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MATEMATICA
Scienze e Tecnologie Viticole ed Enologiche
Lorenzo Meneghini
Questi sono gli appunti che ho steso per preparare il modulo di Matematica del corso di Matematica e
Statistica, presso la laurea triennale in Scienze e Tecnologie Viticole ed Enologiche dell’Università di Verona
per l’A.A. 2015/2016, modificati ed integrati nel corso dell’A.A. 2016/17. Mi sono ispirato liberamente ai
manuali citati in bibliografia, oltre che alle mie precedenti esperienze didattiche più che ventennali nella
scuola superiore.
Chiedo indulgenza al lettore/studente, si tratta di un work in progress in attesa, se le future mie vicende
accademiche lo renderanno possibile, come mi auguro, di preparare un manuale che supporti pienamente
il corso.
Ci saranno sicuramente errori, refusi e ripetizioni, che si sistemeranno solo con la pratica didattica negli
anni. Consiglio, comunque, allo studente di non stampare immediatamente l’intero documento, poiché
potrebbero esserci delle revisioni in corso d’anno, ma di essere almeno “un capitolo avanti” rispetto alle
lezioni per poter avere del materiale in cui aggiungere qualche commento durante le lezioni teoriche.
Allo stato attuale, per ragioni di rapidità, la materia qui esposta è presentata molto sinteticamente; d’altra
parte il tempo a nostra disposizione non è molto ed ho deciso, pertanto, di “limare” alcuni aspetti teorici,
peraltro molto importanti dal punto di vista matematico.
Questi appunti contengono comunque tutto quello che a priori vorrei trattare nel corso; ho scelto di
presentare tutto il materiale in mio possesso, in modo da fornire allo studente tutte le spiegazioni
necessarie per il buon esito dell’esame.
Concludo con un paio di riflessioni.
Fra gli studenti, a seconda del tipo di formazione conseguita in precedenza, c’è sicuramente chi ha
trattato alcuni dei temi che saranno al centro di questo corso (o forse anche tutti): il calcolo di limiti, la
derivazione delle funzioni, il calcolo di integrali, la risoluzione delle equazioni differenziali e l’algebra
lineare.
Qualche studente potrebbe domandarsi perché ripetere queste cose in un corso accademico. Il mio
intento, durante questo corso, è quello di fornire a tutti una base di ragionamento matematico che risulti
utile in tutti quei corsi in cui la matematica viene applicata, dimostrando anche alcuni risultati importanti.
Il percorso che ho in mente verterà più sugli aspetti pratici che su quelli teorici della disciplina, senza però
dimenticare i corretti stili di ragionamento né la correttezza formale nella comunicazione della matematica.
Parte A
Cap. 2 – Elementi di topologia
In questo capitolo verranno richiamate in modo schematico le conoscenze di base della scuola
superiore, per consentire a chi ne avesse la necessità di “rinfrescare” gli argomenti fondamentali per
seguire con profitto il corso.
Due monomi si dicono simili se e solo se hanno la stessa parte letterale; in tal caso, possiamo sommarli
applicando la proprietà distributiva del prodotto rispetto alla somma:
2x 2y 3x 2y 5x 2y
Si dice polinomio la somma algebrica di due o più monomi, detti termini del polinomio.
Se, in particolare, i monomi sono tutti simili tra loro, il polinomio si riduce ad un monomio.
Il grado di un polinomio è il massimo dei gradi dei suoi termini.
Ad esempio, 2xy 3 5x 2y 4 6x 3y 2 è un polinomio di grado 6 nel complesso delle variabili, mentre è di
grado 3 rispetto ad x e di grado 4 rispetto a y.
Due polinomi nella stessa variabile si dicono identici quando assumono valori uguali in corrispondenza a
qualsiasi valore attribuito alla variabile.
Particolarmente importante è il PRINCIPIO DI IDENTITÀ DEI POLINOMI: condizione necessaria e sufficiente perché
due polinomi in una variabile siano identici è che essi abbiano lo stesso grado e che, quando siano ridotti a
forma normale, risultino uguali i coefficienti dei termini di uguale grado.
ESERCIZIO
Determina per quale valore del parametro k i polinomi P x 5x 3 4x 2 3 e
Q x 5x 3 2 k x 2 k 1 sono identici.
Osserviamo che i polinomi hanno lo stesso grado; sono quindi identici se hanno ordinatamente uguali i
coefficienti, cioè se
La somma tra due polinomi si esegue scrivendo un unico polinomio che ha per termini tutti quelli dei
polinomi dati, ciascuno col proprio segno, e operando poi la riduzione dei termini simili; la sottrazione tra
due polinomi si esegue scrivendo tutti i termini del primo polinomio, presi col proprio segno, seguiti da
quelli del secondo polinomio, col segno cambiato e operando poi la riduzione dei termini simili.
Indicheremo sinteticamente con A, B e C delle espressioni polinomiali (semplici monomi o anche polinomi);
si può facilmente dimostrare che
o A B A B A2 B 2
2 2
o A B A2 2AB B 2 o A B A2 2AB B 2
3 3
o A B A3 3A2B 3AB 2 B 3 o A B A3 3A2 B 3AB 2 B 3
2
o A B C A2 B 2 C 2 2AB 2BC 2AC
o A B A2 AB B 2 A3 B 3 o A B A2 AB B 2 A3 B 3
PROPOSIZIONE: Dati due polinomi P x e D x , nella variabile x, esistono e sono unici altri due polinomi
Q x ed R x tali che valgano le relazioni
a) P x D x Q x R x
b) 0 gr R gr D , cioè il grado di R x è non negativo e minore del grado di D x
NOTA: Osserviamo che, se il divisore è un polinomio di primo grado, per la proposizione precedente il resto
deve avere grado zero, cioè dev’essere un numero reale. Si può facilmente dimostrare il
TEOREMA DI RUFFINI
Il polinomio P(x), nella variabile x, è divisibile per il binomio di primo grado del tipo x – k se e solo se
P(k) = 0.
In pratica, il polinomio P(x) risulta divisibile per il binomio x – k se e solo se P(x) ha tra i suoi zeri lo zero del
binomio.
REGOLA DI RUFFINI
La divisione tra il polinomio P(x) ed il binomio x – k può essere eseguita
mediante il seguente algoritmo:
A. ordinare P(x) secondo le potenze decrescenti della variabile x
B. costruire una tabella come quella dell'esempio riportato a fianco,
nella quale incolonnare i coefficienti delle potenze della variabile x;
se P(x) non è completo, inserire 0 al posto del coefficiente (o dei
coefficienti) mancante.
C. per ottenere i coefficienti del quoziente si opera come segue:
a. si sommano i coefficienti in colonna e si inserisce il risultato sotto
la linea orizzontale
b. si moltiplica lo zero del binomio per il coefficiente ottenuto e si
pone il risultato sopra la linea orizzontale, nella colonna
immediatamente alla destra di quella su cui si sta lavorando.
c. si ripete il passo a.
Presentiamo di seguito alcune delle più comuni procedure per la fattorizzazione dei polinomi, corredando
la teoria con opportuni esercizi applicativi
2. RACCOGLIMENTO PARZIALE
In alcune situazioni non c'è alcun termine comune a tutti i polinomi, ma è possibile raggruppare a 2 a 2
(oppure a 3 a 3) i termini del polinomio, per prepararlo ad un successivo raccoglimento "a blocchi".
o A2 B 2 A B A B
2 2
o A2 2AB B 2 A B o A2 2AB B 2 A B
3 3
o A3 3A2B 3AB 2 B 3 A B o A3 3A2B 3AB 2 B 3 A B
2
o A2 B 2 C 2 2AB 2BC 2AC A B C
o A3 B 3 A B A2 AB B 2 o A3 B 3 A B A2 AB B 2
9 4 9 3 3
x 4x 2y 2 x 2 x 2 4y 2 x 2 x 2y x 2y
25
25
5
5
2
25a 2 10ab 3 b 6 5a b 3
3
8m 6 12m 4n 6m 2n 2 n 3 2m 2 n
1 2 1 2
x a 4 4 a 2x 4a 2 2x x a 2 2
4 2
a 3m 3 m 6 m 3 a 3 m 3 m 3 a m a 2 am m 2
x 6 64y 6 x 3 8y 3 x 3 8y 3 x 2y x 2 2xy 4y 2 x 2y x 2 2xy 4y 2
4. METODO DI RUFFINI
Vediamo come utilizzare la tecnica di divisione basata sul metodo di Ruffini per fattorizzare polinomi
per i quali non si possano applicare le tecniche precedenti.
Da quanto detto in precedenza, il problema si riconduce alla determinazione degli zeri del polinomio.
PROPOSIZIONE: La ricerca degli zeri interi del polinomio P(x) va fatta tra i divisori del termine noto.
Il termine noto (– 16) ammette come divisori le seguenti coppie di numeri interi:
1, 2, 4, 8 e 16.
Ricerchiamo gli zeri del polinomio P(x) tra i numeri elencati, partendo dai casi più semplici.
P 1 1 7 12 4 6 0
P 1 1 7 12 4 16 0
PROPOSIZIONE: La ricerca degli zeri razionali del polinomio P(x) va fatta tra i numeri del tipo in cui m
è uno dei divisori del termine noto e n è uno dei divisori del coefficiente dominante.
L'unica differenza rispetto al caso precedente è dovuta al fatto che, tramite questa proprietà, si
possono trovare anche eventuali zeri razionali.
A volte il polinomio divisore non è un binomio di 1° grado (come invece accade nella divisione con
il metodo di Ruffini); presentiamo ora, mediante un esempio opportuno, il metodo generale per
dividere due polinomi fra loro. Supponiamo di voler dividere il polinomio
P x 2x 5 2x 4 x 3 x 2 3x 3 per D x x 3 x 2 3 .
Per farlo, scriviamo il polinomio dividendo P(x) ed il polinomio divisore D(x) secondo il seguente
schema:
polinomio dividendo polinomio divisore
polinomio quoziente
resto
R x 4x 2 3x
e possiamo scrivere:
P x 2x 2 1 x 3 x 2 3 4x 2 3x
E’ importante osservare che, se il polinomio P x non è completo, è bene inserire degli zeri al
posto dei termini mancanti per favorire un miglior incolonnamento.
Il processo della fattorizzazione di più polinomi ha spesso come fine ultimo la determinazione del loro
M.C.D. e del loro m.c.m., analogamente a quanto si fa con i numeri interi.
Ci occuperemo, ora, di definire i concetti di Massimo Comun Divisore e minimo comune multiplo tra insiemi
di polinomi.
DEFINIZIONE (M.C.D.):
Dati due o più polinomi A, B, ... si definisce come loro massimo comun divisore (M.C.D.) un polinomio che,
oltre ad essere divisore di A, di B, ... , ha grado massimo.
DEFINIZIONE (m.c.m.):
Dati due o più polinomi A, B, ... si definisce come loro minimo comune multiplo (m.c.m.) un polinomio che,
oltre ad essere multiplo di A, di B, ... , ha grado minimo.
1. La proprietà di essere massimo (per M.C.D.) o minimo (per m.c.m.) dipende dal grado del polinomio
risultato; non ci sarebbe, infatti, alcun modo per definire una relazione d'ordine tra polinomi, e quindi
un massimo o un minimo.
2. A differenza di quanto accade con i numeri interi, M.C.D. e m.c.m. NON sono affatto unici; in realtà,
fissato un insieme di polinomi, esistono infiniti M.C.D. ed infiniti m.c.m. Occorrerà un criterio univoco
(convenzione) per effettuare la scelta.
PROCEDURA:
a. Tutti i polinomi devono essere inizialmente scomposti in fattori irriducibili
b. Come M.C.D. prendiamo il prodotto dei letterali comuni a tutte le scomposizioni, ciascuno preso una
volta sola e con l'esponente minore
c. Come m.c.m. prendiamo il prodotto dei letterali comuni e non comuni alle diverse scomposizioni,
ciascuno preso una volta sola e con l'esponente maggiore
d. (CONVENZIONE) Se gli eventuali fattori numerici che compaiono nella fattorizzazione dei polinomi sono
tutti interi, allora si sceglierà il M.C.D. di tali fattori come coefficiente del M.C.D. dei polinomi e il
m.c.m. di tali fattori come coefficiente per il m.c.m. dei polinomi; se tra gli eventuali fattori numerici
compare anche qualche numero razionale, allora si sceglierà 1 come coefficiente sia per M.C.D. che
per m.c.m.
ESEMPI
Determinare M.C.D. e m.c.m. per i seguenti insiemi di polinomi.
Il fattore 2 è comune ad entrambe le scomposizioni, quindi compare sia in M.C.D. che in m.c.m.
2) A 6x 4 12x 3y 6x 2y 2 B 3x 4 3x 3y
Scomponendo i polinomi otteniamo:
2
A 6x 2 x y B 3x 3 x y
e quindi
2
M .C .D. 3x 2 x y m.c.m. 6x 3 x y
Va osservato che il coefficiente di M.C.D. e m.c.m. è scelto convenzionalmente positivo, in analogia con
la convenzione valida per M.C.D. e m.c.m. di numeri interi.
2 2 4 2 2 8 2 4 4
3) A ac 2 b 2c 2 B a 4c 3 a 2b 2c 3 a 3b 2c 3 ac 3b 4 C a c ab c b 4c 4
3 3 9 9 9
Scomponendo i polinomi otteniamo:
2 2 4 4 2
A c a b2 B ac 3 a 2 b 2 a b 2 C c a b2
3 9
e quindi
M .C .D. c 2 a b 2 m.c.m. ac 4 a b 2 a 2 b 2
Come già detto, se compaiono coefficienti razionali nella fattorizzazione dei polinomi, si conviene di
scegliere 1 come coefficiente sia per M.C.D. che per m.c.m.
Un’equazione è un’uguaglianza tra due espressioni, contenente una o più lettere (dette incognite), che può
risultare vera o falsa a seconda della scelta dei valori da sostituire alle lettere che vi compaiono.
Le espressioni che si trovano a sinistra e a destra del segno di uguaglianza si chiamano, rispettivamente,
primo e secondo membro dell’equazione.
Si chiamano, infine, soluzioni dell’equazione quei numeri che, sostituiti al posto delle incognite a
trasformano in un’uguaglianza vera. In base a quanto detto, verificare se un dato numero è soluzione di
un’equazione significa sostituire tale numero nell’equazione al posto dell’incognita: se l’equazione si
trasforma in una uguaglianza vera, allora il numero assegnato è soluzione dell’equazione; se si trasforma in
un’uguaglianza falsa, il numero dato non è soluzione dell’equazione.
RISOLUZIONE DI UN'EQUAZIONE
Per capire come risolvere un'equazione dobbiamo introdurre alcuni principi operativi.
ESEMPI
2
A. Risolvere l'equazione x 3 x 2 15
3x 10 2x 2x 5 2x 2
B. Risolvere l'equazione 2 x 3 0
5
30x 6x 2 10x 4x 2
[sviluppando i calcoli ad ambo i membri] 2 x 2 6x 9 0
5
20x 10x 2
[sviluppando i calcoli ad ambo i membri] 2x 2 12x 18 0
5
4x 2x 2 2x 2 12x 18 0
16x 18 0
[sottraendo 18 ad ambo i membri] 16x 18 18 18
[sviluppando i calcoli ad ambo i membri] 16x 18
9
[dividendo per 16 ad ambo i membri] x
8
2x x 1 6 x 1 2x x 1 6 x 1 0 2 x 3 x 1 0
D’altra parte un prodotto si annulla quando almeno uno dei fattori si annulla (PRINCIPIO DI ANNULLAMENTO DEL
PRODOTTO), pertanto la precedente uguaglianza è vera quando x vale 3 oppure – 1.
L’aver moltiplicato i membri dell’equazione per x + 1 ha cambiato l’insieme delle soluzioni dell’equazione
data, introducendo – 1 che prima non c’era.
Per questo non è lecito moltiplicare ambo i membri per espressioni che si possano annullare, senza porre
condizioni sull’insieme di ricerca delle soluzioni.
Il motivo per cui non siamo liberi di dividere per zero, invece, è molto più immediato da chiarire: la
divisione per zero è, per noi, un’operazione non definita (incontreremo questo stesso problema più avanti
nel corso dei nostri studi, quando avremo conoscenze sufficienti per poterne discutere).
Pertanto non siamo liberi di dividere per una stessa espressione ambo i membri di un’equazione, a meno di
porre le dovute condizioni contro l’annullamento.
A
Una frazione algebrica è il rapporto tra due polinomi e può quindi essere scritta nella forma , ove A e B
B
sono polinomi. Una frazione algebrica ha significato per tutti e soli i valori delle lettere che non annullino il
denominatore. Vediamo come si imposta la ricerca delle condizioni di esistenza (C.E.) di una frazione
algebrica.
ESEMPIO
5x 6x 2 5x 6x 2
La frazione non ha significato per x 1 e x 1 .
x2 1 x 1 x 1
Due frazioni algebriche si dicono equivalenti quando assumono valori numerici uguali qualunque sia il
valore attribuito alle lettere che vi compaiono.
PROPRIETÀ INVARIANTIVA
Moltiplicando o dividendo numeratore e denominatore di una frazione algebrica per una stessa espressione
non nulla, si ottiene una frazione equivalente alla data.
Pertanto, per semplificare una frazione algebrica bisogna scomporre – quando possibile – numeratore e
denominatore in fattori primi e poi dividerli entrambi per tutti i fattori comuni.
x 4 8x x x 2 x 2 2x 4 x x 2 2x 4
x 2 4x 4 x 2
2 x 2
La somma di più frazioni algebriche, aventi tutte denominatore comune, è uguale alla frazione che ha per
denominatore il denominatore comune e per numeratore la somma algebrica dei numeratori.
Quindi, per eseguire la somma di più due o più frazioni algebriche è necessario averle preventivamente
ridotte allo stesso denominatore. Per poterlo fare dobbiamo:
o scomporre i denominatori in fattori e, se possibile, semplificare le frazioni;
o trovare il m.c.m. dei denominatori delle frazioni ridotte;
o dividere il m.c.m. trovato per ciascuno dei denominatori e moltiplicare il quoziente ottenuto per il
corrispondente numeratore. I prodotti così ottenuti sono i numeratori delle frazioni richieste, mentre il
m.c.m. trovato è il denominatore comune.
ESEMPIO
x 2 x 2 3
Semplifica l’espressione: ,
2 2 2
x x x x x 1
© Lorenzo Meneghini 0 – 10
definita per x 0 , x 1 e x 1 .
x 2 x 2 3 x 2 x 2 3
2
x x 2
x x 2
x 1 x x 1 x x 1 x 1 x 1
x 2 x 1 x 2 x 1 3x x 2 x 2x 2 x 2 x 2x 2 3x
x x 1 x 1 x x 1 x 1
x 1
x x 1
2
1 x2
Il prodotto di più frazioni algebriche è la frazione che ha per numeratore il prodotto dei numeratori e per
denominatore il prodotto dei denominatori nelle frazioni date.
ESEMPIO
a a 2 3
Semplifica l’espressione: 1 1 ,
1 a 1 a
a 4 a 2
definita per a 0 , a 1 e a 2 .
a a 2 3 a a 2 a a 2 a 2 1 a 2 2a a 2 2
1 1
1 a 1 a
a 4 a 2
1 a
2 a 4 a 2
4 a 2 a 2 a
Si chiama reciproca di una frazione data quella frazione che, moltiplicato per quella data, dà 1 per
prodotto; in tal caso, si chiama la frazione che – moltiplicata per quella data – dà per prodotto 1.
ESEMPIO
2a 2 3 1a 2a 2 3 1 a
La reciproca della frazione è 2 , poiché 1.
1a 2a 3 1 a 2a 2 3
Il quoziente di due frazioni algebriche si ottiene moltiplicando la prima per la reciproca della seconda.
ESEMPIO
2 1 1 1 1
Semplifica l’espressione: : ,
x 1 x 2 x x 2 x
definita per x 2, 1, 0 .
1 2 x 2x x x x 3x 2 x x 2
2 2 2
2 1 1 1
: :
x 1 x 2 x x 2 x x x 1 x 2 x x 2
2x 2 4x x 2 x x 2 3x 2 x x 2 2 1
x x 1 x 2 2 x 1 2 x 1
2
x 1
2
Un’equazione è di secondo grado nella variabile x se, applicando i noti principi di equivalenza, può essere
scritta uguagliando a zero un polinomio di 2° grado in x.
Possiamo quindi scrivere l’equazione nella forma seguente, detta anche forma normale:
ax 2 bx c 0
© Lorenzo Meneghini 0 – 11
dove a, b e c rappresentano numeri reali, con a 0. Il coefficiente di x2 si chiama anche, com'è noto,
coefficiente dominante, mentre c è detto termine noto.
Le equazioni incomplete si dividono, poi, in pure e spurie, a seconda che risulti b = 0 oppure c = 0.
Prima di cercare il metodo per risolvere le equazioni complete, esaminiamo questi casi particolari.
Infine, chiameremo radici di un'equazione le sue soluzioni.
EQUAZIONI PURE
ESEMPI
5
1. 3 x2 + 5 = 0 x 2
3
In questo caso è chiaro che non esistono radici reali, poiché non esiste alcun numero reale il cui
quadrato risulti negativo.
4
2. 7 x2 – 4 = 0 x 2
7
4 2 2 7 2 7
In questo caso, le radici sono e .
7 7 7 7
EQUAZIONI SPURIE
ESEMPIO
Risolvere l'equazione 2 x2 3x 0
3 2
Data la scomposizione
2 x 3 x 0 si trovano le due soluzioni dell'equazione: 0 e
2
.
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FORMULA RISOLUTIVA NORMALE
Consideriamo l'equazione di secondo grado completa ax 2 bx c 0 e l’espressione b 2 4ac .
b b
o Se > 0: l'equazione ammette due radici reali e distinte e
2a 2a
b
o Se = 0: l'equazione ammette due radici reali e coincidenti
2a
o Se < 0: l'equazione non ammette radici reali
ESEMPI
1. Risolvere l'equazione 4x 2 5x 1 0
1
2. Risolvere l'equazione x2 x 0
4
Anche in questo caso, iniziamo calcolando il discriminante:
1
(1)2 4 1 11 0
4
(1) 1
In questo caso, l'equazione ammette due radici reali e coincidenti:
21 2
3. Risolvere l'equazione x 2 3x 9 0
Ancora una volta, iniziamo calcolando il discriminante: 32 4 1 9 27
In questo caso, l'equazione non ammette radici reali.
2 4ac 4 2 ac 4 '
2
ove si è posto ' 2 ac .
4
In questo caso l'espressione delle radici, nel caso in cui siano reali, si semplifica come segue:
© Lorenzo Meneghini 0 – 13
' '
o Se ' > 0: l'equazione ammette due radici reali e distinte e
a a
o Se ' = 0: l'equazione ammette due radici reali e coincidenti
a
Risulta, infatti:
b 2 4 ' 2 2 ' 2( ') '
=
2a 2a 2a 2a a
(verificare le altre due formule per esercizio).
o se ' < 0: l'equazione non ammette radici reali, poiché, in tal caso, risulta anche 4 ' 0
' '
La coppia di relazioni e costituiscono ciò che normalmente è chiamato formula
a a
ridotta; pertanto l'espressione ' = 2 – ac viene normalmente chiamata discriminante ridotto.
ESEMPI
Risolvere le seguenti equazioni:
x 3 1 5x
1. 0
2
x 2x 1 2x 2 1 x 2
2 3 4x 2 5
2.
2x 1 3x (x 1) 4x 2 1
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2 3 4x 2 5 2(2x 1) 3(2x 1) 4x 2 5
0
2x 1 2x 1 (2x 1)(2x 1) (2x 1)(2x 1)
con pochi semplici passaggi di calcolo otteniamo
4x 2 2x
0
(2x 1)(2x 1)
da cui
2x 2x 1 0
che ammette le soluzioni:
1
0 (ACCETTABILE) e (NON ACCETTABILE)
2
S 0
2 4 12
3. 1 0
x 2x 2x x 2
2(2 x ) 2x x 2 4x 12 4 2x x 2 6x 12
0 0
x (2 x ) x (2 x )
con pochi semplici passaggi di calcolo otteniamo
2
x 2 8x 16 0 x 4 0 x 4 (soluzione doppia)
S 4
NOTA: Nella risoluzione delle equazioni proposte abbiamo voluto mettere in evidenza come sia inutile
ricorrere alla formula risolutiva in tutti quei casi la scomposizione del polinomio sia agevole, come accade
ad esempio per le equazioni incomplete o quando il trinomio sia “evidentemente” il quadrato di un
binomio.
b c
Riassumendo: x1 x 2 e x1 x 2
a a
© Lorenzo Meneghini 0 – 15
Come abbiamo già detto, il coefficiente dominante di un'equazione di secondo grado non può essere nullo;
pertanto, dividendo per a ambo i membri dell'equazione ax 2 bx c 0 si trova
b c
x2 x 0 ;
a a
per le relazioni precedentemente dimostrate si ha:
b c
x1 x 2 e x1 x 2
a a
Quindi l'equazione può essere riscritta nella forma:
x2 s x p 0
avendo denotato la somma delle radici con s ed il prodotto con p; concludendo: in ogni equazione di
secondo grado con il coefficiente dominante uguale a 1, la somma delle radici è uguale al secondo
coefficiente cambiato di segno ed il prodotto è uguale al termine noto.
ESEMPI
1 3
1. Trovare due numeri la cui somma sia ed il cui prodotto sia .
10 10
1 3
Dal momento che s e p , i numeri cercati risolvono l'equazione di secondo grado:
10 10
1 3
x2 x 0
10 10
cioè
10x 2 x 3 0 .
1
1 121 2
121 x1,2
20
3
5
1 3
Pertanto i numeri cercati sono e .
2 5
1
2. Scrivere un'equazione di secondo grado che abbia come radici i numeri 3 e .
4
13 3
Calcoliamo la somma ed il prodotto dei numeri dati: s e p .
4 4
Un'equazione di secondo grado che abbia come radici i numeri dati è, quindi:
13 3
x2 x 0
4 4
© Lorenzo Meneghini 0 – 16
a) Se > 0, l'equazione ammette due radici reali distinte, indicate con x1 e x 2 .
b) Se = 0, l'equazione ammette due radici reali coincidenti, che indicheremo con x1.
In questo caso, infine, non esiste alcuna scomposizione del trinomio che utilizzi solo coefficienti reali.
ESEMPI
x 2 4x 3
3. Semplificare la frazione algebrica, dopo aver posto le opportune C.E.:
2x 2 5x 3
Determiniamo innanzitutto le C.E.:
2x 2 5x 3 0
© Lorenzo Meneghini 0 – 17
3
5 49 1
Essendo 49 x1,2 . Pertanto x 3 e x
4 2
1
2
Esaminiamo ora alcuni casi particolari di equazioni algebriche di grado superiore al secondo. È importante
sottolineare che, in base al Teorema di Abel – Ruffini, non esiste una formula risolutiva generale esprimibile
tramite radicali per le equazioni polinomiali di grado 5 o superiore. Per le equazioni di grado 3 e 4, invece,
le formule ci sono, ma sono piuttosto complesse ed esulano dagli scopi di queste lezioni.
Ci limiteremo, quindi, a presentare alcune strategie utili alla risoluzione di equazioni di grado superiore al
secondo che potranno essere applicate all’occorrenza.
1. EQUAZIONI BINOMIE:
b
Un’equazione binomia è del tipo ax n b 0 (a coefficienti non nulli) ed è equivalente a x n .
a
b
Tale equazione ammette soluzioni se e solo se esiste la radice reale n – esima del numero .
a
Vediamone alcuni semplici esempi.
5
o L’equazione 3x 4 5 0 non ammette soluzioni reali; infatti non esiste in la radice di .
3
o L’equazione x 4 81 0 ammette le soluzioni – 3 e 3; infatti l’equazione è equivalente a x 4 81
da cui si ricava x1 4 81 3 e x 2 4
81 3 .
o x 4 3x 2 4 0
© Lorenzo Meneghini 0 – 18
Utilizziamo la sostituzione t x 2 ; l’equazione diviene t 2 3t 4 0 .
1
3 25
9 16 25 t1,2
2
2
o x 6 8x 3 9 0
Utilizziamo la sostituzione t x 3 ; l’equazione diviene t 2 8t 9 0 .
9
16 9 25 t1,2 4 25
4
1
o 2x 3 7x 2 10x 24 0
Si verifica facilmente che il polinomio P x 2x 3 7x 2 10x 24 ammette uno zero pari a – 2.
Ricorrendo al metodo di Ruffini, ricaviamo:
P x x 2 2x 2 11x 12
1
Il punto U serve per definire un sistema di unità di misura sull’asse x; in questo caso si sottintende che le unità di
misura sulle due rette siano le medesime.
© Lorenzo Meneghini 0 – 19
ascissa del punto P mentre y è l’ordinata del punto P.
quadrante 1° 2° 3° 4°
ascissa + – – +
ordinata + + – –
A seconda della posizione reciproca dei punti A e B nel piano si possono avere tre casi distinti:
Le rette nel piano cartesiano sono rappresentate da equazioni di primo grado in due variabili del tipo
ax by c 0 . Una tale equazione è detta in forma implicita poiché entrambe le variabili sono scritte
nello stesso membro dell'equazione.
Di particolare interesse sono, per noi, le equazioni in forma esplicita delle rette, cioè quelle scritte nella
forma y mx q .
ESEMPIO
Data la retta di equazione 3x 4y 5 0 , calcoliamone
3 5
la forma esplicita. Si ricava facilmente y x .
4 4
Per rappresentare la retta data ci basta individuarne due
punti; è quindi sufficiente scegliere due valori facili per una
delle variabili e si calcolare i corrispondenti valori dell'altra.
Note le coordinate dei punti, si può disegnare la retta (vd.
grafico a fianco).
© Lorenzo Meneghini 0 – 20
Consideriamo ora la funzione y mx q . Dei due parametri m e q il primo rappresenta l'inclinazione della
retta rispetto all'asse delle ascisse, mentre l'altro individua l'intersezione della retta con l'asse delle
ordinate. Cerchiamo di chiarirne il motivo mediante alcuni esempi.
Notiamo che, in tal caso, l'ordinata di Q è proprio il termine noto della retta data.
Concludiamo osservando che l'asse delle ascisse è il luogo dei punti del piano la cui ordinata è nulla; la sua
equazione è pertanto: y = 0. L’asse delle ordinate, invece, è il luogo dei punti del piano la cui ascissa è nulla;
la sua equazione è perciò x = 0.
Generalizzando, una retta orizzontale ha un’equazione del tipo y = k, mentre una retta verticale ha
un’equazione del tipo x = k.
ax 0 by 0 c
d P, r .
a 2 b2
2
Per il momento scegliamo di non definire con precisione il concetto di funzione crescente o decrescente,
rimandandone la definizione rigorosa ai prossimi capitoli. Ci basterà la seguente intuizione grafica, che discende
facilmente dalla definizione: una funzione crescente "parte in basso a sinistra e sale fino alla parte destra in alto nel
piano cartesiano"; viceversa, una funzione decrescente "parte in alto a sinistra e scende fino alla parte destra in basso
nel piano cartesiano".
© Lorenzo Meneghini 0 – 21
0.7 LA FUNZIONE VALORE ASSOLUTO E LE SUE PROPRIETÀ
Chiamiamo valore assoluto (o modulo) del numero reale x la funzione così definita
f : 0
,
x x
ove il simbolo 0 denota l’insieme dei numeri
reali non negativi e si pone
x se x 0
x .
x se x 0
a) x 0, x ; in particolare x 0 x 0
b) x x , x
o Se x 0 , si ha x 0 e quindi x x x
o Se x 0 , si ha x 0 e quindi x x
o Se x 0 , si ha x 0 e quindi x 0
c) x y x y , x, y
Per comprendere il motivo dell’affermazione precedente, osserviamo la seguente tabella che
rappresenta in modo schematico le idee chiave della dimostrazione formale:
SEGNO ESPRESSIONE
x y xy x y xy x y
+ + + x y xy xy
+ – – x –y – xy – xy
– + – –x y – xy – xy
– – + –x –y xy xy
n
d) x n x , x , n . In particolare, allora x 2 x 2 , x
Basta iterare la proprietà precedente.
x x
e) , x , y , y 0
y y
Basta applicare un ragionamento simile a quello sviluppato per la proprietà (c).
