, per cui è
difficile osservare effetti relativistici, e la fisica che si utilizza è quella classica di Newton anziché quella
relativistica di Einstein
8
Hendrik Hantoon Lorentz (Arnhem, Olanda 1853 - Haarlem, Olanda 1928)
9
Joseph Larmor (Magheragall, Irlanda 1857 - Holywood, Irlanda 1942)
10
Amalie Noether (Erlangen, Germania 1882 - Pennsylvania, Stati Uniti 1935), 1918
Relazioni integrali

Senza nulla aggiungere dal punto di vista informativo, possiamo prendere


l’equazione fondamentale della dinamica del punto (che è espressa in forma
puntuale) e costruirne una differente espressione in forma integrale, con la quale
non interessarci di ciò che avviene negli istanti/punti intermedi del fenomeno,
ma puntando direttamente all’istante/punto finale.

Impulso

Cerchiamo di valutare ciò che avviene tra l’istante iniziale e finale del fenomeno,
dando perciò una valutazione integrata nel tempo.

Impulso

Se abbiamo una forza costante nel tempo, definiamo la grandezza vettoriale I


detta impulso della forza come

Se invece può essere una forza variabile nel tempo, perfezioneremo la


definizione di impulso (lineare) della forza suddividendo l’intervallo temporale
in tanti tratti infinitesimi per ognuno dei quali calcolare il relativo contributo
elementare all’impulso

Risulta facile mostrare come l’impulso sia una quantità additiva


Dalla definizione possiamo inoltre ricavare il teorema dell’impulso, che
corrisponde alla relazione integrale del secondo principio della dinamica; se F è
la forza risultante che agisce sul corpo, in base alla legge fondamentale espressa
in termini della variazione della quantità di moto Q del punto materiale si ha

Una forza debole applicata per lungo tempo o una forza intensa applicata per un
breve periodo danno lo stesso risultato in termini di variazione di quantità di
moto.

Poiché per la dimostrazione del teorema dell’impulso si è utilizzata la legge


fondamentale della dinamica, tale teorema è valido anche in meccanica relativa
purché si tenga conto delle forze apparenti, che consentono di scrivere una
equivalente legge della dinamica

La forza media Fm, definita come la media temporale della forza F in studio,
risulta essere quella forza costante che se agisse per il medesimo intervallo
temporale di F ne produrrebbe lo stesso impulso; graficamente ciò corrisponde a
osservare come l’area del rettangolo ombreggiato in figura sia pari all’area della
curva a campana che riporta l’andamento nel tempo della forza F, mentre
analiticamente si ha
così che possiamo valutare l’impulso di una forza anche conoscendo la sola
forza media nell’intervallo di tempo considerato

Impulso angolare

Il medesimo ragionamento può essere applicato anche a situazioni dinamiche


descritte in termini angolari; se sul punto materiale agisce una forza F che crea
un momento M della forza, possiamo definire la grandezza J detta impulso
angolare della forza

In base alla relazione integrale del secondo principio della dinamica scritto in
termini angolari, dove L è il momento angolare del punto materiale, possiamo
ricavare il teorema dell’impulso angolare

Un momento lieve applicato per un lungo tempo o un momento intenso applicato


per un breve periodo danno lo stesso risultato in termini di variazione del
momento angolare.

Volendo valutare il momento della forza medio agente su un corpo, si ha che

così da poter valutare l’impulso angolare della forza anche conoscendo il solo
momento medio nell’intervallo di tempo considerato

Lavoro e potenza

Dopo aver lavorato nel tempo ora cerchiamo di valutare ciò che avviene tra la
posizione iniziale e finale del fenomeno, dando perciò una valutazione integrata
nello spazio.

Lavoro

Il lavoro è una misura dell’efficacia di una forza nello spostare la posizione di un


punto materiale, ed è una possibile forma di scambio energetico (come lo è il
calore).

Il lavoro1 di una forza omogenea nello spazio è definito come

dove F è la forza applicata e Δr lo spostamento del punto materiale.

La sua unità di misura è il joule (simbolo J), in onore del fisico inglese Joule2
che svolse esperimenti a riguardo: fu lui a porre le basi del primo principio della
termodinamica e poi a dimostrare tale principio di conservazione dell’energia.

Nel sistema CGS, l’unità di misura del lavoro è l’erg (simbolo erg)

Sviluppando il prodotto scalare fra i due termini, tra i quali vi sia un angolo θ

osserviamo come si possa avere una forza

• concorde (θ < π/2) al verso dello spostamento (forza motrice) e dare un


lavoro positivo (W > 0) detto lavoro motore;

• discorde (θ > π/2) allo spostamento (forza resistente) e quindi fornire un


lavoro negativo (W < 0) detto lavoro resistente;

• ortogonale (θ = π/2) allo spostamento, che fornisce un lavoro nullo (W =


0).

Calcoliamo il lavoro svolto dalla forza peso su un oggetto in caduta libera per
un tratto h; in questo caso forza e spostamento hanno stessa direzione e verso,
per cui è immediato ricavare

Il lavoro è quindi dato dal prodotto della componente della forza nella direzione
dello spostamento (o della componente dello spostamento nella direzione della
forza).

Calcoliamo ora il lavoro della forza peso per spostare un oggetto lungo un
piano inclinato α, lungo d e alto h; dalla definizione

Il lavoro non dipende né dall’inclinazione del piano inclinato né dalla sua


lunghezza, ma solo dall’altezza di caduta (questo concetto sarà poi ripreso
quando tratteremo dell’energia potenziale, in particolare della forza peso).

In un moto piano, se scomponiamo la forza nelle sue componenti intrinseche


(tangenziale e normale), osserviamo che solo la componente tangenziale della
forza contribuisce al calcolo del lavoro, mentre la componente normale
(centripeta) non compie lavoro

Calcoliamo il lavoro necessario per spingere un oggetto su un piano per mezzo


di una forza inclinata rispetto all’orizzontale; solo la componente della forza
parallela allo spostamento è rilevante ai fini del calcolo del lavoro
Seguendo il ragionamento, il lavoro della forza d’appoggio risulterà sempre
nullo, poiché tale forza è sempre ortogonale allo spostamento.

Se la forza può cambiare valore e orientazione (quindi una forza variabile punto
per punto), il calcolo del lavoro viene suddiviso in tanti tratti infinitesimi, per cui
il lavoro complessivo svolto risulta dalla somma dei singoli contributi, un
integrale di linea

Possiamo scomporre il calcolo del lavoro lungo le 3 direzioni degli assi

Attenzione a non confondere il concetto di lavoro con la sensazione di fatica,


ad esempio nel sollevare una valigia: il primo (il lavoro) è una grandezza
quantitativa definita come abbiamo appena fatto, mentre la seconda (la fatica) è
dovuta al continuo bilanciamento della forza peso da parte del nostro braccio.

Se il trasporto della valigia avviene lungo un piano orizzontale, il lavoro svolto


dalla forza che applichiamo per bilanciare il peso è nullo, ma altrettanto non si
può dire della fatica che sentiamo nel trasporto!

In generale il lavoro non è un differenziale esatto, e il suo calcolo dipende dal


percorso effettuato, oltre che dalle posizioni iniziale e finale; questa caratteristica
è evidenziata, nel contributo infinitesimo, con un trattino orizzontale
sull’operatore di derivazione

Per fare un’analogia, date due differenti posizioni tra le quali spostarsi
• lo spazio percorso (o il tempo trascorso, o il lavoro della forza d’attrito)
non è un differenziale esatto, perché ovviamente dipende dal percorso
effettuato tra le due posizioni;
• la differenza di quota (o di temperatura, o di pressione) tra le due
posizioni è un differenziale esatto, essendo il suo valore indipendente
dal percorso.
Il lavoro risulta essere una grandezza additiva

Per un moto circolare possiamo esprimere il calcolo del lavoro in una forma
alternativa, utilizzando grandezze angolari; riconoscendo che una forza
tangenziale Ft genera un momento della forza diretto come l’asse di rotazione
(in questo caso z) si ha

dove R è il raggio della circonferenza, e dθ è un vettore orientato come il vettore


velocità angolare

Potenza

Se vogliamo caratterizzare in quanto tempo viene svolto il lavoro, abbiamo


bisogno di definire una nuova grandezza, la potenza media

e la sua unità di misura è il watt (simbolo W), dal nome dell’ingegnere scozzese
Watt3 che definì la grandezza nel sistema di misura britannico nell’ambito delle
macchine a vapore

1 hp (horse power) = 150 lbf · 2.5 mi/h = 745.7 W

Un’unità di misura alternativa per il lavoro4 è il kilowattora (simbolo kWh), pari


al lavoro svolto in 1 h da una potenza di 1 kW. Come è facile desumere, la sua
relazione con le unità di misura del sistema SI è

Se vogliamo avere un’informazione più dettagliata di come venga svolto il


lavoro nel tempo, possiamo ridurre l’intervallo temporale di valutazione,
pervenendo (in ambito meccanico) alla definizione di potenza istantanea

Energia

Quello dell’energia è molto probabilmente il concetto più importante della fisica:


è presente in varie forme, può essere convertita da una forma all’altra, e in
generale esprime la capacità di un corpo di compiere lavoro.

Energia cinetica

Sviluppiamo la definizione di lavoro, utilizzando il secondo principio della


dinamica; in questo caso la forza di cui vogliamo calcolare il lavoro è la forza
risultante che agisce sul corpo, che supponiamo essere a massa costante

Ricordando che

otteniamo

Definita la grandezza K detta energia cinetica

otteniamo
detto teorema dell’energia cinetica, dimostrato da Leibniz5 nel 1686 (era detto
teorema delleforze vive dallo scienziato, in quanto riferito a forze associate al
movimento).

Poiché per la dimostrazione del teorema si è utilizzato il secondo principio della


dinamica, tale teorema è valido anche in meccanica relativa purché si tenga
conto delle forze apparenti6, che consentono di scrivere una legge della dinamica
di forma equivalente

Dalla sua definizione, è immediato osservare che l’energia cinetica è una


grandezza sempre positiva. Quale interpretazione fisica possiamo dare
dell’energia cinetica? Osservando che sela forza risultante applicata a un corpo
compie lavoro ne fa variare la sua energia cinetica, possiamo affermare che
l’energia cinetica rappresenta la capacità di un corpo di compiere lavoro.

Calcoliamo la velocità v di un corpo che scivola su un piano inclinato α con


l’orizzontale, partendo da fermo e soggetto solo al suo peso, quando raggiunge
la base del piano; il lavoro complessivo lo abbiamo già calcolato, ora lo
mettiamo in relazione alla velocità

indipendente dalla pendenza del piano inclinato, ma solo dalla sua altezza,
perché tale era anche il lavoro svolto dalla forza peso.

Calcoliamo lo spazio d’arresto di un corpo che si muove con velocità v su un


piano orizzontale scabro; la risultante delle forze è pari alla forza d’attrito,
perché il peso P è equilibrato dall’appoggio R. La forza d’attrito è contraria al
moto, per cui possiamo scrivere il lavoro in funzione dello spazio percorso d
come

Applicando il teorema dell’energia cinetica siamo in grado di determinare la


distanza d’arresto del corpo

Si abbia un corpo che scivola su un piano scabro lungo d e inclinato α con


l’orizzontale: calcoliamo il lavoro svolto dalle 3 forze (appoggio, peso, attrito)
e applichiamo il teorema dell’energia cinetica per ricavare la velocità finale

Avremmo potuto ottenere il medesimo risultato utilizzando il secondo principio


della dinamica per calcolare la velocità al termine del piano
Il risultato ottenuto con i due metodi si riduce al risultato dell’esempio
precedente nel caso in cui l’attrito sia nullo

Possiamo riscrivere la definizione di energia cinetica in funzione della quantità


di moto

Nel caso in cui il corpo compia un moto rotatorio con velocità angolare ω,
possiamo alternativamente calcolare la sua energia cinetica come

dove I è il momento di inerzia del punto materiale.

Energia potenziale

Esistono particolari forze tali per cui il calcolo del lavoro non dipende dal
percorso, ma solo dalle posizioni iniziale e finale del corpo: tali forze son dette
forze conservative. Se invece il calcolo del lavoro dipende dal percorso
effettuato, la forza in questione si dirà forza non conservativa: il caso per
antonomasia è quello della forza d’attrito.

Spostando un corpo su un piano scabro da una posizione alla medesima


posizione dopo avergli fatto compiere un generico percorso, il lavoro svolto
dalla forza d’attrito è non nullo (in particolare negativo), mentre se il corpo
fosse rimasto fermo (quindi a parità di posizione iniziale e finale del caso
precedente) tale lavoro sarebbe stato ovviamente nullo. Poiché il lavoro della
forza d’attrito è risultato non dipendere solamente dai punti iniziale e finale (in
questo caso coincidenti), ma anche dal percorso, tale forza è non conservativa.

