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Trama

Un volto da pirata, un’anima da poeta: era lui l’uomo del destino per
Rebecca?
Kenneth Wilding non può permettersi debolezze. Nella sua carriera di
soldato e di spia ha dovuto affrontare molte situazioni spinose.
Ma qui, a Sutton Hall, la sua missione è in pericolo. I suoi pensieri sono
per una donna innamorata, una donna che ha fiducia in lui e che lui sta
ingannando…

Sesto romanzo della serie Fallen Angels, che racconta le vicende di


quattro libertini amici per la pelle.
Collegato al quinto romanzo della serie.
Prologo

Sutterton Hall Bedfordshire,


Inghilterra, 1794

La mano del ragazzo rimase sospesa sul foglio, reggendo il carboncino.


Iniziare il disegno del suo pony era stato facile, ma le zampe? Come si
muovevano quando Albie trottava? Kenneth Wilding evocò una precisa
immagine mentale e, con un esclamazione soddisfatta, si curvò sopra il
disegno. La zampa anteriore destra, così. Quelle posteriori, così.
Quando ebbe finito, portò il disegno alla madre che, dall’altra parte della
nursery, stava cullando la sua sorellina per farla addormentare. Lui sapeva
che era preoccupata per la bambina, ma la donna sollevò ugualmente la testa
e gli sorrise quando si avvicinò.
— È molto bello, Kenneth — disse, dopo aver esaminato il disegno. — Non
è un cavallo qualunque, vero? È Albie. — Quando il ragazzo annuì, lady
Kimball aggiunse: — Una somiglianza sbalorditiva. Sembra che stia per
fuggire dal foglio. Io stessa non avrei potuto far meglio.
Era un bel complimento, perché sua madre disegnava come un angelo.
Kenneth tornò al suo album con un sorriso orgoglioso. Stava iniziando un
altro schizzo di Albie quando la porta della nursery si aprì, lasciando entrare
una folata di aria gelida. Le sue dita si strinsero intorno al carboncino quando
vide che il nuovo arrivato era suo padre. Corpulento, robusto, piantato in
terra come una delle famose querce di Sutterton Hall.
Lord Kimball guardò accigliato il figlio. — Ti ho sempre detto di non
sprecare tempo a disegnare. Dovresti studiare latino, così Tanno prossimo
sarai pronto per Harrow.
— Kenneth ha finito la sua lezione di latino, perciò gli ho permesso di fare
qualche schizzo — intervenne la madre con dolcezza. — È molto dotato,
Godfrey. Quando si recherà sul Continente, sarà in grado di riportarne vedute
stupende.
Lord Kimball sbuffò. — Disegnare è roba da ragazze. I gentiluomini
assumono artisti per illustrare i loro viaggi. — Curvandosi sul figlio,
accartocciò con una mano il disegno del pony e lo gettò nel fuoco del camino.
— Vieni con me. La mucca sta per figliare e tu sei abbastanza grande per
darmi una mano.
A Kenneth sfuggì un’involontaria esclamazione di protesta, ma poi serrò
le labbra e si alzò, ubbidiente. — Sì, signore. — Un giorno sarebbe diventato il
quinto visconte di Kimball e avrebbe avuto la responsabilità di tutto il
bestiame. Come suo padre, doveva conoscere ogni centimetro di Sutterton.
Niente era più importante della terra e della sua gente. Niente.
Ma prima di seguire il padre, lanciò un ultima occhiata di rimpianto al
disegno che si stava trasformando in cenere.
1

Sutterton Hall, 1817

La situazione era peggiore di quanto aveva temuto.


Con un sospiro di stanchezza, Kenneth Wilding allontanò da sé i libri
contabili. Sapeva che, quando fosse arrivato il momento di ereditare, avrebbe
dovuto affrontare seri problemi finanziari, ma aveva sperato che anni di duro
lavoro e di risparmi gli avrebbero permesso di conservare la proprietà. Si era
illuso.
Si alzò dalla scrivania e andò alla finestra, a guardare le dolci colline di
Sutterton. La bellezza del paesaggio era sempre come una pugnalata al cuore.
Per quindici anni era vissuto con il desiderio di tornare a casa, ma non
avrebbe mai immaginato di scoprire che i campi, una volta fertili, erano
infestati da erbacce, e che il bestiame era stato venduto per soddisfare i
capricci della giovane moglie, insensibile e incontentabile, di un vecchio.
Mentre lottava per controllare l’ira, udì alle spalle un rumore di passi
irregolari, intervallati dai colpi leggeri di un bastone: era sua sorella, Beth.
Era tutto quello che gli restava e, nonostante la lunga separazione, l’affetto
che li univa era ancora molto forte.
I capelli neri e gli occhi grigi erano molto simili ai suoi, ma il volto dai
lineamenti delicati non aveva niente in comune con il suo, dai tratti marcati e
segnato di cicatrici. L’atteggiamento composto la faceva sembrare più vecchia
dei suoi ventitré anni. — Non ho sentito una sola parola da te da quando
l’avvocato se ne andato, stamattina — disse Beth, sedendosi. — Vuoi che
suoni per far portare del cibo?
— Grazie, ma esaminare i conti mi ha tolto l’appetito.
— La situazione è così grave?
Il primo impulso di Kenneth fu di nascondere la verità, ma lo scacciò.
Malgrado l’aspetto fragile, Beth era forte. Da bambina era riuscita ad
accettare un piede affetto da una deformazione congenita e, da adolescente,
era sopravvissuta alla lingua velenosa di una matrigna viziata.
— Siamo rovinati — dichiarò Kenneth con franchezza. — Nostro padre ha
prosciugato le risorse di Sutterton per vivere a Londra con la cara Hermione,
e l’ammontare delle ipoteche supera di molto il valore della proprietà.
Dovremo venderla. Non resterà niente, neanche la tua dote. È probabile che i
creditori ci daranno lo sfratto nel giro di poche settimane.
— Lo temevo, ma speravo di sbagliarmi. — Beth strinse le dita intorno
all’impugnatura del bastone e si sforzò di sorridere. — Non che la dote
m’interessi, perché ho la vocazione della zitella.
— Sciocchezze. Se non ti avessero tenuta sepolta in campagna, a quest’ora
saresti sposata e avresti già un neonato da cullare. — Kenneth si pentì subito
di aver pronunciato quelle parole perché l’espressione della sorella faceva
intendere chiaramente quanto ella desiderava quello che forse non avrebbe
mai avuto.
Lei fece un gesto con la mano, come se matrimonio e famiglia le fossero
indifferenti. — Mi dispiace, Kenneth. Ho fatto del mio meglio per dirigere la
proprietà, ma non sono stata abbastanza brava.
— La responsabilità di amministrare Sutterton non spettava a te, ma a
nostro padre prima e ora a me. La colpa è nostra.
— No, non tua. È stato papà a sposare una donna che poteva essere sua
figlia, e a dilapidare una fortuna per farle fare la vita lussuosa che pretendeva,
— Beth s’interruppe, con gli occhi lucidi di lacrime. — È quasi un sollievo
sapere che la fine è ormai arrivata, ma… ma Sutterton mi mancherà.
Quelle parole lo fecero sentire ancor peggio. — Sarei dovuto restare invece
di fuggire per arruolarmi. Se fossi rimasto qui, forse avrei potuto arginare i
danni.
— Ne dubito. Papà aveva perso la testa per quella donna, e qui tu saresti
impazzito. Pensi abbia dimenticato le liti terribili che hai avuto con lui prima
di andartene?
In cuor suo, Kenneth, doveva ammettere che Beth aveva ragione. — Non
preoccuparti, non moriremo di fame — disse, per rassicurarla. — Ho da parte
qualche risparmio che servirà per mantenerci finché avrò trovato un lavoro
adeguato. — Deglutì, sperando di riuscire a mascherare il dolore. — Vado a
fare una passeggiata. Stasera, dopo cena, potremo iniziare a fare progetti per
il futuro.
— Ce la caveremo benissimo. — Beth si alzò in piedi. — Non valgo granché
come fattore, ma sono molto brava a dirigere una casa.
Salutandola con un sorriso, Kenneth uscì, è l’aria gelida di febbraio lo
rincuorò. Da quando era tornato, ventiquattro ore prima, era rimasto chiuso
in casa a esaminare i conti e ad ascoltare le notizie disastrose che uscivano
dalla bocca dell’avvocato di famiglia. Aveva anche licenziato il fattore
incompetente che era stato assunto dopo che suo padre aveva perso ogni
interesse per la proprietà.
Cominciò a rilassarsi solo quando arrivò in fondo al viale. Ogni collina,
ogni panorama, gli era familiare e al tempo stesso nuovo perché erano passati
quindici anni. Quindici lunghi anni.
Si fermò sulla riva di un ruscello a osservare l’acqua cristallina che
scorreva su un letto di pietre ed erba. Lanciò un sasso nell’acqua e riprese a
camminare. Lui e Beth non sarebbero sicuramente morti di fame, ma la vita
della sorella poteva dirsi rovinata. Era graziosa, intelligente e di carattere
dolce, e il piede deforme non sarebbe stato un ostacolo insormontabile al
matrimonio se avesse avuto una dote decente. Ma l’indigenza e il difetto
fisico la condannavano a una vita solitaria.
Si arrestò sulla cresta della collina più alta di Sutterton e, chinandosi,
raccolse una manciata di terra. Per secoli i suoi antenati erano vissuti,
avevano lavorato ed erano morti su quella terra. Ora, per la pazzia criminale
di suo padre, la proprietà sarebbe stata venduta a sconosciuti.
Con un’esclamazione di angoscia, gettò via la manciata di terra. Era
disposto a rinunciare alla possibilità di andare in paradiso per salvare
Sutterton. Ma forse il paradiso non avrebbe accettato un uomo che aveva
passato metà della sua vita a combattere.
Il vento freddo gli scarmigliò i capelli mentre scendeva dalla collina.
Pensò, senza sperarci davvero, che se fosse riuscito a farsi prestare una
somma sufficiente per dare un anticipo ai possessori delle ipoteche, avrebbe
potuto vendere parte della terra e coltivare il resto per ricavarne un profitto.
Ma la somma necessaria era impressionante; almeno ventimila sterline.
Aveva parlato con diversi banchieri londinesi prima di tornare a casa; erano
stati cortesi, per rispetto al suo rango, ma era chiaro che nessuno avrebbe
prestato denaro a uno che non aveva ereditato altro che debiti.
Non c’era nemmeno nessuno tra i suoi conoscenti che potesse prestargli
una somma simile. I suoi amici più intimi erano gli ex commilitoni della
Rifle Brigade, che benché fosse un corpo elitario, era composta per lo più da
figli di medici, di vicari e di signorotti di campagna. Come lui, dovevano
vivere del loro salario e, a volte, mandare perfino denaro a casa.
L’eccezione era stato il suo amico più caro, lord Michael Kenyon. Ma
Michael, benché nobile e dotato di una rendita non indifferente, era un figlio
cadetto. Per di più, si era sposato da poco e stava per diventare padre. Era
improbabile che gli avanzassero ventimila sterline da dare in prestito, sempre
che Kenneth avesse avuto il coraggio di chiederglielo. Non l’avrebbe mai
fatto. Già troppe volte, in passato, si era rivolto a lui quando era nei guai.
Quando arrivò ai confini della proprietà aveva esaurito tutte le possibili
soluzioni. Sutterton era condannata. Per fortuna, la sua famiglia aveva
numerose conoscenze influenti, che avrebbero potuto aiutarlo a trovare una
sistemazione dignitosa.
Quando entrò nell’atrio, fu accolto dall’unico domestico di sesso maschile
rimasto: Harrod, il vecchio maggiordomo.
— Avete una visita, lord Kimball — gli annunciò porgendogli un vassoio
con un elegante biglietto da visita.
"Lord Bowden". Kenneth fissò accigliato il nome; non gli diceva niente. —
Dov’è?
Harrod tossì con delicatezza. — Mi sono permesso di farlo accomodare in
biblioteca.
Poiché il carbone costava caro, la biblioteca era l’unico locale dove ardeva
un fuoco.
Il visitatore era seduto accanto al camino e si alzò non appena vide
Kenneth. Sulla cinquantina, Bowden era di corporatura sottile e asciutta, e
possedeva un piglio autoritario. Avrebbe potuto apparire insignificante a
chiunque: non avesse notato l’intensità del suo sguardo.
Rompendo il silenzio, Kenneth chiese: — Ci siamo conosciuti, lord
Bowden? Oppure eravate amico di mio padre?
— Vostro padre e io ci conoscevamo, anche se non eravamo amici. —
Senza aspettare di essere invitato, Bowden si sedette di nuovo. — Sono
venuto a discutere di affari con voi.
Kenneth s’irrigidì. — Se siete un creditore, non c’è niente che io possa
fare. La proprietà è sull’orlo della bancarotta.
— Questo è di dominio pubblico, ed è il motivo per cui ho potuto
acquistare le ipoteche insolute con un notevole sconto. Il valore ammonta a
cinquantamila sterline, e sono tutte scadute. — Bowden estrasse dalla tasca
un fascio di carte e lo posò sulla scrivania.
Kenneth le esaminò. Erano documenti autentici, compresa la firma del
padre. La fine era arrivata prima ancora di quanto aveva previsto. — Avete
fatto un misero affare, Bowden.
Cercando di mascherare l’amarezza, aprì un cassetto della scrivania e
prese le chiavi di Sutterton. — Vi auguro di godervi la vostra nuova proprietà
— disse, lanciandole a Bowden. — Mia sorella e io ce ne andremo domani.
Comunque, se lo desiderate, potremmo sgombrare anche entro stasera.
Colto di sorpresa, Bowden non reagì con sufficiente prontezza e le chiavi
caddero a terra. Le fissò per un attimo prima di parlare. — Non sono venuto
per sfrattarvi, ma per farvi una proposta.
Senza farsi illusioni, Kenneth chiese: — Intendete prorogare le ipoteche?
Considerando lo stato in cui si trova la proprietà, passeranno anni prima che
io possa riscattarle.
— Non sono qui per discutere nuove condizioni. Se mi renderete un
servizio, annullerò il debito e vi restituirò le ipoteche.
Sbalordito, Kenneth lo fissò. Sembrava troppo bello per essere vero. —
Cosa volete in cambio? La mia anima immortale?
— Non sono Mefistofele. In cambio di Sutterton vi chiedo soltanto di
distruggere un uomo.
Bowden doveva essere pazzo. Kenneth storse la bocca mentre spingeva
verso di lui il fascio di ipoteche. — Spiacente. Sono un soldato, non un
assassino. Se volete commettere un delitto, dovrete cercarvi qualcun altro.
Bowden si accigliò, seccato. — Se fosse un assassinio quello che
m’interessa, non avrei difficoltà a trovare una canaglia pronta a uccidere per
pochi scellini. Quello che voglio è più complicato. Un uomo, che è
considerato al di sopra di ogni sospetto, ha commesso un crimine orribile.
Voglio che venga smascherato, processato e condannato a morte. Voglio
vedere distrutta la sua reputazione, in modo che tutti lo conoscano per il
porco che è. Credo che voi siate in grado di farlo.
Un campanello d’allarme suonò nella testa di Kenneth. Il buon senso gli
consigliava di buttare fuori quel pazzo, ma non poteva dimenticare che
teneva in pugno il futuro di Sutterton. — Perché vi rivolgete a me? Non ci
siamo mai nemmeno incontrati.
— Ho sentito parlare di voi da vostro padre, e la curiosità mi ha spinto a
svolgere ulteriori indagini. È insolito che un giovane aristocratico tenga
segreto il proprio titolo e si arruoli nell’esercito come soldato semplice. Non
solo siete sopravvissuto, ma con il vostro coraggio vi siete guadagnato i gradi
di ufficiale. È vero, gli uomini coraggiosi non mancano, ma voi avete due
qualità che vi rendono unico.
— Una è la pazzia, altrimenti non starei ad ascoltarvi.
Ignorando l’interruzione, Bowden continuò: — Siete stato in Spagna come
agente segreto e questo significa che dovete essere spietato, pieno di risorse e
capace di estorcere informazioni. A quanto mi dicono, vi chiamavano il
Guerriero Satanico.
Kenneth fece una smorfia. — È un soprannome che mi hanno dato dopo
aver debellato una banda di disertori francesi che terrorizzavano i contadini
spagnoli. Ho fatto quello che avrebbe fatto qualunque ufficiale.
— Forse, ma l’avete fatto con notevole efficienza. Dopo tre anni, siete
stato catturato dai francesi, nelle mani dei quali siete rimasto per diversi
giorni, ma siete riuscito a fuggire, e avete abbandonato il servizio segreto per
fare ritorno al vostro reggimento. Nessuno sa perché.
Kenneth pensò a Maria e si disse che per niente al mondo glielo avrebbe
rivelato. — Se avete bisogno di una spia, perché non assumete un ex
funzionario di polizia? Sono senz’altro più qualificati di me.
— Già fatto, ma non ha scoperto niente di importante. Mi occorre
qualcuno che possa introdursi in casa di quell’essere ignobile, ed è qui che
voi entrate in scena. — Bowden studiò il volto scabro di Kenneth e la sua
figura muscolosa. — Ammetto che non ne avete l’aria, ma so da fonte certa
che siete un artista dotato di talento.
— Non sono un artista — replicò Kenneth. — Ho soltanto una certa
attitudine al disegno.
— Come preferite. In ogni caso, so che avete sfruttato gli anni passati sul
continente per studiare arte ogni volta che i vostri doveri di militare ve lo
permettevano. È una qualità che vi aiuterà a introdurvi in casa di quella
persona.
Il colloquio stava prendendo una piega sempre più assurda. — Vi occorre
una spia coraggiosa e spietata che sia esperta di arte, e siete disposto a pagare
una fortuna per procurarvela — commentò Kenneth. — Perché?
— L’uomo che voglio smascherare è un pittore. È improbabile che uno a
digiuno d’arte riesca ad avvicinarlo abbastanza da indagare sul suo conto.
Ecco perché vi considero adatto a questo incarico.
— Chi è la vostra preda? — chiese Kenneth con diffidenza.
Bowden esitò. — Prima di rivelarvelo, dovete darmi la vostra parola che
non ne parlerete a nessuno, anche se deciderete di rifiutare la mia proposta.
Voglio giustizia, Kenneth, e la otterrò a tutti i costi.
— Avete la mia parola.
— L’uomo è Anthony Seaton.
— Sir Anthony Seaton! — Kenneth lo fissò, incredulo. — Dannazione, state
scherzando!
— Non mi permetterei mai di scherzare su una questione simile — replicò
Bowden con durezza. — La vostra stessa reazione dimostra perché è così
difficile smascherarlo. Nessuno vuole credere che sia un criminale.
Kenneth scosse la testa. Benché fosse noto soprattutto per i suoi ritratti,
sir Anthony era anche l’autore di stupendi dipinti di carattere storico. — È
uno dei più eminenti pittori inglesi.
— Già. — Bowden lisciò una grinza degli impeccabili calzoni di pelle
scamosciata. — È anche mio fratello minore.
2

