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Anno Accademico 2009-2010

Appunti delle Lezioni di


Scienza delle Costruzioni
per allievi di Ingegneria e Architettura

Prof. Alberto Franchi


Ing. Pietro Crespi

1
Capitolo 0- Lo sviluppo storico della Meccanica delle Strutture

Da : [1] “La Scienza delle Costruzioni e il suo sviluppo storico”


di Edoardo Benvenuto, Sansoni Editore Firenze

1. La Meccanica Ellenica e Romana

La Fisica di Aristotele (384-322 a.C.)

Una definizione della trattazione aristotelica sulla natura, quale espressa negli otto libri della Fisica,
nel trattato Sul Cielo, in quello Sulla Generazione e la Corruzione, viene espressa in modo
magistrale da J. Maritain [2] nel modo seguente:
”filosofia della natura che ha per oggetto proprio il movimento, l’essere mutabile in quanto
mutabile; l’essere dunque …….., ma non l’essere in quanto essere o l’essere secondo il suo mistero
di intelligibilità, che è l’oggetto della metafisica; l’oggetto delle filosofia della natura è l’essere
preso secondo le condizioni che lo costringono in questo universo della indigenza e della divisione
che è l’universo materiale, l’essere secondo il mistero proprio del divenire e della mutabilità, del
movimento nello spazio nel quale i corpi sono in interrelazione, del movimento di generazione e di
corruzione sostanziale che è il regno più profondo della loro struttura ontologica, del movimento di
crescita vegetativa nel quale si manifesta l’ascesa della materia all’ordine della vita”.

Gli ultimi due libri della Fisica, il settimo e l’ottavo, trascendono l’orizzonte fisico, per indagare la
causa ultima, l’origine profonda del movimento. All’inizio della trattazione viene stabilito appunto
il noto principio secondo il quale tutto ciò che è mosso, è mosso necessariamente da qualcos’altro.
“Il principio di causalità”, intorno al quale ruoterà il pensiero filosofico e scientifico occidentale,
sino ai giorni nostri, è quindi stabilito quale fondamento e strumento essenziale.

In verità lo sviluppo positivo delle scienze ha dimostrato storicamente che gli avanzamenti
compiuti dalla ricerca hanno delucidato non tanto il perché, quanto piuttosto il come: anzi,
l’indagine sulle cause ha caratterizzato normalmente la fase iniziale, quale pre-scientifica, della
conoscenza; mentre la descrizione accurata delle modalità di svolgimento dei fenomeni ha
rappresentato la fase matura, efficace, dove le leggi fisiche sono state stabilite e tradotte nel
linguaggio matematico.

Un’ importante intuizione fisica, che si può rintracciare nella Fisica aristotelica, verte su un tema di
grandissima importanza applicativa e teorica per la meccanica: si tratta di un primo barlume di
legge del moto e della sua rappresentazione matematica.

2
Dice Aristotele nel capitolo 5 del libro VII:
”Sia A il motore, B il mobile, Γ la grandezza (l’intervallo di spazio) secondo cui esso è mosso, Δ il
corrispondente intervallo di tempo.
(a) In un tempo Δ uguale una forza uguale, cioè A, muoverà la metà di B per il doppio di Γ,
(b) ma per Γ nella metà di Δ; in questo modo la proporzione è rispettata.
(c) e se la stessa forza muove lo stesso corpo in tal tempo e di tal quantità, essa lo muoverà di
metà quantità in metà di tempo;
(d) e una forza metà muoverà metà corpo d’una quantità uguale in eguale tempo”.

Γ
A=B
Δ

• (a) A = B/2
Δ
Γ
• (b) A = B/2
Δ/2
Γ/2
• (c) A=B
Δ/2
Γ
• (d) A/2 = B/2
Δ
La legge proposta da Aristotele si può scrivere, in notazione moderna, come:
s
F=m
t
Avendo indicato con s lo spostamento, t il tempo trascorso per percorrerlo, m la massa e F la forza.
Essa risulta palesemente errata ma sorprendentemente vicina alla soluzione che Isaac Newton
(1642-1727) formulò nel trattato:”Philosophiae Naturalis Principia Mathematica” nel 1687 e che si
scriverebbe oggi come:

F = ma
dove con a si indica l’accelerazione.

3
Archimede (287-212 a.C.)

Citando da Plutarco (Vite parallele - Marcello:14,17,19)


“ Marcello cominciò ad assediare Siracusa per terra e per mare. Appio conduceva l’esercito
e Marcello stesso conduceva sessanta vascelli da guerra, carichi di ogni sorta di armi; su otto navi
collegate insieme aveva disposto una macchina bellica con la quale aggrediva le mura, fidava sulla
sua numerosa flotta, sugli abbondanti armamenti e sulla sua provata gloria militare: tutto ciò
peraltro era niente di fronte ad Archimede e alle sue macchine da guerra.
E Archimede aveva escogitato queste macchine non per la loro importanza, ma considerandole
piacevoli applicazioni secondarie della geometria. Il re Gerone lo aveva già pregato e persuaso a
tradurre in concreto qualche principio astratto della sua arte, rendendo utili anche alla pratica
comune le sue profonde speculazioni.
“Questa arte tanto amata della meccanica era stata praticata dapprima da Eudosso e da
Archita: per rendere meno ardua la geometria, essi avevano risolto mediante esempi meccanici
concreti quei problemi geometrici che non potevano essere immediatamente compresi. Così
avevano risolto per via meccanica il problema di due segmenti medi proporzionali, come
fondamento per la risoluzione di molti altri problemi(……). Platone tuttavia ne era rimasto afflitto e
li aveva rimproverati, deplorando che in tal guisa essi tradissero lo spirito della geometria,
trasportando questa scienza dal campo delle cose ideali e astratte a quello degli oggetti sensibili e
impiegando oggetti che si addicevano soltanto ai comuni e rozzi operai. A seguito di tali
considerazioni la meccanica venne scissa dalla geometria e per lungo tempo fu disprezzata dalla
filosofia pura: essa restò così confinata al rango di una scienza militare.
“Una volta Archimede scrisse al re Gerone, suo parente e amico, che qualsiasi carico poteva
essere mosso da una data forza, e giunse anzi al punto di affermare che sarebbe stato in grado di
smuovere anche la Terra, se solo avesse potuto appoggiarsi da qualche altra parte. Gerone si
meravigliò molto di ciò, e pregò Archimede di realizzare questo suo dispositivo e di mostrare che
un grosso carico poteva essere mosso da una piccola forza. Archimede prese allora una delle navi
da carico del re, che poteva essere tratta a terra solo con molta fatica e impiegando molti uomini, vi
lasciò sopra molte persone e il carico normale, si pose a una qualche distanza da essa, e agendo
semplicemente su un capo di una macchina composta di molte corde e ceppi, tirò a terra la nave
senza fatica, con tale facilità come se essa galleggiasse sul mare. Il re, che assai si stupì al vedere i
grandi effetti prodotti da quest’arte, chiese ad Archimede di preparargli diverse macchine di difesa e
di attacco per ogni tipo di assedio; il re non impiegò tali macchine perché trascorse gran parte della
sua vita in pace e senza guerre; ma esse e il loro inventore Archimede si rivelarono ora di gran aiuto
ai siracusani durante l’assedio.
“Con tutta la ricchezza delle sue invenzioni, Archimede conservava una tale elevatezza di
sentimenti e nobiltà di spirito, da non voler lasciare nulla di scritto su questa arte che gli aveva
procurato fama di intelligenza sovrumana e divina. Egli teneva in conto di cose volgari e manuali la
necessità pratica e soprattutto ogni arte che fosse da una necessità. Il suo spirito era attratto soltanto
da quelle scienze nelle quali il bello e il buono hanno un valore in sé e per sé e che non servono la
necessità degli uomini; scienze che non possono essere paragonate ad alcun’altra e nelle quali le
cose trattate gareggiano per eccellenza con le dimostrazioni, in quanto le dimostrazioni sono
importanti e fondamentali, e le cose stesse sono in sé nobili e belle”.

4
Marco Vitruvio Pollione ( 80/70 a.C. – 23 a.C.) [3],[4]

“….In tutte queste cose (costruzioni) si hanno da aver presenti la Fortezza, il Comodo e la
Bellezza. La Fortezza dipende dal calare le fondamenta fino al sodo, e fare senza avarizia esatta
scelta de’ materiali. Il Comodo dall’esatta distribuzione de’ membri dell’edificio, senza che ne resti
impedito l’uso, anzi abbia ciascuno l’aspetto suo proprio e necessario. La Bellezza finalmente
dall’aspetto dell’opera, se sarà piacevole e di buon gusto, e le misure de’ membri avranno giuste
proporzioni (libro I,3).
“In quegli edifici, che cominciano dal pian di terra, se le fondamenta saranno fatte colle
regole date né libri antecedenti per le muraglie e per i teatri, saranno stabili per lungo tempo: ma
se avessero a fare fabbriche e volte sotto terra, le fondamenta hanno da essere più larghe di quel
che si vorranno fare le mura superiori, le quali, come anche i pilastri e le colonne debbono tutto
corrispondere a piombo su’l mezzo di quei di sotto, acciocchè posino su’l sodo; imperciocchè se il
peso delle mura o delle colonne sarà su’l falso, non potranno lungo tempo durare. Ma oltracciò,
ove sono le soglie, se a dritto de’ pilastri e degli stipiti si metteranno de’ puntelli sotto, queste non
patiranno; imperciocchè le soglie e gli architravi, quando sono aggravati dalla fabbrica,
curvandosi in mezzo, rompono col loro distaccarsi anche la fabbrica: ma se vi si porranno i
puntelli a stretta, questi non lasceranno aggravare, né offendere gli architravi. Si può anche
alleggerire il peso delle mura con degli archi fatti a conii ben divisi e corrispondenti a un centro;
poiché se di là degli architravi e dalle teste delle soglie si volteranno archi di conii sopra,
primariamente i travi alleggeriti dal peso non si curveranno, secondariamente, se mai avessero
patito per la vecchiaja, si potranno facilmente cambiare senza l’impaccio dei puntelli.
“Parimente nelle fabbriche fatte di pilastri e ad archi commessi di conii tirati a un centro, si
hanno a fare più larghi gli ultimi pilastri, acciocché abbiano questi la forza da resistere all’urto
che fanno i conii, i quali caricati dal peso delle mura, premendo verso il centro, spingono le
impostature: perciò se i pilastri de’ cantoni saranno ben larghi, daranno fermezza a’ lavori col
tenere stretti i conii. Quando si sarà badato a tutto questo, ed usatavi ogni diligenza, si dee anche
badare, che sia tutta la fabbrica a piombo, e non penda in nessuna parte.
“La maggior cura però dee essere nelle fondamenta, perché suole in queste cagionare
infiniti danni il terrapieno. Infatti questo non può essere sempre di quello stesso peso che suol
essere di estate; poiché l’inverno ricevendo dalle piogge quantità d’acqua, col crescere di peso e di
mole, fracassa e sloga il ricinto delle fabbriche.
“(….) Ho detto, come si hanno a fare i lavori, perché sieno senza difetti, e quali sieno le
cautele da usarsi nel cominciare; perciocché quanto a’ tetti, travicelli o asse, che si dovessero
cambiare, non vi va tanta pena; poiché se mai riuscissero difettosi, si cambiano con facilità”.

5
2. La meccanica nel Medioevo

Dice Benvenuto:
“La cultura classica tendeva a sottovalutare il momento tecnico rispetto a quello speculativo.
Il Medioevo modificò sensibilmente questa concezione riduttiva e propose la conoscenza e la
pratica delle arti meccaniche come componenti essenziali della formazione culturale.
Citando da Crombie [5]:
“Gli sviluppi originari dell’architettura gotica nacquero dai problemi a cui si andò incontro quando
si trattò di coprire con un tetto di pietra le sottili mura della navata centrale della basilica, che era il
tipo comune di chiesa cristiana sin dai tempi di Roma. I Romani non avevano mai dovuto affrontare
i problemi che si posero ai muratori medievali, poiché costruivano le volte a botte o a costole sulle
loro terme in calcestruzzo, e le volte a cupola, come quella del Pantheon in mattoni con malta,
disposti in file orizzontali; quando il calcestruzzo o la malta si erano solidificati, la spinta sulla
parete era minima. Non così era per gli edifici medioevali, in cui non si usavano né calcestruzzo né
malta”.

“L’arco a sesto acuto si mostra assai più conveniente dell’arco a tutto sesto di egual luce: la spinta
orizzontale sui piedritti è minore e consente di diminuire le spessore dei contrafforti”.

6
3. Il Rinascimento Italiano e Leonardo da Vinci (1451-1519)

Scrive il Parvopassu [6]:


“L’opera scientifica di Leonardo, modesta nelle matematiche pure, è vasta e originale nel
campo della meccanica e della Resistenza dei Materiali o Scienza delle Costruzioni. (….)
certo non tutto quello che egli notò, spesso con errori, ripetizioni e incertezze, nel
susseguirsi degli anni, avrebbe figurato nel libro “De peso et de moto”, che aveva pensato di
scrivere, e forse iniziò, ma non condusse a termine”.

Due problemi particolari vengono affrontati da Leonardo: il primo riguarda la resistenza


delle colonne e il secondo la deformabilità delle travi. Il metodo utilizzato è quello del
confronto tra diverse travi in cui Leonardo varia di volta in volta un parametro ( metodo già
adottato da Aristotele)

• Il problema della resistenza della colonna


Per la colonna o il sostegno di sezione quadrata o circolare caricata uniformemente di pesi
sulla base superiore è stabilita la tesi che:

“la resistenza a compressione è proporzionale alla superficie caricata e inversamente


proporzionale al rapporto tra la lunghezza l e il lato a della base quadrata o del raggio del
cilindro “ (Cod. Atl. 152rb).

