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turbolento
Matteo Rosellini
19 febbraio 2019
ii
iii
2 Le equazioni RANS 7
8 Bibliografia 61
B Flusso incomprimibile 65
v
vi INDICE
2. Per 2100 < Re < 4000 la linea di colorante perdeva la sua stazionarietà
e si propagava lungo una traiettoria ondulata con caratteristiche dipen-
denti dal tempo. In questo regime di transizione, tuttavia, la traccia
del colorante preservava perlomeno la sua coerenza spaziale, rimanendo
confinata entro una linea sottile.
1
2 CAPITOLO 1. INTRODUZIONE ALLA TURBOLENZA
3. Per Re > 4000, dopo un tratto iniziale con oscillazioni di ampiezza cre-
scente, la traccia dell’inchiostro veniva diffusa vigorosamente in tutta
la sezione trasversale del tubo fino a distribuirsi omogeneamente in tut-
to il flusso. Questo regime di flusso è detto regime turbolento ed è
caratterizzato da un moto disordinato, completamente tridimensionale
e non stazionario accompagnato da delle fluttuazioni di velocità con
caratteristiche non deterministiche.
nello stesso punto e per lo stesso intervallo temporale si ottengono dei segnali
notevolmente differenti se confrontati istante per istante, pur conservando le
stesse caratteristiche statistiche, come il valor medio e la deviazione standard:
In cui:
8
σ = 10 β = 3
ρ = 28
4 CAPITOLO 1. INTRODUZIONE ALLA TURBOLENZA
Le equazioni RANS
7
8 CAPITOLO 2. LE EQUAZIONI RANS
Mentre, se la velocità media risulta anch’essa funzione del tempo allora l’ope-
razione di media non va effettuata per un tempo infinito ma su un intervallo
finito che risulti molto grande rispetto alle scale temporali delle fluttuazioni
ma che sia allo stesso tempo abbastanza breve se confrontato con i tempi di
variazione del campo medio:
Z t+T
1
U (x, t) =< u (x, t) >= lim u (x, t)dt
T →∞ 2T t−T
div (→
−
v)=0
−
∂→ →
−
v
∂t
+ v · ∇ v = f − ρ1 ∇p + ν ∇2 →
→
− →
− −v
∂T + →
− 1 2
v · ∇T = ρcV (Φ − k ∇ T )
∂t
9
A=A (1)
CA = CA (2)
A+B =A+B (3)
A ·B =A·B (4)
∂A ∂A
∂xk
= ∂xk
(5)
A0 = A − A = 0 (6)
Andiamo ad applicare questo operatore alle equazioni del moto. Per quanto
riguarda l’equazione di continuità di massa, mediando avremo:
3
X ∂U
=0
i=1
∂xi
E sottraendo questo risultato all’equazione non mediata, avremo:
3
X ∂u0 i
=0
i=1
∂xi
10 CAPITOLO 2. LE EQUAZIONI RANS
Da cui scopriamo che sia il flusso medio che quello oscillante sono solenoidali.