Quali sono le condizioni perché il lavoro non dipenda dalla traiettoria, ma solo
dai punti iniziale e finale (che sono gli estremi di integrazione)? Presi due
qualsiasi percorsi di integrazione, richiediamo che il lavoro calcolato lungo
entrambi i percorsi sia il medesimo

Questa relazione implica che la circuitazione della funzione integranda sia nulla,
ossia sia nullo il lavoro compiuto nello svolgere un qualsiasi percorso chiuso,
infatti

La circuitazione è anche indicata col simbolo

La condizione integrale per cui un campo di forze sia conservativo e quindi si


possa, come vedremo, definire un’energia potenziale è quindi

Se la forza è conservativa, possiamo calcolare il lavoro come l’integrale di una


nuova funzione U che sia (diversamente dal lavoro) un differenziale esatto, in
quanto il calcolo del suo integrale non dipende dal cammino intrapreso, ma
solamente dagli estremi di integrazione

dove U viene detta energia potenziale;il segno meno è una convenzione, e viene
inserito perché si presume che un lavoro svolto da un sistema ne diminuisca la
sua energia. L’energia potenziale è perciò un campo scalare, ossia una funzione
scalare della posizione.

E’ da osservare che se si trova un’energia potenziale U che soddisfa la relazione


precedente, ogni altra funzione U’ che differisca da questa di una costante
additiva arbitraria k la soddisfa; infatti, come facilmente si mostra

perciò l’energia potenziale è definita a meno di una costante additiva scelta a


piacere (sarà il problema che eventualmente potrà suggerire una scelta
conveniente). Dalla conoscenza del lavoro effettuato tra due posizioni siamo
quindi in grado di valutare solo la differenza di energia potenziale, e non il suo
valore.

Scelto quindi arbitrariamente un valore iniziale U0 di energia potenziale in una


certa posizione r0, possiamo ricavare il valore in una generica posizione come

Il peso è una forza conservativa, per la quale possiamo quindi calcolare la


relativa energia potenziale (asse y verticale orientato verso l’alto)
Se chiamiamo Up l’energia potenziale del peso

possiamo scrivere il lavoro svolto dalla forza come

Anche la forza elastica è conservativa; determiniamo quindi l’energia


potenziale elastica (la forza sia diretta come l’asse x)

Se chiamiamo Uel l’energia potenziale elastica

possiamo scrivere il lavoro svolto dalla forza come

Se, nel caso di forza conservativa, siamo in grado di risalire alla relativa energia
potenziale
come possiamo, conoscendo l’energia potenziale, ricavare la forza che l’ha
generata? Scriviamo il contributo elementare dell’energia potenziale,
evidenziando le componenti della forza

Se uniamo a tale espressione il differenziale totale dell’energia potenziale

e confrontiamo i termini, otteniamo 3 equazioni scalari (che sono le 3 derivate


parziali) tra forza ed energia potenziale

Possiamo scrivere sinteticamente queste ultime 3 equazioni scalari con un’unica


equazione vettoriale per mezzo dell’operatore vettoriale gradiente

Il gradiente di una funzione è un vettore orientato nella direzione di massima


variazione della funzione. Come è immediato rilevare, un corpo tende a spostarsi
(F > 0) verso zone a potenziale inferiore (dU < 0).

Consideriamo un generico andamento della funzione energia potenziale


(riportato in figura), per semplicità in un caso monodimensionale; in tal caso la
relazione che lega forza ed energia potenziale si semplifica in
Ricaviamo il verso della forza ad esempio nell’intorno punto x0
• nei tratti a destra di x0, in cui la derivata prima dell’energia potenziale è
positiva, la forza è ivi negativa e quindi diretta verso sinistra;
• nei tratti a sinistra di x0, in cui la derivata prima dell’energia potenziale
è negativa, la forza è ivi positiva e quindi diretta verso destra.

Possiamo dare un significato aggiuntivo all’energia potenziale, ricordando il suo


legame con il lavoro; se consideriamo uno spostamento tra due punti, il lavoro
svolto dalla forza F (che chiameremo lavoro interno) che agisce sul corpo nel
caso questa sia conservativa è pari alla differenza di energia potenziale cambiata
di segno

Il lavoro che dovremmo fornire noi (quindi un lavoro esterno) per far compiere
al corpo il medesimo percorso, supponendo di applicare posizione per posizione
una forza esterna Fext uguale e contraria a quella interna, sarà uguale e opposto a
quello appena calcolato

Possiamo così considerare la variazione di energia potenziale tra due posizioni


come il lavoro esterno che dovremmo compiere per spostare un punto materiale
tra quelle due posizioni. Se poi come posizione iniziale consideriamo l’infinito,
ed in tal punto diamo arbitrariamente valore nullo al potenziale, allora l’energia
potenziale (in questo caso non la sua variazione) risulta pari al lavoro che
dobbiamo compiere per spostare il punto materiale dall’infinito fino alla
posizione desiderata

Il lavoro (interno) svolto dalla forza F è anche pari al lavoro (esterno) che
dovremmo compiere, supponendo sempre di applicare posizione per posizione
una forza Fext uguale e contraria ad F, per riportare il sistema nella posizione
iniziale

Consideriamo un corpo in caduta libera:


• il peso compie un lavoro W = mgh quando il corpo scende di una
quantità h, mentre il lavoro esterno è negativo ed ha in modulo il
medesimo valore del lavoro del peso, Wext = -mgh;
• viceversa, nel caso in cui il corpo salga di una medesima quantità h,
sarà il lavoro del peso a essere negativo e opposto al precedente, W = -
mgh, mentre il lavoro che dovremo svolgere noi sarà proprio Wext =
mgh.

L’energia potenziale è una grandezza additiva, per cui se abbiamo più forze
conservative l’energia potenziale cui è soggetto il punto materiale è pari alla
somma delle energie potenziali delle singole forze considerate separatamente

Statica del punto

Riprendendo i concetti di statica del punto, cerchiamo ora di valutare la


condizione di equilibrio considerando l’energia potenziale della forza: in tale
situazione, dal legame tra forza ed energia potenziale abbiamo

I punti in cui l’energia potenziale assume lo stesso valore sono detti


equipotenziali, e generalmente costituiscono una superficie (nello spazio) o una
linea (nel piano): uno spostamento dr lungo una superficie equipotenziale non
richiede lavoro (perché la variazione di energia potenziale è nulla), e quindi la
forza, che dovrà essere ortogonale allo spostamento per dare lavoro nullo, sarà
ortogonale alla superficie equipotenziale
Nel caso della forza peso, la superficie equipotenziale è orizzontale

e quindi la forza risulta (come già sappiamo) verticale.

Cerchiamo innanzitutto quali siano i vari punti x0 di equilibrio del corpo in base
all’andamento dell’energia potenziale cui è soggetto; in tali posizioni la forza
dev’essere nulla, per cui dev’essere nulla la derivata prima dell’energia
potenziale

Analizzando il grafico (riferiamoci a un caso monodimensionale, ossia una


situazione con un solo grado di libertà) in cui è riportato un generico andamento
dell’energia potenziale con la posizione, troviamo che vi sono 4 tipi di punti che
soddisfano a questo requisito (il quarto punto in realtà si trova su una retta, per
cui ogni punto che appartiene a tale retta soddisfa la condizione di derivata
nulla).

Una volta trovate le posizioni di equilibrio, passiamo ad analizzare la stabilità


del sistema, ossia come si comporta il corpo nell’intorno del punto di equilibrio,
valutando i differenti tipi di equilibrio; spostandoci di poco dal punto di
equilibrio7, la forza di cui risentirà il corpo avrà un valore, ma soprattutto un
verso, che dipenderà dalla forma dell’energia potenziale. I casi che si possono
presentare sono i seguenti:

• la posizione è di equilibrio stabile, per cui se ci spostiamo di poco la forza


è sempre orientata nel verso di richiamare il punto verso la posizione
d’equilibrio (dal grafico, spostandoci di poco a destra di x1 la derivata
dell’energia è positiva, quindi la forza è negativa e orientata verso
sinistra8; spostandoci invece di poco a sinistra, la derivata dell’energia è
negativa, quindi la forza è positiva e orientata verso destra).
Analiticamente, ciò equivale ad affermare che la derivata seconda
dell’energia potenziale nel punto di equilibrio è positiva, e quindi
abbiamo un punto di minimo

• la posizione è di equilibrio instabile, per cui se ci spostiamo di poco la


forza è sempre orientata nel verso di allontanare il punto dalla posizione
d’equilibrio (dal grafico, spostandoci di poco a destra di x2 la derivata
dell’energia è negativa, quindi la forza è positiva e orientata verso destra;
spostandoci invece di poco a sinistra, la derivata dell’energia è positiva,
quindi la forza è negativa e orientata verso sinistra). Analiticamente, ciò
equivale ad affermare che la derivata seconda dell’energia potenziale nel
punto di equilibrio è negativa, e quindi abbiamo un punto di massimo

Una posizione sarà di equilibrio instabile anche nel caso in cui sia di
equilibrio stabile in una direzione e instabile in un’altra, per cui la forza
avrà un effetto diverso a seconda di come ci si sposti dalla posizione di
equilibrio (dal grafico, spostandoci di poco a destra di x3 la derivata
dell’energia è negativa, quindi la forza è positiva e orientata verso destra
e perciò tende ad allontanarci dalla posizione di equilibrio; spostandoci
invece di poco a sinistra, la derivata dell’energia è ancora negativa,
quindi la forza è positiva e orientata verso destra e perciò tende ad
avvicinarci alla posizione di equilibrio. Quello considerato è quindi un
punto di flesso). Analiticamente, ciò equivale ad affermare che la derivata
seconda dell’energia potenziale nel punto di equilibrio è differente a
seconda del dominio considerato
• la posizione è di equilibrio indifferente, per cui se ci spostiamo di poco la
forza è sempre nulla, e quindi non cambia la condizione di equilibrio (dal
grafico, spostandoci di poco a destra o a sinistra di x4 la derivata
dell’energia è sempre nulla, quindi la forza è anch’essa nulla).
Analiticamente, ciò equivale ad affermare che anche la derivata seconda
dell’energia potenziale nel punto di equilibrio è nulla

Intorno a una posizione di equilibrio stabile possiamo ricavare le piccole


oscillazioni; sviluppiamo la funzione energia potenziale in serie di Taylor
intorno alla posizione x0 di equilibrio, e fermiamoci al secondo termine

La derivata prima dell’energia potenziale è nulla in quanto la posizione per


ipotesi è di equilibrio, inoltre essendo un equilibrio stabile la derivata seconda
nella medesima posizione sarà positiva

Sostituiti tali valori, dall’energia potenziale ricaviamo la forza, che risulta


elastica (perché ci siamo arrestati con lo sviluppo in serie al primo termine
utile, ossia il secondo), e quindi fornisce un moto armonico di cui possiamo
ricavare la pulsazione

Energia meccanica
Nel caso in cui si abbiano solo forze conservative (pedice c), possiamo calcolare
il lavoro complessivo come la variazione negativa dell’energia potenziale
complessiva (data dalla somma delle singole energie potenziali), e applicando il
teorema dell’energia cinetica otteniamo

Definita la grandezza Em detta energia meccanica

risulta valere un principio di conservazione dell’energia meccanica. Durante il


suo moto, il corpo potrà quindi essere soggetto a una trasformazione tra le forme
di energia cinetica e potenziale, pur mantenendo costante la sua energia
meccanica.

Nel caso di una molla posta in verticale che oscilla di moto armonico libero, si
ha conversione continua tra energia cinetica, potenziale del peso e potenziale
elastica.

Se invece siamo in presenza di forze varie, conservative e non (pedice nc), parte
dell’energia meccanica potrà variare (solitamente diminuire a causa dell’attrito,
che svolge un lavoro negativo)

a causa del lavoro effettuato dalle forze non conservative.

Nel caso di un corpo che scivola lungo un piano scabro inclinato, l’energia
meccanica non si conserva, e la sua diminuzione viene dissipata dal lavoro non
conservativo (negativo, e quindi produce una variazione negativa dell’energia
meccanica) della forza d’attrito.

Possiamo riepilogare le grandezze della dinamica, distinguendole in lineari e


angolari:
Principi di conservazione

Sappiamo che un corpo si dice isolato quando su di esso non agiscono forze; in
tal caso possiamo associare alla descrizione del moto del corpo alcuni principi di
conservazione.
Utilizzando il secondo principio della dinamica, abbiamo ricavato in precedenza
come in tale situazione valga il principio di conservazione della quantità di moto

e il principio di conservazione del momento angolare

Essendo relazioni vettoriali, valgono anche per le singole direzioni e


componenti.