Cioè, in termini analitici:

A
Pcr = K
(l/a)
Mentre l’esatta formulazione la dobbiamo ad Eulero (1707-1783) come:

A
Pcr = K
(l/a) 2
La prima parte risulta dunque corretta mentre la seconda è errata, ma sorprendentemente
vicina.

• Il problema della trave appoggiata inflessa con un carico in mezzeria


Per la trave inflessa appoggiata agli estremi e caricata di un peso Q nella mezzeria,
Leonardo giunge vicino alla soluzione veritiera, studiando sempre con il metodo del
confronto, lo spostamento in mezzeria delle varie travi. Nel Codice Atlantico, al foglio
332rb (e anche ai fogli 152rb, 211rb, 225rf), le considerazioni sono svolte sulle figure qui

7
riportate, che si possono ritenere tra le più celebri del codice.

Afferma dunque Leonardo:


“ Se AB si piega di 1/8 di sua lunghezza per peso di 8, CD, se sarà, come credo, di
duplicata fortezza a AB, essa non piegherà 1/8 di sua lunghezza per manco peso che 16,
perché è la metà della lunghezza di AB; e similmente EF, per essere la metà de la lunghezza
di CD, fia il doppio più forte e calerà 1/8 di sua lunghezza per 32 pesi”.

Nei disegni si vede chiaramente che Leonardo pensa a travi di uguale altezza.

L’asserzione di Leonardo, oggi, conoscendo la soluzione del problema, la scriveremmo


come:

1
se AB = K × 8 × AB 3
8
3
1 AB ⎛ AB ⎞
allora = K × 16 × ⎜ ⎟
8 2 ⎝ 2 ⎠
3
1 AB ⎛ AB ⎞
o, altresì, = K × 32 × ⎜ ⎟
8 4 ⎝ 4 ⎠
che risultano palesemente errate.
Leonardo ha inteso il carico 16 e 32 delle travi CD e EF come il carico 8 della trave AB
moltiplicato per il rapporto tra AB/CD=2 e AB/EF=4; la soluzione esatta sarebbe quella di
moltiplicare il carico 8 per (AB/CD)2=4 e (AB/EF)2=16.
Quindi Leonardo era sicuramente sulla strada giusta, anche se non disponeva ancora della
teoria della trave.

8
Galileo Galilei (1564-1642)

I Discorsi [7] si svolgono secondo il genere letterario del dialogo e sono distribuiti su quattro
giornate: vi compaiono tre interlocutori, Salviati, in rappresentanza dello stesso Galileo,
esponente della nuova scienza, Sagredo, figura dell’uomo colto benché profano, ma
disponibile ad apprendere senza pregiudizi, e Simplicio, rappresentante della scienza
conservatrice ligia all’autorità dei testi classici.
La prima e la seconda giornata trattano specificamente la resistenza dei materiali.
Il problema di Galileo (riguarda la resistenza a rottura di una trave a mensola caricata d’un
peso alla sua estremità libera.

“Or tornando al nostro primo proposito-dice Salviati-, intese tutte le cose sin qui dichiarate,
non sarà difficile l’intender la ragione onde avvenga che un Prisma o Cilindro solido, di
vetro, acciaio, legno o altra materia frangibile, che sospeso per lungo sosterrà gravissimo
peso che sia attaccato, ma in traverso (come poco fa dicevamo) da minor peso assai potrà
tal’volta essere spezzato, secondo che la sua lunghezza eccederà la sua grossezza. Imperò
che figuriamoci il prisma solido ABCD, fitto in un muro dalla parte AB, e nell’altra
estremità s’intenda la forza del Peso E: è manifesto che, dovendosi spezzare, si romperà nel
luogo B, dove il taglio del muro serve per sostegno, e la BC per la parte della leva dove si
pone la forza; e la grossezza del solido BA è l’altra parte della Leva, nella quale è posta la
resistenza, che consiste nello staccamento che s’ha da fare della parte del solido BD, che è
fuor del muro, da quella che è dentro: e per le cose dichiarate, il momento della forza posta
in C al momento della resistenza, che sta nella grossezza del Prisma, cioè nell’attaccamento
della base BA con la sua contigua, ha la medesima proporzione che la lunghezza CB alla
metà della BA; e però l’assoluta resistenza all’essere rotto, che è nel Prisma BD (la quale
assoluta resistenza è quella che si fa col tirarlo per diritto, perché allora tanto è il moto del
movente quanto quello del mosso), all’esser rotto con l’aiuto della Leva BC, ha la
medesima proporzione che la lunghezza BC alla metà di AB nel prisma, che nel Cilindro è il
semidiametro della sua base. E questa sia la nostra prima proposizione”.

L’errore di Galileo, come si può osservare dalla seguente figura, risiede nell’aver ipotizzato
che lo stato di tensione della mensola (soggetta a carico ortogonale all’asse) a rottura nella
sezione di incastro sia simile a quello della stessa trave a rottura soggetto a carico assiale
(carico nella direzione dell’asse).

9
Se tale ipotesi fosse vera, allora:

H H/2
N lim × = Q c × L da cui Q c = N lim mentre la soluzione corretta
2 L
H/4
sarebbe Q c = N lim .
L

“Sin qui si sono considerati i momenti e le resistenze de i Prismi e Cilindri solidi, l’una
estremità de i quali sia posta immobile, e solo nell’altra sia applicata la forza di un peso
premente (…..): ora voglio che discorriamo alquanto de i medesimi Prismi e Cilindri quando
fussero sostenuti da amendue l’estremità, o vero che sopra un sol punto, preso tra le due
estremità fusser posati. E prima dico, che il Cilindro che gravato dal proprio peso sarà
ridotto alla massima lunghezza, oltre alla quale più non si sosterrebbe, o sia retto nel mezzo
da un solo sostegno o vero da due nelle estremità, potrà essere lungo il doppio di quello che
sarebbe, fitto nel muto, cioè sostenuto in un sol termine”.

2
ql 2 ql
MA = e ME = 1
2 8
Se l1=2l allora MA=ME e l’asserzione risulta dimostrata.

10
Charles Augustin De Coulomb (1736-1806)

La rottura dei materiali e delle strutture

Un pilastro in pietra, osserva Coulomb, benché il carico sia disposto in asse, esibisce una
superficie di rottura inclinata (vedi figura seguente). Come può esser possibile un tale strano
comportamento?
Osserva Coulomb: “che le due parti di questo pilastro siano unite in questa sezione CM da
una coesione data, mentre tutto il resto della massa è perfettamente solida, ovvero unita da
un’aderenza infinita: se il pilastro è caricato di un peso, questi tenderà a far scorrere la parte
superiore del pilastro sul piano inclinato di contatto con la parte inferiore. Così, nel caso di
equilibrio, la parte di peso che agisce parallelamente alla sezione, sarà esattamente uguale
alla coerenza. Se ora si osserva, nell’ipotesi di omogeneità, che l’aderenza del pilastro è
realmente uguale in tutte le parti, affinché il pilastro possa sopportare un peso, occorre che
non vi sia alcuna sezione di questo pilastro per la quale l’intensità della componente di
pressione possa far scorrere la parte superiore. Pertanto, per determinare il più grande peso
sopportabile da un pilastro, si deve cercare tra tutte le sezioni quella la cui coesione è in
equilibrio con un peso che sia un minimo; poiché in tal caso ogni pressione superiore a
quella determinata da questa condizione, sarebbe insufficiente a rompere il pilastro”.

Oggi potremmo scrivere:

11
P A P P
σ =− ; An = ; Sn = − = − × cos α = σ × cos α
A cosα An A
σ n = Sn × cos α = σ × cos 2 α
τ n = Sn × senα = σ × senαcosα

Tra tutte le possibili inclinazioni di a’-a’, qual è quella che corrisponde alla reale sezione di
rottura per scorrimento? La risposta di Coulomb è: il pilastro (di pietra) si rompe per
un’inclinazione di α* per cui sia massima (rispetto a ogni altro α e a parità di peso P) la
tensione tangenziale τn. Ciò significa che α* è definito dalla condizione:

τn = max

da cui:

d
(senαcosα ) = 0

da cui si ricava:

senα = cosα
In conclusione, “l’angolo di minor resistenza, o di rottura, sarà a 45°”[8].
Si osserva che il carico limite P si può esprimere come:
τ n lim × A
Plim = σ × A =
senαcosα
Coulomb nel capitolo IX di [8] propone una formulazione più sofisticata del carico limite.
Al momento della rottura- osserva Coulomb- si oppongono allo scorrimento sul piano a’-a’
sia la tensione tangenziale limite, che si avrebbe se il piano fosse privo di attrito, sia la
tensione tangenziale dovuta all’attrito.
In termini analitici:
τ nlim A
Plim senα = + f S Plim cosα
cos α
dove con fS si è indicato il coefficiente di attrito statico.

Il carico massimo si può scrivere come:

τ n lim A
Plim =
cosα (senα - f S cos α )
12
Ponendo Plim stazionario rispetto ad α si ottiene:

1
tgα ∗ =
2
( 1 + fS ) − fS

La teoria di Coulomb sulla spinta delle terre

Dice Coulomb:”per determinare la pressione delle terre contro i piani verticali che le
sostengono, il procedimento è assolutamente lo stesso (quello del carico di rottura della
colonna). Si considera un triangolo rettangolo solido, del quale uno dei lati sia verticale e
l’ipotenusa giaccia in un piano inclinato, su cui il triangolo tende a scivolare; se tale
triangolo è sollecitato dal suo peso, è sostenuto da una forza orizzontale, dalla coesione e
dall’attrito che agiscono secondo l’ipotenusa suddetta, si determinerà facilmente, nel caso di
equilibrio,questa forza orizzontale mediante i principi della statica.

……..Per ottenere la pressione di una terra contro un piano verticale, occorre trovare tra
tutte le rette BC (piani inclinati di scorrimento) quella che, sollecitata dal peso e trattenuta
dal suo attrito e dalla sua coesione, esigerebbe, per il suo equilibrio, d’essere sostenuta da
una forza orizzontale massima; poiché è evidente che, richiedendo ogni altra figura una
minor forza orizzontale a garantire il suo equilibrio, la massa aderente non potrà dividersi”

Formulazione analitica di quanto detto a parole da Coulomb.

Con riferimento alla notazione della figura sopra riportata, il peso complessivo del triangolo
di terra AB’C’, di spessore unitario, si può esprimere come:

13
1
Q= γYZ
2
Come indicato in figura, le forze che agiscono su tale triangolo di terra sono il peso Q, la
forza di attrito, la forza orizzontale P trasmessa dal muro al terreno e la forza di coesione del
materiale terra espressa in funzione della tensione tangenziale limite τlim. Scrivendo
l’equazione di equilibrio alla traslazione in direzione del piano inclinato si ottiene:

Qcosα - f S Qsenα - Psenα - f S Pcosα - τ lim Y 2 + Z 2 = 0


Risolvendo tale equazione per P:

1
γYZ(Y - f S Z ) − τ lim (Y 2 + Z 2 )
P= 2
Z + fSY

Per ottenere il valore massimo di P basta annullare la derivata prima di P rispetto a Z da cui
si ottiene, dopo qualche passaggio:

Z
tgα =
2
= −f S + 1 + f S
Y
“Si può concludere dalla formula precedente- osserva Coulomb- che la coesione non
influisce per nulla sul valore dell’angolo α e le dimensioni del triangolo che riduce la più
grande pressione dipendono solo dall’attrito”.

Contributi di Coulomb al calcolo dei muri di sostegno

Sostituendo l’espressione sopra ricavata nell’espressione del carico P si ottiene:

P = μY 2 − τ lim λY

Essendo μ e λ due costanti che dipendono solo dal peso specifico del terreno γ e dal
coefficiente di attrito fS.
Al variare di Y, P varia secondo la seguente relazione:

dP = (2μY - τ lim λ )dY


e il momento ribaltante, calcolato rispetto a D, si esprime come:

14
h
1 3 1
M r = ∫ (2 μY - τ lim λ )(h - Y)dY = μh − τ lim λh 2
0
3 2

dove h indica l’altezza del muro AB.


Coulomb sviluppa anche un esempio che è interessante riportare.

“Se si suppone che l’attrito sia uguale alla pressione, come sulle terre che abbandonate a se
stesse prendono 45° di scarpa, e se si suppone che l’aderenza sia nulla, come accade per le
terre rimosse,………si ritrae approssimativamente:

h
a=
7
dove a rappresenta la larghezza del muro.

“…il Signor Maresciallo de Vauban, in quasi tutte le fortificazioni che egli ha fatto
costruire, ha assegnato 5 piedi di larghezza alla corda di sommità……. Poiché i rivestimenti
costruiti da questo celebre uomo raramente superano i 40 piedi, la sua norma pratica
s’accorda molto bene con la nostra ultima formula”.

