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Tribunale Monza, 22 agosto 2007

Repubblica italiana
In nome del popolo italiano
Tribunale di Monza
- Sezione distaccata di Desio -
in composizione monocratica nella persona del dott. Federico Rolfi, in funzione di Giudice Unico, ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al numero di ruolo generale sopra riportato, promossa con atto di citazione
notificato in data 24 ottobre 2005 a ministero dell'Aiutante Ufficiale Giudiziario addetto all'Ufficio Notifiche
del Tribunale di Monza sezione staccata di Desio
DA
Immobiliare Cyprea s.r.l., in persona dell'amministratore unico Sig. Stefano Piva, con sede in Milano, ed
elettivamente domiciliata a Desio, via ..., n. 1, presso lo studio dell'avv. Roberto Lissoni, che la rappresenta e
difende, come da procura a margine dell'atto di citazione
ATTORE
CONTRO
S.I., quale titolare dell'impresa individuale "The Metal di S.I.", corrente in Cesano Maderno, ed elettivamente
domiciliata a Seregno, via C., n. 113, presso lo studio dell'avv. Giuseppe Galli, che la rappresenta e difende,
come da procura a piè dell'atto di citazione notificato
CONVENUTA
OGGETTO: responsabilità contrattuale e precontrattuale e risarcimento danni
CONCLUSIONI: all'udienza del 10 aprile 2007 i procuratori delle parti precisavano le proprie conclusioni
come da fogli separati allegati al verbale d'udienza e qui riprodotti in copia fotostatica