A questi due principi possiamo ora aggiungere il principio di conservazione


dell’energia, per cui l’energia né si crea né si distrugge, ma si trasforma da una
forma all’altra9. A livello microscopico, infatti, tutte le forze sono conservative,
per cui quelle che ora consideriamo come forze dissipative in realtà sono forze
che convertono l’energia acquisita in altre forme sinora non viste (come ad
esempio l’energia dovuta alla forza elettrica)
Diversamente dalle due precedenti, tale relazione è scalare.

Per un corpo puntiforme isolato sussistono così tre principi di conservazione:


della quantità di moto, del momento angolare e dell’energia. Come studieremo
nel capitolo successivo, tali principi trovano applicazione anche per un sistema
isolato di punti.

Ora chiediamoci: qual è la differenza tra la fisica sperimentale e la fisica teorica


nell’approccio a un problema? Entrambe portano ovviamente allo stesso
risultato, ma percorrendo strade concettualmente diverse:
• la fisica sperimentale sinora descritta parte dai principi della dinamica
dedotti dall’osservazione sperimentale (leggi di Newton) dai quali cerca
di dedurre delle leggi di comportamento puntuali, per poi ricavare i
teoremi di conservazione;
• la fisica teorica ha un approccio diverso, parte dall’affermazione che il
fenomeno del moto deve sottostare ad alcune regole integrali (principio di
minima azione), e in base a tale ipotesi deduce alcuni principi di
conservazione legati all’osservazione delle simmetrie della natura, per
poi ricavare le medesime leggi della dinamica sinora studiate.

A differenza dei principi della dinamica, i principi di conservazione risultano


validi anche nella fisica relativistica e nella fisica quantistica (fisica moderna).

1
il simbolo W per il lavoro deriva dal nome inglese della grandezza, work
2
James Prescott Joule (Salford, Inghilterra 1818 - Sale, Inghilterra 1889)
3
James Watt (Greenock, Scozia 1736 - Handsworth, Inghilterra 1819)
4
utilizzata quando si devono pagare le bollette!
5
Acta eruditorum 3 (1686), Brevis demonstratio
6
la forza di Coriolis non compie lavoro, perché ortogonale alla velocità e quindi allo spostamento:

7
questa operazione è svolta da una forza che è diversa da quelle che hanno generato l’energia potenziale
rappresentata
8
ricordate che la forza ha segno opposto a quello della derivata prima dell’energia potenziale
9
ad esempio l’energia dissipata nell’attrito, come sarà evidenziato in termodinamica, è stata convertita in
calore
Meccanica dei sistemi

Sinora abbiamo considerato il comportamento di un singolo punto materiale; ora


passiamo a sistemi di punti, in termini discreti o continui. Se per identificare la
posizione di un punto servono 3 coordinate, per N punti il numero aumenta
considerevolmente nel caso in cui N sia grande (è pari a 3N). Talvolta però è più
significativo (e realizzabile) avere una conoscenza complessiva del sistema
piuttosto che la conoscenza di ogni singola parte che lo compone;ci
interesseremo quindi a proprietà globali del sistema di punti, che andiamo a
definire.

Cinematica dei sistemi

Cerchiamo di definire delle grandezze complessive per il sistema di punti, e per


far questo introduciamo il concetto di centro di massa.

Centro di massa

Definiamo centro di massa un punto geometrico la cui posizione è data dalla


media, pesata per le masse, delle posizioni dei punti del sistema
dove m è la massa del sistema, somma delle masse delle singole parti costituenti
il sistema

La definizione data è vettoriale: possiamo quindi scrivere separatamente le


componenti della posizione del centro di massa

La localizzazione del centro di massa (in quanto punto geometrico) non dipende
dalla scelta dell’origine del sistema di riferimento, ma ne dipendono invece le
componenti della sua posizione (che ne danno la descrizione).

Come anticipato, il centro di massa è un punto geometrico, non materiale, e in


generale non coincide con nessuno dei punti materiali del sistema: si può
facilmente dimostrare che il centro di massa si trova sugli assi di simmetria
materiale1 del sistema. Se ve n’è più d’uno (di asse di simmetria materiale), il
centro di massa apparterrà all’intersezione di questi.

Se come origine del sistema di riferimento scegliamo un punto che appartenga


a un asse di simmetria materiale (asse y in figura), ossia tale per cui esistano
solo coppie di punti materiali per i quali
allora il centro di massa risulta avere coordinata

ossia appartenente all’asse di simmetria. Se in particolare abbiamo solo due


punti e aventi stessa massa, il loro centro di massa si troverà nel punto medio
del segmento congiungente.

Il centro di massa gode inoltre della proprietà distributiva: presi due sistemi, il
centro di massa dell’insieme dei due coincide col centro di massa di due punti
(pari ai centri di massa dei sistemi originari) nei quali sono poste le masse dei
due sistemi originari

La relazione è facilmente estendibile al caso in cui il sistema sia costituito da più


sottosistemi, per cui il centro di massa complessivo risulta la media, pesata per le
masse, dei centri di massa dei vari sotto-sistemi

Avendo definito la posizione di questo punto privilegiato, possiamo ricavare le


altre sue grandezze cinematiche: la velocità del centro di massa risulta essere

e in modo simile l’accelerazione del centro di massa


Se sinora abbiamo considerato un insieme costituito da un numero discreto di
punti

l’estensione al caso continuo si ottiene suddividendo il sistema in porzioni


infinitesime di massa dm, e sostituendo le sommatorie con integrali

e idem per le altre grandezze cinematiche

Densità

Quando analizziamo una porzione del sistema sufficientemente grande da


contenere un certo numero di punti materiali (tale ipotesi vale sia per un sistema
discreto sia per un sistema continuo), possiamo definire una densità volumica (o
di volume) di massa come il rapporto tra la massa totale m che stiamo
analizzando e lo spazio V che essa occupa
Se la massa è distribuita in modo non omogeneo, possiamo suddividere il
sistema in tante porzioni infinitesime, per ognuna delle quali poter scrivere una
densità locale

L’estensione a sistemi aventi dimensione inferiore è immediata: nel caso di un


sistema bidimensionale, indicando con S l’area su cui si trova distribuita la
massa m, si ha la densità superficiale

mentre nel caso di un sistema monodimensionale, detta L la lunghezza su cui è


distribuita la massa m, si definisce una densità lineare

Se invece il sistema è omogeneo, ossia presenta lo stesso valore di densità locale


in ogni punto, il centro di massa si dimostra trovarsi sugli assi di simmetria
geometrica2, e coincide con il baricentro. Indicando con V il volume, si ha

Idem per sistemi bidimensionali di superficie S

o lineari di lunghezza L

Se il sistema di punti è omogeneo e come origine del sistema di riferimento


scegliamo un punto che appartenga a un asse di simmetria geometrica, ossia
tale per cui esistano solo coppie di porzioni (di lunghezza, di superficie, o di
volume come nell’esempio) per le quali

allora il centro di massa risulta avere posizione

ossia appartenente all’asse di simmetria.

Nella tabella seguente sono riportati alcuni valori di densità di sostanze comuni
in condizioni ambiente3 (temperatura T = 25 °C e pressione p = 1 atm):

Parleremo invece di condizioni standard4 quando avremo temperatura T = 0 °C e


pressione p = 1 atm, anche se esistono definizioni alternative.

Dinamica dei sistemi

Consideriamo un sistema di riferimento inerziale rispetto al quale descrivere la


dinamica del sistema di punti, in analogia con quanto fatto per il singolo punto
materiale. Quali sono le grandezze fisiche rappresentative dell’intero sistema?

Quantità di moto

Cominciamo col definire la quantità di moto del sistema come la somma delle
quantità di moto delle singole parti costituenti il sistema

Dalla definizione di velocità del centro di massa data in precedenza, possiamo


ottenere il primo teorema del centro di massa: la quantità di moto del sistema
risulta pari alla quantità di moto del centro di massa nel quale pensare
concentrata tutta la massa del sistema

Possiamo ora suddividere le forze che agiscono su ogni punto del sistema in
forze interne (esercitate dai restanti punti del sistema) e forze esterne (esercitate
da punti esterni al sistema). Bisogna perciò prestare attenzione a quale sia il
sistema di masse scelto, per stabilire se una forza sia interna o esterna.

Scriviamo la forza risultante che agisce sul generico punto i-esimo come la
somma di una risultante interna e una esterna

Poiché per il principio di azione e reazione a ogni forza interna Fi che agisce su
un punto i-esimo corrisponderà una forza interna Fj uguale e contraria che agirà
su un altro punto j-esimo, la somma di tutte le sole forze interne è, a due a due (e
quindi complessivamente), nulla

Volendo ora calcolare la somma di tutte le forze applicate al sistema, si ha che


per cui la risultante F di tutte le forze (interne ed esterne) applicate al sistema si
riduce alla somma delle sole forze esterne. Applicando alla risultante delle forze
che agisce su ogni punto materiale la seconda legge della dinamica

otteniamo la prima equazione cardinale della dinamica dei sistemi

simile a quella per il punto materiale. Se poi il sistema è a massa costante, vale il
secondo teorema del centro di massa

Il centro di massa si muove come se avesse concentrata in sé tutta la massa m del


sistema e agisse su di esso la risultante F delle sole forze esterne: tale punto e
relativa equazione cardinale identificano il moto traslatorio del sistema. Le forze
interne non modificano quindi il moto del centro di massa.

Per un corpo lanciato libero in aria, il centro di massa si muove soggetto alla
sola forza peso complessiva, e quindi di moto parabolico, come per il punto
materiale. Nulla ancora sappiamo della eventuale componente rotatoria del
moto, né cosa accade alle parti del corpo nel caso in cui questo si divida (a
causa di forze interne) mentre si trova in aria.

Come per la dinamica del punto, anche per i sistemi di punti possiamo scrivere
nel caso di un sistema isolato, ossiaa massa costante e non soggetto a una forza
netta esterna, un corrispondente principio di conservazione della quantità di
moto

Un classico esempio ci è dato dal rinculo di un fucile durante un’operazione di


sparo. L’esplosione che avviene nel fucile proviene da forze interne, per cui si
deve conservare la quantità di moto del sistema: la pallottola, che ha una massa
ridotta, esce con un’alta velocità, e una medesima quantità di moto nel verso
opposto è sperimentata dal cacciatore che regge il fucile.

Momento angolare

Sia O’ il polo, che può essere fisso o mobile, rispetto al quale riferire il calcolo
dei vari momenti; definiamo il momento angolare del sistema come la somma
dei momenti angolari delle singole parti del sistema

dove il vettore ri indica la posizione del punto materiale i-esimo rispetto al polo
O, r’i indica la posizione del punto materiale i-esimo rispetto al polo O’, mentre
rO’ indica la posizione del polo O’.

Legando tale valore del momento angolare a quello calcolato rispetto all’origine
O (fissa) del sistema di riferimento come già visto in dinamica, si ha

Anche i momenti delle forze relativi a ogni punto del sistema possiamo dividerli
in momenti delle forze interne (dovuti alle sole forze interne) e momenti delle
forze esterne (dovuti alle sole forze esterne) al sistema.

Scriviamo il momento risultante che agisce sul generico punto i-esimo come la
somma di una componente interna e una esterna
Poiché per il principio di azione e reazione a ogni forza interna Fi che agisce su
un punto i-esimo corrisponderà una forza interna Fj uguale e contraria che agirà
su un altro punto j-esimo e che avrà la medesima retta di applicazione della
prima, ognuna di queste due forze fornirà un momento uguale e contrario a
quella dell’altra, per cui la somma di tutti i soli momenti interni è, a due a due (e
quindi complessivamente), nulla

Calcoliamo ora la somma di tutti i momenti applicati al sistema

per cui la risultante M di tutti i momenti delle forze (interni ed esterni) applicati
al sistema si riduce alla somma dei soli momenti delle forze esterne.

Ricaviamo il legame che c’è tra il momento delle forze ed il polo scelto per il
calcolo; partendo da quanto già ricavato per il singolo punto materiale possiamo
scrivere
Ora deriviamo rispetto al tempo l’espressione del momento angolare, ricordando
che il punto O è fisso

Ricordando l’espressione ricavata studiando il momento della forza possiamo


riscrivere il tutto come

ottenendo la seconda equazione cardinale della dinamica dei sistemi. Tale legge
identifica il moto rotatorio del sistema.