15
Augustin Louis Cauchy e la Meccanica del Continuo

Cauchy nacque a Parigi il 21 agosto 1789 e morì Sceaux sulla Senna il 23 maggio 1857. Si
formò all’Ecole des Ponts et Chausses entrando quindi nel vivo dell’ingegneria di quel
tempo; egli stesso esercitò per qualche tempo, e cioè sino al 1823, la professione di
ingegnere. Successivamente, però, su insistenza di Lagrange e di Laplace, rivolse ogni sua
attività alla ricerca scientifica nel campo delle matematica e della fisica.
Ben presto Cauchy entrò a far parte dei docenti dell’Ecole Polytechnique, a partire dal 1816.
Con l’avvento di Luigi Filippo, a seguito della rivoluzione del 1830, egli abbandonò
l’insegnamento a Parigi e si trasferì a Torino, dove era stata creata per lui una cattedra di
Fisica. Personaggio austero, rigido, saldo nei suoi principi religiosi, che esplicitamente
professava anche in polemica con lo spirito positivistico dei suoi colleghi, Cauchy tornò
definitivamente a Parigi solo nel 1838, riprendendo la sua cattedra all’Ecole Polytechnique.
I suoi contributi fondamentali si estendono a numerosi settori della matematica e della fisica:
sin dal 1805, egli ottenne notorietà per aver risolto in modo semplice ed elegante un famoso
problema di lunga storia nella geometria, “il problema di Apollonio” (ossia :trovare un
cerchio che sia tangente a tre cerchi assegnati).
La maggior parte delle sue scoperte matematiche è rintracciabile nei libri scritti per l’Ecole
Polytechnique quali dispense ai corsi da lui tenuti sino al 1830. Sono tre trattati: Cours
d’analyse de l’Ecole Polytechnique (1821), Le calcul infinitésimal (1823), Leçon sur les
applications du calcul infinitésimal a la géométrie (1823-1828). Tralasciando di menzionare
relative all’astronomia, all’ottica, alla meccanica generale, ci soffermiamo sulle memorie più
importanti relative alla meccanica dei solidi.
La prima memoria fondamentale su tale argomento è del 1823: Recherches sur l’équilibre et
le mouvement intérieur des solides ou fluides. Elastiques ou non élastiques. Ad essa
numerose altre seguono, raccolte, in gran parte, nei volumi degli Exercices de
mathématique. Si può affermare che in tali lavori Cauchy gettò le basi di tutta la teoria :
definì nel modo ancor oggi seguito il concetto di tensione, stabilendone le proprietà
essenziali sia con il suo “grande
Teorema”, sia con lo studio delle tensioni principali, formulò le equazioni indefinite di
equilibrio, svolse compiutamente l’analisi della deformazione, introdusse il legame elastico.

[1] Edoardo Benvenuto, La Scienza delle Costruzioni e il suo sviluppo storico, Sansoni
Editore Firenze.
[2] J. Maritain, Science et sagesse, trad. It., p.101, Torino, 1964.
[3] Marco Vitruvio Pollione ,De Architectura, 10 Libri 27– 23 a.C.
[4] B. Galiani, Dell’Architettura libri dieci di M. Vitruvio Pollione, Milano, 1832.
[5] A. C. Crombie, Da S. Agostino a Galileo, trad. it., Milano 1970
[6] C. Parvopassu, Visione storica della scienza e della tecnica delle costruzioni, Corso di
perfezionamento per le costruzioni, p.138-139, Milano, 1953.
[7] G. Galileo, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attenenti
alla mecanica e i movimenti locali, Ed. naz., cit., 8, p.49 e segg..
[8] C. A. De Coulomb, Essai sur une application des reglès de maximise t minimis à
quelques problèmes de statique relatifs à l’Architecture,1773.

16
Capitolo 1 La Meccanica del Continuo

Il capitolo sulla Meccanica del continuo si suddivide in 4 paragrafi:


il paragrafo 1.1 sullo stato di sforzo,
il paragrafo 1.2 sullo stato di deformazione,
il paragrafo 1.3 sul Principio degli spostamenti virtuali e
il paragrafo 1.4 sul legame costitutivo.
Completerà il capitolo un paragrafo di osservazioni generali sul modello matematico adottato, che
ne metterà in luce alcuni aspetti come la linearità delle equazioni, e discuterà i problemi di esistenza
ed unicità di soluzione.
Come accennato alla fine del Capitolo precedente, i risultati esposti in tale capitolo sono
riconducibili, in modo particolare, ai contributi di Cauchy.

Nomenclatura:
x1, x2,x3 indicano le coordinate di un punto nella configurazione finale;
X1,X2,X3 indicano le coordinate di un punto nella configurazione iniziale;
u1, u2,u3 indicano le componenti cartesiane del vettore spostamento di un punto;
V indica il volume del corpo;
Su indica la superficie esterna del corpo vincolata;
Sf indica la superficie esterna caricata;
f1, f2,f3 indicano le componenti cartesiane del vettore sforzo agente in un punto P della superficie
esterna;
in notazione matriciale una lettera sottolineata indica un vettore di 3 componenti, es. f ;
oppure, una lettera con un indice (i,j,k,l,m,n,p,q..) in basso a destra indica un vettore di 3
componenti, es. f i ;
la componente f i di un vettore viene assunta positiva se tale componente è concorde con il verso
dell’asse omologo xi;
t
il vettore trasposto si indica con la lettera t in alto a destra, ad esempio f ;
una matrice si indica con una lettera sottolineata due volte, ad esempio σ ;
il modulo di un vettore viene calcolato come radice quadrata della somma delle componenti al
quadrato, es. x = x12 + x22 + x32 ;
la somma di più vettori è data dal vettore le cui componenti sono la somma algebrica delle
componenti dei singoli vettori, es.: c = a + b che si può scrivere come ci = ai + bi .

17
Il problema del continuo deformabile si può impostare, con riferimento alla figura sottostante, come
segue:
sia assegnato un solido che occupa il volume V, in cui, punto per punto, è assegnato il vettore peso
per unità di volume Fi. Il volume V è delimitato da una superficie esterna S nella configurazione
iniziale, prima che il corpo si deformi.

Con Xi e xi si indicano, rispettivamente, il vettore posizione del punto, rispetto ad un sistema di


riferimento cartesiano ortogonale, nella configurazione iniziale e nella configurazione finale,
avvenuta la deformazione.
Il vettore spostamento, incognita del problema, viene definito come si = xi − X i .
La superficie laterale S si particola rizza in una superficie Su sulla quale è noto, punto per punto, il
vettore spostamento ed Sf su cui è noto il vettore sforzo fi che definiremo subito dopo, nel paragrafo
sullo stato di sforzo.
Il problema della meccanica del continuo deformabile, o meccanica del solido deformabile, è quello
di individuare il vettore spostamento, punto per punto, nota la geometria del solido (superficie
laterale e quindi volume occupato) e note le condizioni al contorno, in termini di vettore
spostamento sulla superficie vincolata Su e vettore sforzo sulla superficie caricata Sf. Risulta altresì
noto, cioè assegnato, il vettore forza per unità di volume punto per punto. Il problema del solido
deformabile appartiene, da un punto di vista generale matematico, alla tipologia dei problemi “al
contorno”.

Osservazione: si ricorda che per tutta la trattazione che seguirà, tutte le equazioni, ed in
particolare le equazioni di equilibrio che verranno subito dopo presentate, faranno riferimento alla
configurazione iniziale.
Quando tale ipotesi dovesse essere rilasciata, come nel capitolo della stabilità dell’equilibrio, se ne
farà esplicita menzione.

18
1.1 Lo stato di sforzo.
Si procede come primo punto alla definizione di vettore sforzo.
Con riferimento alla figura sottostante, si pensi di tagliare il solido con un piano di normale con
direzione n il cui versore viene indicato con ni. Il versore è il vettore di modulo unitario, in modo
tale che le sue componenti cartesiane ni coincidono con i coseni degli angoli che la direzione n
forma con la direzione degli assi coordinati. Ad esempio n1è il coseno dell’angolo che la direzione n
forma con l’asse x1.

Se si considera una delle due parti in cui si divide il solido, il versore ni si assume per convenzione
uscente dal corpo.
Nel piano di normale ni si considera un punto P qualsiasi, un’area finita ΔΣ intorno al punto P; su
tale superficie agirà un vettore forza che denotiamo con ΔFi (dimensioni di una forza [N]); si
definisce vettore sforzo che agisce sulla faccia di normale ni il limite sotto riportato.

Il vettore sforzo è, dimensionalmente, una forza divisa per una superficie [N/mm2].
Si osserva che:
1 per un punto passano infinite normali ni e quindi si possono valutare infiniti vettori sforzo.
Come conseguenza, il vettore sforzo non può essere assunto come misura dello stato di sforzo in
un punto poichè una misura di una qualsiasi grandezza si compone di un numero finito di
numeri;
2 il vettore sforzo agisce sulla faccia di normale ni, con la convenzione, come si è visto in
precedenza, che la normale si intende uscente dal corpo. In tal modo si identifica univocamente
una delle due facce del piano considerato. Sulla faccia di normale –ni agisce il vettore sforzo –fi
, per il Principio di Azione-Reazione.

La misura dello stato di sforzo in un punto si evince scrivendo e commentando le equazioni di


Cauchy, che vengono ricavate nel seguito.

1.1.1 Le equazioni di Cauchy


Si consideri un punto P qualsiasi del solido. Per esso si faccia passare il sistema di riferimento xi e
si consideri il solido ritagliato in torno a P con la superficie laterale costituita dai tre piani coordinati
passanti per P, con versore opposto al verso dei versori degli assi cartesiani, ed un piano di normale
ni qualsiasi e spostato rispetto a P di una quantità infinitesima dn. Un tale solido si denomina
tetraedro di Cauchy (vedi figura sotto riportata).
Si valutino le forze di superficie e di volume che agiscono sul solido: tali forze vengono evidenziate
in figura.

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X3
dAn=1/2(AB)x(CD)
C α3 dA3=1/2(AB)x(PD)
ni PD=(CD)x(cosα3)=(CD)x(n3)
α3

P B
X2
D
A
X1

Si imponga che tale sistema di forze dia risultante nulla (si deve fare riferimento alle equazioni
cardinali della statica, si veda Pierre Varignon (1654-1722)), cioè soddisfino le tre equazioni di
equilibrio alla traslazione nelle tre direzioni coordinate.

Ricordando le relazioni geometriche che legano le tre aree dei triangoli con normale corrispondente
ad un asse coordinato dAi all’area del triangolo di normale ni e denominata dA, si ottiene
l’equazione vettoriale algebrica sopra riportata.
Tale equazione vettoriale, corrispondente a tre equazioni scalari, si legge nel modo seguente:
assegnati tre vettori sforzo fi secondo tre piani ortogonali tra loro, è possibile calcolare il vettore
sforzo su una qualsiasi faccia di normale ni secondo la relazione sopra indicata.

Ora si passa ad esaminare i diversi modi con cui si possono scrivere le equazioni di Cauchy.
• Formulazione scalare:

20
si ottiene da quella vettoriale scrivendo per esteso le componenti dei singoli vettori.

f n1 = f11n1 + f 21n2 + f 31n3


f n 2 = f12 n1 + f 22 n2 + f 32 n3
f n 3 = f13n1 + f 23n2 + f 33n3
• Formulazione vettoriale:
è già stata ricavata la formulazione vettoriale in forma matriciale come:

mentre la formulazione vettoriale con gli indici si può scrivere come:


3
f ni = ∑ f ji ni
i =1

• Formulazione matriciale:

si raggruppino nelle tre colonne della matrice σ i tre vettori sforzo fi, come nella figura che
segue

La matrice-tensore degli sforzi è individuata da nove scalari.


Il vettore sforzo sulla faccia di normale ni si può esprimere come il prodotto scalare della
matrice σ per il versore n come segue:
f n = σn

• Formulazione tensoriale o indiciale:


la formulazione vettoriale con indici si può scrivere, ricordando (i) la convenzione (Einstein)
che il segno di sommatoria si può omettere nel caso la sommatoria si faccia rispetto ad un
indice ripetuto all’interno di un prodotto, e (ii) la definizione della matrice-tensore σij, nel
seguente modo:

1.1.2 Convenzione di segno sulle componenti del tensore degli sforzi

Si consideri una particolare matrice-tensore degli sforzi con tutte le componenti nulle tranne la
componente σ11 di cui si vuole individuare la convenzione sul segno.
• Si consideri la normale n1: la componente f11 del vettore sforzo sarà: f11=σ11.
• Si consideri ora la normale opposta –n1, la componente di sforzo f11sara: f11=-σ11
Si può ora trarre una regola generale, prendendo spunto dal caso particolare esaminato.
Se la normale uscente dal piano è concorde con il sistema cartesiano, il segno delle componenti
del tensore sono concordi con le componenti del vettore. Se la normale al piano è opposta al
versore del sistema cartesiano, il segno delle componenti del tensore sono opposte alle
componenti del vettore corrispondente. La figura seguente illustra quanto appena esposto,

21
indicando nel verso positivo le componenti del tensore degli sforzi sulla faccia con normale il
versore dell’asse x2 e sulla faccia con normale opposta.

1.1.3 Stato di sforzo piano


Si definisce stato di sforzo piano lo stato di sforzo definito da sole due righe e due colonne della
matrice sopra definita, ad esempio lo stato di sforzo in cui σ3, τ31, τ32, τ13, τ23=0 e solamente σ1, σ2,
τ12, τ21 risultano ≠0. Lo stato di sforzo di una lamiera o di un muro caricati nel loro piano x1,x2 sono
esempi di stati di sforzo piano. .

Esercizio N. 1
Si consideri lo stato di sforzo piano rappresentato nella figura sottostante. Si determini il vettore
sforzo sulla faccia che ha per versore normale il versore ruotato di 30° in senso orario a partire
dall’asse x.

Soluzione

I versori degli assi n e t (sistema di riferimento intrinseco) sono così calcolati:

22
Dalle equazioni di Cauchy si calcola il vettore sforzo f n che agisce sul piano di normale n come
segue:

Le componenti del vettore f n valutate nel sistema n,t si calcolano eseguendo il prodotto scalare del
vettore f n nella direzione n e t.

N.B. Prodotto scalare di due vettori si esegue come il prodotto del primo vettore, considerato riga,
per il secondo vettore, considerato come colonna.
Quando uno dei due vettori è un versore, il prodotto scalare calcola la componente del vettore (non
versore) nella direzione del versore.

23
Esercizio N. 2
Assegnato lo stesso tensore piano nel sistema di riferimento x1,x2 si determini il tensore di sforzo
secondo il sistema di riferimento x1’,x2’, dove x1’ si trova ruotando x1 di 0.15 rad in senso
antiorario.