Dopo un attimo di stupore, Kenneth dichiarò: — Non mi lascerò


coinvolgere in una faida familiare.
— Nemmeno per smascherare un assassino e salvare al tempo stesso, la
vostra eredità? — disse Bowden a voce bassa. — Non è soltanto una faida, ma
anche una questione di giustizia.
Kenneth provò un bisogno irresistibile di bere, e riempì di brandy due
bicchieri. Ne diede uno al suo visitatore, si sedette di nuovo e bevve un sorso
generoso prima di parlare. — Dovrete raccontarmi tutta la storia prima che io
decida se accettare o meno questa folle proposta.
— Immagino di doverlo fare. — Bowden studiò il suo brandy senza berlo.
— Ventotto anni fa ero fidanzato con una giovane di nome Helen Cosgrove.
Aveva capelli di un rosso fiamma ed era… incantevole. Mancava una
settimana al nostro matrimonio quando fuggì con mio fratello Anthony.
Kenneth trattenne il respiro. Non c’era da stupirsi che tra i due non
corresse buon sangue. — Non è un po’ troppo aspettare ventotto anni per
vendicarsi?
Gli occhi di Bowden lampeggiarono. — Mi credete così meschino? Ero
furioso per il suo tradimento e non ho mai più rivolto la parola a nessuno dei
due. Tuttavia, anche se non potevo perdonarli, capivo com’era potuto
succedere. Helen avrebbe tentato chiunque, e Anthony era un giovane artista,
romantico e affascinante. La società finì per accettare un comportamento così
riprovevole e li perdonò in nome del loro grande amore.
Bowden s’interruppe. — Avete parlato di delitto — lo sollecitò Kenneth,
vedendo che il silenzio si prolungava.
— Helen è morta l’estate scorsa, mentre si trovavano nella regione dei
Laghi, dove hanno una casa. L’hanno definito un incidente, ma io so che non
lo è stato. Per anni non si è fatto che parlare delle avventure amorose di
Anthony. Al momento dell’incidente correva voce che si fosse stancato di
Helen e volesse sposare la sua attuale amante. — Bowden si protese in avanti,
con una luce spietata negli occhi. — Sono convinto che abbia ucciso Helen lui
stesso, o che l’abbia resa così infelice da spingerla a togliersi la vita. In ogni
caso, è lui il responsabile.
Spingere una donna al suicidio poteva equivalere a un delitto, da un punto
di vista morale, ma la legge sarebbe stata di parere diverso. — Voi volete
credere il peggio di vostro fratello, ma tutti sembrano convinti che la morte di
lady Seaton sia stata un incidente. Forse è davvero così.
Kenneth sbuffò. — Una donna sana di mente non va a passeggiare sul
ciglio di un dirupo durante una tempesta. L’unico particolare che quel
funzionario di polizia ha scoperto è che in cima a quel dirupo sono state
troviate tracce di lotta. Ma essendo mio fratello al di sopra di ogni sospetto a
nessuno è venuto in mente di accusarlo.
— Forse avete ragione e Seaton ha ucciso la moglie ma, date le circostanze
in cui è morta, neanche le indagini più approfondite di questo mondo
riuscirebbero a dimostrare con certezza cos e successo in realtà.
— Lo capisco, ma non mi darò pace finché non avrò fatto tutto il possibile
per scoprirlo. Se mi darete la vostra parola, che farete del vostro meglio per
scoprire la verità sulla morte di Helen, annullerò le ipoteche. Se mi
procurerete le prove della colpevolezza di Anthony, aggiungerò un premio di
cinquemila sterline.
Era un’offerta incredibile. Anzi, un miracolo. Kenneth posò il bicchiere
vuoto, si alzò e prese a camminare avanti e indietro per la biblioteca. Ciò che
Bowden gli proponeva era ai limiti della legalità e se avesse avuto buon senso
lo avrebbe messo alla porta. Ma in tutta la sua vita Kenneth non era mai stato
molto giudizioso.
Accettando, avrebbe salvato Sutterton. Beth avrebbe avuto la vita che
meritavate una dote se avesse voluto sposarsi. Sutterton avrebbe dato un
senso alla sua stessa vita. Sprofondato nel fango, sotto l’infuocato sole
spagnolo, prima di una battaglia o durante le fredde notti invernali, aveva
spesso sognato come avrebbe ammodernato il vecchio edificio, una volta che
fosse diventato suo. Erano sogni che avrebbe potuto realizzare se avesse
accettato la proposta di Bowden.
Avvertì un formicolio alla nuca quando ricordò che, solo un’ora prima,
sarebbe stato disposto a rinunciare ad andare in paradiso per salvare la sua
eredità.
Kenneth si rivolse a Bowden. — Voglio che sia redatto un contratto in cui
vengano definiti tutti i particolari.
Un lampo di trionfo si accese negli occhi di Bowden. — Certo. Tirate fuori
carta e inchiostro e lo provvederemo subito.
Mezz’ora dopo, firmato l’accordo, Kenneth riempì di nuovo i loro bicchieri
dicendo: — Brindiamo al successo della nostra missione.
Bowden sollevò il bicchiere. — Al successo. — Quindi, invece di
sorseggiare il liquore, lo bevve d’un fiato e scagliò il calice nel camino. Il
bicchiere andò in frantumi e gocce di brandy fiammeggiarono azzurrastre tra
i carboni. — E che mio fratello possa bruciare all’inferno per quello che ha
fatto — dichiarò, con la voce che vibrava per l’ira.
Le parole rimasero sospese nell’aria, minacciose, finché Kenneth ruppe il
silenzio. — Avete detto che dovrei introdurmi in casa di sir Antony. Immagino
che abbiate già un piano.
Bowden annuì. — Il segretario di mio fratello sta per andarsene, avendo
trovato un posto migliore. Morley era una specie di factotum, che si occupava
di tutto e riusciva a mantenere entro limiti ragionevoli il caos che regna di
solito in quella casa. Andate da mio fratello e chiedetegli di assumervi.
— Perché dovrebbe scegliere me come suo segretario? Sono sicuro che ci
saranno candidati più qualificati.
— Anthony non cercherà un sostituto se nel frattempo gli si presenterà
una persona con i requisiti giusti. Il fatto di aver servito nell’esercito è utile,
perché mio fratello ha un rispetto romantico per le forze armate, ma il fattore
determinante sarà il vostro bagaglio culturale in fatto di arte. Ditegli che vi
manda un suo amico, che preferisce restare anonimo, il quale sapeva che
aveva bisogno di una persona dotata di capacità organizzati ve. Mio fratello lo
troverà divertente.
Kenneth sperava che sarebbe stato così facile. — E il resto della famiglia?
Sir Anthony ha sposato la sua amante?
— Non ancora. Forse temeva di far nascere sospetti se si fosse risposato
subito.
— Sir Anthony ha figli?
— Una figlia di nome Rebecca. Credo che abbia ventisette anni. Una zitella
viziata.
— Una donna può essere una zitella se è stata viziata?
Bowden si strinse nelle spalle. — Potete chiamarla sgualdrina, se preferite.
A diciotto anni è fuggita con un sedicente poeta, e poi non ha avuto
nemmeno la decenza di sposarlo.
La fuga sembrava un’abitudine in quella famiglia, pensò Kenneth con
ironia. — Vive con il padre?
— Sì. È un indizio del suo scarso senso morale che l’abbia ripresa in casa.
Kenneth non era d’accordo; gli sembrava ancor più immorale che un
padre ripudiasse la figlia per colpa di un errore di gioventù, ma tenne per sé
quel pensiero, e disse: — Dovrebbe essere lei a gestire la casa invece del
segretario, del padre. Mi chiedo perché non lo faccia.
— È probabile che sia o troppo pigra o incapace. Suppongo che lo
scoprirete in fretta. — Bowden si alzò in piedi e gli rivolse un sorriso freddo,
— Dopotutto, vi pago una fortuna per scoprire tutti i minimi particolari della
vita di mio fratello.
Accompagnandolo alla porta, Kenneth si chiese se il lieve odore che si
sentiva nell’atrio era di muffa o di zolfo.