Per quanto riguarda l’equazione di bilancio della quantità di moto, invece,
ricordando che come al solito la media temporale di una fluttuazione tempo-
rale, in accordo con la proprietà (6) della pagina precedente, è nulla, allora
si annulleranno diversi termini:
∂u0i ∂ 0
∂t
= u =0
∂t i
∂p0 ∂ 0
∂t
= ∂t
p =0
∂ 2 u0i ∂ 2
∂t2
= u0 = 0
∂t2 i
Mediando, avremo:
∂u0i ∂ 0 0 ∂u0j
u0j = ui uj − u0i
∂xj ∂xj ∂xj
|{z}
0
Dove l’ultimo termine è nullo in virtù della solenoidalità del flusso oscillante
dimostrata poco sopra. Semplificando la notazione, le equazioni di Navier
Stokes mediate alla Reynolds risultano allora essere:
( P3 ∂Ui
i=1 ∂xi = 0
∂Ui
P 3 ∂Ui 1 ∂p
P3 ∂ 2 Ui P3 ∂ (u0i u0j )
∂t
+ j=1 Uj ∂xj
= − ρ ∂xi
+ ν i=1 ∂x2 − j=1 ∂xj
i
Capitolo 3
11
12 CAPITOLO 3. IL TENSORE DEGLI SFORZI DI REYNOLDS
che ha componenti u0i u0j , espressione del prodotto diadico tra le componenti
della velocità fluttuante:
0 0
u1 u1 u01 u02 u01 u03
Dove, in pratica, gli sforzi di Reynolds sono considerati come degli sforzi
aggiuntivi incaricati di sottrarre energia dal flusso medio e di trasferirla alle
fluttuazioni di velocità. E’ utile sottolineare ancora una volta che le equa-
zioni di Navier-Stokes sono già da sole assolutamente complete e sufficienti a
descrivere la dinamica di un flusso turbolento: quando detto finora, dunque,
non aggiunge nulla come conoscenza del moto, ma serve piuttosto a snelli-
re il problema da risolvere, limitandoci al moto medio: se, in pratica, nelle
equazioni di Navier-Stokes esatte appariva il solo termine dovuto agli sforzi
viscosi, in quelle approssimate alla Reynolds scritte per il moto medio, si
considera un contributo aggiuntivo agli sforzi viscosi che sia capace di trasfe-
rire energia dal moto medio al moto fluttuante. Nell’equazione scritta poco
sopra, inoltre, τij rappresenta il tensore degli sforzi viscosi del flusso medio,
che per un flusso incomprimibile con ipotesi di Stokes è definito come:
µ∗ = µ + µT
νT = νT (~x, t)
A riprova del fatto che entrambi questi tensori, quello degli sforzi viscosi e
quello degli sforzi di Reynolds, sono responsabili dello scambio di quantità
di moto tra particelle fluide, consideriamo il volume di controllo riportato in
figura:
Avremo che: ZZ
Uj + u0j (Ui + u0i ) ni dA
Q̇j = −ρ
A
3.2. INTERPRETAZIONE FISICA 15
E cioè: ZZ
Ui Uj + Ui u0j + Uj u0i + u0i u0j ni dA
Q̇j = −ρ
A
Effettuiamo una media alla Reynolds per ottenere:
ZZ
Q̇j = −ρ Ui Uj + Ui u0j + Uj u0i +u0i u0j ni dA
A |{z} |{z}
0 0
E cioè: ZZ
Q̇j = −ρ Ui Uj + u0i u0j ni dA
A
Infine, dal teorema della divergenza segue che:
!
∂ u0i u0j
ZZZ
∂ (Ui Uj )
Q̇j = −ρ −ρ dV
V ∂xi ∂xi
E cosı̀ risulta subito chiaro che il tensore degli sforzi di Reynolds è re-
sponsabile dello scambio di quantità di moto all’interno del volume V a causa
della presenza di una velocità fluttuante u0 sulla superficie A. Consideria-
mo a questo punto un profilo di velocità mediato nel tempo e due superfici
parallele al piano x = z:
0
Allo stesso modo, considerando una fluttuazione di velocità negativa v <0
che traporti una particella fluida dalla superficie 2 alla superficie 1, avremo
che in media la velocità fluttuante sulla superficie 2 era maggiore di quella
sulla superficie 1 e dunque tale particella indurrà una fluttuazione positiva a
indurrà una fluttuazione positiva u0 > 0. Anche in questo caso, quindi:
17
18CAPITOLO 4. EQUAZIONE DI TRASPORTO DEGLI SFORZI DI REYNOLDS
∂u0i
u0j
∂t