© Lorenzo Meneghini 0 – 22
f) x 2 x , x
La dimostrazione in questo caso è piuttosto laboriosa e verrà omessa; chi volesse può provare a
compilare una tabella simile alla precedente.
b
V ,
2a 4a
an a n
4. se b 0
bn b
m
5. a n a n m
3
Chiaramente, se fosse a = 0 l’equazione diverrebbe quella di una retta (non verticale). Per questo motivo, richiediamo
che a 0.
© Lorenzo Meneghini 0 – 23
Convenzionalmente si pone, poi:
1
7. a n , se n e a 0 .
an
1
8. a n n a , se a 0 e n , n 2 .
Con questi accorgimenti riusciamo a definire le potenze con esponente razionale qualsiasi ponendo:
n
m
am a n , per a > 0.
Con un procedimento lungo e laborioso (la cui trattazione completa esula, però, dagli scopi di queste note)
si potrebbe definire anche la potenza a x , con a, x , a > 0. Ci basterà sapere che, riportando in un grafico
cartesiano i valori delle potenze di base a > 0 si ottengono i grafici seguenti:
0 a 1 a 1
Chiamiamo funzione esponenziale la funzione
f :
x ax
ove il simbolo denota l’insieme dei numeri reali positivi.
Dai grafici precedenti si nota che la funzione esponenziale è decrescente se 0 a 1 , mentre è crescente
se a 1 . Se, infine, a 1 la funzione esponenziale è costante, essendo chiaramente 1x 1, x .
© Lorenzo Meneghini 0 – 24
0.10 LA FUNZIONE LOGARITMICA E LE PROPRIETÀ DEI LOGARITMI
Dato un numero a > 0, con a 1, chiamiamo logaritmo in base a di un numero reale x l’unico numero y
che verifica la relazione
x ay (2)
In tal caso scriveremo
y loga x (3)
Per fissare le idee, poniamo a 1 e disegniamo nello stesso diagramma i grafici delle relazioni y a x e
x ay :
Osserviamo che i grafici disegnati sono simmetrici l’uno dell’altro rispetto alla bisettrice del 1° e 3°
quadrante. Tale caratteristica si mantiene anche quando 0 a 1 , come mostra la figura seguente.
1. loga a x x , x
© Lorenzo Meneghini 0 – 25
2. a loga x x , x , x 0
Siano ora a, b +, con a 1 e b 1; siano, inoltre, x, y +. Valgono le seguenti proprietà:
x
4. Il logaritmo di un rapporto è la differenza dei logaritmi, cioè loga loga x loga y .
y
Poniamo, infatti: u loga x e v loga y . Per definizione: x a u e y a v . Quindi:
x au
a u v
y v
a
da cui, riapplicando la definizione:
x
loga loga x loga y
y
5. loga x loga x .
In particolare, se n :
o loga x n n loga x
n 1
o loga x loga x , per ogni n > 2.
n
logb x
6. CAMBIO BASE: loga x .
logb a
Poniamo, infatti: u loga x e v logb a . Per definizione: x a u e b a v . Quindi:
u
x a u bv b v u
da cui, riapplicando la definizione:
logb x loga x logb a
da cui la formula
logb x
loga x ,
logb a
1
in cui il termine si chiama modulo di trasformazione.
logb a
© Lorenzo Meneghini 0 – 26
In Analisi Matematica, la base più utilizzata per il calcolo coi logaritmi è il numero e 2, 718281... detto
numero di Nepero4; i logaritmi di base e si chiamano logaritmi naturali e si indicano – indifferentemente –
con ln x o con log x .
ESERCIZI PROPOSTI
4 4
o 3 x 2 x 2 5x 0 S , 3 o 3 x 2 x 2 5x 0 S , 3
3 3
2 x 1 x 1 1 2x 1 x 1 5 13x 1
o 2 x 1 S 1 o S , 2
3 2 3 3 x 2 x 1 3x 6 8
x 2 3x 4 2x 5x 2 4 40 9
o S 4 o S 3
2
x 1 x 1 x 1 2
x 1 x 12
1x 4 2
x 16 3 x 1 4 8
o 4 x 4 x o 1
2 4 x 5 x 3 x 1
1 3 13 Equazione impossibile
S
4
1 11
S ,1
2 2
o 2x 3 x 2 8x 4 0 S , 2
2
o 3x 4 6x 7 0
9
4 21 4 1 x 1 1
o 30x 2 323x 84 0 S , o 0 S
15 2 x 1 x x
2
x2 x 5
1 2 8m 6 9 15
o y 2y 7 0 S 7 o S ,1
7 m 1 m 2 3m 2 m 2 8
o 27a 2 30a 77 0 Equaz. imposs. 6x x 3 1
o S 6
o 2
31b 28 0 Equaz. imposs. 3
x 27 2
x 3x 9 x 3
4
Il numero e viene chiamato numero di Nepero dal momento che John Napier è stato il primo ad introdurre i cosiddetti
logaritmi naturali; il simbolo e è dovuto, però, al fatto che Eulero ne ha fatto largo uso (ad esempio introducendo la
cosiddetta notazione esponenziale per i numeri complessi).
© Lorenzo Meneghini 0 – 27
x 1 2x 1 4x 2 (2x 1) 1 1
o S
2x 2 4x 2 8x 3 8x 2 2x 2 4
2 1 2 1 2
o 0 Equazione impossibile
x 3 x 2 x 1 x 1 x 1
3
o x 2 4x x 2 x 2 x 2 S 2
2 x x 3 2
o 2 x 2 x 2x 3 x 3x 2 6 S
3 3 3
2x 3 1
o 3x x 2 x 1 S 0, 3
2 2
2 2 2
o 7x 11 6x 5 6x 5 2x 9 5x 3 10 S 13, 2
2 2 x 2 3 x2 x2 1 2
o S 2, 1
2 1 2 1 2 1 2
x 4 29x 2 100 0 S 2, 5 4 24
S
o
o 2x 4 3 0
2
o x 6 31x 3 108 0 S 3
4, 3
3 245
o x 8 13x 4 36 0
S 2, 3 o 7x 3 5 0 S
7
o x 12 2x 6 1 0 equaz. impossibile
o x 5 32 0 S 2
4x 12 2 x 2 25 x 5
o o
2x 2 3x 3 x 3 2
x 7x 10 x 2
Dopo aver esplicitato le equazioni delle seguenti rette, rappresentale nel piano cartesiano.
o 2x+y–4=0 o 3x+ y=0 o x–2=0
o x–2y+4=0 o y+3=0 o 5x+4y–6=0
Dopo aver calcolato le coordinate del vertice, l’intersezione con l’asse y e le eventuali intersezioni con
l’asse x, disegna le parabole di equazione:
1 1 2 2 3
o y x2 x 1 o y x 5x 3 o y x2
4 2 3 2
o y 2x 2 6x o y x 2 x 2 o y 3x 2 12
o y x 2 4x 3 o y 3x 2 3 o y x 2 10x 24
© Lorenzo Meneghini 0 – 28
Capitolo 1
Nel capitolo precedente abbiamo ripassato alcune conoscenze matematiche di base, che ci
consentiranno di affrontare serenamente questo corso di Matematica.
In particolare abbiamo visto come si risolvano alcune particolari disequazioni: quelle del tipo
p x 0 , ove p(x) è un polinomio (vd. § 0.3).
In questo capitolo vedremo come risolvere disequazioni più generali ed anche alcuni particolari tipi di
equazioni.
Siano A e B due numeri reali o, più in generale, due espressioni numeriche. Consideriamo la scrittura A > B;
essa esprime che il numero A è più grande del numero B, oppure che l'espressione A assume valori più
grandi di quelli assunti dall'espressione B, per determinati valori delle lettere che compaiono in A e B.
Similmente, la scrittura A < B esprime che il numero (o l'espressione) A è più piccolo del numero (o
dell'espressione) B.
Vogliamo capire come determinare il segno di un polinomio di primo grado in una sola variabile.
Per farlo, consideriamo il seguente esempio: studiare il segno di 3x 4 .
Innanzitutto associamo al binomio una retta nel piano; per farlo, poniamo
y 3x 4 .
Determiniamo l'intersezione della retta con l'asse delle ascisse, risolvendo
y 3x 4 4
il sistema: . Si ottiene facilmente il punto A , 0 ;
y 0
3
osservando il grafico, il binomio assume valori positivi quando la retta
giace sopra l'asse x ed assume invece valori negativi quando la retta giace
sotto l'asse x. Pertanto possiamo dire che il binomio 3x 4 è:
4
o Nullo per x
3
4
o Positivo per x
3
4
o Negativo per x
3
o per determinare il segno di un binomio di primo grado del tipo a x + b si deve innanzitutto individuare
lo zero del binomio;
dopodiché,
Per determinare il segno di un prodotto o di un rapporto si ricorre alla cosiddetta REGOLA DEI SEGNI, la quale,
assieme all’analisi di un diagramma, ed alla LEGGE DI ANNULLAMENTO DI UN PRODOTTO (O DI UN RAPPORTO), ci porta
alla determinazione corretta del segno dell’espressione in esame.
NOTA: La frase sottolineata (essendo diverso da zero il denominatore) che compare nella legge di
N
annullamento di un rapporto è di estrema importanza. Basti ricordare che l’espressione è PRIVA DI
0
0
SIGNIFICATO se N 0, mentre l'espressione è INDETERMINATA.
0
ESEMPI
Determina il segno del prodotto: x 3 2x 5
Innanzitutto riportiamo in un grafico come quello a fianco il
segno dei singoli termini del prodotto (vd. § 1.2). Per
determinare il segno del prodotto, confrontiamo i segni dei due
binomi tramite la regola dei segni. Ne concludiamo che
l’espressione è
5 5 5
o POSITIVA: 3 x o NULLA: x 3 ox o NEGATIVA: x 3 ox
2 2 2
3x 4
Determina il segno del rapporto:
x 2
C.E.: x–20 x2
Il diagramma dei segni del rapporto è quindi il seguente; il
rapporto è:
4 4 4
o POSITIVO: x o x 2 o NEGATIVO: x 2 o NULLO: x
3 3 3
Il rapporto NON ESISTE per x = 2.
Chiameremo disequazione una disuguaglianza tra due espressioni matematiche. I valori delle variabili che
soddisfano la disequazione vengono detti soluzioni.
ESEMPI
n 2 0 , con n
Chiaramente, non esiste alcun numero naturale che sommato a 2 dia un numero negativo (infatti
dovrebbe essere n < – 2, e ciò non è possibile nei numeri naturali); pertanto S .
2n 3 10 , con n
7
Si ottiene n . Pertanto l’insieme delle soluzioni è FINITO: S 0,1,2, 3 .
2
2x 3 10 , con x
7 7
In questo caso, la relazione x definisce l’insieme INFINITO S x : x .
2 2
7
l'insieme delle soluzioni contiene tutti i numeri reali minori di ; si tratta perciò di un insieme INFINITO.
2
Diremo che due disequazioni sono equivalenti se e solo se ammettono lo stesso insieme S di soluzioni.
Risolvere una disequazione significa determinarne l’insieme delle soluzioni S.
L'insieme S si ricava mediante una sequenza di disequazioni fra loro equivalenti e di forma
progressivamente più semplice, tra loro equivalenti, ottenute applicando le regole seguenti.
PRINCIPIO PRELIMINARE:operando secondo le regole del calcolo algebrico su uno o su entrambi i membri di una
disequazione, si ottengono altre disequazioni equivalenti alla data.
1° PRINCIPIO DI EQUIVALENZA: aggiungendo o sottraendo ad ambo i membri di una disequazione uno stesso
numero (o una stessa espressione algebrica) si ottiene una disequazione equivalente.
ESEMPI
4x 4 8 x 4x 4 8 x 0 5x 4 0
4
Pertanto S x : x
5
k 2 4k 4 k 2 7k k 2 4k 4 k 2 7k 0 3k 4 0
4
Pertanto S k : k
3
2° PRINCIPIO DI EQUIVALENZA: moltiplicando o dividendo ambo i membri di una disequazione per uno stesso
numero positivo si ottiene una disequazione equivalente alla data.
ESEMPI
3x 9 12 3 x 3 12 x 3 4
Pertanto S x : x 1
x3 x3
2x 4 4 2x x 3 8x x 3 8x 0 3 7x 0
4 4
3
Pertanto S x : x
7
Risolvere un sistema di disequazioni significa intersecare gli insiemi delle loro soluzioni. Per poterlo fare
agevolmente, dobbiamo rappresentare graficamente tali insiemi e trovare un “codice grafico” che aiuti a
determinare tale intersezione. Illustriamo la procedura con un esempio.
ESEMPIO
2x 3 0
Risolvere il sistema (x 2)(x 1) 0 .
x 4 0
x
3
A: 2x 3 0 ammette banalmente le soluzioni A x : x
2
B: x 2 x 1 0
Il diagramma dei segni associato alla disequazione è rappresentato a lato.
In questo caso, gli zeri della funzione non sono accettabili.
Pertanto B x : 1 x 2
x 4
C: 0
x
Poste le doverose condizioni di esistenza (x 0) il diagramma dei segni del rapporto è rappresentato a lato.
Pertanto C x : 0 x 4
Se le linee che indicano gli insiemi si sovrappongono, deduciamo che gli elementi del corrispondente
intervallo sono soluzioni del sistema dato.
Ricordiamo che la crocetta rappresenta elementi non accettabili tra le soluzioni, mentre il pallino
rappresenta elementi accettabili.
3
Nel caso in esame, otteniamo S x R : 0 x .
2
Ricordiamo che i polinomi quadratici rappresentano parabole con l’asse verticale. Possiamo affermare che
il segno di un termine quadratico, per un determinato valore dell’ascissa, è quello dell’ordinata del
corrispondente punto nel grafico. Prima di esporre una regola generale per studiare il segno di tali
polinomi, esaminiamo alcuni semplici esempi.
ESEMPIO
Innanzitutto dobbiamo determinare gli zeri della funzione, cioè risolvere l’equazione
3x 2 10x 3 0
3
54
25 9 16 x 1,2
4 3
1
3
Il grafico della funzione quadratica è disegnato a lato. L’asse x è diviso in tre diverse
regioni dagli zeri della funzione; il grafico della parabola giace nel semipiano delle y
1 1
negative per x 3 e nel semipiano delle y positive per x o per x > 3.
3 3
Interpretando questi dati possiamo concludere che il trinomio è:
1 1 1
o NEGATIVO per x 3 o NULLO per x ox 3 o POSITIVO per x ox3
3 3 3
NOTA
È importante osservare, a questo punto, che se il coefficiente dominante fosse stato negativo, la parabola
avrebbe avuto la concavità verso il basso ed il polinomio avrebbe avuto segno positivo all’interno
dell’intervallo determinato dalle due radici e negativo all’esterno.
Abbiamo ora sufficienti strumenti per elaborare il metodo grafico per il calcolo del segno di un termine di
secondo grado.
Se a > 0
Se a < 0
Una volta stabilito il segno di un polinomio di secondo grado è facile risolvere la disequazione associata,
qualunque essa sia. I seguenti esempi forniranno i chiarimenti del caso.
ESEMPI
5x 2 24x 5 0
La parabola corrispondente ha la concavità verso l'alto. Cerchiamo gli zeri del trinomio:
5
12 13
144 25 169 x 1,2 Diagramma dei segni:
4 5
1
5
1
L'insieme delle soluzioni è, quindi: S x R : 5 x
5
2x 2 x 1 0
La parabola corrispondente ha la concavità verso l'alto. Cerchiamo gli zeri del trinomio:
1
13
1 8 9 x1,2 Diagramma dei segni:
4
1
2
1
L'insieme delle soluzioni è, quindi: S x R : x , x 1
2
x 2 6x 9 0
La parabola corrispondente ha la concavità verso l'alto. Cerchiamo gli zeri del trinomio:
30
9 9 0 x 1,2 3 Diagramma dei segni:
4 1
La parabola corrispondente ha la concavità verso il basso. Cerchiamo gli zeri del trinomio:
1 6
1 5 0 x 1,2 1 6 Diagramma dei segni:
4 1
Nel caso di disequazioni di grado superiore al secondo dovremo adottare particolari strategie, a seconda
del tipo di disequazione considerata. I prossimi esempi mettono in evidenza le più frequenti.
ESEMPI
2x 4 x 3 5x 2 2x 2 0
Consideriamo il polinomio P x 2x 4 x 3 5x 2 2x 2 . Essendo P 1 2 1 5 2 2 0 ,
mediante la regola di Ruffini troviamo P x x 1 2x 3 x 2 4x 2 .
1
Il polinomio Q x 2x 3 x 2 4x 2 si annulla per x (verificare per esercizio); applicando
2
nuovamente la regola di Ruffini troviamo Q x 2x 1 x 2 2 . Pertanto possiamo scrivere:
x 1 2x 1 x 2 2 0 .
1
Pertanto S x R : x 2, 1 x , x 2 .
2
3x 4 2x 2 8 0
Posto t x 2 si ha 3t 2 2t 8 0 . Determiniamo gli zeri:
2
15
1 24 25 t1,2
4 3
2
3
Quindi, per le regole di fattorizzazione dei polinomi otteniamo t 2 3t 2 0 da cui
x 2 2 3x 2 2 0
Analizzando i segni dei singoli termini otteniamo il diagramma
Pertanto S x R : x 2, x 2 .
6 2 3 1
1 C.E.: x
1 4x 2 2x 1 1 2x 2
Cerchiamo la forma normale della disequazione.
6 2 3 1 4x 2 6 2(1 2x ) 3(1 2x ) 2x 2 x
1 0 0 0
1 4x 2 2x 1 1 2x 1 4x 2 4x 2 1
1 1 1
Pertanto S x R : x , x 0, x .
2 2 2
Quando in un’equazione o disequazione compaiano uno o più valori assoluti, dobbiamo – in generale –
tradurre le espressioni in forma più semplice prima di affrontare i calcoli. Vediamo come, analizzando alcuni
esempi.
ESEMPI
x 2 2x 3 x 3
1
2 x 1 x 2x
3
Innanzitutto studiamo i segni degli argomenti dei moduli:
Dobbiamo risolvere tre distinte equazioni condizionate.
1 1 1
Se x 1 : 2 1 x x 2 x 2 2x x 2 x … x ACC.
3 3 6
1 1 11
Se 1 x 2 : 2 x 1 x 2 x 2x 2 x 2 x … x ACC.
3 3 6
1 1 1
Se x 2 : 2 x 1 x x 2 2x 2 x x 2 0 EQ. IMPOSSIBILE
3 3 3
1 11
S ,
6 6
NOTA
Nelle precedenti disuguaglianze si possono – ovviamente – sostituire le disuguaglianze strette con quelle
larghe.
ESEMPI
x2 x 6
x2 4 5
x 2 4 5 x 2 9 0
Equivale a 5 x 2 4 5 , cioè al sistema di disequazioni 2 2
x 4 5 x 1 0
x 2 9 0 3 x 3
Pertanto: S x : 3 x 3
2 x 3 2x
Come nel caso delle equazioni, esaminiamo le varie situazioni
possibili:
Se x 0 : 3 3
2x 3 2x Se 0 x : Se x :
2 2
S1 2x 3 2x 4x 3 2x 2x 3 0 3
3 3 3
S 2 , S 3 ,
4 2 2
© Lorenzo Meneghini 1 – 10
3
S S1 S2 S 3 x : x
4
x2 x x
Un’equazione irrazionale è un’equazione in cui la variabile compare anche sotto il segno di radice.
Sulla base delle precedenti considerazioni, concludiamo che, per risolvere un’equazione irrazionale del tipo
n A x B x
procederemo in questo modo:
n
o se n è dispari, è sufficiente elevare ambo i membri alla n ottenendo A x B x ;
o se n è pari, si determinano inizialmente le condizioni necessarie per l’elevamento a potenza pari
A x 0 C .E .
B x 0 elevam.
n
e poi si risolve l’equazione A x B x , subordinata alle condizioni ricavate in precedenza.
ESEMPI
3
x3 2 2 x
3
L’equazione è equivalente a x3 2 x 2.
2
Elevando al cubo: x 3 2 x 3 6x 2 12x 8 da cui 6x 2 12x 6 0 , cioè 6 x 1 0 .
S 1
© Lorenzo Meneghini 1 – 11
x 2 1 5 x 1 3x 3
L’equazione è equivalente a x 2 5x 4 3 3x .
Studiamo le condizioni:
x 2 5x 4 0
x 1
1 x 0
Una disequazione irrazionale è una disequazione in cui la variabile compare anche sotto il segno di radice.
2. A x B x ; 3. A x B x ; 4. A x B x .
TIPO 1: In questo caso, con ragionamenti simili a quelli sviluppati al § 1.9 per le equazioni irrazionali, si può
n
dimostrare che è sufficiente elevare ambo i membri alla n ottenendo, rispettivamente, A x B x o
n
A x B x .
TIPO 2: Si può facilmente dimostrare che in questo caso la disequazione equivale al sistema
A x 0 C .E .
B x 0 elevam.
A x B x 2
TIPO 3: Si può facilmente dimostrare che in questo caso la disequazione equivale all’unione dei due sistemi
A x 0 C .E . B x 0 elevam.
e
B x 0 A x B x 2
2
Osserviamo che, essendo B x 0 , nel secondo sistema la condizione di esistenza è implicita nella
2
disequazione A x B x , e quindi non la scriviamo.
TIPO 4: Una volta poste le C.E. per i due radicali quadratici è sufficiente elevare al quadrato; si tratta, quindi,
di risolvere il sistema
© Lorenzo Meneghini 1 – 12
A x 0
B x 0
A x B x
NOTA: in tutti i casi considerati, l’uso della disuguaglianza stretta in luogo di quella larga modifica solamente
n
la disequazione che corrisponde all’elevamento a potenza; scriveremo quindi A x B x in luogo di
n n n
A x B x e A x B x in luogo di A x B x , lasciando invariato tutto il resto.
ESEMPI
x 3 3x
Dobbiamo risolvere il sistema:
x 3 0 x 3 A
x 3 0 x 3 B
x 3 x 2 6x 9 x 2 7x 6 0 C
S x : 3 x 1
x 2 3x 4 4x 2
x 2 3x 4 0 2x 1 0
Dobbiamo risolvere i sistemi e 2 ed unirne,
2x 1 0 x 3x 4 4x 2 2
successivamente, gli insiemi di soluzioni.
x 2 3x 4 0 x 2 3x 4 0 A 2x 1 0 2x 1 0 A
2 2
2x 1 0 2x 1 0 B x 3x 4 4x 2 17x 19x 0 B
2
S1 x : 1 x 1
2
S2 x : 1
2
x 19
17
Otteniamo quindi S S1 S 2 x : 1 x 19
17
3
x 6x
In questo caso è sufficiente elevare ambo i membri al cubo; otteniamo:
x 3 x 6 0 x 2 x 2 2x 3 0 x 2
dal momento che il trinomio, avendo negativo, risulta sempre positivo.
S x : x 2
a) Equazioni che possono essere scritte come uguaglianze tra potenze della stessa base
Quando, dopo aver applicato in modo opportuno le proprietà delle potenze, ricaviamo un’equazione
del tipo a f x a g x , l’applicazione ad ambo i membri del logaritmo in base a consente di scrivere la
nuova equazione
© Lorenzo Meneghini 1 – 13
f x g x
che dev’essere risolta in modo opportuno.
ESEMPIO
3 42 x 3 3 3
42x 1 42x 1 3 2 4x
4 4 2 x 3 4 2 x 4 2 x 24 x 2
2 4 2 4 2
1
Applicando il logaritmo in base 2 ad ambo i membri, otteniamo 4x 1 da cui x
4
b) Equazioni che possono essere scritte come uguaglianze tra potenze di basi diverse
Quando, dopo aver applicato in modo opportuno le proprietà delle potenze, ricaviamo un’equazione
del tipo a f x b g x , l’applicazione ad ambo i membri del logaritmo naturale consente di scrivere la
nuova equazione
f x ln a g x ln b
che dev’essere risolta in modo opportuno.
ESEMPIO
3x 1 2 3x 3x 2 5x 1 3 3x 2 3x 9 3x 5x 1 10 3x 5x 1
Applicando ad ambo i membri il logaritmo naturale, otteniamo:
ln 50
ln10 x ln 3 x 1 ln 5 x ln 5 ln 3 ln 10 ln 5 x
ln 5 ln 3
ESEMPIO
1 2 8
3x 31 3 2 3x 8 31 3x 3
3
3x 3
1 2 8
Posto t 3x otteniamo: t 3 3t 2 25t 18 0
3 t 3
9
25 29
625 216 841 t1,2
6
2
3
2 2
Se t : l’equazione 3x non ammette soluzioni reali
3 3
Se t 9 : l’equazione 3x 9 fornisce la soluzione x 2
S 2
Un’equazione logaritmica è un’equazione in cui la variabile compare anche nell’argomento di una funzione
logaritmica.
Vi sono due tipi di equazioni logaritmiche risolvibili con metodi elementari, dopo aver trovato le C.E.
© Lorenzo Meneghini 1 – 14
a) Equazioni che possono essere scritte come uguaglianze tra logaritmi della stessa base
Quando, dopo aver trovato le C.E. ed aver applicato in modo opportuno le proprietà dei logaritmi,
ricaviamo un’equazione del tipo loga f x loga g x , ricordando che la funzione logaritmica è
l’inversa dell’esponenziale troviamo a loga f x a loga g x da cui si deduce la nuova equazione
f x g x
che dev’essere risolta in modo opportuno.
ESEMPIO
2
log2 x 2 1 1 log2 x log 8 x
3
x 2 1 0
C.E. x0
x 0
2 log2 x
log2 x 2 1 1 log x 3 log2 x 2 1 3 2 log2 x log2 x
3 2 log2 8
3 log2 x 2 1 3 1 log2 x log2 x 2 1 log2 2x x 2 1 2x … x 1 ACC.
ESEMPIO
log22 x 2 log2 x 7 1 log2 x 2
C.E.: x 0
2
Osserviamo innanzitutto che log22 x 2 log2 x 2 2 log2 x 4 log22 x . Pertanto:
2
4 log22 x 8 log2 x 5 0
Posto t log2 x l’equazione diventa: 4t 2 8t 5 0
5
4 6 2
16 20 36 t1,2
4 4
1
2
5
5 5 2
Se t : log2 x x 2 2 ... ACC.
2 2 8
1
1 1 2
Se t : log2 x x 22 2 S , 2
2 2 8
2
1
Osserviamo che la scrittura loga2 f x si può “tradurre” con loga f x .
© Lorenzo Meneghini 1 – 15
1.12 DISEQUAZIONI ESPONENZIALI E LOGARITMICHE
Una disequazione si dice esponenziale quando contiene almeno una potenza con l’incognita nell’esponente.
Le tecniche risolutive delle disequazioni esponenziali sono in tutto simili a quelle relative alle corrispondenti
equazioni, a patto di tener conto della crescenza della funzione esponenziale stessa.
Osserviamo i grafici:
ESEMPI
2x 1
1
625
5
Ricordando quanto osservato sopra:
1 5
2x 1 log 1 log 1 625 2x 1 log 1 54 2x 1 4 x
5 2
5 5 5
NOTA:
se avessimo applicato il logaritmo naturale ad ambo i membri, il risultato finale sarebbe stato il
medesimo; infatti:
1 2x 1 4 ln 5 5
ln ln 625 2x 1 ln 51 ln 54 2x 1 x
5 ln 5 2
In un modo o nell’altro bisogna fare attenzione al verso della disuguaglianza.
5x 18 5x 3
In questo caso si tratta di un’equazione in forma polinomiale:
18
5x 3 52x 3 5x 18 0 dal momento che 5x 0, x .
x
5
Posto t 5x :
t 2 3t 18 0
© Lorenzo Meneghini 1 – 16
6
39
9 72 81 t1,2
2
3
ln 6
Pertanto 3 t 6 da cui si ricava: 3 5x 6 , cioè x
ln 5
Una disequazione logaritmica è una disequazione in cui la variabile compare anche nell’argomento di una
funzione logaritmica.
Le tecniche risolutive delle disequazioni logaritmiche sono in tutto simili a quelle relative alle corrispondenti
equazioni, a patto di tener conto della crescenza della funzione logaritmica stessa.
Osserviamo i grafici:
Vi sono due tipi di disequazioni logaritmiche risolvibili con metodi elementari, dopo aver trovato le C.E.
a) Disequazioni che possono essere scritte come disuguaglianze tra logaritmi della stessa base
Quando, dopo aver trovato le C.E. ed aver applicato in modo opportuno le proprietà dei logaritmi,
ricaviamo una disequazione del tipo loga f x loga g x ovvero loga f x loga g x ,
ricordando che la funzione logaritmica è decrescente se 0 a 1 mentre è crescente per a 1 ,
passiamo dalla disuguaglianza tra i logaritmi alla corrispondente disuguaglianza degli argomenti,
o cambiando verso se 0 a 1
o mantenendo verso se a 1
ESEMPI
2 log 3 1 x log 3 3 x 2
1 x 0
C.E. x 1
3 x 0
Applicando le proprietà dei logaritmi:
2 2
log 3 1 x 2 log 3 3 x log 3 1 x log 3
3 3 x
La funzione logaritmica è crescente, poiché la base del logaritmo è maggiore di 1, quindi:
2
1 x 9 3x x 2 x 8 0 ()
© Lorenzo Meneghini 1 – 17
1 33
Determiniamo gli zeri del trinomio: 1 32 33 x 1,2
2
1 33 1 33
Pertanto la disequazione () ammette le soluzioni x x sotto la
2 2
condizione x 1 .
1 33
S x : x
2
1
log 1 25 x log 1 x 5 0
2
4 4
25 x 0
C.E. 5 x 25
x 5 0
Applicando le proprietà dei logaritmi:
1 2
log 1 25 x log 1 x 5 log 1 25 x 2 log 1 x 5 log 1 25 x log 1 x 5
2
4 4 4 4 4 4
La funzione logaritmica è decrescente, poiché la base del logaritmo è minore di 1; dobbiamo,
quindi, cambiare verso alla disuguaglianza:
2
25 x x 5 x 2 9x 0 ()
Gli zeri del binomio sono, banalmente: 0 e 9.
Pertanto la disequazione () ammette le soluzioni 0 x 9 sotto la condizione 5 x 25 .
S x : 5 x 9
OSSERVAZIONE (BANALE, MA IMPORTANTE)
Osservando attentamente le procedure attivate nella risoluzione dei precedenti esercizi, possiamo
affermare che, prima di applicare le proprietà dei logaritmi, è conveniente:
o spostare da un membro all’altro le espressioni con segno negativo, in modo da evitare di far
comparire denominatori;
o calcolare il denominatore comune in presenza di eventuali coefficienti razionali, in modo da
evitare di far comparire espressioni irrazionali.
È ben noto, infatti, che è molto più comodo risolvere una disequazione intera piuttosto che una fratta
o una disequazione razionale piuttosto che una irrazionale.