Prima di cambiarsi per la cena, Kenneth volle comunicare la bella notizia


alla sorella. La trovò seduta accanto alla finestra della sua camera da letto che
approfittava dell’ultima luce per rammendare.
— Qui dentro si gela, Beth — commentò, dirigendosi al camino, —
Dovresti avere più cura di te.
Lei alzò la testa dal lavoro di cucito. — È inutile sprecare carbone. Sono
abituata al freddo.
Kenneth gettò una dose generosa di carbone nel fuoco e lo ravvivò con il
mantice. Quindi si voltò verso la sorella e stava per parlare quando notò un
piccolo dipinto.— Dio mio, il Rembrandt! Credevo che fosse scomparso.
— Avrei dovuto dirtelo ieri, ma ero così eccitata per il tuo ritorno che me
ne sono dimenticata. Ogni volta che Hermione veniva a Sutterton, cercava
oggetti preziosi da portare a Londra. Sapendo che quel quadro era il tuo
preferito, l’ho nascosto qui.
— Che sia ringraziato il cielo. Non è un’opera delle più importanti, ma vale
almeno un centinaio di sterline. Abbastanza da far gola a Hermione. —
Kenneth si avvicinò alla piccola natura morta di fiori e frutta, commosso
all’idea che la sorella l’avesse salvata per amor suo. — Dio ti benedica, Beth.
Pensavo che non l’avrei più rivisto.
Lei sorrise. — Sapevo che ci tenevi molto. — Il sorriso svanì subito. — Non
ce lo porteranno via i creditori, vero?
Ricordando il motivo per cui si trovava lì, Kenneth disse: — Può darsi che
la fortuna sia girata. Oggi pomeriggio è venuto a trovarmi un signore. Mi ha
offerto di fare un certo lavoro che potrebbe permetterci di salvare Sutterton.
Beth rimase a bocca aperta. — Santo cielo, che genere di lavoro?
— Non posso discuterne ma, se tutto andrà bene, l’anno prossimo potresti
essere presentata a corte. — Prevenendo le domande che vedeva stampate sul
volto della sorella, Kenneth si affrettò ad aggiungere: — Non farò niente di
pericoloso o di illegale, soltanto di insolito. Tuttavia, dovrò andare a Londra
per un po’ di tempo… potrei star via qualche settimana o forse diversi mesi.
— Te ne vai così presto? — Beth non riuscì a nascondere la delusione.
Kenneth si agitò, a disagio. Sua sorella era rimasta sola anche troppo a
lungo. Ebbe un’idea. — Passando per Londra la settimana scorsa ho
incontrato un mio amico, Jack Davidson. Te ne ho parlato nelle mie lettere.
Ha perso l’uso del braccio sinistro a Waterloo e da allora non ha mai trovato
un lavoro fisso. È il figlio cadetto di un nobile di campagna e se ne intende di
agricoltura. Se non hai niente in contrario, potrei chiedergli di venire a stare a
Sutterton. Credo che sarà felice di accettare il posto di fattore. Potrebbe
iniziare a valutare cosa ci occorrerà per rimettere in sesto la proprietà.
Beth diede un occhiata ironica al suo bastone. — Il signor Davidson
dovrebbe trovarsi molto bene qui. Tuttavia, dovrò trovarmi uno chaperon —
rifletté per un momento. — Scriverò alla cugina Olivia. Verrà se le permetterò
di occupare l’appartamento reale.
Kenneth sorrise. — Affare fatto. Speriamo che tutto il resto vada per il
verso giusto con altrettanta facilità.
— Ma mentre si allontanava, il suo buonumore svanì ed egli si chiese
quanto tempo avesse impiegato Faust prima di iniziare ad avere dubbi sul
suo patto con Mefistofele.
3

Sir Anthony Seaton gettò un’occhiata di disapprovazione alla tavola


apparecchiata per la colazione. — Per il cuoco questo è un pasto? Quell’idiota
di francese merita di essere licenziato.
— È stato licenziato, padre — replicò Rebecca Seaton, senza alzare lo
sguardo dal suo album per schizzi. — L’hai messo alla porta ieri.
Il padre aggrottò la fronte. — Perché non è stato sostituito?
— Trovare un nuovo cuoco richiede tempo, e ormai tutte le agenzie di
collocamento tremano appena mi vedono. Siamo diventati famosi per la
velocità con cui i nostri domestici se ne vanno. Per fortuna, la sguattera sa
cucinare qualcosa.
— Come fai a saperlo se non ti accorgi nemmeno di quello che mangi? —
Sir Anthony la fulminò con un’occhiataccia. — Perché non metti più impegno
nel dirigere questa casa?
Sapendo che l’umore del padre non sarebbe migliorato, se non avesse
prima bevuto il suo tè, Rebecca ne riempì una tazza e gliela porse. — Se
passassi il mio tempo a occuparmi di faccende domestiche, non me ne
resterebbe per aiutare te.
— Anche questo è vero. Accidenti a Tom Morley. Non era gran che nelle
faccende domestiche, ma era meglio di niente.
Senza molta speranza, lei chiese: — Hai incontrato quel giovanotto che il
signor Morley ci ha suggerito?
Il padre fece un gesto di disgusto. — Un tipo presuntuoso e ignorante.
Rebecca sospirò. L’unica soluzione era mettere un annuncio sui giornali e
rassegnarsi a vagliare un’orda di candidati. — L’agenzia ha promesso di
mandare oggi dei cuochi. Con un po’ di fortuna, entro sera dovremmo averne
uno.
Sir Anthony mise due fette di prosciutto nel piatto. — Bada di non
assumere un altro artista capriccioso.
— Farò del mio meglio. In una casa non ce ne può essere più di uno alla
volta.
Il sorriso del padre era di quelli che facevano dimenticare la sua
arroganza. — Esatto, basto io. — Guardò al di sopra della spalla di Rebecca. —
A cosa stai lavorando?
Lei gli tese l’album. — Alla Signora del Lago. Cosa ne pensi di questa
composizione?
Suo padre la studiò. — È interessante l’aspetto che le hai dato, in parte
ninfa in parte guerriera, e mi piace il modo in cui i suoi capelli galleggiano
sull’acqua mentre solleva Excalibur.
Era un complimento eccezionale da parte di sir Anthony, che non lesinava
certo le critiche. Rebecca si alzò da tavola. Era indispensabile trovare al più
presto un nuovo segretario, altrimenti non avrebbe potuto dedicarsi al nuovo
quadro.

Rebecca aveva deciso che avrebbe dedicato solo pochi minuti ad abbozzare
gli schizzi per la Signora del Lago, ma quando alzò gli occhi dall’album si
accorse che era già pomeriggio, ormai troppo tardi per fare pubblicare
l’annuncio sul giornale dell’indomani.
Allungò i muscoli rattrappiti e, con l’album in mano, attraversò la stanza.
Il suo studio occupava metà dell’attico ed era il suo luogo sacro. Nessuno,
nemmeno il padre, vi entrava senza permesso.
Si sedette accanto alla finestra e guardò fuori. Poiché era una casa
d’angolo, aveva una buona veduta di entrambe le strade. Sotto di lei, in Hill
Street, riconobbe due domestici dei vicini di casa che si erano fermati per
flirtare. L’impudente cameriera fece un gesto civettuolo mentre guardava da
sotto le ciglia il bel lacchè.
Rebecca aprì l’album e su un foglio bianco fece uno schizzo della scena
con pochi e rapidi tratti. Un giorno le sarebbe piaciuto disegnare una serie
dedicata agli innamorati. Forse l’avrebbe aiutata a imparare qualcosa
sull’amore.
Stava per allontanarsi dalla finestra quando un uomo in strada attrasse la
sua attenzione per il modo in cui si muoveva. Aveva un portamento eretto,
sicuro, quasi arrogante. Benché fosse vestito come un gentiluomo, la sua
corporatura imponente e muscolosa era quella di un manovale. Un
interessante contrasto.
L’uomo esitò sull’angolo e guardò lungo Hill Street. Rebecca trattenne il
fiato quando questi voltò la testa e lei poté vederne il volto. Non era bello,
tutt’altro. I suoi lineamenti erano rudi, quasi brutali, e una sottile cicatrice gli
attraversava la guancia per sparire tra i capelli neri. Eppure dava
l’impressione di possedere un’intelligenza pericolosa. Un pirata a Mayfair.
Rebecca non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.
L’incantesimo si ruppe quando lo sconosciuto abbassò la testa e riprese a
camminare. La matita di Rebecca correva sul foglio: la donna avrebbe voluto
tracciarne il ritratto finché l’aveva ancor vivo nella mente. Ne colse i
lineamenti con pochi tratti, ma l’espressione le sfuggiva. Tentò e ritentò,
senza però riuscire a catturare quell’aria di letale imprevedibilità.
Sollevò la testa e guardò fuori dalla finestra, chiedendosi se fosse il caso di
seguire quell’uomo per tentare di convincerlo a posare per lei. Ma,
naturalmente, era già scomparso. Un tempo si sarebbe precipitata in strada
per studiarlo più da vicino, ma aveva perso la passione creativa di un tempo.

