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L’educazione alla cittadinanza si presenta oggi come una sfida continua, una sorta di
missione, al tempo stesso necessaria e impossibile, per la scuola e la società
contemporanea. Necessaria, perché l’educazione dell’uomo e del cittadino è posta come
finalità originaria e legittimante la funzione pubblica della scuola stessa.
Impossibile, perché la coscienza sociale e le analisi scientifiche concordano nel giudicare
non soddisfacente l’esito della progettualità politico-pedagogica dell’educazione civica o
educazione alla convivenza civile.
Tra i vari esit della nostra ricerca si può sottolineare, in particolare, un dato “qualitatvo”
piuttosto rilevante, sintetizzato nei termini di rappresentazione “frammentata” dell’idea di
cittadinanza.
Gli studenti che hanno risposto ai nostri questionari2 hanno manifestato una pluralità di
concezioni della cittadinanza, il più delle volte di difficile ricomposizione su un piano
teorico; talvolta percepite in termini contraddittori e/o utopici e privi di agganci con
l’esperienza; più spesso giustapposte e affiancate come nozioni inservibili ed inutili.
In altri termini, sembra lontano l’esito di una formazione di soggetti maturi e consapevoli dei
diritti e dei doveri propri di un cittadino all’interno di una società democratica.
Il frutto dell’impegno didattico delle scuole da noi interpellate sembra così rispondere solo
molto parzialmente alla finalità specifica attribuita alla scuola, sia dal dettato costituzionale,
sia dalle progettazioni emergenti nei diversi interventi di riforma di ordinamento e di
programmi della scuola italiana.
In questo volume abbiamo fornito solo alcune risposte parziali a queste domande,
nell’ottica di una prospettiva assolutamente aperta e di un lavoro in progress.
Non sono, comunque, soltanto i dati della nostra ricerca esplorativa a generare nuove
domande.
Costituisce un nodo problematco già il convergere (dal punto di vista sociale e dal punto di
vista scientifico) di un giudizio critico sull'azione relativa all'educazione civica e/o educazione
alla cittadinanza svolta dalla scuola nell'Italia repubblicana del secondo Novecento.
Questa convergenza critica sembra confortare e consolidare reciprocamente la pedagogia
“popolare”3 e quella “scientifica” in una condivisa certezza empirica.
Tuttavia è sempre necessario, per il sapere scientifico, oltrepassare il senso comune: perciò
occorre in primo luogo esplicitare le diverse implicazioni semantiche sottese all'uso dei
termini con i quali affrontiamo la questione.
Appare inoltre necessario riuscire a definire un repertorio di categorie interpretative, di
ampio respiro storico e teoretico, adeguate, per un verso, a garantire un’effettiva
comprensione del problema “educazione alla cittadinanza nella scuola”, e dall’altro lato
capaci, soprattutto, di offrire stimoli e strumenti, funzionali ed efficaci, al lavoro docente.
Tutto ciò in linea con la consapevolezza che sono i modelli interpretativi a orientare
l'intervento educatvo e didattico degli insegnant nella scuola, sia sul piano diagnostico, sia
sul piano operativo. Dei modelli interpretativi pedagogici va anche sottolineata la implicita
dimensione epistemologica, che emerge già nel tentativo di definire le ragioni pedagogiche
dell’educazione alla cittadinanza nella scuola.
Un’analisi pedagogica più accorta deve al contrario partire proprio dal carattere ideale e
progettuale della dichiarata finalità di educare alla cittadinanza, una finalità sempre
assegnata alla scuola, nella storia contemporanea della civiltà occidentale.
Solo a partire dalla consapevolezza del carattere ideale/utopico di tale assegnazione è
possibile fare i conti con i compiti specifici assegnati, o riconoscibili, nel modello educativo
proprio della scuola e con la possibile efficacia dell’azione didattica.
La scuola moderna si struttura, fin dalla sua origine, come “istituzione generata dalla
modernità con il progetto storico – volta per volta adottato e ispirato dalle congregazioni
religiose, dai monarchi illuminati, dalle élites nazionaliste, dalle democrazie di massa… - di
unificare la società attraverso l’assimilazione del medesimo universo simbolico di
conoscenze e di credenze”, agendo non solo “attraverso il curricolo detto – per intenderci,
attraverso le lezioni degli insegnanti – ma anche – soprattutto per quel che concerne i valori
– mediante le routines quotidiane del curricolo implicito” 4.