ESEMPI
2 log23 x 1 5 log3 x 1 2 0
C.E. x 1
© Lorenzo Meneghini 1 – 18
Posto t log3 x 1 otteniamo la disequazione 2t 2 5t 2 0 , che ammette le soluzioni
1 1
t 2 . Ricordando la sostituzione eseguita, dobbiamo ora risolvere log 3 x 1 2 , cioè il
2 2
1
log x 1
sistema 2 3 , subordinato alle C.E. Dal momento che a 1 :
3
log x 1 2
1
log x 1 3 x 1
2 3 3 x 1 9 3 1 x 8
x 1 9
log
3 x 1 2
Confrontando con le C.E. troviamo S x : 3 1 x 8
3 ln2 x 2 1 8 ln x 2 1 3 0
C.E. x 1 x 1
ESERCIZI PROPOSTI
Studia il segno delle seguenti espressioni:
o
3x 2 7x 2 x 2 2 o
x (1 x ) o 4x 3 3x 2 x
2x 1
x3 1
2x 3
o 2x 2 4x 2 x
2x (x 2) o
o
(x 1)(x 1)
(2x 5)x o 1 3x x 3
o 3x 2 2 0 o x 2 5x 0
S S 0, 5
2
o x 5 0
2x 2 7x 2 0
o
S x : x 5, x 5
33 7 33 7
S ,
,
o 2x 2 5x 0 4 4
5
S 0,
2
2x 1 x 1
o 0
x 3
o x 2 4x 2 0 1
S 3, 1,
S , 2 6 2
6, 2
2
o 3x 2x 7 0
© Lorenzo Meneghini 1 – 19
22 1 22 1 x 4 13x 2 36
S ,
, o 0
3 3 x 4 6x 2 9
o x 2 7x 0 S 3, 2 2, 3
S 0, 7 (x 2 1)(x 2 4)
o 0
o 2x 2 5x 2 0 (x 2 3x )(x 2 x 3)
1 S 2, 0 2, 3
S , 2
2 x3 x 5 75
2
o
o 3x 50 x 15 x 15 450 2x 2
S 5 3
S 15, ,15
2(x 1) x 5 3(x 1) 2 2
o
x 2 8x 15 x 2 6x 5 x 2 4x 3 3x 2 5 2x
o 1
S 2,1 3, 5 7, x2 1 x 1
x 2 7x 10 S 1,1 2
o 0
3 2
x x 2x 2x 1 1 1
o x 1
S , 2 0,1 2, 5 1x 1x 9x 9
2 4
S ,1 ,
3 3
x 2 12x o | x 7 | 9 x2
o 0
x 2 10x 32
S x : x 0, x 12 S
o 3 2x x 2
3
x2 1
o 0 3
4x 2 25 S 2 2 3,
2
S x : x 1
o x2 4 5 o 3x 2 x 2
2
S ,
S x : x 3 3
o x2 5 6 o 6x x 2 3 2x
3
S , 6
S 11, 11 5
o x 2 x 1 2 x 2x 1
o 0
2x 4 2x 2
1
S , S 1,
2
3
x 1 x 3
x 2x 1 o 0
2
o 0 x 9 6 x
4x 3 3x 2
S 1
S 1,
3 o 2 3x 2 x
x x 2
o 0 1 2
x2 1 2 x S ,
3 3
S , 2 0 o 6x x 2 3 2x
o log 5 4 x log 5 2x 5 3
S 6,
6 6 5
© Lorenzo Meneghini 1 – 20
S 3, o log 3 12x log 3 x 1 log 3 5x 6
2 2 2
o 3 32x 10 3x 3 0
2 3
34 5
S x : x , x
S , log 3
3 4
3
x 2 1
o 3 9
o logx 2x 5 logx 4 x
5
S x : x 5
S , 3
2
42x 2 4x 7 x
o 1 o 42x 1 9 32x 7 16x 1
3
2 42x 5 4x 2
3
1 S ,
S x : x , x 0, con x 0 2
2
3x 1
2 log2 x 1 3 log2 x o 2x 5 3x 2 8 6 x S , 0
o 3 0
2 log2 x 1 2 log2 x o 2 log3 x 3 2 logx 3 3 5
1
S x : x , x
4
2, con x 8
S 2, 3 2
L og x log2 (x 5)
o log1 x 1 log 1 x log 1 x 2 log1 x 2 o 0
2 2 2 2 (3 x )L og(x 1)2
S 2, S 5, 6
x
4 16 32
o
3 9
x
43 x
3 0
S 1, 2
o x 2 x 1 2x 3 o x2 1 x 1
S 1 S 1, 0, 2
o 3x 1 x 3 o x 2 3x x x 1
S 8
13 3 3 5 5 1
o 3x 1 x 3 S , ,
2 2 2
S
o 1 log3 x 1 log3 x 4 log3 x o x 2 3x x x 1
29 5 3 13
S 42 3 S ,
2 2
o 2 log x 1 5 2 log5 x 1 3
36 x 2
24 1
S 5 1, o 1 5x 2 15 0
25 4
o ln2 x 2 ln x 15 0 S 6
S e 3 , e 3 o log10 4x 2 3x 4 log10 x2 x 1
1
8
2
6 2x 1
2 3
6x 6x 3 6 1 S ,
o x
3 3 2
S , 5
2
© Lorenzo Meneghini 1 – 21
2
25 x 1
3 x 16 5 x x
7 43 3
o o 3 4
4 9 1
x
3 4
S 5, 3
S 1, 2
o 2 3x 1 3 2x 1 2x 3 3x
o log5 5x 7 log25 324 2 x
S log 3 2
S 2
2
x 2
logx 2 1 1 3x
3 x 1
o o 6
x 16 2 4 2
log2 log2
2 x S 2
1
S , 4 o 2x 7 2x 3 2x 1 2x 5 102
4
S 3
3x 2 5x 2 x 2 3 2x 1
1
o 2
2 x 2 x 0
o x x 0
2
3 3
x 2 x 1 S
x 2 x 1 1
2 3
5 1 o 18
S x : x 2, x x x
2 4 2 20
(8x 15)(x 7) 0 S 2,
o x 2 0
(3x 2)(2x 3) 0
o
2 x 1 3 x 1 2
15
S x : x , x 7
8 S 6, 2 2, 4
x 3 0 x 2 3 2x 1
o
2 x 2 3 x 2 2 o 2
x x 0
S 7, 3 10 2
S 1,
3
© Lorenzo Meneghini 1 – 22
Capitolo 2
Elementi di topologia
2.1 INSIEMI
INTORNI
Dato un numero reale c ed un numero reale > 0, si chiama
intorno circolare di c, di raggio , l’intervallo aperto I c di
centro c e raggio :
I c c , c x : c x c
cioè l’insieme descritto dalla disequazione
x c
Proprietà
L’intersezione e l’unione di due o più intorni di c sono ancora intorni di c.
Dato un intorno di un punto c, a volte interessa studiare solo la parte che sta a destra di c, oppure quella
che sta a sinistra. Chiameremo:
o intorno destro di c l’intervallo I c c, c
© Lorenzo Meneghini 2–2
o intorno sinistro di c l’intervallo I c c , c
Ad esempio, l’intervallo aperto (2, 5) è un intorno destro di 2 e sinistro di 5.
Non tutti gli insiemi numerici che incontreremo in questo percorso sono intervalli; è utile, quindi, definire
alcuni concetti per chiarire le diverse situazioni. Sia A :
o Il numero si dice maggiorante per l’insieme A a, a A .
o Se l’insieme A ammette maggioranti, si dice che A è superiormente limitato, in caso contrario si dice
che A è superiormente illimitato.
Osserviamo, inoltre, che se è maggiorante per A, allora anche ogni ' è maggiorante per A; infatti
risulta:
' a, a A .
Pertanto possiamo affermare che se l’insieme A è superiormente limitato, allora ammette infiniti
maggioranti.
o Si chiama estremo superiore dell’insieme A il più piccolo dei suoi maggioranti; l’estremo superiore
dell’insieme A si indica con sup A.
Nel caso in cui l’insieme A non sia superiormente limitato, si dice che sup A = + .
o Si chiama estremo inferiore dell’insieme A il più grande dei suoi minoranti; l’estremo inferiore
dell’insieme A si indica con inf A.
Nel caso in cui l’insieme A non sia inferiormente limitato, si dice che inf A = – .
Proprietà
o Dato un insieme A superiormente limitato. Per esso esiste ed è unico l’estremo superiore.
o Dato un insieme A inferiormente limitato. Per esso esiste ed è unico l’estremo inferiore.
NOTA:ciascun insieme finito è un insieme limitato; infatti, per un insieme finito è facile determinare il
massimo ed il minimo. Non è però vero il viceversa: l’intervallo [0, 1] è limitato, ma non è un insieme finito.
OSSERVAZIONE
Nella definizione di estremo superiore s (o inferiore i) di un insieme A, non viene menzionata
l’appartenenza di s (risp. di i) all’insieme A; in pratica s (risp. i) può appartenere o meno all’insieme di cui è
estremo superiore (risp. inferiore). Se si aggiunge la condizione di appartenenza, allora l’estremo superiore
(risp. inferiore) diventa massimo (risp. minimo) dell’insieme.
Più precisamente:
PROPOSIZIONE
o Sia A un sottoinsieme non vuoto di ; se s sup A allora s A se e solo se s max A .
o Sia A un sottoinsieme non vuoto di ; se i inf A allora i A se e solo se i min A .
ESEMPI
L’insieme 2, 3 ha 3 come massimo e –2 come minimo (coincidono rispettivamente con l’estremo
superiore ed inferiore ed appartengono all’insieme).
NOTA
I concetti di punto di accumulazione e punto isolato sono antitetici l’uno dell’altro. Inoltre, tutti i punti
isolati di A appartengono all’insieme A; lo stesso non si può dire per i punti di accumulazione.
ESEMPIO
Consideriamo l’intervallo aperto A 0,1 ; vogliamo dimostrare che 1 è punto di accumulazione per
A. Infatti, ogni intorno di 1 contiene numeri reali inferiori a 1 e quindi contiene elementi di A diversi da
1 (dal momento che non appartiene ad A).
Si può dimostrare (esercizio per casa) che anche 0 è punto di accumulazione di A.
Si può dimostrare, infine, che ogni insieme infinito ammette almeno un punto di accumulazione
(Teorema di Bolzano – Weierstrass).
ESEMPI
Consideriamo l’intervallo aperto A 1,2 ed un qualsiasi punto a A . Consideriamo le distanze di
tale punto dagli estremi dell’intervallo: r1 a 1 e r2 2 b .
Osserviamo che, in questo caso, l’insieme A non contiene i suoi punti di frontiera.
Consideriamo l’insieme B 2, 2 3, 4 . Tutti i punti dell’insieme x : 2 x 2, 3 x 4
sono punti interni a B, mentre i punti di frontiera sono quelli dell’insieme 2, 2, 3, 4 ed appartengono
tutti, ad eccezione di –2, all’insieme B (verificare per esercizio).
5
Verifichiamo ora che è punto esterno per B.
2
5 1
Consideriamo infatti l’intorno in figuro, di centro e raggio , pari a metà della distanza del centro
2 4
5
dai “più vicini” elementi di B. Tale intorno non contiene alcun punto di B; pertanto è un punto
2
esterno all’intervallo.
ESERCIZI PROPOSTI
Determina estremi inferiore e superiore (ed eventuali massimo e minimo) per ciascuno dei seguenti insiemi:
o A , 6 1 o C 0, 2 o E 2,
Per ciascuno degli insiemi considerati, determina anche i punti di accumulazione e quelli isolati e trovane i
punti di frontiera.
Dopo aver determinato l'insieme S delle soluzioni della seguente disequazione, studiane i punti di
x2 x3 x 1
accumulazione e gli eventuali punti isolati: 0
x4
Dopo aver determinato il dominio D delle seguenti funzioni, stabilisci quali elementi di D sono punti di
accumulazione e quali sono punti isolati:
2
x 1
o f1 x
x2 5
o f2 x ln x 2 ln 3 x
x 1
o f3 x 9 x2
x2
o f4 x 4x 32 7 x
o f5 x ln x2 1 x2 3
3.1 FUNZIONI
Consideriamo un sottoinsieme non vuoto D di numeri reali. Una funzione numerica di dominio D è una
legge che ad ogni elemento x D associa uno ed un solo elemento y . Scriveremo in tal caso:
f :D
x y f x
L’insieme D viene chiamato insieme di esistenza (o dominio) della funzione, l’elemento f x si chiama
immagine di x.
Se l’insieme di esistenza della funzione non è dichiarato esplicitamente, si assume come dominio l’insieme
di tutti i valori della variabile indipendente1 x per i quali l’espressione f x ha senso (detto dominio
naturale).
ESEMPIO
Determiniamo il dominio della funzione f x log 25 x 2 x 2 4x 3 .
Per farlo dobbiamo risolvere il sistema
25 x 2 0
2
x 4x 3 0
Il grafico delle soluzioni è disegnato a lato (verificare per
esercizio).
Concludendo:
D 5,1 3, 5
Chiameremo grafico della funzione f x il seguente insieme di punti del piano cartesiano:
x , y 2 : y f x
Si chiama codominio della funzione y f x l’insieme dei valori della variabile y che corrispondono ad
almeno un valore della x.
Sia y f x una funzione numerica di dominio D e sia c un punto di accumulazione di D; sia inoltre
l , , .
1
La variabile y, il cui valore “dipende” da quello di x mediante la legge f x , è chiamata variabile dipendente.
© Lorenzo Meneghini 3–1
Si dice che l è il limite di f x per x che tende a c, e si scrive lim f x l , se per ogni intorno I(l) di l esiste
x c
un opportuno intorno I(c) di c, tale che:
se x D I(c) allora f x I l
ESEMPI
Siano c, l ; interpretiamo la scrittura seguente in
base alla definizione:
lim f x l
x c
ESEMPIO
Verificare che lim 3x 5 4
x 2
Come mostra il precedente esempio, quando si cerca di verificare un limite tramite la definizione bisogna
innanzitutto capire come si contestualizza la definizione nel caso in esame e successivamente risolvere la
disequazione che traduce l’appartenenza di f x all’intorno fissato del limite. Tra le soluzioni di tale
disequazione dobbiamo riuscire a dimostrare che c’è anche un intorno di c.
Sia y f x una funzione numerica di dominio D e sia c un punto di accumulazione di D; sia inoltre
l , , . Si dice che l è il limite destro di f x per x che tende a c, e si scrive lim f x l ,
x c
+
se per ogni intorno I(l) di l esiste un opportuno intorno destro I(c ) di c, tale che:
se x D I(c+) allora f x I l
Sostituendo l’intorno destro di c con un intorno sinistro si ottiene la definizione di limite sinistro (esercizio
per casa).
Si può dimostrare la
PROPOSIZIONE
Sia y f x una funzione numerica di dominio D e sia c un punto di accumulazione di D.
Se lim f x l allora esistono il limite destro e sinistro della funzione e:
x c
lim f x lim f x l
x c x c
Viceversa, se limite destro e sinistro esistono e sono uguali , allora anche lim f x l .
x c
Se 0 a 1 : Se a 1 :
o lim a x o lim a x 0
x x
x
o lim a 0 o lim a x
x x
I teoremi che enunceremo in questo paragrafo sono validi per funzioni definite in un qualsiasi dominio
D , qualsiasi siano la direzione c ed il “valore” del limite l (eventualmente , + e – ). Per evitare di
appesantire la trattazione dell’argomento, ne dimostreremo solo uno, ed in un caso particolare.
DIM.
Ipotesi supplementare: l . Non è restrittivo supporre che l > 0.
Fissiamo arbitrariamente > 0. Per definizione di limite, esiste un intorno I(c) per ogni x del quale, escluso
al più c, risulti: f x l , cioè l f x l .
Vista l’arbitrarietà della scelta di , fissiamo = l > 0. In tale ipotesi, la precedente relazione diventa:
0 f x 2l ,
cioè f x ed l hanno lo stesso segno.
c.v.d.
Il teorema della permanenza del segno può essere opportunamente invertito, come afferma il seguente
TEOREMA
Se lim f x l ed in un intorno I(x0), escluso al più x0:
x x0
o f x 0 allora l 0; o f x 0 allora l 0;
DIM.
Omessa.
DIM.
Omessa.
© Lorenzo Meneghini 3–4
Il Teorema del Confronto è particolarmente utile per il calcolo di alcuni limiti, in situazioni particolari.
ESEMPIO
Determina, se esiste, lim 2x cos 3x
x
Dal momento che lim 2x lim 2x 0 (verificare per esercizio), applicando il teorema otteniamo:
x x
Ha senso chiedersi, a questo punto, se – fissata una funzione f x ed una direzione x c nel suo
dominio – esista sempre il lim f x l .
x c
Il seguente esempio mostra che non è così.
ESEMPIO
x 1 se x 0
La funzione f x non ammette limite per x 0 .
x 1 se x 0
Non può essere, infatti
lim f x 1 .
x 0
x
Verifichiamolo mediante la definizione; fissato arbitrariamente 0 , la disequazione 1
x
ammette come soluzioni quelle dell’unione dei due sistemi:
x 0 x 0
e
1 1 1 1
Il primo sistema non ammette alcuna soluzione per 1 , mentre il secondo ha per soluzioni x 0 e
quindi non definisce un intorno di 0.
Riflettendo sulla definizione di limite che abbiamo dato al § 3.2, possiamo dire che il calcolo del limite di
una data funzione si può considerare come un nuovo tipo di operazione nel senso che, mediante essa,
molte volte possiamo ottenere un certo numero l (oppure un infinito). Tale operazione, detta di passaggio
al limite, gode di alcune interessanti proprietà, rispetto alle operazioni fondamentali dell’aritmetica.
Esamineremo queste proprietà analizzando alcuni teoremi (di alcuni dei quali ometteremo la
dimostrazione).
TEOREMA
Date due funzioni f(x) e g(x), definite in un dominio comune D, e c punto di accumulazione di D; se
lim f x l e lim g x m , con l e m numeri reali, allora:
x c x c
Dagli enunciati precedenti si ricava la seguente tabella sinottica sull’algebra dei limiti.
f (x )
f (x ) g(x ) f (x ) g(x ) f (x ) g(x ) f (x )g(x )
g(x )
l1
l1 l2 l1 + l2 l1 – l2 l1 l2
l2
l1 0 l1 l1 0
0 l2 l2 – l2 0 0
+ + + [F.I. + – ] + F .I .
+ 0 + + [F.I. 0]
0 + + – [F.I. 0] 0
0
0 0 0 0 0 F .I .
0
Dopo aver determinato il dominio delle seguenti funzioni, trova – per ciascuno di essi – l’insieme dei punti
di accumulazione:
4
o f1 x ln x 2 1 2x 1 D , ; Acc D
3
, 4
3
o f2 x 4x 6 2x 8 log2 2 ln x D 0,1 2, e2 ; Acc D 0,1 2, e 2
o f3 x log2 x 2 1 x 5
D Acc D 5, 2 2,
| x 2 x | 1 1 5 1 5
o f4 x log 1 2 2x D ,
; Acc D ,
| x 2 x | 1 2 2
2
o f5 x
3x
9 2x 8 4x 3 2 D 3, 4 ; Acc D 3, 4
16 2x
x 1 2
o f6 x ln D , 2 6, ; Acc D , 2 6,
x 2 4
x 1 o lim 3x 1 1 2
o lim 1 x o lim
x x 1 x 1 x 1
2x
o lim log2 x 1 2 o lim 2 o lim e x 1 2
x 3 x x 2 x 0
Sia f x una funzione definita in un dominio D e sia c D un punto di accumulazione di D; diciamo che f è
continua in c se e solo se:
1. è definita in c, cioè esiste f c ;
2. esiste finito il lim f x ;
x c
Chiaramente, ai punti che non appartengono al dominio (oppure non sono punti di accumulazione per il
dominio) della funzione non si può applicare la definizione di continuità data sopra.
Se, ad esempio, c è un punto isolato del dominio, diremo che la funzione è continua in c se è ivi definita.
Per le definizioni di continuità a destra o a sinistra in un punto, è sufficiente sostituire – nella precedente
definizione – il limite della funzione con il suo limite destro (rispettivamente sinistro) per x c .
Data una funzione f x è definita in [a, b]; diremo che f x è continua nell’intervallo [a, b] se e solo se è
continua in ogni punto di tale intervallo. Più precisamente, f x sarà continua in ogni punto interno
all’intervallo dato; sarà inoltre continua a destra in a ed a sinistra in b.
Sulla base dei teoremi dell’algebra dei limiti finiti si dimostra facilmente che:
ESEMPI
3
La funzione y 2x 3 è composta da z 2x 3 e y z 3 . In questo caso D .
La funzione y ln2
x 2 1 è composta da u x 2 1 , v u , z ln v ed infine y ln z . Anche
in questo caso, D . Infatti, l’espressione x 2 1 assume solo valori positivi e quindi risultano
sempre definite sia la funzione “radice quadrata” che la funzione logaritmica.
OSSERVAZIONI
o Consideriamo l’insieme D1 D , dominio della funzione composta1 y F x . Affinchè abbia senso
scrivere il limite lim F x dobbiamo supporre che x 0 sia punto di accumulazione anche per D1 .
x x0
o Nel teorema precedente non è affatto detto che il punto z 0 appartenga ad E; per la validità del
teorema, è infatti sufficiente che z 0 sia un punto di accumulazione per E. Se, però, x 0 D e z 0 E
ed inoltre le funzioni componenti sono continue (rispettivamente in x 0 e z 0 ), allora la tesi del
precedente teorema si può riscrivere così:
lim F x lim f x lim f z f z 0
x x0 x x 0 z z 0
e si ottiene quindi il seguente risultato, utile per il calcolo dei limiti in svariate situazioni:
lim f x f lim x
x x 0 x x 0
Sulla base di queste osservazioni e del teorema del limite della funzione composta si può dimostrare il
1
Può, infatti, capitare che la funzione composta abbia dominio propriamente contenuto in D.
© Lorenzo Meneghini 4–2
TEOREMA (CONTINUITÀ DELLA FUNZIONE COMPOSTA)
Date le funzioni z x e y f z , continue – rispettivamente – in D ed E, sottoinsiemi non vuoti di ,
se x 0 D e z 0 f x 0 E allora la funzione composta y F x f x è continua in x 0 .
ESEMPI
La funzione x e y è l’inversa della funzione y ln x , definita per x 0 . Infatti risulta:
x e ln x , x 0
ed anche
ln e y y, y .
Vedremo ora quali funzioni siano continue all’interno del loro dominio naturale, sulla base dei teoremi
enunciati finora.
o Le funzioni algebriche razionali intere, cioè le funzioni del tipo f x a 0x n a1x n 1 ... an 1x an ,
sono continue in
Sulla base delle precedenti osservazioni, la funzione f x è continua in quanto somma di funzioni
continue.
a 0x n a1x n 1 ... an
o Le funzioni algebriche razionali fratte, cioè le funzioni del tipo f x , sono
b0x m b1x m 1 ... bm
continue in tutti i punti in cui non si annulla il denominatore.
Sulla base delle precedenti osservazioni, la funzione f x è continua in quanto rapporto di funzioni
continue.
o Le funzioni algebriche irrazionali, intere e fratte, sono continue nel loro dominio
Innanzitutto, la funzione g x n x è una funzione continua nel suo dominio, in quanto inversa di
una funzione continua.
Pertanto, le funzioni irrazionali sono continue nel loro dominio, poiché composizione di funzioni
continue.
x c h0 h 0
h 0
lim a x lim a c h lim a c a h a c lim a h a c
o La funzione f x x è continua in .
x se x 0
Il metodo più facile per dimostrarlo è osservare che f x . Le funzioni algebriche
x se x 0
razionali intere y x e y x sono entrambe continue in . In particolare, allora, y x è continua
per x 0 e y x lo è per x 0 . Rimane da verificare la continuità della funzione f x per x 0 .
È facile verificare che i limiti destro e sinistro di f x per x 0 sono entrambi nulli; pertanto:
lim x 0 0
x 0
Applicando i risultati fin qui enunciati è facile calcolare il limite di una funzione continua. Ad esempio, la
funzione f x x 6 1 x è continua nel suo dominio D 1, ; pertanto
LE FORME INDETERMINATE
Le situazioni di maggior interesse, però, riguardano le cosiddette Forme Indeterminate (vd. § 3.4).
Faremo ora vedere, tramite opportuni esempi, come, utilizzando quanto appreso finora, si possa calcolare il
limite di una funzione che si presenti in una di queste forme.
0
F .I .
0
x3 1 0 x 1 x 2 x 1 x2 x 1 3
lim F .I . lim lim
4
x 1 x 1 0
x 1 x 1 x 1 x 1
2
x 1 x 1 x 1 4
2
x 3 5x 2 8x 4 0
lim F .I .
x 2 x2 x 6 0
Fattorizziamo numeratore e denominatore della funzione:
2x 3 x 1 0
lim F .I .
x 1 x 3 x 2 x 1 0
Fattorizziamo numeratore e denominatore della funzione:
o Il numeratore si annulla per x 1 ; applicando il metodo di Ruffini (esercizio) otteniamo
N x 1 x 2x 2 2x 1
2
o Fattorizzando il denominatore (esercizio) otteniamo D x x 1 x 1
Otteniamo quindi:
2x 3 x 1 1 x 2x 2 2x 1 2x 2 2x 1
lim lim lim
x 1 x 3 x2 x 1 2
x2 1
x 1
x 1 x 1 x 1
0
Osservando gli esempi svolti concludiamo che, se la Forma Indeterminata è del tipo e deriva dal
0
rapporto tra polinomi, è sufficiente fattorizzare i polinomi stessi e semplificare la frazione prima di calcolare
il limite.
Vale la pena di sottolineare anche il fatto che, per il Teorema di Ruffini, se c è uno zero del polinomio P x
allora tale polinomio è divisibile per x c ; si può, quindi, utilizzare il metodo di Ruffini per fattorizzare
P x ed usare la fattorizzazione ottenuta per semplificare la frazione.
F .I .
4 1 1
lim 3x 5 4x 3 x 2 1 F .I . lim x 5 3
x x
x 2
x 3
x 5
Come si può notare, quando si deve calcolare il limite per x di una funzione algebrica razionale intera
e siamo in presenza di una F .I . è sufficiente effettuare un raccoglimento a fattor comune della
variabile al massimo grado a cui compare nel polinomio per sciogliere l’indeterminazione.
lim x x 2 3x F .I .
x
Razionalizzando l’espressione otteniamo:
x 2 x 2 3x 3x 3x
lim x x 2 3x lim lim lim
x x 2 x 3 x 3
x x 3x
x x 1 x x 1
x x
3 3
lim
x 3 2
1 1
x
Vale la pena di osservare che la stessa funzione non presenta alcuna indeterminazione per x :
3 3 3
lim x x 2 3x lim x x 1 lim x x 1 lim x 1 1
x x x x x x x
Notiamo, infine, che la funzione data non ammette limite per x ; se tale limite esistesse, infatti,
dovremmo avere
lim x x 2 3x lim x x 2 3x lim x x 2 3x
x x x
per il teorema dell’unicità del limite, mentre i valori calcolati sono differenti.
F .I .
3 1 3 1
x 4 1 1
x 4 3x 2 x x 2
x 3
x 2
x3 1
lim F .I . lim lim
4 3
x 2x 5x 1 x 4 5 1 x 5 1 2
x 2 2
x x
4 x x 4
3 3
x 5 1 x 3 1
x 5 3x x 4
x4
lim F .I . lim lim
2
x x 1
x 2 1 x 1
x 1 1
x2 x2
1 1
x 2 1 1
2
x 1
2
lim F .I . lim
x
lim x2 0
x x 5 3x
x 3 x 3
x 5 1 x 3 1
x 4 x 4
Se osserviamo attentamente gli esempi precedenti, possiamo notare che, in presenza di funzione razionali
fratte, l’indeterminazione si può eliminare raccogliendo la variabile al grado massimo sia a
numeratore che a denominatore e, successivamente, semplificando la frazione algebrica. Osserviamo,
inoltre, che il valore del limite dipende dalla relazione esistente tra i gradi di numeratore e denominatore.
Più precisamente, possiamo introdurre la regola:
o se il numeratore ed il denominatore hanno lo stesso grado, il limite della funzione è pari al rapporto
tra i coefficienti dei termini di grado massimo
o se il numeratore ha grado inferiore al denominatore, il limite della funzione è 0
o se il numeratore ed il denominatore hanno lo stesso grado, il limite della funzione è
LIMITI NOTEVOLI
Con un po’ di pazienza ed alcune osservazioni sulle successioni numeriche si potrebbe dimostrare il
x
1
LIMITE FONDAMENTALE lim 1 e
x x
loga (1 x ) ln(1 x )
3) lim loga e . In particolare, se a e : lim 1
x 0 x x 0 x
ax 1 ex 1
4) lim ln a . In particolare, se a e : lim 1
x 0 x x 0 x
DIM.
x
1) Posto t , se x allora t . Otteniamo quindi
x t
1
lim 1 F .I .1 lim 1 e
x
x
t t
1
2) Posto t , se x 0 allora t . Otteniamo quindi
x
t
1
1
lim 1 x x F .I .1 lim 1 e
x 0 t
t
1
loga (1 x ) 0 1
3) lim F .I . lim loga (1 x ) lim loga (1 x )x
x 0 x 0 x 0 x x 0
1
Posto t 1 x x , se x 0 allora t e ; quindi:
1
loga (1 x )
lim lim loga (1 x )x lim loga t loga e , per la continuità della funzione logaritmica.
x 0 x x 0 t e
Questi risultati sono particolarmente utili per sciogliere alcuni tipi di forme indeterminate, come mostrano i
seguenti esempi.
x 1 x 2 4
x 2
lim lim 1
x x 3
x x 3
Posto t x 3 risulta x t 3 ; inoltre se x allora t . Quindi:
x 1 x 2 4
x 2
t 1
4 t
4
1
4
lim lim 1 lim 1 lim 1 1 e 4
x x 3
x x 3
t t
t t t
x 1 1 1
1
1 x 1 x 1 x 1
lim 1 lim 1 lim 1 1 1
x x
x x
x x x
Le funzioni continue, definite in un intervallo chiuso e limitato (vd. § 4.1), hanno particolari proprietà, che
vogliamo indagare.
Introduciamo alcuni concetti nuovi.
Enunciamo ora, senza peraltro dimostrarli, alcuni teoremi che chiariscono le proprietà delle funzioni
continue definite in intervalli chiusi e limitati.
TEOREMA DI WEIERSTRASS
Se f è una funzione continua in un intervallo chiuso e limitato [a, b], allora
essa assume in tale intervallo il suo massimo e minimo assoluti
IL METODO DI BISEZIONE
Come anticipato, il metodo di bisezione consente di stimare lo zero di una funzione contenuto in un
intervallo dato. Non ci occupiamo qui di porre le condizioni di unicità di tale zero (che tratteremo più
avanti, assieme allo studio di funzione), ma presenteremo – tramite un esempio – la procedura di ricerca
nel caso in cui sia nota la presenza di uno zero dell’equazione all’interno di un dato intervallo.
ESEMPIO
Approssimare la soluzione dell’equazione e x 2 x nell’intervallo 0,1 , a meno di 0.1.
Costruiamo la tabella:
a b b a
a b xn f a f b f xn
2 2
0 1 0.5 –1 0.15 –0.47 0.25
0.25 0.5 0.375 –0.47 0.15 –0.17 0.125
0.375 0.5 0.4375 –0.17 0.15 –0.01 0.0625
Arrestiamo la ricerca nell’istante in cui, come in questo caso, la distanza tra il punto medio e gli estremi
dell’intervallo è inferiore alla precisione richiesta e poi approssimiamo il risultato. In questo caso troviamo
che lo zero cercato è 0.44 .
© Lorenzo Meneghini 4 – 10
4.7 PUNTI DI DISCONTINUITÀ DI UNA FUNZIONE
In base a questa definizione, la funzione y f x è discontinua in c se accade uno dei fatti seguenti:
o non esiste il lim f x
x c
1
Consideriamo ad esempio la funzione f x ; non possiamo affermare che sia discontinua in x 1 ,
x 1
in quanto non è ivi definita.