Per il secondo termine, invece:
∂u0i ∂u0
u0j Uk = Uk u0j i
∂xk ∂xk
∂Ui ∂Ui
u0j u0k = u0j u0k
∂xk ∂xk
Dove ci siamo serviti ancora una volta della stessa proprietà. Continuando:
∂ ∂(u0i u0k ) ∂ u0i u0k
u0j u0i u0k − u0i u0k = u0j − u0j
∂xk ∂xk ∂xk
E cioè:
∂(u0i u0k ) ∂ u0i u0k 0 0
0 ∂ (ui uk )
∂ u0i u0k
u0j − u0j = uj 0
− uj
∂xk ∂xk ∂xk |{z} ∂xk
0
u0j ∂p0
−
ρ ∂xi
E infine:
u0j ν∇2 u0i
Abbiamo dunque ottenuto l’equazione mediata:
Continuando:
∂Ui ∂Uj
u0j u0k + u0i u0k
∂xk ∂xk
E ancora:
0 0
0 ∂ (u0 0
i uk ) 0
∂ uj u k 0 0 ∂uk
0
0 0 ∂ui
0
0 0 ∂uk
0
0 0
∂u0j
uj + ui = ui uj + uj uk + ui uj + ui uk
∂xk ∂xk ∂xk ∂xk ∂xk ∂xk
|{z} |{z}
0 0
Quindi:
u0j ∂p0 u0 ∂p0 ∂p0 ∂p0
1
− − i =− u0i + u0j
ρ ∂xi ρ ∂xj ρ ∂xj ∂xi
20CAPITOLO 4. EQUAZIONE DI TRASPORTO DEGLI SFORZI DI REYNOLDS
E infine:
2
∂u0i ∂u0j
u0i ∇2 u0j + u0j ∇2 u0i =∇ u0i u0j −2
∂xk ∂xk
Mettendo tutto insieme, abbiamo quindi ottenuto:
E cioè:
D u0i u0j
= Pij + dij + φij − εij
Dt
Essa si presta bene ad una interpretazione delle quantità che la compon-
gono: i primi due termini a primo membro sono assimilabili a una derivata
materiale in cui, però, l’accelerazione convettiva è dovuta solo alla velocità
media del flusso e non alla velocità totale. I due termini successivi, invece,
sono spesso indicati con Pij e rappresentano il tasso di produzione di ener-
gia cinetica turbolenta: essi hanno un ruolo fondamentale nella evoluzione
del tensore di Reynolds in quanto rappresentano l’interazione tra il tensore
stesso e il campo medio; per esempio, nel caso di turbolenza omogenea e
isotropa, il gradiente del campo medio è nullo e questi termini di interazione
sono perciò anch’essi nulli. Al contrario, in prossimità di pareti solide, dove
per la condizione di aderenza alla parete i gradienti di velocità sono grandi,
questi termini causano sia la produzione che la successiva orientazione delle
4.1. INTERPRETAZIONE DEI VARI TERMINI 21
Dato che per la maggior parte dei flussi, il termine di produzione è positivo,
allora si vede bene che:
∂U1 ∂U1
∂x2
> 0 → u01 u02 < 0 ∂x2
< 0 → u01 u02 > 0
la maggior parte dei flussi turbolenti salvo casi particolari: una tra le eccezio-
ni potrebbe essere quella di flussi soggetti a forze fortemente stabilizzanti, ad
esempio flussi sottoposti a notevoli accelerazioni centrifughe. Scrivendo l’e-
quazione di trasporto del tensore di Reynolds lungo le tre direzioni principali
avremo: 2
Du01 0 0 ∂U1
Dt = −2u 1 u2 ∂x2 + φ11 − ε11 + d11
2
Du02
Dt
= φ22 − ε22 + d22
2
Du03
= φ33 − ε33 + d33
Dt
In virtù delle considerazioni fatte sui gradienti di velocità, allora, siamo sicuri
che quando la curvatura è concava entrambi i termini per l’espressione di
24CAPITOLO 4. EQUAZIONE DI TRASPORTO DEGLI SFORZI DI REYNOLDS
P12 siano dello stesso segno. Inoltre, possiamo sicuramente dire che per
curvature piuttosto deboli e non accentuate, il gradiente di velocità lungo la
direzione normale alla parete sia molto maggiore di quello lungo la direzione
tangenziale:
∂U1 ∂U2
∂x2 ∂x1
Allora, si capisce bene che quando la parete è concava entrambi i gradienti
avranno lo stesso segno e saranno maggiori le fluttuazioni di velocità prodot-
te; quando invece la parete è convessa, avremo che il gradiente di velocità
del flusso medio lungo la direzione del moto avrà segno opposto rispetto a
quello lungo la direzione normale alla parete, e questo aiuta a far diminuire
il tasso di produzione dell’energia cinetica turbolenta.