La scuola appare così un’istituzione funzionale ad un progetto, più o meno condiviso e/o
contrastato, di riduzione delle differenze e di assimilazione ad un medesimo universo
simbolico, un progetto di cui sussistono parti non propriamente e non sempre presenti ai
suoi “esecutori”, a coloro che possono essere chiamati gli “attori” del processo stesso.
Credo che, proprio nella direzione dell’educazione alla cittadinanza, quello che Damiano
definisce il “curricolo implicito”, o altresì il “non detto”, costituisca la chiave di volta per
comprendere adeguatamente ciò che si può concepire in termini pedagogici come compito
educativo della scuola.
Tuttavia, accanto alla chiave di volta, abbiamo bisogno, per comporre adeguatamente l'arco
esplicativo del rapporto tra scuola e cittadinanza, di mettere a fuoco la complessità della
relazione tra ideologie politche e prospettive pedagogiche.
Tale relazione è resa ancora più intricata dalla necessità di tener conto di due ulteriori
elementi, cioè le trasformazioni socioeconomiche e le innovazioni tecnologiche, per
completare la descrizione/analisi degli scenari entro i quali si collocano, nella loro
consistenza storico/empirica, i processi educativi.
La questione dell'educazione alla cittadinanza nella scuola, posta nei termini suddetti,
rappresenta perciò un tema denso di implicazioni, non appena di carattere didattico e/o
metodologico, e non soltanto legato ai campi disciplinari attinenti le cosiddette scienze
umane: educare alla cittadinanza comporta fare i cont con numerosi implicit di carattere
filosofico, post a fondamento della stessa identtà epistemologica della pedagogia.
In tale direzione di analisi esplicativa, per la quale si potrebbe risalire alla costitutiva
relazione tra pedagogia e politca già presente nella Repubblica di Platone, dobbiamo fare i
conti con gli element della modernità entrat a far parte costtutva delle finalità della
scuola, così come la conosciamo.
Nella formula "formazione dell'uomo e del cittadino" troviamo una “sintesi” universale,
ampiamente condivisa dalla riflessione pedagogica dell’Occidente, costituitasi già con
Comenio, e continuamente riproposta in ogni manifesto/ richiamo al bisogno educativo
proprio dell’uomo e delle comunità umane (dalla famiglia allo stato).
Tale formulazione della finalità della scuola, tuttavia, ricompone solo superficialmente le
linee di frattura e i conflitti ideologici che attraversano l’intera parabola della modernità, e
che si ripropongono in termini radicali alla fine del Novecento, di fronte alla globalizzazione
e alla crisi post-moderna dello Stato-nazione.
L’uso non “definito” dei termini “uomo” e “cittadino”, posti quasi come sinonimi
interscambiabili, i cui significati appaiono evidenti ed universalmente (ri)conosciuti, al punto
da non richiedere alcuna trattazione, ha rimosso (quasi occultato) un conflitto antropologico
e ideologico implicito, profondo e continuo, soggiacente all’apparente condivisione dei valori
“democratici”.
Il conflitto diventa ben visibile, se si guarda alla consistente letteratura relatva al concetto
di cittadinanza, prodotta a partire dagli anni Novanta.
La paideia oggi operante nel corpo sociale, e nel corpo docente in particolare, è
indubbiamente partecipe e debitrice di questo profondo travaglio del concetto di modernità,
espressione di profonde mutazioni del corpo sociale e politico contemporaneo, di carattere
economico, tecnologico, più ampiamente culturale.
Come sottolineava già Corallo, “le cosiddette epoche di crisi o di smarrimento, se sono
genericamente caratterizzabili, lo sono appunto per la perdita sociale di forza di spinte di
chiarezza di idee nell'educazione”7.
Pur rifuggendo da ogni determinismo occorre riconoscere, con Corallo, come “l'ambiente
sociale, nel suo senso più generalmente comprensivo, è per se stesso un veicolo della
trasmissione valorizzante, che è propriamente la trasmissione educativa"8.