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Con atto di citazione regolarmente notificato alla controparte la Immobiliare Cyprea s.r.l. adiva il Tribunale di
Monza sezione staccata di Desio esponendo:
- che in data 17.11.04 in Paderno Dugnano essa aveva sottoscritto con S.I., quale titolare dell'impresa individuale
"The Metal di S.I." scrittura privata ed il testo di un contratto di locazione commerciale avente ad oggetto l'unità
immobiliare sita in Paderno Dugnano (porzione di capannone);
- che nel medesimo contratto le parti si davano atto, che terminate le opere di adeguamento della porzione di
immobile individuata, meglio specificati nella Dia presentata all'ufficio tecnico di Paderno Dugnano, il contratto
di locazione sarebbe stato stipulato proprio nei termini anzidetti;
- che parte convenuta aveva incominciato ad utilizzare uno spazio interno al capannone, effettuando carichi e
scarichi di materiale ferroso con l'utilizzo dei suoi macchinari già a partire dal mese di marzo 2005;
- che, ultimati i lavori, l'attrice ne aveva dato comunicazione al convenuto, dapprima in maniera informale ma poi
- rimanendo inevasa la corrispondenza mediante raccomandata in data 27.04.05, aveva chiesto l'adempimento del
contratto.
Tutto ciò premesso, chiedeva che il tribunale dichiarasse risolto il contratto di locazione stipulato con il
convenuto, condannando quest'ultimo al risarcimento dei danni derivati, dagli esborsi per le opere di
adeguamento, per le spese tecniche e per la mancata locazione.
Si costituiva il convenuto che eccepiva:
- che nell'aprile 2005 non solo le attività di ristrutturazione e di modifica non erano state portate a termine, ma
addirittura quelle di fatto realizzate non erano conformi al disegno che era stato predisposto dal conduttore e
avallato dalla locatrice.
- che, a seguito dell'intimata risoluzione, la convenuta aveva ripiegato su una soluzione di ben più basso profilo
stipulando un contratto di locazione con decorrenza 1 giugno 2005 ad un canone annuo di euro 25.000,00
- che, a seguito della condotta dell'attrice, esso convenuto aveva subito un danno.
Concludeva chiedendo il rigetto dell'avversa domande e, in via riconvenzionale, la condanna dell'attrice al
risarcimento dei danni.
Esaurita la trattazione ed istruzione della controversia le parti venivano invitate a precisare le conclusioni e,
previa assegnazione di termine per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, la causa
veniva trattenuta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Un necessario dato di partenza per la decisione della presente controversia è costituito, ad opinione del tribunale,
dalla qualificazione della fattispecie oggetto del contendere.
Entrambe le parti, infatti, nello svolgere le proprie argomentazioni, sembrano aver concordemente qualificato
l'accordo di cui ai docc. 1 e 2 attorei, come contratto di locazione sospensivamente condizionato alla
realizzazione di alcune opere ed al perfezionamento della D.I.A.
In effetti, il penultimo capoverso del doc. 1, recitando "il contratto di locazione è pertanto condizionato alla
realizzazione di tali opere ed al perfezionamento della D.I.A. nei termini anzidetti", sembra suffragare la tesi
prospettata in modo esplicito da parte attrice.
Osserva, tuttavia, il tribunale che altra sembra essere la qualificazione della fattispecie.
Decisive al riguardo sono due specifiche circostanze:
1. il doc. 1 esordisce affermando, testualmente, che "ci diamo atto che il contratto di locazione allegato alla
presente scrittura e sottoscritto a margine di ogni foglio è il contratto che verrà stipulato non appena sarà stata
perfezionata la D.I.A., nei suoi aspetti amministrativi ed economici (...)";
2. il doc. 2 - e cioè il contratto di locazione vero e proprio - pur essendo in grandissima parte completo nei suoi
elementi, è tuttavia privo di alcune clausole, se non essenziali, sicuramente di notevole rilevanza, e cioè la
decorrenza del contratto e le modalità di pagamento del canone (in particolare la scadenza).
Da tali due circostanze ritiene il tribunale si possa desumere che nessun contratto di locazione venne
concretamente stipulato, essendosi le parti accordate unicamente sul testo di un accordo che sarebbe stato
oggetto di formalizzazione solo in seguito, come inequivocabilmente desumibile dalla dichiarazione iniziale ("il
contratto che verrà stipulato") e come desumibile anche dal fatto che l'ultima pagina dello stesso contratto non
reca la doppia sottoscrizione relativa alle clausole c.d. "vessatorie". Senza entrare nel merito dell'applicabilità
concreta degli artt. 1341 e 1342 c.c. (non si tratta di modulo predisposto), sta di fatto che le parti avevano
previsto la doppia sottoscrizione, sicché l'apposizione di una sola firma (per di più nello spazio destinato
all'approvazione delle clausole vessatorie) è indice del fatto che la sottoscrizione mirava a "siglare" il testo
contrattuale, ma non ad approvarlo con le conseguenze di cui all'art. 1326 c.c.
La fattispecie, quindi, sembra riconducibile nell'ambito delle cosiddette "minute" o "puntuazioni", e cioè dei
documenti con i quali le parti fissano il contenuto di un futuro contratto che intendono stipulare in futuro, ma in
ordine al quale o si riservano ulteriori margini di trattativa ("fissando", nel frattempo, quei particolari su cui
l'accordo è stato raggiunto), o intendono verificare con certezza la sussistenza di alcuni presupposti di fatto, per
le parti stesse imprescindibili o comunque rilevanti.
La figura è stata oggetto di ripetuti interventi della Suprema Corte, la quale ha chiarito che l'indagine del giudice
deve accertare se le parti abbiano inteso porre realmente in essere il rapporto contrattuale sin dal momento
dell'accordo, oppure se la loro intenzione sia stata quella di differire la conclusione del contratto ad una
manifestazione successiva di volontà, dovendosi, a tal fine, incentrare la valutazione sul documento in ordine al
quale si è formato l'accordo delle parti (Cass. civ., Sez. III, 14/07/2006, n. 16118; Cass. civ., Sez. III,
18/01/2005, n. 910; Cass. civ., Sez. II, 07/04/2004, n. 6871; Cass. civ., Sez. III, 16/07/2002, n. 10276). In
particolare, la Corte di Cassazione sul punto ha chiaramente statuito che: "Nella nozione di minuta e puntuazione
del contratto rientrano sia i documenti che contengono intese parziali in ordine al futuro regolamento d'interessi
(c.d. puntuazione di clausole) sia i documenti che predispongano con completezza un accordo negoziale in
funzione preparatoria del medesimo (c.d. puntuazione completa di clausole). Le due categorie presentano una
diversità di regime probatorio, in quanto nel secondo caso, la parte, la quale intenda dimostrare che non si tratti
di un contratto ma di una semplice minuta con puntuazione completa di clausole, deve superare la presunzione
semplice di avvenuto perfezionamento contrattuale, in virtù del principio secondo cui anche un documento
dimostrante con completezza un assetto negoziale può essere soltanto preparatorio di un futuro accordo, una
volta dimostrata l'insussistenza di una volontà attuale di accordo negoziale. Il relativo accertamento, che si
traduce nella ricostruzione della volontà effettiva delle parti interpretata secondo i criteri di cui all'art. 1362 c.c. e
s.s., implica un accertamento demandato al Giudice di merito" (Cass. 22.8.1997 n. 7857; Cass. 14.6.1999 n. 5830;
Cass. 30.3.1994 n. 3158; Cass. 17.3.1994 n. 2548; Cass. 17.10.1992 n. 11429; Trib. Roma 27.6.2001).
Che nella specie ci si trovasse di fronte ad una mera puntazione, del resto, è suffragato, oltre che dalle
considerazioni svolte in precedenza, dal fatto che l'intera trattativa tra le parti in causa si presentò laboriosa ed
articolata, con scambi di bozze, incontri e sopralluoghi, come attestato documentalmente dal doc. 4 attoreo e
come verbalmente riferito da diversi testimoni (M., C., G.). Ancor più significativa, poi, è la comunicazione
spedita dal legale della Immobiliare Cyprea s.r.l. in data 24 marzo 2005 (doc. 5 attoreo), e nella quale si afferma
testualmente "mi dice il cliente che il capannone è pronto e che può essere stipulato il contratto di locazione"
[sottolineatura di questo estensore].
Né pare al tribunale che possa qualificarsi di contratto preliminare, dal momento che in nessun passaggio del
documento è dato rinvenire l'assunzione di una vera e propria obbligazione di stipula del definitivo, da parte dei
paciscenti. Circostanza, del resto, logica, giacché appare evidente dal testo del documento che le parti
intendevano acquisire la certezza della possibilità di procedere ai lavori di adeguamento dell'immobile prima di
assumere qualsivoglia impegno, anche solo preliminare, e che proprio per questo scelsero la strada della mera
"punatuazione".
Qualificata in tal modo la fattispecie origine del contendere, discendono alcune, rilevanti, conseguenze.
1. Mancando un impegno vincolante vero e proprio - avendo la minuta la sola funzione di documentare l'intesa
raggiunta su alcuni punti del contratto da concludere - le parti conservano la libertà di recesso dalle trattative, con
il solo limite costituito dalla responsabilità precontrattuale prevista dall'art. 1337 c.c. (Cass. civ., Sez. II,
04/08/1990, n. 7871; App. Genova, Sez. III, 28/10/2005; Trib. Genova, 10/05/2005; App. Napoli, Sez. III,
07/04/2005).
2. Si ha, infatti, responsabilità precontrattuale solo se lo svolgimento delle trattative sia stato, per serietà, durata e
concludenza, tale da determinare ingenerare in una delle parti un ragionevole affidamento nella stipulazione del
contratto (cfr. e pluribus Cass. civ., Sez. III, 18 luglio 2003, n. 11243; Cass. civ., Sez. III, 14 febbraio 2000, n.
1632; Cass. civ., Sez. II, 14 giugno 1999, n. 5830; Cass. civ., Sez. III, 13 marzo 1996, n. 2057; Cass. civ., Sez. II, 1
febbraio 1995, n. 1163; Cass. civ., Sez. III, 12 marzo 1993, n. 2973).
3. In ogni caso, il danno risarcibile nell'ipotesi di ingiustificato recesso dalle trattative assume caratteri particolari
in quanto, non essendo stato stipulato il contratto e non essendovi stata lesione di diritti che dallo stesso
sarebbero nati, non può essere dovuto un risarcimento equivalente a quello conseguente all'inadempimento
contrattuale, mentre, essendosi verificata la lesione dell'interesse giuridico al corretto svolgimento delle trattative,
il danno risarcibile (liquidabile anche in via equitativa) è unicamente quello consistente nelle perdite che sono
derivate dall'aver fatto affidamento nella conclusione del contratto e nei mancati guadagni verificatisi in
conseguenza delle altre occasioni contrattuali perdute (cosiddetto "interesse negativo") (cfr. Cass. civ., Sez. III, 18
luglio 2003, n. 11243; Cass. civ., Sez. III, 14 febbraio 2000, n. 1632; Cass. civ., Sez. I, 30 agosto 1995, n. 9157;
Cass. civ., Sez. II, 13 dicembre 1994, n. 10649).
Si tratta, a questo punto, di stabilire se il rifiuto della "The Metal di S.I." di procedere alla stipula del contratto di
locazione (attestata dalla missiva di cui al doc. 8 attoreo) abbia costituito legittimo recesso o meno dalle trattative.
Il recesso risulta esplicato nella missiva con due distinte motivazioni:
1. mancata consegna del bene entro il mese di febbraio (2005);
2. esecuzione di lavori difformi da quelli previsti dalle parti.
Quanto al primo motivo, esso è da ritenersi del tutto infondato. Manca, in primo luogo, alcuna prova di un
accordo delle parti in ordine all'esistenza di un termine di consegna dell'immobile al febbraio 2005. Il documento
nel quale le parti ebbero ad esplicare i presupposti essenziali per la stipula del contratto di locazione (doc. 1
attoreo), infatti, in nessun punto richiama un termine di consegna, limitandosi a fare riferimento all'esecuzione di
lavori di adeguamento dell'immobile. Osserva il tribunale che, se davvero una simile esigenza fosse stata
manifestata da S.I., essa sarebbe stata sicuramente esplicitata nella scrittura, considerata la laboriosità delle
trattative sino a quel momento intercorse, e la puntigliosità con cui la bozza del contratto era stata definita (si
vedano le osservazioni del tecnico del convenuto nella missiva prodotta come doc. 4 attoreo). Ciò vale a spiegare
perché il tribunale non abbia ammesso neppure la prova orale su tale punto (cap. 3 della memoria istruttoria del
convenuto), essendo l'istanza contraria al disposto di cui agli artt. 2721 segg. c.c., quanto alla prova testimoniale,
ed inammissibile, per genericità di formulazione, quanto all'interpello. Che si tratti, peraltro, di motivazione
speciosa, emerge anche dalla circostanza - confermata da diversi testi (G. R., G.T., F. P.) - dell'anticipata
occupazione dell'immobile da parte del convenuto, il quale iniziò ad utilizzare, almeno parzialmente, l'immobile
per la propria attività.
Quanto alla seconda motivazione, osserva il tribunale come risulti confermato da testi, ammesso dal legale
rappresentante dell'attrice, e confermato dal C.T.U. che i lavori eseguiti dall'attrice nell'immobile destinato alla
locazione siano difformi dal disegno (doc. 3 attoreo) espressamente richiamato nella scrittura conclusa tra le
parti.
Nondimeno, ritiene il tribunale che tali difformità non siano state comunque in grado di rendere legittimo e
conforme a buona fede il successivo rifiuto di parte convenuta di addivenire alla stipula del contratto di
locazione, per almeno due ragioni.
1. L'istruttoria svolta in corso di giudizio induce ad opinare - quanto meno sotto il profilo indiziario - che le
difformità siano state, se non richieste, quantomeno accettate o comunque conosciute da S.I.. Che le modifiche
siano state addirittura richieste dallo S.I. è affermato dal teste M., sulla cui attendibilità non vi è ragione alcuna di
dubitare, considerata l'indifferenza che lo caratterizzava rispetto all'incarico assegnatogli. La verosimiglianza di
quanto riferito dal teste, peraltro, discende anche da un argomento logico: non è possibile ravvisare ragione
alcuna perché la proprietà dovesse apportare unilateralmente modifiche ad un progetto concordato con il
convenuto, né è dato comprendere perché il M. avrebbe dovuto apportare modifiche di sua iniziativa, sicché
appare assai più logico concludere che dette modifiche siano state apportate su richiesta dell'unico vero
interessato, e cioè lo S.I..
Ulteriormente, anche a non voler ritenere sussistente una esplicita richiesta dello S.I., è da ritenersi che lo stesso
potesse rilevare ogni difformità già nel corso dei lavori. Si è, infatti, già ricordato come alcuni testi testi (G. R.,
G.T., F.P.) abbiano confermato la circostanza dell'occupazione anticipata di almeno parte del capannone da parte
del convenuto. Ora, appare evidente che, operando in luogo, il convenuto aveva la piena possibilità di rilevare le
eventuali difformità di quanto realizzato rispetto al progetto iniziale. Difformità che, non va dimenticato, erano
rilevabili ictu oculi sol che si consideri che nel progetto il blocco uffici-servizi igienici doveva svilupparsi su due
piani, mentre l'opera realizzata si sviluppa su un piano solo. La presenza reiterata dello S.I. sul posto è stata in
particolare confermata dal teste Fabrizio Previati, il quale ha riferito "Posso dire di aver visto il sig. S.I.. Veniva
nella palazzina della Ferrum perché il sig. Piva aveva lì l'ufficio", palesandosi in tal modo la piena consapevolezza
- quasi quotidiana - del convenuto in ordine alle modifiche progettuali, che devono, quindi, ritenersi almeno
tacitamente accettate. La repentina decisione di non addivenire alla stipula del contratto motivata su tali
modifiche appare, pertanto, contraria a buona fede, avendo lasciato il convenuto che i lavori proseguissero prima
di muovere contestazioni.
2. Il C.T.U. nominato dal tribunale, nel rilevare le difformità delle opere realizzate rispetto al progetto ha,
tuttavia, chiarito come tali difformità, ben lungi dal penalizzare la "The Metal di S.I.", fossero in grado di
agevolarne l'attività. Lo spostamento dei portoni, infatti, è risultato in grado di agevolare maggiormente l'ingresso
e la manovra dei mezzi necessari per lo svolgimento dell'attività della convenuta, ben lungi dall'ostacolarlo, come
opinato dalla medesima "The Metal di S.I.". Quanto alla riduzione della superficie adibita ad uffici, essa ha
comportato un ampliamento della superficie del capannone utilizzabile per lo svolgimento dell'attività
"industriale". Ora, è ben vero che il C.T.U. non è stato in grado (né poteva esserlo) di stabilire se le esigenze
dell'impresa del sig. S.I. fossero maggiormente commerciali o "industriali", ma è anche vero che in nessun modo
la convenuta ha allegato elementi utili per stabilire se la riduzione degli spazi ad ufficio venisse concretamente a
penalizzarla.
Ad una conclusione negativa, anzi, sembra condurre l'esame della deposizione del sig. M.D., il quale fornì allo
S.I. il "ragno" da quest'ultimo utilizzato nell'immobile oggetto del contendere. Se si esamina la deposizione,
infatti, si rileva come il sopralluogo sul quale il teste è stato chiamato a riferire, avesse ad oggetto proprio la
corretta individuazione dello spazio utile a disposizione del macchinario. Tale circostanza induce - sia pure in via
solo indiziaria ed induttiva - a ritenere che l'esigenza primaria dell'impresa del convenuto fosse quella
"industriale" (non si dimentichi che la "The Metal di S.I." opera nel settore dei materiali ferrosi, e cioè di materiali
con ampio ingombro) e che quindi, la riduzione dello spazio destinato ad uffici la favorisse, ben lungi dal
penalizzarla. Valutazione, questa, che rende vieppiù probabile o verosimile la tesi che le modifiche siano state
chieste dallo stesso S.I..
Alla luce di tali considerazioni, ritiene, in sintesi, il tribunale di valutare come difforme rispetto al canone della
buona fede, il recesso operato da S.I., quale titolare dell'impresa individuale "The Metal di S.I." dalle trattative
con l'attrice, considerato che la conclusione di una minuta assai dettagliata e l'esecuzione dei lavori doveva aver
indotto la stessa Immobiliare Cyprea s.r.l. a fare ragionevolmente affidamento sulla imminente conclusione del
contratto.
Il danno risarcibile all'attrice, tuttavia, non è quello connesso all'interesse positivo, ma unicamente quello
connesso all'interesse negativo. Escluso, quindi, un diritto della Immobiliare Cyprea s.r.l. al risarcimento del
danno connesso ai canoni non percepiti, ed assente allegazione alcuna in ordine all'esistenza di altre trattative con
terzi trascurate a causa dei rapporti con l'impresa convenuta, il solo danno risarcibile che può essere riconosciuto
è quello connesso alle spese affrontate in vista della conclusione del contratto, e cioè delle spese affrontate per la
predisposizione del capannone. Tali spese - inizialmente attestate dai documenti prodotti sub. N. 10 e date anche
(lealmente) per ammesse dalle difesa del convenuto - sono state oggetto di valutazione da parte del C.T.U., il
quale le ha ritenute in grandissima parte congrue, operando una sola cernita in relazione alla fattura SCODA
s.n.c. n. 7/2005. L'ammontare delle spese è, pertanto, di euro 97.774,10, al netto dell'I.V.A., che il tribunale non
ritiene di riconoscere, attesa la facoltà di recupero da parte dell'attrice, nella sua qualità di società commerciale.
Conseguentemente, delle plurime domande svolte dalla Immobiliare Cyprea s.r.l., può essere accolta unicamente
quella di condanna di S.I., quale titolare dell'impresa individuale "The Metal di S.I." alla corresponsione della
somma di euro 97.774,10, oltre interessi al tasso legale dal 24 ottobre 2005 (data della domanda) al saldo
effettivo, rigettandosi, conseguentemente, la riconvenzionale della parte convenuta.
Le spese seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate direttamente in dispositivo tenendo conto
della natura e del valore della controversia, della qualità e quantità delle questioni trattate e dell'attività
complessivamente svolta dai difensori, sulla base dei parametri contemplati dalla vigente Tariffa, e tenendo altresì
conto della necessità di liquidare comunque, anche ex officio, le spese generali di studio che l'art. 14 della
suddetta Tariffa quantifica a forfait nella misura del 12,5% (Cassazione civile, sez. III, 18 giugno 2003, n. 9700;
Cassazione civile, sez. III, 9 aprile 2003, n. 5581; Cassazione civile, sez. II, 18 marzo 2003, n. 4002; Cassazione
civile, sez. III, 3 agosto 2002, n. 11654).
Il tutto nel rispetto del principio per cui a norma dell'art. 6 d.m. 5 ottobre 1994 n. 585 (ora art. 6 d.m. 8 aprile
2004, n. 127), nei giudizi aventi ad oggetto il pagamento di somme di denaro o di liquidazione danni, il valore
della causa, ai fini della liquidazione degli onorari difensivi, dev'essere determinato a norma del codice civile,
avendo riguardo alla somma attribuita alla parte vittoriosa e non a quella domandata e analogamente va
individuato lo scaglione per la determinazione dei diritti di procuratore (Cassazione civile, sez. III, 23 gennaio
2002, n. 738).
Alla luce degli esiti della consulenza, le spese di C.T.U., liquidate come da decreto in data 13 marzo 2007, devono
essere poste a carico delle parti nella misura di metà ciascuna, ritenendosi possibile tale diversa ripartizione
rispetto alle spese di lite (cfr. Cassazione civile sez. III, 11 gennaio 2002, n. 315).
P.Q.M.
il Tribunale di Monza, sezione di Desio, definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda ed eccezione
rigettata, così provvede:
1. condanna S.I., quale titolare dell'impresa individuale "The Metal di S.I." a corrispondere in favore della
Immobiliare Cyprea s.r.l. la somma di euro 97.774,10, oltre interessi al tasso legale dal 24 ottobre 2005 al saldo
effettivo;
2. pone definitivamente a carico delle parti nella misura di metà ciascuna le spese di C.T.U., liquidate come da
decreto in data 13 marzo 2007;
3. condanna S.I., quale titolare dell'impresa individuale "The Metal di S.I." al pagamento in favore della
Immobiliare Cyprea s.r.l. delle spese processuali che liquida in euro 1.143,41 per spese, euro 2,100,00 per diritti e
euro 7.900,00 per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A.
Sentenza per legge esecutiva.
Desio, 22 agosto 2007
Il Giudice
Dott. Federico Rolfi