Soluzione
Si procede, come nell’esercizio 1.1 al calcolo dei due vettori sforzo f 1' e f 2 ' nel sistema di
riferimento x1 e x2.

I due vettori f 1' e f 2 ' vengono quindi proiettati nelle direzioni x1’ e x2’ per calcolare le componenti
del tensore nel sistema di riferimento x1’ e x2’.

In termini di algebra delle matrici si può scrivere:

τ 12 ' = n 2 't σn1' = n1t ' σt n 2 ' = τ21'

poiché si dimostra nel seguito che la matrice σ è una matrice simmetrica (cioè σ = σ ).
t

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Esercizio N. 3
Sia assegnato uno stato di sforzo piano tramite la matrice σij

con riferimento al sistema di riferimento Cartesiano ortogonale di figura sottostante.

Si richiede il vettore sforzo su una faccia ruotata di -50° (assumendo positiva la rotazione
antioraria) rispetto all’asse x1, nel sistema di riferimento nα-nβ, i cui versori sono indicati nella
figura soprastante.

Soluzione

• Individuazione del piano la cui normale uscente forma un angolo di -50° rispetto all’asse x1.

25
• Calcolo dei versori normale e tangente al piano

• Calcolo delle componenti cartesiane del vettore sforzo:

• Calcolo delle compenti del vettore sforzo nel sistema di riferimento intrinseco:

26
1.1.3 Le equazioni indefinite di equilibrio

Le equazioni indefinite di equilibrio, che esprimono le regole secondo cui il tensore di sforzo può
variare da punto a punto, vengono ricavate con l’ausilio del lemma Di Gauss, qui sotto riportato.
Sia assegnato un solido di volume V e di superficie laterale S. Sia definito in V un vettore vj ed in
ogni punto della superficie laterale il versore normale nj. Il lemma di Gauss si scrive come:

dove si conviene quanto segue:


• l'operatore di derivazione parziale viene abbreviato con una virgola e uno stesso indice ripetuto
all'interno dell'operatore di derivata parziale sta ad indicare l’operazione di sommatoria;
• quando un indice viene ripetuto all'interno di un prodotto si sottintende l'operazione di
sommatoria, con l'indice (in questo caso j) che varia da 1 a 3.
Il lemma di Gauss risulta quindi uno strumento utile per passare da un integrale di superficie ad un
integrale di volume, o viceversa.
Si scriva il lemma di Gauss tre volte, assumendo di volta in volta come vettore vj i vettori σj1, σj2,
σj3 della matrice degli sforzi. Si ottiene:

Le tre equazioni scalari scritte sopra possono essere espresse come un’unica equazione vettoriale
nella forma seguente:

in cui, come già accennato, l’indice j ripetuto nel termine di sinistra all’interno di un prodotto e nel
termine di destra all’interno dell’operazione di derivazione sottintende l’operazione di sommatoria.

Orbene, le equazioni di equilibrio alla traslazione nelle tre direzioni coordinate del solido di volume
V e superficie laterale S soggetto alle forze di volume Fi e di superficie fi si possono scrivere in
forma vettoriale con l’unica equazione sotto riportata.

Sostituendo al vettore fi la sua espressione fornita dalle equazioni di Cauchy si ottiene:

27
Ora, ricordando il lemma di Gauss, l’integrale di superficie dell’espressione sopra riportata può
essere sostituito da un integrale di volume, cioè:

Finalmente le equazioni di equilibrio si possono scrivere come:

Si deve osservare ora che le equazioni di equilibrio per un corpo deformabile devono essere
rispettate non solo per il solido nel suo insieme ma altresì da ogni sua parte per piccola che sia,
quindi si scrive che le equazioni si applicano per ∀dV. Se le equazioni integrali devono valere per
un qualsiasi elemento di volume devono essere nulle le funzioni integrande, cioè:

Le tre equazioni scalari differenziali lineari sopra riportate sono denominate equazioni indefinite di
equilibrio.

Esempio
Si vuole determinare lo stato di sforzo monoassiale (σ 11≠0 e tutte le altre componenti del tensore
sforzo =0) di un filo pesante (peso specifico γ e area della sezione A), posto in direzione verticale,
vincolato con cerniera (in alto) e carrello (in basso). Si scrive la prima equazione di equilibrio
indefinito, si integra e si determina la funzione σ 11(x11).

28
Si vuole fornire ora una derivazione più meccanica delle equazioni di equilibrio, pensando di
evidenziate su di un elemento di volume infinitesimo, secondo il sistema di riferimento Cartesiano
ortogonale, tutte le forze che agiscono nella direzione x2.

L’equazione di equilibrio alla traslazione nella direzione x2 si ottiene valutando tutte le forze che
agiscono sulle sei facce del cubetto elementare e facendone la somma.

Eliminando uno ad uno gli infinitesimi del 2° ordine e dividendo per il volume elementare, si
ottiene:

che rappresenta appunto la seconda equazione scalare dell’equazione vettoriale espressa prima in
forma generale.

1.1.4 Le equazioni di equilibrio alla rotazione


Le tre equazioni indefinite di equilibrio esprimono l’equilibrio alla traslazione secondo le tre
direzioni coordinate di un qualsiasi punto del solido. Con riferimento alla figura sottostante si vuole
ora esprimere l’equilibrio del volume elementare alla rotazione attorno agli assi x1, x2, x3.

29
In figura, per semplicità di esposizione, sono rappresentate solo le forze che causano la rotazione
intorno all’asse x2. Assumendo positivi i momenti che agiscono in senso antiorario nel piano x1-x3,
l’equazione alla rotazione si esprime come:

da cui si ottiene il risultato:

Estendendo la stessa trattazione alle equazioni di equilibrio alla rotazione intorno agli assi x1 e x3 si
trova:

La lettura delle tre relazioni sopra riportate porta a esprimere la simmetria del tensore (matrice)
degli sforzi, cioè:

30
1.1.5 Le tensioni e direzioni principali: trattazione generale

Posizione del problema


Il tema della definizione e calcolo delle tensioni e direzioni principali riveste un ruolo centrale nel
capitolo dello stato di sforzo, sia dal punto teorico che applicativo.
Si considerino le equazioni di Cauchy, scritte sotto forma matriciale o indiciale come sotto:

Si definisca un vettore sforzo su di una faccia di normale n come:

cioè il vettore sforzo ha la stessa direzione della normale n e di modulo e segno pari σ.
Risulta evidente che, se un tale vettore esiste, si avrà che, mentre le componenti del versore ni, così
come avviene per un qualsiasi vettore, dipendono dal sistema di riferimento cartesiano a cui si
riferiscono, lo scalare σ, così come ogni scalare, non deve dipendere dal sistema di riferimento
adottato.
Lo scalare algebrico σ si dice “invariante” e, in termini meccanici, “tensione principale”; il versore
ni corrispondente si chiama “direzione principale”.
Le equazioni di Cauchy che esprimono un tale vettore sforzo si possono scrivere nella forma:

In termini generali matematici una tale formulazione, nel calcolo matriciale, si definisce come
problema della ricerca degli autovalori σI, σII, σIII ed autovettori nIi, nIIi, nIIIi della matrice σij. Se la
matrice σij è simmetrica, gli autovalori sono numeri reali e gli autovettori sono ortogonali tra loro.
In termini meccanici, gli autovalori della matrice σij si denominano “tensioni principali” e gli auto
vettori “direzioni principali”.

31
SOLUZIONE DEL PROBLEMA
Le tre equazioni scalari sopra riportate sono tre equazioni omogenee nelle incognite ni e σ. Esse
rappresentano un sistema omogeneo in cui la soluzione banale ni=0 non è una soluzione del
problema, poiché ni sono le componenti di un versore e, per definizione, non possono essere tutte
contemporaneamente nulle. Per l’esistenza di una soluzione si dovrà porre nullo il determinante
della matrice dei coefficienti, cioè:

che in forma estesa diventa

Ora si calcola il determinante della matrice sopra riportata.

Svolgendo pochi passaggi algebrici si ricava la seguente espressione:

dove:

32
Il coefficiente I2 può essere ricordato più facilmente come somma dei determinati dei minori di
secondo ordine della matrice degli sforzi, e più precisamente:

Risolta l’equazione di 3° grado, cioè determinate le tensioni principali σI, σII, σIII , si passa al
calcolo delle tre direzioni principali con la seguente procedura:
• si considera la tensione principale σI e si cerca il versore della direzione principale
corrispondente nIi. Si scrivono le tre equazioni di Cauchy che esprimono il vettore sforzo
principale, ricordando che σI si deve considerare noto.

• Poiché il determinante della matrice dei coefficienti è stato imposto nullo, ci sarà una
combinazione lineare tra le tre equazioni. Si deve dunque eliminare un’equazione, scelta a
caso.
• Allo stesso tempo si deve ricordare che il vettore nIi risulta un versore per cui vale la
seguente relazione:

• Si tratta di risolvere un sistema di due equazioni lineari ed una non lineare. La


esemplificazione di un tale calcolo verrà fatta subito nel seguito, nel caso più semplice di
stato di sforzo piano.

33
1.1.6 Le tensioni e direzioni principali nello stato di sforzo piano

Ci si limita al caso dello stato di sforzo piano sia perché lo stato di sforzo presente nella teoria della
trave (che costituisce parte principale del corso) è un particolare caso di stato di sforzo piano, sia
perché il caso tridimensionale è una generalizzazione dello stato di sforzo piano ma non aggiunge
nulla alla comprensione dei concetti.
Si consideri uno stato di sforzo piano riferito ad un sistema di riferimento Cartesiano ortogonale
come in figura. La matrice degli sforzi, simmetrica, viene definita da tre componenti di tensione che
vengono indicati, nella loro rappresentazione geometrica, nella figura sottostante. Si consideri
altresì un piano, pensato passante per il punto in cui viene definita la matrice degli sforzi, la cui
normale risulta ruotata di un angolo α, positivo antiorario, rispetto all’asse x1. Si indichi il vettore
sforzo fni che agisce sulla faccia di normale ni. Si è, in tal modo, rappresentato il tetraedro di
Cauchy nel caso particolare di stato di sforzo piano.

Si esprima ora, in termini matematici, la ricerca delle due tensioni principali incognite. Due sole
incognite in quanto la terza è nota a priori, è nulla e corrisponde alla direzione x3.

σ n1= σ11n1+ σ21n2


σ n2= σ12n1+ σ22n2
Come si è già osservato nel caso generale tridimensionale, la ricerca delle tensioni principali si
effettua ponendo nullo il determinante dei coefficienti del sistema, cioè:

34
Svolgendo il determinante si ottiene la seguente equazione di secondo grado nell’incognita σ:

Le due radici dell’equazione si possono calcolare come segue:

La ricerca della direzione principale xI, ad esempio, si può esprimere attraverso due equazioni, di
cui la prima è una delle due equazioni di Cauchy appena sopra riportate (ad esempio la prima) e la
seconda ricorda la definizione di versore della direzione principale xI, espressa dalle due
componenti incognite n1 e n2.:

σI n1= σ11n1+ σ21n2


n12+n22=1

Risolvendo, ad esempio, la prima equazione per n2 si ottiene:

n2= (σI - σ11)n1/ σ21

Il segno + o – del termine (σI - σ11)/ σ21 indica se i segni di n1 e n2 sono concordi o discordi.
Sostituendo l’espressione di n2 nell’equazione di 2° grado in n1 si ottiene:

σ 212
n1 = ±
σ 212 + (σ I − σ 112 )
2
n2 = ± 1 − n1

35
Se, ad esempio, si sceglie il segno + nella prima equazione per n1, il segno di n2 è definito
dall’equazione soprastante che lega n1 a n2. Ovviamente, volendo individuare una direzione e non
un verso, anche i segni opposti sono una soluzione del problema.
Si procede ora ad illustrare un metodo, il Circolo di Mohr, molto utile e semplice per la descrizione
dello stato piano di sforzo e, quindi, per il calcolo delle tensioni e direzioni principali.

1.1.6.1 Il Circolo di Mohr

Si consideri uno stato di sforzo piano riferito al sistema di riferimento Cartesiano ortogonale
coincidente con le direzioni principali. Si vogliono esprimere, analiticamente, le componenti del
vettore sforzo fni nel sistema di riferimento intrinseco ni e ti, assumendo positivo il verso del versore
ti a determinare un momento orario rispetto al punto P, origine degli assi, come in figura seguente.
La convenzione delle tensioni, componenti del vettore sforzo fni, sono:
• σnn positiva di trazione
• τnt positiva se oraria

Si esprimono ora le componenti σnn e τnt in funzione delle tensioni principali e dell’angolo α che la
normale ni forma con l’asse xI.

36
Osservazioni
1. La condizione di stazionarietà (minimo o massimo) della tensione normale rispetto
all’angolo α porta a valutare che:

Cioè la tensione normale è massima o minima nei piani in cui la tensione tangenziale
risulta nulla.
2. Il Circolo di Mohr , nel piano della tensione normale come ascissa e della tensione
tangenziale come ordinata, viene espresso dalle due equazioni parametriche sotto
riportate, con parametro l’angolo α:

Si vuole ora esprimere le due equazioni sopra riportate in funzione dell’angolo 2α ricordando le
relazioni trigonometriche seguenti:

37
Le equazioni parametriche del circolo di Mohr diventano :

Indicando con:
b=(σI+σII)/2
R=(σI-σII)/2
il sistema parametrico diventa:

Eseguendo il quadrato di entrambi i termini di entrambe le equazioni e sommando le due equazioni


membro a membro si ottiene l’espressione analitica del Circolo di Mohr in funzione delle tensioni
principali:

Si procede nel seguito ad illustrare l’uso di tale strumento per studiare lo stato di sforzo piano in un
punto e si estenderà tale utilizzo al caso generale in cui il sistema di riferimento sia un sistema
Cartesiano qualsiasi e non un sistema coincidente con le direzioni principali.