Consideriamo ora la funzione y f x ; se esistono finiti e distinti i limiti destro e sinistro di tale funzione
per x c , chiameremo salto della funzione in c il numero
s lim f x lim f x
x c x c
ESEMPIO
x
La funzione f x x 2 non è definita in x 0 . D’altra parte
x
x x
lim x 2 lim x 2 lim x 2 1 1
x 0
x
x 0 x x 0
x x
lim x 2 lim x 2
lim x 2 1 1
x 0 x x
x 0 x 0
ESEMPIO
x 2 3x 2
Consideriamo la funzione f x , il cui dominio è D \ 1 .
x2 1
© Lorenzo Meneghini 4 – 11
x 2 3x 2
lim
x 1 x2 1
x 2 3x 2 x 1 x 2 x 2 1
lim lim lim
x 1 2
x 1 x 1 x 1 x 1 x 1 x 1 2
Concludendo: la funzione data è prolungabile per continuità in x 1 ; il suo prolungamento per continuità
è
x 2 3x 2
x 1
f1 x x 1
2
1
x 1
2
ESERCIZI PROPOSTI
Calcola i seguenti limiti, utilizzando la continuità delle funzioni, i limiti notevoli e le tecniche mostrate nel
capitolo:
2x x
3 x o lim x 2 x 3 0
o lim 0 x
x 2x e 2x 1
1
x x
x2 1 2 2 o lim 1 e
o lim x 0
2
x 1 x 1 2
3x
1
e2x 1 x 2
o lim 1
x 2x
e 32
o lim 2
x 0 ex 1
e x ex 2
x2 3 o lim
o lim x 0 3x 3
x x
ex e e
x2 3 0
o lim
o lim x 1 x 1
x 3 x4 x2 1
ln x 1 e 1
x2 5 o lim
o lim 0 x e x e
x x 4
x2 1
2x 1 x
3
8x 5x 3 2 o lim 0
o lim 2 x x 1
x 4x 3 7x 1
5x 5 4x 4
x 11 1 o lim
o lim x 3x 3 2
x 0 2x 4
3
x 1
x 2 2 o lim
o lim x 1 x 1
x 2 x 2 4
3
o lim 1 2x x e 6
o lim 2
x 1 x 2 2 0 x 0
x
x x 2x 2
x 2x 1 o lim 2
o lim ln 2 ln 3 x x 2 3x 1
x 0 log3 1 x 2
© Lorenzo Meneghini 4 – 12
1 2
lim 1 3x 2 x 2 e 3 log 1
o x
x 0
o lim 0
x
2 x
o lim x log 1 2
x 1
x
log 1
2x 1
1 lim
log 1
o
x 4 8
2x 0
log 1
o lim x
x 3x
x3 x x 2 3x
lim e 9
o lim
o
x x 1
2
x x 1
Studia la continuità delle seguenti funzioni, dopo averne determinato il dominio. Se la funzione non è
definita in un punto c, stabilisce se vi è un salto o se è prolungabile per continuità.
x x 2 4x 4 x3 1
o f1 x 2x 2 o f2 x o f3 x
x x2 4 x2 1
© Lorenzo Meneghini 4 – 13
Capitolo 5
Se il grafico della funzione data ammette una tangente nel punto P, in base a quanto osservato possiamo
calcolarne il coefficiente angolare mediante il seguente limite:
f c h f c
lim mc h lim
h 0 h 0 h
Si chiama derivata di f x nel punto c, se esiste finito, il limite del suo rapporto incrementale, relativo al
punto c ed all’incremento h, cioè:
© Lorenzo Meneghini 5–1
f c h f c
lim f ' c
h 0 h
NOTA
L’incremento h può assumere valori sia positivi che negativi; in questo modo si considerano sia
l’incremento destro che quello sinistro.
Può capitare di dover considerare separatamente i limiti destro e sinistro del rapporto incrementale (per
h 0 ); in tal caso chiameremo
f c h f c
o derivata destra della funzione il lim f ' c
h 0 h
f c h f c
o derivata sinistra della funzione il lim f ' c
h 0 h
Chiaramente, se esiste la derivata “ordinaria” della funzione in c, allora esistono anche le sue derivate
destra e sinistra in c, e coincidono.
Viceversa, se f ' c f ' c , allora tale valore coincide con la derivata ordinaria della funzione.
Se, infine, come abbiamo detto al § 5.1, la funzione y f x è definita nell’intervallo a, b , negli estremi
non si può definire la derivata ordinaria. Quindi:
o se c a possiamo definire solo f ' a
o se c b possiamo definire solo f ' b
DIM.
f c h f c
Consideriamo il rapporto incrementale mc h , per h 0 .
h
Moltiplicando ambo i membri per h otteniamo:
f c h f c h mc h
da cui
f c h f c h mc h
Passando al limite per h 0 e ricordando che lim mc h f ' c , otteniamo:
h 0
h 0 h 0
h 0
lim f c h lim f c h mc h f c lim h f ' c f c
Una funzione di cui esista la derivata in un punto c si dice derivabile in c. In base a quanto detto nel
paragrafo precedente, se una funzione è derivabile in un intervallo a, b , allora è anche continua in tale
intervallo.
Come si vede, il valore di f ' c dipende dal valore di c, o – equivalentemente – il valore della derivata è
funzione del punto in cui la si calcola.
Concludendo: la somma di due funzioni derivabile è essa stessa una funzione derivabile e risulta
Passando al limite:
f c h f c g c h g c
lim mc h lim g c lim f c h f ' c g c g ' c f c
h 0 h 0 h h 0 h
Concludendo: il prodotto di due funzioni derivabile è essa stessa una funzione derivabile e risulta
In modo più complesso si dimostra (ma noi lo eviteremo) che il rapporto di due funzioni derivabile è essa
stessa una funzione derivabile e risulta
f 'x g x g ' x f x
F 'x
g x 2
F ' x 0 f ' x 0 x 0
DIM.
Omessa.
Vale la pena di osservare che l’ultimo teorema vale anche per la composizione di 3 o più funzioni, come
mostreremo negli esercizi applicativi più avanti.
In questo paragrafo utilizzeremo i risultati precedenti per stabilire quali siano le regole di derivazione delle
funzioni elementari.
© Lorenzo Meneghini 5–4
o Le funzioni costanti sono derivabili e f ' x 0, x
Calcoliamo il rapporto incrementale, relativo al punto c ed all’incremento h:
k k
mc h 0
h
Passando al limite otteniamo:
lim mc h lim 0 0
h 0 h 0
OSSERVAZIONE
Consideriamo la funzione f x k g x , ove la funzione g x è derivabile e k .
Applicando la regola di derivazione di un prodotto e quella di derivazione delle costanti otteniamo
banalmente:
f ' x 0 g x k g ' x k g ' x
Concludendo: abbiamo una nuova regola di derivazione per il prodotto tra una costante ed una
funzione; precisamente
D k g x k g ' x
In particolare, allora, se f x e x :
f ' x e x ln e e x
1
o La funzione logaritmica f x loga x è derivabile e f ' x loga e
x
Calcoliamo il rapporto incrementale, relativo al punto c ed all’incremento h:
© Lorenzo Meneghini 5–5
h
loga 1
loga c h loga c 1 c h c
mc h loga
h h c h
h
Passando al limite e ponendo t (da cui h tc ), usando i limiti notevoli otteniamo:
c
h
loga 1
c 1 loga 1 t 1
lim mc h lim lim loga e
h 0 h 0 h h0 c t c
In particolare, allora, se f x ln x :
1 1
f ' x ln e
x x
1
n
In particolare, ricordando che è x x n , otteniamo
1 1
1
1 1
1n
1
D n x D x n x n x n
n n n n 1
n x
k 0 f x g x f ' x g ' x
x 1 f x g x f ' x g x g 'x f x
x x 1 k f x k f 'x
1 f x f ' x g x g 'x f x
n
x n g x g x 2
n x n 1
ax a x ln a f g x f ' g x g ' x
ex ex
1
loga x loga e
x
ESEMPI
3 3
D 3x 5 2x 3 x 2 1 3 5x 4 2 3x 2 2x 0 15x 4 6x 2 3x
2 2
3x 4 3 x 2 1 2x 3x 4 3x 2 8x 3
D ...
x 2 1 2 2
x 2 1 x 2 1
5 4 4
D 5x 4 x 2 4 5 5x 4 x 2 4 5 4x 3 2x 10 10x 3 x 5x 4 x 2 4
In questo caso, invece, è più conveniente applicare (come abbiamo fatto) il teorema di derivazione
delle funzioni composte, piuttosto che lo sviluppo della 5° potenza del trinomio.
3 1
D
D 3
1 x 1 2x
2 3 1 x 1 2x
2 3
0 1 x 2 1 2x 3 2x 1 2x 3 6x 2 1 x 2 6x 1 3x 5x 3
3 ...
2 2 2 2
1 x 2 1 2x 3 1 x 2 1 2x 3
x3 1 3x 2
D x 3 ln x 3x 2 ln x x 3 3x 2 ln x x 2 x 2 3x 2 ln x
3 x 3
1
ln x x
1 x 2 2x ln x 1 x 2 2x 2 ln x
D ...
1 x 2 2 2
1 x 2 x 1 x 2
2x
D3 x2 1
2
3 3 x 2 1
In questo caso, può essere più comodo scrivere la radice cubica come potenza ad esponente razionale
nel modo seguente:
1 2
1 2 2x
D 3 x 2 1 D x 2 1 3 x 1 3 2x
3 2
3 3 x 2 1
È noto che una funzione derivabile nell’intervallo a, b è anche continua in tale intervallo. Viene spontaneo
chiedersi, ora, se tutte le funzioni continue siano derivabili.
In questo paragrafo esamineremo la situazione con opportuni esempi, demandando la trattazione generale
al capitolo sullo studio di funzione.
Oltre all’interpretazione geometrica della derivata che abbiamo esaminato al § 5.1, le derivate sono molto
utili per studiare – ad esempio – fenomeni fisici e, più in generale, tutte quelle situazioni in cui vi è una
grandezza che varia nel tempo.
Per indicare che la derivata è stata calcolata rispetto al tempo si utilizza spesso la notazione (basata sul
concetto di differenziale che introdurremo più avanti):
ds
v t
dt
che, come si vede, generalizza quella utilizzata per indicare la velocità media:
s
vmed
t
Esaminiamo il seguente
PROBLEMA
La scala AB, lunga 5 m, è appoggiata al muro OB; il piede A della scala dista 2 m dal muro. Supponiamo che
A venga allontanato dal muro con velocità costante 1 m . Con quale velocità di abbassa B dopo 1 s?
s
1
Chiaramente, la funzione ammetterà derivata destra in a e sinistra in b, mentre ammetterà derivata ordinaria in ogni
punto interno all’intervallo.
© Lorenzo Meneghini 5–9
s t 2 t
Dal Teorema di Pitagora ricaviamo l’ordinata del punto B:
2
h t 25 s t 21 4t t 2
Per quanto visto sopra,
t 2
vB t h ' t
21 4t t 2
pertanto
3
vB 1 m
4 s
Osserviamo che il segno meno che compare nella velocità ci dice che il
punto B si muove in verso opposto rispetto a quello dell’asse y del
riferimento. Concludiamo che il punto B si abbassa con velocità 0,75 m/s.
Osserviamo che l’accelerazione del punto P rappresenta la derivata prima di s ' t , cioè a t s " t .
PROBLEMI “VARIAZIONALI”
Lo studio delle variazioni di alcune grandezze collegate tra loro può essere sviluppato sempre tramite le
derivate.
Consideriamo il seguente
PROBLEMA TIPO
In una salina, il nastro trasportatore versa 18 kg di sale al
3
secondo formando un cono il cui raggio di base è i
4
dell’altezza. Sapendo che il sale ha un peso specifico pari a 3,
dire qual è la velocità con cui aumenta l’altezza del cono
nell’istante in cui essa vale 1 m.
© Lorenzo Meneghini 5 – 10
Per la risoluzione consideriamo la formula per il calcolo del volume di un cono:
2
1 2 1 3 3
V r h h h h 3
3
3 4 16
cioè:
3
V t h 3 t
16
Derivando ambo i membri rispetto al tempo:
dV 3 dh
3h 2
dt 16 dt
18
Ricordando che il peso specifico è 3, ogni secondo il volume del sale aumenta di 6 dm 3 0, 006 m 3 .
3
dV
Quindi 0, 006 e, sostituendo nella relazione precedente, si ottiene:
dt
9 dh
0, 006 h 2
16 dt
Nell’istante in cui h 1m , dalla relazione precedente ricaviamo:
dh 16 0, 032
0, 006 0, 0034 m
dt 9 3 s
© Lorenzo Meneghini 5 – 11
ESERCIZI PROPOSTI
D 3x 2 6x 5 6x 6
o
o
D ln x 1 x 2
1
1 x2
x 3 x2 3 2
D 3x 2x
o 1 2x 2 6x log2 e
4 4 o D log2
x 2 1 1 x 2 2x 2 1
1 1 2
o D x x2 x
D e x 1
2 2
3 3 x 1
2 x o
2xe
x4 2x 3 2 x 2 x
o D
D e e
x
2 2 o
1 x 1 x 2 2 x
x 2 1 3
1 2x 2 x 2 3
1
o D x 1 x 2 o D e x 2 e x 2 2
1 x2 x 2
ln x 1 2 ln x x 2 1
o D x 2 1 2 x ln 2
x 2 x3 o D 2
x2 1
o D 3x ln x 1 3 ln x 6
x3 4 2 3
o D x 3x o D ln(1 x 4 )
4x
4
x 2 1 x 2 1
2
x 1
2
2 ln x 2 ln x x 1 3 x 1
D o D 6
o
x x 1 4
x3 x 1
x2 x2 x
x 2 2x 3 ln 3
o D e x 1 e x 1 o D 3 x
2
x 1 2 x
2x log2 e
x2 1 1
x 11
2 o D log2 (x 2 1)
o D
x2 1
x x2 x2 1
x ln 3 x 2 1
2 o D ln 4 x 2 1
D ln2 x 2 x 2 1
3
o
3
3x ln x
4 x 1 2x 2
D x 4 x 3 2x 2x ln 2 3x 2 D 1 x2
5 o
o
5 3 3 1 x2
5 x
4 8 x 2 4x 8 x 4 2x 3
o D x 2 4x 8
x 2 x 3 x 2 4x 8
x2
o D x 2 ln x x ln x x 2x 1 ln x x 1
2
© Lorenzo Meneghini 5 – 12
3) Un punto materiale P si muove lungo l’asse x secondo la legge oraria x t 8 et e2t ;
determinare la velocità e l’accelerazione di P nell’istante t 2s .
4) Una lampada è posta alla sommità di un palo lungo 20 m. una palla viene lasciata cadere da un punto
alla stessa altezza, a 5 m di distanza dalla lampada. Supposto che la palla in t secondi percorra
s t 4, 9t 2 m , a quale velocità si muove l’ombra proiettata dalla palla sul terreno dopo 1 s? Scrivere
l’espressione dell’accelerazione dell’ombra in funzione del tempo. Qual è l’accelerazione della palla
dopo 1 s?
x
5) Dopo aver verificato che i grafici delle funzioni f x 2x 2 4 e g x x 2 hanno in comune il
2
punto A di ascissa – 2, determina le equazioni delle rispettive tangenti in A.
6) Dopo aver determinato le tangenti al grafico della funzione f x x 3 12x 2 45x 50 passanti,
rispettivamente, per i punti A(2, 0) e B(4, 2), calcola l'area del triangolo avente per lati le tangenti
trovate e l'asse delle ascisse.
7) Dopo aver trovato la tangente al grafico della curva di equazione y x 3 3x 2 3x nel suo punto P di
ascissa 1, verificare che curva e retta hanno in comune il solo punto P.
8) Determina l’equazione della retta passante per l’origine O del riferimento cartesiano e tangente al
grafico della funzione f x e x .
9) Per quale o quali valori di k la curva d’equazione y x 3 kx 2 3x 4 ha una sola tangente
orizzontale?
10) Cosa rappresenta il limite seguente e qual è il suo valore?
1 4 1 4
5 h 5
2 2
lim
h 0 h
t
11) La posizione di una particella è data da s t 20 2e 2 t 2 , ove il tempo t è misurato in secondi e
lo spazio percorso in metri. Qual è la sua accelerazione al tempo t = 4 s? E la sua velocità nel medesimo
istante?
© Lorenzo Meneghini 5 – 13
Capitolo 6
In questo capitolo esporremo i principali teoremi del calcolo differenziale, che ci forniranno
informazioni utili allo studio di una funzione od al calcolo di particolari limiti. A conclusione del
percorso introdurremo il concetto di differenziale, molto importante nella teoria dell’integrazione.
Enunciamo – senza dimostrarlo – un importante teorema sulle funzioni derivabili, di cui daremo poi
un’interessante interpretazione grafica.
TEOREMA DI ROLLE
Sia f x una funzione, continua nell’intervallo chiuso e limitato a, b e derivabile nei punti interni di
questo intervallo; se, inoltre,
f a f b
allora esiste almeno un punto c interno all’intervallo a, b nel quale la derivata prima della funzione si
annulla, cioè
f ' c 0
INTERPRETAZIONE GEOMETRICA
Se un arco di curva continua è dotato di tangente in ogni punto,
esclusi al più gli estremi (cioè la funzione è derivabile per ogni
c a, b ), ed ha uguali le coordinate degli estremi, allora esiste
almeno un punto interno all’intervallo in cui la tangente è
orizzontale, detto punto stazionario.
ESEMPIO
Verifica che la funzione f x ex
3
x
soddisfa le ipotesi del
Teorema di Rolle nell’intervallo 1,1 e determina le ascisse dei punti stazionari la cui esistenza è
garantita dal teorema.
Tra le conseguenze del Teorema di Rolle ve n’è una particolarmente importante per lo studio delle
caratteristiche delle funzioni derivabili.
TEOREMA DI LAGRANGE
Sia f x una funzione continua nell’intervallo chiuso e limitato a, b e derivabile nell’intervallo aperto
corrispondente. Allora esiste almeno un punto c a,b tale che
f b f a
f ' c
b a
DIM
Consideriamo la funzione g x f x k x e osserviamo che
o g x è continua in a, b in quanto somma di funzioni ivi continue;
o g x è derivabile in a, b in quanto somma di funzioni ivi derivabili.
Determiniamo il valore del parametro k in modo che g x soddisfi anche la terza ipotesi del Teorema di
Rolle, cioè risulti g a g b .
Impostiamo l’uguaglianza precedente; otteniamo:
f a k a f b k b
da cui
f b f a
k
b a
Per tale valore di k, la funzione g x soddisfa le ipotesi del Teorema di Rolle; pertanto esiste c a,b tale
che g ' c 0 .
Derivando, otteniamo la relazione f ' c k 0 , da cui la tesi.
c.v.d.
ESEMPIO
Verifica che la funzione
4x x 2 x 3, 0
f x
4x x 2 x 0, 3
soddisfa le ipotesi del Teorema di Lagrange nell’intervallo
3, 3 e trova le ascisse dei punti che soddisfano la tesi del teorema.
Dobbiamo verificare due ipotesi, cioè la continuità della funzione nell’intervallo chiuso e la derivabilità
nell’aperto corrispondente.
Dal momento che y 4x x 2 e y 4x x 2 sono funzioni algebriche razionali intere, esse sono continue
e derivabili in ; in particolare:
o y 4x x 2 è continua in 3, 0 e y 4x x 2 è continua in 0, 3
o y 4x x 2 è derivabile in 3, 0 e y 4x x 2 è derivabile in 0, 3
C’è un problema, però… non vi è alcuna certezza circa la continuità o la derivabilità della funzione f x per
x 0 e dobbiamo, quindi, controllarlo a parte.
CONTINUITÀ IN x 0 :
Essendo lim f x lim 4x x 2 0 e lim f x lim 4x x 2 0 , la funzione è continua in x 0
x 0 x 0 x 0 x 0
DERIVABILITÀ IN x 0 :
Determiniamo il rapporto incrementale destro e sinistro della funzione, relativo a x 0 :
o Se h 0 : o Se h 0 :
4h h 2 0 4h h 2 0
m h 4h m h 4 h
h h
Quindi la funzione soddisfa le ipotesi del Teorema di Lagrange nell’intervallo dato; cerchiamo ora le ascisse
dei punti la cui esistenza è garantita dal teorema.
f 3 f 3 3 3
Calcoliamo innanzitutto il rapporto 1 ; dobbiamo quindi risolvere l’equazione
3 3 6
f ' x 1 .
4 2x x 3, 0
Osserviamo che f ' x ; dobbiamo quindi risolvere le equazioni condizionate:
4 2x x 0, 3
3 3
o x 3, 0 : 4 2x 1 x o x 0, 3 : 4 2x 1 x
2 2
ATTENZIONE!!
È NECESSARIO VERIFICARE LA CONTINUITÀ DELLA FUNZIONE IN TUTTI I PUNTI DELL’INTERVALLO 3, 3 E LA DERIVABILITÀ DELLA
FUNZIONE IN TUTTI I PUNTI DELL’INTERVALLO 3, 3 !! Non è corretto, quindi, ritenere che la verifica delle ipotesi
possa risolversi UNICAMENTE nel controllo di continuità e derivabilità in x 0 !
In questo paragrafo esamineremo alcune importanti conseguenze del Teorema di Lagrange, utili nello
studio di funzione.
Prima di enunciare il prossimo risultato dobbiamo precisare alcuni termini. Diremo che:
o la funzione y f x è crescente nell’intervallo a, b se e solo se, presi due punti qualunque x1 x 2
in tale intervallo, risulta f x1 f x 2 ;
1
Osserviamo che questo corollario inverte il teorema che afferma che la derivata di una funzione costante è nulla; va
notato, comunque, che per poter invertire tale teorema dobbiamo aggiungere le ipotesi del Teorema di Lagrange,
fondamentale nella dimostrazione.
© Lorenzo Meneghini 6–4
o la funzione y f x è decrescente nell’intervallo a, b se e solo se, presi due punti qualunque
x1 x 2 in tale intervallo, risulta f x1 f x 2 .
Abbiamo già osservato (vd. § 4.5) che i teoremi sull’algebra dei limiti non valgono più quando i limiti delle
0
funzioni si presentino sotto una delle seguenti Forme Indeterminate: , , 0 o .
0
Daremo ora – senza peraltro dimostrarla – una regola di grande utilità per il calcolo di limiti che siano della
0
forma o e per le quali non siano applicabili le tecniche già viste al cap. 4. A tale scopo enunciamo i
0
seguenti teoremi.
2
La dimostrazione dell’altro caso è sostanzialmente identica e viene lasciata al lettore come esercizio.
© Lorenzo Meneghini 6–5
f ' x
b) esiste lim ,
x c g ' c
f x
allora esiste anche il lim e risulta:
x c g x
f x f ' x
lim lim
x c g x x c g ' c
ESEMPI
0
F .I .
0
1
ln x 1 0 x 11
lim F .I . H lim
x 2 x 2 0 x 2 1
3 2
x 1 8 0 3 x 1
lim F .I . H lim 12
x 1 x 1 0 x 1 1
x 3 5x 2 8x 4 0 3x 2 10x 8 0
lim F .I . H lim F .I . H
x 2 x 4 4x 3 3x 2 4x 4
0 x 2 3 2
4x 12x 6x 4
0
6x 10 1
H lim
x 2 12x 2 24x 6 3
Osservando questi esempi possiamo concludere che se, dopo aver derivato numeratore e denominatore
separatamente, il limite è ancora in forma indeterminata, la regola può essere nuovamente applicata.
1
1
1
e x 1
ex 0 x 2 ex
lim F .I . H lim lim
x 0 x
3
0 x 0 3x 2 x 0 3x 4
È importante osservare che, operando in questo modo, il limite è diventato più difficile3; proviamo a
1
cambiare approccio. Posto t , se x 0 allora t :
x
1
ex et t3 3t 2 6t
lim lim lim F .I . H lim F .I . H lim F .I . H
x 0 x3 t t 3 t e t t e t t e t
6
H lim 0
t et
F .I .
ex ex ex
lim F .I . H lim F .I . H lim
x x 2 x 2x x 2
3
Applicando la regola di De l’Hospital può capitare che il limite “peggiori”; in questi casi non bisogna scoraggiarsi, ma
cambiare tipo di approccio.
© Lorenzo Meneghini 6–6
1
ln x ex
lim F .I . H lim x lim 0
x ex x e x x x
1
ln x x 1
lim F .I . H lim lim 0
x x3 x 3x 2 x 3x 3
F .I .
1 1 xe x e x x 1
lim e x F .I . lim F .I . H lim
x x x x x 1
ln x
lim ln x x 3 F .I . lim x 3 1
x x
x 3
in base ai risultati sviluppati al punto precedente.
F .I . 0
x2 2x 2
lim x 2 e x F .I . 0 lim F .I . H lim F .I . H lim 0
x x e x x e x x e x
F .I . 00
Ancora una volta, per poter applicare la regola è necessario trasformare preventivamente la funzione in un
rapporto.
A questo punto, dobbiamo calcolare “a parte” il lim x ln x ; si può verificare (esercizio) che
x 0
lim x ln x 0 ;
x 0
pertanto
lim x x lim e x ln x e 0 1 .
x 0 x 0
ln x ln x ln x 1
lim x 1 F .I .00 lim e F .I .0
x 1 x 1
A questo punto, dobbiamo calcolare “a parte” il
1
ln x 1 x 1
lim ln x ln x 1 F .I .0 lim F .I . H lim
1 2
x 1 x 1
ln x x 1
ln x
Chiaramente, se Q si avvicina a P sull’arco di curva, l’incremento SQ della funzione e quello SR della retta
tangente tendono a coincidere.
Consideriamo la funzione differenza e confrontiamola con l’incremento PS della variabile indipendente;
ricordando che la funzione f x è derivabile in c:
QR f x f c f ' c x c f x f c
lim lim lim f ' c f ' c f ' c 0
Q P PS x c x c x c x c
L’espressione f ' c x si chiama differenziale di f x nel punto c ; nel caso generale si scrive:
df x f ' x x (3)
cioè il differenziale della variabile indipendente coincide con la variazione della variabile indipendente.
Per ogni valore di x fissato, df x è una funzione della variabile x (incremento della variabile
indipendente). Dalle relazioni (2) e (3) si evidenzia che il differenziale ci fornisce un valore approssimato del
corrispondente incremento della funzione f x , calcolato – però – lungo la tangente invece che lungo la
curva. Inoltre:
f x f c f ' c x (5)
Stimare 2
Consideriamo la funzione f x x ed il punto c 1.96 1.42 .
Pertanto f c 1.4 e x 2 1.96 0.04 .
1 1 1
Inoltre f ' x e quindi f ' c 0.36
2 x 2 1.4 2.8
In base alla (5):
2 1.4 0.36 0.04 1.4 0.0144 1.4144
Osserviamo che il valore fornito dalla calcolatrice è 2 1.414213... ; come si vede, la formula (5)
fornisce una buona approssimazione del valore di 2 , calcolabile “a mano”.
Stimare ln 2.5
Consideriamo la funzione f x ln x ed il punto c e 2.7 .
Pertanto f c 1 e x 2.5 e 0.2 .
1 1
Inoltre f ' x e quindi f ' c 0.37
x 2.7
In base alla (5):
ln 2.5 1 0.37 0.2 1 0.074 0.926
Osserviamo che il valore fornito dalla calcolatrice è ln 2.5 0.91629... ; come si vede, la formula (5)
fornisce una buona approssimazione del valore di ln 2.5 , calcolabile “a mano”.
Controllare se le seguenti funzioni soddisfano le ipotesi del teorema di Rolle nell’intervallo a fianco indicato
e, in caso affermativo, calcolare l’ascissa dei punti ove si annulla la derivata prima:
o y x 2 x 1 in 1, 2 o y x 2 in 0, 4
y x 1 x 2 in 1,1 3x 1
o o y 5x in 4, 3
x 2
Controllare se le seguenti funzioni soddisfano le ipotesi del teorema di Lagrange nell’intervallo a fianco
indicato e, in caso affermativo, calcolare l’ascissa dei punti ove si annulla la derivata prima:
o y x 3 x 2 x 2 in 2,1 x2 x 4
o y in 1, 0
x 1
o y 2x 1 in 0, 4
o y x 3 in 1, 2
Determinare per quali valori della variabile x le seguenti funzioni sono crescenti ovvero decrescenti:
o y 2x 2 x 3 o y e 2x x o y ln x 2 3x 2
o y x 1 o y ln x 2 2 o y ln x 2 9
1 x
o y 2x o y o y x ln x 2
x 2
1 x2
x2 o y x2 x 2 4
o y ln x o y x 4 x2
2
log3 x 3
3 5x 2 5
o lim log3 e o lim
x 1 1x 12
x 1 2x 1 1
3
2x 7 9
3 23 9 x 2
lim e 5x 2 3x 1
o 27 o lim
x 1 x 1 x 0 3x 3
© Lorenzo Meneghini 6 – 10
2x 3x
o lim ln 6 1 1
x 0 x o lim
x 1 ln x
2
x x2 x 1 x 2 1
o lim
x 2
2x 3x 1 2 o lim x ln x 2 0
x 0
ln x 1
2
2 x
o lim 0
o lim 4 x 2 1
x x x 2
2 x 3
o lim 1
o lim 2x x 1
x 2 ln x 1 ln x 1 x
© Lorenzo Meneghini 6 – 11
Capitolo 7
In questo capitolo tratteremo lo studio di una funzione numerica, imparando a determinarne gli
elementi salienti. Precisiamo che non esiste una “regola generale”, una “scaletta” di passi da
compiere per forza. Ogni funzione ha le sue caratteristiche e – con un po’di applicazione – riusciremo
ad individuarle evitando di svolgere calcoli inutili.
Supponiamo sia data una curva, di equazione y f x , la quale presenti dei rami che si estendono
all’infinito, e sia P x , f x un qualsiasi punto di uno di tali rami. Se esiste una retta r tale che, al tendere
del punto P all’infinito lungo quel ramo, la distanza di P dalla retta r tende a zero, allora la retta r si chiama
asintoto della curva.
Ricordiamo che l’equazione cartesiana di una retta è y mx q per tutte le rette non verticali, ed in
particolare y k per le rette orizzontali, x k per quelle verticali. Come si intuisce facilmente, quindi, vi
sono tre casi distinti da esaminare.
x 2
Ad esempio, consideriamo la funzione f x .
x 2
x 2
Banalmente D \ 2 . Essendo lim possiamo
2 x 2 x
lim k f x k k 0
x
2x 2
Ad esempio, la funzione f x 2
x4 1
ammette la retta y 2 come asintoto
orizzontale; infatti:
2
x 2 2
2
2x 2
x
lim 2 lim 2 lim x 2 2
x x 4 1 x 4 1 x 3 1
x 1 x 1
x4 x4
f x
b) m lim
x x
c) q lim f x mx
x
Nel caso in cui il “valore” dei limiti calcolati mediante (2) e (3) non sia finito, la funzione non ammette alcun
asintoto obliquo.
ESEMPI
x 3 2x
Determinare gli asintoti della funzione y
x2 1
Il dominio della funzione è D \ 1 .
Controlliamo la presenza di eventuali asintoti verticali.
x 3 2x
o lim x 1 è asintoto verticale per la funzione
x 1 x2 1
x 3 2x
o lim x 1 è asintoto verticale per la funzione
x 1 x2 1
f x
Osserviamo inoltre che il calcolo di lim non può essere sviluppato in modo “diretto”, ma
x x
dobbiamo considerare separatamente le direzioni x e x .
Infatti
2 5 2 5
x 1 x 1
f x x 2
x lim x x 2 lim 1 2 5 1
lim lim
x x x x x x x x x2
mentre
2 5 2 5
x 1 x 1
f x x 2
x lim x x 2 lim 1 2 5 1
lim lim
x x x x x x x x x2
f x
Pertanto, mentre esistono i limiti di per x e per x , non esiste il limite del
x
rapporto per x .
Consideriamo ora
x 2 2x 5 x 2
lim f x mx lim x 2 2x 5 x F .I . lim
x x x
x 2 2x 5 x
5 5
x 2 x 2 2
5
x
x
lim lim lim x 1
x 2 5 x 2 5 x 2 5
x 1 x
x 1 1
1 1
x x2 x x2 x x2
In modo analogo si calcola (esercizio per casa) il
lim f x mx lim x 2 2x 5 x 1
x x
Gli asintoti obliqui della funzione considerata sono, perciò:
y x 1 e y x 1
Sia y f x una funzione di dominio D . Supponiamo che il dominio della funzione abbia la seguente
caratteristica:
x D, x D
In questa ipotesi, diremo che:
o la funzione è pari se e solo se f x f x , x D ;
INTERPRETAZIONE GRAFICA
Prima di analizzare alcuni esempi, osserviamo che la simmetria rispetto all’asse y trasforma il punto P x , y
nel punto P ' x , y , mentre una simmetria rispetto all’origine O del riferimento cartesiano trasforma il
punto P x , y nel punto P " x , y .
