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APRI GLI OCCHI E SOGNA 2015/2016 POLLICINO

Favola in musica in dodici scene


Musica: Hans Werner Henze
Libretto: Giuseppe Di Leva

Prima rappresentazione:
Montepulciano, Cantiere Internazionale d’Arte
2 agosto 1980

IN BIBLIOTECA SPIGOLATURE TRAMA


APRI GLI OCCHI E SOGNA 2015/2016
POLLICINO

Oltre al libretto vi proponiamo alcune letture di approfondimento che potete trovare presso la Biblioteca del CRAL o
presso altre biblioteche di Torino e Cintura:

SULL’OPERA: SUL COMPOSITORE:


- Piero Gelli (a cura di), Dizionario dell’opera, Milano, Baldini - Alberto Basso (diretto da), Dizionario enciclopedico
& Castoldi, 1996, pagg. 1000-1001 universale della musica e dei musicisti, Le biografie, vol.
III, Torino, UTET, 1986, pagg. 557-559

- Enzo Restagno (a cura di), Henze, Torino, EDT, 1986


NARRATIVA E DINTORNI: http://bct.comperio.it
- Hans Werner Henze, Canti di viaggio: una vita, Milano, Il http://sbam.erasmo.it
Saggiatore, 2005
http://bct.comperio.it

SULLA FONTE DEL LIBRETTO:


- Dizionario letterario Bompiani delle opere e dei personaggi di tutti i tempi e di tutte le letterature, vol. V, Milano, Bompiani,
1980, pag. 729
- Jacob e Wilhelm Grimm, Fiabe, Torino, Einaudi, stampa 1989

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APRI GLI OCHHI E SOGNA 2015/2016
POLLICINO

SPIGOLATURE 1/5

Quando non si poteva essere mancini…


“I miei amorevoli genitori, come tutti gli amorevoli genitori di allora, cercarono di costringere il loro primogenito mancino
[Hans Werner, ndr] all'uso della destra. Poiché non volevano far vedere alla gente che i loro rampolli appartenevano al diavolo,
causavano gravi danni fisici e psicologici agli sfortunati figli, confondendo loro le idee e rendendo loro impossibile il libero uso
delle membra e delle capacità intellettuali. La Westfalia un tempo apparteneva alla Prussia, dopo essere stata per breve tempo
un regno, sotto Girolamo Bonaparte. È per questo, probabilmente, che abbiamo interiorizzato così tanto la ‘prussianità’, cioè la
disciplina, il militarismo e il senso del dovere.” (1)

Le vacanze di Henze bambino


“A casa mia, puoi immaginare un maestro di scuola quanto pigliava al mese. Cresceva il numero dei figli, si viveva molto
malamente; mi ricordo le vacanze estive che passavo lavorando nel giardino di mio padre. Alle volte, verso l'imbrunire, mi dava
il permesso di andare a fare un bagno in una piscina a cinque chilometri di distanza, puzzolente, piena di zanzare e con il sole
ormai dietro gli alberi. Quando tornavamo a scuola si doveva fare un tema su come e dove si erano trascorse le vacanze. C'era
chi era andato a Venezia, in montagna, al mare eccetera, mentre io e mio fratello dovevamo sempre restare a casa. Questo ha
fatto su di me un effetto tale che ancora oggi non sono in grado di fare una vera vacanza, non so nemmeno che cosa sia o come
sia fatta. Non l'ho mai fatta in vita mia, mai potuto farla.” (2)
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(1) Hans Werner Henze, Canti di viaggio: una vita, Milano, Il Saggiatore, 2005
(2) Una biografia raccontata dall’autore e raccolta da Enzo Restagno in Enzo Restagno (a cura di), Henze, Torino, EDT, 1986

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SPIGOLATURE 2/5

Henze sotto le armi


“Nel gennaio del 1944 mi giunse questa lusinghiera chiamata e io sapevo più o meno che la guerra andava male. Prima del
servizio militare ti facevano fare tre mesi di addestramento che era molto peggio del servizio stesso e questo si svolgeva in
Polonia. Era terribile, nevicava, faceva freddo; venti gradi sotto zero e non si sapeva bene neanche cosa si stava facendo li. Poi
dovevamo scavare le trincee in una terra completamente gelata fino a 30 centimetri sotto il ghiaccio. Ogni tanto mi sembrava di
sentire il rullo dei cannoni dell'Armata rossa che avanzava per liberarmi. […]
Quando il periodo di addestramento fu finito, ho detto «adesso, quando mi chiameranno al servizio militare mi ammazzo, cerco
di andare in Svizzera ... », tutte quelle cose lì, invece poi è arrivato questo foglio, ho pianto molto e sono partito. […]
A Magdeburg […] mi hanno fatto specializzare nei segnali Morse e questa specializzazione di radiotelegrafista è quella che mi ha
salvato la vita perché verso la fine della guerra tutti i miei compagni sono stati mandati a combattere una battaglia nel
Burgenland, verso l'Ungheria, dove c'era un nuovo tipo di carro sovietico che li ha fatti saltare in aria tutti quanti. Di quella
compagnia sono rimaste solo sei persone e una di quelle sono io.” (1)
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- Una biografia raccontata dall’autore e raccolta da Enzo Restagno in Enzo Restagno (a cura di), Henze, Torino, EDT, 1986