Nel caso in cui si scelga come polo un punto fisso O’, la sua velocità è
identicamente nulla, per cui possiamo semplificare l’espressione della seconda
equazione cardinale scrivendo

Lo stesso dicasi nel caso in cui il polo O’ coincida col (o abbia la stessa velocità
del) centro di massa C del sistema, perché in tal caso, sfruttando il teorema del
centro di massa,
Un esempio in tal senso ci è offerto dall’orbita di un pianeta intorno al Sole;
come vedremo in gravitazione, la forza di attrazione gravitazionale è centrale
(se prendiamo il Sole come origine del sistema di riferimento), e quindi in tal
caso è nullo il momento della forza in gioco; se aggiungiamo la considerazione
che il centro di massa del sistema Sole-pianeta si può pensare localizzato al
centro del Sole, vista che la massa di quest’ultimo è enormemente più grande
di quella di un qualsiasi pianeta, allora possiamo ricondurci all’equazione
semplificata di cui sopra, e concludere che si conserverà il momento angolare
del pianeta orbitante.

Come per la dinamica del punto, anche per i sistemi di punti vale un analogo
principio di conservazione del momento angolare

Equazioni cardinali

Abbiamo così ottenuto le due leggi o equazioni cardinali che legano la risultante
di forze e momenti esterni agenti sul sistema con le grandezze dinamiche del
sistema, ossia quantità di moto e momento angolare

e tali equazioni risultano essere indipendenti.

Le 2 equazioni cardinali forniscono 6 equazioni scalari; se il sistema di punti che


stiamo considerando costituisce un corpo rigido, il cui moto è completamente
determinato da 6 parametri (3 per la traslazione e 3 per la rotazione)5, le due
equazioni cardinali oltre che necessarie diventano sufficienti.

Il problema del moto relativo tra 2 corpi (tra i quali si presume vi sia come
interazione una forza centrale) è determinato, in quanto servono 6 equazioni
per le 6 coordinate del moto dei 2 punti; studieremo questo problema nel
capitolo relativo agli urti.
Il problema del moto relativo tra 3 corpi (tra i quali si presume vi sia come
interazione una forza centrale) non ha soluzione analitica, perché servono 9
equazioni per le 9 coordinate del moto.

Le equazioni cardinali valgono anche in un sistema di riferimento non inerziale,


purché si considerino anche le forze apparenti.

Dinamica relativa dei sistemi

Se il sistema di riferimento non è inerziale, le due equazioni cardinali valgono


ancora purché si considerino anche le forze apparenti nel computo totale delle
forze agenti.

Sistema di riferimento del centro di massa

Il sistema di riferimento del centro di massa è un sistema generalmente non


inerziale, con origine nel centro di massa (O’≡C) e assi orientati come il sistema
inerziale (ω = 0; α = 0); le grandezze riferite a tale sistema relativo verranno
indicate, come in precedenza, con un apice.

Seguendo il ragionamento presentato in occasione della meccanica relativa del


punto materiale, le grandezze cinematiche di un qualsivoglia punto appartenente
al sistema si possono quindi esprimere come

Dalla definizione, è chiaro che il centro di massa del sistema di punti e relative
grandezze cinematiche valutate proprio rispetto a tale origine (i due punti
coincidono, come riportato sopra) risultano semplificate e in particolare nulle
e di conseguenza risulterà nulla anche la quantità di moto del sistema

Non è così però per altre grandezze, come i paragrafi seguenti mostreranno.

Primo teorema di König

Alcune grandezze possono essere viste come la somma di due contributi:


• un primo termine dovuto al moto medio del sistema.
• un secondo termine dovuto al moto interno del sistema rispetto al centro
di massa;

Il primo teorema di König riguarda il momento angolare; se il polo O’ scelto per


il calcolo del momento angolare coincide col punto C centro di massa del
sistema, in base alla relazione già ricavata sul momento angolare del sistema
possiamo scrivere

dove LC rappresenta il momento angolare dei punti del sistema rispetto al


riferimento del centro di massa (inerente il moto interno del sistema) e L(C) il
momento angolare dovuto al moto del centro di massa (inerente il moto medio
del sistema). Tale relazione è anche detta terzo teorema del centro di massa.

Secondo teorema di König

Partendo dalla relazione sulla composizione delle velocità ricavata per il sistema
di riferimento del centro di massa, per ogni punto i-esimo del sistema possiamo
scrivere
da cui ricavare l’energia cinetica totale del sistema di punti

Come visto, la quantità di moto calcolata rispetto al centro di massa è nulla

per cui dall’espressione sopra otteniamo il secondo teorema di König

dove KC rappresenta l’energia cinetica dei punti del sistema rispetto al


riferimento del centro di massa (inerente il moto interno del sistema), e K(C)
l’energia cinetica dovuta al moto del centro di massa (inerente il moto medio del
sistema).

I due teoremi, dovuti al matematico tedesco König6, mostrano perciò come non
sia corretto pensare tutta la massa concentrata nel centro di massa (come già
visto per la quantità di moto) ai fini del calcolo del momento angolare e
dell’energia cinetica, che risultano quindi due grandezze (quelle riferite al solo
centro di massa) non sufficienti per studiare e riassumere tali proprietà del
sistema.

Relazioni integrali

Come per il punto materiale, anche in questo caso possiamo scrivere delle
relazioni integrali (temporalmente o spazialmente).
Impulso

In analogia con quanto già fatto per le grandezze puntuali, definiamo le


grandezze integrali relative all’intero sistema di punti; l’impulso del sistema è
definito come la somma degli impulsi relativi alle singole parti costituenti il
sistema

Scriviamo la forza risultante che agisce sul generico punto i-esimo come la
somma di una componente interna e una esterna

da cui

Come già descritto, poiché per il principio di azione e reazione a ogni forza
interna Fi che agisce su un punto i-esimo corrisponderà una forza interna Fj
uguale e contraria che agirà su un altro punto j-esimo, la somma di tutte le sole
forze interne è, a due a due (e quindi complessivamente), nulla

e il calcolo dell’impulso del sistema si riduce alla valutazione dell’impulso delle


sole forze esterne

Dalla definizione possiamo ricavare il teorema dell’impulso, equivalente di


quello ricavato per il singolo punto materiale, che corrisponde alla relazione
integrale della prima equazione cardinale; se F(ext) è la forza risultante che agisce
sul sistema di punti si ha

Impulso angolare

Passiamo ora a definire la grandezza duale dell’impulso, utile nel caso di moto
rotatorio; l’impulso del sistema è definito come la somma degli impulsi angolari
relativi alle singole parti costituenti il sistema

Scriviamo il momento risultante che agisce sul generico punto i-esimo come la
somma di una componente interna e una esterna, rispettivamente dovute alle
forze interne ed esterne

da cui
Poiché per il principio di azione e reazione a ogni forza interna Fi che agisce su
un punto i-esimo corrisponderà una forza interna Fj uguale e contraria che agirà
su un altro punto j-esimo, ognuna di queste due forze contribuirà con un
momento uguale e contrario, per cui la somma di tutti i momenti interni è a due a
due, e quindi complessivamente, nulla

e il calcolo dell’impulso angolare del sistema si riduce alla valutazione


dell’impulso angolare dei soli momenti esterni, ossia dovuti a forze esterne

Dalla definizione possiamo ricavare il teorema dell’impulso, equivalente di


quello ricavato per il singolo punto materiale, che corrisponde alla relazione
integrale della seconda equazione cardinale; se M(ext) è il momento risultante che
agisce sul sistema di punti si ha (considerando un polo fisso rispetto a cui
valutare i momenti delle forze e angolari)

Energia cinetica

Come per la quantità di moto e il momento angolare, anche l’energia cinetica del
sistema è definita come la somma delle energie cinetiche di tutti i punti del
sistema
Sia Fi la risultante di tutte le forze che agiscono sull’i-esimo punto materiale;
scomponendo tale forza in una componente esterna e una interna, possiamo
scrivere il lavoro svolto sul singolo punto materiale e applicare a esso il teorema
dell’energia cinetica

Scriviamo ora il lavoro complessivo

Collegando i lavori delle risultanti agenti sui punti i-esimi alle relative variazioni
di energia cinetica, ritroviamo il teorema dell’energia cinetica applicato
all’intero sistema

Il lavoro delle sole forze interne dipende dalle mutue distanze tra i vari punti;
infatti, dal terzo principio della dinamica (azione e reazione) applicato per ogni
coppia di punti i e j si ha
Nel calcolo del lavoro complessivo non possiamo perciò trascurare le forze
interne, perché il loro lavoro non è nullo (a meno che le mutue distanze tra i
punti non varino, come per il corpo rigido).

Energia potenziale

Parimenti a quanto fatto per il punto materiale, se tutte le forze applicate al


sistema sono conservative, possiamo definire un’energia potenziale del sistema,
così da poter scrivere

dove l’energia potenziale potrà esser scomposta in una parte dovuta alle forze
interne e una alle forze esterne

Otteniamo quindi la definizione di energia meccanica del sistema e relativo


principio di conservazione

Se invece solo alcune forze sono conservative, la relazione andrà modificata per
tenere conto del lavoro delle forze non conservative

e la variazione di energia meccanica sarà pari al lavoro delle forze non


conservative.

Energia propria

L’energia meccanica non rappresenta una caratteristica del solo sistema, perché
contiene anche termini (causa le forze esterne) dovuti all’ambiente; se quindi
riconsideriamo la suddivisione dei termini di energia potenziale fra quelli dovuti
a forze interne e quelli a forze esterne

possiamo riscrivere l’energia meccanica come


Il termine tra parentesi è detto energia propria del sistema e, diversamente
dall’energia meccanica, è quella parte di energia dovuta solo ai costituenti del
sistema

A livello microscopico, tutte le forze interne sono conservative, per cui dalla
definizione di lavoro otteniamo per il lavoro delle forze esterne

così che il lavoro delle forze esterne va a incrementare l’energia propria del
sistema.

Riguardo le forze esterne, solo in alcuni il calcolo dell’energia potenziale esterna


è semplice, come nel caso della forza peso in cui si può notare che l’energia
potenziale esterna del sistema (somma delle energia potenziali cui sono soggetti
i singoli punti materiali) è pari all’energia potenziale esterna di un punto
materiale dotato di tutta la massa del sistema e posizionato nel centro di massa
del sistema

Energia interna

Poiché l’energia cinetica dipende dal sistema di riferimento (visto che ne


dipende la velocità), sfruttando il secondo teorema di König possiamo scrivere la
relazione come
in cui il termine tra parentesi viene detto energia interna7 del sistema

e non contiene l’energia del movimento del centro di massa: l’energia interna è
l’energia propria del sistema nel sistema di riferimento del centro di massa (nel
quale l’energia propria assume valore minimo, come l’energia cinetica).

Abbiamo ricavato come il lavoro delle forze interne sia dipendente dalle mutue
distanze tra i vari punti; infatti per ogni coppia di punti i e j si ha, come già
evidenziato, che

e se le forze sono conservative possiamo introdurre l’energia potenziale interna


come somma di coppie di termini, ognuno dovuto alle mutue interazioni tra
coppie di punti materiali

Poiché la sommatoria è svolta su tutte le coppie di punti, ma per ogni coppia il


termine potenziale è il medesimo, possiamo riscrivere il tutto come

dove nell’ultima sommatoria (diversamente dalla prima) si tiene conto dei doppi
termini: essendo questi uguali a due a due, l’½ iniziale risolve il risultato
dell’espressione.

Principi di conservazione

Come già accennato, per un sistema isolato (ossia un sistema a massa costante e
sul quale non agiscono forze esterne)scelto un polo fisso O’ (che per comodità
non indicheremo a pedice del momento delle forze e del momento angolare)
dalle equazioni cardinali otteniamo il principio di conservazione della quantità di
moto

e il principio di conservazione del momento angolare

Essendo relazioni vettoriali, le regole di conservazione valgono anche per le


singole direzioni e componenti.

A questi due principi (che in realtà dovremmo chiamare teoremi, essendo


dimostrati a partire dalle leggi della dinamica) si deve aggiungere il principio di
conservazione dell’energia; a livello microscopico tutte le forze fondamentali
sono conservative, per cui non esistono forze dissipative e lavori di forze non
conservative, e quindi l’energia meccanica totale si conserva

Dai principi di conservazione di quantità di moto e momento angolare applicati


ad un sistema isolato costituito da due punti materiali possiamo ricavare il terzo
principio della dinamica (nelle espressioni qui sotto sottintendiamo, per non
appesantire graficamente i termini, che il momento delle forze e il momento
angolare siano calcolati rispetto ad un polo O fisso)

Le due relazioni garantiscono che le forze siano uguali e contrarie, e dirette


lungo la stessa retta d’azione.

Urti
Un urto è un’interazione fra due o più punti, relativamente intensa e che avviene
per un intervallo di tempo relativamente breve, e perciò detta forza impulsiva;
l’interazione può essere
• a contatto (urto classico fra corpi, come nel gioco del biliardo);
• non a contatto (forza a distanza, come la forza gravitazionale o la forza
elettrica).