Cassazione civile , sez. III, 05 giugno 2007, n. 13076

Fatto

Con citazione del 12 maggio 1998 la Associazione Danze sportive ENEA conveniva, nella veste di conduttrice,
dinanzi al Tribunale di Roma, la locatrice società Ristorante Micio di Bernardini e C., società in nome collettivo, e
ne chiedeva la condanna al pagamento dei canoni corrisposti ed alla restituzione del deposito cauzionale, oltre al
rimborso delle spese sostenute per la ristrutturazione dei locali siti in (OMISSIS), che dovevano essere adibiti a
Palestra di danza. Il Comune di Ardea aveva negato il mutamento della destinazione. La società convenuta si
costituiva contestando il fondamento delle domande e spiegava riconvenzionale per canoni non corrisposti.
Il Tribunale di Roma con sentenza del 26 novembre 1999 rigettava entrambe le domande, principale e
riconvenzionale. Contro la decisione proponeva appello l'Associazione Danze, deducendo la condotta
fraudolenta della società locatrice e chiedendo la riforma della decisione; resisteva la controparte chiedendo il
rigetto del gravame.
La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 28 febbraio 2002, così decideva: rigetta l'appello e condanna
l'appellante alla rifusione delle spese del grado.
Contro la decisione ricorre la Associazione Danze con unico articolato motivo, resiste la controparte con
controricorso.
Su richiesta del Procuratore Generale è stata trattata con il rito camerale ai sensi dell'art. 375 c.p.c.. Il P.G. ha
concluso per la manifesta infondatezza del ricorso.

Diritto

Il ricorso non merita accoglimento.


Nell'unico articolato motivo la ricorrente deduce l'error in iudicando (per la violazione degli artt. 1337, 1342,
1575 cod. civ.) ed il vizio della motivazione su punti decisivi, nonchè la errata valutazione delle prove.
La tesi è che la società locatrice era in mala fede sin dal tempo delle trattative, ed ancor più al tempo della stipula
del contratto, avendo locato un locale inidoneo (assentito come tettoia di copertura di campi di bocce privi di
impianti igienici) alla utilizzazione convenuta in contratto. Doveva essere pertanto accertato quantomeno
l'inadempimento e la mala fede originaria, con le relative conseguenze in ordine alla restituzione dei canoni ed
alle spese di ristrutturazione e al deposito cauzionale, oltre che alle spese di lite.
In senso contrario si osserva che le censure investono una quaestio voluntatis in ordine alla interpretazione dei
patti contrattuali, che è stata congruamente analizzata dal Giudice dello appello, con adeguata e corretta
motivazione non sindacabile in questa sede.
Ed in vero la Corte di Appello, dapprima esamina le clausole contrattuali (3 e 7) sulla destinazione convenzionale
e sulla conformità alle norme urbanistiche, quindi le interpreta complessivamente (ff. 7 ed 8 della motivazione)
osservando che il conduttore aveva assunto l'onere di chiedere la autorizzazione comunale prima di svolgere le
opere di ristrutturazione (abusive senza la detta autorizzazione) e che aveva la possibilità, non esercitata, di
recedere dal contratto, se le difficoltà poste in essere dal Comune rendevano inutile la sua prosecuzione. Quanto
al pagamento dei canoni, correttamente (ff. 8 e 9) la Corte ritiene che sia dovuto, posto che la mancata
autorizzazione al mutamento di destinazione, non rende di per sè invalido il contratto, se tale condizione era nota
alla parte contraente che ne assumeva l'onere (cfr. Cass. 28 aprile 1999 n. 4228).
Quanto alla restituzione delle spese di ristrutturazione, la clausola prevedeva il consenso scritto (non dato) e
poneva le stesse a carico del ristrutturante, infine la perdita del deposito cauzionale è conseguenza dello
inadempimento.
Nessuna mala fede è ravvisatale a carico del locatore, mentre l'associazione ha assunto una condotta sprovveduta
e in aperta violazione delle norme urbanistiche, esponendosi al rischio di provvedimenti sindacali negativi.
Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente in favore della resistente alla rifusione di spese ed onorari
di questo giudizio di cassazione, liquidati come in dispositivo.

P.Q.M

Rigetta il ricorso e condanna la Associazione danze sportive Enea in liquidazione, a rifondere alla società
Ristorante Micio di Bernardini e C., in liquidazione, onorari e spese di questo giudizio di cassazione, che liquida
in Euro 2600,00 per onorari ed Euro 100,00 per spese, oltre accessori e spese generali come per legge.
Così deciso in Roma, il 30 aprile 2007.
Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2007

Tribunale Firenze, 29 settembre 2006

UDIENZA DEL 29.9.2006


Compaiono i procuratori delle parti Avvocato Vincenzo Ravone per l'Attore Samarreda S.r.l. e l'Avv.
Lorenzo Ruggeri per il convenuto M.V. .
Ai fini della pratica forense si da atto della presenza dei Dott.
Irene Marchetti e Crisian Perretta-
I difensori vengono invitati dal giudice alla discussione orale ex art. 281 sexies c.p.c..
L'Avv. Ravone conclude come incitazione riportandosi alla memoria conclusiva in atti ed insistendo in
particolare nelle istanze istruttorie il cui contenuto è volto a dimostrare l'assunzione da parte del M.V. di
responsabilità personale in ordine alla consegna della 'camera campione' .
L'Avv. Ruggeri conclude per il rigetto della domanda riportandosi alla memoria conclusiva in atti
sottolinenado che il M.V. si sia sempre qualificato come Direttore dei lavori .
L'Avv. Ravoni si rimette a giustizia per le spese mentre l'Avv. Ruggeri deposita la notula. Il giudice,
esaurita la discussione pronuncia la sentenza dando lettura del dispositivo e dei motivi di fatto e di diritto della
decisione che seguono a verbale.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Firenze in composizione monocratica,
in persona della dott.ssa Giuseppina Guttadauro
ha pronunciato la seguente
sentenza ex art. 281 sexies c.p.c. nella causa iscritta al n. 7909\2004 R.G. degli affari contenziosi
civili promossa da
SAMARREDA S.R.L. con gli Franco Bruno Compagni di Prato e Vincenzo Ravone presso il cui studio in
Firenze, ha eletto domicilio
Attrice
Contro
M.V. , con Gli Avv. Ivo Mario Ruggeri e lOrenzo Ruggeri presso il cui studio in Firenze , ha eletto domicilio
Convenuto
oggetto: risarcimento danni

MOTIVI DELLA DECISIONE E DISPOSITIVO


Richiamate, quanto allo svolgimento del processo, le risultanze degli atti delle parti e dei verbali di udienza, il
giudicante osserva quanto segue.
Samarreda S.r.l. ha convenuto in giudizio l'Architetto M.V. per sentirlo condannare, a titolo di responsabilità
precontrattuale, al pagamento della somma di euro 5.867 oltre interessi e rivalutazione monetaria.
A fondamento della pretesa ha esposto che l'Architetto M.V., si era comportato in maniera non conforme a
buona fede nel corso delle trattative per la fornitura dell'arredamento delle camere dell'albergo 'Villa Permoli' ,
perché ' qualificatosi come Direttore dei Lavori e prospettata all'attrice l'opportunità di realizzare delle 'camere
campione', aveva tenuto comportamenti tali da indurla a sostenere ingenti spese senza poi volerla tenere indenne
da esse'( vedi pag.6 citazione).
In particolare l'attrice ha asserito che il M.V., dopo avere prospettato ai titolari della Samarreda la possibilità di
aggiudicarsi la commessa per l'arredamento delle camere dell'albergo, avrebbe sollecitato la realizzazione di due
'camere campione' le cui caratteristiche e materiali erano state discusse col M.V. stesso e il proprietario
dell'albergo. Tuttavia, realizzati e montati detti campioni e fornito il preventivo del loro costo, M.V. aveva
rifiutato di riceverne l'installazione nell'albergo e, comunque la consegna poiché nel frattempo, la commessa era
stata affidata ad altra ditta .
Il convenuto ha contestato la domanda rilevando di non avere mai sollecitato la realizzazione dei campioni ma
solo il preventivo ( mai accettato in presenza di offerte più vantaggiose) sulla base dei materiali che erano graditi
alla proprietà dell'albergo e che, se la Samarreda, nella speranza di acquisire la commessa aveva sostenuto spese
per realizzare il campione lo aveva fatto a suo rischio e pericolo.
Il giudicante ha rimesso la causa in decisione senza istruttoria poiché appare carente la legittimazione passiva del
convenuto.
Posto infatti che la domanda è stata qualificata come risarcimento danni da responsabilità risarcitoria da
comportamento in malafede nelle trattative preliminari alla formazione del contratto, così come sanzionata
dall'art. 1337 c.c. , si deve rilevare che detta responsabilità è configurabile solamente nei confronti del soggetto
che si presenta come controparte contrattuale o del suo rappresentante, o quantomeno del soggetto che, anche
falsamente (e qui viene in applicazione la norma di cui all'art. 1398 c.c. che responsabilizza il falsus procurator) ha
indotto la parte lesa a confidare senza sua colpa nel suo potere di impegnare il falso rappresentato .
La giurisprudenza ha del resto già chiarito che 'la responsabilità a norma degli artt. 1337 e 1338 c.c. ....sorge solo
ove un soggetto assuma nelle trattative la qualità di parte e cioè di persona nei cui confronti il contratto da
concludere deve produrre effetto mentre ..........chi non assume la qualità di parte, non essendo soggetto
all'obbligo di comportamento prescritto dalla legge secondo buona fede ,non può violarlo' vedi Cass n. 6386 del
18.10.83) .
Nel caso di specie invece, dalla narrativa della citazione si evince quale dato pacifico che il futuro committente
del mancato contratto di fornitura non era l'Arch. M.V. ma il proprietario dell'albergo (si dice anzi che
quest'ultimo partecipò alla prima fase delle trattative scegliendo i materiali) e, d'altra parte, del M.V. si dice che
abbia partecipato alle trattative nella sua qualità di Direttore dei lavori e mai si assume che si sia attribuito il
potere di impegnare la proprietà dell'albergo.
Ne consegue che, non avendo il convenuto mai assunto, secondo la stessa impostazione attorea, nella fase delle
trattative della commessa dell'arredamento dell'albergo, la qualità di parte contrattuale, egli non potrà rispondere
di danni causati violando la buona fede imposta dall'art. 1337 c.c. ai futuri contraenti.
E' poi il caso di rilevare che l'argomentazione contenute nella memoria conclusiva depositata dalla parte attrice
nelle more della fissazione di questa udienza (secondo la quale il contratto oggetto di trattativa era in realtà quello
relativo alla sola fornitura delle 'camere campione' che la Samarreda sarebbe stata indotta dal M.V. ad a
effettivamente realizzare ancora prima dell'accettazione del preventivo di cui al doc. 2 fasc. attrice ) oltre che a
presentarsi 'nuova' rispetto a quella già chiaramente enunziata in citazione non consentirebbe comunque una
decisione diversa dal rigetto della domanda .
Non si vede infatti per quale motivo il committente di tale fornitura 'campione' avrebbe dovuto essere l'Arch.
M.V., che, quale direttore dei lavori, certo aveva il compito di consigliare la proprietà dell'albergo nelle scelte di
arredamento ma che non risulta affatto(e neppure l'attrice lo descrive come tale) come colui al quale la proprietà
aveva delegato la decisione definitiva su tale scelta.
Va infatti rilevato che, anche nelle circostanze capitolate nella prova per testi richiesta dalla Samarreda, l'Arch.
M.V. non è mai descritto da solo a sollecitare la realizzazione e consegna dell'arredamento campione ma si dice
che egli lo avrebbe fatto unitamente al padre, qualificatosi come costruttore e proprietario dell'immobile (vedi
cap. 4 memoria. 184 Samarreda) e al rappresentante del Gruppo proprietario dell'azienda alberghiera ( cap .5
ibidem), soggetti questi ultimi che, pochi giorni prima di rompere le trattative, avrebbero (stavolta senza la
presenza dell'Arch. M.V.) addirittura ordinato la consegna dell'arredamento campione. Appare quindi evidente
dalla stessa descrizione attorea che la presenza alle trattative dei committenti finali di per sé esclude che il M.V.
possa mai avere assunto la qualità di parte nella fase più significativa delle trattative .
La domanda dev'essere pertanto respinta
Le spese seguono la soccombenza pertanto la parte attrice deve rifondere al convenuto le spese da questi
sostenute per il giudizio che appare equo liquidare in complessive euro 2.254 oltre I.V.A. e C.P.A..
P.Q.M.
il Tribunale , definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione respinta, così provvede:
rigetta la domanda avanzata in citazione,
condanna la parte attrice Samarreda S.r.l. a rifondere al convenuto M.V. le spese di lite, in complessive Euro
2.254 ( di cui Euro 1100 per onorari, Euro 904 per diritti Euro 250 per spese forfetarie oltre I.V.A. e C.P.A.
Firenze , 29.9.06
Il Giudice