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SPIGOLATURE 3/5

Henze scopre l’Italia


“La prima volta che sei stato in Italia nel 1951, avevi avuto un'immagine meravigliosa di questo paese, del clima, della luce,
della gente, un'immagine in fondo tipicamente turistica. Confrontandola con la realtà che hai conosciuto quando ci sei venuto a
vivere questa immagine si sarà probabilmente modificata, non sarà rimasta cosi assolutamente idilliaca. Ecco, volevo chiederti
di raccontare questo cambiamento dalla prima immagine fugace del turista a quella dell'uomo che poi viene a vivere e si integra
in questo paese.”
“Ho cercato di inserirmi il più possibile, di vivere come vivevano allora questi contadini ischitani e avevo preso in affitto da una
meravigliosa signora, Lucia Capuano, una piccola casa moresca, molto elegante nella sua severità e semplicità. Avevo uno
studio con una finestra molto in alto, quasi una cella, e lei a un certo punto non potendo più vedere come mi preparavo da
mangiare ha detto: «Figlio mio, permetti che una volta cucini io?». Allora ho accettato e da quel momento in poi vivevo molto
bene, perdevo meno tempo per il lavoro e quindi c'era già un segno di gentilezza e di amicizia da parte di questa semplicissima
gente. Trovo incantevole che la gente possa essere così gentile, cosi elegante e dignitosa nello stesso momento. Vedevo lì un
tipo di umanità consapevole di quell'antica eleganza, ancora del tempo dei greci, la cui cultura ha influenzato questo meridione
italiano.” (1)
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(1) Una biografia raccontata dall’autore e raccolta da Enzo Restagno in Enzo Restagno (a cura di), Henze, Torino, EDT, 1986

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SPIGOLATURE 4/5

La scelta di musicare la favola di Pollicino


“Nella primavera del 1979, Hans Werner Henze […] mi propose di scrivere per lui un nuovo libretto. Questa volta si sarebbe
trattato di una «favola in musica». Voleva una favola i cui protagonisti fossero i bambini e mi disse che anche l'orchestra
sarebbe stata composta da bambini e da ragazzi. […]
Trascorsi l'estate spostandomi tra diversi punti della Toscana, una terra di favole e di fabulatori. […]
Voglio ricordare che mi fu molto utile la lettura di quel bellissimo libro di Bruno Bettelheim che si intitola II mondo incantato, un
libro pieno di spunti straordinari, di intelligentissimi criteri di lettura delle fiabe e, in generale, del nostro mondo infantile.
Quando Henze e io ci tornammo a incontrare, la scelta definitiva cadde su Pollicino.
Ci era simpatico quel bambinetto così piccolo, anche se ogni tanto ci sembrava la sapesse un po' troppo lunga, ci piaceva quel
suo crescere in mezzo alle difficoltà; quel suo diventar grande che si rendeva necessario nonostante il desiderio di non
cominciare mai a indossare i pantaloni lunghi; l'indossarli sapendo rimanere bambino.” (1)

La fiaba di «Pollicino» modificata


“Della favola, però, ci convinceva poco l'ultima parte. […] Da un certo punto in là, la fiaba perdeva, forse, limpidezza. Inoltre,
non ci convinceva molto che, alla fine, Pollicino tornasse ancora a casa: lui e i suoi fratelli avevano imparato ormai molte delle
cose che servono per andare avanti da soli, che bisogno avevano di tornare di nuovo da quei genitori che li avevano
abbandonati e traditi due volte? Ritenemmo quel ritorno una necessità pedagogica datata e superata.
Allora, modificammo l'ultima parte. Nella nostra versione della fiaba, le figlie dell'Orco sembrano cattive ma non lo sono e non
vengono uccise, per errore, dal padre, ma - al contrario - lo beffano per fuggire lontano lontano, insieme a Pollicino e ai suoi
fratelli.
In Hänsel e Gretel, i due fratelli, per tornare a casa, attraversano un fiume che non avevano mai attraversato prima. Quindi,
quel fiume ha un significato simbolico. Nella nostra fiaba, anche Pollicino e gli altri bambini, quando riescono a fuggire dal
bosco, incontrano e attraversano un fiume che non avevano mai incontrato prima.” (1)
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(1) Giuseppe Di Leva, Il libretto di Pollicino in Pollicino, Musica di Hans Werner Henze, Libretto di Giuseppe Di Leva, Milano, Ricordi, 1991