Se durante il tempo dell’urto si ha una forza esterna nulla, è immediato mostrare


che tra prima e dopo l’urto si conserva la quantità di moto del sistema; dalla
prima equazione cardinale infatti si ha

Lo stesso dicasi nel caso in cui non vi siano forze esterne (quanto meno
impulsive) lungo una direzione; in tal caso si conserverà la componente della
quantità di moto lungo quella direzione.

La quantità di moto si conserva anche nel caso di forza esterna non impulsiva,
per la quale il suo valore medio valutato nell’intervallo temporale Δt dell’urto sia
molto inferiore alla forza interna media Fm (vedi figura sopra) nel medesimo
intervallo. Se supponiamo un sistema costituito da due punti materiali, per
ognuno dei due punti possiamo scrivere l’impulso dovuto alla risultante delle
forze, con l’approssimazione di cui sopra sull’impulso delle forze esterne
Ricordando che per le forze interne vale il terzo principio della dinamica8

l’impulso complessivo del sistema risulta nullo, e quindi si conserva la quantità


di moto del sistema tra prima e dopo l’urto

Le reazioni vincolari hanno spesso carattere impulsivo, perciò in tali condizioni


la conservazione della quantità di moto non è assicurata.

Gli istanti iniziale e finale di valutazione devono essere quelli immediatamente


prima e dopo l’urto; allungando l’intervallo di valutazione l’importanza
dell’impulso delle forze esterne può diventare non irrilevante, e possiamo non
più avere la conservazione della quantità di moto.

Durante l’urto, nel caso di forze esterne nulle o non impulsive, si conserva anche
il momento angolare del sistema, ma questo non aggiunge informazioni se
stiamo considerando solo le componenti traslatorie e non rotatorie tra i punti
materiali.

Inoltre possiamo scrivere un bilancio energetico tra i componenti del sistema


responsabili dell’urto, e se consideriamo conservative sia le forze interne sia
quelle esterne possiamo introdurre un’energia potenziale per entrambe e scrivere
la conservazione dell’energia meccanica

Se l’urto avviene in un ristretto intervallo temporale, la posizione dei punti


materiali interessati dall’urto rimane pressoché la medesima, e quindi tale rimane
anche l’energia potenziale esterna, in quanto dipendente solo dalla posizione.

Possiamo ora avere due situazioni, in base a ciò che avviene per l’energia
potenziale interna:
• durante l’urto non si ha una variazione dell’energia potenziale interna, e
quindi dovendosi conservare l’energia meccanica totale si conserva
l’energia cinetica del sistema (avremo un urto elastico);
• durante l’urto si ha una variazione dell’energia potenziale interna (in
aumento o in diminuzione), e quindi di riflesso deve variare l’energia
cinetica del sistema per conservare l’energia meccanica (avremo un urto
anelastico).

Analizziamo ora tali urti particolari, ponendo l’accento sulla conservazione o


meno dell’energia cinetica.

Urti elastici

Come abbiamo appena osservato, in un urto elastico oltre alla quantità di moto si
conserva l’energia cinetica del sistema.

Nel caso di urto monodimensionale (ossia un urto centrale, in cui la traiettoria


lineare è diretta come la congiungente le due masse, sia prima sia dopo l’urto) la
situazione finale è univocamente determinata, in quanto si hanno 2 equazioni
scalari (una per la quantità di moto e una per l’energia cinetica) sufficienti a
determinare le 2 incognite (le velocità finali dopo l’urto)

in cui con l’apice sono indicate le variabili cinematiche dopo l’urto. Possiamo
risolvere il sistema, ricavando v2’ dalla prima equazione e sostituendolo nella
seconda

Possiamo ora semplificare la seconda equazione, raccogliendo i vari termini


Moltiplicando ogni termine per m2/m1

possiamo ricavare le soluzioni dell’equazione di secondo grado analizzando il


discriminante Δ

da cui ottenere

Le due soluzioni generali quindi sono

La prima soluzione rappresenta una situazione di invarianza (i due corpi


mantengono ognuno le proprie velocità iniziali), perciò la soluzione fisicamente
interessante è la seconda; analizziamo ora alcune soluzioni particolari.
Nel caso in cui si abbiano ad esempio masse uguali (m1 = m2), lasoluzione si
semplifica in

ossiai due punti materiali si scambiano le rispettive velocità.

Se in particolare il secondo corpo era inizialmente fermo (v2 = 0), dopo l’urto il
primo corpo si fermerà, mentre il secondo ripartirà con una velocità uguale a
quella che aveva il primo corpo prima dell’urto.

Il funzionamento del pendolo di Newton, costruito nel 1666 da Hooke, si basa


proprio sul principio di conservazione della quantità di moto; è costituito da
varie sferette (solitamente 3 o 5) ognuna sorretta da fili collegati a due aste
orizzontali, come un pendolo, e a contatto laterale tra loro quando si trovano in
posizione di riposo.

Se una prima sferetta che si trova a un estremo viene allontanata dalla


posizione di equilibrio, lasciata libera comincerà il suo moto oscillatorio sino a
che urterà la seconda posta in verticale. A questo punto, essendo le sferette
della medesima massa, la prima si fermerà e trasmetterà alla seconda la sua
velocità, che proseguirà nel moto.

Poiché anche la seconda sferetta si trova a contatto con una terza il


meccanismo si ripete, sino a che si arriva all’altro estremo e l’ultima sferetta
riparte con una velocità pari a quella che aveva la prima sferetta poco prima di
effettuare il suo urto, e comincerà a oscillare. Quando quest’ultima rientra
dall’oscillazione il gioco ricomincia...

A ogni urto possiamo applicare il principio di conservazione della quantità di


moto orizzontale perché nel momento dell’urto non intervengono forze
orizzontali: le forze presenti sono infatti il peso (verticale) e la tensione del filo
(diretta come il filo e quindi verticale).

Analizziamo un altro caso particolare, quello in cui il secondo punto materiale


sia inizialmente fermo (v2 = 0). Dalla soluzione generale ricaviamo ora

Nel caso aggiuntivo in cui m1 < m2, dopo l’urto il primo corpo tornerà indietro
dopo l’urto

Se poi m1 << m2, dopo l’urto il primo corpo tornerà indietro con la medesima
velocità, mentre il secondo rimarrà fermo

Dimostrare che in urto elastico tra 2 corpi di massa m1 e m2 in cui la massa m2


sia inizialmente ferma, l’energia trasferita risulta essere massima quando m2 =
m1.
In un urto elastico si conserva sia la quantità di moto prima e dopo l’urto sia
l’energia cinetica

dove gli apici rappresentano le quantità dopo l’urto. Ricavando v1’ e


sostituendo

Svolgendo i calcoli troviamo

dove abbiamo raccolto il termine costante

Se vogliamo che Etrasf sia un massimo dev’essere

da cui
Nel caso di urto pluridimensionale, il numero di equazioni è sempre inferiore al
numero di variabili (le componenti delle velocità dopo l’urto)
• nel piano abbiamo 3 equazioni (2 per la quantità di moto e 1 per l’energia
cinetica) e 4 incognite (le 2 componenti delle velocità per ogni punto
materiale)
• nello spazio abbiamo 4 equazioni (3 per la quantità di moto e 1 per
l’energia cinetica) e 6 incognite (le 3 componenti delle velocità per ogni
punto materiale)
per cui serve qualche informazione aggiuntiva.

Urti anelastici

Come accennato, in un urto anelastico l’energia cinetica non si conserva durante


l’urto, e possiamo avere:
• un urto esogeno quando l’energia cinetica aumenta dopo l’urto (come in
un’esplosione, in cui dell’energia aggiuntiva è stata fornita al sistema);
• un urto endogeno quando l’energia cinetica diminuisce dopo l’urto (come
in una collisione, in cui parte dell’energia va dissipata in riscaldamento o
deformazione).

L’urto viene detto perfettamente anelastico se dopo l’urto i corpi rimangono


attaccati tra loro e quindi ripartono con la medesima velocità.

Questo equivale ad affermare che, in base al secondo teorema di König, dopo


l’urto il termine KC che rappresenta l’energia cinetica dei punti del sistema
rispetto al centro di massa è nullo.

Nel caso di urto monodimensionale, per un urto perfettamente anelastico il


principio di conservazione della quantità di moto è sufficiente per determinare lo
stato finale dei due punti, in quanto ora abbiamo una variabile in meno da
ricavare (i corpi ripartono con la medesima velocità)

Possiamo anche ricavare la quantità di energia cinetica persa


Nel caso di urto pluridimensionale, come per il caso elastico dobbiamo scrivere
più equazioni, ma in questo caso manca l’equazione relativa alla conservazione
dell’energia cinetica, e possiamo utilizzare solo quella per la conservazione
(vettoriale) della quantità di moto.

In generale gli urti non sono mai né elastici né perfettamente anelastici;si


definisce quindi un coefficiente di restituzione e che rende conto di quanto sia
elastico l’urto. Presi due corpi di massa m1 << m2, di cui il secondo inizialmente
fermo, i due vengono fatti collidere; dopo l’urto il secondo rimarrà
sostanzialmente fermo (avendo massa molto maggiore del primo), mentre il
primo verrà respinto indietro con una velocità che al massimo potrà essere
uguale a quella incidente.

Quindi possiamo scrivere

Il coefficiente di restituzione rappresenta quindi un indice della conservazione


dell’energia iniziale

che potrà essere, nei casi estremi,


• completa (e = 1) in caso di urto perfettamente elastico;
• nulla (e = 0) nel caso in cui tutta l’energia cinetica iniziale sia assorbita.

Prendiamo ad esempio una pallina che cade a terra da un’altezza hi e che


rimbalza a un’altezza inferiore hf; in questo caso dal principio di conservazione
dell’energia meccanica possiamo ricavare, partendo dalle due altezze, la
velocità di impatto e di partenza dopo l’urto
e quindi il coefficiente di restituzione

Il pendolo balistico è una struttura costituita da un blocco di legno appeso


verticalmente tramite un filo. Una pallottola viene sparata orizzontalmente con
velocità v verso il blocco, così da rimanerne conficcata e da far oscillare il
blocco fino a un’altezza massima h, dalla quale si può dedurre la velocità del
proiettile: come?

Visto che la pallottola rimane conficcata nel blocco, l’urto è completamente


anelastico: osservando che non sussistono forze orizzontali durante l’urto (la
tensione del filo è sempre diretta come il filo, e durante l’urto è verticale), si
conserva la componente della quantità di moto in questa direzione, per cui
possiamo scrivere

dove V è la velocità con la quale riparte il sistema blocco+proiettile dopo


l’urto.

Le forze presenti durante l’urto sono i due pesi, verticali, e la tensione del filo:
questa, per come è stato definito il filo o la fune, ha componente solo lungo la
direzione del filo. Diverso è invece il caso in cui si abbia un’asta, ma di questo
si parlerà nei corpi rigidi.

Dopo l’urto, i due corpi proseguono lungo la traiettoria circolare disegnata in


figura, fino ad arrivare a un’altezza h per la quale tutta l’energia cinetica è
diventata potenziale gravitazionale (l’energia meccanica si conserva, non
essendovi forze dissipative)

che sostituita nell’espressione precedente fornisce

Dimostrare che in urto anelastico tra 2 corpi di massa m1 e m2 l’energia


dissipata risulta essere massima quando l’urto è perfettamente anelastico.

In un urto anelastico si conserva la quantità di moto prima e dopo l’urto, ma


non l’energia cinetica, che anzi diminuisce per dissipazione (termica, di
deformazione, ...)

dove gli apici rappresentano le quantità dopo l’urto. Ricavando v2’ e


sostituendo

dove abbiamo raccolto il termine costante (le due velocità iniziali sono date)

Svolgendo i calcoli troviamo

avendo raccolto il termine costante


Se vogliamo che Ediss sia un massimo dev’essere

Sostituendo tale valore nell’espressione di v2’ abbiamo

perciò le due velocità dopo l’urto risultano le medesime, come risulta essere in
un urto perfettamente anelastico in cui i due corpi procedono insieme nel moto.
Da notare come l’espressione trovata della velocità dopo l’urto corrisponda alla
velocità del centro di massa.