38
Costruzione grafica:
Si traccia un sistema di riferimento Cartesiano ortogonale in cui si pone in ascissa la componente di
tensione normale (con il segno positivo se di trazione) ed in ordinata la tensione tangenziale (con il
segno positivo se oraria).
Si individua quindi la posizione del centro del cerchio, che giace sull’asse delle ascisse, attraverso
la coordinata b; si calcola il valore del raggio R e si traccia il cerchio.

Osservazioni
• Ogni punto del Circolo rappresenta un vettore sforzo su un piano ben preciso, nelle
coordinate intrinseche normale e tangente al piano;
• la posizione del centro è sempre sull’asse delle ascisse;
• la tensione tangenziale massima si trova sempre su un piano che forma 45° con la direzione
dei piani principali;

• i punti A e A’, diametralmente opposti, rappresentano le tensioni principali; σI la maggiore


in senso algebrico e σII la minore;

• due punti diametralmente opposti, ad esempio P e P’, in cui P’ si ottiene ruotando P sul
Circolo di 180° in senso orario o antiorario, rappresentano due vettori sforzo su due facce
ortogonali tra loro, che cioè si ottengono ruotando di 90° una faccia per ottenere l’altra.

39
Alcuni esempi di costruzione del Circolo di Mohr
Esercizio N. 4
Domanda 1 - Tracciare il circolo di Mohr dello stato di sforzo monoassiale di trazione
Sia dato lo stato di sforzo di sola trazione come in figura. Si determinano i punti A e A’
diametralmente opposti sul circolo di Mohr.

Domanda 2 – Individuare la giacitura dei piani, e i vettori sforzo corrispondenti, che


corrispondono ai punti B e B’ nel Circolo di Mohr

Soluzione: sul Circolo di Mohr si passa dal punto A al punto B ruotando di 90° in senso
antiorario; conseguentemente nel solido dovrò ruotare la faccia su cui agisce la tensione
principale di trazione σ in senso antiorario di 45° e il vettore sforzo sarà costituito da una
componente di trazione (positiva) pari a σ/2 e una tensione tangenziale positiva (oraria) pari a
σ/2.

Esercizio N. 5
Domanda 5.1 - Determinare il circolo di Mohr dello stato di sforzo monoassiale di
compressione

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Domanda 5.2 – Individuare la giacitura dei piani, e i vettori sforzo, che corrispondono ai punti
B e B’ nel Circolo di Mohr

Soluzione: sul Circolo di Mohr si passa dal punto A’ al punto B ruotando di 90° in senso
antiorario; conseguentemente nel solido dovrò ruotare la faccia su cui agisce la tensione
principale nulla in senso antiorario di 45° e il vettore sforzo sarà costituito da una componente
di compressione (negativa) pari a -σ/2 e una tensione tangenziale positiva (oraria) pari a σ/2.

Esempio N. 6
Sia dato lo stato di sforzo piano di figura (in kg/cm2):

41
Domanda 6.1: si determini la matrice degli sforzi:
Soluzione:

Domanda N.6. 2: si determinino sforzi principali con il metodo analitico.


Soluzione:

Domanda N. 6.3: si determinino le direzioni principali con il metodo analitico.


Soluzione:
Si ricorda il sistema di equazioni che governa il problema, e cioè le equazioni di Cauchy e la
definizione di versore.

Si voglia determinare la direzione principale xI che corrisponde alla tensione principale σI=929
kg/cm2. Si sceglie di eliminare la seconda equazione lineare e la terza non lineare.

I passaggi analitici diventano:

42
I segni delle due componenti del versore devono rispettare la relazione tra di esse sopra riportate
e che impone ai segni delle due componenti ad essere diverse, una positiva e l’altra negativa.

In conseguenza si trova:

Il versore della direzione principale xII si trova imponendo l’ortogonalità rispetto alla direzione
xI, e quindi:

La rappresentazione grafica delle direzioni principali diventa:

43
Domanda N. 6.4: si costruisca il Circolo di Mohr, si determinino le tensioni principali, si
determinino le direzioni principali.

Circolo di Mohr

Tensioni principali

Direzioni principali

44
1.2 Lo stato di deformazione
Il presente paragrafo ha lo scopo di presentare le regole, nell’ambito della meccanica lineare
(cioè in cui tutte le equazioni che governano il problema sono lineari), che descrivono la
deformazione del solido.
Il vettore spostamento si indichi con si. Tale vettore porta un qualsiasi punto P dalla
configurazione iniziale (linea continua nella figura sottostante) alla configurazione finale (linea
tratteggiata).
Intuitivamente la deformazione, di cui si cerca una misura, è legata alla variazione di tale
vettore passando da un punto ad un altro vicino.

Pertanto, fissato un punto, si pensa di individuare tre segmenti infinitesimi lungo le tre direzioni
coordinate, indicando con le lettere A-B-C i punti estremi di tali segmenti opposti a P, ed
esprimere la variazione del vettore spostamento di tali punti rispetto a P (si veda la figura
sottostante).
Un tale sistema, che nella valutazione dello stato di deformazione prende il posto del tetraedro
di Cauchy, adottato nella definizione del tensore di sforzo, viene utilizzato in questo paragrafo
per definire il tensore di deformazione.
Non necessita di spiegazioni il concetto che un moto rigido, traslazione + rotazione, di questo
intorno del punto P, formato da tre segmenti ortogonali tra loro, non induce deformazioni. In
altre parole le misure di deformazione si possono valutare pensando di sottrarre allo
spostamento finale di tale sistema la traslazione e rotazione rigida.
1.2.1 Il tensore delle derivate del vettore spostamento
In particolare, si consideri il punto P che si sposta nel punto P’. Il punto B, variato da P solo
nella coordinata x2 di una quantità dx2, si sposterà in un punto B’. Il vettore spostamento totale
BB’ viene scomposto in un vettore spostamento uguale al vettore PP’ + un vettore spostamento
che esprime la variazione del vettore spostamento quando la coordinata x2 si incrementi della
quantità dx2.

45
Il vettore spostamento PP’ si può pensare come il vettore della traslazione rigida dell’insieme
dei tre segmenti infinitesimi ortogonali spiccati da P.

Per il segmento PB si può scrivere:


∂si
dsi = dx2 ;
∂x2
analogamente per i segmenti PA e PC:

∂si
dsi = dx1
∂x1

∂si
dsi = dx3 .
∂x3

Le tre equazioni scalari sopra descritte si possono raggruppare in una unica equazione vettoriale
scritta in forma indiciale come:

∂si
dsi = dx j .
∂x j

Si definisce quindi il tensore


∂si
ψ ij =
∂x j

delle derivate del vettore spostamento.

46
1.2.2 Il vettore delle derivate del vettore spostamento lungo una direzione qualsiasi
Si consideri ora un segmento infinitesimo spiccato da P e individuato, come direzione, dal
versore ni.

Le componenti del vettore versore ni si possono esprimere come:

.
Il vettore delle derivate del vettore spostamento nella direzione ni si può scrivere come:

.
Ovvero, ricordando la definizione di vettore versore sopra riportato:

.
In termini matriciali tale vettore può essere scritto come:

o, in notazione indiciale, nella seguente forma:


∂si
= ψ ij n j .
∂n
Si deve osservare la similitudine e la differenza che una tale equazione presenta rispetto alle
equazioni di Cauchy.

47
La somiglianza: entrambe le equazioni forniscono il vettore ricercato in funzione della direzione
ni e di tre vettori analoghi riferiti al sistema Cartesiano ortogonale.
La differenza: la matrice degli sforzi, nel caso delle equazioni di Cauchy, è una matrice
simmetrica mentre la matrice delle derivate del vettore spostamento non è simmetrica.
D’altronde il vettore delle derivate del vettore spostamento in una direzione non può assumersi
come misura delle deformazioni nella stessa direzione, in quanto tale vettore sconta sì la
traslazione rigida del sistema dei tre segmenti infinitesimi ortogonali tra loro, ma non la
rotazione rigida.
1.2.3 Il tensore di rotazione rigida e il tensore di deformazione
Se si pensa di scomporre il tensore ψij nella sua parte simmetrica e quella antisimmetrica si può
scrivere:
ψij=ϕij+θij
dove i due tensori ϕij , simmetrico,e θij , antisimmetrico, sono definiti dalle relazioni:

Il tensore θij, antisimmetrico, gode della seguente proprietà:


θijninj=0
in quanto (in questo caso non si sottintende l’operazione di sommatoria per l’indice ripetuto
all’interno di un prodotto):
θijninj=-θjininj e θiinini=0.
Dunque il vettore θijni risulta normale a ni

48
Ritornando alla definizione iniziale di vettore delle derivate del vettore spostamento in una
direzione qualsiasi ni
∂si
= ψ ij n j =ϕijnj+θijnj,
∂n

ricordando che il vettore θijnj risulta ortogonale a ni si conclude che tale vettore non comporta
un allungamento/accorciamento del segmento dn e nemmeno una variazione di angolo tra il
versore ni e un asse qualsiasi ad esso ortogonale.
Si può dunque definire come vettore deformazione l’espressione:
εni=ϕijnj
dove con εni si indica la componente i-esima del vettore deformazione di una fibra posta lungo
la direzione ni.
1.2.4 Lo stato di deformazione piano
Come nel caso del paragrafo sullo stato di sforzo, anche per il presente paragrafo sullo stato di
deformazione, le applicazioni saranno sviluppate per il caso più semplice in cui tre delle sei
componenti del tensore di deformazione risultano identicamente nulle. Come per il caso dello
stato di sforzo, anche per il caso dello stato piano di deformazione ci si riferisce a vettori
spostamento contenuti nel piano x1-x2, cioè s1(x1,x2) e s2(x1,x2) e il vettore s3=0.

49
1.2.5 Interpretazione geometrica delle componenti del tensore di deformazione ϕij nel caso
di stato di deformazione piano
• Componente di deformazione ϕ11 o anche denominata ε11

Come si legge facilmente dalla figura sopra, la componente di deformazione ε11=ϕ11 si


definisce come il rapporto tra (i) la differenza tra proiezione della lunghezza finale meno
lunghezza iniziale e (ii) la lunghezza iniziale. La componente con indici uguali è una misura
dell’allungamento (positiva) della fibra che ha direzione dell’asse Cartesiano con lo stesso
indice. Si ricorda che le componenti del tensore di deformazione sono dei numeri puri, nelle
applicazioni ingegneristiche dell’ordine di 10-4-10-3. La componente ε11 ,se vale ad esempio
1x10-3 significa che un segmento di lunghezza iniziale di 1000 mm si allunga di 1mm
(ε11=1/1000=1x10-3).

• Componente di deformazione ϕ12 o anche denominata ε12


La componente del tensore di deformazione φ12= φ21=γ12/2=γ21/2 rappresenta metà della
rotazione relativa (in radianti, denominata γ12=γ21) che avviene tra l’asse x1 e l’asse x2.

50
In figura si mostra la componente di φ12 positiva.

1.2.6 Deformazioni principali e direzioni principali di deformazione


La ricerca delle deformazioni principali e delle direzioni principali di deformazione segue lo
stesso schema, variando ovviamente le grandezze in gioco, già adottato nel caso del tensore
degli sforzi.
Si definisce direzione principale di deformazione la direzione di quelle fibre per le quali il
vettore deformazione ha la stessa direzione della fibra stessa, cioè:

.
Tale equazione si può riscrivere utilizzando la definizione di vettore di deformazione assunta
nel paragrafo precedente:

.
Indicando con il simbolo Iij la matrice o tensore unitario,

si ottiene una equazione del tutto simile a quella già discussa nel paragrafo sulle tensioni e
direzioni principali di tensione.

.
Si tratta di tre equazioni omogenee nelle incognite direzioni principali. La soluzione nulla ni=0
non è una soluzione possibile per cui dovrà annullarsi il determinante dei coefficienti del
sistema. Da una tale condizione si ricava un’equazione di terzo grado nell’incognita
deformazione principale. Seguendo gli stessi ragionamenti fatti nel capitolo sullo stato di sforzo,
le tre radici dell’equazione di terzo grado sono reali poiché la matrice di deformazione è una
matrice simmetrica; analogamente i versori delle direzioni principali sono tre ed ortogonali fra
loro.

51
1.2.6 Stato di deformazione piano e Circolo di Mohr
Si definisce stato di deformazione piano uno stato di deformazione in cui un vettore di
deformazione, ad esempio relativo all’asse x3, cioè φ3i, risulta identicamente nullo. La matrice
delle deformazioni diventa una 2x2 e si può scrivere come:

La rappresentazione grafica dello stato di deformazione piana può essere fatta mediante l’ausilio
del Circolo di Mohr.
Si riporta in ascisse la componete del vettore deformazione che misura la variazione di
lunghezza (positivo l’allungamento) ed in ordinate la metà della rotazione che avviene tra l’asse
n e l’asse t generici, positiva se oraria.
• La costruzione del Circolo viene eseguita partendo dalla matrice di deformazione che
fornisce, nelle due colonne, i due vettori deformazione di due assi coordinati x1-x2. Si
ricorda la convenzione sul segno della rotazione, positivo se oraria. I due punti, nel
piano di Mohr sono diametralmente opposti per cui, congiungendoli, si trova la
posizione del centro come intersezione con l’asse εnt=0. La distanza tra il centro ed un
punto qualsiasi del Circolo fornisce il raggio.

52
1.2.7 La componente di deformazione εnn
La componente di deformazione εnn (o εn) risulta di particolare importanza nello sviluppo delle
tecniche sperimentali per la misura delle deformazioni. Si ricorda di seguito l’espressione
analitica di tale grandezza.