Consideriamo, ora, un punto P x , f x del grafico della funzione.
Se la funzione è pari o dispari, anche il punto Q x, f x appartiene al suo grafico. In particolare, però:
ESEMPI
2x 1
La funzione f x non è né pari né dispari. Infatti il dominio D \ 0,1 non è
x2 x
“simmetrico rispetto allo zero”.
x2
La funzione f x ln è pari. Il suo dominio è D \ 0 .
x 2 2
2
x 2
Inoltre f x ln ln x f x . Possiamo concludere che il suo grafico ha una
x 2
2
x 2
2
NOTA
Se le precedenti disuguaglianze sono “strette”, diciamo che la funzione presenta in c un punto di massimo
(risp. minimo) relativo proprio.
Bisogna fare molta attenzione a non confondere il concetto di massimo relativo (risp. di minimo relativo)
con quello di punto di massimo relativo (risp. di minimo relativo); infatti il massimo (risp. minimo) relativo è
un valore della funzione mentre il punto di massimo (risp. minimo) relativo è un valore della variabile
indipendente x .
Analogo discorso vale per il concetto di massimo (risp. minimo) assoluto e di punto di massimo (risp.
minimo) assoluto.
Infine, diremo che c è un punto stazionario per la funzione f x , derivabile in c , se e solo se f ' c 0 .
3
Se, ad esempio, consideriamo la funzione f x 2 x 1 , la sua derivata
2
f ' x 3 x 1
si annulla per x 1 , ma assume segno negativo per ogni x 1 . Per il 3° corollario
al Teorema di Lagrange, tale funzione è – quindi – decrescente per ogni x 1 e non
può assumere in x 1 né un massimo né un minimo relativo.
x2
Data la funzione f x , determiniamone i punti di massimo e minimo.
x2 1
Dominio: D \ 1
x 2
se x 1
2 1
Per calcolarne la derivata, osserviamo che f x x .
x 2
se x 1
1 x 2
DERIVATA SEGNO
2x x 1 2x x
2 2
2x
o x 1 : f ' x
2 2
x 2 1 x 2 1
2x
o x 1 : f ' x
2
x 2
1
Concludendo:
Osserviamo che la funzione data non esiste in x 1 ; pertanto non ha senso cercare di stabilire se, in
tali punti, vi sia un massimo o un minimo relativo, nonostante il cambio di crescenza. È molto
importante, proprio per questo, riportare in modo accurato anche il dominio della funzione nel grafico
dei segni della derivata prima. Si verifica facilmente (esercizio) che le rette x 1 e x 1 sono
asintoti verticali per la funzione data.
© Lorenzo Meneghini 7–7
7.4 CONCAVITÀ DI UNA FUNZIONE. DETERMINAZIONE DEI FLESSI
Consideriamo la funzione y f x , derivabile almeno una volta nell’intervallo a, b . Sia inoltre c a,b .
Diremo che
o la funzione volge la concavità verso l’alto (o anche è convessa) se e solo se esiste un intorno I c per
ogni x del quale il grafico della funzione è al di sopra della retta tangente in c, f c , ovvero:
f x f c f ' c x c
o la funzione volge la concavità verso il basso (o anche è
concava) se e solo se esiste un intorno I c per ogni x del
quale il grafico della funzione è al di sotto della retta
tangente in c, f c , ovvero:
f x f c f ' c x c
NOTA
Se nel punto c in cui una funzione cambia concavità risulta f " c 0 , la funzione ha un punto di flesso in
c . Dobbiamo evitare di confondere l’annullamento della derivata seconda in un punto (che può essere,
sotto opportune condizioni, un punto di flesso) con l’annullamento in un intero intervallo. Nel secondo
caso, infatti, non si può definire la concavità della funzione.
ESEMPIO
Studiamo la concavità di f x x 4 5x 3 3x 2 x 1 e determiniamone i flessi.
Per farlo dobbiamo calcolarne la derivata seconda e studiarne il segno.
f ' x 4x 3 15x 2 6x 1
f " x 0 2x 2 5x 1 0
5 17
25 8 17 x 1,2
4
Quindi, la funzione data:
5 17 5 17
o volge la concavità verso l’alto per x x
4 4
5 17 5 17
o volge la concavità verso il basso per x
4 4
5 17
o presenta un flesso nei punti x
4
Quanto detto finora ci consente di studiare le principali proprietà di una funzione una volta nota la sua
equazione cartesiana y f x ; esaminiamo ora quali siano i passi necessari per descrivere una curva.
a) Classificazione della funzione e determinazione del suo dominio; studio delle eventuali simmetrie
(parità).
b) Determinazione del segno e degli eventuali punti di intersezione con gli assi coordinati.
c) Ricerca degli eventuali asintoti della curva.
d) Calcolo di f ' x per lo studio della crescenza o decrescenza; determinazione di eventuali massimi e
minimi.
e) Calcolo di f " x per lo studio della concavità; determinazione di eventuali flessi.
Per una rappresentazione più accurata del grafico della funzione, si potranno anche calcolare le coordinate
di alcuni suoi punti in base all’equazione cartesiana della curva y f x .
ESEMPI
Si studi la funzione f x x 4 4x 3 4x 2 e se ne disegni il grafico.
o Si tratta di una funzione algebrica razionale intera, di dominio D .
4 3 2
f x x 4 x 4 x x 4 4x 3 4x 2
Pertanto la funzione non è né pari né dispari.
o Segno ed intersezioni con gli assi:
f x 0 x 2 x 2 4x 4 0 x 2 x 2 0
2
La funzione interseca l’asse x in O ed A(2,0); l’origine è anche il punto di intersezione del grafico
con l’asse y.
o Ricerca degli asintoti:
Non vi sono punti esclusi dal dominio, quindi la funzione non ammette asintoti verticali.
4 4
lim f x lim x 4 4x 3 4x 2 lim x 4 1 non vi sono asintoti orizzontali
x x x x x2
f x x 4 4 4 4 4
1 2 lim x 1 2 non vi sono asintoti obliqui
3
lim lim
x x x x x x x x x
o Studio della crescenza:
f ' x 4x 3 12x 2 8x 4x x 2 3x 2
f ' x 0 x x 2 3x 2 0
Pertanto la funzione:
- è crescente in 0,1 e 2,
- è decrescente in , 0 e 1, 2
- ha un massimo relativo di coordinate 1,1 e due minimi relativi di coordinate 0, 0 e 2, 0
o Studio della concavità:
f " x 12x 2 24x 8 4 3x 2 6x 2
f " x 0 3x 2 6x 2 0
© Lorenzo Meneghini 7 – 10
La funzione non ammette, quindi, asintoti verticali; non vi sono nemmeno asintoti orizzontali né
obliqui in quanto il dominio D è un insieme limitato.
o Studio della crescenza
Possiamo supporre che x 0 . In tal caso f x x 4 x 2
x 2 x2
f ' x 4 x 2 x ... 2
4 x 2 4 x2
Studiamo il segno di f ' x sotto la condizione x 0 .
È importante osservare che il dominio della derivata prima è diverso da quello della funzione.
In questo caso, infatti, dobbiamo anche imporre che x 2 . Studiamo la situazione calcolando il
2 x2
lim f ' x lim 2
x 2 x 2 4 x2
Concludendo: x 2 è un punto a tangente verticale per la funzione.
Inoltre:
- la funzione ammette un massimo relativo per x 2 2, 2
- per simmetria ammette anche un massimo di coordinate 2, 2
- la funzione ammette minimi nei punti O, A e B di intersezione con l’asse x
Infine, calcoliamo il
2 x2
lim f ' x lim 2 2
x 0 x 0 4 x2
e per simmetria otteniamo
lim f ' x 2
x 0
Dal momento che il limite destro e sinistro (per x 0 ) di f ' x sono distinti, la funzione data
non è derivabile nemmeno in x 0 .
© Lorenzo Meneghini 7 – 11
7.6 PUNTI DI NON DERIVABILITÀ DI UNA FUNZIONE
Ricordiamo che una funzione f x , di dominio D, è derivabile in un punto c D se e solo se esiste finito il
limite (per h 0 ) del suo rapporto incrementale
f c h f c
mc h
h
Analizzeremo, ora, mediante opportuni esempi i motivi per i quali una funzione potrebbe non esser
derivabile in c.
Innanzitutto i limiti destro e sinistro del rapporto incrementale potrebbero essere finiti e diversi, oppure
entrambi infiniti. Studiamo la situazione più in dettaglio.
PUNTI ANGOLOSI
f c h f c f c h f c
Supponiamo che i limiti lim e lim
h 0 h h 0 h
esistano:
o finiti e distinti, oppure
o uno finito e l’altro infinito.
PUNTI CUSPIDALI
f c h f c f c h f c
Supponiamo che i limiti lim e lim siano infiniti di segno diverso.
h 0 h h 0 h
In questo caso, la funzione presenta un punto a tangente verticale per x c ; il fatto che i limiti destro e
sinistro abbiano segno diverso significa che la funzione cambia crescenza in x c , come si vede dalle
figure seguenti. È chiaro inoltre, che i punti cuspidali sono sempre punti di massimo o minimo non
stazionari.
a) PUNTO ANGOLOSO
Qualora i limiti lim f ' x e lim f ' x siano distinti ed almeno uno di essi sia finito, siamo in
x c x c
presenza di un punto angoloso.
ESEMPIO
Consideriamo, ad esempio, la funzione f x x 2 4 nel punto c 2 .
2x per x 2
La funzione data è chiaramente derivabile per x 2 ; risulta, infatti: f ' x .
2x per x 2
Calcoliamo i limiti destro e sinistro della derivata per x 2 ; risulta:
lim f ' x lim 2x 4 e lim f ' x lim 2x 4
x 2 x 2 x 2 x 2
Pertanto la funzione ammette un punto angoloso in c 2 ; similmente si dimostra (esercizio) che
anche – 2 è un punto angoloso per la funzione data.
b) PUNTO CUSPIDALE
Se lim f ' x e la derivata prima della funzione cambia segno in x c allora la funzione cambia
x c
in x c la propria crescenza; si tratta quindi di punti in cui la funzione esiste ed è continua, ma non
derivabile, ed il segno della derivata prima cambia secondo lo schema:
oppure
© Lorenzo Meneghini 7 – 13
abbiamo in tal caso un punto cuspidale (o, più semplicemente, una cuspide).
ESEMPIO
2
Consideriamo, ad esempio, la funzione f x x 2 x 3 nel punto c 0 .
3
1
2 2
Risulta f ' x x 3 3 ; il segno della derivata è fornito dallo
3 3 x
schema a fianco. Inoltre:
2
lim f ' x lim
x 0 x 0 33 x
La funzione ammette, quindi, un punto cuspidale in x 0 .
oppure
ESEMPIO
1
Consideriamo, ad esempio, la funzione f x 3 x x 3 nel punto c 0 .
2
1 1
Risulta f ' x x 3 0, x \ 0 . Inoltre:
3 3
3 x2
2
lim f ' x lim
x 0 x 0 33 x
La funzione ammette, quindi, un flesso a tangente verticale in x 0 .
2
Vale la pena di osservare anche che la derivata seconda f " x cambia segno in x 0 ;
3
9 x5
pertanto la funzione cambia concavità in x 0 , come ci si aspetta nei punti di flesso.
Ci accingiamo a sviluppare una classificazione delle funzioni elementari sulla base degli asintoti che si
possono trovare. Questa analisi è di indubbia utilità poiché ci consentirà di evitare – in alcune situazioni – di
svolgere calcoli noiosi ed inutili.
ASINTOTI VERTICALI
La ricerca degli asintoti verticali di una funzione si riduce a quella dei valori finiti della x che rendono infinita
la funzione; tali valori si possono trovare solo tra i punti esclusi dal dominio della funzione.
A questo proposito, è importante osservare che:
o Una funzione algebrica intera non presenta asintoti verticali
Infatti la funzione assume valori finiti per qualunque valore finito della variabile appartenente al suo
dominio.
o Consideriamo una funzione algebrica razionale fratta; una volta ridotta la frazione algebrica ai minimi
termini, la funzione ammetterà tanti asintoti verticali quanti sono gli zeri reali del suo denominatore.
© Lorenzo Meneghini 7 – 14
Un errore frequente, a questo punto, è quello di ritenere che, se c è uno zero del denominatore, allora
la retta x c è un asintoto verticale della funzione, senza calcolarne il limite.
2x 2 5x 2
Ad esempio, il denominatore della funzione f x ammette gli zeri – 1 e 2. Si verifica
x2 x 2
facilmente (esercizio) che la retta x 1 è asintoto verticale per la funzione, e che la funzione è
prolungabile per continuità in x 2 .
o Consideriamo una funzione algebrica irrazionale fratta; una volta semplificata la sua espressione, essa
ammette tanti asintoti verticali quanti sono gli zeri reali del suo denominatore, a patto che soddisfino le
eventuali C.E. dei radicali di indice pari .
x 1
Consideriamo, ad esempio, la funzione f x il cui dominio è D x : x 1, x 2 .
2
x 4
È facile verificare che la funzione ammette l’asintoto verticale x 2 .
o Le funzioni esponenziali del tipo y a f x ammettono tanti asintoti verticali quanti sono i valori finiti
della variabile x che rendono infinito (e positivo) l’esponente f(x) se a 1 , infinito (e negativo) se
0 a 1.
1 1
Ad esempio f x e x2 non ammette asintoti verticali, poiché lim e x2 0 ; invece la funzione
x 0
x 1 x 1 x 1
f x 2 x ammette x 0 come asintoto verticale, essendo lim 2 x e lim 2 x 0.
x 0 x 0
o La funzione logaritmica del tipo y loga f x ammette tanti asintoti verticali quanti sono gli zeri reali
della funzione f(x) ed i valori finiti di x che rendono infinita positiva la funzione f(x).
x 2
Ad esempio, è facile verificare (esercizio) che la funzione f x ln ha dominio
x 1
D , 2 1, ed ammette gli asintoti verticali x 2 e x 1 .
ASINTOTI ORIZZONTALI
La ricerca degli asintoti orizzontali di una funzione si riduce a quella del limite della funzione data, per
x (risp. x ); se tale limite è finito, il suo valore è legato all’equazione dell’asintoto.
Chiaramente, perché la funzione y f x possa avere asintoti orizzontali è necessario che il suo dominio
sia illimitato (superiormente e/o inferiormente).
© Lorenzo Meneghini 7 – 15
an
l’asintoto è del tipo y , dove an e bn sono i coefficienti dei termini di grado massimo di
bn
numeratore e denominatore rispettivamente.
o Una funzione logaritmica del tipo y loga f x può ammettere asintoti orizzontali.
In tal caso, è necessario che la funzione y f x ammetta un asintoto orizzontale di equazione
y k , con k 0 .
ASINTOTI OBLIQUI
È utile osservare che:
o Le funzioni algebriche razionali fratte hanno un solo asintoto obliquo (che non può chiaramente
coesistere con quello orizzontale), soltanto nel caso in cui il grado del numeratore superi di 1 quello
del denominatore.
In questo caso, infatti, lim f x ; inoltre, dividere per x la funzione significa rendere il
x
f x
denominatore dello stesso grado del numeratore, condizione indispensabile perché il lim risulti
x x
finito e non nullo.
Nel caso delle funzioni razionali fratte, inoltre, si può osservare che il termine mx q , secondo
membro dell’equazione dell’asintoto obliquo, è il quoziente tra il numeratore ed il denominatore della
funzione stessa.
N x
Infatti, in tal caso, data la funzione y se N x è di grado n e D x è di grado n – 1, indicati
D x
con Q x e R x rispettivamente il quoziente ed il resto 1 della divisione di N x per D x ,
vogliamo mostrare che la retta di equazione y Q x è l’asintoto della funzione.
Iniziamo con l’osservare che il polinomio Q x ha grado n n 1 1 , quindi y Q x è
effettivamente una retta.
Inoltre si può scrivere
N x Q x D x R x R x
y Q x
D x D x D x
1
Ricordiamo che il grado del resto nella divisione tra polinomi è non negativo e sempre inferiore a quello del divisore.
© Lorenzo Meneghini 7 – 16
Rx
D’altra parte, essendo il grado di R x inferiore di quello di D x , si ha anche lim 0.
x D x
Per definizione di asintoto obliquo (vd. §7.1), deve risultare lim f x mx q 0 .
x
In questo caso, questo è vero, poiché:
R x Rx
lim f x mx q lim Q x Q x lim 0
x x D x x D x
o Le funzioni irrazionali il cui dominio è illimitato (superiormente e/o inferiormente) possono avere più
asintoti obliqui, oppure sia asintoti orizzontali (in una direzione) ed obliqui (nell’altra).
Quanto abbiamo detto può essere esteso al caso in cui n m 1 ; ci basta osservare che il grado del
polinomio quoziente Q x vale sempre n m . Pertanto la sua curva rappresentativa è sempre asintotica
N x
alla curva di equazione y in quanto il grado di R x è sempre minore di quello di D x e risulta
D x
Rx
quindi lim 0.
x D x
La curva asintotica sarà quindi una retta se n m 1 , una parabola se n m 2 , una cubica se
n m 3 , ecc.
ESEMPI
x3
Studiare la funzione y
3 x 1
Si tratta di una funzione algebrica razionale fratta, definita per x 1 (completare lo studio per
esercizio).
Ci limitiamo, qui, ad osservare che:
x 3 1 1 x 1 x x 1 1
2
x3 1 1
y x 2 x 1
3 x 1 3 x 1 3 x 1 3 x 1
La parabola asintotica, quindi, ha equazione:
© Lorenzo Meneghini 7 – 17
1 2 1 1
y x x
3 3 3
e ci aiuta a tracciare il grafico della funzione data.
x4 1
Studiare la funzione y .
x
Si tratta di una funzione algebrica razionale fratta, definita per x 0 (completare lo studio per
esercizio).
Ci limitiamo, qui, ad osservare che:
x4 1 1
y x3
x x
La funzione asintotica, quindi, ha equazione:
y x3
e ci aiuta a tracciare il grafico della funzione data.
x 4 x 3 4x 2 4x 2
Determinare gli asintoti e le funzioni asintotiche della funzione y .
x2 4
© Lorenzo Meneghini 7 – 18
È facile verificare (esercizio) che la funzione ammette gli
asintoti verticali x 2 e x 2 .
Dividiamo tra loro numeratore e denominatore, usando la
divisione euclidea (vd. §0.1). Otteniamo, in questo caso:
2
y x2 x
2
x 4
Pertanto, la funzione ammette una parabola asintotica di
equazione y x 2 x .
© Lorenzo Meneghini 7 – 19
ESERCIZI PROPOSTI
x 1
x2 x 4 x
o y o y o y e x 2
x 1 x2 4 x 2 1
x 1 ex o y ln
o y o y x 2 1
x e 1x
x2 2 3 x 1
o y x 1 o y 2x 3 ln
y x 3
x 2 4x 3 o
2
x 2 o y x 1 5 x 2
o y x 2 6x 7
y x2 x
y ln 1 x 2
o 3
o o y x 3 x2
Determina l’equazione degli asintoti e delle funzioni asintotiche delle seguenti funzioni:
x 4 2x 3 x 2 2x 3 x 3 4x 3 x 3 2x 2 x 3
o y o y o y
2
x 1 x 2 x 2
5
x x 2x 3 3
x 3 2x 2 3 x x 3 2x 2 x 3
o y o y o y
x 3 2x x 2 x2 1
o y x 2 9 ln x x 2 2x x2
o y o y
x 1 ex
x2
o y ln x 1 1
2 o y x 4x x 2 o y
x
e 1
1
x2 1
o y xe x o y o y 2e x e x
x2 1
1 x 1
x 2 7x 10
o y x 2 e x 2 o y ln o y e x
x 1 2
y
2x 2
x 2
o 3
x 2x o y
x3 1 o y x 4 x 2
x
o y x x2 1
ax 2 bx c
1. Data la funzione y , determina i parametri reali a, b, c, d in modo che risulti pari, abbia
x2 d
per asintoto orizzontale la retta y 2 e sia tangente alla retta di equazione x 3y 2 0 nel suo
punto di ascissa x 1 . Studia poi la funzione ottenuta e rappresentala graficamente.
© Lorenzo Meneghini 7 – 20
x 2 2px q
2. Si consideri la funzione y , dove p e q sono due costanti. Dimostrare che esistono due
x2 1
punti del grafico della funzione in cui la tangente è parallela all’asse x; dette x1 e x 2 le ascisse di tali
punti, verificare che x1 x 2 1 . Determinare i parametri p e q in modo che:
o in x 2 vi sia un punto stazionario;
o il grafico della funzione passi per 1, 2 .
Si studi la funzione e se ne dia una rappresentazione grafica.
ax 1
3. Si trovino i parametri reali a e b in modo che la funzione y abbia per asintoti le rette x 0 e
x b
ax 1
y 2 . Studiare e disegnare il grafico della funzione f x ln , in cui a e b sono i numeri
x b
trovati.
© Lorenzo Meneghini 7 – 21
COMPLEMENTI al Capitolo 7
In questo capitolo presenteremo una piccola parte della teoria delle trasformazioni del piano (simme-
trie assiali e centrali) e delle loro applicazioni ai grafici di funzioni elementari; vedremo, inoltre, come
sia possibile disegnare il grafico di una funzione “deducibile” da una funzione elementare, con partico-
1
lare riferimento ai grafici di y f x , y f x , y , y ln f x , y e f x o di
f x
funzioni “definite a tratti” partendo da funzioni elementari.
Diciamo che i punti A e A’ sono simmetrici rispetto alla retta r (detta asse di simmetria) se e solo se r è
l’asse del segmento AA’, cioè se è ortogonale al segmento e lo interseca nel punto medio.
Proviamo ora a costruire la legge di trasformazione tra i punti del piano corrispondente a particolari simme-
trie assiali sulla base della definizione.
x x
y y
x x
y y
© Lorenzo Meneghini 7 – 22
x y x y
y x y x
x x
y 2k y
Diciamo che i punti A e A’ sono simmetrici rispetto al punto C (detto centro di simmetria) se e solo se C è il
punto medio del segmento AA’.
Se il centro di simmetria ha coordinate , , dalla regola per il calcolo del punto medio otteniamo:
x x'
x ' 2 x
2
y y' y ' 2 y
2
Pertanto la legge di trasformazione da applicare è:
© Lorenzo Meneghini 7 – 23
x 2 x
y 2 y
Nel caso particolare in cui il centro di simmetria sia l’origine del riferimento, la trasformazione diviene:
x x
y y
OSSERVAZIONI:
1) Se una funzione y f x è pari, allora ha il dominio simmetrico rispetto allo 0 e risulta:
f x f x , x D .
In tal caso, la funzione presenta una simmetria rispetto all’asse y; infatti, applicando la trasformazione
x x
y y
alla funzione otteniamo proprio f x f x , x D .
Consideriamo ora il seguente problema: data la funzione y f x il cui grafico è rappresentato in figura,
disegnare:
a) il grafico della funzione y f x k ;
b) il grafico della funzione y f x k ;
c) il grafico della funzione y k f x .
8
Partiamo dalla funzione f x , il cui grafico è rappresentato in figura:
4 x2
© Lorenzo Meneghini 7 – 24
a) Consideriamo la funzione y f x k , ove k . Come mostrano le immagini seguenti, si tratta
della traslazione del grafico della funzione data verso destra o verso sinistra a seconda che k 0 o
k 0:
k 0 k 0
NOTA: Può sembrare strano che la traslazione sia verso destra (direzione delle x positive) quando k 0 ;
dobbiamo pensare, però, che se P x 0 , y0 è un punto del grafico di y f x il valore y0 verrà rag-
giunto, nel grafico di y f x k , quando x k x 0 , cioè per x x 0 k . Se k 0 , il punto del
grafico di y f x k si troverà “più a destra” del corrispondente punto del grafico di y f x , al-
trimenti si troverà “più a sinistra”.
0k 1 k 1
Come si può notare, l’ordinata di ciascun punto del grafico di y f x viene moltiplicata di un fattore
k; pertanto, se k 0 , oltre alla dilatazione interviene pure una simmetria rispetto all’asse x.
© Lorenzo Meneghini 7 – 25
1 k 0 k 1
In questo paragrafo esamineremo come trasformare il grafico della funzione y f x mediante una sim-
metria tra quelle studiate nei paragrafi precedenti. Vedremo, anche, come determinare la funzione simme-
trica di y f x rispetto ad un punto o ad una retta (sempre nei casi già esaminati).
Consideriamo innanzitutto la funzione y f x il cui grafico è rappresentato nella figura seguente.
Come si può notare, risultano simmetrizzati rispetto all’asse y anche gli asintoti verticali.
© Lorenzo Meneghini 7 – 26
b) La funzione y f x è simmetrica della funzione data rispetto all’asse x (vd. §7.9 e §7.11, punto c):
Come si può notare, risulta simmetrizzato rispetto all’asse x anche l’asintoto verticale.
Come si può notare, gli asintoti verticali ed orizzontale risultano simmetrizzati rispetto all’origine.
d) Le figure seguenti mostrano i grafici della funzione y f x e della sua simmetrica rispetto alla retta
y 2 , cioè la funzione y 4 f x (vd. §7.9):
© Lorenzo Meneghini 7 – 27
e) Le figure seguenti mostrano i grafici della funzione y f x e della sua simmetrica rispetto alla retta
x 1 , cioè la funzione y f 2 x (vd. §7.9):
f) Le figure seguenti mostrano i grafici della funzione y f x e della sua simmetrica rispetto al punto
C 2,1 , cioè la funzione y 2 f 4 x (vd. §7.9):
In questo paragrafo esamineremo come dedurre, partendo dal grafico della funzione y f x , i grafici
1
delle funzioni y f x , y f x , y , y ln f x e y e f x .
f x
GRAFICO DI y f x
Ricordando la definizione della funzione valore assoluto (cfr. §0.7), per tracciare il grafico di
f x f x 0
y f x
f x
f x 0
disegniamo, innanzitutto, il grafico di y f x e poi:
a) manteniamo il grafico di f x nei tratti in cui appartiene al semipiano delle y non negative;
© Lorenzo Meneghini 7 – 28
b) simmetrizziamo rispetto all’asse x gli archi di curva appartenenti al semipiano delle y negative (cfr.
§7.12)
Vale la pena di ribadire il fatto che i punti di intersezione tra il grafico di y f x e l’asse delle ascisse so-
no “candidati” a diventare punti angolosi per il grafico di y f x , cosa che regolarmente capita se non
sono punti stazionari per y f x .
GRAFICO DI y f x
Ricordando le proprietà del valore assoluto (cfr. §0.7) e la definizione di funzione pari (cfr. §7.2) osserviamo
che x x , x , e che quindi anche y f x è una funzione pari. Perciò, quando disegniamo il gra-
fico di y f x , iniziamo a disegnare il grafico di y f x ed osserviamo che il grafico di y f x :
o coincide con quello di y f x per x 0 ;
o coincide con quello di y f x , che è il simmetrico di quello di y f x rispetto all’asse y, per
x 0.
Così facendo otteniamo i grafici in figura. Anche in questo caso osserviamo che il grafico di y f x pre-
senta un punto angoloso nel punto A in cui y f x interseca l’asse y; chiaramente, anche in questo caso,
ciò non succederebbe se A fosse un punto stazionario, poiché la retta simmetrica di una retta ortogonale
all’asse di simmetria coincide con la retta originale.
© Lorenzo Meneghini 7 – 29
1
GRAFICO DI g x
f x
Osserviamo innanzitutto che:
1 1
o lim la funzione g x ammetterà tanti asintoti verticali quanti sono gli zeri reali del-
x 0 x f x
la funzione f x
1 1
o lim 0 la funzione g x ammetterà tanti zeri quanti sono gli asintoti verticali di f x
x x f x
o se lim f x allora lim g x 0 la funzione g x ammetterà, in questo caso, l’asse y come
x x
asintoto orizzontale; se, invece, la funzione f x ammette l’asintoto orizzontale y k allora la fun-
1
zione g x ammette l’asintoto orizzontale y
k
1 1
o g 'x f ' x dal momento che 0, x D , possiamo concludere che la
2
f x f x 2
funzione g x è crescente in tutti gli intervalli in cui f x è decrescente, e viceversa
GRAFICO DI g x ln f x
In questo caso dobbiamo ricordare che:
o la funzione è definita a patto che f x 0 ;
© Lorenzo Meneghini 7 – 30
o essendo lim ln x , la funzione g x può presentare un asintoto verticale in corrispondenza di
x 0
f x
GRAFICO DI g x e
In questo caso dobbiamo ricordare che:
o se lim f x allora lim e f x 0 ; pertanto la funzione g x ammette uno zero in corrisponden-
x c x c
© Lorenzo Meneghini 7 – 31
Sulla base di queste osservazioni possiamo costruire il grafico di g x e f x partendo da quello di f x .
© Lorenzo Meneghini 7 – 32
ESERCIZI SVOLTI E PROPOSTI
1) Verificare che le seguenti funzioni sono simmetriche rispetto alle rette o ai punti a fianco indicati:
a) y x 4 4x 3 4x 2 2
2
x 1 d) y e12x x x 1
b) y x 3 3x 2 P 1, 2 e) y ln x 3 x 3
4x 4 3x
c) y 3 P 1, 3 f) y O 0, 0
2
x 2 2x 5 x 2
2) Scrivere l’equazione della funzione simmetrica della funzione data rispetto alle rette o ai punti a fianco
indicati:
a) y x 3 2x 2 x 2 d) y x 3 2x 2 P 1, 2
P 1, 2 e) y ln x 2 4
2
b) y e x x 1
c) y ln x 2 P 1, 0 2x
f) y x 2
2
x 3
3) Disegnare, senza eseguire uno studio di funzione, l’andamento delle seguenti funzioni partendo dai
grafici delle funzioni elementari:
a) f1 x x 2 2x 3 2x 4 i) f9 x e x 3 2
f) f x 6
x 3
b) f2 x ln x 2
2 j) f10 x e x 3 2
x 2
c) f3 x ln x 2 3x g) f7 x 2 k) f11 x ln x 2 1
x 3
f4 x e
2 x 1
d)
f8 x
x 3 l) f12 x
h)
2x 4 ln x 2 1
e) f5 x ln x 2
4) Disegnare, senza eseguire uno studio di funzione, l’andamento delle seguenti funzioni definite a tratti
partendo dai grafici delle funzioni elementari, analizzandone eventuali singolarità e punti di non deri-
vabilità:
x 1 x 1
a) f1 x x 1
ln x e 2 x 1
x 1
c) f3 x 2 x 1 x 1
2 x
x 1 1
x 1
b) f2 x ln x x 1
x
e x 1 x 1 e x 1 1 x 1
d) f4 x
ln x x 1
5) Sia y f x la funzione il cui grafico è rappresentato in figura.
© Lorenzo Meneghini 7 – 33
Disegnare le funzioni:
o g1 x f x 1 g5 x e
f x
o g3 x o
g2 x f x f x
o o g 4 x ln f x
o g 4 x ln f x
© Lorenzo Meneghini 7 – 34
SVOLGIMENTO AD ALCUNI DEGLI ESERCIZI PROPOSTI
In questa sezione svolgeremo alcuni degli esercizi proposti, la sciando al lettore il compito di svolgere gli al-
tri.
N. 1 (a) e (c)
o Dobbiamo verificare che l’espressione della funzione non cambia se applichiamo la simmetria rispetto
alla retta x 1 . Prima di iniziare a fare i calcoli conviene riscrivere la funzione in questo modo:
y x 2 4x 4 x 2 2 x 2 x 2 2
2
Applicando la trasformazione
x 2 x
y y
otteniamo:
2 2 2
y 2 x x 2 x 2 y x 2 x 2 2
che coincide, chiaramente, con la funzione di partenza, per la proprietà commutativa del prodotto.