Kenneth si fermò sul marciapiede di fronte a casa Seaton. Evidentemente


ritrarre i personaggi dell’alta società rendeva bene: la sontuosa dimora
doveva essere costata una fortuna.
A labbra strette, attraversò la strada. Non era entusiasta all’idea di quello
che stava per fare, ma per amore di Beth e di Sutterton era disposto a mentire
e a tradire. Sperava soltanto di riuscire a dimostrare in fretta la colpevolezza o
l’innocenza di Seaton.
Bussò alla porta e rimase ad attendere invano che qualcuno aprisse, tanto
da fargli sospettare che Seaton avesse lasciato Londra. Bussò una seconda
volta, con più energia e passarono altri due minuti prima che la porta fosse
aperta da una giovane cameriera.
— Desidera, signore? — chiese con voce ansante, come se avesse
attraversato di corsa tutta la casa.
— Sono il capitano Wilding — disse Kenneth in tono autoritario. —
Desidero vedere sir Anthony.
Intimidita, la ragazza accennò una riverenza. — Da questa parte, signore.
— Lo condusse al piano di sopra e lo introdusse in un salone annunciando: —
Il capitano Wilding chiede di vedervi, sir Anthony. — Quindi si affrettò a
scomparire.
Kenneth varcò la soglia e fu aggredito dall’odore pungente di olio di semi
di lino e di acquaragia. Benché sedie e divani arredassero una metà del locale,
non si trattava di un salotto ma di uno studio. In due pareti si aprivano alte
finestre che lasciavano entrare fasci di luce. Alle altre due pareti erano appesi
in modo casuale quadri di tutte le dimensioni.
Nel lato opposto della stanza, una donna semisvestita era adagiata su un
divano di velluto. La sua espressione annoiata si illuminò quando Kenneth
entrò.
Dopo aver dato una rapida occhiata alla modella, Kenneth si concentrò
sulla sua preda. Vestito in modo impeccabile, sir Anthony Seaton era in piedi
davanti a un cavalletto, con una tavolozza in una mano e un lungo pennello
nell’altra. Assomigliava al fratello maggiore, ma era chiaro che possedeva una
personalità molto più brillante.
L’uomo continuò imperterrito a dipingere e quando Kenneth si schiarì
con delicatezza la gola, disse in tono irritato, senza guardarlo: — Chi diavolo
siete, e cosa ci fate nel mio studio?
— Mi chiamo Kenneth Wilding. Mi manda un vostro amico, che ha saputo
che avete un bisogno urgente di un nuovo segretario.
L’artista alzò la testa e c’era una luce divertita nel suo sguardo. — Chi ha
avuto la faccia tosta di fare una cosa simile? Frazier? Turner? Hampton?
— Il signore in questione preferisce restare anonimo.
— Frazier, senz’altro. — Sir Anthony lo sottopose a un attento esame. —
Quali sono le vostre qualifiche, signor Wilding?
— Dall’aspetto direi che è molto ben qualificato — gorgheggiò la modella,
con gli occhi puntati all’altezza dell’inguine di Kenneth.
— Non è qui per quel genere di prestazioni, Lavinia — replicò l’artista con
sarcasmo. — Un buon segretario deve essere dotato di capacità organizzative
e deve saper scrivere in bella grafia.
Kenneth aveva deciso di tacere il suo titolo nobiliare, ma per il resto
voleva essere il più sincero possibile. — Fino a due settimane fa, ero capitano
della Rifle Brigade, e questo mi è servito per imparare a comandare e a
organizzare. Sono stato anche aiutante di campo di un generale, e ho una
buona grafia.
— Cominciate a interessarmi, capitano Wilding. — Sir Anthony posò
tavolozza e pennello su un tavolino. — Lavinia, va’ a bere una tazza di tè
mentre parlo con questo signore.
La modella si alzò e infilò una vestaglia di seta con gesti languidi. Si
diresse quindi alla porta, passando così vicino a Kenneth che questi non poté
fare a meno di notare che la vestaglia serviva ben poco per coprire il seno
generoso. Divertito, lui la seguì con lo sguardo, pensando che lavorare per un
artista poteva presentare vantaggi inaspettati.
Quando la porta si fu chiusa alle spalle della modella, Seaton chiese: —
Perché un ufficiale dell’esercito dovrebbe aspirare a un posto di segretario?
— Perché ho bisogno di lavorare. Adesso che non ci sono più guerre,
l’esercito ha ridotto il numero degli ufficiali.
L’espressione di sir Anthony si ammorbidì.— È una vergogna che la
nazione tratti così i soldati che l’hanno salvata da quel demonio di Bonaparte.
— Ebbe un attimo di esitazione. — Comunque, non posso assumere un
segretario che non se ne intenda d’arte.
Kenneth era abituato al fatto che la gente lo considerasse ignorante. — Ho
sempre amato l’arte e, durante gli anni trascorsi sul Continente, ho avuto la
fortuna di vedere molte grandi opere. Sono stato anche a Parigi. Il Louvre
contiene forse la più importante collezione di dipinti del mondo.
— Deve essere stata un’esperienza indimenticabile. Tuttavia, è necessario
che mi dimostriate la vostra competenza. Venite. — Seaton si diresse verso
una porta doppia, la spalancò, e lo precedette in un’altra sala.
Kenneth, che l’aveva seguito, si arrestò di colpo. Di fronte a lui c’era il
quadro più famoso dipinto da sir Anthony.
— Lo riconoscete, capitano Wilding?
Kenneth deglutì. — Credo che chiunque in Inghilterra abbia visto una
copia di Orazio al ponte, anche se una stampa in bianco e nero non gli rende
giustizia. È stupendo. — Il lato sinistrò del quadro era dominato da Orazio,
che attendeva a piè fermo i suoi avversari.
— Parlatemene — ordinò sir Anthony.
Non sapendo cosa l’uomo volesse sentirsi dire, Kenneth iniziò con una
certa esitazione: — Da un punto di vista tecnico è brillante. La vostra
padronanza del disegno uguaglia quella di David.
Seaton sbuffò. — Non l’uguaglia, la supera. David non è altro che un
imbrattatele sopravvalutato.
Nessuno avrebbe potuto accusare Seaton di falsa modestia. — La potenza
del quadro deriva dalla composizione — proseguì Kenneth. — C’è una grande
tensione nell’angolazione della spada di Orazio. La diagonale domina la scena
e la rende viva.
Incoraggiato da un cenno di assenso dell’artista, Kenneth continuò. — La
scelta di rappresentare Orazio come un ragazzo dà pathos al quadro. C’è
paura in lui, perché è la prima volta che si batte. Nei suoi occhi c’è il terribile
rimpianto per una vita che rischia di perdere prima di averla realmente
vissuta. Ma è anche evidente che si batterà fino in fondo.
— Molto bene, capitano. Qual è il messaggio implicito del quadro?
Non era una domanda difficile. — Vi siete ispirato alla vicenda di Orazio
per simboleggiare l’Inghilterra che affronta da sola la Francia. Un pittore
meno sottile avrebbe dato al capo degli avversari le fattezze di Napoleone,
mentre voi vi siete limitato ad accennarle, così che lo spettatore si trova a
pensare ai francesi senza neanche rendersene conto.
— I quadri storici sono il fiore all’occhiello dell’arte. Elevano il morale,
sono educativi — dichiarò sir Anthony, guardando con aria pensierosa il suo
dipinto. — Vorrei poter dedicare tutto il mio tempo a questo genere di pittura
ma, se lo facessi, morirei di fame.
Girò sui tacchi e tornò nello studio. — Gli inglesi preferiscono paesaggi e
ritratti. È una vergogna.
Si avvicinò a un cavalletto in un angolo della stanza e scostò il telo che
copriva il ritratto di un bell’uomo dalla faccia da falco e della incantevole e
bionda moglie. — Cosa ne pensate, capitano Wilding? Sono il pittore più
geniale che l’Inghilterra abbia mai avuto eppure, per mantenere me e mia
figlia, devo prostituirmi e produrre questa robaccia.
Malgrado quelle parole, era evidente che Seaton si aspettava di essere
elogiato. Affrontando un rischio calcolato, Kenneth disse: — Credo che siate
un impostore, sir Anthony.
Seaton rimase a bocca aperta. — Come osate, signore!
— Oh? — Kenneth indicò il ritratto. — Lo definite robaccia, eppure
osservatene i pregi. A parte la scelta superba dei colori, si può avvertire la
tenerezza che lega quelle due persone, l’atteggiamento protettivo del marito
nei confronti della moglie. Nessuno riuscirebbe a dipingere con tanta
sensibilità se disprezzasse quello che sta facendo. Penso che, nel vostro
intimo, abbiate un debole per i ritratti, ma non volete ammetterlo perché
negli ambienti artistici sono apprezzate solo le opere di carattere storico.
Sir Anthony aveva l’aria di chi fosse stato colpito da un pugno allo
stomaco. Poi, un sorriso gli incurvò le labbra. — Touché, perdio. Credo che
nemmeno mia figlia l’abbia mai intuito. Avete superato la prova, capitano…
fin troppo bene.
Kenneth sapeva di aver fatto colpo ma sapeva anche che, quando si
discuteva d’arte, rischiava di strafare. — Perdonate la mia insolenza, sir
Anthony. Non avrei dovuto parlare come ho fatto.
Seaton gli rivolse uno sguardo penetrante. — Non esagerate con l’umiltà,
capitano. Non siete convincente.
Da quell’abile ritrattista che era, Seaton doveva possedere un sottile
spirito di osservazione, perciò era difficile ingannarlo. — Ammetto che
l’umiltà non è il mio forte — replicò Kenneth, prendendo mentalmente nota
di tenere la lingua a freno — ma di solito mi sforzo di non essere maleducato.
— Bene. In questa casa, solo a me è permesso esserlo. — Seaton ricoprì il
ritratto. — Il caos domestico mi dà fastidio perché interferisce con il mio
lavoro. Poiché non ho mai trovato un maggiordomo o una governante che
fossero in grado di occuparsi di tutte le questioni domestiche, sarà compito
vostro. Dovrete anche tenere in esercizio il mio cavallo quando sono troppo
impegnato per cavalcare. Per tutti questi motivi, è necessario che vi
trasferiate qui. Lo stipendio è di duecento sterline all’anno. Quando potete
iniziare?
Soddisfatto di quella rapida soluzione, Kenneth disse: — Appena avrò
ritirato il bagaglio dalla locanda dove ho passato la notte.
— Mandate un lacchè a prendere le vostre valigie. — Sir Anthony tirò il
pesante cordone di un campanello. — Mia figlia vi spiegherà quali sono i
vostri compiti. Quando è possibile, rivolgete le vostre domande a lei piuttosto
che a me, ma cercate di imparare in fretta perché anche lei odia essere
interrotta. Ogni mattina passerò un’ora con voi per esaminare le questioni in
sospeso e dettarvi lettere. Dopodiché, non desidero più essere disturbato fino
al giorno seguente. È chiaro?
— Come la luce del sole — rispose Kenneth, incapace di trattenere
un’ombra di ironia.
L’altro gli rivolse un’occhiata penetrante. — Oggi sono nello stato d’animo
di tollerare il sarcasmo. Non sarà sempre così.
— Sono sicuro che l’impulso a essere sarcastico si modererà appena mi
sarò ambientato — replicò Kenneth in tono conciliante.
— Siete diverso da tutti i miei precedenti segretari, capitano. Prevedo un
rapporto interessante ma non tranquillo.
La porta si aprì e una giovane minuta entrò con incedere elegante. Era
vestita con semplicità, i capelli ramati erano raccolti in una massa disordinata
sulla nuca e una macchia di fuliggine accentuava la linea marcata dello
zigomo, ma i modi erano quelli della figlia del padrone di casa. — Mi hai
chiamato, padre?
— Sì, mia cara. Ti presento il mio nuovo segretario, il capitano Wilding.
Rebecca Seaton esaminò Kenneth dalla testa ai piedi con aria scettica. E
lui ebbe l’impressione di essere stato trafitto con uno spiedo. Anche se non
era bella nel senso classico del termine, la zitella viziata aveva vivaci occhi
castani e una personalità di tutto rispetto.
Sarebbe stata una fonte di guai. Guai seri.
4