Se, ad esempio, nello stato piano di deformazione, vengono misurate tre valori di εn, noti gli
angoli α, si possono determinare le tre componenti del tensore di deformazione ϕ11, ϕ22, ϕ12.
Una tale idea ha dato luogo allo strumento di misura che si chiama “rosetta estensimetrica”.
Di seguito viene fornita una breve illustrazione di tale tecnica sperimentale.
1.2.8 La misura sperimentale delle deformazioni con gli “strain gauges”
Un’ampia gamma di sistemi meccanici ed elettrici ed ottici viene oggi utilizzata per effettuare la
misura della deformazione normale media. Uno dei metodi più utilizzati fa ricorso al cosiddetto
“strain gauge”. Esso consiste in un filamento elettrico sottile incapsulato tra due fogli di carta
trattata o di plastica.

53
N.B La variazione di lunghezza del filamento quando soggetto ad uno sforzo normale è molto
più grande, con riferimento alla figura sotto riportata, nella direzione orizzontale che non in
quella verticale.

I fogli servono come isolante tra il filamento elettrico e la superficie del solido su cui lo “strain
gauge” verrà incollato. Il rapporto tra la variazione unitaria di resistenza del filamento elettrico a
spire e la variazione di lunghezza viene denominato “gauge factor”.
Il metallo con cui è costituito il filamento determina tale fattore. Per una lega composta al 60%
di rame e 40% di nickel, tale fattore vale circa 2.
Il principio su cui si basa la tecnica dello “strain gauge” è quello della corrispondenza tra la
variazione della resistenza elettrica del filamento a spire e la variazione di lunghezza dello
stesso.
Si possono cogliere misure di deformazione piccole fino a 10-6.
Combinazioni di “strain gauges” sono disponibili per misurare lo stato piano di deformazione in
tre direzioni diverse.
Generalmente tali misure vengono effettuate lungo direzioni ruotate tra di loro di 45° o 60°.
Utilizzando le opportune relazioni si possono ottenere facilmente le deformazioni e direzioni
principali.

Esempio N. 7 la rosetta estensi metrica


Siano note le misure di deformazione seguenti:

54
Si vuole calcolare il tensore di deformazione piana, direzioni e deformazioni principali.

Si ricordano le definizioni:

Si calcolano i versori n0,i, n60,i, n120,i:

Si imposta il sistema di tre equazioni in tre incognite.

55
Ricapitolando:

Calcolo delle deformazioni principali.

56
Circolo di Mohr:

57
1.3 Il Principio dei Lavori Virtuali ( nello specifico Principio degli Spostamenti Virtuali)
Si consideri il solido generico di figura, soggetto alle forze di superficie fi, e di volume Fi, con
spostamenti nulli sulla superficie vincolata Su.
Si consideri un campo di spostamenti “virtuali” δsi.

.
1 Si possono scrivere le equazioni di equilibrio tra le forze fi e Fi come segue:

2 Si possono scrivere le equazioni di congruenza tra spostamenti virtuali e il tensore delle derivate
del vettore spostamento nel modo seguente:

3 Si può scrivere un’equazione scalare che esprima il lavoro delle forze fi e Fi per gli spostamenti
virtuali δsi

.
Sostituendo, al posto di fi le equazioni di equilibrio di Cauchy,

58
e riordinando i termini del prodotto in modo da mettere in evidenza il prodotto scalare vjnj, si
perviene alla espressione seguente:

Ricordando che l’integrale sulla superficie S del flusso del vettore vj si può trasformare
nell’integrale della divergenza del vettore vj sul volume V secondo il Teorema della divergenza
(richiamato nel seguito) si può scrivere:

Sostituendo al tensore delle derivate del vettore spostamento la somma della sua parte
simmetrica (tensore di deformazione) e della sua parte antisimmetrica (rotazione rigida) si
ottiene:

dove si dimostra facilmente che lo scalare σij δθij=0.

N.B. Il prodotto scalare tra due tensori AijBij indica la sommatoria del prodotto di tutte le
componenti omologhe del tensore Aij e Bij.

59
Il Principio dei Lavori Virtuali (PLV) asserisce che il lavoro (Le= Lavoro esterno) delle forze fi
e Fi per un qualsiasi campo di spostamenti virtuali δsi è uguale al lavoro (Li= Lavoro interno)
del tensore degli sforzi σij, equilibrato con le forze fi e Fi, per le deformazioni virtuali δϕij.

Teorema della divergenza (Lagrange, Gauss, Green): trasforma l’integrale della divergenza di
un vettore sul volume di definizione nell’integrale del flusso del vettore sulla superficie esterna.

60
Il PLV per i corpi rigidi e il Calcolo a Rottura

Il PLV si particola rizza, nel caso di corpi rigidi, nella semplice espressione:
Le=0
Esempio: si voglia calcolare il momento all’incastro di una mensola soggetta al carico distribuito
pari a p. Si degradi il vincolo dell’incastro a cerniera, evidenziando il momento M che riporta la
cerniera a vincolo incastro come nel problema originale.

M
x

y& (x)
α&

Il PLV vede come quantità equilibrate il carico p ed il momento M, e come quantità congruenti la
rotazione α& e lo spostamento verticale di ciascun punto della trave y& (x) .
Il PLV si può scrivere come:

∫ pdxy& ( x) = Mα&
0

Essendo:
y& ( x) = α&x
si ricava:
l

∫ pxdx = M = pl
2
/2
0

61
Si consideri il problema affrontato da Coulomb della rottura di una colonna secondo il seguente
meccanismo:

P
P

A B

C A’

D
α

La parte superiore scorre lungo il piano inclinato di un angolo α rispetto all’asse orizzontale. Il
punto A va in A’ subendo uno spostamento δ& verticale; lo scorrimento lungo al piano inclinato
sarà δ& / senα . Indicando con τlim la massima tensione tangenziale che il materiale può
sopportare (Criterio di Tresca) il PVL può essere scritto utilizzando come quantità equilibrate il
carico P e la tensione τlim , pensata distribuita in maniera uniforme sulla sezione di scorrimento,
e come quantità congruenti lo spostamento δ& del punto di applicazione del carico P e lo
scorrimento δ& / senα .
La parte superiore scorre lungo il piano inclinato di un angolo α rispetto all’asse orizzontale. Il
punto A va in A’ subendo uno spostamento δ& verticale; lo scorrimento lungo al piano inclinato
sarà δ& / senα . Indicando con τlim la massima tensione tangenziale che il materiale può
sopportare (materiale coesivo con Criterio di Tresca) il PVL può essere scritto utilizzando come
quantità equilibrate il carico P e la tensione τlim , pensata distribuita in maniera uniforme sulla
sezione di scorrimento, e come quantità congruenti lo spostamento δ& del punto di applicazione
del carico P e lo scorrimento δ& / senα . Indicando altresì con B(x) il valore dello dimensione
fuori del piano della sezione della sezione di area A, si può scrivere:
D / cos α
δ&
Pδ& = ∫τ lim
0
senα
B( x)dx

τ lim A
Plim =
senα cos α

essendo

62
dA = B( x)dx .
Si vuole determinare ora l’angolo α per cui avviene il collasso.
Il modo di ragionare, già seguito da Coulomb, per cui lo si può ritenere un precursore del
Calcolo a Rottura, è il seguente:
se si determina l’angolo α* per cui Plim risulta minimo, P*lim, pensando di crescere il carico P da
zero a P*lim, si manifesterà una situazione di collasso per la prima volta quando
P=min Plim=P*lim
e meccanismi con α≠α* non si potranno manifestare. La condizione di minimo si scrive
imponendo la stazionarietà di Plim:
( )
dPlim − τ lim A cos 2 α − sen 2α
= =0
dα (senα cosα )2
da cui si ricava la condizione,
cos2α=sen2α
ovvero α=45°.
Si osserva che la derivata è negativa per α<45° e viceversa risulta positiva per α>45° e quindi si
tratta di un minimo della funzione Plim(α).

63
Il legame costitutivo elastico lineare isotropo
Si esamina per primo il legame costitutivo dello stato di sforzo monoassiale, quindi si estende il
legame al caso di stato di sforzo generale pluriassiale.

1.4.1 Il legame costitutivo nel caso di stato di sforzo monoassiale


Il legame costitutivo monoassiale viene misurato con l’ausilio di una macchina di prova del tipo
di quella illustrata nella figura sottostante.
• La macchina di trazione
La macchina è costituita di due teste che contengono le ganasce necessarie per afferrare
il provino del materiale di cui si vuole identificare il legame costitutivo. Una delle due
teste rimane ferma e la seconda, nella figura quelle superiore, si sposta, ad esempio
verso l’alto provocando l’allungamento del provino.
In corrispondenza alla testa inferiore della macchina illustrata in figura, si posiziona la
“cella di carico”, preposta alla valutazione sperimentale della forza applicata al provino
di prova. Il provino viene strumentato mediante un estensimetro che misura
l’allungamento/accorciamento di due punti sulla superficie esterna del provino ad una
distanza, detta base di misura, l0 prefissata (ad esempio 100mm). Ad ogni valore dello
spostamento della traversa, e quindi di una testa di afferraggio (nel caso in figura quella
superiore) corrisponde un valore della forza misurata
• La “cella di carico”
Si riporta, per chiarezza, la foto di una possibile “cella di carico” o dinamometro. Per la
misura delle forze, esistono dinamometri di vario tipo. I dinamometri vengono “tarati”
attraverso una “catena” di misura che ne assicurino precisione ed accuratezza. Tale
catena vede in cima Centri “primari” di Taratura; in Italia tale ruolo viene svolto dal
Centro CNR Istituto “Colonnetti” di Torino. Tali Centri “primari” dispongono dei
campioni di riferimento più accurati. Nel caso della misura di forze, essi dispongono di
una serie di masse di riferimento e di macchine a pesi “diretti” che, per comparazione,
effettuano la taratura di celle di carico di centri “secondari” di taratura. Tali centri
eseguono, a loro volta, tarature sulle celle di carico utilizzate nei vari laboratori che
operano a livello industriale.
La cella di carico è costituita da un corpo in acciaio che termina con due basi.
All’interno sono applicati alcuni estensimetri. La cella dispone di fori alle estremità che

64
vengono utilizzati per l’ancoraggio della cella, da una parte alla traversa inferiore e
dall’altra alla testa superiore.
Ad ogni valore di allungamento delle due basi, nel caso di una taratura della cella
mediante una prova di trazione, corrisponde un valore di deformazione dello “strain
gauge” e quindi della forza di trazione, valutata dalla cella di carico di riferimento (già
tarata) inserita in serie nella macchina di prova durante l’operazione di taratura della
cella di carico (da tarare). Si ha quindi una corrispondenza biunivoca tra spostamento
delle basi della cella di carico da tarare e forza applicata. Tale corrispondenza viene
detta curva di taratura della cella di carico.

Macchina di prova a trazione

Cella di carico

65
Analogamente la prova di compressione, generalmente utilizzata per i materiali lapidei, viene
illustrata, nella sua forma più essenziale, nella figura sottostante. Essa consiste di un provino
cilindrico su cui viene applicato l’estensometro, di una traversa inferiore fissa su cui viene
posizionata la cella di carico e di una testa superiore su cui agisce un martinetto idraulico,
anch’esso bloccato mediante opportuno telaio di contrasto (non visibile nella figura).

Prova a compressione
Il modello matematico.
• Lo stato di sforzo monoassiale presuppone σ11=σ1 (per brevità di scrittura)≠0 e tutte le
altre componenti =0.
• La direzione x1 è la direzione del carico, quindi l’asse verticale nel caso della macchina
di prova sopra illustrata.
• La lunghezza della base di misura iniziale vale l0 per carico nullo ed l in corrispondenza
del carico F. L’allungamento corrispondente alla forza F si indica con Δl.
• L’area della sezione trasversale del provino iniziale vale A0. Tale misura si ritiene
invariata durante la prova.
• La prova sperimentale, per la maggior parte dei materiali, presenta coppie F-Δl che
restano allineate su di una retta; altrettanto si ottiene per le coppie σ1-ε1; un tale legame
prende il nome di Legge di Hooke, da Robert Hooke (1676 “Ut tensio, sic vis”) e si
scrive come:
σ=Eε.
• La costante E prende il nome di “modulo elastico del materiale” ed esprime la misura
della rigidezza. Un materiale si definisce tanto più rigido quanto più è alto il valore di E.
• Il modulo elastico ha le dimensioni di una tensione, essendo ε un numero puro.

66
Materiale Modulo Elastico E Massa volumica Coefficiente
( o modulo di ρ (N/m3) di efficienza
Young 1773- sulla
2
1829) (N/mm ) rigidezza E/γ
Acciaio 200000 -210000 79000 2.53
Alluminio 69000-73000 27000 2.59
Calcestruzzo 30000-40000 23000 1.52
Legno lamellare 11.000 6000 2.2
// fibre
Fibra di carbonio 220000-800000 15600 14-51
Vetro 70000 25000 2.8

Nella figura sottostante si mostra il provino, con la lunghezza iniziale della base di misura
pari a l0, la lunghezza corrispondente alla forza F pari a l e l’allungamento corrispondente
alla forza F pari a Δl; quindi il diagramma qualitativo del diagramma sperimentale F verso
Δl, e il legame costitutivo calcolato σ=Eε.

Nella figura seguente viene mostrato il legame costitutivo qualitativo per un acciaio fino a
rottura. Si evidenzia il primo tratto elastico lineare, cioè un tratto lineare in cui se si scarica il
provino il percorso dello scarico coincide con il percorso del carico. Un secondo tratto detto
perfettamente plastico in cui la forza rimane costante a deformazioni crescenti e tale per cui lo
scarico avviene secondo una retta parallela a quella del tratto elastico lineare iniziale. Il tratto
successivo finale viene detto plastico con incrudimento, in quanto la forza riprende a crescere

67
per deformazioni crescenti (incrudimento) e lo scarico avviene come nel tratto precedente. Il
culmine di tale tratto contraddistingue la tensione massima o ultima o di rottura e la
deformazione corrispondente.