Che il valore trovato di v1’ dia luogo proprio a un massimo (e non a un


minimo) nell’energia dissipata è presto verificato, osservando che la derivata
seconda di Ediss valutata in tale valore risulta negativa:

1
un asse si dice disimmetria materiale se a ogni punto materiale ne corrisponde un secondo avente stessa
massa e posto in posizione opposta rispetto all’asse
2
un asse si dice disimmetria geometrica se a ogni porzione ne corrisponde una seconda avente stessa
misura (lunghezza nel caso monodimensionale, superficie nel caso bidimensionale, volume nel caso
tridimensionale) e posta in posizione opposta rispetto all’asse
3
SATP, Standard Ambient Temperature and Pressure, in inglese
4
STP, Standard Temperature and Pressure, in inglese
5
va comunque ricordato che ai 6 parametri del moto vanno aggiunti i 6 parametri relativi alle condizioni
iniziali (per la posizione e 3 per l’inclinazione)
6
Johann Samuel König (Büdingen, Germania 1712 - Zuilenstein, Olanda 1757)
7
concetto che ritroveremo in termodinamica
8
le forze interne si elidono sempre a vicenda, anche se sono impulsive (come in uno scontro frontale o in
un’esplosione)
Gravitazione

La forza gravitazionale è la prima interazione fondamentale che studiamo, ed è


la responsabile sia della forza peso sia del moto dei pianeti nel sistema solare
(così come del moto dei satelliti attorno alla Terra).

Ripercorriamo brevemente la situazione prima del 1500, periodo in cui lo studio


della gravitazione fece un notevole passo avanti. Al tempo di Aristotele si
pensava che i pianeti si muovessero su orbite circolari (le sfere celesti, le più
regolari di tutte le traiettorie) attorno alla Terra, che costituiva il centro di tale
moto (perciò era detta teoria geocentrica). Tolomeo1 ampliò questo discorso per
cercare di spiegare il reale moto dei pianeti, che l’osservazione mostrava
discostarsi dal moto circolare; sempre in ambito geocentrico, utilizzò per
descrivere le orbite dei pianeti delle epicicloidi (ossia la combinazione di
movimenti circolari), prevedendo le loro posizioni con un errore inferiore ai 2°.

Lo studio della gravitazione proseguì poi agli inizi del 1500 con Copernicus2
(italianizzato in Copernico), che propose una nuova teoria eliocentrica: il
modello non era migliore di quello tolemaico, ma esteticamente si mostrava più
elegante, seppur con la stessa accuratezza sulle osservazioni.

Cinematica gravitazionale

Capire il comportamento delle stagioni è sempre stato importante per l’uomo, a


causa del legame di queste con l’agricoltura e la vita quotidiana, per cui
l’interesse per la gravitazione ha un fondamento anche pratico. Lo stesso si
potrebbe dire per la spettacolarità di certi fenomeni celesti (pensate alle eclissi),
dei quali poco si sapeva e che affascinavano l’uomo stimolandone lo studio.

Ora sappiamo che la volta celeste è costellata di pianeti e stelle:


• il moto dei pianeti si ripete periodico, compiendo talvolta strani percorsi
in cielo;
• le stelle invece si ripresentano quasi indisturbate a ogni osservazione
notturna.

Il nostro studio si focalizza qui sui primi, cercando di studiarne il moto per poi
cercare di prevederlo.

Le posizioni dei vari corpi celesti erano state osservate inizialmente a occhio
nudo e annotate con cura dal nobile danese Brahe3, prima delle misure effettuate
poi da Galileo4 col cannocchiale a partire dal 1609. Su tali misure si basò poi
Kepler5 (italianizzato in Keplero), matematico allievo di Brahe, per costruire le
sue leggi che descrivono il moto dei pianeti intorno al Sole, Terra compresa.

Prima di passare a descrivere le varie leggi, è utile premettere che le leggi di


Kepler sono rigorosamente valide (come ora sappiamo) solo nel caso in cui
• la massa del pianeta orbitante sia molto inferiore a quella del Sole (per
cui il centro di massa si può considerare coincidente con quest’ultimo);
• i pianeti non interagiscano tra loro (che equivale ad affermare che sia
trascurabile la forza gravitazionale tra i pianeti rispetto a quella degli
stessi col Sole).

Passiamo ora a enunciarle e studiarle.


Prima legge di Kepler

La prima legge di Kepler o legge delle distanze, formulata nel 1609, dice che

“Ogni pianeta si muove attorno al Sole su orbite ellittiche


di cui il Sole occupa uno dei due fuochi”

Ciò significa che il centro del moto (il Sole) non coincide col centro geometrico.

In figura si mostra il Sole (S) e un pianeta (T) che vi ruota attorno, e il raggio
vettore (r) che unisce il primo al secondo (il Sole è quindi scelto come origine
del sistema di riferimento); sono riportati anche il semiasse maggiore (a) e
minore (b) dell’ellisse. L’afelio (A) è il punto di massima distanza di un pianeta
dal Sole, mentre il perielio (P) è il punto di minima distanza. Come è mostrato
anche in figura, all’afelio e al perielio la velocità del pianeta è ortogonale al
vettore posizione.

Similmente ad afelio e perielio, l’apogeo è il punto di massima distanza di un


satellite artificiale o naturale (la Luna) dalla Terra, mentre il perigeo è il punto
di minima distanza.
Si può ricavare geometricamente che se la forza attrattiva cui è soggetto il
pianeta orbitante di massa m è centrale e dipende dall’inverso del quadrato
della distanza tra il pianeta e il Sole, il tipo di orbita che se ne ricava è una
conica6, di cui l’orbita ellittica è un caso particolare. Utilizzando infatti le
proprietà dei versori in coordinate polari per scrivere la forza

e sostituendo tale forza nella legge fondamentale otteniamo

Ricordando l’espressione del momento angolare (che è costante per una forza
centrale, avendo questa momento nullo), possiamo sostituire nell’espressione
precedente

per cui ora si ha

Durante il moto rimane quindi costante il vettore (detto vettore di Runge-Lenz)


tra parentesi, che possiamo riscrivere come

Il modulo del vettore tra parentesi (che indicheremo con e) lo possiamo


ottenere valutando tale vettore in un punto in cui la velocità sia parallela al
versore tangente (v = vθ), ossia nel punto di minima distanza7
Riprendiamo ora il vettore di cui abbiamo determinato il modulo (e) e avente la
generica direzione ue, e moltiplichiamo scalarmente ogni termine per uθ

per cui possiamo scrivere

che risulta l’equazione scritta in termini polari di una conica, ossia delle
possibili intersezioni di un cono con un piano, in cui
• r è la distanza
• θ l’angolo
• e l’eccentricità (definisce la forma della conica)
• p il parametro di scala (definisce la dimensione della conica8)

Dal valore dell’eccentricità dipende quindi la forma della conica


• e > 1: orbita iperbolica
• e = 1: orbita parabolica
• 0 < e < 1: orbita ellittica (è il caso che stiamo analizzando con la I legge
di Kepler)
• e = 0: orbita circolare Nel caso in cui tale forza sia quella gravitazionale
(che ricaveremo a breve) e applicata a una massa m1 orbitante attorno a
un corpo di massa m2 >> m1, è immediato ricavare che

Viste le dimensioni solitamente in gioco quando si parla di distanze


astronomiche, in tal ambito si definisce l’unità astronomica (simbolo UA) come
la distanza media della Terra dal Sole

Un’unità di misura di lunghezza ancor maggiore è rappresentata dall’anno luce


(simbolo ly)9, pari alla distanza percorsa dalla luce in un anno; considerando la
velocità della luce, c = 299 792 458 m/s, e che la durata di anno solare è di
365.25 giorni, si ottiene

Dal valore dei parametri p ed e dell’ellisse, possiamo ricavare le dimensioni dei


due semiassi a (il maggiore) e b (il minore); infatti i valori minimi (al perielio)
e massimi (all’afelio) del vettore posizione

corrispondono a

da cui poter determinare facilmente il semiasse maggiore a


Aiutandoci con la figura, determiniamo ora la distanza f del fuoco dal centro
dell’ellisse

Nel punto B in cui il raggio vettore passa per l’intersezione col semiasse
minore b si ha

Da osservare che, come caso particolare in cui sia abbia un’orbita circolare (e =
0), i due semiassi coincidono e corrispondono al parametro di scala p, pari in
questo caso al raggio della circonferenza.

Seconda legge di Kepler

La seconda legge di Kepler o legge delle aree, formulata nel 160910, dice che

“Il raggio vettore che unisce il Sole a un pianeta


descrive aree uguali in tempi uguali”

I pianeti non si muovono quindi a velocità costante lungo le loro orbite.

Ciò implica che in prossimità dell’afelio (A), punto in cui la posizione del
pianeta (T) è alla massima distanza dal Sole (S), la velocità sarà minima, mentre
al perielio (P), posizione alla minima distanza dal Sole, sarà massima, così che
nel medesimo tempo l’area spazzata dal vettore posizione (r) sia la stessa (tratti
ombreggiati in figura).
Quella richiamata da Kepler è la velocità areolare, già introdotta studiando il
moto centrale in dinamica

Questa legge è valida per ogni forza centrale, come già mostrato parlando della
velocità areolare, non necessariamente dipendente dall’inverso del quadrato
della distanza.

Terza legge di Kepler

La terza legge di Kepler o legge dei periodi, formulata nel 1619, dice che

“Il rapporto tra il quadrato del periodo di rivoluzione


e il cubo del semiasse maggiore11 dell’ellisse
è il medesimo per ogni pianeta”

I pianeti più vicini al Sole hanno quindi periodi inferiori di rivoluzione.

In tabella si riportano alcuni dati relativamente ai pianeti del sistema solare (la
massa m ed il raggio R) e della loro orbita (il periodo T, l’eccentricità e ed il
semiasse maggiore a), ordinati per distanza dal Sole: l’ultima colonna riporta il
calcolo richiamato nella terza legge, e come si nota risulta il medesimo per i vari
pianeti
Il basso valore dell’eccentricità registrato da tutti i pianeti indica che le ellissi
sono poco schiacciate e molto simili a circonferenze.

La legge è rigorosamente valida solo perché la massa del Sole è molto più
grande della massa di qualsiasi pianeta orbitante, così che il centro di massa si
possa considerare coincidente col Sole e si possa assumere che si conservi il
momento angolare del solo pianeta orbitante attorno al Sole: riprenderemo
questo concetto introducendo l’energia potenziale efficace gravitazionale.

Dinamica gravitazionale

Sinora abbiamo descritto l’aspetto cinematico dei pianeti per mezzo delle leggi
di Kepler senza soffermarci sul perché il loro moto sia proprio quello descritto
da tali leggi; ora passiamo all’aspetto dinamico per mezzo della legge di
Newton, ricavando la forza gravitazionale causa del moto planetario (e non
solo).

Prima degli studi di Newton12, si pensava che le leggi che governavano i moti
terrestri (ad esempio la caduta di un grave) fossero differenti da quelle che
governavano il moto celeste (ad esempio l’orbita della Luna intorno alla Terra);
lo scienziato intuì l’unificazione delle due cause, i cui effetti (le accelerazioni)
erano differenti solo perché erano diverse le distanze in gioco, e partendo dalle
leggi di Kepler nel 1666 formulò13 la legge di gravitazione universale, resa poi
nota solo nel 1687.

Forza gravitazionale
Cerchiamo di ricavare la forza che genera il moto dei pianeti descritto dalle leggi
di Kepler, partendo da una situazione semplificata; vi sia un corpo m1 che orbita
intorno a un corpo di massa m2. Ipotizziamo che il moto di rivoluzione sia
circolare di raggio r (è un caso particolare di moto ellittico, come dettato dalla
prima legge di Kepler: è il tipo di moto descritto ad esempio dalla Luna in orbita
attorno alla Terra).

Sappiamo dalla seconda legge di Kepler che tale orbita circolare avrà una
velocità areolare costante; per un moto circolare, in cui in ogni punto la
posizione è ortogonale alla velocità, l’area di un settore circolare vale

per cui la velocità areolare risulta

ed essendo la distanza r sempre costante (è il raggio della traiettoria circolare)


anche la velocità angolare ω risulterà costante: il moto sarà circolare uniforme.

La forza sarà quindi centripeta e diretta verso il centro della traiettoria circolare
(la direzione è quella della congiungente tra le due masse)

Utilizzando ora la terza legge di Kepler otteniamo


per cui potremo scrivere che la forza di cui risente il corpo m1 a causa di m2 ha
un’intensità che dipende da 1/r2; raggruppando i termini costanti

dove γ1 racchiude le varie costanti. La medesima forza, per il terzo principio


della dinamica, deve essere sentita dal corpo m2 a causa del corpo m1, per cui

Quindi la forza deve dipendere linearmente da entrambe le masse in gioco, e


possiamo scrivere, raggruppando i termini, l’espressione della forza
gravitazionale o di Newton

dove la costate di proporzionalità γ (di difficile misura e tuttora la meno nota


delle costanti fisiche fondamentali) viene detta costante di gravitazione
universale

γ = 6.67428·10-11 Nm2/kg2

Varie misure di tale costante si sono susseguite negli anni, la più famosa delle
quali è quella eseguita da Henry Cavendish14 nel 1798 con la bilancia di
torsione.