Possiamo anche visualizzare il bilancio dei vari termini dell’equazione di
trasporto degli sforzi di Reynolds in uno strato limite. Si noti che, come
ci aspettiamo, produzione e dissipazione di energia cinetica turbolenta sono
più o meno uguali in tutto il flusso, cosa che però non si verifica alla parete:
infatti, la condizione di aderenza implica che la produzione sia nulla e che
i termini viscosi siano molto più importanti di quelli inerziali, mentre la
dissipazione ha un massimo alla parete e poi decresce quasi monotonicamente.
La maggior parte dei flussi turbolenti sono delimitati da una certa parete
solida: l’esempio più famoso e anche più versatile nel senso che bene di
adatta alla descrizione di numeri fenomeni fisici è sicuramente quello dello
strato limite su una lastra piana. In un problema di questo tipo, un flusso non
turbolento scorre dall’infinito a monte su una lastra piana liscia di lunghezza
L e posta a incidenza nulla rispetto al flusso creando uno strato limite che
si sviluppa continuamente nella direzione del flusso, con lo spessore dello
strato limite δ (x) che cresce mano a mano che aumenta la distanza dal
bordo di attacco x; inoltre, gli sforzi di taglio alla parete non sono noti a
priori. Consideriamo un sistema di riferimento per cui l’asse x1 , parallelo alla
direzione del flusso, coincide con la lunghezza L della lastra piana di spessore
infinitesimo e l’asse x2 , normale a x1 è diretto verso l’alto. La direzione del
flusso asintotico, come già detto, è quella dell’asse x1 e la velocità del flusso
è indicata con U0 (x1 , x2 , x3 ) = (U0 (x1 ) , 0, 0). Le componenti della velocità
del flusso nello strato limite saranno u (x1 , x2 , x3 ) = (u (x1 , x2 ) , v(x1 , x2 ), 0) e
la pressione statica all’infinito a monte p0 (x) è legata alla velocità del flusso
esterno mediante il teorema di Bernoulli:
dp0 dU0
− = ρU0
dx dx
Lo spessore dello strato limite δ (x) è definito come il valore della distanza
normale alla parete per cui la velocità u (x, y) eguaglia il 99% della velocità
asintotica U0 (x). Questa grandezza non è facilmente misurabile, quindi a
25
26 CAPITOLO 5. LO STRATO LIMITE TURBOLENTO
sperimentali. Ricordando gli spessori tipici dello strato limite definiti poco
sopra, Blasius ottenne con la sua teoria questi risultati fondamentali:
δ (x) = 5.2x
√
Rex
; δ ∗ (x) = 1.72x
√
Rex
; θ (x) = 0.664x
√
Rex
; cF (x) = 0.664
√
Rex
τW (x)
cF (x) =
1/2ρU02
Cioè:
∂ 2 U
1 dp0
2
=
∂y y=0 µ dx
Figura 5.2: confronto tra i profili di velocità di uno strato limite laminare e
di uno turbolento
δ (x) = 0.37x
Re0.2
; δ ∗ (x) = 0.046x
Re0.2
; θ (x) = 0.036x
Re0.2
; cF (x) = 0.0592
Re0.2
;
x x x x
E cioè:
0.664 0.036 ∗
0.5 xT = h
U0 xT
i0.2 (xT − x )
U0 (xT −x∗ )
ν ν
E allora otteniamo:
−1/2
Π1 = U ρ1/2 τW
Cioè: r
ρ U
Π1 = U = ∗
τW u