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SPIGOLATURE 5/5

Scrivere musica per i bambini


“Quello che mi ha divertito di più nello scrivere Pollicino sono state proprio le restrizioni tecniche causatemi dai bambini, che mi
costringevano a ricorrere a mezzi armonici molto semplici, a tecniche esecutive spesso elementari, e a cercare tuttavia di
destare l'interesse per un'intera serata.
Questo è stato molto eccitante e divertente.
Non solo potevo, ma dovevo avere il diritto di sentirmi bambino. Quello che mi aveva attratto come problema, come tema, era
proprio scrivere una partitura che iniziasse i bambini al teatro musicale, che li divertisse, ma che non li facesse soffrire. E l'ho
fatto ricordandomi bene di come ero io da bambino, e quel che ci piaceva fare con la musica: soprattutto, si voleva essere presi
sul serio!” (1)

La prima di «Pollicino»
“Ho ancora davanti ai miei occhi in modo vivissimo la sera della prima di Pollicino. Come fosse ieri. La suspense nel teatro
strapieno, l'atmosfera di una grande festa di famiglia, le tenere e fresche voci dei bambini, la bravura degli attori dilettanti
adulti. La magia irresistibile di Pollicino e di Clotilde, la figlia dell'orco monocolo - che si accende d'amore per il ragazzino. Mi
rendeva, poi, oltremodo felice il fatto che, grazie alla mia operina, due meravigliose melodie popolari toscane, che non
venivano più cantate né in val d'Orcia e nemmeno in altre valli della Toscana meridionale, avessero ritrovato la strada verso il
mondo della musica popolare poliziana. Ancora a notte inoltrata, dopo la prima, si potevano incontrare per Montepulciano
gruppi di giovani che cantavano a squarciagola queste due canzoni. La seconda termina così:
Orchi, orche, maghi, streghe,
lupi non ci spaventan più.
Primavera è arrivata,
tratteniamola quaggiù.” (2)
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(1) Hans Werner Henze, Un invito alla musica in Pollicino, Musica di Hans Werner Henze, Libretto di Giuseppe Di Leva, Milano, Ricordi, 1991
(2) Hans Werner Henze, Canti di viaggio: una vita, Milano, Il Saggiatore, 2005

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TRAMA 1/3

Scena 1
Nella casa di un povero taglialegna e di sua moglie, sette bambini aspettano la cena. Tra di essi Pollicino, che non parla.
Da mangiare, dice la Madre, ci sono solo una rapa e una ghianda. I bambini, tranne Pollicino, si contendono il misero pasto, ma
si accorgono che il cibo è disgustoso. La Madre confessa che la rapa è, in verità, solo la suola bollita di una vecchia scarpa, con
l'aggiunta di due gusci di noce, setole di maiale e aghi di pino. I bambini protestano, hanno fame: «Questa suola non ci piace».
Il Padre si arrabbia e manda i figli a letto. «E senza cena!». Invita poi la moglie ad uscire di casa, per parlarle. Pollicino, di
nascosto, li segue.

Scena 2
Pollicino, intuendo che parlano di lui e dei suoi fratelli, rimane nascosto ad ascoltare i genitori. Scopre che il Padre, non sapendo
più come dar loro da mangiare, vuole abbandonarli nel bosco e che la Madre, sia pure con molti dubbi, accetta la volontà del
marito.

Scena 3
Pollicino, solo, cerca un modo per poter ritrovare la via del ritorno quando, il giorno dopo, lui e i suoi fratelli verranno
abbandonati nel bosco. Osservando le stelle, gli sembra che queste siano tanti sassolini bianchi ed i sassolini gli sembrano poter
essere l'idea che cercava. Ne raccoglie allora tanti e se li mette in tasca.

Scena 4
Il giorno dopo, tutta la famiglia, in fila indiana, avanza nel bosco. I fratelli di Pollicino, pur impauriti, si divertono. Pollicino
inventa scuse per poter rimanere indietro e buttare i sassolini senza esser visto.