La figura seguente mette in mostra una caratteristica del comportamento meccanico non ancora
menzionatp. Si tratta del fenomeno cosiddetto della “contrazione trasversale”. Quando il
provino è sottoposto, ad esempio, ad uno sforzo di trazione in direzione x1 il provino si allunga,
secondo quanto descritto in precedenza, in direzione x1 ma nelle due direzioni ortogonali, cioè
nella direzione x2 e x3, si accorcia. Ad esempio, se si considera la direzione x3, si può
immaginare che la deformazione sia proporzionale alla tensione nella direzione x1, ovviamente
di segno negativo perché di contrazione; inoltre si ha evidenza sperimentale che la rigidezza in
direzione normale a quella del carico sia m (3-5) volte più grande della rigidezza nella direzione
del carico.

Tale comportamento prelude ad una formalizzazione matematica del comportamento elastico-


lineare nel caso di stato di sforzo e deformazione generale pluriassiale.

68
1.4.2 Il modello di legame costitutivo generale per un solido elastico-lineare-isotropo

Il tensore (o matrice) Dijhk è costituito di 81 costanti che mettono in relazione la generica


componente h,k del tensore di deformazione con la generica componente i,j del tensore di
sforzo. Nella figura seguente si fornisce una rappresentazione grafica di tale matrice.

In notazione matriciale si potrebbe scrivere:


⎡ σ 11 ⎤ ⎡ ϕ 11 ⎤ ⎡ D 1111 . . . . . . . D 1132 ⎤
⎢σ ⎥ ⎢ϕ ⎥ ⎢ . ⎥
⎢ 22 ⎥ ⎢ 22 ⎥ ⎢ . . . . . . . . ⎥
⎢ σ 33 ⎥ ⎢ ϕ 33 ⎥ ⎢ . . . . . . . . . ⎥
⎢ ⎥ ⎢ ⎥ ⎢ ⎥
⎢ σ 12 ⎥ ⎢ ϕ 12 ⎥ ⎢ . . . . . . . . . ⎥
⎢ ⎥ ⎢ ⎥
σ = σ 21 ; ϕ = ϕ 21 ; D = ⎢ . . . . . . . . . . ⎥
⎢ ⎥ ⎢ ⎥ ⎢ ⎥
⎢ σ 13 ⎥ ⎢ ϕ 13 ⎥ ⎢ . . . . . . . . . ⎥
⎢σ ⎥ ⎢ϕ ⎥ ⎢ . . . . . . . . . ⎥
⎢ 31 ⎥ ⎢ 31 ⎥ ⎢ ⎥
⎢ σ 23 ⎥ ⎢ ϕ 23 ⎥ ⎢ . . . . . . . . . ⎥
⎢ ⎥ ⎢ ⎥ ⎢ D ⎥
⎣ σ 32 ⎦ ⎣ ϕ 32 ⎦ ⎣ 3211 . . . . . . . D 3232 ⎦

69
Ovvero il legame costitutivo, diretto e inverso, si può esprimere come segue:

−1
σ = Dϕ; ϕ = D σ

Nella figura sopra, si ricorda che i tensori di sforzo e di deformazione sono simmetrici per cui la
matrice delle costanti elastiche non si compone di 81 (9x9) valori indipendenti, ma bensì solo di
36 (6x6). La matrice Dijhk risulta simmetrica solo se Dijhk=Dhkij. Per dimostrare la simmetria del
tensore degli sforzi si deve utilizzare il concetto di “elasticità lineare” che viene qui di seguito
trattato.
• Il Potenziale elastico
Si consideri il lavoro che il tensore degli sforzi compie, su tutto il volume, per una
variazione infinitesima di quello di deformazione:

Si passa al caso monoassiale per integrare il lavoro specifico di deformazione e darne una
interpretazione geometrica.

Si osserva che l’energia di deformazione specifica può essere utilizzata come funzione
potenziale dello sforzo o della deformazione. Infatti:
1 2 ∂L' 1σ2
se si scrive L' = Eε allora si ricava che σ= ; viceversa se si scrive L' = allora
2 ∂ε 2 E
∂L'
risulta che ε= .
∂σ

70
L’energia di deformazione specifica (per unità di volume) rappresenta l’area del triangolo che
ha come lati lo sforzo e la deformazione finali ed ipotenusa il segmento che congiunge l’origine
con il punto rappresentativo della tensione e deformazione finali.
Si generalizza ora al caso pluriassiale.
Il processo di carico si immagina controllato da un fattore α che vale zero all’inizio del processo
di carico e vale 1 alla fine di tale processo e che amplifica omoteticamente tutte le componenti
del tensore di deformazione. Si calcola quindi la variazione infinitesima di tale tensore nel
processo di carico ipotizzato.

Si integra il lavoro infinitesimo durante il processo di carico per trovare il lavoro compiuto al
termine del processo di carico.

L’energia di deformazione specifica viene quindi rappresentata da ½ del prodotto scalare (forma
bilineare) del tensore degli sforzi per il tensore delle deformazioni. Sostituendo il legame
costitutivo, l’energia specifica di deformazione si può esprimere come forma quadratica del
tensore delle deformazioni, oppure come forma quadratica del tensore degli sforzi:
1 1 1
L' = ϕijσ ij = Dijhkϕijϕ hk = Cijhkσ ijσ hk .
2 2 2
Se ora si assume, come espressione dell’energia di deformazione specifica, la funzione
quadratica delle deformazioni, si può scrivere:

71
Si conclude che, nell’ipotesi che la matrice delle costanti elastiche sia una matrice simmetrica,
allora l’energia di deformazione specifica risulta anche funzione potenziale degli sforzi. In
verità, l’argomentazione ci serve in senso inverso e cioè: l’energia di deformazione è uno
scalare che non dipende dalla strada che si è percorsa, cioè dal processo di carico. Dipende solo
dai valori finali degli sforzi o delle deformazioni. Ne consegue che l’energia di deformazione
deve essere una funzione potenziale, e per quanto si è appena dimostrato, il tensore delle
costanti elastiche deve essere simmetrico.

Qui di seguito viene mostrato uno schema sintetico di come, dalle iniziali 36 costanti elastiche
necessarie per definire il più generale legame costitutivo lineare si è passati a 21 ricordando la
definizione di materiale elastico. Se ora si adotta l’ipotesi di materiale isotropo, si dimostra che
le costanti elastiche sono solamente più due.

72
Solido isotropo significa che le sue proprietà non dipendono dalla direzione, quindi ndipendenti
dal sistema di riferimento assunto.
Il legame deformazioni - sforzi
Si può dunque pensare di ricavare le deformazioni dall’energia di deformazione specifica scritta
come funzione quadratica degli sforzi. Tale funzione, per essere indipendente dal sistema di
riferimento, può essere scritta combinando linearmente il primo invariante degli sforzi al
quadrato e il secondo invariante del tensore degli sforzi. Le costanti della combinazione lineare
non possono essere di più né essere meno di due.
Si può dunque scrivere dunque:

Il tensore delle deformazioni può essere derivato da quello degli sforzi, con particolare
riferimento alla componente con indici uguali φ11 e alla componente con indici dispari φ12,
come segue:

73
La seguente espressione viene anche riferita come legame tra E, υ e G.

Infine le sei equazioni che forniscono le deformazioni noti gli sforzi risultano:

74
75
Il Legame sforzi-deformazioni
Il legame sforzi deformazioni, essenziale quando si seguono i passi di una prova sperimentale
che prevede la stima sperimentale delle deformazioni (vedi rosetta estensimetrica) per poi
calcolare gli sforzi utilizzando il legame elastico, può essere ricavato seguendo il percorso che
segue:
• Le ultime tre equazioni del legame si possono invertire direttamente, in quanto non
accoppiate.
• Le prime tre devono essere invertite come segue:
¾ si sommano le tre equazioni ottenendo:
1 2ν 1 − 2ν
ε 1 + ε 2 + ε 3 = J1 = (σ 1 + σ 2 + σ 3 ) − (σ 1 + σ 2 + σ 3 ) = I1
E E E
Si è ricava l’espressione:
1 − 2ν
J1 = I1
E
che esprime il legame tra l’invariante primo degli sforzi (misura dello sforzo
isotropo o idrostatico) e l’invariante primo delle deformazioni (misura delle
variazione di volume). La costante che lega i due invarianti deve essere
positiva, da cui:
1-2υ>0 ovvero υ<1/2.
¾ Si consideri ora la prima equazione del legame deformazioni sforzi. Si può
scrivere come segue:
1 ν ν
ε1 = σ 1 + σ 1 − I1 .
E E E
Sostituendo a I1 l’espressione in funzione di J1 e risolvendo in funzione di σ1
si ricava:
E E ν E
σ1 = ε1 + J1 .
1 +ν (1 + ν ) E (1 − 2ν )
Ovvero
E Eν
σ1 = ε1 + J1 = 2Gε1 + λJ1.
(1 + ν ) (1 + ν )(1 − 2ν )

Le costanti G e λ sono denominate costanti di Lamè.

76
1.5 Il Bilancio del Problema Elastico

Il bilancio del problema elastico conta il numero di funzioni incognite ed il numero di equazioni
come segue:
Equazioni di equilibrio: 6 funzioni incognite e 3 equazioni differenziali lineari:

.
Equazioni di legame spostamenti-deformazioni: 9 funzioni incognite e 6 equazioni differenziali
lineari:

.
Equazioni di legame costitutivo: nessuna nuova funzione incognita e 6 equazioni algebriche
lineari:

.
Il bilancio risulta di 15 funzioni incognite ( 6 σij, 3 si, 6 φij) e 15 equazioni (3 equilibrio, 6 di
congruenza, 6 di legame). Il problema risulta quindi ben posto.

77
Capitolo 2 Il Solido di Saint Venant (1797-1886)
Al cosiddetto problema di Saint Venant viene riservata un’importanza fondamentale in quanto
la soluzione del problema elastico particolare a cui questo solido si riferisce costituisce di fatto
la soluzione del problema della trave, utilizzata da ormai più di cento anni come base della
progettazione strutturale in tutta l’ingegneria.

Il particolare solido considerato da Saint Venant, o modello di trave, presenta le caratteristiche


esposte qui di seguito.
• Geometria:
prisma ad asse rettilineo (asse x3) delimitato da una superficie laterale e da due basi;
sezione qualsiasi (assi x1 e x2) ma costante lungo l’asse x3;
dimensione nella direzione x3 prevalente rispetto alle dimensioni della sezione
ortogonale.
• Vincoli:
solido non vincolato;
• Carichi
Forze di volume nulle;
forze di superficie applicate solo sulle basi e di esse la distribuzione rimane incognita;
viene assegnata la risultante; le due risultanti sulle due basi devono formare un sistema
auto equilibrato o nullo. Si definiscono vari casi in funzione del tipo di risultante
applicata sulle basi e più precisamente:

azione assiale: la risultante è una forza diretta secondo l’asse x3;


momento flettente: la risultante è una coppia che giace in un piano ortogonale alla
sezione trasversale della trave;
taglio: la risultante è una forza che giace nel piano della sezione trasversale;
torsione: la risultante è una coppia che giace nel piano della sezione trasversale.

78
Le soluzioni, in termini di sforzi, vengono determinate ipotizzando prima un campo di
spostamenti congruente, valutando le deformazioni tramite il legame spostamenti-
deformazioni, passando quindi tramite il legame alla di distribuzione degli sforzi a meno
di uno o più parametri, che vengono poi determinati ponendo le condizioni al contorno
sulle basi in termini di risultante. Quindi si definisce la distribuzione delle forze di
superficie sulle basi a cui corrisponde la risultante assegnata. Si commenterà il caso
ingegneristico in cui la distribuzione delle forze di superficie sulle basi non fosse, come
speso succede nella realtà costruttiva, proprio quella della soluzione trovata.

Si ipotizza che la soluzione cercata, in termini di sforzi e deformazioni, non dipenda


dall’asse x3.

79
2.1 L’azione assiale

Si consideri la trave soggetta a due forze uscenti dalla sezione o di trazione, di risultante pari a N,
come in figura.

Si definisce “concio elementare” un volume di trave compreso tra due sezioni distanti dx3.
La soluzione prevede che le due sezioni del concio traslino in direzione x3 rimanendo piane. Lo
spostamento relativo, vedi figura seguente, viene denominato dn=du3, che, come già ipotizzato in
generale per tutti i casi di Saint Venant, non dipende da x3.

Ponendo la condizione al contorno sulle basi si può scrivere, indicando con A l’area della sezione
trasversale ed N la risultante sulle basi:

Lo spostamento relativo dn risulta quindi:

Il coefficiente EA viene detta rigidezza della sezione, dove il modulo elastico E si chiama rigidezza
del materiale ed A rigidezza geometrica.