Buon Dio, di fronte a lei c’era il pirata. Rebecca ne guardò a lungo la figura
muscolosa. Da vicino, aveva un’aria ancor più possente e pericolosa, un lupo
tra gli agnelli di Mayfair, — Quest’uomo, un segretario? Stai scherzando?
Suo padre inarcò le sopracciglia. — Credevo ti avrebbe fatto piacere sapere
che il posto non è più vacante.
Rendendosi conto di essere stata sgarbata, Rebecca disse: — Scusatemi,
capitano… Wilder, vero? Il fatto è che non avete per niente l’aria di un
segretario.
— Wilding, signorina Seaton. Al vostro servizio. — Kenneth si inchinò. —
Temo di non poter far niente se assomiglio più a un pugile che a un
gentiluomo.
La sua voce era profonda, e i modi erano quelli di una persona istruita.
Perché, allora, ne diffidava? Dipendeva forse dalla freddezza dei suoi occhi
grigi. O forse perché un uomo d’azione sembrava fuori posto in una casa
consacrata all’arte. La sua stessa presenza la turbava. Rebecca lanciò
un’occhiata ansiosa al padre.
— Non ti preoccupare. Il capitano Wilding ha le qualifiche giuste.
Mostragli la casa e spiegagli i suoi compiti. — Sir Anthony tornò al suo
cavalletto. — Di’ a Lavinia di salire così che possa riprendere a lavorare.
Se il pirata non fosse stato presente, Rebecca avrebbe discusso con il
padre ma, a quanto pareva, era troppo tardi. — Benissimo — disse con
malagrazia. — Seguitemi, capitano Wilding. — Mentre salivano le scale, gli
chiese: — Eravate nell’esercito, capitano?
— Sì, nella Rifle Brigade.
— Mio padre vi ha spiegato che dovrete occuparvi soprattutto di faccende
domestiche? Tutto ciò non c’entra molto con la vita militare. Forse non sarà
di vostro gusto.
— In entrambi i casi si tratta di impartire ordini a degli uomini.
— Già, ma comandare delle donne può rivelarsi più difficile.
— Me la caverò.
Aveva l’aria di uno a cui non mancasse esperienza in fatto di donne. E
quel pensiero non migliorò l’opinione che Rebecca si era fatta di lui.
— Non m’importa di dover ricoprire il ruolo di factotum — disse Kenneth
— ma mi stupisce che abbiate bisogno di me quando è ovvio che voi ne avete
la competenza.
— Non mi va di passare il mio tempo a fare la governante — ribatté lei
seccamente.
Reagendo al suo tono piuttosto che alle sue parole, lui commentò: — Io
non vi sono molto simpatico, vero, signorina Seaton?
Buon Dio, quell’uomo era davvero privo di tatto! Bene, se preferiva la
franchezza, l’avrebbe accontentato. Si fermò sul pianerottolo e si voltò ad
affrontarlo. Lui si arrestò un gradino più in basso, così che i loro occhi si
trovarono quasi allo stesso livello. Rebecca represse l’impulso di
indietreggiare. — Ci siamo appena conosciuti, come posso trovarvi antipatico
o simpatico?
— Da quando è necessario conoscere qualcuno per trovarlo antipatico? È
chiaro che vi secca che vostro padre mi abbia assunto.
— Conoscendo mio padre, sono sicura che non si è preoccupato di
chiedervi le referenze. Come faccio a sapere che non siete un imbroglione o
un ladro?
Kenneth socchiuse per un attimo gli occhi prima di rispondere. — È vero,
non ho referenze, ma suppongo che potrei chiedere al duca di Wellington di
fornirmele. Mi conosce da diversi anni.
Il tono della risposta era così disinvolto da riuscire convincente. Dandosi
per vinta, Rebecca disse: — Per carità, non mi sognerei di disturbare il duca
per una simile sciocchezza.
Le riusciva difficile concentrarsi, trovandosi così vicina a quel volto, che
era ancor più affascinante di quanto le era parso da lontano. Gli occhi erano
penetranti con lunghe ciglia nere, la pelle abbronzata da un sole più caldo di
quello inglese. Un tempo, i lineamenti marcati e rudi dovevano essere stati
più morbidi, ma della sua giovinezza non restava più traccia. Quell’uomo la
faceva pensare a un vulcano: calmo in superficie, ma con il fuoco che covava
nelle profondità.
— Manca qualcosa alla mia faccia? — chiese il capitano.
— I volti m’interessano, soprattutto se denotano una vita vissuta con
intensità, — Lo sguardo di Rebecca corse alla cicatrice, una linea sottile,
appena in rilievo. — È stata una sciabola a lasciarvi quel segno?
Era una domanda indiscreta, ma Kenneth non si scompose. — Sì, a
Waterloo.
Così, aveva combattuto in quella spaventosa carneficina. — Siete stato
fortunato a non perdere l’occhio.
— Già. Dal momento che non ero bello nemmeno prima, il danno non è
grave.
Rebecca si chiese se stesse cercando di sconcertarla. Non era facile
riuscirci, non con lei, cresciuta nell’ambiente anticonformista di un artista. —
Al contrario. La cicatrice rende ancor più interessante il vostro volto. Quel
francese ha fatto un buon lavoro.
Si voltò e si avviò lungo un corridoio. — La camera da letto di mio padre è
dietro di noi, la mia è sulla sinistra e quella accanto è la vostra. — Ne
spalancò la porta e fece una smorfia quando vide lo stato in cui si trovava. —
Mi dispiace. Avrebbero dovuto pulirla dopo che Tom Morley se ne andato. —
Rebecca sapeva benissimo che nessuna delle domestiche si sarebbe sognata
di farlo se non avesse ricevuto ordini precisi, ordini che lei non si era presa il
disturbo di dare.
Impassibile, Wilding disse: — Presentatemi alla servitù e farò in modo che
venga pulita.
— Sono impaziente di vedere come riuscirete a trasformarli in lavoratori
instancabili ed efficienti.
— Se tra i vostri attuali domestici ci sono degli scansafatiche, suppongo di
avere il diritto di licenziarli e assumerne altri.
— Certo. — Rebecca si diresse verso le scale. — Non occorre che vi faccia
visitare l’attico. Vi si trovano gli alloggi della servitù e il mio studio privato.
Se avete bisogno di parlarmi, tirate uno dei cordoni rossi. Il campanello
suonerà nel mio studio.
— Dunque, è così che vi ha chiamata vostro padre — mormorò lui,
seguendola. — Risponderete anche a me con tanta prontezza?
Senza sapersi spiegare perché, lei si sentì avvampare. — No — rispose in
tono brusco — perciò spero che saprete risolvere da solo i vari problemi.
Come aveva temuto, la presenza del capitano non smetteva di
scombussolarle l’esistenza. Sperava soltanto che non avrebbe tardato a capire
che la vita del segretario non gli si addiceva.