Scena 5
Nel fitto del bosco i bambini raccolgono frasche e giocano a nascondino. I genitori ne approfittano per allontanarsi adagio
adagio. Quando i bambini si accorgono di essere stati abbandonati, vengono presi dal panico, ma Pollicino li rassicura: lui sa
come ritrovare la strada di casa.

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TRAMA 2/3

Scena 6
Nella casa del taglialegna, marito e moglie hanno appena finito di consumare un lauto pasto. Sono sazi ed un po' ubriachi.
Arrivano i bambini che, prima di entrare, spaventati, li spiano dalla finestra. Scoprono così che, proprio quel giorno, il Padre ha
riscosso un vecchio credito e che con quei soldi ha comprato da mangiare. La Madre è molto triste e rimprovera il marito di
aver voluto smarrire i figli nel bosco: avessero aspettato almeno un giorno ... Il Padre si spazientisce. AI pianto della Madre si
unisce il vociare dei bambini che entrano in casa.

Scena 7
La Madre appare felice per aver ritrovato i suoi figli e li invita a mangiare, ma sulla tavola sono rimasti pochi avanzi. I bambini
raccontano poi come hanno trovato la via del ritorno, seguendo i sassolini di Pollicino. Il Padre si insospettisce e chiede a
Pollicino come mai se li fosse portati dietro: forse sapeva? Tutti insieme cantano un coro sulla bellezza dell'unità della famiglia.

Scena 8
Ma i bambini vengono di nuovo fatti smarrire nel bosco. Pollicino, che aveva immaginato quanto stava per accadere, ma non si
era potuto procurare altri sassolini, si è lasciato alle spalle le briciole del suo pane, ma gli uccelli del bosco le hanno mangiate. I
bambini, con angoscia, si accorgono che questa volta non sarà possibile ritrovare la via del ritorno.

Scena 9
È ormai notte. Il pianto dei bambini è interrotto dall'entrata degli animali notturni, che li invitano a non avere paura. Saputa la
loro storia, si offrono di aiutarli. Il Lupo li accompagnerà presso una casa di cui, però, non si conoscono i proprietari. Dopo
qualche diffidenza i bambini accettano.

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TRAMA 3/3

Scena 10
Arrivati alla casa, trovano una donna che dice loro quanto sia pericoloso quel luogo: è l'abitazione dell'Orco Terribile, di cui lei è
moglie, e l'Orco ama mangiare i bambini. Essi comunque insistono per entrare, dal momento che, se dormissero nel bosco,
morirebbero di freddo. La donna, impietosita, apre loro la porta. Poco dopo torna a casa l'Orco. Si accorge presto della presenza
dei bambini e si appresta a farne un sol boccone, quando, dietro le insistenze dell'Orchessa, cambia opinione: li mangerà di lì a
qualche giorno, dopo averli nutriti e fatti ingrassare. I bambini si trovano finalmente davanti ad una tavola imbandita, ma la
paura impedisce loro di toccare cibo. L'Orco, ubriaco, si addormenta.

Scena 11
La Moglie dell'Orco invita i bambini a dormire, dopo aver mostrato loro le proprie figlie. Le sette bambine sono mostruose ed i
fratelli di Pollicino hanno paura. Rassicurati da Pollicino, i bambini si addormentano. Egli, invece, fa conoscenza con Clotilde, la
più piccola delle sorelle, ed intuisce che le figlie dell'Orco non sono cattive. Clotilde lo sorprende affermando che anche loro
sono «stufe di tutti questi orchi» e che vogliono fuggire. Decidono allora di farlo tutti insieme. Quando l'Orco si sveglierà,
troverà solo un mucchio di pupazzi al posto dei bambini e delle figlie. La Moglie ha, però, mandato a riparare gli «stivali delle
sette leghe» (« i più rapidi del mondo: sei chilometri al secondo»): l'Orco deve così rinunciare ad inseguirli.

Scena 12
Pollicino, Clotilde ed i loro fratelli si trovano dinanzi ad un fiume pericoloso. Solo attraversandolo potranno lasciarsi per sempre
alle spalle tutto quanto è accaduto loro nel passato. C'è un temporale ed i bambini sono terrorizzati. Per primi Pollicino e
Clotilde, e di seguito i fratelli, raggiungono faticosamente la riva opposta, aggrappandosi ad una fune. Attraversato il fiume, la
situazione è, d'improvviso, mutata: il temporale è cessato e le bambine sono diventate belle, da mostruose che erano. Tutti
insieme, felici, si abbracciano e danzano, salutando la Primavera.

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