Tribunale Reggio Calabria, 30 ottobre 2004, sez. II

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Reggio Calabria, seconda sezione civile, in persona del giudice unico dott. Santo Melidona, ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado iscritta al n. 723 del ruolo generale degli affari contenziosi dell'anno 2001,
riservata per la decisione all'udienza del 15.3.2004, vertente
TRA
D'A. R., rappresentata e difesa dall'avv. Maria Grazia Bottari, presso il cui studio in Reggio Calabria, via Dei
Bianchi n. 3 è elettivamente domiciliata, come da mandato in atti
ATTRICE
CONTRO
F. M. T. R. e F. D. R., in proprio e nella qualità di figli legittimi e soli eredi di G. R., rappresentati e difesi
dall'avv. Antonio Saffioti, presso il cui studio in Reggio Calabria, via Frà G. Melacrinò n. 14/a sono
elettivamente domiciliati, come da mandato in atti
CONVENUTI
CONCLUSIONI DELLE PARTI
Udienza del10 marzo 2003.
L'avv. Bottari, per l'attrice: "chiede che l'On.le Tribunale, rigettate tutte le contrarie difese, eccezioni ed
istanze, voglia accogliere la domanda proposta e, per l'effetto, condannare i convenuti alla restituzione della
somma di 10.329,10 euro, oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla data dell'indebito al saldo, con
vittoria di spese e competenze di giudizio; si riporta a tutte le difese svolte nei verbali e negli scritti di causa".
L'avv. R., per delega dell'avv. Saffioti, per i convenuti: "si riporta alle difese, deduzioni, eccezioni e
richieste svolte e formulate in seno ai propri atti difensivi ed ai verbali di causa, ciascuna e tutte da intendersi
per qui integralmente riportate e trascritte, insistendo per l'accoglimento delle conclusioni già rassegnate in
comparsa di costituzione e, quindi, per il rigetto della domanda attorea e per l'accoglimento della spinta
domanda riconvenzionale da intendersi per qui integralmente riportata e trascritta, con vittoria di spese e
competenze del giudizio".