Kenneth aveva difficoltà a concentrarsi sulla visita della casa e su ciò che
Rebecca Seaton gli diceva. Quella donna aveva il potere di distrarlo, con la
sua lingua mordace e lo sguardo acuto.
La tappa successiva fu al primo piano. Lei aprì la porta di un piccolo locale
sul retro della casa. — Questo è l’ufficio di mio padre, anche se ci passerete
più tempo voi di lui. La scrivania nell’angolo è la vostra. Come potete vedere,
il lavoro si è accumulato da quando Tom Morley se ne andato.
La donna aveva usato un eufemismo: la scrivania era completamente
sepolta sotto mucchi di carte. — Capisco perché vostro padre era ansioso di
assumere il primo candidato disponibile.
— In realtà, mio padre ha scartato il sostituto suggerito da Tom. Ha detto
che era presuntuoso e ignorante.
— Sono contento di sapere che sir Anthony ha un’opinione migliore di me
— dichiarò Kenneth in tono serio.
Rebecca gli lanciò un’occhiata penetrante, e lui si prese mentalmente a
calci. Il suo compito era quello di essere un segretario efficiente e discreto. Se
non avesse imparato a tenere la lingua a freno, si sarebbe ritrovato per strada
e avrebbe perso Sutterton.
— Gli avvocati di mio padre — continuò Rebecca — si occupano delle
questioni finanziarie più importanti, ma voi avrete la responsabilità della
corrispondenza e dei conti di casa. Qui troverete i libri mastri. — Prese una
chiave dal cassetto della scrivania e aprì uno schedario. L’uomo diede
un’occhiata a uno dei libri, e capì che non avrebbe avuto difficoltà a seguire la
contabilità.
Rebecca gli porse la chiave e si voltò per andarsene. Lui stava per seguirla
quando il suo sguardo cadde su un quadro appeso sopra la scrivania di sir
Anthony. Un’affascinante donna in età matura era ritratta davanti a un
paesaggio nebbioso; i rossi capelli le scendevano in una massa disordinata
sulle spalle.
La donna era una copia sensuale di Rebecca Seaton. Doveva essere la
defunta lady Seaton, e Kenneth sarebbe stato disposto a giurare che sir
Anthony l’avesse ritratta con amore. Pensando che avrebbe potuto iniziare a
raccogliere informazioni, si rivolse a Rebecca, che si era fermata per vedere
come mai l’uomo non la seguisse. — Questa deve essere vostra madre.
Le dita di lei, strette intorno alla maniglia, si contrassero. — È stato
dipinto a Ravensbeck, la casa che abbiamo nella regione dei Laghi.
— Non mi è stata presentata nessuna lady Seaton, perciò suppongo che sia
morta.
Rebecca voltò la testa e rispose, laconica: — L’agosto scorso.
— Mi dispiace. Cos’è successo… una malattia improvvisa? Sembra così
piena di vitalità — commentò Kenneth, studiando il dipinto.
— È stato un incidente. Un orribile e stupido incidente. — Rebecca girò sui
tacchi e uscì dalla stanza. — Ora vi presento la servitù.
Prima di seguirla, Kenneth diede un’ultima occhiata al ritratto e intuì di
colpo che in Rebecca Seaton c’era una sensualità latente che la donna, a
differenza della madre, reprimeva con severità. Si chiese come sarebbe stato
vederla con i lucenti capelli ramati sciolti sulle spalle a incorniciare quel suo
volto così interessante…
Dannazione! Non poteva permettersi di provare attrazione per la figlia
dell’uomo che si era impegnato a distruggere. Per fortuna, non era il tipo di
donna che amava civettare. Anzi, era proprio l’opposto.
Per raggiungere le scale che scendevano in cucina attraversarono la sala
da pranzo e Rebecca disse, con un sarcasmo appena velato: — Poiché i
segretari sono gentiluomini, dividerete i pasti con mio padre e me.
Era chiaro che lo riteneva adatto solo a pulire le stalle. Cos’aveva detto
lord Bowden della sua fuga? Che l’uomo in questione era un sedicente poeta.
Si poteva dedurre che la signorina Seaton avesse un debole per i tipi verbosi e
romantici, sempre che l’esperienza non l’avesse disgustata al punto di non
volerne più sapere degli uomini.
Passando davanti alla credenza, Kenneth non poté fare a meno di
arrestarsi vedendo il quadro che vi era appeso sopra. Cogliendo lo sguardo
impaziente di Rebecca, disse in tono contrito: — Mi dispiace. È difficile
restare indifferenti davanti a simili capolavori. Mi sento come la prima volta
che sono entrato al Louvre.
Rebecca sembrava sorpresa all’idea che lui potesse apprezzare l’arte, e il
suo tono fu meno aspro quando parlò. — S’intitola La carica della Union
Brigade ed è uno dei quattro dipinti sul tema di Waterloo che mio padre
esporrà quest’anno alla Royal Academy.
I sei o sette cavalieri che avanzavano al galoppo, con le spade sguainate,
sembravano sul punto di esplodere fuori dall’enorme tela. — Magnifico —
commentò Kenneth. — Anche se non è del tutto realistico, mi sembra di
rivedere la cavalleria francese quando ci piombava addosso.
Rebecca si accigliò. — In che senso, non è realistico?
— I cavalli sono così vicini l’uno all’altro da toccarsi quasi. In battaglia
sarebbe impossibile — spiegò Kenneth. — Ma se suo padre li avesse
distanziati, l’effetto non sarebbe così travolgente.
— Mio padre sostiene che, in un dipinto, l’illusione della realtà è più
importante della precisione tecnica.
— Rebecca rimase un attimo pensierosa, quindi lo invitò a seguirla nella
saletta della colazione. — Ecco un genere diverso di battaglia. Boadicea poco
prima dello scontro finale con i romani. Cosa ne pensate?
Kenneth studiò il dipinto della regina guerriera che impugnava una lancia
con una mano e una spada con l’altra. Con la testa gettata all’indietro e il
vento che faceva svolazzare il mantello di pelle di lupo, incitava le sue truppe
a seguirla per andare incontro a morte certa.
— Anche se non è convincente come guerriera, è splendida come simbolo
del coraggio e della passione per la libertà.
— Perché non è convincente?
— Troppo snella. Ci vogliono muscoli per maneggiare quelle armi. E lo
stile è un po’ diverso dagli altri dipinti di sir Anthony che ho visto. Era
un’opera sperimentale? L’intensità della composizione e la ricchezza dei
colori sono tipiche, ma il disegno è più delicato, quasi poetico.
In silenzio, Rebecca lo fissava con gli occhi socchiusi. Che lo stesse
sottoponendo a un’altra prova? Kenneth guardò l’angolo in basso del quadro,
dove sir Anthony siglava tutte le sue opere con un piccolo AS. Questa volta,
tuttavia, le iniziali erano RS. — Mio Dio, siete stata voi a dipingerlo? —
chiese, stupito.
— Perché siete così sconvolto? Appartenete a quella categoria di uomini
secondo i quali le donne dovrebbero occuparsi solo di faccende domestiche?
— Niente affatto. Sono rimasto sorpreso perché non avevo idea che anche
voi foste un’artista. E che artista! Non c’è da stupirsi se rifiutate di dedicarvi
alle questioni di casa. Sarebbe criminale sprecare un simile talento.
Per un attimo Rebecca parve quasi intimidita da quel complimento, ma il
suo tono non aveva perso il consueto sarcasmo quando disse: — Non potrei
essere più d’accordo. Ecco perché ci occorre qualcuno in grado di dirigere la
casa. — Dalla sua espressione era evidente che non lo riteneva all’altezza di
quel compito.
Era il momento di dimostrare la sua competenza. — Prima di conoscere i
domestici, devo saperne qualcosa di più. Quanti sono?
— Al momento quattro donne e tre uomini.
— Sono con voi da molto tempo?
— Soltanto lo stalliere, Phelps. Gli altri lavorano qui da pochi mesi.
Questo era un vero peccato, pensò Kenneth, perché i domestici erano una
fonte importante di informazioni. — Come mai avete continuato a cambiarli?
E perché è così difficile trovare una governante competente?
— Mia madre preferiva occuparsi di persona della casa. Da quando è
morta, siamo piombati nel caos. Mio padre non è più stato… se stesso, e se un
domestico lo irrita, non ci pensa due volte a licenziarlo. Abbiamo avuto due
governanti, ma nessuna delle due capiva quali sono le esigenze della casa di
un artista, e hanno preferito andare a servizio presso famiglie più tranquille.
— Al momento ci sono posti vacanti?
— Abbiamo un bisogno urgente di un cuoco e di un maggiordomo. — Un
lampo maligno brillò negli occhi di Rebecca. — Anzi, tra poco dovrebbero
arrivare due candidati per il posto di cuoco. Potreste occuparvi voi di
incontrarli.
Kenneth annuì, come se fosse stata la cosa più naturale del mondo, ma
dentro di sé si chiedeva cos’avrebbero pensato gli uomini della sua
compagnia se l’avessero visto in quel momento.
5

I domestici, riuniti in cucina per bere una tazza di tè, smisero di


conversare quando Rebecca entrò seguita da Kenneth. Erano tutti presenti
tranne Phelps, lo stalliere.
— Vi presento il nuovo segretario di sir Anthony, il capitano Wilding —
annunciò Rebecca. — Da adesso prenderete gli ordini da lui — concluse,
conferendogli il potere con un gesto ironico della mano.
Mentre Kenneth studiava il gruppo, la cameriera che flirtava con tutti
lanciò un’occhiata scaltra al suo lacchè preferito e scoppiò in una risatina. Lo
sguardo impassibile di Kenneth si puntò su di lei, che divenne di colpo seria.
Mentre il silenzio si protraeva, la più giovane delle cameriere si alzò in piedi
e, uno dopo l’altro, tutti seguirono il suo esempio, come una squadra di
soldati ben addestrati.
— Mi risulta che la disciplina non è il vostro forte — annunciò Kenneth in
tono freddo. — Le cose cambieranno, e se qualcuno ritiene che il lavoro sia
troppo faticoso, è libero di andarsene. Se avete problemi o lamentele da fare,
dovrete venire da me. Per nessun motivo dovrete disturbare sir Anthony e la
signorina Seaton. È chiaro?
Era chiaro. Kenneth li passò in rassegna uno dopo l’altro, chiedendo a
ciascuno il nome e il genere di lavoro che svolgeva prima di congedarli.
Rebecca dovette ammettere che era riuscito a conquistarne il rispetto.
Procedette quindi alla selezione dei due aspiranti cuochi con altrettanta
efficienza. Il primo era un francese borioso, che si offese quando Kenneth,
dopo aver letto le sue lettere di referenze, gli chiese di preparare un piatto. E
se ne andò, sdegnato.
Anche il secondo candidato era francese, ma di sesso femminile: una
donna grassoccia, dall’aria placida. Le sue referenze non erano eccezionali
ma, alla richiesta di dimostrare di cos’era capace, si mise subito all’opera.
Venti minuti dopo serviva loro un’omelette e una caraffa fumante di caffè.
I dubbi di Rebecca sui metodi usati da Kenneth svanirono quando
assaggiò il primo boccone. — Ottima. Ed è stata intelligente a usare ciliege al
brandy per fare una salsa rapida. L’assumerete?
Kenneth, seduto di fronte a lei al tavolo della colazione, annuì. — Sì.
Madame Brunel ha superato le tre prove.
— Tre?
— La prima e la più importante riguarda l’atteggiamento. Ha accettato
senza discutere di preparare un piatto. Punto secondo, ha spirito d’iniziativa e
in pochi minuti ha capito dome sfruttare al meglio gli ingredienti a sua
disposizione. Per ultimo, il risultato è ottimo.
— Il primo requisito non dovrebbe essere la sua bravura come cuoca?
— La bravura non serve a niente se si ha un carattere capriccioso. È molto
più importante dimostrarsi disposti a collaborare.
Pensierosa, Rebecca terminò la sua omelette. Il nuovo segretario si era
rivelato un conoscitore dell’animo umano più abile di quanto si potesse
dedurre dal suo aspetto. — Avete iniziato bene, capitano. Ci vedremo a cena.
— Ho dunque superato le vostre prove?
Consapevole di non essere riuscita a mascherare lo scetticismo, lei disse:
— Siete stato assunto da mio padre. Non tocca a me mettervi alla prova.
— Sono sicuro che vostro padre licenzierebbe un segretario se la sua
presenza vi fosse sgradita.
— È vero, ma in genere mi astengo dal dare giudizi affrettati. — Rebecca si
scoprì a fissarlo di nuovo e a chiedersi cosa lo rendesse così diverso dagli altri
uomini che conosceva, e capì che non l’avrebbe mai scoperto se l’avesse
costretto a pesare ogni parola per paura di essere licenziato.
— Nessuno dovrebbe sentirsi obbligato a essere sempre circospetto, perciò
avete il permesso di parlare liberamente in mia presenza.
— Significa che posso comportarmi da soldato rude e privo di tatto?
— Esatto.
Un lampo malizioso si accese nei suoi occhi grigi. — Non protestereste
nemmeno se esprimessi il desiderio di baciarvi?
Rebecca avvampò. — Volete ripetere?
— Scusatemi, signorina Seaton. Non intendevo dire che ho realmente
voglia di baciarvi. Stavo soltanto cercando di stabilire i limiti delle vostre
concessioni.
— Li avete appena superati. Non fatelo mai più. — Lei girò sui tacchi e uscì
dalla stanza. Non avrebbe saputo dire cosa la infastidisse di più: se la sua
scandalosa proposta di baciarla, o la sua ammissione che non aveva nessun
desiderio di farlo.

Poiché aveva mezz’ora di tempo prima, di dover raggiungere sir Anthony


in ufficio, Kenneth salì nella sua camera, che le domestiche avevano pulito
con cura. Impiegò pochi minuti per disfare i bagagli, e per nascondere in
fondo all’armadio la cartella di disegni che aveva portato con sé per chissà
quale oscuro motivo.
Andò quindi alla finestra, che si affacciava su un piccolo giardino, oltre il
quale si vedevano i tetti di Mayfair, il quartiere più elegante della città. Nei
paraggi abitava anche Hermione, la vedova di lord Kimball, che viveva nel
lusso grazie ai soldi estorti al suo povero marito. Kenneth si augurò che le
loro strade non si incrociassero mai.
Anche lord Bowden viveva nei paraggi, e aspettava i suoi regolari rapporti.
Con un sospiro, Kenneth si abbandonò su una poltrona e si accinse ad
annotare le sue prime impressioni. L’incarico che aveva accettato si
presentava più sgradevole del previsto. Anche se sir Anthony aveva un
carattere irascibile e a volte arrogante, non era antipatico. Sarebbe stato
difficile lavorare per quell’uomo e tentare al tempo stesso di raccogliere le
prove per distruggerne la vita.
Ma come dimostrare che aveva commesso un delitto senza testimoni?
Kenneth doveva scoprire cos’era successo esattamente in casa, Seaton
all’epoca della morte di Helen.
Ripensò al comportamento di Rebecca quando gli aveva detto che la
morte della madre era stata un orribile e stupido incidente. Nella sua
reazione gli era sembrato che ci fosse qualcosa di più di puro e semplice
dolore. Aveva anche detto che, da allora, suo padre non era più stato se stesso.
Perché la morte della moglie l’aveva distrutto oppure perché era oppresso da
un senso di colpa?
Il pensiero di Rebecca gli strappò una smorfia. Non avrebbe mai dovuto
fai e quel commento idiota a proposito della possibilità di baciarla. Si era
infuriata ma, dannazione, c’era qualcosa nella personalità di quella donna che
lo attraeva.
Anche se erano bastate un paio d’ore in casa Seaton per capire che, come
artista, lui era soltanto un dilettante, prese una matita e buttò giù uno
schizzo della voluttuosa Lavinia. Era strano, anche se aveva sempre amato la
bellezza, non si era mai innamorato di una donna bella. L’unica donna che
aveva amato era Maria, una focosa guerrigliera spagnola.
Pensando a Maria, dovette ammettere che c’erano alcuni tratti in comune
tra lei e Rebecca. Nessuna delle due era bella in un senso classico, ma
possedevano entrambe un fascino non comune, ardevano entrambe di una
passione alla quale si dedicavano anima e corpo. La causa per cui Maria si era
battuta ed era morta era la libertà della Spagna. Rebecca viveva invece per
l’arte, alla quale sembrava votata al punto da farla diventare un’ossessione.
Il rapporto con Maria era stato tempestoso ma anche molto bello. Non era
mai riuscito a immaginare una vita normale con lei, in una società normale,
ma questo non gli aveva impedito di chiederle di sposarlo.
Se avesse accettato, le cose sarebbero andate diversamente? Sarebbe stata
ancora viva?
Per un attimo, gli tornò alla mente l’immagine di come aveva visto Maria
l’ultima volta. La scacciò, con un senso di vuoto allo stomaco. Niente poteva
cambiare il passato. Ora doveva pensare solo al presente, a Sutterton e a
Beth.
Svolgere indagini non sarebbe stato facile, e non era ottimista. Gli unici
che potevano fornirgli informazioni erano il cocchiere e Tom Morley, che
avrebbe cercato di rintracciare.
Riconobbe con un certo disagio che, poiché probabilmente Rebecca era la
migliore fonte di informazioni sulla morte della madre, avrebbe dovuto
coltivarne l’amicizia per poi tradirla.
Gli sfuggì un’imprecazione. La guerra era più pulita e rispettabile del
compito che si era assunto.