La forza è attrattiva (da cui il segno meno nell’espressione vettoriale), non a


contatto (come tutte le interazioni fondamentali), e vale solo per masse
puntiformi (si può dimostrare che vale anche per corpi sferici, tramite il teorema
di Gauss, pensando la massa tutta concentrata nel centro della sfera).

Essendo una forza centrale, il moto sarà contenuto in un piano (che contiene la
massa m2 intorno alla quale ruota il pianeta m1), detto piano orbitale (nel caso
della Terra, tale piano è detto eclittica).

A quale distanza dalla superficie terrestre si trova un satellite geostazionario in


orbita intorno alla Terra? I dati relativi alla Terra sono MT = 5.98·1024 kg; RT =
6.37·106 m.

Consideriamo l’orbita del satellite come circolare: dire che il satellite è


geostazionario (tipo quelli per telecomunicazioni) significa che una persona
sulla Terra lo vede sempre nella stessa posizione, il che vuol dire che il satellite
impiegherà un tempo T = 24 h = 86 400 s per compiere un giro intorno alla
Terra, pari al tempo di rotazione terrestre.

Durante questo tempo, mentre si trova alla distanza r dalla superficie della
Terra, il satellite è soggetto alla forza gravitazionale terrestre, che è la forza
necessaria per mantenere il moto circolare uniforme e quindi fornire
l’accelerazione centripeta; questo significa che

e quindi otteniamo

Determiniamo l’accelerazione di gravità dalla forza gravitazionale; la forza


peso è la forza gravitazionale valutata in prossimità della superficie terrestre,
per cui dalla legge di Newton, nell’approssimazione r << RT, otteniamo
Massa gravitazionale

La forza gravitazionale ricavata da Newton

contiene al suo interno una grandezza fisica caratteristica dei due corpi, che
abbiamo indicato con m e possiamo definire massa gravitazionale. A priori non
vi è nessun motivo per cui tale grandezza coincida con la massa inerziale
introdotta con la legge fondamentale della dinamica, e che esprime l’inerzia di
un corpo al movimento: sembrerebbe ragionevole che, riguardando aspetti fisici
differenti (inerzia e gravitazione), ogni corpo vi partecipasse con una grandezza
che possa risultare differente.

Indicando quindi con mi e mg rispettivamente la massa inerziale e la massa


gravitazionale di un corpo, poiché sulla superficie terrestre ogni corpo è soggetto
ad una accelerazione di gravità g, possiamo scrivere in modulo

dove MT e RT sono rispettivamente la massa e il raggio della Terra. Poiché


sperimentalmente l’accelerazione di gravità risulta la stessa indipendentemente
dai corpi in gioco, ciò vuol dire che quanto meno il rapporto tra le masse è
costante

Dopo tutta una serie di esperimenti a partire da quello di Eötvös15 nel 1885 sino
ai giorni nostri, nessuno è stato sinora in grado di mostrare che tale rapporto
differisca dall’unità (quanto meno entro una precisione di 10-12), per cui
possiamo porre tale rapporto uguale a uno16 echiamare semplicemente massa la
grandezza in gioco.

Campo gravitazionale

Abbiamo ricavato la forza gravitazionale cui sono soggetti due corpi a causa
della loro massa

Ora sviluppiamo un approccio differente, cercando di separare causa ed effetto,


introducendo il così detto campo gravitazionale. Se ad esempio supponiamo che
la causa dell’interazione gravitazionale sia dovuta a un corpo m2 il cui effetto
venga risentito da un corpo m1, sulla base dell’espressione della forza
gravitazionale potremo scrivere

dove G2 risulta il campo creato dal corpo m2, ed F1 la forza cui è sottoposta la
massa m1 a causa del campo creato da m2.

Se ora il corpo m1 è soggetto a più forze gravitazionali causa la presenza di altri


corpi (non solo m2), poiché per la forza vale la proprietà additiva potremo
scrivere che

da cui abbiamo ricavato che anche il campo gravitazionale, come la forza, gode
della proprietà additiva.

Energia potenziale gravitazionale

Come per altre forze già introdotte, anche la forza gravitazionale risulta una
forza conservativa, e quindi si può definire per essa un’energia potenziale
gravitazionale.

Calcoliamo l’energia potenziale della forza gravitazionale


Se chiamiamo Ugrav l’energia potenziale gravitazionale della forza
gravitazionale

possiamo scrivere il lavoro svolto dalla forza come

Come già trattato in dinamica, l’energia potenziale di una forza conservativa è


definita sempre a meno di una costante; dovendo scegliere una costante
arbitraria (o dovendo scegliere il valore da attribuire all’energia potenziale in una
determinata posizione), solitamente si pone

Riprendendo l’esempio del satellite geostazionario, supponendo che la base di


lancio si trovi all’equatore e che la massa del satellite sia m = 800 kg, qual è
l’energia necessaria per porlo in orbita?

L’energia necessaria a portare in orbita il satellite è pari alla variazione di


energia meccanica che si deve ottenere. L’energia meccanica iniziale include
un termine di energia cinetica: il satellite si trova sull’equatore, fermo rispetto
alla Terra, ma in moto circolare uniforme con velocità angolare ω rispetto al
sistema di riferimento inerziale.

Quando si trova in orbita, il satellite mantiene la velocità angolare che aveva


sulla Terra (è geostazionario), e la sua energia complessiva vale
Il lavoro da compiere risulta quindi

Un razzo viene lanciato verticalmente dalla Terra per essere messo in orbita.
Calcoliamo la velocità minima iniziale (velocità di fuga) del razzo per poter
sfuggire all’attrazione gravitazionale (trascurare ogni interazione con altri corpi
in orbita, e la rotazione terrestre).

Quando il razzo viene lanciato dalla pista è dotato di energia cinetica ed


energia potenziale gravitazionale; man mano che questi si allontana nello
spazio, la sua energia potenziale viene convertita in cinetica.
La condizione per poter sfuggire definitivamente all’attrazione della Terra è
che il satellite abbia un’energia totale positiva, al limite nulla, così che quando
l’energia potenziale è stata completamente convertita in energia cinetica esso
abbia ancora velocità (al limite nulla).
Detto RT = 6.37·106 m il raggio della Terra e MT = 5.98·1024 kg la sua massa,
risulta

Nel caso in cui la velocità di lancio sia inferiore, il razzo non riuscirà a sfuggire
all’attrazione gravitazionale, ma arriverà sino a una certa quota (che possiamo
calcolare applicando il principio di conservazione dell’energia meccanica) per
poi tornare sulla Terra.

Orbite planetarie
L’orbita di un pianeta è determinata dal valore della sua energia totale, che può
portare ad avere orbite chiuse (come per i pianeti intorno al Sole) o aperte (come
per le comete).

Energia potenziale efficace

Nel caso in cui la massa M (ad esempio il Sole) attorno alla quale ruota la massa
m (ad esempio la Terra) è tale per cui M >> m, il centro di massa si può pensare
coincidere con la posizione della massa M, per cui se scegliamo tale posizione
come polo il momento angolare complessivo coinciderà col momento dalla sola
massa m, visto che il momento angolare relativo ad M sarà nullo.

Scriviamo ora la conservazione del momento angolare e dell’energia meccanica


relativamente alla massa m in orbita attorno alla massa M prendendo come polo
proprio la posizione di quest’ultima

Se scriviamo lo spostamento infinitesimo e la velocità in coordinate polari

possiamo esprimere l’energia meccanica e il momento angolare come

per cui
Il primo termine a secondo membro dell’energia rappresenta la parte dell’energia
cinetica relativa alla componente radiale del moto, mentre i due termini finali
prendono il nome di energia potenziale efficace, e tale valore risulta dipendere
solo dalla posizione radiale.

Possiamo quindi esprimere l’energia meccanica come

In figura si riporta il grafico dell’energia potenziale efficace in funzione della


distanza radiale:
• la curva presenta un asintoto verticale in prossimità dell’origine;
• una zona a concavità positiva con un punto di minimo (r = r0);
• la funzione poi risale per tendere asintoticamente a zero.

Per ricavare il minimo studiamo la funzione

da cui ricavare
Analizziamo ora i diversi tipi di orbite in funzione dell’energia totale.

Energia totale

Abbiamo già visto che i tipi di orbite per un corpo soggetto a una forza centrale
dipendente dall’inverso del quadrato della distanza sono delle coniche (iperbole,
parabole, ellissi); ora analizziamo per quali valori dell’energia abbiamo i tre tipi
di orbite.

Riprendendo il grafico dell’energia potenziale efficace, possiamo distinguere tre


casi (identificati dalle linee orizzontali nel grafico) da cui ottenere le tre orbite:

• l’energia totale è positiva,E > 0, e si ottiene un’orbita iperbolica


• l’energia totale è nulla, E = 0, e si ottiene un’orbita parabolica
• l’energia totale è negativa, E < 0, e si ottiene un’orbita ellittica limitata
tra rmax ed rmin
• l’energia totale è negativa e la minima possibile, E = Emin, e si ottiene
un’orbita circolare di raggio r0 (è il valore ricavato prima)

Le tre orbite si possono ricavare analiticamente studiando le coniche legate alla


funzione energia totale; riprendendo il concetto di ellitticità e legandolo al segno
dell’energia totale possiamo riassumere le situazioni in una tabella:
1
Claudio Tolomeo (100 Grecia - 175), Almagesto
2
Nicolaus Copernicus (Toruń, Polonia 1473 - Frombork, Polonia 1543), De revolutionibus orbium
celestium (1543)
3
Tycho Brahe (Schloss Knutstorp, Svezia 1546 - Praga, Repubblica Ceca 1603)
4
Dialogo sopra i due massimi sistemi (1632)
5
Johannes Kepler (Weil der Stadt, Germania 1571 - Ratisbona, Germania 1630), Astronomia nova (1609)
6
una conica è una linea data dall’intersezione della superficie di un cono con un piano; può risultare essere
una circonferenza (se il piano è ortogonale all’asse del cono), un’ellissi (se è inclinato), un’iperbole (se il
piano è parallelo all’asse) o una parabola (se è parallelo e contiene l’asse)
7
in un’orbita ellittica attorno al Sole tale punto è il perielio
8
nel caso di un’orbita circolare il parametro di scala coincide con il raggio dell’orbita
9
dall’inglese, light year
10
anche se in realtà è la prima ad essere stata scoperta da Kepler
11
geometricamente, il semiasse maggiore corrisponde anche al raggio medio dell’orbita; nel caso di
un’orbita circolare coincide proprio col raggio dell’orbita
12
Philosophiae naturalis principia mathematica (1687)
13
Newton era solito dire “Ho potuto vedere più lontano degli altri perché sono stato seduto sulle spalle dei
giganti”, probabilmente riferendosi a Copernicus e Kepler
14
Henry Cavendish (Nizza, Francia 1731 - Londra, Inghilterra 1810)
15
Loránd von Eötvös (Budapest, Ungheria 1848 - ivi 1919)
16
tale scelta sta alla base anche della relatività generale di Einstein, che studia il comportamento
gravitazionale in contesti ben oltre quelli newtoniani che qui stiamo esponendo
Meccanica del corpo rigido

Abbiamo visto che le equazioni cardinali della dinamica dei sistemi sono
condizioni necessarie per caratterizzare il moto del sistema di punti; nel caso in
cui tra ogni coppia di punti permanga sempre la stessa distanza, il sistema prende
il nome di corpo rigido, e le equazioni cardinali diventano anche condizioni
sufficienti per lo studio della dinamica.

Statica del corpo rigido

Riprendendo le equazioni cardinali (che ricordiamo essere necessarie e


sufficienti)

se vogliamo studiare una situazione di equilibrio del corpo rigido il secondo


membro di entrambe le equazioni deve essere necessariamente nullo,
richiedendo che il sistema né trasli né ruoti, per cui devono essere nulli sia la
risultante delle forze esterne sia la risultante dei momenti delle forze esterne.

Sistema equipollente

Dato un sistema di forze avente risultante F, possiamo scegliere un sistema di


forze alternativo, detto sistema equipollente; tale sistema alternativo deve
soddisfare al teorema fondamentale della statica dei sistemi:

“Un sistema di forze si dice equipollente al sistema originale


se ha lo stesso risultante e lo stesso momento rispetto a un polo O’ qualsivoglia”

Un sistema equipollente di forze non altera l’equilibrio del sistema, proprio


perché avente le stesse risultanti di forza e momento. Si può dimostrare che tale
sistema si può ridurre
• a una forza F (la risultante delle forze) applicata in un punto scelto G;
• a una coppia di momento M.