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Con atto di citazione del 19 febbraio 2001 la signora D'A. R., come sopra rappresentata, esponeva di aver
instaurato con il signor G. R., all'inizio dell'anno 1999, trattative dirette all'acquisto di un appezzamento di
terreno sito in Saline Ioniche di proprietà di quest'ultimo, della superficie complessiva di mq. 133, con annesso
piccolo fabbricato sorgente sulla neoformata particella n. 188, derivata dalla particella n. 25, foglio di mappa n.
61.
Tra le parti era già stato concordato verbalmente per l'acquisto il prezzo di lire 120 milioni e nonostante non
fosse stato stipulato alcun contratto, neanche preliminare, per iscritto, l'istante, in considerazione dei buoni
rapporti esistenti con la controparte, si induceva a versare il signor G. R. la somma di lire 20 milioni come
anticipo sul prezzo complessivo convenuto.
Per la stipula dell'atto pubblico di trasferimento dell'immobile non veniva fissata alcuna data, con l'impegno però
della signora D'A. di versare il residuo importo di lire 100 milioni al momento della stipula.
Successivamente la signora D'A. a seguito di una lettera ricevuta da parte dei proprietari del suolo limitrofo a
quello oggetto di trattative d'acquisto, esaminati gli atti di provenienza del bene al signor R., riscontrava che sul
fabbricato sorgente sulla neoformata particella 188 gravavano diritti reali a vantaggio di terzi e più esattamente
che la dante causa del signor R. si era riservata l'area soprastante il primo piano nonché il pieno diritto di
sopraelevazione di altri piani senza dover corrispondere nulla al signor R.; inoltre, i confinanti, coniugi C.-M.,
lamentavano la violazione delle distanze legali dal loro fabbricato.
In forza di ciò l'attrice informava il signor R. che non era più suo intendimento dare corso all'atto pubblico,
atteso che era stata sottaciuta l'esistenza di diritti di terzi sul fabbricato e pertanto invitava il signor R. a voler
restituire la somma di lire 20 milioni oltre interessi maturati, a mezzo lettera raccomandata AR del 4 agosto 2000.
Il signor R., con lettera raccomandata del 10 ottobre 2000, contestava l'assunto dell'istante e genericamente
disconosceva l'esistenza di diritti di terzi sul fabbricato, proponendo la restituzione da parte sua della somma di
lire 10 milioni a tacitazione definitiva del mancato trasferimento dell'immobile.
La signora D'A. respingeva l'anomala offerta, fondata sul presupposto che l'importo versato al signor R. non
poteva essere considerato caparra confirmatoria e quindi quale patto accessorio, in quanto tra le parti non era
stato stipulato alcun preliminare scritto di compravendita e pertanto l'importo di lire 20 milioni era attualmente
detenuto dal signor R. senza alcun titolo.
Per tali motivi citava in giudizio il signor G. R. chiedendone la condanna alla restituzione della somma di lire 20
milioni, oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla data dell'indebito al saldo effettivo.
Si costituivano in proprio e nella qualità di figli legittimi e soli eredi del sig. G. R., deceduto l'11 marzo 2001, i
germani F. M. T. R. e F. D. R., deducendo che tra la data della citata lettera da parte dei proprietari del suolo
limitrofo (9 agosto 1999) e la comunicazione di rinuncia alla definizione del contratto era intercorso un anno.
Inoltre la signora D'A. ben conosceva e conosce lo stato dei luoghi. Il primo piano fuori terra del fabbricato
oggetto della fallita vendita era stato realizzato almeno quindici anni addietro e allo stesso si accede
esclusivamente tramite scala che insiste interamente sulla proprietà dei coniugi C.-M..
Parte attrice non soltanto ha avuto modo di verificare che l'appartamento in parola è nella piena disponibilità dei
coniugi C.-M. ma ha potuto, già da tempo, accertarne la proprietà. Esiste, infatti, controversia tra la signora D'A.
ed i coniugi C.-M., come è agevole evincere dall'esame dei contenuti della citata lettera del 9 agosto 1999, che
concerne, tra le tante altre cose, le vedute aperte sulla proprietà dell'odierna attrice e le immissioni provocate
dall'attività che la signora D'A. esercita presso i propri locali.
Quali che siano stati i motivi per cui la signora D'A. ha ritenuto di non dovere stipulare più il contratto,
sicuramente gli stessi non possono essere rappresentati né dal diritto vantato dai coniugi C.-M. sull'area
sovrastante il fabbricato oggetto della trattativa di vendita, né dai presunti e inesistenti vizi segnalati dall'avvocato
C..
Peraltro, se davvero le informazioni fornite dai coniugi C.-M. avessero avuto l'effetto determinante che parte
attrice vorrebbe attribuire loro dovrebbe spiegare la signora D'A. per quale ragione il dante causa degli odierni
convenuti avrebbe disdetto il contratto di fornitura dell'acqua potabile in data 6 ottobre 1999 e nel medesimo
periodo avrebbe richiesto l'interruzione della linea telefonica e la cessazione del contratto di fornitura dell'energia
elettrica e per quale motivo si sarebbe attivato a sgomberare l'immobile, sopportando le spese del trasloco, nel
mese di settembre dell'anno 1999.
La verità è che, nonostante le false e diffamatorie indicazioni fornite dall'avvocato C., il rapporto tra le parti è
rimasto inalterato e ciascuno degli interessati ha mantenuto fermo il proprio proposito. Tanto sino alla fine del
mese d'ottobre 1999, allorché il signor G. R., sgombrato l'immobile, lo offrì, come concordato, alla signora D'A.,
la quale pose termine alle trattative senza addurre giustificazione alcuna.
La mancata definizione del contratto ha comportato danni notevoli al signor R., per la mancata locazione del
bene anche nel mese di settembre 1999, con la perdita del canone pari a lire 2 milioni; per le spese sostenute per
lo sgombero dei locali, per la disdetta dei contratti di fornitura dell'acqua, dell'energia elettrica, e del contratto
telefonico; per le spese sostenute per il reperimento della documentazione necessaria per la formazione del
contratto definitivo di cui era stato incaricato un tecnico di sua fiducia affinché stimasse l'immobile.
Fallita la vendita il signor R. fu costretto ad arredare nuovamente il fabbricato, a stipulare nuovi contratti di
fornitura dell'acqua potabile e per l'energia elettrica, a liquidare comunque il compenso richiesto dal
professionista incaricato di stimare l'immobile.
La mancata percezione del corrispettivo della vendita costrinse, inoltre, il signor G. R., che a tale vendita si era
determinato al fine di consentire alla propria figlia F. M. T. di acquistare la prima casa di abitazione, a contrarre
un prestito di lire 40 milioni dalla Banca Nazionale del Lavoro e qualche mese dopo lo ha determinato a
richiedere alla Roche S.p.A. il pensionamento anticipato al fine di poter disporre immediatamente delle somme
spettantigli a titolo di T.F.R.
Nonostante i consistenti danni subiti il signor R., sino alla data della sua morte, ha tentato di ricostruire l'ottimo
rapporto intrattenuto con la signora D'A., offrendole in restituzione della somma di lire 10 milioni. La signora
D'A., in riscontro, non ha mai ritenuto opportuno indicare le ragioni per le quali si era determinata alla rinunzia
dell'affare.
Da ultimo gli odierni convenuti, ancora in data 4 maggio 2001, mossi dall'intento di risolvere bonariamente la
vertenza, hanno rinnovato l'offerta, dicendosi disponibili a corrispondere immediatamente la somma di lire 13
milioni. Anche tale ultima proposta è stata però rifiutata.
Per tali motivi concludono chiedendo al Tribunale, anche in via riconvenzionale, di accertare e dichiarare
ingiustificato il recesso dalle trattative operato dalla signora R. D'A. e/o che la rottura delle trattative é da
addebitarsi in via esclusiva all'attrice e/o che il contratto di compravendita dedotto in causa non si è definito per
fatto e colpa esclusivi dell'attrice e/o la lesione alla libertà negoziale posta in essere dall'attrice ai danni del signor
G. R. e/o la violazione del precetto di buona fede posta in essere dalla signora D'A. nel corso delle trattative che
l'attrice ha colposamente o dolosamente indotto il signor G. R. a confidare ragionevolmente nella conclusione
del contratto; per l'effetto, condannare la signora R. D'A. a corrispondere in favore dei convenuti da somma di
lire 25 milioni - o la maggiore o minore somma ritenuta di giustizia - maggiorata degli interessi legali maturati e
maturandi dalla data del dovuto sino all'effettivo soddisfo e della rivalutazione monetaria come per legge, a titolo
di risarcimento di ciascuno e tutti i danni subiti.
Nel corso dell'istruttoria venivano sentiti alcuni testimoni; veniva disposta ed espletata c.t.u.
All'udienza del 10.3.2003 le parti precisavano le rispettive conclusioni nei termini riportati in epigrafe e la causa
veniva assegnata a sentenza, previa concessione di termine di giorni 60 per il deposito di comparse conclusionali
e di successivi giorni 20 per il deposito di memorie di replica.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I temi sostanziali assegnati dalle parti all'attenzione di questo giudicante possono riassumersi nei seguenti quesiti:
1) se l'interruzione della trattativa di acquisto da parte della signora D. risulti o meno giustificata;
2) se, comunque, la signora D'A. abbia - in qualche modo - contravvenuto al precetto di comportarsi secondo
buona fede nelle trattative negoziali, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 1337 c.c..
Per quanto concerne il primo dei temi sopra specificati, va osservato che la signora D'A. ha reiteratamente
affermato di essersi determinata a non dare corso alla definizione del contratto d'acquisto, in ordine al quale - per
sua espressa ed aperta ammissione - aveva raggiunto, con il sig. G. R., l'intesa completa su tutti i contenuti dello
stesso, rimanendo da perfezionare solo la consacrazione dell'accordo nelle forme di legge, in seguito ad una
lettera, datata 9 agosto 1999, indirizzata all'avvocato M. Grazia Bottari, con la quale l'avvocato Vincenzo C. -
proprietario, insieme al coniuge, di una proprietà limitrofa a quella oggetto della trattativa di vendita - "In esito
alla diffida del 29 luglio 1999 su incarico della signora D'A. R.", comunicava, all'altro, al punto 3): "con
riferimento al recente acquisto di porzione del piano terreno del fabbricato contesto alla predetta signora D'A.,
ad ogni effetto di legge e nel comune interesse, quanto segue:
- il vano retrostante posticciamente costruito utilizzando l'area del cortiletto sottostante il balcone deve essere
demolito in quanto costruito in violazione delle distanze legali con la mia proprietà;
- detto vano inoltre insiste parzialmente sopra, o a margine, della fossa biologica dell'intero fabbricato,
ostruendone il pozzetto di ispezionamento. Tale situazione, tra l'altro, implica che in caso di spurgo vi sono da
realizzare costose opere che vanno poste a carico della costruzione abusiva che ha eliminato di fatto l'originario
accesso;
- il locale acquistato dovrà essere attrezzato e coibentato onde evitare qualsiasi molestia;
- esiste una servitù di ampliamento fino ad un metro di profondità dell'attuale balcone anteriore il cui spazio
antistante dovrà rimanere libero".
In seguito a tali contestazioni, e dal successivo esame degli atti relativi alla provenienza del bene in capo al
"promittente alienante", la signora D'A. assume di avere rilevato che sul cespite per oggetto di trattativa
gravavano diritti reali vantati da terzi ed in particolare la riserva di costruzione sull'area soprastante il primo
piano, nonché il pieno diritto di sopraelevazione di altri piani senza dover corrispondere nulla al signor R..
Ebbene, è emerso con assoluta evidenza dagli accertamenti operati dal c.t.u. l'effettivo riscontro della sola
contestazione relativa alla violazione delle distanze legali venutasi a determinare per effetto della costruzione, da
parte del "promittente venditore", al piano terreno, di un corpo aggiunto - realizzato abusivamente (non è stata
ancora definita la procedura di condono) - che ha occupato quasi tutta la retrostante parte di cortile, usufruendo
dei muri perimetrali di confine che già esistevano e che costituivano il confine con gli altri proprietari, ricavando
una camera il cui affaccio per la luce è stato realizzato attraverso la zona del cortiletto.
La costruzione di questo locale ha determinato la violazione delle distanze legali rispetto ai balconi già costruiti al
primo piano da parte della proprietaria M. A., moglie dell'avvocato Vincenzo C..
Per quanto riguarda, invece, gli ulteriori motivi addotti dalla signora D'A. a giustificazione della interruzione delle
trattative, gli stessi - all'esito dei compiuti accertamenti - si sono rivelati privi di consistenza.
Per quanto riguarda il diritto relativo all'area soprastante l'unità abitativa al piano terra - e cioè il fabbricato
oggetto di trattativa per cui oggi è vertenza - va osservato che la signora M. A. in C. - originaria proprietaria - ,
con l'atto di vendita del 29 luglio 1975 aveva ceduto al signor Bagnasco Giuseppe una porzione di terreno e nella
vendita era compreso "il fabbricato al rustico, costituito da soli pilastri, della soletta e del muro perimetrale lato
Melito Porto Salvo e sfornito di impianti idrici, con la precisazione che la venditrice signora M. A. in C. si riserva
l'aria soprastante detto fabbricato".
Con successivo contratto del 25 gennaio 1977 il signor Bagnasco Giuseppe aveva venduto alla signora Montalto
A. in R. (coniuge divorziata del signor G. R.) il diritto acquistato con il predetto contratto del 29 luglio 1975 "con
la precisazione che la dante causa del venditore si è riservata l'area soprastante il suddetto fabbricato, posto al
piano terreno, e pertanto si è riservata l'area soprastante il piano terreno col diritto di sopraelevare senza nulla
dover corrispondere al proprietario del piano sottostante ai sensi dell'art. 1127 cod. civ.".
Infine, con la sentenza del Tribunale di Reggio Calabria n. 31/94, dep. il 30.12.1994, con la quale è stata
pronunciata la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra i signori R. G. e M. A., si è stabilito che la predetta
villetta sita in Saline di Montebello Ionico, via Pantanelle n. 25, sarebbe rimasta nella totale disponibilità del
marito.
Il diritto di costruire in sopraelevazione da parte della signora M., come riservato nel sopra menzionato atto del
25 gennaio 1977 - come ha obiettivamente accertato il c.t.u. - è stato già pienamente e completamente esercitato
dalla signora M. e precisamente negli anni 1985-86.
Allo stato, pertanto, si può affermare che sull'immobile oggetto della trattativa di vendita per cui è causa non vi
sono diritti a favore di terzi e pertanto la relativa contestazione mossa dalla signora D'A. risulta priva di
fondamento.
E', peraltro, emerso che la costruzione in sopraelevazione eseguita dalla signora M. di cui si è sopra argomentato
corrisponde esattamente al fabbricato menzionato nella missiva a firma dell'avvocato Bottari, indirizzata ai
signori C. e M.-C., datata 29 luglio 1999, con la quale si chiedeva "la chiusura di due aperture praticate all'ultimo
piano del fabbricato sito in Saline Ioniche, via Pantanelle al Mare n. 23 di Vostra proprietà".
Le aperture in questione si riferivano, dunque, all'appartamento costruito sopra quello che la signora D'A. stava