Invece, per quanto riguarda lo spessore dello strato limite avremo:
[L] [M ]α [L]2β [M ]γ
γ
Π2 = δ ρα ν β τW = · · · = [L]1+2β−3α−γ · [M ]α+γ · [t]−β−2γ
[t] [L]3α [t]β [L]γ [t]2γ
E allora avremo:
1/2
Π2 = δ ρ−1/2 ν −1 τW
Cioè:
u∗ δ
r
δ τW δ
Π2 = = = Re∗ =
ν ρ ν δν
Infine, per quanto riguarda la distanza alla parete avremo:
[L] [M ]α [L]2β [M ]γ
γ
Π3 = y ρα ν β τW = · 3α · β · γ 2γ = [L]1+2β−3α−γ ·[M ]α+γ ·[t]−β−2γ
[t] [L] [t] [L] [t]
E allora avremo:
1/2
Π2 = y ρ−1/2 ν −1 τW
Cioè:
u∗ y
r
y τW y
Π3 = = = y+ =
ν ρ ν δν
34 CAPITOLO 5. LO STRATO LIMITE TURBOLENTO
A questo punto, definiamo una velocità “più” come fatto con la distanza
alla parete, come il rapporto tra il valor medio della velocità e la velocità di
attrito:
U
u+ = ∗
u
E non ci resta che notare che, allora:
+ ∗ +
u δ y
(Π1 , Π2 , Π3 ) = u , Re , y = , ,
u ∗ δν δν
Allora possiamo scrivere che il profilo medio di velocità nella regione dello
strato limite sarà data da:
U y δ
=f ,
u∗ δν δν
Notiamo che le due espressioni y/δν e y/δ sono legate dalla definizione del
numero di Reynolds di attrito e si possono quindi usare in maniera equivalente
due fra queste tre quantità:
δ y δ
Re∗ = = ·
δν δν y
Ci torna dunque più comodo riferirci a queste due quantità dato che ci si
aspetta che δν sia la scala appropriata nella regione viscosa di parete y + < 30
e che δ sia la scala appropriata nello strato esterno. Allora il profilo di velocità
si potrà equivalente scrivere come:
U y y
=f , (5.1)
u∗ δν δ
Passando al gradiente di velocità, avremo che:
u∗
dU y y
= Φ , (5.2)
dy y δν δ
Prandtl (1925) postulò che, per numeri di Reynolds sufficientemente ele-
vati e in regioni sufficientemente vicine alla parete (y/δ 1) il profilo
medio di velocità risulta essere determinato solamente dalle scale viscose,
indipendentemente dal valore di U0 e dello spessore dello strato limite δ.
Matematicamente, questo implica che:
y y y
lim f , = fW
y/δ→0 δν δ δν
5.1. LA LEGGE DI PARETE 35
u+ = fW y +
(5.4)
u+ = y +
Klebanoff (1954) ha mostrato che per y/δ > 0.2 il profilo di velocitá media
non seguiva piú la legge logaritmica:
Qualche anno più tardi (1956) Coles dimostrò che il profilo di velocità
media per uno strato limite su una lastra piana con gradiente di pressione
nullo era ben approssimato dalla somma di due funzioni:
U y Π y
= fW + w (5.10)
u∗ δν k δ
39
40 CAPITOLO 6. IL MECCANISMO DELLA TRANSIZIONE
Figura 6.3: regioni striate di bassa e alta velocità in uno strato limite
(a) Nel secondo quadrante avremo u0 < 0 e v 0 > 0, dunque questa con-
figurazione sta ad indicare un evento in cui fluido a bassa velocità
si muove verso il centro del flusso, cioè una espulsione (ejection);
(b) Nel quarto quadrante, invece, avremo u0 > 0 e v 0 < 0, dunque
l’evento che viene descritto è stavolta un fluido ad alta velocità
che si muove verso la parete, in un meccanismo di sweep.