Possiamo poi scegliere il punto G in modo opportuno, tale per cui rispetto a tale
punto il sistema di forze si possa ridurre alla sola forza F applicata in G senza la
presenza della coppia di forze che genera il momento aggiuntivo M

Sistema di forze parallele

Vediamo un caso particolare: se tutte le forze esterne applicate al sistema hanno


la medesima direzione, si ha

e il momento risultante delle forze si può calcolare come il momento della sola
risultante F applicato nel punto G

dove il punto di riduzione prende il nome di centro delle forze parallele

Infatti
Possiamo anche scrivere il momento angolare del sistema come

Centro di gravità

Nel caso in cui le forze i-esime siano le forze peso, tale punto G prende il nome
di centro di gravità

Se l’accelerazione di gravità è la medesima per tutti i punti, il centro di gravità


coincide con il centro di massa
Bibliografia

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R. Serway, J. Jewett, Fisica - Volume 1, EdiSES (2009)

P.A. Tipler, G. Mosca, Corso di Fisica - Meccanica, Onde, Termodinamica,


Ed. Zanichelli (2009)

G. Tonzig, Fondamenti di Meccanica Classica, Maggioli Editore (2009)


Indice

Indice degli autori

Amontons, Guillaume 109


Aristotele 81; 217

Boyle, Robert 121


Brahe, Tycho 217

Cartesio vedi Descartes


Cauchy, Augustin Louis 121
Cavendish, Henry 226
Copernicus, Nicolaus 217
Coulomb, Charles Augustin de 110

d’Alembert, Jean Baptiste Le Rond 105


Debye, Peter Josephus Wilhelmus 133
Descartes, René 82

Einstein, Albert 12; 13; 87; 133; 147


Eötvös, Loránd von 228

Fitzgerald, George Francis 155

Galilei, Galileo 11; 12; 81; 126; 156; 217


Giorgi, Giovanni 20

Hooke, Robert 121; 209


Joule, James Prescott
162

Kepler, Johannes 217


König, Johann Samuel 195

Larmor, Joseph 157


Leibniz, Gottfried Wilhelm von 12; 166
Leonardo, da Vinci 109
Lorentz, Hendrik Antoon 155; 157

Michelson, Albert Abraham 15


Morley, Edward Williams 15

Navier, Claude-Louis 120


Newton, Isaac 12; 82; 85; 92
Noether, Amalie 158

Planck, Karl Ernst Ludwig Marx 13


Popper, Karl 12

Stokes, George Gabriel 115

Tolomeo, Claudio 217

Watt, James 165

Young, Thomas 120

Indice delle costanti

accelerazione di gravità
52; 106
carica del neutrone
89
carica del protone
89
carica dell’elettrone
89
carica elementare
89
costante di gravitazione universale
226
costante di Planck
13
massa del neutrone
89
massa del protone
89
massa dell’elettrone
89
numero di Avogadro
17
velocità della luce
13; 15; 87; 147; 221

Indice delle unità di misura

ampere (A) 17
angstrom (Å) 21
anno luce (ly) 221

candela (cd) 17
cavallo vapore (CV) 21
centimetro (cm) 21

dina (dina) 21; 86

erg (erg) 21; 162

foot (ft) 21

grado
sessagesimale (°) 19
grain (gr) 21
grammo (g) 21

hertz (Hz) 42
horse power (hp) 21; 165

iarda vedi yard


inch (in) 21

joule (J) 162

kelvin (K) 17
kilogrammo (kg) 17; 86
kilogrammo forza (kgf) 21
kilowattora (kWh) 165

libbra vedi pound


libbra forza vedi pound force

metro (m) 15; 17


miglio vedi mile
mile (mi) 21
mole (mol) 17

newton (N) 84; 86

oncia vedi ounce


ounce (oz) 21

piede vedi foot


pollice vedi inch
pound (lb) 21
pound force (lbf) 21

radiante (rad) 19

secondo (s) 17
steradiante (sr) 19

unità astronomica (UA) 221

watt (W) 165

yard (yd) 21

Indice degli argomenti

accelerazione
angolare 73
istantanea 49
media 49
assoluta 140
centrifuga 141
complementare vedi acc. di Coriolis
dell’origine 140
di Coriolis 141
di gravità 52; 106; 227
di trascinamento 140
istantanea 66
lineare
istantanea 45
media 44
media 66
accuratezza 26
afelio 219
ampiezza 54
analisi
dimensionale 23
angolo
piano 19
solido 19
apogeo 219
appoggio 107
arrotondamento 31
per difetto 31
per eccesso 31
ascissa
curvilinea vedi pos. lineare
asse
di simmetria
geometrica 184
materiale 182
atomo 89

baricentro 184
bilancia
di torsione 226

campione
di riferimento 15
campo
gravitazionale 229
scalare 170
carico 120
carrucola
ideale 119
reale 119
centro
delle forze parallele 236
di gravità 237
di massa 181; 237
cifre
significative 30
cinematica
relativa 135
circuitazione 169
coefficiente
d’attrito
radente 110
volvente 114
di restituzione 213
di variazione vedi dev. standard relativa
compressione 120
condizione
iniziale 39; 43; 46; 49
condizioni
ambiente 186
standard 186
conica 219; 221
contrazione di Lorentz-Fitzgerald 155
conversione
di unità 21
coordinate
cartesiane 56
estrinseche 56
intrinseche 56
polari 56
corpo
elastico 121
isolato 81
libero vedi corpo isolato
rigido 121; 235
corrente
elettrica 17
costante
di gravitazione universale 226
di Planck 13
di tempo
critica 128
elastica 121
curvatura 71

deformazione
relativa 120
densità
lineare 184
superficiale 184
volumica 184
derivata
parziale 172
deviazione
standard 27
relativa 28
diagramma
delle forze vedi diag. di corpo libero
di corpo libero 107
differenziale
totale 172
dinamica
relativa 142
dinamometro 84

eccentricità 221
eclittica 226
elettrone 89
energia
cinetica 166; 200
interna 203
meccanica 178; 201
potenziale 170; 201
del peso 171
efficace 233
elastica 171
gravitazionale 230
propria 202
equazione
cardinale, prima 188
cardinale, seconda 190
dell’oscillatore armonico 123
equazioni
cardinali 192
equilibrio 102; 175
indifferente 177
instabile 176
meccanico 102
stabile 176
statico 102
errore 26; 27
assoluto 27
casuale vedi errore statistico
di parallasse 26
medio 27
relativo 27
sistematico 26
statistico 26
esponente 24
etere 147
evento 149

fase
iniziale 54
fattore
di Lorentz 152
filo 117
ideale 117
reale 119
filosofia
naturale 11
fisica 13
atomica 14
classica 13
moderna 13; 180
quantistica 13
relativistica 13
sperimentale 180
teorica 180
fonone 133
formula
di Eulero 124
forza 84

apparente 142
centrale 101
centrifuga 144
centripeta 88
conservativa 169
d’attrito
radente 109
dinamico 109
statico 109
viscoso 115
volvente 114
di Coriolis 142
di trascinamento 142
d’inerzia 105
esterna 187
fondamentale 105
gravitazionale 226
impulsiva 205
interna 187
media 160
motrice 162
resistente 162
risultante 85
frequenza 42
futuro 33

gradiente 172
grandezza
adimensionale 19
derivata 18
fisica 11
fondamentale 17
omogenea 19
scalare 34
vettoriale 56

impulso 196

angolare 198
angolare della forza 161
della forza 159
inerzia 82
intensità
luminosa 17
interazione 81
istante 33

lavoro 162; 163


motore 162
resistente 162
legge 11
di composizione
delle accelerazioni 140
delle posizioni 136
delle velocità 138
di Coulomb-Morin 111
di Hooke 120
di Kepler, prima 219
di Kepler, seconda 223
di Kepler, terza 224
di Stokes 115
fond. della dinamica del punto vedi secondo principio della dinamica
oraria 35
legge dei periodi vedi terza legge di Kepler
legge delle aree vedi seconda legge di Kepler
legge delle distanze vedi prima legge di Kepler
lunghezza 17
macchina
di Atwood 117
mantissa 24
massa 17; 86; 228
a riposo 87
angolare vedi momento d’inerzia
del sistema 181
gravitazionale 228
inerziale 86
lineare vedi massa
matematica 12
meccanica 33
classica 81; 96
relativa 135
relativistica 87; 96; 147
generale 147
ristretta vedi mecc. rel. speciale
speciale 147
metodo
sperimentale 11
misura 15
modulo
di elasticità 120
di Young vedi modulo di elasticità
molla 121
molle
parallelo 122
serie 122
momento
angolare 99; 189
della forza 98
esterno 189
interno 189
medio 161
della quantità di moto vedi momento angolare
d’inerzia 98
lineare vedi quantità di moto
moto 34; 58
armonico 54
centrale 101
circolare
uniforme 43; 69
uniformemente accelerato 49
del grave 52
del proiettile 74
periodico 42
piano 77
smorzato
critico 131
sotto 129
sovra 130
uniforme 39
uniformemente accelerato 46
vario
uniforme 39; 45
uniformemente accelerato 46

neutrone 89
notazione
ingegneristica 25
scientifica 24
numero
di Avogadro 17

opposizione
di fase 55
orbita 232
circolare 234
ellittica 234
iperbolica 234
parabolica 234
ordine
di grandezza 24

parametro
di scala 221
pendolo
balistico 214
conico 118
di Newton 209

semplice 126
perielio 219
perigeo 219
periodo 42; 54
peso 106
piano
orbitale 226
policristallo 89
polo 98
posizione 56
angolare 37
lineare 34
potenza
istantanea 165
media 165
precisione 26
prefisso 25
principi
di relatività 158
generali 158
semplici 158
speciali 158
principio 11
della dinamica, primo 82; 83
della dinamica, secondo 85; 92
della dinamica, terzo 96
di azione e reazione vedi terzo principio della dinamica
di conservazione
del momento angolare 100; 180; 191; 204
della quantità di moto 94; 180; 188; 204
dell’energia 180; 204
dell’energia meccanica 178
di Noether 158
di relatività 143
di relatività galileiana 83
di sovrapposizione
della massa 87
delle forze
dinamica 85
statica 82
d’inerzia vedi primo principio della dinamica
problema
dei 2 corpi 192
dei 3 corpi 192
fondamentale della meccanica 86; 90
protone 89
pulsazione 54
critica 128
eccitatrice vedi pulsazione forzante
forzante 132
naturale vedi pulsazione propria
propria 91; 123
punto
geometrico 33
materiale 33

quadratura
di fase 55
quantità
di moto 92; 187
di sostanza 17
quiete 34; 39; 45
raggio
di curvatura 71
reazione
vincolare 95
regione
elastica 120
plastica 120
relazione
di Poisson 65; 70; 137; 138
risonanza 132
rottura 120

satellite
geostazionario 227
scarto
quadratico
medio 27
scienza 11
naturale 12
sociale 12
sensibilità 30
sforzo
di rottura 120
di snervamento 120
normale 120
simultaneità 149
sistema
britannico vedi sistema FPS
CGS 20
di riferimento 33
inerziale 83
equipollente 235
FPS 20
isolato 94; 188
MKS 20
pratico vedi sistema tecnico
scientifico vedi sistema CGS
tecnico 20
snervamento 120
solido
amorfo 89
cristallino 89
spazio 33
percorso 36
spostamento 60
angolare 37
lineare 36
stabilità 176
statica 102
relativa 145
stato
di moto 92
meccanico 50
superficie
equipotenziale 175

temperatura 17
tempo 17; 33
tensione 117
teorema
del centro di massa, primo 187
del centro di massa, secondo 188
del centro di massa, terzo 194
del momento angolare 100
della quantità di moto 92
delle forze vive vedi teorema dell’energia cinetica
dell’energia cinetica 166; 200
dell’impulso 159; 197
dell’impulso angolare 161; 199
di Coriolis vedi legge composiz. accelerazioni
di Galileo vedi legge composiz. velocità
di König, primo 194
di König, secondo 195
teoria
eliocentrica 217
geocentrica 217
standard 14
traiettoria 35
trasformazioni
di Galileo 156
di Lorentz 157
trazione 120

unità

di misura 15
urto
anelastico 212
perfettamente 212
centrale 207
elastico 207
endogeno 212
esogeno 212

valore
medio 27
quadratico medio 27
varianza 27
velocità
angolare 65
istantanea 42
media 42
areolare 101; 223
assoluta 137
della luce 13; 15; 87; 147; 221
dell’origine 137
di fuga 231
di trascinamento 138
istantanea 61
lineare
istantanea 39
media 38
media 61
relativa 137
vettore
di Runge-Lenz 220
vincolo 95
bilatero 95
liscio 95; 109
monolatero 95
scabro 95; 109
viscosità 115

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