NOTA: Se non avessimo deciso di sviluppare i calcoli in questo modo avremmo dovuto calcolare il cubo
e la quarta potenza di un binomio, operazioni che – pur non essendo particolarmente complicate - so-
no oltremodo laboriose.
o Dobbiamo verificare che l’espressione della funzione non cambia se applichiamo una simmetria rispet-
to al punto P. Anche in questo caso è sicuramente conveniente riscrivere la funzione in questo modo:
4 x 1
y 3
2
x 1 4
Applicando la trasformazione
x 2 x
y 6 y
alla funzione data otteniamo:
4 2 x 1 4 1 x 4 x 1
6 y 3 y 3 y 3
2 2 2
2 x 1 4 1 x 4 x 1 4
N. 2 (d) e (e)
o Applicando la trasformazione
x 2 x
y 4 y
otteniamo
3 2
4 y 2 x 2 2 x
Raccogliendo, otteniamo:
2
4 y 2 x 2 x 2 … 4 y x 3 8x 2 20x 16 … y x 3 8x 2 20x 20
o Applicando la trasformazione
x 2 x
y y
otteniamo
y ln 2 x 2
4 y ln x 2 4x
© Lorenzo Meneghini 7 – 35
N. 3
a) Partendo dal grafico della parabola di equazione y x 2 2x 3 , che taglia l’asse x in 1, 0 e 3, 0
e l’asse y in 0, 3 ed ha vertice V 1, 4 , otteniamo:
Vale la pena di osservare che la funzione ha una coppia di punti angolosi: i punti di intersezione con
l’asse x.
b) Partendo dal grafico della parabola di equazione y x 2 2 , che non interseca l’asse x ed ha vertice
V 0, 2 , otteniamo:
© Lorenzo Meneghini 7 – 36
A questo punto possiamo disegnare il grafico di f3 x ln x 2 3x , basandoci su quello appena tro-
vato:
d) Anche in questo caso, il grafico verrà disegnato in due passaggi: si disegna prima il grafico della funzio-
ne (pari) y 2 x e, successivamente, quello di y e 2 x . Alla fine otteniamo:
Vale la pena di osservare che, in questo caso, la funzione f5 x presenta un punto angoloso per x 3
© Lorenzo Meneghini 7 – 37
2x 4
f) Partendo dal grafico dell’iperbole omografica y , che intercetta l’asse x in 2, 0 e l’asse y in
x 3
0, 4 ed ammette asintoti x 3 e y 2 , riusciamo a disegnare il grafico della funzione
3
2x 4
f6 x :
x 3
g) La funzione f7 x è pari (verifica per esercizio); per disegnarla conviene quindi partire dal grafico della
x 2 2x 4
corrispondente funzione sotto la condizione x 0 , cioè f7 x 2 . Possiamo notare
x 3 x 3
che il grafico della funzione che stiamo considerando coincide con quello dell’iperbole omografica
2x 4
y per x 0 . Recuperando le osservazioni precedenti otteniamo il grafico:
x 3
4
Questa volta il punto angoloso è 0, .
3
1
h) Osserviamo che si tratta della funzione f8 x . Partiremo, quindi, dal grafico di f6 x ed ap-
f6 x
plicheremo le osservazioni sviluppate al § 7.13:
© Lorenzo Meneghini 7 – 38
i) La funzione in esame si ottiene da y e x applicando una coppia di traslazioni (vd. § 7.11):
k) l) Gestiremo insieme questa coppia di grafici, che risultano “legati” tra loro:
© Lorenzo Meneghini 7 – 39
N. 4
Sviluppiamo, a titolo di esempio, la traccia completa dell’es. (a), lasciando al lettore i dettagli degli altri e-
sercizi, di cui rappresenteremo il grafico.
x 1 x 1
Per tracciare il grafico di f1 x dobbiamo innanzitutto tracciare (sulla base di osserva-
ln x x 1
zioni simili a quelle svolte nell’es. precedente) i grafici delle funzioni y x 1 e y ln x .
A questo punto abbiamo gli strumenti per disegnare il grafico della funzione f1 x :
© Lorenzo Meneghini 7 – 40
Prima di eseguire l’analisi di continuità e derivabilità, osserviamo che la funzione data è pari. Infatti, sia
x :
o se 0 x 1 , allora f1 x x 1 x 1 f1 x
o se x 1 , allora f1 x ln x ln x f1 x
Inoltre, anche le funzioni le funzioni y x 1 e y ln x sono pari (ESERCIZIO!).
CONTINUITÀ:
o y x 1 è continua in , perché somma di funzioni continue; in particolare, allora, è continua per
x 1.
o y ln x è continua per ogni x 0 , perché composizione di funzioni continue; in particolare, allora,
è continua per x 1 .
o Rimane da considerare la continuità in x 1 e x 1 , ma – per parità della funzione – è sufficiente
verificarlo per x 1 .
lim f1 x lim x 1 0 e lim f1 x lim ln x 0
x 1 x 1 x 1 x 1
Quindi la funzione è continua in x 1 .
DERIVABILITÀ:
o y x 1 è derivabile per ogni x 0 , perché somma di funzioni ivi derivabili; in particolare, allora, è
derivabile per x 1 con x 0 .
o y ln x è derivabile per ogni x 0 , perché composizione di funzioni derivabili; in particolare, allo-
ra, è derivabile per x 1 .
o Rimane da considerare la derivabilità in x 1 , x 1 e x 0 . Per parità della funzione è sufficiente
controllare per x 1 e x 0 .
x 1:
Per x 0 la funzione si riscrive così:
x 1 0x 1
f1 x
ln x x 1
e la sua derivata è, perciò:
1 0x 1
f1 ' x 1
x 1
x
Quindi:
1
lim f1 ' x 1 e lim f1 ' x lim 1
x 1 x 1 x 1 x
e pertanto la funzione è derivabile in x 1
x 0:
Ci limitiamo a considerare lim f1 ' x lim 1 1 ; ricordando che la funzione è pari, per simme-
x 0 x 0
tria sarà lim f1 ' x lim 1 1 . Pertanto la funzione presenta un punto angoloso in 0, 1 .
x 0 x 0
2 x x 1
Grafico di f2 x ln x x 1 :
e x 1 x 1
© Lorenzo Meneghini 7 – 41
x 1
e 2 x 1
Grafico di f3 x 2 x 1 x 1 :
1
x 1
x
x 1
e 2 x 1
Grafico di f3 x 2 x 1 x 1 :
1
x 1
x
© Lorenzo Meneghini 7 – 42
© Lorenzo Meneghini 7 – 43
Capitolo 8
Calcolo integrale
In questo capitolo tratteremo, pur cercando di evitare difficili tecnicismi, il calcolo integrale,
come introdotto da Riemann. Esamineremo, quindi, i principali teoremi e le più comuni
tecniche di integrazione.
Il problema che, storicamente, per primo portò all’introduzione del calcolo integrale fu quello di
determinare l’area di particolari superfici piane, delimitate da contorni curvilinei. Dalla geometria
elementare sono note, infatti, le formule per il calcolo dell’area dei principali poligoni,
ricondecendolo al calcolo dell’area di particolari rettangoli. Quando, però, si passa a definire l’area
del cerchio, si dimostra che la sua area non è riconducibile a quella di alcun poligono. Archimede,
che fu uno dei primi ad occuparsi del problema, aveva immaginato di inscrivere e circoscrivere il
cerchio in una successione di poligoni regolari e stimare, con questi, l’area del cerchio.
10 1
Così facendo Archimede ha trovato 3 3 ; in pratica 3.1428 … un’ottimo
71 7
risultato le conoscenze di quei tempi.
Illustriamo meglio l’idea, adeguandola ad un contesto più generale ed utilizzando un linguaggio più
moderno.
TRAPEZOIDE
Sia y f x una funzione continua nell’intervallo a, b ;
supponiamo inoltre che al funzione sia ivi positiva.
Consideriamo il quadrilatero mistilineo ABCD, delimitato
dalla curva , dall’asse x , e dalle rette x a e x b (vd.
figura a lato). Tale quadrilatero viene chiamato
trapezoide.
Vogliamo dare una definizione dell’area del trapezoide.
b a
Per farlo, dividiamo l’intervallo a, b in n intervallino chiusi di uguale ampiezza h .
n
Il teorema di Weierstrass garantisce che la funzione data assume, in ciascuno di tali intervallino:
L’unione dei rettangoli di altezze m1, m2 ,..., mn forma un plurirettangolo inscritto; l’unione di quelli
di altezze M 1, M 2 ,..., M n forma un plurirettangolo circoscritto al trapezoide.
Va notato che i numeri mi e M i sono positivi o al più nulli, poiché tale è f x , per ipotesi.
Definiamo, quindi:
n
o somma integrale inferiore: sn m1h m2h ... mn h mi h
i 1
n
o somma integrale superiore: Sn M1h M 2h ... M n h M ih
i 1
Trattandosi, rispettivamente, dei minimi e dei massimi di f x nei sottointervalli x i 1, x i , risulta
n n
chiaramente mi M i . Pertanto risulta mi h Mi h , a giustificazione del nome.
i 1 i 1
Osserviamo inoltre che le due somme integrali che abbiamo definito rappresentano,
rispettivamente, l’area del plurirettangolo inscritto e di quello circoscritto.
Si può dimostrare che, nelle ipotesi iniziali, le due successioni sn e Sn hanno lo stesso limite per
n . Chiameremo tale limite area del trapezoide.
Siano inoltre h1 x1 x 0 , h2 x 2 x 1 … hn x n x n 1
le ampiezze degli intervallini e siano, infine, m1, m2 ,..., mn
e – rispettivamente – M 1, M 2 ,..., M n i massimi della
funzione data nei singoli sottointervalli.
Anche in questo caso si definisce la somma integrale inferiore e quella superiore ponendo,
n n
rispettivamente, sn mi hi e Sn Mi hi .
i 1 i 1
Osserviamo che l’integrale definito di una funzione rappresenta un’area SOLO quando la funzione
integranda assuma valori non negativi nell’intervallo di
integrazione.
È interessante osservare che si può essere definire una
somma integrale anche fissando arbitrariamente gli
estremi x i degli intervallini, a patto che due qualsiasi
di essi possano avere in comune solo uno degli
estremi, e scegliendo in modo arbitrario un punto ci
all’interno di ogni intervallino, invece che prendere per
forza il punto di minimo (risp. massimo) assoluto.
Così facendo la somma integrale diviene
n
n f ci xi xi 1
i 1
Chiaramente, fissato n, questa somma integrale
assume un valore intermedio tra quello della somma
inferiore e quello della somma superiore; perciò:
n n n
mi hi f ci hi Mi hi
i 1 i 1 i 1
ESEMPIO
Consideriamo la funzione costante f x k , con k , nell’intervallo a, b .
1
La definizione dell’integrale di Riemann è, in realtà, ancor più generale di quella esaminata in questo testo,
ma risulta troppo complessa per gli scopi di queste lezioni.
© Lorenzo Meneghini 8–3
n n
Costruiamo la somma integrale n k hi k hi k b a . Come si nota facilmente, la
i 1
i 1
somma integrale è costante ed indipendente da n; pertanto il suo limite è:
lim n lim k b a k b a
n n
Esaminiamo ora le prime proprietà importanti dell’integrale; in quanto segue supponiamo che
a b.
Pensando alla definizione di somma integrale risulta chiaro che:
a
a) a f x dx 0.
b c b
c) ADDITIVITÀ: a f x dx a f x dx c f x dx ,
comunque siano disposti i punti a, b, c nel dominio D della
funzione.
Omettiamo la dimostrazione di questo risultato poiché,
sebbene sia interessante l’idea di fondo, potrebbe
risultare eccessivamente complessa per gli scopi di queste
lezioni. Ci limiteremo ad osservare l’interpretazione
grafica di questa proprietà, restringendo l’attenzione al
caso delle funzioni integrande continue e positive
nell’intervallo di integrazione, con c a,b .
In tal caso, infatti, l’integrale rappresenta un’area ed è
chiaro che l’area complessiva sia pari alla somma delle
aree (vd. figura).
Dimostreremo ora uno dei teoremi più importanti sul calcolo integrale; successivamente ne daremo
un’interpretazione geometrica nel caso di funzioni continue e non negative.
Chiaramente:
a b
o F a a f t dt 0 o F b a f t dt
TEOREMA FONDAMENTALE DEL CALCOLO INTEGRALE (TORRICELLI)
Sia f x una funzione, definita in a, b . Se f x è continua in a, b , allora la funzione integrale
x
F x a f t dt è derivabile e risulta:
F ' x f x
DIM
Dobbiamo dimostrare che la funzione integrale è derivabile; per farlo consideriamo il rapporto
incrementale relativo al punto x ed all’incremento h > 0.
x h x
F x h F x f t dt f t dt
mx h a a
h h
Concentriamoci per qualche istante sul numeratore; per l’additività dell’integrale:
x h x x x h x x h
a f t dt f t dt a f t dt x f t dt f t dt x f t dt
a a
2
Il punto cx ,h dipende dalla scelta del punto x e dell’incremento h , da cui la notazione.
Il Teorema di Torricelli garantisce l’esistenza di almeno una primitiva per ciascuna funzione
continua.
Ricordando il 2° corollario del Teorema di Lagrange, possiamo osservare che se una funzione f x è
continua nell’intervallo a, b , allora essa ammette infinite primitive che differiscono tra loro per
una costante additiva.
Infatti, se x è una primitiva di f x allora anche x x c è una primitiva di f x , in
quanto:
' x 'x 0 ' x
Ammettendo di saper calcolare le primitive delle funzioni, è possibile usarle per il calcolo
dell’integrale definito, sfruttando il teorema seguente.
TEOREMA
Data la funzione f x continua in a, b ed una qualsiasi delle sue primitive x , risulta:
b
a f x dx b a
DIM
x
Per il teorema di Torricelli, la funzione integrale F x a f t dt è anch’essa una primitiva di
f x . Pertanto esiste una costante c tale che x F x c .
Pertanto, per quanto osservato in precedenza:
a F a c c ;
b
Nei calcoli utilizzeremo la notazione x a b a per descrivere in forma abbreviata il
passaggio in cui “valutiamo la primitiva” agli estremi dell’intervallo; leggeremo, in tal caso, x
calcolata (o valutata) fra a e b.
Osserviamo che il problema pratico del calcolo dell’integrale definito si è spostato alla
determinazione di una primitiva della funzione integranda. Dopo aver trovato una delle primitive, la
si valuta per calcolare il valore dell’integrale definito.
Da un punto di vista intuitivo, il problema che stiamo cercando di risolvere è diventato la ricerca di
una funzione partendo dalla sua derivata prima; dopodiché, come abbiamo già visto, trovata una
primitiva le altre si determinano – da questa – aggiungendo una costante.
Per iniziare può tornare utile la seguente tabella che riepiloga le derivate delle funzioni elementari,
scritta – però – in modo opportuno per ricercare la primitiva.
x 1 f x 1
x , con \ 1 f x f ' x
1
1
1 f ' x
x 1 ln x ln f x
x f x
ax
ax ex ex
ln a
Per verificare i risultati della tabella ci basta derivare la primitiva e vedere se la derivata calcolata
coincide con la funzione nella colonna a sinistra. Lasceremo tali verifiche come esercizio per il
lettore, ad eccezione della seguente.
1 x 3 1 1
x3 dx x 3dx c c
3 1 2x 2
19
19 1 26
7 x7 28 7
8x 2 x 5 dx 8 8
x 7 dx
19
c
13
x c
1
7
x 1 2x 1
dx dx ln 1 x 2 c , essendo 2x D 1 x 2
1x 2 2 1x 2 2
ln2 x 1 1 1 1
dx 3 ln2 x dx ln 3 x c , essendo D ln x
x 3 x 3 x
6 1 6 1 1 2 7 1 2 7
x x 5 dx 2 2x x 5 dx 2 7 x 5 c 14 x 5 c ,
2 2
e x e x dx
ex dx exdx ex ex c
1 x4 x 1 x 2 1 x 2 x x
1 x2 dx 1x 2
dx 1 x 2
1 x2
dx
1 2x x3 1
1 x 2dx dx x ln 1 x 2 c
2 1x 2 3 2
ESEMPI
x
1 e
x
dx
1
Posto t e x , risulta x ln t e quindi dx dt . Sostituendo:
t
3
1 1 2 t 2 2 3
x
2 e e dx x
2 t t dt
t 2 t 2 dt
3
c
3
2 t c
2
2 3
3
2 ex c
© Lorenzo Meneghini 8 – 10
f x g ' x dx f x g x f ' x g x dx ,
La formula precedente è detta regola di integrazione per parti; in questa formula, il termine
g ' x dx è detto fattore differenziale mentre f x è detto fattore finito.
ESEMPI
x2 x2 1 x2 1 x2 x2
x ln x dx 2
ln x dx
2 x 2
ln x x dx
2 2
ln x
4
c
x 2 ex dx e x x 2 e x 2x dx e x x 2 2 e x x dx
ln x dx
In questo caso scegliamo dx come fattore differenziale; così facendo:
1
ln x dx x ln x x x dx x ln x dx x 1 ln x c
1
ln x dx x ln2 x x 2 ln x dx x ln2 x 2 ln x dx ...
2
x
x ln2 x 2 x 1 ln x c
o Se 0 , detta x1 la radice doppia del denominatore, si può dimostrare che esistono due
numeri reali A e B tali che
3
Tale ipotesi è molto restrittiva e ci preclude lo studio generale del problema, ma è valida in molti casi
interessanti, cui ci limiteremo in questo corso.
© Lorenzo Meneghini 8 – 11
mx q A B
2
ax bx c x x1
2 x x1
ESEMPI
x 2
Calcolare x 2 3x 2 dx
Gli zeri del denominatore sono x 1 e x 2 (esercizio).
Determiniamo i coefficienti reali A e B in modo che valga l’identità
x 2 A B A x 2 B x 1 A B x 2A B
x 2 3x 2 x 1 x 2 x 2 3x 2 x 2 3x 2
Otteniamo il sistema
A B 1 A 3
…
2A B 2 B 4
Quindi:
x 2 1 1
x 2 3x 2 dx 3
x 1
dx 4
x 2
dx 4 ln x 2 3 ln x 1 c
2x 3
Calcolare x 2 4x 4 dx
Possiamo riscrivere la funzione integranda:
2x 3 A B Bx A 2B
...
x 2 4x 4 x 2
2 x 2 x 2
2
Otteniamo il sistema
B 2 A 7
…
A 2B 3 B 2
Quindi:
2x 3 dx dx 7
x 2 4x 4 dx 7
2
2
x 2
x 2
2 ln x 2 c
x 2
Esamineremo ora, anche mediante esempi opportuni, le principali tecniche di calcolo per gli
integrali, rivisitando anche alcune metodologie di ricerca della primitiva di una funzione continua,
per adattarle alla situazione.
Non è superfluo ricordare che, in base al teorema esposto al § 8.6, il calcolo dell’integrale è
solitamente preceduto dalla determinazione di una primitiva per la funzione. Infatti abbiamo
dimostrato che, se f x è continua in a, b e x è una delle sue primitive:
b
a f x dx b a
Dal momento, però, che la scelta della primitiva da utilizzare è arbitraria, per semplicità di calcolo
sceglieremo di utilizzare quella in cui la costante additiva (vd. § 8.7) è c 0 .
© Lorenzo Meneghini 8 – 12
ESEMPI
4
4 4 1 2 3 3 3
3 3 4 xdx 3 x 4 2 dx 3 x 4 2 4 4 2 3 4 2
2
3
3 3
2
512 1 32 2 2
3 1 1 3 2 1 3 1 1 9
1 dx dx ln 2x 3 ln 9 ln 5 ln
2x 3 2 1 2x 3 2 1 2 2 5
5
5 x3 x 1 5
3
1
3 2 5 1
1
7
10 5 2
2 x x
dx 2 x2 x 2 x 2dx x 2x 2x ...
5
2 2 2
2 5
7
10 5 2
5
1 ex
0 e x 1
dx
1 x 2
1 x 2 8x 16 dx
Osserviamo che, in questo caso, il numeratore non è la derivata del denominatore; conviene
quindi determinare la primitiva della funzione ricorrendo alla tecnica tipica delle funzioni
2
razionali fratte. Osserviamo infine che x 2 8x 16 x 4 .
Cerchiamo pertanto una coppia di coefficienti reali A e B tali che
x 2 A B Bx A 4B
2
x 8x 16 x 4
2 x 4 x 4
2
B 1 B 1
Dobbiamo risolvere il sistema
A 4B 2 A 6
Quindi:
1
1 x 2 1 1 6 6
1 x 2 8x 16 dx 1 x 4
2
dx
ln x 4
x 4 1
x 4
6 6 5 4
ln 5 ln 3 ln
5
3 3 5
© Lorenzo Meneghini 8 – 13
ESEMPI
e2 1
1 x ln x
dx
1
Posto t ln x e differenziando ad ambo i membri questa relazione otteniamo dx dt ;
x
inoltre:
- Se x 1 allora t ln 1 0
- Se x e 2 allora t ln e 2 2
L’integrale si trasforma, quindi,nel modo seguente:
e2 1 2 1 2
1 1 2
1 dx 0 dt t 2dt 2t 2 2 2
x ln x t 0 0
ln 2 7
0 e x e x 3 dx
7 x3
2 x 2
dx
Gli esempi precedenti evidenziano come, in alcune situazioni, possa essere comodo ricorrere alla
sostituzione di variabile anche nel calcolo dell’integrale definito. Il vantaggio – peraltro notevole –
che si ha rispetto a quando si cambia variabile nel calcolo della primitiva è legato al fatto che,
cambiando gli estremi di integrazione, non abbiamo bisogno di effettuare la sostituzione che
riporta la funzione alla variabile iniziale.
© Lorenzo Meneghini 8 – 14
ESEMPI
e
1 x ln x dx
Prendiamo, in questo caso, x dx come fattore differenziale. Otteniamo:
e x2 e e x2 1 e2 1 e e2 1 x2 e2 e2
e
1 e2 1
1 x ln x dx ln x
1 dx x dx
2 1 2 x 2 2 1 2 2 2 1 2 4 4 4
0
1 x 2 e x dx
In questo caso, scegliamo come fattore differenziale il termine e x dx . Otteniamo:
0 0 0 0
1 x 2 e x dx x 2e x 2x e x dx e1 2 x e x dx
1 1 1
Conviene, in questa situazione, interrompere per un istante, il flusso del calcolo e determinare
0
1 x e x dx prima di procedere. Integriamo ancora per parti usando sempre e x dx come
fattore differenziale.
0 0 0 0
1 x e x dx x e x e x dx e 1 e x 2e1 1
1 1 1
Riprendiamo il calcolo dell’integrale dove l’avevamo interrotto.
0 0
1 x 2 e x dx e1 2 x e x dx e 1 2 2e 1 1 2 5e1
1
NOTA
Questo esempio mostra che, all’occorrenza, il metodo di integrazione per parti può essere
applicato anche più di una volta per risolvere uno stesso integrale.
8 ln 3
x 5 dx
1 3
x2
Questo esempio è ben più difficile dei precedenti, poiché la sua risoluzione richiede
l’applicazione combinata del metodo di integrazione per sostituzione e, successivamente,
quello di integrazione per parti.
Applicando la sostituzione t 3 x ed osservando che x t 3 , cambiamo il differenziale dx
con 3t 2 dt . Inoltre il nuovo intervallo di integrazione (esercizio) è 1, 2 .
8 ln 3
x 5 dx 2 ln t 5 2
ln t 5 dt
1 3
x2
1 t 2
3t 2 dt 3
1
Applichiamo ora il metodo di integrazione per parti, scegliendo dt come fattore differenziale.
2 2 2 t 2 t 55
1 ln t 5 dt t ln t 5 1 1 t 5 dt 2 ln 7 ln 4 1 t 5
dt
5 2 2
2 ln 7 ln 4 1 dt 2 ln 7 ln 4 t 5 ln t 5
t 5 1 1
2 ln 7 ln 4 2 5 ln 7 1 5 ln 4 ... 7 ln 7 4 ln 4 3
Concludendo:
8 ln 3
x 5 dx 3 2
1 3
x2
1 ln t 5 dt 3 7 ln 7 4 ln 4 3 21ln 7 12 ln 4 9
© Lorenzo Meneghini 8 – 15
8.9 INTEGRALE GENERALIZZATO
nell’intervallo a, b e si pone:
b b
a f x dx lim
0
a f x dx
b
In tal caso, l’integrale a f x dx si chiama integrale generalizzato (o improprio).
Ricordando l’interpretazione geometrica dell’integrale, possiamo affermare che esso rappresenta
l’area della porzione illimitata di piano descritta dalla curva, dal suo asintoto verticale x a e dalla
retta x b , cioè
x, y : a x b, 0 y f x
Non è superfluo sottolineare che si parlerà di “area”, nel senso usuale del termine, solo se tale
limite è finito; in caso contrario diremo chela funzione non è integrabile in senso generalizzato
nell’intervallo a, b e che “l’area non è finita”.
4
Un tale punto viene comunemente detto punto critico per la funzione.
© Lorenzo Meneghini 8 – 16
Naturalmente se i punti critici sono più di uno (ma pur sempre in numero finito c1, c2 ,..., cn ), si
definisce, in analogia con quanto detto:
b c1 c2 b
a f x dx a f x dx c f x dx ... c f x dx
1 n
ESEMPI
2 1
0 x
dx
0 1
1 x 2 dx
La funzione ha un punto critico in x 0 ; fissato arbitrariamente 0 , calcoliamo
1 1 1
1 x2
dx 1 x 2dx 1
x
1
Calcoliamo ora
1 1
lim 1 dx lim 1
0 x2
0
Concludiamo che al funzione NON è integrabile nell’intervallo dato.
3
0 ln x dx
La funzione ha un punto critico in x 0 ; fissato arbitrariamente 0 , calcoliamo
3 3
0 ln x dx ln x dx
In questo caso i calcoli sono ben più complicati che in quelli precedenti. Integrando per parti
3 3 3 3
ln x dx x ln x dx 3 ln 3 ln x ... ln 27 ln 3
Mediante la regola di de l’Hospital si riesce a verificare (esercizio) che:
lim ln 0
0
Quindi
3
lim ln x dx lim ln 27 ln 3 ln 27 3
0 0
© Lorenzo Meneghini 8 – 17
a, e si pone
b
a f x dx lim f x dx
b a
b
Analogamente, se la funzione è continua in ,b ed esiste finito il lim f x dx si pone:
a a
b b
f x dx a
lim f x dx
a
ESEMPI
1
2 x2
dx
Calcoliamo innanzitutto
b 1 1 b 1 1
2 x 2
dx
x
2 b 2
Dal momento che il limite
1 1 1
lim
b 2 b 2
concludiamo che la funzione è integrabile in senso generalizzato e
1 b 1 1 1 1
2 x 2
dx lim
b 2 x 2
dx lim
b 2
b
2
1
4 x
dx
Calcoliamo innanzitutto
b 1 b
4 dx 2 x 2 b 4
x 4
Dal momento che il limite
lim 2 b 4
b
concludiamo che la funzione NON è integrabile in senso generalizzato.
0
e xdx
Calcoliamo innanzitutto
0 0
a e x dx e x e 0 ea 1 ea
a
Dal momento che il limite
lim 1 ea 1
a
© Lorenzo Meneghini 8 – 18
concludiamo che la funzione è integrabile in senso generalizzato e
0 0
e dx a
lim e dx
x x
lim 1 ea 1
a a
ESERCIZI PROPOSTI
x2 2 33 4
o y 3
x x x 1 F x x3 x x c
2 3 4
x3 2 33 5
o y
3
x2 x3 x2 F x x5 x c
3 5 5
o y x 2e x 1 F x e x 1 x 2 2x 2 c
3x 3
o y F x c
3 2
x 2 1
4 x 2 1
ln2 x 1
o y F x ln3 x c
3x 9
3x 3 3x 1 2
o y F x ln x 1 3x c
x 1 2
x2 1
o y
2
3x 5
x 2x 3
2
F x ln x 3 x 1 c
ex 1 F x 2 ln e x 1 x c
o y
ex 1
27 3 18 823
1
3 3
o x4 x 3 x 2 x 1 dx ln 3 3 3
7 5 105
3 3x 2 41 559
o 1 3
dx
40
3
320
x 2 2x 1
e ln3 x 1
o 1 2x
dx
8
1
e 2 2e
o 0 x 2e x 1dx
2 2 1 1 3
o 1 dx ln
x 2x 2
3 2 2 2
© Lorenzo Meneghini 8 – 19
Risolvere i seguenti quesiti.
x 2
1) Calcolare la derivata, rispetto ad x, della funzione F(x) tale che: F x
2
x e t dt , con x > 0.
2
2) La funzione reale di variabile reale f(x), continua per ogni x, è tale che 0 f x dx a,
6
0 f x dx b dove a e b sono parametri reali. Determinare, se esistono, i valori a, b per cui
risulta:
3 3
0 f 2x dx ln 2 , 1 f 2x dx ln 4 .
6) Sia f(x) una funzione reale di variabile reale, continua su tutto l’asse reale, tale che
1 2
f (x ) dx = 2 e f (x ) dx = – 5.
0 0
Di ciascuno dei seguenti integrali
1 2 2 1
x x x
f dx , f dx , f dx , f (2x ) dx .
2 2 2
0 0 2 0
dire se le condizioni assegnate sono sufficienti per calcolarne il valore e, in caso di risposta
affermativa, qual è tale valore.
© Lorenzo Meneghini 8 – 20
Capitolo 9
In questo capitolo discuteremo di alcune importanti applicazioni del calcolo integrale, cominciando da
quella – più nota – legata al calcolo delle aree di figure piane.
1
In questo caso, ciascun termine della somma integrale è non positivo e, per il teorema della permanenza del segno,
anche il limite della somma integrale non potrà essere positivo; nella situazione illustrata in figura, l’integrale
assumerà sicuramente un valore negativo che non può rappresentare un’area. Si dimostra facilmente , però, che il suo
opposto rappresenta l’area del trapezoide.
© Lorenzo Meneghini 9–1
Pertanto:
b b b
Area S a f x dx a g x dx a f x g x dx (1)
Se la superficie S non è tutta al di sopra dell’asse x è sufficiente applicare una traslazione in direzione
dell’asse y tale da garantire che S giaccia nel semipiano delle y positive. L’area, infatti, è una proprietà
geometrica “invariante per traslazioni”.
Supponendo che il numero reale positivo k sia tale che (relativamente all’intervallo a, b ) le nuove funzioni
y f x k e y g x k giacciano nel semipiano delle y positive. In tal caso possiamo applicare
quanto appena affermato e:
b b
Area S a f x k g x k dx a f x g x dx
Abbiamo visto, in questo modo, che la (1) consente di calcolare l’area della porzione di piano delimitata da
due archi di curva in ogni situazione; se, in particolare, uno di tali archi fosse un segmento dell’asse x ci
troveremmo nella situazione – descritta in precedenza – in cui una funzione è continua e non positiva in
a, b .
In tal caso, osserviamo che la (1) diviene
b b
Area S a 0 f x dx f x dx
a
come precedentemente affermato.
ESEMPI
Calcolare l’area della regione finita di piano delimitata, nel I
quadrante, dagli assi cartesiani e dalla cubica
y x 3 3x 2 4 .
2
Si noti l’uso, nell’integrale sottostante, dell’unità di misura formale u 2 per esprimere l’area cercata; l’assenza di
ulteriori specificazioni nel testo del problema ci porterà SEMPRE ad adottare un’u.d.m. formale per esprimere i risultati
geometrici.
© Lorenzo Meneghini 9–2
L’area cercata è, quindi, la somma tra l’area di un triangolo rettangolo isoscele di cateto 1u (che può
anche non essere calcolata con gli integrali) e di quella della parte di piano tra retta e parabola
nell’intervallo 3, 4 . Quindi:
4
3
4 1 1 4 1 x 3
5 x x 2 5x 4 dx 12
2
Area 3 3 x 3 dx
2 2 2 3
3
1 28 5
9 u 2
2 3 6
In questo paragrafo analizzeremo le idee contenute nel principio di Cavalieri per il calcolo del volume di
solidi di forma particolare. L’idea chiave consiste nel sezionare il solido con un fascio di piani paralleli.
Qualora la figura di sezione abbia una forma costante, il volume non è altro che la “somma di volumi
elementari” dV , di solidi sottilissimi, di spessore infinitesimo dx e superficie di base pari all’area S x ,
normalmente dipendente da x, del poligono di sezione, allo stesso modo in cui il volume di una risma di
carta può essere pensato come la somma dei volumi dei singoli fogli.