alla parete in mezzo ai due vortici viene spinto verso l’esterno dando
luogo ad una espulsione (ejection) e viene soggetto ad una riduzione
della propria velocità assiale, creando una zona striata a bassa velocità
(low speed streak ). Il contrario accade invece per il flusso al loro ester-
no, che viene richiamato verso la parete ed è soggetto ad un aumento
di velocità assiale, che determina la formazione di una struttura striata
ad alta velocità (high speed streak ).
2. Il vortice viene deformato dal flusso e diventa più allungato nella dire-
zione della corrente, cio tende a diventare un vortice a forcella (hairpin
vortex ), disponendosi all’incirca a 45 gradi rispetto alla direzione del
flusso. Il fatto che le gambe del vortice siano orientate lungo le direzioni
principali di tensione ci fa capire che questa configurazione sia efficace
nell’estrarre energia dal flusso esterno;
di velocità locale, che sarà meno pendente alla parete e più panciuto
in regioni più esterne 5 < y + < 30 aumentando gli sforzi di taglio in
queste ultime regioni di spazio;
A valle degli scoppi turbolenti, le strutture vorticose di larga scala che sono
state rilasciate nel flusso in zone distanti dalla parete sono soggette all’azione
dei termini inerziali e inizieranno un processo di scomposizione in strutture
sempre più piccole, alle quali trasferiranno l’energia turbolenta fino a che le
loro dimensioni non diventeranno cosı̀ piccole rispetto a quelle di partenza che
i termini viscosi non riusciranno a dissipare questa energia, trasformandola
in calore. Questo processo, che verrà descritto nel prossimo capitolo, prende
il nome di cascata di energia.
6.2. MODELLO CICLICO DI HINZE 47
Figura 6.9: una perturbazione crea un vortice a ferro di cavallo, che viene
allungato e innalzato dai vortici controrotanti e diventa un vortice a forcella
Capitolo 7
Mettendo insieme quello che abbiamo visto finora, dunque, è possibile fa-
re una sintesi della descrizione dei moti coerenti nella regione di parete dello
strato limite turbolento. Il campo di velocità nel viscous sublayer e nel buffer
layer è organizzato in fasce alternate di fluido ad alta e bassa velocità, stabili,
e distribuite casualmente; la parte più rilevante del processo turbolento di
produzione nell’intero strato limite avviene nel buffer layer, quando si verifi-
cano espulsioni verso l’esterno di fluido a bassa velocità (secondo quadrante)
e afflussi di fluido ad alta velocità verso la parete (quarto quadrante).
Più nello specifico, le fluttuazioni turbolente sono impredicibili, nel senso
che non è possibile fare una previsione sull’esatto valore della velocità in un
istante futuro rispetto a quello osservato. L’unica cosa che si riesce a fare
è stimare la probabilità che tale velocità sia compresa entro un intervallo,
utilizzando quello che si definisce un approccio statistico. Una caratteristi-
ca significativa dei flussi turbolenti è il fatto che l’energia associata con il
campo di fluttuazioni viene trasferita istante per istante da strutture aven-
ti dimensioni coerenti con le dimensioni caratteristiche del flusso, come lo
spessore dello strato limite o l’ampiezza di un’onda, verso strutture sempre
più piccole, in un processo che viene di solito indicato come cascata di ener-
gia cinetica. Questo si può intuitivamente visualizzare anche partendo dallo
studio del coefficiente di resistenza in funzione del numero di Reynolds per
un cilindro circolare. La forza aerodinamica di resistenza può dunque essere
scritta come:
1
D = ρU 2 SCD (Re)
2
Dove, in generale, il coefficiente di resistenza è funzione del numero di Rey-
49
50 CAPITOLO 7. LE SCALE DELLA TURBOLENZA
Si evince allora che al tendere a zero della viscosità, cioè per alti nume-
ri di Reynolds (Re → ∞) l’unico modo per mantenere costante la potenza
dissipata è far crescere il gradiente di velocità. In altre parole, se la potenza
dissipata rimane costante quando ν → 0 è necessario che il campo di velo-
cità produca variazioni su scale spaziali sempre più piccole fino a divenire un
campo continuo nello spazio ma in nessun punto differenziabile. Fenomeni
con caratteristiche di questo tipo vanno sotto il nome di frattali e costitui-
scono una classe di problemi molto diffusa nella scienza e nella tecnologia
che solo recentemente è stata reinterpretata come conseguenza natura delle
equazioni della dinamica di un sistema. Si supponga di avere N0 segmenti
di lunghezza `0 e di dividerli in n parti uguali; ne risulteranno un nume-
ro Nn = N0 n di segmenti ognuno di lunghezza `n = `0 /n. La dimensione
dell’oggetto considerato si definisce a questo punto:
ln NN0
n
D=−
ln ``n0
D = 1.2818 . . .