In ciò trova legittimità l’analisi dal punto di vista pedagogico della crisi dello stato/nazione
quale importante elemento dell’orizzonte di riferimento della paideia contemporanea.
Tuttavia, prima di passare all’analisi della paideia della modernità e della sua parabola,
occorre un ulteriore passo nella direzione di un approfondimento epistemologico del
concetto stesso di educazione, per evitare che lo stesso sia ridotto ad un processo di
socializzazione. Il rischio è ben presente, se si tiene conto che la tradizione pedagogica, a
partire dal secondo Ottocento, “è stata particolarmente ricca di ricerche pedagogiche
ispirate prevalentemente, e talora esclusivamente, ai principi del sociologismo”9.
In tale prospettiva, che l'uomo sia un prodotto sociale non indica “solo l’esito, l'oggetto in cui
si compie la produzione, ma anche l'atto del processo medesimo"10.
Una posizione nella quale tuttavia finisce con lo sparire l'individuo, che è pur sempre diverso
dal fatto sociale e non è riducibile ad esso.
Come osserva Corallo, la finalità educativa “è principalmente ed essenzialmente della
persona, e solo in vista e al servizio di questa appartiene alla società”11.
In altri termini, se da un lato occorre riconoscere che un uomo nasce e si sviluppa sempre
all'interno di una società che lo fa nascere e sviluppare, vi è pure da osservare che
l'educazione è quel processo mediante il quale nell'uomo prende forma “la capacità di
agire rettamente con libertà”12.
L’educazione è chiamata a dare all'uomo il suo significato umano, che si dà nell'azione
libera, vale a dire nell'azione morale, poiché non esiste libertà al di fuori del campo
morale.
Il richiamo alla qualità morale dell’educazione è ben presente nell’opera più significativa ed
influente nella storia della pedagogia del Novecento dedicata all’educazione “democratica”,
pubblicata nel 1916 da John Dewey.
Il termine comunità e il termine società presentano degli aspetti ambigui, laddove gli stessi
vadano a rappresentare le diverse forme di vita associata, interne ad una organizzazione
sociale più vasta, con vincoli deboli, ben lontani dall'indicare una comunità omogenea e
compenetrata di azione di pensiero.
Accanto a tale precisazione, Dewey pone la necessità di esercitare una valutazione concreta
della qualità morale, etica, dei diversi gruppi, perché è tale qualità che ci consente di dare un
giudizio pedagogico: "qualsiasi educazione data da un gruppo tende a socializzare i suoi
membri, ma la qualità e il valore della socializzazione dipendono dalle abitudini e dagli scopi
del gruppo"15.
Il rapporto strutturale tra società ed educazione è posto da Dewey a fondamento della sua
riflessione sul concetto democratico nell'educazione:
“poiché l'educazione è un processo sociale e vi sono molte specie di società, un criterio critico
costruttivo deve basarsi su un ideale sociale particolare. I due moduli sui quali misurare il
valore di una forma di vita sociale sono
il grado in cui gli interessi di un gruppo sono condivisi da tutti i suoi membri, e
la pienezza e la libertà con la quale esso si comporta con altri gruppi.
Una società indesiderabile, in altre parole, è una società che pone, all'interno e all'esterno,
delle barriere alle libere relazioni e alla comunicazione delle esperienze. Una società che
ponga in grado tutti i suoi membri di partecipare, a condizioni eguali, a quel che ha di buono
e che assicuri un riadattamento flessibile delle sue istituzioni attraverso lo scambio delle
diverse forme di vita associata è democratica. Una simile società deve aver un tipo di
educazione che interessi personalmente gli individui alle relazioni e al controllo sociale e
sappia formare le menti in maniera che possano introdursi cambiamenti sociali senza
provocare disordini”16.
La posizione di Dewey risente, nel linguaggio e nella terminologia utilizzata, proprio del
sociologismo pedagogico, critcato ampiamente da Corallo in quanto posizione metafisica
che diventa sempre più insostenibile, quanto più si scende nella pratica dell’educazione 17.