— Inviate cortesi sollecitazioni di pagamento a tutti quelli di questo


mucchio. — Sir Anthony batté la mano su un fascio di lettere. — Sono per lo
più aristocratici. È più facile farsi pagare dai commercianti che da loro. —
Frugò nel caos che regnava sulla scrivania e ne tirò fuori un registro. — Un
altro dei vostri compiti è di tenere aggiornata la mia agenda. — Aprì il
volume, che conteneva diversi foglietti scribacchiati. — Io annoto su pezzi di
carta quello che voglio che sia registrato.
Kenneth prese l’agenda e ne scorse una pagina. Nella chiara calligrafia di
Morley si leggevano appunti del tipo: "5 febbraio, 10.00-11.00, duca di
Candover e famiglia, primi schizzi". Altre due sedute erano annotate nello
stesso giorno, oltre a una riunione del consiglio della Royal Academy.
Kenneth provò un brivido di eccitazione; l’agenda relativa all’estate in cui era
morta lady Seaton gli avrebbe fornito preziose informazioni sulle attività di
sir Anthony.
— Avete un calendario molto intenso — commentò.
— Troppo intenso. Non mi lascia abbastanza tempo per i miei quadri
storici. — Seaton emise un sospiro esagerato. — Ma e difficile dire di no a una
signora che ti supplica di farle il ritratto, sostenendo che nessun altro può
farlo meglio di te.
Kenneth si trattenne dal ricordargli che aveva già ammesso che gli piaceva
dipingere ritratti. — C’è qualcos’altro che volete che io faccia, signore?
— Mi sembra che ce ne sia già abbastanza per tenervi occupato — rispose
sir Anthony alzandosi.
In quel momento si udì un rumore di passi in corridoio, poi ci fu un colpo
alla porta, che si aprì subito dopo per lasciare entrare tre persone, vestite con
estrema eleganza. Il più alto dei due uomini, un bel tipo più o meno dell’età
di Seaton, disse: — Come, non sei al tuo cavalletto, Anthony?
— Stavo dando istruzioni al mio nuovo segretario. Il capitano Wilding mi
è stato mandato da un ignoto amico che sapeva quanto ne avessi bisogno.
Devo per caso ringraziare te, Malcolm?
Malcolm diede un’occhiata incuriosita a Kenneth. — Non lo ammetterei
se volessi conservare l’anonimato.
Divertito, sir Anthony annuì, come se la risposta fosse stata una
conferma. — Capitano Wilding, questi sono alcuni dei miei amici, che si
servono del mio studio come di un salotto.
— Solo nel tardo pomeriggio — precisò la donna. Kenneth si accorse con
sorpresa che era la voluttuosa Lavinia, ora vestita con un abito all’ultima
moda.
Mormorò qualche frase di circostanza mentre l’elegante Malcolm gli
veniva presentato come lord Frazier, un nobile che si dilettava di pittura con
un certo successo. Il secondo uomo, più basso e tarchiato, sempre pronto al
sorriso, era George Hampton, incisore e proprietario del più famoso negozio
di stampe d’Inghilterra. Lavinia gli fu presentata come lady Claxton.
Dopo alcuni minuti di conversazione, Malcolm Frazier disse: — Speravo di
vedere se il tuo nuovo quadro su Waterloo ha fatto progressi.
— Non gli ho dedicato molto tempo dalla tua ultima visita, ma puoi
vederlo, se vuoi — rispose sir Anthony, offrendo il braccio a Lavinia.
Prima che il gruppo fosse uscito dalla stanza, Rebecca apparve sulla porta.
Lord Frazier disse in tono affettato: — Come sta l’artista più affascinante di
Londra?
— Non ne ho idea — replicò lei. — Voi come state?
Lui rise, per niente turbato da quell’implicita accusa di vanità. — Siete
l’unica donna che rifiuta i complimenti.
— Se non aveste l’abitudine di distribuirne a tutti, forse sarei più disposta
ad accettarli — replicò Rebecca in tono soave, mentre salutava Lavinia e
George Hampton.
Dopo che se ne furono andati tutti, Rebecca chiuse la porta e si rivolse a
Kenneth. — Avete visto un gatto?
— Un gatto?
— Un piccolo animale con quattro zampe, baffi e una coda. Questa stanza
è uno dei suoi nascondigli preferiti.
A Kenneth parve di ricordare di aver visto un’ombra con la coda
dell’occhio mentre ascoltava le istruzioni di sir Anthony. Si avvicinò
all’armadio della cancelleria e vi sbirciò sotto. Un paio di grandi occhi gialli lo
fissarono senza ammiccare. — Credo di aver trovato il vostro piccolo amico.
Rebecca si inginocchiò al suo fianco. — Vieni fuori, Ghostie. È quasi ora di
cena.
Il gatto uscì da sotto l’armadio e si stirò con aria languida. Era magro,
recava le tracce di numerose cicatrici e la coda era ridotta a un mozzicone.
Colmandolo di coccole, Rebecca lo prese in braccio e se lo mise su una spalla.
Gli accarezzò la schiena e fu ricompensata da un miagolio. — Era un gatto
randagio che veniva a elemosinare alla porta della cucina — spiegò. — Ho
cominciato a nutrirlo, ma ci sono voluti mesi prima che si lasciasse toccare.
Adesso è un vero micio casalingo.
Kenneth era colpito dall’affetto che la donna dimostrava per la bestiola e
cercò di sfruttare quel momento, in cui lei appariva più rilassata, per
approfondire i loro rapporti. Grattò Ghostie tra le orecchie. — È un gatto
perbene e ben educato. Ha dormito tutto il tempo durante l’invasione di poco
fa.
— Si è abituato. Sono decine le persone che vengono a farci visita con
regolarità, ma i più assidui sono i tre che sono appena usciti. Mio padre,
Malcolm e George sono amici da quando studiavano all’accademia.
Kenneth accarezzò di nuovo il gatto, quasi sfiorando la guancia di
Rebecca. Chiedendosi se la sua pelle fosse così vellutata come sembrava,
ritirò la mano prima di cedere alla tentazione di scoprirlo. — Ho già
incontrato Lavinia e pensavo che facesse la modella di professione. Mi ha
sorpreso scoprire che è lady Claxton.
— Lavinia ha fatto l’attricetta e la modella finché non ha sposato un
anziano baronetto. Adesso è una ricca vedova che si diverte a comportarsi in
modo scandaloso. Non è ricevuta dalla migliore società, ma è molto popolare
nell’ambiente artistico. — Rebecca strofinò la guancia contro il pelo del gatto.
Con un tono che era fin troppo disinvolto, aggiunse: — Credo che sia l’attuale
amante di mio padre.
Kenneth fu subito sul chi vive e, vedendo la sua espressione, Rebecca
disse con freddezza: — Vi ho turbato, capitano?
Lui si riprese subito. — Forse è troppo tempo che manco dall’Inghilterra.
Quando me ne sono andato non stava bene che una giovane signora parlasse
di affari sconvenienti.
C’era autoironia nel sorriso di Rebecca. — Ma io non sono giovane e non
sono una signora. Da anni ormai la mia reputazione è ufficialmente rovinata.
L’ambiente artistico è abbastanza anticonformista da accettarmi, non fosse
altro che perché sono la figlia di sir Anthony Seaton, ma non sarei mai
ricevuta in un salotto rispettabile.
Sapendo che il suo atteggiamento avrebbe avuto un effetto determinante
sul modo in cui lei l’avrebbe accettato, Kenneth disse: — Essere stata rovinata
vi ha reso più forte o più debole?
La domanda la colse di sorpresa, — Più forte, suppongo — rispose, dopo
un attimo di riflessione. — Non mi ero resa conto di quanto preziosa fosse la
mia reputazione finché l’ho persa ma, in un certo senso, è stata anche una
liberazione.
Lui annuì. — A caratterizzarci non sono i nostri trionfi ma i nostri
fallimenti.
Rebecca smise di accarezzare il gatto e lo fissò. — Avete una mentalità
interessante.
— Me l’hanno già detto, ma non era un complimento.
Il sorriso che lei gli rivolse le illuminò il volto. — Da parte mia, capitano, è
un complimento. Ci vediamo a cena. In questa casa c’è una legge che nessuno
infrange, e cioè, si cena tutti insieme. — Il suo sguardo andò al ritratto di lady
Seaton. — Era stata mia madre a imporla, sapendo che mio padre e io
perdiamo spesso la cognizione del tempo.
— Le assomigliate molto.
— Non proprio. Abbiamo lo stesso incarnato, ma lei era molto più alta.
Inoltre, mia madre era bella.
Kenneth pensò di dirle che lo era anche lei, ma si trattenne perché
l’avrebbe accusato di adulazione e disse invece: — Lady Seaton era
affascinante come appare nel quadro?
— Quando era felice, tutta la casa risplendeva. E quando era triste… Noi
tutti lo capivamo.
— Era di umore incostante?
Il volto di Rebecca, che era già diretta alla porta, si irrigidì.— Chi non lo è,
a volte?
Kenneth capì di aver toccato un punto dolente e cercò di trovare
rapidamente il modo di riparare quell’errore. Con riluttanza dovette
riconoscere che, se voleva conquistarne la fiducia, doveva rivelarle qualcosa
di sé. A voce bassa disse: — Mia madre è morta quando avevo sedici anni. È
stato il dolore più grande della mia vita.
Rebecca deglutì. — Lascia… lascia un vuoto incolmabile. — Chiuse per un
attimo gli occhi. — Come è morta vostra madre?
— Di una malattia lenta, dolorosa e devastante. — Kenneth venne travolto
dai ricordi vividi di quell’anno terribile. Suo padre, pur amando a modo suo la
moglie, non era riuscito ad affrontarne la lenta agonia. Era toccato al figlio
assisterla e confortarla, e quell’esperienza aveva fatto di lui un adulto.
Gosthie miagolò, strappandolo ai suoi ricordi. Alzò lo sguardo e si accorse
che Rebecca lo osservava con occhi pieni di compassione.
Era stata sua intenzione mostrarle solidarietà, non debolezza. Iniziò a far
ordine sulla scrivania, dicendo: — Vostro padre mi ha spiegato la funzione
dell’agenda, ma mi sarebbe comunque utile consultare quelle degli ultimi
anni. Sapete se le tiene qui in ufficio?
— Questo dovrete chiederlo a lui. Ci vediamo a cena, capitano.
Kenneth la seguì con lo sguardo mentre usciva, consapevole che il suo
istinto non si era sbagliato. Quella donna significava guai.
Rebecca scese in cucina. Discutere di sua madre l’aveva turbata e la
tristezza del capitano Wilding quando aveva parlato della morte della propria,
aveva riacceso il dolore. Il capitano aveva comunque mostrato un aspetto
inatteso del suo carattere. Per un attimo, sotto l’inflessibile ufficiale
dell’esercito si era visto il ragazzo che era stato un tempo.
Quell’uomo era un enigma. Da una prima impressione l’aveva giudicato
duro e intelligente, ma ora doveva ammettere che era anche tollerante e che
aveva un certo fascino. Aveva alluso di proposito alla sua reputazione
rovinata per vedere come avrebbe reagito, e doveva riconoscere che non era
rimasto scandalizzato né aveva mostrato una curiosità morbosa.
Dopo aver dato da mangiare al gatto, salì di nuovo nel suo studio. Aveva
una mezz’ora prima di dover scendere per la cena, abbastanza per abbozzare
un altro schizzo del capitano.
6