52 CAPITOLO 7. LE SCALE DELLA TURBOLENZA
E cioè, riarrangiando:
∂→
− 2
v →
− →
− v P
+ ω × v = −∇ +Ω+ − ν rot(→
−
ω)
∂t 2 ρ
Applichiamo l’operatore rotore a tutti i termini. Per il primo termine avremo:
→
∂− ∂→
−
v ∂ ω
rot = [rot (→
−
v )] =
∂t ∂t ∂t
Per il fatto che il rotore riguarda le derivate spaziali si sono potute invertire le
operazioni di rotore e di derivata temporale. Per il secondo termine avremo:
rot (→
−
ω ×→ −
v)=→ −ω div (→
−
v )−→ −v div (→−
ω ) +→
−v · ∇→ −
ω −→ −
ω · ∇→−v
| {z } | {z }
0 0
Figura 7.4: effetto combinato del vortex stretching e del vortex tilting
C’è da dire, inoltre, che quando due vortici vengono a contatto, essi si
possono combinare insieme formando nuove strutture vorticose attraverso un
processo di fusione o tramite un meccanismo detto cut and connect:
Bibliografia
61
62 CAPITOLO 8. BIBLIOGRAFIA
Appendice A
p = p(ρ, T )
e = e(ρ, T )
→
−q = −k∇T
= − 3 div (→
−
2 ∂ui ∂uk
τ ik v ) δik + µ ∂x k
+ ∂xi
63
64 APPENDICE A. LE EQUAZIONI DI NAVIER STOKES
(→
−
v −→
−
v P) · →
−
n =0
Flusso incomprimibile
Inserendo queste condizioni nelle equazioni del moto, queste ultime diventa-
no:
div (→
−
v)=0
−
→
∂v →
− →
− →
−
+ v · ∇ v = f − ρ1 ∇P + ρ1 div (τ V )
∂t
ρcV DT
Dt
= Φ − div(→−q)
Mentre:
∂ui ∂uk
(τ V )ik = µ +
∂xk ∂ui
La viscosità µ è il termine che accoppia le prime due equazioni all’ultima. Si
vede sperimentalmente che la temperatura in un flusso incomprimibile varia
65
66 APPENDICE B. FLUSSO INCOMPRIMIBILE
div (τ V ) = µ ∇2 →
−
v
div (→
−
q ) = div (−k∇T )
67
div (→
−
v)=0
− → →
−
∂v
∂t
+ v · ∇ v = f − ρ1 ∇P + µρ ∇2 →
→
− →
− −
v
∂T + →
− 1 2
v · ∇T = ρcV (Φ − k ∇ T )
∂t
Abbiamo dunque visto che il tensore gradiente di velocità può essere decom-
posto in 4 matrici:
div (→
−
1
3
v) 0 0
A= 0 1
3
div (→
−
v) 0
0 0 1 →
−
div ( v )
3
∂u
− 13 div(→
−
∂x
v) 0 0
B= 0 ∂v
∂y
− 3 div(→
1 −v) 0
0 0 ∂w →
−
− 13 div( v )
∂z
1 ∂v ∂u 1 ∂w ∂u
0 2 ∂x
+ ∂y 2 ∂x
+ ∂z
1 ∂v ∂u 1 ∂w ∂v
C= + 0 +
2 ∂x ∂y 2 ∂y ∂z
1 ∂w ∂u 1 ∂w ∂v
2 ∂x
+ ∂z 2 ∂y
+ ∂z
0
1 ∂v ∂u 1 ∂w ∂u
0 2 ∂x
− ∂y 2 ∂x
− ∂z
1 ∂u ∂v 1 ∂w ∂v
Ω= − 0 −
2 ∂y ∂x 2 ∂y ∂z
1 ∂u ∂w 1 ∂v ∂w
2 ∂z
− ∂x 2 ∂z
− ∂y 0
69
70 APPENDICE C. IL TENSORE DEGLI SFORZI VISCOSI
T = −PE Id + τ V ∇→