trattando di acquistare dal signor R. e quindi si deve presumere che la stessa - che, va evidenziato, è già
proprietaria di altro immobile a confine con quello oggetto di trattativa e quindi, anche per questo, aveva piena
cognizione dello stato dei luoghi - era perfettamente a conoscenza della proprietà in capo ai coniugi C.-M. del
predetto appartamento.
Ugualmente privo di consistenza è l'ulteriore argomento giustificativo opposto dalla signora D'A. (anche questo
conseguente alla contestazione mossale dall'avvocato C. con la più volte citata missiva del 29 luglio 1999. Il c.t.u.
ha infatti riscontrato che "il pozzetto di ispezione della fognatura generale, situato all'interno del cortiletto, resta
perfettamente libero ed ispezionabile a tutti gli effetti e non esistono impedimenti, anche in caso di eventuale
svuotamento, perché potrà benissimo essere allungata la manichetta di presa del tubo posseduto dall'autospurgo
per permettere una svuotamento secondo le regole". Aggiunge il c.t.u. che "la soluzione di ubicare il pozzetto nel
cortiletto al piano terra della proprietà M.-R. non è stata la più F.; infatti, in caso di maggiore afflusso di scarichi,
si può benissimo verificare una fuoriuscita di liquami dal pozzetto, che non ha altro sfogo e quindi invaderà
prima il pavimento del cortile e successivamente tutta la casa M.-R. con provocazione dei danni che si possono
facilmente immaginare. Si suggerisce a tutela delle unità immobiliari di prolungare la condotta di pochi metri e
spostare tale pozzetto fino alla vicina strada in modo da essere alla portata di tutti ed evitare gli inconvenienti di
cui sopra".
In conclusione, di tutti i paventati pregiudizi solo quello relativo alla violazione delle distanze legali rispetto ai
balconi di proprietà C.-M., determinata dall'esistenza della camera costruita dai coniugi R.-M. nel cortile al piano
terreno, può dirsi fornito di consistenza.
Ritiene, comunque, il giudicante, che pure tale sola situazione fornisca sufficiente giustificazione alla
determinazione della signora D'A. di non procedere alla definizione dell'acquisto, dal momento che il prezzo
complessivamente concordato (lire 120 milioni) si riferiva all'intero corpo dell'immobile e pertanto la probabile
eliminazione coatta di una parte di esso (e cioè la camera prima descritta, oltre che a determinare un'incidenza
non esigua sulla convenienza del prezzo, avrebbe comunque comportato una sostanziale variazione dell'oggetto
del contratto, modificando così le condizioni che avevano indotto la signora D'A. a tentarne l'acquisto.
Si deve, pertanto, ritenere e concludere che l'interruzione delle trattative da parte della signora D'A. risulta
pienamente giustificata.
Ciò posto, occorre procedere alla verifica della seconda delle questioni come sopra proposte e cioè se,
comunque, la signora D'A. abbia - in qualche modo - contravvenuto al precetto di comportarsi secondo buona
fede nelle trattative negoziali.
Secondo la disposizione contenuta nell'articolo all'art. 1337 c.c., nello svolgimento delle trattative e nella
formazione del contratto le parti devono comportarsi secondo buona fede.
La buona fede, nell'accezione considerata da detta norma, rileva come regola di condotta e cioè come buona fede
in senso oggettivo.
Secondo una nota definizione dottrinaria la buona fede esprime il principio della solidarietà contrattuale e si
specifica nei due fondamentali aspetti della lealtà e della salvaguardia.
La buona fede, precisamente, impone alle parti di comportarsi lealmente e, oltre, di attivare per salvaguardare
l'utilità dell'altra nei limiti di un apprezzabile sacrificio. All'uno e all'altro aspetto (lealtà- salvaguardia) possono
ricondursi gli obblighi tipici in cui specifica ulteriormente la buona fede nella fase precontrattuale.
Obblighi tipici di buona fede nella fase precontrattuale sono, sotto il profilo della lealtà, gli obblighi di
informazione, chiarezza e segreto, e, sotto il profilo della salvaguardia, l'obbligo del compimento degli atti
necessari per la validità ed efficacia del contratto.
Nella vicenda che costituisce oggetto del presente giudizio é il profilo del dovere di informazione che assume
specifico rilievo.
Volendo determinare il contenuto del dovere di informazione nelle trattative deve dirsi anzitutto che esso non
riguarda la convenienza del contratto bensì le circostanze obiettive che lo rendono invalido, inefficace, inutile o
non più praticabile.
In altri termini, nel momento in cui una delle parti, soprattutto se si sia in una fase già avanzata delle trattative,
matura la determinazione di non potere o non dovere più concludere l'intesa, questa assume lo specifico obbligo
di comunicare con pronta sollecitudine tale intenzione all'altra parte, per mettere in condizione quest'ultima di
prevenire o limitare eventuali conseguenze dannose di contenuto patrimoniale che possono riconnettersi alla
mancata conclusione del contratto.
In tal modo la parte "non recedente" potrà considerare la possibilità di trovare diverse occasioni contrattuali;
potrà accettare proposte contrattuali provenienti ex aliis; potrà - soprattutto - evitare la spese direttamente o
indirettamente collegate alla prospettiva della conclusione dell'accorto.
Ebbene, avuto riguardo al caso di specie, è documentalmente provato che la determinazione della signora D'A. di
recedere dalle trattative è sorta in seguito a al ricevimento della lettera inviatale dall'avvocato C. del 9 agosto
1999. Con missiva datata 4 agosto 2000 la signora D'A., per il tramite dell'avvocato Bottari, ha invitato il signor
G. R. a restituire la somma di lire 20.000.000 oltre interessi maturati consegnati "a titolo d'anticipo per l'acquisto
non potutosi realizzare per vizi dell'immobile promesso in vendita".
Ciò che si rileva dai predetti documenti é che la manifestazione esplicita della volontà di non concludere il
contratto da parte della signora D'A. è stata comunicata alla controparte dopo quasi un anno dalla presa
conoscenza delle situazione che facevano ritenere non conveniente l'acquisto.
E' peraltro da rilevare come i convenuti abbiano ammesso che la signora D'A. abbia mostrato di voler mettere
termine alle trattative già alla fine del mese di ottobre 1999, allorché il signor R., dopo averlo sgomberato, aveva
messo a disposizione l'immobile oggetto di contrattazione e pertanto si può collocare in tale periodo il momento
in cui la signora D'A. ha comunicato l'intenzione di non volere più acquistare.
Nessun rilievo, in proposito, possono assumere le allegazioni contenute nella comparsa conclusionale di parte
attrice e cioè la signora D'A. avrebbe reso edotto verbalmente il signor R. circa la propria volontà di non
concludere l'acquisto, accennando ad un incontro che sarebbe avvenuto nel settembre del 1999 presso lo studio
dell'avvocato Bottari: tale affermazione di parte è, allo stato, indimostrata e quindi priva di qualsiasi pregio.
Ciò che invece si può desumere dalle complessive risultante istruttorie è che il signor R., nel periodo settembre-
ottobre 1999 (e cioé nel periodo corrente tra la ricezione, da parte della signora D'A., della lettera a firma dell'avv.
C., e la dimostrazione dell'intenzione di non voler più concludere l'affare) ha posto in essere una serie di iniziative
che non sembrano compatibili con l'avvenuta sua conoscenza della determinazione della controparte di non
concludere il contratto.
E' stato infatti provato, dall'escussione dei testimoni e dai documenti prodotti dai convenuti, che il sig. G. R.:
a) ha rinunciato alla locazione stagionale dell'immobile in esame per il periodo 15 agosto-15 settembre,
perdendo così il corrispettivo di lire 2 milioni (v. deposizione M. Franco);
b) ha sgomberato di tutti i mobili il descritto appartamento, nel mese di settembre 1999, corrispondendo alle
persone che hanno provveduto all'incombenza (trasportando detto materiale da Saline Ioniche a Brancaleone) la
somma di lire 500.000 (v. deposizione Scordo D'A.);
c) ha fatto ritrasportare i mobili di cui al precedete punto dalla villa di Brancaleone a quella di Saline Ioniche,
nel mese di febbraio 2000, elargendo alle persone che si sono occupate del trasporto la somma di lire 800.000 (v.
deposizioni M. G.; L. E.; M. A.);
d) ha affidato ad un professionista l'incarico di reperire tutta la documentazione necessaria per il
perfezionamento dell'atto di vendita e per la stima dell'immobile, pagando - in più soluzioni - compensi per un
ammontare complessivo di circa 2-3 milioni (v. deposizione arch. M. F. G.);
e) ha ordinato all'Enel il distacco (eseguito il 7.10.99) ed il successivo riallaccio (operato il 29.2.2000) dell'energia
elettrica dell'immobile per cui è causa, sostenendo (per la riattivazione) la spesa di L. 192.100 oltre IVA (v. nota
Enel datata 29.1.02).
Ebbene, ritiene il Tribunale che tutte le iniziative elencate al capoverso che precede non avrebbero avuto ragione
di essere ove il sig. R. avesse ricevuto, da parte della signora D'A., la seria ed ufficiale comunicazione del
proponimento di non concludere più concludere l'acquisto.
Sebbene non possa essere del tutto esclusa l'ipotesi alternativa (e cioè che il "promittente alienante", pur
consapevole della decisione della controparte di non volere più definire l'acquisto, abbia potuto persistere
nell'esecuzione di tutta una serie di adempimenti sostanzialmente inutili), ciò che sul piano logico appare più
plausibile è che invece tali iniziative forniscano riscontro all'assunto sostenuto dai convenuti e cioè che fino alla
fine del mese di ottobre del 1999 la signora D'A. non abbia comunque manifestato l'intenzione di recedere
dall'affare.
Deve, dunque, esser riconosciuta e dichiarata la responsabilità precontrattuale della signora D'A. R. per avere
questa colposamente omesso di comunicare tempestivamente al signor G. R. la sua intenzione di non volere più
concludere l'affare e per aver indotto il signor R. ad affrontare spese che non erano necessarie.
Affermata la responsabilità della signora D'A. (trattasi, come è noto, di responsabilità di tipo extracontrattuale), si
rende necessario stabilire quale sia l'entità del danno risarcibile.
Secondo una autorevole dottrina, seguita senza contrasti dalla giurisprudenza, la responsabilità precontrattuale
comporta l'obbligo del risarcimento del danno nei limiti del c.d. interesse negativo e cioè dell'interesse del
soggetto a non essere leso nell'esercizio della sua libertà negoziale.
Il danno dell'interesse negativo consiste nel pregiudizio che il soggetto subisce per avere inutilmente confidato
nella conclusione o nella validità del contratto ovvero per avere stipulato un contratto che senza l'altrui illecita
ingerenza non avrebbe stipulato o avrebbe stipulato a condizioni diverse.
Nei casi di violazione del precetto di lealtà, che governa i rapporti tra le parti nel corso delle trattative, il soggetto
leso avrà diritto, quindi, al risarcimento del danno consistente nelle spese inutilmente erogate e nella perdita di
favorevoli occasioni contrattuali.
Le spese comprendono i costi sostenuti per lo svolgimento delle trattative e per la stipulazione del contratto
nonché i costi sostenuti per eseguire o per ricevere la prestazione detratto quanto può recuperarsi mediante
reimpiego o rivendita.
La perdita delle favorevoli occasioni contrattuali concerne le possibilità vantaggiose sfuggite al contraente a causa
dell'inutile trattativa o dell'inutile stipulazione del contratto.
Ebbene, tenuto conto dei sopra riferiti parametri di riferimento e delle risultanze emerse dalle sopra rassegnate
acquisizioni istruttorie ritiene il Tribunale di dover quantificare l'ammontare del danno complessivamente subito
dal defunto sig. G. R. in complessivi euro 2586,93, corrispondenti a lire 5.090.000, di cui: lire 2.000.000 per
mancata locazione dell'immobile nel periodo 15 agosto-15 settembre 1999; lire 1.300.000 per il trasporto dei
mobili da Saline Ioniche a Brancaleone e per il successivo trasporto in senso inverso; lire 209.000 per spese
riattivazione contratto fornitura energia elettrica; lire 1.500.000 per competenze professionali erogate all'arch. M.
(si stima equo tale importo, considerato che il professionista, sentito come testimone, non è stato in grado di
indicare la cifra esatta da lui ricevuta - per la quale non ha rilasciato fattura -, accennando ad un importo di circa 2
o 3 milioni).
Nessun riconoscimento può essere invece fatto per quanto riguarda gli ulteriori pretesi pregiudizi lamentati dai
convenuti: non risulta, infatti, dimostrato né il nesso di derivazione causale tra la mancata conclusione dell'affare
per cui è causa e la contrazione del mutuo con la B.N.L. nonché con le dimissioni del sig. G. R. dall'impiego
presso la Roche S.p.A., né le svantaggiosità economiche di tali evenienze. Inoltre, come già sopra evidenziato,
nessun addebito può essere mosso alla signora D'A. per quanto riguarda la determinazione di non concludere
l'affare (alla stessa, come si è visto, è stato addebitato il solo ritardo nella comunicazione di tale proponimento
alla controparte).
Alla luce di quanto precede, e dovendosi per un verso considerare l'indebitezza sopravvenuta del versamento
della somma di euro 10.329,14 (lire 20.000.000) da parte della signora D'A. al sig. G. R. (a titolo di acconto sul
prezzo del futuro contratto di acquisto poi non concluso) e, per altro verso, la tenutezza della signora D'A. a
tenere indenni gli odierni convenuti, quali eredi del sig. G. R., della somma di euro 2568,93 (lire 5.090.000) dei
danni sopra specificati, appare giustificato procedere alla compensazione di tali importi, fino alla reciproca
concorrenza, ed in conseguenza si dovranno condannare i convenuti alla restituzione, in favore della signora
D'A. R., della differenza pari ad euro 7760,21, oltre interessi al tasso legale dal 9 agosto 1999 (questo -
corrispondente alla data in cui l'avvocato C. ha inviato alla signora D'A. la più volte menzionata missiva - risulta
essere il solo riferimento temporale obiettivamente considerabile per ancorare la data presumibile "ante quem"
per quanto riguarda la materiale erogazione dell'acconto da parte dell'attrice in favore del sig. G. R.) al soddisfo.
Nulla è dovuto, invece, per rivalutazione monetaria, essendo l'obbligo di restituzione di somme di denaro
ricevute senza titolo debito di valuta.
Le ragioni della decisione giustificano la compensazione integrale delle spese di lite, ivi comprese quelle di c.t.u..
P.Q.M.
Il Tribunale di Reggio Calabria, Seconda Sezione Civile in composizione monocratica, in persona del giudice
dott. Santo Melidona, definitivamente pronunciando sulle domande proposte da D'A. R. contro i germani R. F.
M. T. e R. F. D., nonché sulla domanda riconvenzionale proposta da questi ultimi nei confronti della prima, così
provvede:
a) accoglie parzialmente sia la domanda di restituzione somme avanzata dall'attrice, sia la domanda
riconvenzionale di risarcimento danni avanzata dai convenuti e, per effetto della compensazione, condanna i
convenuti R. F. M. T. e R. F. D. alla restituzione in favore della signora D'A. R. della somma di euro 7760,21,
oltre interessi al tasso legale del 9 agosto 1999 al soddisfo;
b) compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio, ivi comprese quelle di c.t.u..
Reggio Calabria il 30.10.2004