Dal momento che ciascuno di tali solidi può essere pensato come un parallelepipedo retto di base S x ed
altezza dx possiamo scrivere dV S x dx e l’uso dell’integrale definito ci consente di trovare il risultato
cercato.
Daremo una dimostrazione formale della procedura nel caso dei solidi di rotazione, in quanto più semplice
da trattare, ma può essere dimostrata in qualsiasi situazione.
b 2
V f x dx
a
x2
Ad esempio, il solido disegnato a lato ha per base un arco della parabola di equazione y 2 , relativo
2
all’intervallo 2, 2 , ed è tale che le sezioni con piani ortogonali all’asse x siano tutte triangoli rettangoli
isosceli in cui il vertice dell’angolo retto è un punto dell’arco di parabola.
In questo caso il cateto del triangolo, in corrispondenza del punto x, misura l f x e l’area della relativa
4
sezione è S x
1
f x 2 x x 2 2 .
2 8
È facile, a questo punto, determinare il volume del solido, calcolando l’integrale:
2 2x4
V 2 S x dx 2 8 x 2 2 dx
La funzione integranda è pari; per motivi di simmetria possiamo scrivere:
2 x4 x5 x3 2 64 3
V 2 2
x 2 dx 2 2x u
0 8 40 3 0 15
b
V 2 x f x dx
a
Ad esempio, la figura precedente è stata ottenuta dalla rotazione attorno all’asse y dell’arco della parabola
5
y 2x 2 8x 5 , corrispondente all’intervallo 1, .
2
Il volume elementare è, pertanto:
dV 2x 2x 2 8x 5 dx 2 2x 3 8x 2 5x dx
Integrando otteniamo
5
5 x4 8 5 2 625 1 219
V 2
1
2
2x 8x 5x dx 2 2 3 x 3 2 x 2 2 96 3 16 u 3
3 2
1
L’integrale è uno strumento di calcolo molto utile non solo in geometria, ma anche in fisica e – più in
generale – nelle applicazioni tecnologiche della matematica.
In questo paragrafo esamineremo alcuni esempi in cui il calcolo integrale viene utilizzato in fisica.
Un punto materiale di massa m 0, 5 kg si muove lungo una retta sottoposto all’azione di una forza la
cui intensità varia nel tempo secondo la relazione F t 6t N . Sapendo che alla partenza del
m
cronometro (t = 0 s) la velocità del punto materiale è v 0 2 e che, in tale istante, il punto
s
materiale si trova nell’origine del riferimento, calcolare la velocità e la posizione del punto all’istante
t 2 s . Determinare, infine, la velocità media nell’intervallo 0, 2 .
Ricordando la 2° legge della dinamica:
F t m a t
da cui
F t
a t 12t
m
dv
Dalla relazione a t ricaviamo dv a t dt . Integrando membro a membro nell’intervallo 0,t ,
dt
otteniamo:
t t
v t v0 0 12 d 6 2 0 6t 2
da cui, ricordando i dati del problema:
v t v0 6t 2 6t 2 2
m
Risulta, allora: v 2 6 4 2 26 .
s
ds
Ricordando che v t ricaviamo ds v t dt . Integrando membro a membro nell’intervallo 0,t ,
dt
otteniamo:
t t
s t s0 0 6 2 2 d 2 3 2 0 2t 3 2t
da cui, ricordando i dati del problema:
s t 2t 3 2t .
Risulta, allora: s 2 2 8 2 2 20 m
Per il calcolo della velocità media ricordiamo il Teorema della Media; il valor medio della funzione v t
nell’intervallo dato è
2
vmedia
v t dt
0 ...
20
10
m
20 2 s
a x x 1 x2 1 sm ,
2
ove x indica l’ascissa del punto P. Determinare il lavoro compiuto dalla forza F quando il punto P si
sposta dalla posizione x 0 m a x 3 m .
Per il 2° principio della dinamica, l’espressione della forza è F x ma x 3 x 1 x 2 1 .
Il lavoro compiuto da F per uno spostamento elementare è dL F x dx . Integrando otteniamo:
3 3
1 x 2
3 3
L 0 3 x 1 x 2 1 dx 3
0
x 1 x 1 dx 3
2
3
x ... 8 3 3 J
0
ALTRE APPLICAZIONI
Il calcolo integrale può essere utilizzato anche in altre situazioni in cui una delle grandezze coinvolte possa
essere considerata la derivata prima dell’altra. Esaminiamo il senso di questa affermazione mediante alcuni
esempi opportuni.
Ricordiamo che l’intensità media della corrente che circola in un conduttore è definita da
q
im ,
t
in cui q rappresenta la carica che ha attraversato la sezione del conduttore nell’intervallo di tempo
t . Passando dai valori medi a quelli istantanei:
dq
i t .
dt
Integrando:
t2
q t i t dt
1
Data una reazione chimica, conoscendo la legge y f t con cui varia la velocità di reazione in
funzione del tempo t, possiamo calcolare la quantità di sostanza che reagisce nell’intervallo di tempo
t1, t2 mediante l’integrale:
t2
q t f t dt
1
t
t t
q t
t
e 2 10 e2 1 10 1 e2
0 5e 10
2d
0
La velocità di reazione media, espressa in grammi al secondo, nell’intervallo t1, t2 è:
t2 t t
t 5e 2d
e
1
2 e
2
2
vm 1
... 10
t2 t1 t2 t1
In questo paragrafo esamineremo alcune formule utili nei casi in cui si possa evitare il calcolo integrale.
Area b h b h
b1 b2 h
Area Area
2 2
QUADRILATERO (DIAG. PERPENDICOLARI) POLIGONO CIRCOSCRITTO SETTORE CIRCOLARE
1 Area p r , 1
Area d1d2 Area r2 ,
2 avendo indicato con p il 2
semiperimetro del poligono. avendo indicato con la misura (in
rad) dell’angolo al centro
In particolare:
3 2
o TRIANGOLO EQUILATERO: Area l
4
3 3 2
o ESAGONO REGOLARE: Area l
2
o CERCHIO: Area r 2
PRISMA:
V Sb h
CILINDRO:
V Sb h r 2 h
PIRAMIDE:
1
V Sb h
3
CONO:
1
V Sb h r 2 h
3 3
TRONCO PIRAMIDE:
1
V
3
h S1 S1S 2 S2
TRONCO CONO:
V h r12 r1r2 r22
3
Inoltre,
4 3
o SFERA: V r
3
ESERCIZI PROPOSTI
o La regione R delimitata, in figura, dalle curva di equazione y ex , dalla
curva di equazione y x 3 dalle rette x 0 e x 1 , è la base di un
solido le cui sezioni ottenute con piani perpendicolari all’asse x sono
rettangoli di altezza h x 2x . Determinare il volume del solido così
ottenuto.
o Si determinino i parametri reali a e b in modo tale che il grafico della
funzione y a 2bx passi per i punti di coordinate (–1, 4) e (1, 1). Si
h
calcoli, inoltre, l’integrale I h 0 f x dx , ove h è un numero reale
positivo. Si determini, infine, il lim I h e se ne dia un’interpretazione
h
geometrica.
© Lorenzo Meneghini 9 – 10
Capitolo 10
Matrici e determinanti
10.1 LE MATRICI
Si chiama matrice m n una tabella rettangolare costituita da elementi di uno stesso insieme numerico1,
disposti secondo m righe e n colonne. Il simbolo Mm,n denota l’insieme delle matrici m n ad elementi
reali. Le matrici vengono solitamente denotate con lettere maiuscole, mentre i loro elementi con lettere
minuscole, normalmente munite di indici di riga/colonna:
a11 a12 ... a1n
a a ... a
A 21 22 2n
aij
... ... ... ...
am 1 am 2 ... amn
Il generico elemento della matrice è denotato mediante la scrittura aij , in cui i ( i 1,2,..., m ) è detto indice
di riga e j ( j 1,2,..., n )è detto indice di colonna. In una matrice vi sono, pertanto:
o m n-uple orizzontale, dette righe;
o n m-uple verticali, dette colonne.
La matrice 1 n
a 11 a12 ... a1n ,
costituita da 1 riga di n elementi, prende il nome di matrice riga (o vettore riga); mentre la matrice m 1
a11
a
21
... ,
am 1
formata da una sola colonna di m elementi, prende il nome di matrice colonna (o vettore colonna).
È evidente che una matrice m n può essere pensata come costituita da m vettori riga o da n vettori
colonna. Ad esempio, ponendo
A1 a11 a12 ...a1n A2 a21 a22 ... a2n … Am am 1 am 2 ... amn
possiamo indicare la matrice mediante le sue righe scrivendo:
A1
A
A 2
...
Am
Analogamente, ponendo:
1
In questo corso studieremo solo le matrici ad elementi reali.
© Lorenzo Meneghini 10 – 1
a11 a12 a1n
a a a
21 22 2n
A1 , A2 , … , An
... ... ...
am 1 am 2 amn
possiamo rappresentare la matrice mediante i suoi n vettori colonna scrivendo:
A A1 , A2 ,..., An
Chiameremo matrice nulla la matrice avente tutti gli elementi nulli; tale matrice verrà indicata con O.
Una matrice si dice quadrata se m = n, cioè se il numero di righe uguaglia il numero di colonne; in tal caso
parleremo più semplicemente di matrice quadrata di ordine n. L’insieme delle matrici quadrate di ordine n
è indicato con M n .
In una matrice quadrata, gli elementi a11, a 22 ,..., ann costituiscono la diagonale principale, mentre gli
elementi a1n , a 2n 1 ,..., an 1 costituiscono la diagonale secondaria.
Le principali operazioni tra matrici sono l’addizione, il prodotto di una matrice per uno scalare ed il prodotto
di matrici. Esamineremo queste operazioni, assieme ad un’altra importante operazione detta trasposizione.
ADDIZIONE
L’operazione di addizione con le matrici si può definire SOLO nel caso di matrici aventi le stesse dimensioni.
Siano, quindi, A aij e B bij due matrici m n , la matrice somma è ancora una matrice m n i cui
elementi sono la somma degli elementi corrispondenti di A e B:
A B aij bij (1)
1 0 1 1 5 3
Se, ad esempio: A e B
0 2 4 . Chiaramente:
2 3 1
0 5 4
A B
2 1 5
Una notazione compatta ci porta a scrivere sinteticamente la regola (1) utilizzando i vettori riga; posto,
infatti
A1 B1
A e B
A2 B2
possiamo scrivere:
A1 B1
A B (2)
A2 B2
© Lorenzo Meneghini 10 – 2
MOLTIPLICAZIONE PER UNO SCALARE
Chiameremo prodotto di un numero reale per una matrice A M m,n la matrice A Mm,n il cui
elemento generico è aij .
Pertanto, per moltiplicare una matrice per uno scalare basterà moltiplicare per quel numero tutti gli
elementi della matrice.
1 0 1
Ad esempio, se A , la matrice 3A è:
2 3 1
3 0 3
3A
6 9 3
ESEMPI
1
La trasposta della matrice riga A 1, 0, 3 è la matrice colonna AT 0 .
3
5 1
5 2 0
La trasposta della matrice 2 3 A è la matrice A 2 0 .
T
10 3
0 3
Una matrice si dice simmetrica quando aij a ji , i, j , cioè quando coincide con la sua trasposta: A AT .
Una matrice si dice diagonale quando ha nulli tutti i suoi elementi tranne quelli della diagonale principale;
in particolare, si chiama matrice unità (o matrice identica) una matrice diagonale i cui elementi diagonali
sono tutti uguali a 1.
ESEMPI
1 2 1
La matrice A 2 0 3 è una matrice simmetrica di ordine 3.
1 3 5
1 0 0
La matrice I 0 1 0 è la matrice identità di ordine 3.
0 0 1
© Lorenzo Meneghini 10 – 3
p
cij a
k 1
ik bkj
PROPRIETÀ
o Il prodotto tra due matrici non è commutativo.
Basta pensare che, se A M m,p e B M p,m , allora A B Mm,m mentre
B A M p,p .
o Il prodotto tra una qualsiasi matrice A e la matrice nulla O è la matrice nulla, cioè A O O A O .
o Se , risulta A B A B A B
© Lorenzo Meneghini 10 – 4
10.3 DETERMINANTE DI UNA MATRICE
Data una matrice quadrata A Mn , ad essa si può associare un numero reale, detto determinante ed
indicato indifferentemente con det A o con A .
Quando si vuole indicare il determinante di una matrice A senza trascurarne gli elementi, si usa scrivere:
a11 a12 ... a1n
a a22 ... a2n
A 21 ,
... ... ... ...
an 1 an 2 ... ann
sostituendo le parentesi tonde con due linee verticali.
Dal momento che la definizione di determinante di una matrice quadrata di ordine n è piuttosto complessa,
procederemo per gradi ed esamineremo innanzitutto alcuni semplici casi particolari.
1 2
Ad esempio, il determinante della matrice A è det A 1 5 3 2 5 6 1 .
3 5
1 3
Consideriamo, invece, la matrice B . Come si vede facilmente (esercizio) det B 0 .
3 9
Esistono quindi matrici non nulle che hanno determinante nullo.
Chiameremo matrici degeneri le matrici non nulle che presentano determinante nullo.
Prima di introdurre il calcolo per il determinante delle matrici quadrate di ordine maggiore di 2, dobbiamo
presentare un nuovo concetto, ad esso correlato.
© Lorenzo Meneghini 10 – 5
Chiameremo complemento algebrico dell’elemento a11 , e scriveremo A11 , il numero ottenuto dalla
formula:
11 a22 a23
A11 1
a 32 a 33
Più in generale, data la matrice A aij , il complemento algebrico dell’elemento ahk è costituito dal
determinante della nuova matrice ottenuta sopprimendo, in A, la h-esima riga e la k-esima colonna e,
h k
preceduto dal fattore 1 .
1 1 2
Consideriamo, quindi, la matrice A 3 0 4 .
1 2 5
Il complemento algebrico dell’elemento a23 è
2 3 1 1
1 1 2
1 1 1
Possiamo utilizzare, ora, quanto appreso sui complementi algebrici per introdurre la procedura di calcolo
del determinante di una matrice quadrata di ordine n. Si può dimostrare il
ESEMPI
1 2 4
Calcolare A 3 2 6
0 1 2
Sviluppiamo il determinante secondo la 1° riga. Risulta
2 2 6 3 3 6 4 3 2
A 1 1 2 1 4 1
1 2 0 2 0 1
Essendo
2 6 3 6 3 2
4 6 10 60 6 30 3
1 2 0 2 0 1
otteniamo
A 1 10 2 6 4 3 10 12 12 10
Osserviamo che, in base al teorema di Laplace, il risultato ottenuto deve coincidere con quello ricavato
sviluppando il determinante rispetto all’ultima riga:
4 2 4 5 1 4 6 1 2
A 0 1 1 1 2 1 18 2 4 10
2 6 3 6 3 2
La maggiore comodità di calcolo, in questo caso, dipende dalla presenza dello zero al posto a 31 .
© Lorenzo Meneghini 10 – 6
2 1 1 2
1 4 1 0
Calcolare B
3 1 3 1
2 2 1 0
In questo caso, vista la presenza dei due zeri in 4° colonna, svilupperemo il determinante rispetto –
appunto – alla 4° colonna: B 2 B14 0 B24 1 B34 0 B44
Si verifica facilmente (esercizio) che:
1 4 1 2 1 1
B14 3 1 3 49 e B34 1 4 1 21
2 2 1 2 2 1
e quindi
B 2B14 B34 98 21 77
Sulla base di quanto osservato ai paragrafi precedenti, possiamo affermare che il determinante è una
funzione
det : M n
A A
che gode di particolari proprietà. Alcune di tali proprietà sono particolarmente utili sia nel calcolo del valore
che negli sviluppi successivi della matematica; noi esamineremo le principali, senza avere sempre la pretesa
di dimostrarle, ma fornendo – piuttosto – opportuni esempi.
3) Se in una matrice compare una riga (o una colonna) con tutti gli elementi nulli, allora il suo
determinante è 0.
Per la dimostrazione basta sviluppare il determinante secondo quella particolare riga (risp. colonna).
5) Scambiando tra loro due righe o due colonne di una matrice A, cambia il segno di A .
Osserviamo il seguente esempio.
© Lorenzo Meneghini 10 – 7
1 0 2 1 1 0 2 1
3 1 2 0 0 0 1 2
si nota lo scambio della 2° riga
Nelle due matrici A e B
0 0 1 2 3 1 2 0
3 2 2 1
3 2 2 1
con la 3°. Calcoliamo il determinante di A rispetto alla 3° riga:
1 0 1 1 0 2
6 7
A 1 1 3 1 0 2 1 3 1 2
3 2 1 3 2 2
1 0 1 1 0 2
Si verifica facilmente (esercizio) che 3 1 0 10 e 3 1 2 12 ; perciò
3 2 1 3 2 2
A 10 2 12 14
Calcoliamo, ora, il determinante di B rispetto alla 2° colonna (completare le parti mancanti per
esercizio):
1 2 1 1 2 1
5 6
B 1 1 0 1 2 2 1 0 1 2 ... 4 2 5 14
3 2 1 3 2 0
6) Se in una matrice quadrata vi sono due righe (risp. colonne) uguali o proporzionali, allora il suo
determinante è 0.
0 2 0
Ad esempio, consideriamo la matrice A 1 3 1 , che presenta due colonne uguali.
5 2 5
Sviluppando il suo determinante rispetto alla 1° riga:
1 1
A 2 2 5 5 0
5 5
1 2 3
Consideriamo ora la matrice B 2 4 6 , che ha le prime due righe tra loro proporzionali.
0 1 5
Sviluppando il determinante rispetto alla 1° colonna:
1 2 3
4 6 2 3
2 4 6 1 2 14 2 7 0
1 5 1 5
0 1 5
7) Se si moltiplicano gli elementi di una riga (risp. colonna) della matrice A per un numero reale , allora
anche il determinante di A viene moltiplicato per .
Immaginiamo di sviluppare il determinante di A rispetto alla 1° riga:
A a11A11 a12A12 ... a1n A1n
Moltiplicando la 1° riga della matrice A per si ottiene una nuova matrice A ' ; chiaramente i
complementi algebrici degli elementi della prima riga di A ' sono identici a quelli di A (nelle righe dalla
2 alla n le matrici coincidono). Sviluppando il determinante di A ' rispetto alla sua 1° riga:
A ' a11A11 a12A12 ... a1n A1n a11A11 a12A12 ... a1n A1n A
© Lorenzo Meneghini 10 – 8
8) Se si addiziona a una riga (risp. colonna) di un determinante un multiplo di un’altra riga (risp.
colonna), il valore del determinante non varia.
Verifichiamo la proprietà nel caso semplificato di una matrice quadrata di ordine 2.
a b a b ma
Consideriamo le matrici A e B
c d mc .
c d
Osserviamo che A ad bc e B a d mc c b ma ... ad bc A .
Tale proprietà può essere dimostrata anche per matrici quadrate di ordine n.
9) Il determinante di una matrice nella quale una riga (risp. colonna) sia combinazione lineare di altre
due righe (risp. colonne) è uguale a zero.
Prima di dimostrare la proprietà nel caso semplificato di matrici di ordine 3, diciamo che a riga Aj è
combinazione lineare delle righe Ai e Ak se e solo se esistono due coefficienti non nulli e tali
che:
Aj Ai Ak
Consideriamo ora la matrice A M 3 , in cui la 3° riga sia combinazione lineare delle prime due:
a11 a12 a13
A a 21 a22 a23
11
a a 21 a 12 a 22 a13 a 23
Calcoliamo il determinante sviluppandolo rispetto alla 3° riga:
A a11 a21 A31 a12 a22 A32 a13 a 23 A33
a11A31 a12A32 a13 A33 a21A31 a22A32 a23 A33
a11 a12 a13 a11 a12 a13
a21 a22 a23 a21 a22 a23 0 ,
a11 a12 a13 a21 a22 a23
ricordano la proprietà(6).
© Lorenzo Meneghini 10 – 9
10.5 RANGO DI UNA MATRICE
Data una matrice A M m,n e fissato un indice p min m, n , consideriamo una qualsiasi matrice
quadrata costruita mediante p righe e p colonne di A. Diremo che questa nuova matrice è “estratta” da A.
Il determinante di questa nuova matrice quadrata, estratta da A, si chiama minore di ordine p della matrice
A.
a11 a12 a13 a14 a15
a a 22 a 23 a24 a 25 a a a a13
Per esempio, se A 21 , i determinanti 11 14 e 12 sono due minori di
a 31 a 32 a 33 a 34 a 35 a a a a
21 24 32 33
a 41 a 42 a 43 a 44 a 45
Consideriamo ora tutti i minori non nulli estratti da una matrice A diversa dalla matrice nulla. Si dice rango
di A il numero intero che identifica l’ordine massimo dei suoi minori non nulli. Indicheremo il rango di A con
il simbolo rg A .
È facile osservare che la matrice nulla ha rango 0, mentre avrà rango 1 qualsiasi matrice che abbia un unico
elemento non nullo.
Inoltre, se A Mn possiamo dire che rg A n ed inoltre rg A n A 0 .
ESEMPI
2 1 3
La matrice A 1 0 0 ha rango 2. Infatti la 1° e la 3° riga sono proporzionali e quindi A 0 ,
4 2 6
2 1
ma 1.
1 0
1 2 0
1 2
La matrice 2 3 B non può avere rango maggiore di 2; d’altra parte 1 è un
0 1 1 0 1
minore non nullo estratto da B.
0 1 3 2
Consideriamo la matrice C 0 2 6 4 M 3,4 . Chiaramente non può avere rango maggiore
0 1 3 2
di 3; d’altra parte C ha la 1° e la 3° riga uguali, quindi non può avere rango 3, essendo banalmente
1 3 2
2 6 4 0
1 3 2
© Lorenzo Meneghini 10 – 10
Il rango di C non può, quindi, superare 2. Osservano bene la matrice si vede anche che la 2° riga è
proporzionale alla 1°. In base a questo si riesce a verificare (esercizio) che ogni minore di ordine 2 è
nullo. Concludendo: rg C 1
Concludiamo il paragrafo enunciando (senza,però, dimostrarle) alcune importanti proprietà del rango di
una matrice, che derivano dalle proprietà dei determinanti.
1) Se in una matrice si scambiano tra loro due o più righe (risp. colonne), il suo rango non cambia.
2) Il rango di una matrice non si altera se si moltiplicano tutti gli elementi per uno stesso numero diverso
da zero.
3) Se ad una matrice si aggiunge una riga (risp. colonna), combinazione lineare di più righe (risp.
colonne), il suo rango non cambia.
Diremo che la matrice A Mn è invertibile se e solo se esiste una matrice A1 Mn tale che
A A1 A1 A I
Si può dimostrare il
TEOREMA
La matrice A Mn è invertibile se e solo se det A 0 .
Per cercare la procedura che ci consente di determinare la matrice inversa di una matrice A Mn
dobbiamo prima definire un nuovo concetto: chiameremo matrice cofattore, indicata con cofA , la matrice i
cui elementi sono i complementi algebrici degli elementi di A.
Si può dimostrare il
TEOREMA
Per ogni matrice A Mn , con n 2 , si ha
T
A cofA det A I .
In particolare, se det A 0 l’inversa della matrice A è data da
1 T
A1 cofA
A
ESEMPIO
1 2 1
Determinare la matrice inversa di A 1 0 1 .
3 1 0
Iniziamo con la determinazione dei vari complementi algebrici, che consentono di trovare la matrice cofA .
© Lorenzo Meneghini 10 – 11
Ricordando la definizione di complemento algebrico, otteniamo:
0 1 1 1 1 0
A11 1 , A12 3, A13 1
1 0 3 0 3 1
ed, analogamente
A21 1 , A22 3 , A23 5 , A31 A33 2 e A32 2
ESERCIZI PROPOSTI
© Lorenzo Meneghini 10 – 12
Dopo aver controllato l’invertibilità delle seguenti matrici, se ne determini l’inversa, se esiste.
1 2 1 2 3
o 3 4 3 2 1
o
2
2 1 3 0 2
o 0 1 1 0 0 1
1 2 0 0 1 0
o
1 0 0
3 1 2 4
2 0 5 1 1 0 0
o
1 1 2 6 0 0 1
o
2 3 2 3 0 2 0
1 2 0 1 2 0
1 0 2
o 0 1 0
o
1 3 1 0 0 3
1 2 3 0 0 1
0 4 5
o 1 1 0
o
0
0 6 3 3 0
© Lorenzo Meneghini 10 – 13
Capitolo 11
Sistemi lineari
In questo capitolo esamineremo alcuni elementi di algebra lineare, con particolare riferimento alla
risoluzione dei sistemi di primo grado.
Ci chiediamo ora come trovare le soluzioni dell’equazione (1). È facile intuire che per un’equazione in 4
incognite le soluzioni sono infinite. Consideriamo, infatti, la precedente equazione ed osserviamo che può
essere riscritta nella forma:
x 2 3x 1 2x 3 2x 4 5 ,
ove le variabili x 1 , x 3 e x 4 possono assumere qualsiasi valore reale.
© Lorenzo Meneghini 11 – 1
CASO 4: Il
termine noto b è nullo.
In questo caso l’equazione diventa a1x 1 a2x 2 ... an x n 0 e si dice omogenea. È evidente che
un’equazione omogenea ammette sempre la soluzione banale costituita dalla n-upla 0, 0,..., 0 .
Il sistema (2) si dice compatibile se ammette almeno una soluzione; nel caso contrario si dice impossibile.
Risolvere un sistema lineare significa innanzitutto stabilire se esso ammetta soluzioni oppure no e, nel caso
in cui ve ne siano, determinarle tutte.
In questo paragrafo ci occuperemo di tutti quei casi in cui il numero delle equazioni sia pari al numero delle
incognite; in questo caso la matrice (3) è quadrata e sussiste il seguente
TEOREMA
Sia A la matrice dei coefficienti del sistema Ax b ; se det A 0 , allora il sistema ammette una ed una
sola soluzione:
x A1b
DIM
Se det A 0 , la matrice è invertibile. Consideriamo l’inversa A1 ed il prodotto matriciale
© Lorenzo Meneghini 11 – 2
A1 Ax A1b (4)
Dal momento che A1 è l’inversa di A, risulta banalmente A1A I e la (4) si riduce a x A1b .
c.v.d.
Presentiamo ora due metodi alternativi per la risoluzione di un sistema n × n. Osserveremo che il secondo
è, in generale, di più facile applicazione rispetto al primo (che richiede calcoli normalmente più laboriosi).
Il primo metodo che presentiamo è basato sul teorema di Cramer, di cui omettiamo la dimostrazione.
TEOREMA DI CRAMER
Un sistema Ax b di n equazioni in n incognite, con det A 0 , ammette un’unica soluzione data da:
1 2 n
x1 , x2 , … xn ,
A A A
ove i è la matrice n n che si ottiene sostituendo la i-esima colonna di A con i termini noti.
ESEMPI
2x y z 1
x 2y 2z 5
x z 1
2 1 1
La matrice dei coefficienti è A 1 2 2 ed il suo determinante vale (esercizio) A 5 .
1 0 1
Pertanto il sistema ammette un’unica soluzione.
Sostituendo, poi, ordinatamente la colonna dei termini noti otteniamo le matrici
1 1 1 2 1 1 2 1 1
1 5 2 2 2 1 5 2 3 1 2 5
1 0 1 1 1 1 1 0 1
i cui determinanti sono (esercizio), rispettivamente: 1 3 , 2 3 e 3 8 .
Per il teorema di Cramer, allora:
1 3 2 3 3 8
x y z
A 5 A 5 A 5
x y z t 1
2x y 2t 0
x 3z 2
2x 2y 2z 2t 3
1 1 1 1
2 1 0 2
La matrice dei coefficienti è a . Come si vede la 4° riga è multipla della 1°. Pertanto
1 0 3 0
2 2 2 2
il determinante della matrice è nullo ed il teorema di Cramer non può essere applicato.
È importante osservare che l’applicazione del teorema di Cramer a sistemi n × n richiede il calcolo di n + 1
determinanti di ordine n. Questo può risultare oltremodo laborioso quando n > 3.
© Lorenzo Meneghini 11 – 3
METODO DI ELIMINAZIONE DI GAUSS
Questo metodo di risoluzione dei sistemi lineari è basato sulla trasformazione del sistema (e delle matrici
ad esso associate) mediante opportune operazioni elementari, in modo che le soluzioni non cambino.
Prima di introdurre le operazioni elementari, dobbiamo definire la matrice completa del sistema, che si
ottiene affiancando alla matrice dei coefficienti la colonna dei termini noti.
In base a questa definizione, la matrice completa del sistema
a11x 1 a12x 2 ... a1n x n b1
a21x 1 a22x 2 ... a2n x n b2
...
a x am 2x 2 ... amn x n bm
m1 1
è quindi
a11 a12 ... a1n b1
a a ... a
21 22 b2
2n
... ... ... ... ...
am 1 am 2 ...amn bn
Le operazioni permesse sono:
o moltiplicare una riga per un fattore non nullo
o scambiare di posto due righe
o sostituire una riga della matrice con la combinazione lineare di due qualsiasi righe
L’obiettivo è ridurre la matrice dei coefficienti in forma triangolare, che rende più agevole la risoluzione del
sistema.
Chiariremo la situazione con alcuni esempi opportuni.
ESEMPI
x y z 6
2x y z 3
3x 2y 2z 1
La matrice completa del sistema è
1 1 1 6
2 1 1 3
3 2
2 1
Sottraiamo alla 2° riga la 1° moltiplicata per due:
1 1 1 6
0 3 3 15
3 2
2 1
Sottraiamo alla 3° riga la 1° moltiplicata per tre e dividiamo la 2° per – 3:
1 1 1 6
0 1 1 5
0 1 5 17
Sommiamo la 2° riga alla 3° riga:
1 1 1 6
0 1 1 5
0 0 4 12
Abbiamo trasformato il sistema e possiamo riscriverlo in una forma molto più semplice da risolvere:
© Lorenzo Meneghini 11 – 4
x y z 6
x y 3 6
x 2 3
x 1
y z 5 ⇔
y 3 5
⇔ y 2
⇔ y 2
4z 12
z 3
z 3
z 3
La soluzione del sistema è 1, 2, 3 .
x y z 2t 9
2x y z t 0
x 2z 3t 11
x 2y z 2t 4
La matrice completa del sistema è
1 1 1 2 9
2 1 1 1 0
1 0 2 3 11
1 2 1 2 4
Trasformiamo la matrice con una sequenza di operazioni elementari:
1 1 1 2 9 2 2 2 4 18 1 1 1 2 9
2 1 1 1 0 2 1 1 1 0 0 3 3 5 18
→ → →
0 1 3 5 20 0 3 9 15 60 0 3 9 15 60
0 3 2 4 13 0 3 2 4 13 0 0 7 11 47
1 1 1 2 9 1 1 1 2 9 1 1 1 2 9
0 3 3 5 18
0 3 0 0 3 0 1 0 0 1
→ → →
0 0 3 5 21 0 0 21 35 147 0 0 3 5 21
0 0 7 11 47 0 0 21 33 141 0 0 0 2 6
1 0 1 2 10
0 1 0 0 1
0 0 3 5 21
0 0 0 1 3
Otteniamo quindi il sistema:
x z 2t 10
x z 6 10
x 2 4
y 1
y 1
y 1
⇔ ⇔
3z 5t 21
3z 6
z 2
t 3
t 3
t 3
Le soluzioni del sistema sono pertanto 2,1, 2, 3
Per studiare la compatibilità dei sistemi lineari di n equazioni in m incognite, con m non necessariamente
uguale a n, utilizziamo un importante teorema, che ci limitiamo ad enunciare.
Questo teorema ci consente di stabilire se il sistema sia compatibile o meno. Per risolverlo dobbiamo
procedere in questo modo:
© Lorenzo Meneghini 11 – 5
o Se la matrice completa ha rango p, estraiamo dal sistema esattamente p equazioni che corrispondono
alle righe di un minore di A di ordine p (sicuramente ne esiste almeno uno, essendo rg(A) = p)
o Si sostituiscono, in tali equazioni n – p incognite con dei parametri arbitrari
o Si risolve il sistema con uno dei metodi precedentemente introdotti
Dal momento che vi sono n – p parametri, diremo che il sistema ammette n p soluzioni.