−
v =A
| + {z
B + C} +Ω
E
τ V = f (E)
5. Se il fluido è in quiete τ V = 0;
τ V = λ div (→
−
v ) Id + 2µE = λ div (→
−
v ) Id + 2µA + 2µ(B + C)
E dunque, riorganizzando:
2
τ V = λ + µ div (→
−
v ) Id + 2µ(B + C)
3
T = [−PE + η div (→
−
v )] Id + 2µ(B + C)
A questo punto dobbiamo inserire una ulteriore ipotesi, detta ipotesi di Stokes:
η div (→
−
v ) PE
T = −PE Id + 2µ(B + C)
E anche:
2 ∂ui ∂uk
τ ik = − div (→
−
v ) δik + µ +
3 ∂xk ∂xi
72 APPENDICE C. IL TENSORE DEGLI SFORZI VISCOSI
Appendice D
Calcolo di y+ in un problema
pratico
Vediamo come possiamo usare la teoria vista ora per risolvere un problema
ingegneristico di importanza pratica. In squadra corse dell’Università di Pisa
vogliamo simulare al CFD il pacchetto aerodinamico che sarà montato sulla
nostra futura vettura. Il nostro scopo non è calcolare l’esatto valore del cZ
sulla macchina, ma lavorare con i delta, ovvero tener conto delle variazioni di
carico che un componente ci fornisce in una configurazione piuttosto che in
un’altra. Come modello di turbolenza quest’anno abbiamo usato il k−ω SST
con all y+ wall treatment. Dalla guida di Star, vediamo che questo modello
richiede y + < 1 oppure y + > 30, pur lavorando con una blending function
che promette risultati accettabili anche nell’intervallo intermedio. Dunque,
il problema che dovevo risolvere era quello di ricavare lo spessore del primo
layer di celle trimmate, quello immediatamente a contatto con la parete, date
le condizioni iniziali:
kg kg
U0 = 12.5 ms ; ρ = 1.18415 m3 µ = 1.85508 × 10−5 ms 3 L = 0.40m y + = 1
73
74 APPENDICE D. CALCOLO DI Y+ IN UN PROBLEMA PRATICO
Mettendo tutto insieme, allora, lo spessore della prima cella dovrà essere:
v 0.2
u
ρU0 L
µy + t 2 µ
u
y= = 2.6 × 10−2 mm
ρ 0.058U02
always in cesta.
Infine, non esisterebbe nessun Matteo, cosı̀ come lo conoscete, se non mettessi
un pezzo di cuore in tutto quello che faccio. Va bene il talento innato, va
bene l’astuzia, va bene il colpo da maestro, va bene l’asso nella manica, va
bene cercare scorciatoie, soluzioni facili, va bene non sporcarsi nemmeno le
mani: ma la passione, quella è un’altra cosa.
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