Tribunale Monza, 31 gennaio 2004

Svolgimento del processo


Con atto di citazione ritualmente notificato il 25.6.1999 la H. LTD, in persona del suo procuratore speciale ing.
G.M. , conveniva innanzi al Tribunale di Monza, sezione distaccata di Desio, i Sig.ri M.G., F.R., la M. Carni
S.R.L., nonché la B & N. S.R.L., per ivi sentir:
-accertare l'inadempimento dei primi tre convenuti al contratto stipulato in data 22.3.1999 e conseguentemente
-emettere sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. che tenga luogo degli effetti del contratto non concluso;
-in subordine dichiarare la risoluzione del contratto sottoscritto in data 22.3.1999 per inadempimento
imputabile ai citati convenuti;
-condannarli in ogni caso al risarcimento dei danni;
-in ulteriore subordine accertare l'illegittimità del recesso dalla trattative e conseguentemente condannare i
convenuti M.G., F.R. e M. Carni S.R.L. al risarcimento dei danni ex art. 1337 c.c. indicati in lire 2.000.000.000 ( €
1.032.913,80);
-accertare l'illlegittimità della revoca del mandato conferito da B.& N. S.R.L. ad H. LTD e conseguentemente;
-condannare la B.& N. S.R.L. al pagamento della somma di lire 500.000.000 ( € 258.228,45) promessa a titolo di
compenso per l'opera di intermediazione svolta.
A fondamento della domanda l'attrice sosteneva:
-di aver intrattenuto trattative nella persona del Sig. M. G. nei primi mesi del 1999 con il Sig. M.G. volte
all'acquisto della di lui attività mediante cessione delle quote della M. Carni s.r.l. e contestuale vendita degli
immobili ad uso industriale di proprietà del Sig. M.G. Luigi, siti in Lentate s/S e concessi in locazione alla M.
carni s.r.l.;
-che tali trattative erano sfociate nella sottoscrizione del documento denominato «PREACCORDO DI
CESSIONE..» in data 22.3.1999;
-che tale accordo, in quanto contenente tutti gli elementi essenziali della compravendita, costituiva valido
contratto con efficacia obbligatoria per le parti, le cui obbligazioni consistevano nel prestare il consenso alla
stipulazione del contratto preliminare;
-che nonostante tale vincolatività e l'invito a presentarsi innanzi al notaio i Sig.ri F. e M. non addivenivano alla
stipulazione del contratto preliminare;
-che la B & N. S.R.L., società operante nel settore delle carni ed in fase di espansione, nonostante avesse
conferito incarico alla H. LTD di reperite soggetti interessati alla vendita di attività nello stesso settore e si fosse
impegnata, dopo la scrittura del 22.3.1999, a corrispondere alla H. LTD la somma di lire 500.000.000 a titolo di
compenso, inopinatamente interrompeva i raporti con l'attrice e si rifiutava di perfezionare l'acquisto alle
condizioni previste nella scrittura 22.3.1999.
L'attrice nell'atto introduttivo svolgeva, altresì, istanza di sequestro giudiziario ex art. 670 c.p.c. dell'immobile sito
in Lentate s/S di proprietà del Sig. M.G., nonché delle quote della M. Carni S.R.L.
Con comparsa in data 21.7.1999 si costituivano nel giudizio cautelare il Sig. M.G. e la M. Carni s.r.l., eccependo,
preliminarmente, la carenza di legittimazione attiva dell'attrice, in quanto mandataria con rappresentanza della
B.& N. s.r.l. nell'operazione commerciale de qua, nel merito la non vincolatività della scrittura 22.3.1999, in
quanto avente il contenuto di semplice puntuazione.
Con ordinanza riservata in data 27.7.1999 il Giudice accoglieva il ricorso, autorizzando l'attrice al sequestro dei
beni indicati nella domanda cautelare. Avverso tale provvedimento i resistenti - M.G. e M. Carni s.r.l.,-
proponevano reclamo al collegio, che con provvedimento in data 16.9.1999 riformava completamente
l'ordinanza del 27.7.1999, ritenendo quanto al fumus boni iuris la non vincolatività della scrittura 22.3.1999.
I convenuti M.G., F.R. e M. Carni S.R.L., costituitisi ritualmente in giudizio, contestavano in toto la domanda
attorea, chiedendone il rigetto.
In tale atto i convenuti ribadivano le eccezioni preliminari e di merito sollevate in fase cautelare ed in particolare
sulla domanda di risarcimento danni per responsabilità precontrattuale sostenevano di aver tenuto durante la
trattativa un comportamento improntato ai canoni di correttezza e buona fede e che la mancata conclusione
dell'affare fosse da imputare a fatto ascrivibile al Sig. M. ed alla B & N S.r.l. In via subordinata e per la sola
ipotesi di accoglimento della domanda ex art. 2932 c.c. i convenuti svolgevano domanda riconvenzionale volta ad
ottenere l'indicazione degli obblighi gravanti sulla società attrice ed in particolare il termine perentorio entro in
quale ottenere la liberazione dei coniugi M. -F. dalle garanzie prestate.
In ogni caso i convenuti chiedevano la condanna dell'attrice al risarcimento dei danni per negligente esercizio
delle azioni esecutive ex art. 96, secondo, comma, c.p.c.
La convenuta B & N S.r.l., costituitasi ritualmente in giudizio, contestava in toto gli assunti attorei, chiedendo il
rigetto delle relative domande. In particolare la convenuta B & N S.r.l. sosteneva:
-che l'incarico conferito alla H. LTD era limitato al reperimento di potenziali venditori ed alla redazione di
semplici bozze d'accordo o «preaccordo» senza spendita del nome;
-di essersi assunta l'obbligo di corrispondere la somma di lire 500.000.000, sul presupposto che la H. LTD
avesse esaurito il proprio incarico con la redazione della bozza 22.3.1999;
-che inopinatamente la H. proseguiva nella trattativa autonomamente contraendo in nome proprio senza
chiederle preventive istruzioni.
Sulla base di tali assunti la convenuta B & N S.R.L. svolgeva domanda riconvenzionale volta all'accertamento
dell'inadempimento doloso della H. LTD al contratto di mandato con conseguente condanna della stessa al
risarcimento dei danni subiti senza la limitazione di cui all'art. 1225 c.c., danni consistiti nell'aver definitivamente
compromesso la trattativa con la compagine M. e quantificati nella somma di lire 6.300.000.000, oltre al
risarcimento dei danni per lite temeraria ex art. 96 c.p.c.
Veniva fissata l'udienza del 10.5.2000 ex art. 183 c.p.c. ed autorizzato lo scambio di memorie ex artt. 170 e 180
c.p.c. A tale udienza:
-interveniva personalmente il Sig. M. G. assumendo che la H. LTD con delibera del 30.9.1999 gli aveva
trasferito tutte le attività e passività, chiedendone l'estromissione dal Giudizio;
-parte attrice H. LTD rinunciava a tutte le domande proposte contro la B & N s.r.l.;
-a sua volta quest'ultima rinunciava alla domanda riconvenzionale svolta nei confronti della prima, cosicché la
convenuta B & N s.r.l. veniva estromessa dal processo;
-i convenuti M.G., F.R. e M. Carni S.r.l. si opponevano all'estromissione dell'attrice H. LTD, contestando
l'attendibilità del verbale del Consiglio di amministrazione della società irlandese prodotto dal terzo intervenuto.
Esperito invano il tentativo di conciliazione, dato corso all'istruttoria orale della causa, che comportava
l'audizione di quattro testi, dichiarata l'incapacità a deporre ex art. 246 c.p.c. dei testi Vincenzo Toscano e
Occhiena, la causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 30.9.2003. A tale udienza
parte attrice ed il terzo intervenuto rinunciavano alla domanda costitutiva ex art. 2932 c.c., chiedendo in via
principale l'accertamento dell'inadempimento dei convenuti al contratto del 22.3.1999 e la condanna al
risarcimento dei danni conseguenti indicativamente quantificati in € 1.032.913,80 ed in subordine la condanna
per responsabilità precontrattuale. (Omissis).
Motivi della decisione
Parte convenuta ha eccepito la carenza di legittimazione attiva dell'attrice, per avere agito in qualità di
rappresentante della B & N S.r.l.
L'eccezione è infondata.
Infatti dai documenti prodotti (cfr. doc. n. 1, 7, 8, 16 e 17 fasc. attrice), ed in particolare dalla stessa scrittura del
22.3.1999 (cfr. doc. n. 2 fasc. citato) emerge che la H. LTD agì in nome proprio, senza mai spendere il nome
della B & N S.r.l., pertanto se rapporto di mandato ci fu tra le due società deve qualificarsi come mandato senza
rappresentanza con conseguente imputabilità degli effetti della dichiarazione nei confronti dei terzi al mandatario.
Quanto poi alla legittimazione attiva dell'attrice e del terzo intervenuto in relazione alla domanda subordinata di
condanna al risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale va precisato che sia la dottrina che la
giurisprudenza (cfr. Cass. 17.11.1997 n. 11394; Cass. 28.10.1983 n. 6386) ritengono destinatari dei doveri di
correttezza e buona fede di cui all'art. 1337 c.c. tutti i soggetti che prendono parte alla trattativa, e non solo i
futuri contraenti.
Venendo al merito delle domande attoree si ritiene che le stesse sono infondate e, pertanto, vanno respinte.
Chiarezza espositiva impone di affrontare separatamente le singole domande, precisando che parte attrice e terzo
intervenuto hanno rinunciato alla domanda costitutiva ex art. 2932 c.c.
1. La domanda di risarcimento dei danni derivanti dall'inadempimento della scrittura del 22.3.1999.
Sostengono parte attrice e terzo intervenuto che i convenuti si siano resi inadempienti agli obblighi assunti con il
contratto sottoscritto in data 22.3.1999 (cfr. doc. n. 2 fasc. attrice e terzo intervenuto).
Logicamente preliminare, pertanto, è la statuizione circa la vincolatività di tale scrittura denominata «Preaccordo
di cessione quote società e immobile di proprietà del Sig. M. Giovanni»
Parte attrice ed il terzo intervenuto al fine di supportare la validità contrattuale della stessa opinano che stante
l'indicazione in essa di tutti gli elementi essenziali dell'accordo il contratto debba ritenersi concluso.
L'assunto non è condivisibile.
Infatti la Corte di Cassazione sul punto ha chiaramente statuito che: «Nella nozione di minuta e puntuazione del
contratto rientrano sia i documenti che contengono intese parziali in ordine al futuro regolamento d'interessi
(c.d. puntuazione di clausole) sia i documenti che predispongano con completezza un accordo negoziale in
funzione preparatoria del medesimo (c.d. puntuazione completa di clausole). Le due categorie presentano una
diversità di regime probatorio, in quanto nel secondo caso, la parte, la quale intenda dimostrare che non si tratti
di un contratto ma di una semplice minuta con puntuazione completa di clausole, deve superare la presunzione
semplice di avvenuto perfezionamento contrattuale, in virtù del principio secondo cui anche un documento
dimostrante con completezza un assetto negoziale può essere soltanto preparatorio di un futuro accordo, una
volta dimostrata l'insussistenza di una volontà attuale di accordo negoziale. Il relativo accertamento, che si
traduce nella ricostruzione della volontà effettiva delle parti interpretata secondo i criteri di cui all'art. 1362 c.c. e
s.s., implica un accertamento demandato al Giudice di merito......» (Cass. 22.8.1997 n. 7857 proprio in relazione
ad un caso di trasferimento di quote societarie; nello stesso senso cfr. Cass. 14.6.1999 n. 5830; Cass. 30.3.1994 n.
3158; Cass. 17.3.1994 n. 2548; Cass. 17.10.1992 n. 11429; Trib. Roma 27.6.2001).
Applicando il principio citato al caso di specie deve pertanto verificarsi se le parti con la sottoscrizione dell'atto
22.3.1999, che pacificamente contiene tutti gli elementi essenziali del contratto (identificazione dei contraenti, dei
beni oggetto della cessione alla clausola 1, prezzo dei beni e modalità di pagamento clausola d) ed e), voci
patrimoniali da detrarre al prezzo pattuito clausola d), liberazione dalla garanzie a carico del cessionario clausola
g) abbiano espresso la volontà attuale di obbligarsi.
L'indagine andrà svolta tenendo conto dei criteri ermeneutici di cui all'art. 1362 c.c. ed in particolare della