Chiariamo quanto espresso mediante opportuni esempi.
ESEMPI
x 2y z t 2
2x y z 2t 3
1 2 1 1
La matrice dei coefficienti del sistema è ed ha rango 2 essendo, ad esempio:
2 1 1 2
1 2
5
2 1
La matrice completa è 2 5 e non può, quindi, avere rango maggiore di 2; dal momento che la matrice
dei coefficienti ha rango 2, quindi, anche la matrice completa ha rango 2.
Per il teorema di Rouchè-Capelli, quindi, il sistema è compatibile ed ammette 2 soluzioni.
Spostiamo a 2° membro i termini che coinvolgono le incognite x e t; otteniamo il nuovo sistema
2y z 2 x t
y z 3 2x 2t
Sommando membro a membro:
y 1 3x t
y 1 3x t
⇔
y z 3 2x 2t
z 4 5x 3t
La soluzione del sistema è, pertanto:
x,1 3x t, 4 5x 3t, t
x y z t 3
2x z t 1
x y z 2t 2
1 1 1 1
La matrice dei coefficienti del sistema è 2 0 1 1 ed ha rango 3 in quanto il minore
1 1 1 2
1 1 1
corrispondente alle prime 3 colonne è (esercizio): 2 0 1 4
1 1 1
Dal momento che la matrice dei coefficienti ha rango massimo, il sistema è compatibile ed ammette
1 soluzioni. Per determinarle, spostiamo i termini corrispondenti alla variabile t a secondo membro
x y z 3 t
2x z 1 t
2x z 1 t ⇔
x y z 3 t
x y z 2 2t
x y z 2 2t
poi applichiamo il metodo di Gauss:
© Lorenzo Meneghini 11 – 6
2 0 1 1 t 2 0 1 1 t 2 0 1 1 t 2 0 1 1 t
1 1 1 3 t → 1 1 1 3 t → 2 2 2 6 2t → 0 2 3 5 3t
1 1 1 2 2t 0 0 2 1 3t
0 0
2 1 3t
0 0 2 1 3t
Quindi:
1 3t
t 3
2x 1t
x
2x z 1 t
2
4
1 3t 3t 7
2y 3z 5 3t ⇔ 2y 3 5 3t ⇔ … y
2
4
2z 1 3t
1 3t
1 3t
z z
2
2
La soluzione generale del sistema è, quindi
t 3 3t 7 1 3t
, ,
4 4 2
Si chiama omogeneo un sistema lineare di m equazioni in n incognite in cui la colonna dei termini noti è una
m-upla di zeri, cioè un sistema del tipo:
a11x 1 a12x 2 ... a1n x n 0
a21x 1 a22x 2 ... a2n x n 0
...
a x am 2x 2 ... amn x n 0
m1 1
È ovvio che un sistema lineare omogeneo ammette sicuramente la soluzione 0, 0,..., 0 , detta soluzione
banale; infatti, le equazioni del sistema sono soddisfatte ponendo in ciascuna di esse x i 0 per
i 1, 2,...n .
Cerchiamo di stabilire quando un sistema lineare omogeneo ammette soluzioni non banali. Distingueremo
tre casi.
CASO 1: m n
In questa situazione il numero delle equazioni è inferiore a quello delle incognite. Si può dimostrare il
seguente
TEOREMA
Se un sistema lineare omogeneo di m equazioni in n incognite risulta n m , allora esso ammette soluzioni
non banali.
CASO 2: m n
In questa situazione il numero delle equazioni è uguale a quello delle incognite. Dobbiamo distinguere due
sottocasi; indicata con A la matrice dei coefficienti del sistema:
o A 0 – In base al Teorema di Cramer, il sistema ammette un’unica soluzione, cioè quella banale.
o A 0 – Essendo A 0 , la matrice dei coefficienti ha rango p n ; completando la matrice con la
colonna dei termini noti (tutti nulli) il rango non si altera. Per il Teorema di Rouchè-Capelli, il sistema
ammette n p soluzioni non banali.
Concludendo: un sistema lineare omogeneo di ordine n ammette soluzioni non banali se e solo se la sua
matrice dei coefficienti ha determinante nullo.
© Lorenzo Meneghini 11 – 7
CASO 3: m n
In questa situazione il numero delle equazioni è maggiore di quello delle incognite. Si può dimostrare il
seguente
TEOREMA
Condizione necessaria e sufficiente affinchè un sistema lineare omogeneo ammetta soluzioni non banali è
che il rango della matrice dei coefficienti sia minore del numero delle incognite.
ESEMPI
x 2y z 0
2x y z 0
1 2 1 2 1
La matrice dei coefficienti è A ed ha rango massimo (cioè 2) poiché 1 0 .
2 1 1 1 1
Dal momento che il sistema ha più incognite che equazioni, possiamo dedurre che esso ammette
soluzioni non banali. Possiamo osservare che il sistema equivalente
2y z x
y z 2x
può essere risolto sottraendo le equazioni membro a membro:
y x
y x
⇔
x z 2x
z 3x
Le soluzioni sono, quindi, terne del tipo x , x , 3x , con x .
x y z 0
2x 3y z 0
x 2y z 0
1 1 1
La matrice dei coefficienti è A 2 3 1 ed ha rango 3, essendo (esercizio)
1 2 1
1 1 1
A 2 3 1 11 .
1 2 1
Pertanto, il sistema ammette la sola soluzione banale 0, 0, 0 .
x y z 0
3x y 2z 0
4x 3z 0
1 1 1
La matrice dei coefficienti è A 3 1 2 ed ha rango 2, essendo (esercizio)
4 0 3
1 1 1
1 2
A 3 1 2 0 e 3 0
0 3
4 0 3
© Lorenzo Meneghini 11 – 8
Quindi il sistema ammette soluzioni non banali; estraendo le equazioni corrispondenti al minore non
nullo si ottiene il nuovo sistema:
3x y 2z 0
3x 2z y
⇔
4x 3z 0
4x 3z 0
La matrice completa di questo nuovo sistema è
3 2 y 12 8 4y 3 2 y 3 0 9y 1 0 3y
4 3 0 → 12 9 0 → 0 1 4y → 0 1 4y → 0 1 4y
Otteniamo, quindi, le soluzioni 3y, y, 4y , con y .
x y z 0
2x y 3z 0
3x 2z 0
4x y z 0
In questo caso il numero delle equazioni supera quello delle variabili. La matrice dei coefficienti è:
1 1 1
2 1 3
A
3 0 2
4 1 1
Il rango non può essere maggiore di 3; osserviamo, poi, che il rango non può nemmeno essere 3,
poiché la terza riga è una combinazione lineare delle prime due e la quarta è una combinazione lineare
della 1° e della 3° riga. Possiamo concludere che tutti i minori di ordine 3 sono nulli.
0 2
D’altra parte 2 0 , quindi la matrice ha rango 2 ed ammette, perciò, 1 soluzioni;
1 1
isolando le ultime equazioni otteniamo:
3x 2z 0
4x z y
La matrice completa di questo nuovo sistema è
3 2 0 12 8 0 3 2 0
4 1 y → 12 3 3y → 0 5 3y
Pertanto:
3
3
z y
z y
5 ⇔ 5
6
2
3x y x y
5
5
Otteniamo, quindi, le soluzioni 2y, 5y, 3y , con y .
© Lorenzo Meneghini 11 – 9
ESERCIZI PROPOSTI
Servendosi del teorema di Rouchè-Capelli, stabilire quali dei seguenti sistemi sono compatibili e, in caso
affermativo, trovarne le soluzioni.
x 2y 1 x y z 2
5 z 3 3z
o
, , z
o
2x y 2 1, 0 2x 2y z 1 4 4
3x y 3
x 2y z t 1
t 1 3t 2z 3
x 2y 1 o
2x t 1 , , z, t
2 4
o 2x y 2 incomp.
x 2y z 2t 2
3x y 1
x y z t 3
x y z 1 o x y z t 1
1, 2 z, z, 0
o 2x y z 0 incomp.
3x y z 2t 1
y z 1
Dire quali dei seguenti sistemi omogenei ammettono soluzioni non banali e – in caso affermativo –
determinarle.
2x y z 0
x y z t 0
o
x, 3x, 5x
x 2y z 0
x y z t 0
sol. banale
o
x y z t 0
x y z t 0
x 2y z 0
o
2x y z t 0 0, y, 0, y
x y z t 0
x y z t 0
x 2y 2z t 0
x 2y z 0
0, y, y, 0
o
2x y z 2t 0
o
x y 2z 0 sol. banale
2x y z t 0
2x y z 0
© Lorenzo Meneghini 11 – 10
Capitolo 12
In questo capitolo presenteremo per sommi capi una piccola parte della teoria delle equazioni differen-
ziali. Si tratta di particolari equazioni che coinvolgono una funzione e le sue derivate e consentono di
risolvere problemi applicativi di una certa rilevanza, non solo in ambito fisico.
12.1 INTRODUZIONE
Come si vede, l’obiettivo di questo problema è determinare l’espressione di una funzione di cui sia nota la
derivata prima. Ricordando quanto detto al §8.6, in questo caso la sola conoscenza della derivata prima non
ci consente di determinare univocamente la funzione cercata; per questo il quesito fornisce implicitamente
una seconda condizione che identifica la primitiva da trovare rispetto a tutte le altre.
Un’equazione funzionale come quella presentata nel quesito si chiama equazione differenziale. Più in gene-
rale, consideriamo il problema di determinare una funzione incognita y y x conoscendo, non tanto la
sua derivata, ma una relazione qualsiasi tra la variabile indipendente x, la funzione incognita y e la sua deri-
vata prima y; la scrittura:
F x , y, y ' 0
prende il nome di equazione differenziale del primo ordine ed ogni funzione che la soddisfa si chiama solu-
zione (o integrale) dell’equazione differenziale data.
In modo analogo si definiscono le equazioni differenziali di ordine n, come equazioni del tipo
F x , y, y ',..., y 0
n
Poiché per determinare la soluzione di un’equazione differenziale bisognerà, in linea di principio, ricorrere
al calcolo integrale, la soluzione di un’equazione differenziale ordinaria risulterà essere una funzione
y y x , c1, c2 ,..., cn
dipendente da n costanti arbitrarie, che verranno determinate in base a n condizioni iniziali:
y x 0 y 0 , y ' x 0 y1 , … y x 0 yn 1 .
n 1
Un problema di Cauchy del primo ordine consiste nel cercare una funzione y continua e derivabile in un in-
tervallo I 0 contenente un punto x 0 tale che:
y ' x f x , y x x I 0 ,
(1)
y x 0 y 0
© Lorenzo Meneghini 12 – 1
ove – nei casi interessanti per noi – la funzione f è definita e continua in I 0 e y 0 . Il problema di
Cauchy (1) è del primo ordine in quanto interviene la sola derivata prima della funzione y ; se, invece, con-
siderassimo problemi differenziali di ordine n della forma
y n x f x , y x , y ' x ,..., y n 1 x
x I 0 ,
y x 0 y 0
y ' x y
0 1
...
n 1
y
x 0 yn 1
Si può dimostrare che per tutti i modelli di equazioni differenziali che tratteremo in questo percorso, il rela-
tivo problema di Cauchy ammette UNA ED UNA SOLA soluzione.
Dal momento che i coefficienti ci non sono entrambi nulli, possiamo assumere che c1 0 ; di conseguenza
possiamo scrivere:
c2
f1 x f2 x 0
c1
cioè
c2
f1 x f2 x .
c1
Pertanto:
Due funzioni sono linearmente dipendenti se e solo se sono proporzionali tra loro.
La definizione precedente può essere estesa al caso di n funzioni f1 x , f2 x ,..., fn x dicendo che sono
linearmente dipendenti se esistono n coefficienti reali c1, c2 ,..., cn non tutti nulli e tali che
c1 f1 x c2 f2 x ... cn fn x 0 .
In modo analogo a quanto detto precedentemente, se n funzioni sono linearmente dipendenti, allora pos-
siamo supporre che c1 0 ; in tal caso si può scrivere la funzione f1 x come combinazione lineare (vd.
§10.4) delle altre n – 1:
f1 x k2 f2 x k3 f3 x ... kn fn x ,
c
ove ki i , i 2,..., n .
c1
A questo punto diciamo che le funzioni y f1 x e y f2 x sono linearmente indipendenti se e solo se
non sono linearmente dipendenti.
© Lorenzo Meneghini 12 – 2
12.4 EQUAZIONI DIFFERENZIALI A VARIABILI SEPARABILI
Iniziamo ora a presentare alcune classi di problemi differenziali risolvibili con strumenti elementari. Le e-
quazioni differenziali a variabili separabili sono una particolare classe di equazioni differenziali del primo
ordine che si presentano (o si possono porre nella forma)
y ' g x h y
ove g x e h y sono funzioni continue – rispettivamente – nelle variabili x e y .
In questo caso dobbiamo ricordare che la derivata prima di una funzione può essere scritta come rapporto
tra differenziali (vd. §6.5); perciò la precedente equazione si può riscrivere così:
dy dy
g x h y g x dx
dx h y
Per arrivare alla soluzione ci basterà integrare membro a membro la precedente uguaglianza.
È bene osservare che l’equazione presentata nel §12.1 è un’equazione a variabili separabili in cui
g x 2x 2 6 e h y 1 .
Analizziamo alcuni esempi, partendo proprio da quello introduttivo.
ESEMPI:
Consideriamo il quesito dell’Esame di Stato, presentato al §12.1.
Dobbiamo considerare l’equazione y ' 2x 2 6 ; separando le variabili otteniamo:
dy 2x 2 6 dx .
Integrando membro a membro, otteniamo:
2
y c1 x 3 6x c2
3
ove c1 e c2 sono costanti arbitrarie; esplicitando 1 la variabile y si ricava l’integrale generale
dell’equazione differenziale:
2
y x 3 6x c
3
Il quesito di partenza non è, però, completamente risolto; esso infatti chiede di trovare, nella famiglia
di funzioni appena calcolata, quella il cui grafico è tangente alla retta y 2x 5 in un punto (non
meglio precisato) del secondo quadrante.
Com’è facile comprendere, il quesito non si presenta come un “classico” problema di Cauchy, in quan-
to dobbiamo determinare anche la condizione iniziale in base ad altri dati forniti dal testo.
Ricordando l’interpretazione geometrica della derivata, il punto di tangenza è quello in cui risulta
f ' x 2 , cioè il coefficiente angolare della generica tangente è uguale a quello della retta data.
Risolvendo l’equazione f ' x 2 (ESERCIZIO!) otteniamo x1,2 2 ; dal momento che il punto di
tangenza è nel 2° quadrante, dobbiamo porre x 0 2 per trovare – tramite l’equazione della tangen-
te – l’ordinata del punto di tangenza:
y 0 2 2 5 9
La condizione iniziale del problema di Cauchy è, quindi: y 2 9 . Pertanto
2 3 20 47
y 2 2 6 2 c c 9 c
3 3 3
1
Potrebbe sembrare che una delle due costanti ci sia “sparita”; in realtà la costante c è anch’essa arbitraria tanto
quanto c1, c2 . Per questo motivo, nel seguito quando scriveremo l’espressione dell’integrale generale dell’equazione
differenziale inseriremo un’unica costante additiva c.
© Lorenzo Meneghini 12 – 3
La funzione cercata è, perciò:
2 47
y x 3 6x
3 3
Traccia il grafico della curva integrale dell’equazione differenziale x 2 y ' 2 che passa per P 3, 2
.
Si tratta, in sostanza, di risolvere il problema di Cauchy:
y ' 2 x 2
x 2
y 3 2
Dopo aver separato le variabili, integriamo membro a membro (ESERCIZIO!); otteniamo:
y x 2 ln x 2 c
Imponendo la condizione data otteniamo (ESERCIZIO!): c 2 .
La funzione cercata è pertanto:
y x 2 ln x 2 2 .
Il grafico richiesto può essere facilmente dedotto da funzioni elementari o – a scelta – determinato
mediante uno studio di funzione piuttosto semplice:
1
Determinare la soluzione particolare dell’equazione differenziale y ' 4x 2 che soddisfi la condizione
y 1 12 .
[USA Arkansas Council of Teachers of Mathematics, State Mathematics Contest, 2003]
© Lorenzo Meneghini 12 – 4
y x 8 x c
cioè tutte le equazioni differenziali in cui la funzione F x , y, y ',..., y n è lineare nel complesso delle sue va-
riabili.
Si parla, poi, di equazioni differenziali lineari a coefficienti costanti in tutti quei casi in cui le funzioni a(x),
b(x), … siano costanti al variare di x.
Nel seguito faremo esplicito riferimento solo a questo caso.
Un’equazione differenziale lineare si dice, poi, omogenea se la funzione f(x) è identicamente nulla, mentre
si dice non omogenea in caso contrario.
Consideriamo un’equazione differenziale lineare omogenea a coefficienti costanti del primo ordine:
ay ' by 0 .
Chiaramente si tratta di un’equazione a variabili separabili di facile soluzione; separando le variabili ed inte-
grando (ESERCIZIO!) si ottiene la famiglia di curve di equazione:
y kex
b
ove è la soluzione dell’equazione algebrica a b 0 , detta equazione caratteristica.
a
RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI LINEARI ED OMOGENEE DEL 2° ORDINE (A COEFFICIENTI COSTANTI)
TEOREMA 1
Siano y1 x e y2 x due soluzioni dell’equazione differenziale omogenea a coefficienti costanti:
ay " by ' cy 0
e siano k1, k2 due costanti arbitrarie.
Allora anche la funzione y x k1y1 x k2y2 x , combinazione lineare di y1 x e y2 x , è una soluzio-
ne dell’equazione data.
DIMO.
Ricordiamo che y1 x e y2 x sono soluzioni dell’equazione data e verifichiamo che anche y x lo è.
ay " by ' cy a k1y "1 k 2y "2 b k1y '1 k2y '2 c k1y1 k2y2
k1 ay "1 by '1 cy1 k2 ay "2 by '2 cy 2 0
NOTA: Inbase al teorema precedente, per ottenere la soluzione generale di un’equazione differenziale line-
are a coefficienti costanti bisogna prendere una combinazione lineare di due qualsiasi delle sue soluzioni
linearmente indipendenti tra loro. Resta da risolvere il problema della determinazione delle soluzioni line-
armente indipendenti di tali equazioni.
© Lorenzo Meneghini 12 – 5
Avendo osservato che, per le equazioni differenziali lineari del primo ordine a coefficienti costanti tale pro-
blema è risolto da funzioni esponenziali del tipo y ke x , dove risolve l’equazione caratteristica, voglia-
mo stabilire se un’idea simile possa essere utilizzata anche per le equazioni del second’ordine.
Consideriamo, quindi, l’equazione differenziale ay " by ' cy 0 , con a, b, c, , e cerchiamone una solu-
zione del tipo y ke x , con costante reale da determinare.
Derivando la funzione e sostituendola nell’equazione otteniamo la relazione
a 2ke x b ke x c ke x 0
cioè
ke x a 2 b c 0
TEOREMA 2
Se è una soluzione dell’equazione caratteristica (3), allora y e x è una soluzione dell’equazione diffe-
renziale data.
o CASO 1: >0
In tal caso l’equazione caratteristica ammette due soluzioni reali e distinte 1 e 2. Pertanto l’integrale
generale è:
y c1e 1x c2e 2x (4)
o CASO 2: =0
b
In tal caso l’equazione caratteristica ammette due soluzioni reali coincidenti 1,2 e la (4) si ri-
2a
duce a y ke x . È quindi necessario determinare un’altra soluzione dell’equazione differenziale indi-
pendente da y1 e x . Si verifica facilmente (ESERCIZIO – basta derivare e sostituire) che la funzione
y2 x e x
è un’altra soluzione dell’equazione data.
y2
Quanto all’indipendenza lineare, basta osservare che x non è costante, e che, perciò, le due fun-
y1
zioni non sono proporzionali. Possiamo concludere, pertanto, che l’integrale generale è:
y c1 c2 x e x (5)
o CASO 3: <0
2
In tal caso l’equazione caratteristica ammette due soluzioni complesse coniugate i .
Non ci dilungheremo nei dettagli, ma utilizzando la relazione di Eulero si può dimostrare che, in questo
caso, la soluzione generale è del tipo
2
Citiamo questa categoria di equazioni solo per completezza di trattazione, ma la loro soluzione esula dal programma
dell’esame di LSTVE.
© Lorenzo Meneghini 12 – 6
y e x c1 cos x c2 sen x (6)
RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI LINEARI NON OMOGENEE DEL 2° ORDINE (A COEFFICIENTI COSTANTI)
Data l’equazione differenziale lineare del second’ordine non omogenea ed a coefficienti costanti
ay " by ' cy f x (7)
dove f(x) è una funzione continua, non identicamente nulla, definita in un intervallo I , chiamiamo e-
quazione differenziale OMOGENEA ASSOCIATA all’equazione data, l’equazione
ay " by ' cy 0 . (8)
Indichiamo con x l’integrale generale della (8) e con x un integrale particolare della (7), e conside-
riamo la funzione
y x x x . (9)
TEOREMA 3
L’integrale generale di un’equazione differenziale lineare non omogenea a coefficienti costanti è uguale alla
somma dell’integrale generale dell’equazione omogenea associata e di un integrale particolare
dell’equazione data.
Rimane aperto, però, il problema della determinazione di un integrale particolare dell’equazione differen-
ziale data. Il metodo generale, dovuto a Lagrange, è piuttosto complicato; preferiamo pertanto seguire una
metodologia basata sull’analisi dei casi più frequenti.
In tal caso, un integrale particolare x dell’equazione completa sarà anch’esso un polinomio (di
grado m) i cui coefficienti sono da determinarsi in modo che soddisfi l’equazione completa.
Il grado m del polinomio x sarà al massimo n + 2, e precisamente:
c0 m=n
c=0b0 m=n+1
c=0b=0 m=n+2
Nell’ultimo caso, comunque, è molto più facile determinare x mediante due integrazioni successi-
ve.
se non è tra le soluzioni dell’equazione caratteristica, per trovare l’integrale particolare basterà
porre x Be x , con B costante da determinare in base all’equazione differenziale data.
© Lorenzo Meneghini 12 – 7
se è una delle due soluzioni distinte dell’equazione caratteristica, per trovare l’integrale partico-
lare dovremo prendere una funzione linearmente indipendente da e x ; dovremo, quindi, ricorrere
ad una funzione del tipo x Bx e x , con B costante da determinare in base all’equazione dif-
ferenziale data.
se è radice doppia dell’equazione caratteristica, per trovare l’integrale particolare dovremo pren-
dere una funzione linearmente indipendente sia da e x che da x e x ; dovremo, quindi, ricorrere
ad una funzione del tipo x Bx 2 e x , con B costante da determinare in base all’equazione dif-
ferenziale data.
Capita, a volte, che la funzione f x presente a secondo membro sia una combinazione lineare di alcune
funzioni esaminate nei casi precedenti. In questo caso, vale il
PRINCIPIO DI SOVRAPPOSIZIONE
Supponiamo di dover integrare un’equazione differenziale lineare completa del tipo
ay " by ' cy f1 x f2 x (10)
dove f1 x e f2 x sono funzioni continue.
Siano, inoltre, 1 x e 2 x rispettivamente un integrale particolare dell’equazione
ay " by ' cy f1 x
ed un integrale particolare dell’equazione
ay " by ' cy f2 x
La funzione x 1 x 2 x è un integrale particolare dell’equazione (10).
DIMO.
Infatti, in base alle ipotesi:
a " b ' c a 1 " 2 " b 1 ' 2 ' c 1 2
a 1 " b 1 ' c1 a 2 " b2 ' c2 f1 x f2 x
Il principio di sovrapposizione può essere facilmente generalizzato al caso di equazioni del tipo
3
Anche in questo caso, riportiamo la trattazione per completezza, ma questo aspetto del problema (che coinvolge i
numeri complessi) esula dal programma dell’esame di LSTVE.
© Lorenzo Meneghini 12 – 8
ay " by ' cy f1 x f2 x ... fn x
in cui ciascuna delle fi x è una funzione continua.
Per dare una risposta completa è necessario calcolare le derivate prima e seconda della funzione data e so-
stituire nelle quattro equazioni date. Risulta (ESERCIZIO!):
1 ln x 2 ln x 3
y' y " ...
x2 x3
e x 2x x 2 dx 2x e x dx x 2e xdx
Integrando per parti il 2° addendo otteniamo:
x 2e x dx x 2e x 2xe xdx
Pertanto
e x 2x x 2 dx 2x e xdx x 2e x dx 2xe x dx x 2e x 2xe x dx x 2e x c
© Lorenzo Meneghini 12 – 9
N. 3
Determinare le soluzioni dell’equazione differenziale y " 2y ' 15y f x , nel caso in cui:
a) f x e 2x b) f x x 2 c) f x e 3x
Innanzitutto risolviamo l’equazione omogenea associata; per farlo dobbiamo risolvere l’equazione caratte-
ristica 2 2 15 0 .
5
1 15 16 1,2 1 4
4
3
Quindi, l’integrale generale dell’equazione omogenea è:
x c1e 5x c2e 3x .
Passiamo ora al calcolo dell’integrale particolare dell’equazione differenziale non omogenea, nei casi pro-
posti.
a) In questo caso, la funzione è del tipo x ke 2x . Resta da trovare la costante k che risolve il proble-
ma. Derivando otteniamo ' x 2ke 2x e " x 4ke 2x ; sostituendo nell’equazione data otteniamo
la relazione:
4ke 2x 2 2ke 2x 15ke 2x e 2x
1
che dev’essere valida per ogni x . Risulta pertanto 7k 1 k .
7
L’integrale particolare cercato è:
1
x e 2x
7
e la soluzione generale dell’equazione data è:
1
y x c1e 5x c2e 3x e 2x
7
c) In questo caso, f x è una delle soluzioni dell’equazione omogenea associata; non possiamo, quindi,
costruire l’integrale particolare partendo da una funzione del tipo ke 3x . Dobbiamo utilizzare, invece,
una funzione del tipo x kx e 3x , indipendente dalla precedente.
© Lorenzo Meneghini 12 – 10
Derivando, otteniamo ' x ke 3x 3x 1 e " x ke 3x 9x 6 ; sostituendo nell’equazione da-
ta otteniamo la relazione:
ke 3x 9x 6 2 ke 3x 3x 1 15kxe 3x e 3x
che dev’essere valida per ogni x . Semplificando, otteniamo:
1
k 9x 6 2k 3x 1 15kx 1 k 9x 6 6x 2 15x 1 … k
8
L’integrale particolare cercato è:
1 3x
x xe
8
e la soluzione generale dell’equazione data è:
1 3x
y x c1e 5x c2e 3x xe
8
N. 4
Determinare le soluzioni dell’equazione differenziale y " 4y ' 4y f x , nel caso in cui:
a) f x 4 x 1 b) f x ex c) f x 2e 2x
Innanzitutto risolviamo l’equazione omogenea associata; per farlo dobbiamo risolvere l’equazione caratte-
2
ristica 2 4 4 0 2 0
Stiamo esaminando il caso 2 riportato a pag. 12 – 6. L’integrale generale dell’equazione omogenea è:
x c1 c2 x e 2x .
Passiamo ora al calcolo dell’integrale particolare dell’equazione differenziale non omogenea, nel primo dei
casi proposti (a), lasciando gli altri due per ESERCIZIO al lettore.
In questo caso, la funzione è un polinomio di 1° grado, del tipo x ax b . Restano da trovare le co-
stanti a e b che risolvono il problema. Derivando otteniamo ' x a e " x 0 ; sostituendo
nell’equazione data otteniamo la relazione:
a 1 a 1
0 4a 4 ax b 4 x 1
b a 1 b 0
Quindi
y x c1 c2x e 2x x
Per completezza, riportiamo le soluzioni degli altri due casi del problema:
b) y x c1 c2x e 2x ex c) y x c1 c2 x x 2 e 2x
ESERCIZI PROPOSTI
© Lorenzo Meneghini 12 – 11
N. 2 – ESAMI DI STATO 2015 (LICEO SCIENTIFICO) – SESSIONE SUPPLETIVA
Sia la derivata seconda di una funzione f x data da f " x 3x 6 . Determinare l’espressione di f x ,
sapendo che il grafico della funzione passa per il punto P 2, 7 e che l’angolo formato dalla tangente al
grafico di f x con l’asse y nel punto di ascissa x 0 vale 45°.
3
S : f x x 3x 2 x 1
2
N. 3 – ESAMI DI STATO 2016 – SIMULAZIONE MIUR APRILE 2016
Determinare la soluzione particolare dell’equazione differenziale y ' x xy , verificante la condizione ini-
ziale y 0 2 .
x2
2 1
S : y x 3e
N. 4
Risolvi i seguenti problemi di Cauchy:
y " 9y 2 9x 2
o Sol: y x e 3x e 3x x 2
y 0 0, y " 0 6
y " 2y ' e x
Sol: y x 2 e2x e x
o
y 0 2, y ' 0 1
y " 2y ' 3y 0
o Sol: y x 3e x 2e3x
y 0 1, y ' 0 9
y " 10y ' 25y 0
o Sol: y x e 5x 2 x
y 0 2, y ' 0 11
y " 2 e x
o Sol: y x e x x 2 3x 2
y 0 1, y ' 0 4
2
x
3
y ' y 3
o
Sol: y x 1
3
y 0 1
y ' 8xy x
1
Sol: y x e 4 x
2
o
y 1 7 8
8
y ' 2xy 2 1
Sol: y x
o
y 0 1 1 x2
y ' x
o y Sol: y x x 2 1
y 0 1
x 1 y
y ' x2 1
o
x 1 x 2 1 Sol: y x per x 1
y 0 1 x 1
y ln y
y ' Sol: y x ex per x 0
o x
y 1 e
y ' y x
o Sol: y x e x x 1
y 1 e 2
© Lorenzo Meneghini 12 – 12
y " 5y ' 4y 0 5 2
o Sol: y x e x e 4x
y 0 1, y ' 0 1 3 3
y " 2y ' 0
o Sol: y x 1
y 0 1, y ' 0 0
y " y ' 6y e 4x 6
1 2 1
o Sol: y x e2x e 3x e 4x 1
y 0 0, y ' 0 1 2 3 6
3
y " 3y ' 2y e x
3
o Sol: y x e 2x e x xe x
y 0 1 , y ' 0 1 2
2 2
y " y ' x 1
o Sol: y x 1 2e x x x 2
y 0 1, y ' 0 1 2
y " 2y ' e 2x x 1
1 1 1
o Sol: y x x 1 e 2x x 2 x
y 0 0, y ' 0 1 2 2 4
4
y " x 2 x2
o
y 0 1, y ' 0 1
Sol: y x 1 x
12
y " 2y ' y xe x
1 1
o Sol: y x x x 3 ex
y 0 1 , y ' 0 1 2 6
2 2
N. 5
Risolvi le seguenti equazioni differenziali lineari non omogenee a coefficienti costanti:
o y " 2y ' 3y f x , con
a) f x 4e x b) f x 4ex c) f x 6x 4
a) f x 9x 2 12x 2 b) f x 2e 2x c) f x 16e x
© Lorenzo Meneghini 12 – 13
BIBLIOGRAFIA
o G. Artico, “Appunti di Istituzioni di Matematiche”, IV edizione, Ed. Libreria Progetto, Padova (1993)
o T. M. Apostol, “Calculus (vol. II). Multi Variable Calculus and Linear Algebra, with Applications to
Differential Equations and Probability”, II edizione, John Wiley & Sons, N. Y. (1968)
o P. Oriolo, A. Coda, L. Tess, “Mathematica. Corso di matematica per il triennio del liceo scientifico”, voll.
2/3, B. Mondadori Editore, Milano (1996)
o M. Bergamini, A. TRifone, G. Barozzi, “Matematica.blu 2.0”, Zanichelli Editore, Bologna (2012)