Dunque, la soluzione trovata, in termini di sforzi e deformazioni, si può esprimere come:


σ3=N/A; σ2=σ1=σ12=σ13=σ23=0
e, tramite il legame:
ε3=N/EA; ε1=ε2=-νN/EA; ε12= ε13=ε23=0

80
Verifica delle equazioni del problema elastico.
• Equazioni indefinite di equilibrio: sono identicamente soddisfatte.
• Equazioni di Cauchy sulla superficie laterale:
Superficie laterale: ni=[cosα;senα;0] dove α è l’angolo che la normale ni forma con
l’asse x1.
Le equazioni: fni=σjinj risultano soddisfatte, infatti:
Equilibrio direzione x1: 0=σ11n1+σ21n2+σ31n3=0xcosα+0xsenα+0x0=0
Equazione direzione x2: 0=σ12n1+σ22n2+σ32n3=0xcosα+0xsenα+0x0=0
Equazione direzione x3: 0=σ13n1+σ23n2+σ33n3=0xcosα+0xsenα+σ33x0=0
• Equazioni di Cauchy sulle basi:
Superficie delle basi: ni=[0;0;1]
Equilibrio direzione x1: 0=σ11n1+σ21n2+σ31n3=0x0+0x0+0x1=0
Equazione direzione x2: 0=σ12n1+σ22n2+σ32n3=0x0+0x0+0x1=0
Equazione direzione x3: fn3=σ13n1+σ23n2+σ33n3=0x0+0x0+σ33x1=σ33
Si conclude che, affinché la soluzione proposta soddisfi le equazioni del problema elastico, le forze
di superficie sulle basi devono essere distribuite come la tensione σ3=N/A.
• Calcolo degli spostamenti:
Integrando l’equazione:
∂u3 N
ε3 = = si ottiene u3=Nx3/EA +g3(x1,x2) + C
∂x3 EA
La costante C esprime una traslazione rigida. La funzione g3 è identicamente nulla in
quanto le sue derivate rispetto a x1 e x2 ( che rappresentano le deformazioni ε31 e ε32)
sono nulle per un qualsiasi valore di x1 e x2.
Un analogo risultato si può ripetere per gli spostamenti u2 e u3.

Osservazione generale: la teoria della trave pone come suo principale obiettivo quello di
determinare i tensori sforzo e deformazione, in quanto strettamente
collegati alle verifiche di sicurezza che verranno esaminate
successivamente. Il calcolo degli spostamenti non viene in genere
effettuato.

81
Domanda: in quale punto della sezione agisce la risultante N?
Risposta: scrivendo le equazioni di equilibrio alla rotazione intorno agli assi x1 e x2 si impone che la
risultante delle tensioni σ3 non provochi un momento né intorno all’asse x1 né intorno
all’asse x2.
N
Equilibrio intorno all’asse x2 ∫ σ x dA = A ∫
A
3 1
A
x1dA =0

N
Equilibrio intorno all’asse x1 ∫ σ x dA = A ∫
A
3 2
A
x2 dA =0

Quindi, ricordando la definizione di momento statico di una sezione intorno ad un asse e


ricordando la definizione di baricentro, si conclude che la risultante N agisce nel
baricentro della sezione.

Esempio: quanto vale la forza di snervamento di una barra diametro Φ=12 mm e tensione di
snervamento σy=500 MPa?
Soluzione:

82
2.2 Flessione retta
Si consideri la trave soggetta a due coppie, di risultante pari a M, come in figura.

L’asse x2, o asse s-s, viene detto asse di sollecitazione.


La risultante sulle basi è un momento che giace nel piano x2-x3. Tale momento viene rappresentato
con un vettore uscente dal piano in cui giace (due frecce), in questo caso secondo l’asse x1. La
convenzione sul verso è quella della regola della mano destra. Se si mette il dito pollice della mano
destra nella direzione del vettore momento, la rotazione naturale della mano destra, nell’esempio in
figura, fa ruotare la sezione in modo da allungare le fibre superiori e accorciare quelle inferiori.
La soluzione prevede che le due sezioni del concio ruotino, intorno ad un asse n-n nel piano x1-x2
detto asse neutro, rimanendo piane (ipotesi di Navier (1785-1836)). La rotazione relativa, vedi
figura seguente, viene denominato dϕ, che, come già ipotizzato in generale per tutti i casi di Saint
Venant, non dipende da x3.

Come illustrato nella figura soprastante, le deformazioni dovranno variare linearmente lungo la
sezione. Qui di seguito viene formalizzata la distribuzione lineare della tensione σ3. Le incognite
del problema risultano 3, e più precisamente i due parametri della retta che definisce l’asse neutro e
la costante di proporzionalità k che definisce la distribuzione della tensione σ3.
Si scrivono tre equazioni di equivalenza della distribuzione delle tensioni sulle basi e più
precisamente:
(1) equivalenza della risultante del momento delle tensioni agenti sull’area infinitesima della
sezione rispetto all’asse neutro al momento assegnato M;

83
(2) equivalenza delle risultante delle tensioni agenti sull’area infinitesima della sezione nella
direzione x3 ad una forza nulla;
(3) equivalenza della risultante del momento delle tensioni agenti sull’area infinitesima della
sezione rispetto all’asse x2 ad un momento nullo.

Dall’equazione (2) si ricava:

che impone che l’asse neutro debba passare per il baricentro.


Dall’equazione (3) si ricava:

che impone all’asse neutro ad essere coniugato all’asse di sollecitazione. Essendo l’asse
di sollecitazione asse principale di inerzia ne consegue che l’asse neutro sarà ortogonale
all’asse di sollecitazione e quindi coincidente con l’asse x1.
Dall’equazione (1) si ricava:

ovvero:

84
Infine si determina la distribuzione degli sforzi sulla sezione secondo la seguente
relazione:

Esempio: sezione circolare di raggio R


Calcolo del momento di inerzia polare rispetto al baricentro o centro G.

Il momento polare della sezione circolare può essere espresso in funzione del momento
d’inerzia rispetto un diametro qualsiasi.

85
Nel caso particolare di una sezione circolare di diametro pari a 16mm, il momento di
inerzia diventa:

Esercizio sulla sezione circolare


Domanda: quanto vale il momento di primo snervamento di una sezione circolare di
diametro pari a 16mm con tensione di snervamento pari a 500 MPa?
Soluzione:

86
2.3 Flessione deviata
Si consideri una sezione di forma qualsiasi con asse di sollecitazione s-s non principale
d’inerzia. La flessione in tal caso viene denominata flessione deviata.
Si supponga altresì di avere calcolato la posizione degli assi principali d’inerzia che in
figura sono denominati x1 e x2.

La soluzione del problema della flessione deviata viene ricondotto alla soluzione di due
flessioni rette.
Si supponga di dover calcolare la tensione σ3 nel punto A.
Si scompone il vettore momento M nei due vettori M1 e M2.
Si calcola la tensione σ3 nel punto A dovuta al momento M1:

87
Analogamente per M2.

Quindi si sovrappongono gli effetti:

Esempio: sezione quadrata


Si consideri una sezione quadrata di lato pari a “a”, riferita ad un sistema di riferimento
Cartesiano x1-x2 come in Figura sottostante. Sia s-s l’asse di sollecitazione che forma un
angolo pari a 60° con l’asse x1. Assegnato il momento sollecitante M, si scompone tale
momento in un momento M1 (a tendere le fibre superiori) e M2 a tendere le fibre di
destra).

Si chiede di calcolare la tensione σ3 nel punto A.

88
89
2.4 Equazione della Linea Elastica
Si ritorni alla flessione retta: con riferimento alla figura sotto riportata, si vuole
determinare la relazione tra il momento flettente M e la rotazione relativa dϕ tra due
facce distanti dx3, essendo l’asse x3 asse geometrico della trave.

Come si vede in Figura, si può legare la rotazione relativa dϕ al raggio di curvatura r


della linea dell’asse geometrico della trave in modo tale da ricavare l’equazione che
governa il modo di deformarsi, per flessione retta, di tale linea.

avendo indicato con y(x) la funzione spostamento in direzione normale all’asse x3. Tale
funzione prende il nome di “deformata elastica” o linea elastica” della trave.

90
Esempio
Si voglia calcolare la funzione della linea elastica della mensola caricata con carico
uniformemente distribuito p.
Si assuma positivo il momento che tende le fibre inferiori, positivi gli spostamenti verso
il basso, come in figura.

Dalla convezione sul momento e del sistema di riferimento y(x) segue il segno
dell’equazione della linea elastica.

La funzione momento, attese le convenzioni di figura (momento positivo a tendere le


fibre inferiori e spostamento y(x) positivo verso il basso), si può scrivere come:

L’equazione delle Linea Elastica e la sua integrazione diventano:

dove con C1 e C2 si indicano le due costanti di integrazione.

91
Ponendo le condizioni al vincolo incastro, che impone rotazione e spostamento nullo, si
ottengono i seguenti valori delle costanti di integrazione:

Si può quindi calcolare la funzione spostamento e funzione rotazione, ed in particolare i


loro valori all’estremità libera.

92
2.3 Taglio

93
94
95
96
97
98
2.4 Torsione

99
100
101
102
103
104
105
106
107
3. Il Principio degli Spostamenti Virtuali ( o Principio del Lavori Virtuali PLV)
per lo studio dei sistemi piani di trave

In questo paragrafo si vuole particolarizzare l’espressione generale del PLV, ricavato nel paragrafo
1.3 precedente, e cioè

al caso della trave, e quindi per estensione, al caso dei sistemi di trave.
Il PLV che viene utilizzato nella soluzione dei problemi di strutture composte di travi, e cioè per il
calcolo degli spostamenti o il calcolo di azioni-reazioni iperstatiche, il sistema di forze fi, Fi e di
sforzi σij equilibrati non coincide mai con quello reale, assegnato, ma viene scelto il modo
opportuno, in funzione dell’incognita da determinare. Si tratta sempre di una forza concentrata nota
e delle reazioni vincolari conseguenti calcolate sulla struttura resa isostatica. Si indichino con F’i
tali forze, e σ’ij le tensioni, note, corrispondenti. Si ricorda che le tensioni considerate si riducono
alla tensione normale alla sezione σ’, dovuta all’azione assiale ed al momento pensando ad una
flessione retta, e la tensione tangenziale τ’ dovuta all’azione di taglio.
Il sistema di spostamenti si e di deformazioni ϕij viene assunto quello reale. L’indice apice sta
quindi ad indicare il sistema fittizio, mentre quello reale non è identificato da alcun simbolo
particolare.
Il PLV si può dunque esprimere come:

N ' M ' x2 1 N Mx2 T ' S ∗ 1 TS ∗


∑ Fi si = ∫ ds∫ σ εdA + ∫ ds∫ τ γdA = ∫ ds∫ ( A + I ) E ( A + I )dA + ∫ ds∫ bI G bI dA
' ' '

s A s A s A 1 1 s A 1 1

Ricordando che:

108
∫ x dA = 0; ∫ x dA = I
2
2 2 1
A A

e che la definizione del fattore di taglio χ risulta:

2
1 S∗
4 ∫
χ= dA; I1 = Aρ2
Aρ A b 2

L’equazione di PLV diventa:

2
2 ∗
N ' Mx ' TS N M T
∑ i i ∫ ∫ EA2
F s ='
ds ( N +
'
M
EI12
+ T 2 2
Gb I1
)dA = ∫ N '
EA
ds + ∫ M '
EI1
ds + ∫ T 'χ
GA
ds
s A s s s

109
4. I Criteri di Sicurezza

I criteri di sicurezza servono ad esprimere un giudizio sull’ammissibilità, o meno, di un


assegnato stato di sforzo rispetto alle caratteristiche di “resistenza” del materiale di cui è
costituito il solido sotto investigazione. L’ammissibilità, o meno, si configura quindi in
termini di “resistenza”
Ad esempio, nel caso di una trave in acciaio in stato di sforzo monoassiale σ=σ3 dovuta
al momento M e all’azione assiale N, il criterio di “resistenza si esprime come:

-σy≤σ≤σy
cioè si verifica che la tensione normale non superi mai la tensione di snervamento sia in
compressione (prima parte della disuguaglianza) che in trazione (seconda parte della
disuguaglianza).
In effetti le incertezze sui carichi di progetto e sulla tensione di snervamento del
materiale inducono a diminuire il valore della resistenza del materiale per la verifica di
resistenza introducendo un coefficiente di sicurezza s maggiore di uno.
Si definisce quindi una resistenza “ammissibile” come:
σa=σy/s
Un valore tipico delle costruzioni civili pone s intorno al valore di tre.
I problemi di trave vedono la presenza contemporanea, in ogni punto della sezione, della
tensione normale σ (dovuta a N+M) e la tensione tangenziale τ (dovuta a T e Mt).
La forma matematica più generale di criterio di resistenza prende la forma di:

ϕ(σij , σ y / s ) ≤ 0 .

I criteri di sicurezza proposti nella letteratura per i vari materiali sono diversi e
molteplici. Per l’acciaio il criterio di resistenza più utilizzato è il criterio di Mises, che
viene illustrato nel seguente paragrafo. Per i materiali lapidei si utilizza in Criterio di
Coulomb, descritto con i riferimenti storici all’inizio delle dispense, quando si è
affrontato il problema della rottura di una colonna compressa lungo un piano inclinato.

110
4.1 Il Criterio di Resistenza di

111
112
113
114
115
Appendice A: notazione e operazioni elementari di algebra delle matrici
⎡ a1 ⎤
⎢.⎥
⎢ ⎥
Vettore colonna di n componenti (righe): ai= a = ⎢ . ⎥ .
⎢ ⎥
⎢.⎥
⎢⎣an ⎥⎦

Vettore riga di n componenti: a = [a1 an ] .


t
. . .

Il simbolo t indica l’operazione di trasposizione.


⎡ A11 . . . A1n ⎤
⎢ . . . . . ⎥⎥

Matrice quadrata n righe e n colonne: A = ⎢ . . . . . ⎥.
⎢ ⎥
⎢ . . . . . ⎥
⎢⎣ An1 . . . Ann ⎥⎦

Prodotto scalare s di un vettore riga per un vettore colonna:


⎡ b1 ⎤
⎢.⎥
⎢ ⎥
s= a b = [a1 an ]⎢ . ⎥
t
. . .
⎢ ⎥
⎢.⎥
⎢⎣bn ⎥⎦

Vettore delle derivate di una funzione scalare f(xi) rispetto al vettore xi.
⎡ ∂f ( x) ⎤
⎢ ∂x ⎥
⎢ 1 ⎥
. ⎥
∂f ( x) ⎢
=⎢ . ⎥
∂x ⎢ ⎥
⎢ . ⎥
⎢ ∂f ( x) ⎥
⎢⎣ ∂xn ⎥⎦

116

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