comune volontà delle parti, del loro comportamento successivo e del tenore complessivo delle clausole ex art.
1363 c.c.
Il tenore complessivo dell'atto e dalle singole espressioni ivi usate dimostra chiaramente che le parti non
espressero alcuna volontà attuale di obbligarsi contrattualemente con la redazione dello stessa, ma solo di
annotare le condizioni dell'eventuale, stipulando contratto preliminare.
Ed infatti la scrittura è:
-intitolata «Preaccordo di cessione quote...», la Corte di Cassazione ha eslcuso la forza vincolante di una
scrittura per essere semplicemente intitolata la stessa «Lettera di intenti» (Cass. 14.5.1998 n. 4853);
-la clausola n. 1 precisa che tra le parti è intervenuto «un accordo di massima..»;
-la clausola n. 2 precisa che «la presente non ha ancora valore di promessa di vendita, che sarà stipulata entro il
14.4.1999»;
-con la clausola n. 3 le parti conferiscono mandato all'Avv. Toscano Vincenzo per la stesura del
«compromessi».
Tali espressioni inequivocabilmente rivelano la volontà delle parti di fissare semplicemente i punti rilevanti
dell'affare senza tuttavia ritenersi già vincolati contrattualmente alla cessione.
Inoltre è assai rilevante ai fini del giudizio di valenza contrattuale e vincolante della scrittura, la circostanza che la
stessa contiene le condizioni del futuro contratto preliminare e non del futuro contratto definitivo. Dunque
l'obbligazione che sorgerebbe dalla scrittura de qua sarebbe quella di prestare il consenso alla stipulazione di un
contratto preliminare, che a sua volte farebbe sorgere l'obbligo di prestare il consenso alla stipulazione della
cessione. Il documento dovrebbe quindi qualificarsi come contratto preliminare del preliminare, della cui validità
pur in presenza di clausole certe sull'impegno alla stipula del contratto preliminare, proprio per difetto di volontà
a vincolarsi, è stata posta in dubbio sia dalla dottrina che dalla giurisprdenza (cfr. Pretura Bologna 9.4.1996).
Tali considerazioni unitamente all'importanza economica dell'affare (corrispettivo pattuito in lire 6.300.000.000)
ed alla sua complessità (necessità di calcolare alcune voci e di ottenre la liberazione delle garanzia prestate
personalmente dai Sig.ri M. e F. agli istituti bancari, contestuale cessione di immobili e disdetta dei contratti di
locazione in corso) inducono a ritenere che le parti intendessero soltanto «puntualizzare» per chiarezza nella
conduzione della trattativa le condizioni essenziali del futuro accordo.
Tuttavia dirimente sul punto è il successivo comportamento tenuto dalle parti, ivi compresa B & N s.r.l. diretta
interessata all'acquisto per stessa ammissione della H. LTD (cfr. punto 10 e 11 a pagg. 3 e 4 dell'atto di citazione)
e quindi legittimata a partecipare alla trattativa ed alla definizione e realizzazione delle condizioni contenute nel
preaccordo del 22.3.1999 . Infatti:
-lo stesso Sig. M. G., mostrando di aver percepito il carattere essenziale della clausola di liberazione delle
garanzie prestate dai Sig.ri M. e Frigerio, chiede un differimento a tal fine del termine per la sottoscrizione dei
preliminari in data 15.5.1999, cioè ben un mese e messo dopo la sottoscrizione del preaccordo 22.3.1999 (cfr.
doc. n. 7 fasc. attrice);
-sia la potenziale acquirente B & N s.r.l. sia i potenziali venditori dopo la scrittura del 22.3.1999 danno incarico
a professionisti, commercialisti ed avvocati, di fiducia di verificare la convenienza di quanto ivi trasfuso;
-sia il commercialista Verino Mario, per B. & N. S.R.L., sia il commercialista Belloni Murizio, per M. -Frigerio,
esaminata la scrittura del 22.3.1999 riscontrano evidenti errori, fra i quali emerge la determinazione del prezzo in
relazione al previsto pagamento anche del magazzino (cfr. teste Verino) e cercano unitamente ad altri
professionisti nuove e diverse soluzioni contabili e giuridiche per la realizzare la cessione (cfr. testimonianze di
Verino e Belloni);
-tutte le parti dopo la sottoscrizione del documento 22.3.199 si incontrano per rivederne sostanzialmente il
contenuto (cfr. dichiarazioni dei testi Verino e Belloni);
-lo stesso Avv. Toscano Vincenzo, nominato sia da H. LTD che da M. quale professionista incaricato della
redazione dei contratti preliminari, in data 27.5.1999 invia alle parti ed ai loro professionisti un altro «preaccordo
di cessione» in sostituzione di quello firmato il 22.3.1999 (cfr. doc. n. 1 fasc. convenuti M. -Frigerio) ed in data
1.6.1999 invia un ulteriore preaccordo con le modifiche proposte dagli acquirenti (cfr. doc. n. 2 fasc. cit.);
-i potenziali acquirenti inoltre non erano in grado di liberare i potenziali venditori dalle garanzie personali
prestate alle banche (cfr. teste Beretta Mario, vice presidente del Credito Cooperativo di Barlassina), realizzando
così una delle condizioni poste come essenziali per la conclusione dell'affare;
A fronte di tale quadro probatorio deve quindi concludersi che nessuna volontà attuale di obbligarsi le parti
abbiano espresso nella scrittura del 22.3.1999, la stessa costituisce non un contratto ma soltanto una puntuazione
delle eventuali e future condizioni contrattuali.
2. La domanda di risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale.
Parte attrice ed il terzo intervenuto subordinatamente chiedono la condanna dei convenuti al risarcimento dei
danni per responsabilità precontrattuale ravvisata nel recesso ingiustificato dalle trattative.
Preliminarmente deve osservarsi in diritto che tradizionalmente la Corte di Cassazione, con orientamento
costante, ravvisa ipotesi di comportamento (anche solo colposo cfr. Cass. 17.11.1997 n. 11394) contrario al
corretto svolgimento della trattativa e fonte di responsabilità contrattuale:
-nell'assenza di una giusta causa di recesso quando lo stadio della trattativa è tanto avanzato da aver ingenerato
un ragionevole affidamento nella conlcusioe del contratto;
-nella scorrettezza nella revoca della proposta;
-nell'omessa comunicazione di cause di invalidità del contratto ex art. 1338 c.c.
Le massime (che si possono definire tralaticie sul punto) sono del seguente tenore: «I presupposti della
responsabilità precontrattuale, ai sensi dell'art. 1337 c.c., sono lo stadio avanzato della trattativa, il ragionevole
affidamento suscitato nella conclusione del contratto, l'assenza di giusta causa di recesso e la violazione degli
obblighi di buona fede, l'omessa informazione circa l'esistenza di una causa di invalidità del contratto» (cfr. Cass.
14.2.2000 n. 1632; Cass. 29.4.1999 n. 4299; Cass. 2.8.1999 n. 8365).
Di recente tuttavia la Giurisprudenza, recependo le elaborazioni dottrinali sul punto, che già da tempo
individuavano tra i doveri di correttezza oneri di avviso, di segreto, di custodia e di protezione, ha ampliato il
concetto di buona fede e correttezza nella trattativa, imponendo soprattutto alle parti maggiori doveri di
informazione (ad es. in materia di mediazione immobiliare ed intermediazione finanziaria), ammettendo altresì
l'eventuale sussistenza di una responsabilità per conduzione scorretta della trattativa anche in caso di avvenuta
conclusione del contratto (cfr. Cass. 29.3.1999 n. 2956; Cass. 1.4.1996 n. 3001; Cass. 22.8.1998 n. 8338; Cass.
16.10.1998 n. 10249), sino ad ora esclusa (cfr. Cass. 16.4.1994 n. 3681; Cass. 11.9.1989 n. 3922).
Alla luce di tali principi la domanda attorea deve ritenersi infondata.
Occorre, infatti, nel caso sub iudice verificare, da un lato, se la compagine M. abbia violato i canoni della
correttezza e della buona fede durante la trattativa diretta alla cessione della propria attività e/o, dall'altro, se il
recesso da tale trattativa possa configurarsi come privo di giusta causa.
Quanto al primo profilo di responsabiltà i convenuti, e per essi i professionisti intervenuti, hanno tenuto durante
tutta la trattativa, iniziata nei primi mesi del 1999 (cfr. doc. n. 1 fasc. attrice datato 2.3.1999) e conclusasi il
15.6.1999 (cfr. doc. n. 15 fasc. attrice), un comportamento rispettosi dei doveri di correttezza e buona fede.
Infatti in relazione ai doveri di informazione su elementi rilevani i convenuti hanno sempre manifestato alla
controparte l'essenzialità ai fine della conclusione dell'affare della loro liberazione dalle garanzia personali prestate
a favore delle Banche (cfr. puntuazione del 22.3.1999 doc. n. 2, 4, 6, 9 fasc. attrice). La circostanza inoltre era ben
nota:
-al Sig. M. , il quale proprio in considerazione dell'impossibilità all'esito dei colloqui con le banche interesate di
ottenere la citata liberazione dalle garanzie chiede ai convenuti una proroga rispetto ai termini indicati per la
stipulazione dei contratti preliminari(cfr. doc. n. 7 fasc. attrice);
-ed alla B & N S.R.L., la quale proprio per la difficoltà ad ottenere la citata liberazione, incarica il proprio
commercialista Dott. Verino di studiare nuove ipotesi e forme per il trasferimento dell'attività (cfr. dichiarazioni
del teste Verino).
Né si può dire che parte convenuta ha intrattenuto la trattativa in mala fede con la riserva mentale di
interromperla.
Nessun altro profilo di scorrettezza è stato addotto da parte attrice e terzo chiamato, né emerge dalle prove
costituende e costituite.
Neppure il recesso dalla trattativa da parte dei convenuti, che dopo il rifiuto di presentarsi innanzi al Notaio
Trezza di Milano non hanno più coltivato le intese, può ritenersi privo di giusta causa.
L'analisi delle decisioni giurisprudenziali affermative della responsabilità precontrattuale per ingiustificato recesso
insegna che può ravvisarsi l'ipotesi in esame nei seguenti casi:
-rifiuto da parte di uno dei contraenti di sottoscrivere l'atto scritto o recarsi dal notaio per formalizzare un
contratto per il quale è prevista a pena di nullità la forma scritta, quando le parti hanno raggiunto l'accordo su
tutti gli elementi essenziali (Trib. Livorno 30.4.1996);
-rifiuto di contrarre da parte di un imprenditore che intende affidara ad altra impresa la costruzione di opere
che richiedono costosi studi di progettazione;
-rifiuto di concludere il contratto di locazione da parte del conduttore che ha condizionato il consenso
all'esecuzione di opere a spese del proprietario;
-mancata assunzione di un lavoratore, che contattato a tal fine da altra impresa nella convinzione di essere
assunto si dimette;
-mancato rinnovo di un contratto che comporta gravosi oneri organizzativi per l'impresa appaltatrice
ammortizzabili solo in più anni.
Nessuna di tali ipotesi neppure in via analogica ricorre nel caso di specie.
Infatti la causa del recesso dalla trattativa da parte dei convenuti, come già precisato, è da ravvisrsi
nell'impossibilità per i potenziali acquirenti dell'attività di liberarli dalle garanzie personali prestate verso le
banche.
Tale condizione essenziale è stata da subito esplicitata dai convenuti e continuamente ribadita durante le diverse
fasi dei rapporti, cosicchè l'incapacità dei potenziali acquirenti di realizzare tale condizione rende giustificato il
rifiuto di addivenire alla conclusione dell'affare.
Né può infine sostenersi che i convenuti abbiano malizionsamente o colposamente, pur consapevoli di tale
essenzialità, protratto inutilmente la trattativa, ingenerando legittimi affidamenti nella conclusione dell'accordo
anche senza la liberazione dalle garanzie. Infatti la stessa si è sviluppata nell'arco di soli 4 mesi, un tempo
relativamente breve in considerazione del valore e della complessità dell'affare e soprattutto i convenuti
reiteratamente hanno ribadito l'essenzialità della più volte citata condizione.
Per le considerazioni svolte anche la domanda subordinata va rigettata.
(Omissis).

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