Come era stato concordato, dopo la prima settimana, Kenneth si recò a far
rapporto a lord Bowden.
Gli spiegò quali fossero le difficoltà delle indagini, e con quanta lentezza
poteva svolgerle per via del tempo che aveva dovuto impiegare a smaltire il
lavoro arretrato. Descrisse quindi come intendeva procedere e concluse
dicendo: — Sir Anthony tiene agende dettagliate, che potrebbero fornire
molte notizie sul periodo che ci interessa. Purtroppo, ho saputo che proprio il
volume relativo a quei mesi è rimasto nella casa estiva, non riuscirò a
esaminarlo a meno che non faccia ancora parte della famiglia quando,
quest’estate, si recheranno in campagna.
Bowden ascoltava accigliato. — Speravo che avreste ottenuto dei risultati
prima di allora.
— Qualche progresso l’ho fatto. Per esempio, ho conosciuto alcuni amici
di sir Anthony. Presto potrò far loro domande sul passato. Voglio anche
parlare con l’ex segretario, Morley.
— Sarà semplice. — Bowden prese una penna e un foglio di carta e scrisse
un nome e un indirizzo. — Adesso è il segretario di un membro del
parlamento che è un mio amico. — Gli porse il foglio e si appoggiò allo
schienale, incrociando le dita sotto il mento. — Anche se non siete riuscito a
trovare prove concrete, quali sono le vostre impressioni?
— La morte di lady Seaton è come una ferita aperta, tutti la avvertono ma
nessuno vuole affrontarla. Sir Anthony non ha mai accennato alla moglie,
anche se l’ho sorpreso spesso a guardarne il ritratto che è appeso in ufficio.
Sua figlia non sopporta di parlare della morte della madre. — Kenneth diede
un’occhiata interrogativa a Bowden. — È forse lady Claxton l’amante che
vostro fratello avrebbe voluto sposare? Tra di loro c’è qualcosa, ma mi
sembra una relazione superficiale.
— Lavinia Claxton? Non mi sorprende, visto con quanta generosità
concede i suoi favori. No, è un’altra la donna per cui Anthony ha ucciso
Helen, ma non sono riuscito a scoprirne l’identità.
Kenneth era perplesso. Se sir Anthony amava una donna al punto da
uccidere per lei, come mai si era legato a Lavinia?
— Che tipo è mia nipote? — chiese Bowden di punto in bianco.
Kenneth scoprì di essere riluttante a parlarne. — La vedo di rado, in
pratica, solo a cena. Passa la maggior parte del tempo chiusa nel suo studio.
Lo sapevate che è una pittrice di talento?
— Non ne avevo idea. Forse questo spiega la sua condotta immorale. A
quanto pare, gli artisti non sentono il dovere di rispettare le leggi di Dio.
Quelle parole fecero infuriare Kenneth, che faticò a controllarsi. — Può
darsi che la signorina Seaton abbia commesso un errore quando era giovane,
ma non ho sentito nessuna critica sul suo conto.
— Continuate a indagare e finirete per scoprire qualcosa. Spero che la
prossima volta il vostro rapporto sarà più esauriente.
— È un errore insistere su un rapporto settimanale. Voi restereste deluso
per l’apparente mancanza di risultati, e a me non piace sentirmi il fiato sul
collo.
Bowden si oscurò in volto. — Forse avete ragione. Pretendo però almeno
un rapporto mensile.
— D’accordo, ma in futuro non ci incontreremo a casa vostra. Abitate
troppo vicino a sir Anthony. Qualcuno potrebbe dirgli di avermi visto entrare
qui. Per lo stesso motivo, se dovete scrivermi indirizzate le lettere a questo
recapito postale, dove arriva la mia corrispondenza personale.
Bowden infilò in un cassetto la striscia di carta con l’indirizzo che
Kenneth gli porse, e pochi minuti dopo lo congedò.
Kenneth lasciò lo studio, quindi rimase nascosto nelle ombre dell’atrio
mentre il maggiordomo faceva entrare una donna piccola e graziosa, con i
capelli argentei. Dal modo in cui la salutò, era chiaro che si trattava della
padrona di casa.
Mentre saliva le scale, lady Bowden notò Kenneth e lo salutò con un
cenno distratto del capo. Lui si chiese che genere di matrimonio fosse il loro,
visto che Bowden era ancora ossessionato dall’ex fidanzata.
Mentre tornava a casa, Seaton penso che, tutto sommato, la sua posizione
di segretario non era affatto spiacevole. Gli amici di sir Anthony l’avevano
accettato con disinvolta bonomia e parlavano liberamente in sua presenza.
Aveva dovuto impiegare più energie per imporre la sua autorità alla
servitù, ma l’assunzione di un maggiordomo competente, Minton, aveva
contribuito molto a migliorare la situazione.
Il suo unico rimpianto era che vedeva molto poco Rebecca. Cenavano
insieme, ma c’erano quasi sempre ospiti, perciò era impossibile parlare. Una
volta o due gli era venuto il dubbio che lei lo evitasse di proposito, ma aveva
subito scartato questa possibilità. La spiegazione più logica era che, avendo
accettato la sua presenza, lo considerasse alla stregua di un pezzo di
arredamento. Doveva escogitare una scusa per parlarle, anche se sapeva che
l’interesse che provava per lei non era causato solo dalla missione che doveva
portare a termine. Voleva saperne di più del suo talento, del suo carattere
aggressivo, della sua latente sensualità.
Si fermò all’ufficio postale, dove lo attendeva una lettera della sorella.
Lacerò la busta e lesse l’unico foglio che vi era contenuto.

Caro Kenneth,
sono contenta che tu sia soddisfatto del tuo lavoro. Anche qui le cose
vanno piuttosto bene, soprattutto grazie all’arrivo del tuo amico, il
tenente Davidson. All’inizio era un po’ timido, ma ora si sente già a suo
agio. Ha un notevole senso dell’umorismo.
Avendo quel braccio menomato, con lui avverto meno il peso del mio
piede deforme. Ogni mattina facciamo un giro a cavallo per la proprietà.
Ha molte idee per migliorare il raccolto dei campi e, da quando c’è lui,
Sutterton sembra un posto diverso.

Kenneth piegò la lettera e se la mise in tasca. Il tono entusiasta di Beth


alleviava il suo senso di colpa per averla lasciata subito dopo essere tornato in
Inghilterra. Ma il suo buonumore svanì quando uscì dall’ufficio. Neanche il
fatto di sapere che stava lavorando per salvare Beth e Sutterton riusciva a
mitigare il disgusto che provava per essere costretto a quegli indegni
sotterfugi.

Appena ebbe messo piede nello studio del padre, Rebecca capì che questo
era sul punto di esplodere in una scenata terribile, come succedeva tutte le
volte che incontrava difficoltà a risolvere un problema di carattere tecnico.
Rebecca cercava sempre di evitarlo quando era di quell’umore, ma ormai era
troppo tardi. Vedendola, l’uomo posò tavolozza e pennello e sbottò: — Dove
diavolo è Wilding?
Rassegnata, lei entrò nello studio. — Credo che stamattina sia uscito. —
Non che l’avesse visto con i suoi occhi, ma si era accorta che in casa
l’atmosfera cambiava quando lui era fuori. C’era meno energia nell’aria.
Suo padre tornò a guardare con occhio furioso la grande tela appoggiata al
cavalletto. — Cosa c’è che non va in questo dannato quadro?
Benché avesse seguito le varie fasi del dipinto, a iniziare dagli schizzi, e lo
conoscesse bene, Rebecca si avvicinò e lo esaminò di nuovo. Nell’ultimo
quadro della serie su Waterloo era rappresentato il duca di Wellington a
cavallo, in piedi sulle staffe, che agitava il tricorno per dare il segnale alle sue
truppe di avanzare contro i francesi.
Era un buon dipinto, tuttavia lei capiva l’insoddisfazione del padre. Era
privo di anima, anche se non avrebbe saputo spiegargli come rimediare a un
simile mancanza.
— Non c’è niente che non vada — iniziò in tono esitante. — Wellington è
molto somigliante e il campo di battaglia è realistico.
— Lo so che la somiglianza e la composizione sono buone, ma manca
qualcosa. Forse Wilding potrebbe dirmi cosa. Dopotutto, lui c’era. — La sua
voce divenne querula. — Perché non è qui?
— Sono sicura che tornerà presto. Dirò al lacchè di mandartelo nello
studio appena rientra.
Stava per dirigersi alla porta quando questa si spalancò per lasciare
entrare il capitano Wilding. Egli salutò con un cenno del capo Rebecca e andò
a posare un pacchetto sul tavolo. — Ecco qui i pigmenti che avete ordinato, sir
Anthony. Trovandomi a passare vicino al colorificio, li ho ritirati io stesso.
Invece di approfittare dell’occasione per andarsene, Rebecca si soffermò a
studiarlo, cercando di capire cos’era a conferirgli quel piglio autoritario.
— Dove siete stato? — lo apostrofò sir Anthony, per niente rabbonito.
— A visitare mercanti di vino. Ricordate la discussione di ieri? Eravate
insoddisfatto del vostro fornitore, così ne ho trovato uno migliore.
— Immagino che abbiate dovuto assaggiarne parecchi e che ora siate
alticcio — commentò sir Anthony con sarcasmo.
— Li ho assaggiati, certo, ma non sono affatto ubriaco — replicò il
capitano, lasciando cadere la provocazione. — Non sarei uscito se avessi
saputo che c’era bisogno di me.
Infuriato, sir Anthony afferrò un barattolo di pittura bianca e glielo
scagliò contro. — Certo che avevo bisogno di voi!
— Per tutti i diavoli! — Kenneth fu svelto a scansare il proiettile, che andò
a sbattere contro la porta, schizzando pittura sui pannelli di legno.
Perso ogni controllo, sir Anthony cominciò a scagliare nella stanza tutti gli
oggetti che gli capitavano sotto mano. Dopo aver spazzato via con il braccio
quello che si trovava sul tavolo al suo fianco, lanciò una spatola, che fendette
l’aria, sfiorando la spalla di Rebecca, prima di rimbalzare contro la parete.
Tremando, lei si preparava a rifugiarsi dietro il divano quando Kenneth
attraversò con pochi passi veloci la stanza e afferrò sir Anthony per il polso.
— Distruggete pure il vostro studio — disse con un tono di voce minaccioso —
ma non prendete mai di mira una signora.
Suo padre tentò di liberarsi. — Non è una signora, è mia figlia!
Le dita di Kenneth si strinsero come una morsa. — Un motivo di più per
controllarvi.
Per un attimo, le figure dei due uomini si stagliarono immobili contro la
finestra. Quella più fragile di sir Anthony vibrava d’ira, ma era impotente
contro la forza implacabile dell’altro.
Rebecca vide il padre alzare di scatto l’altro braccio e, per un attimo,
temette che intendesse colpire il capitano. Poi, con uno dei suoi improvvisi
cambiamenti d’umore, lo lasciò ricadere lungo il fianco.
— Avete ragione, dannazione. — Diede un’occhiata alla figlia. — Non ti ho
mai colpita, vero?
— Soltanto con schizzi di colore — rispose lei, in tono volutamente
leggero. — Hai una mira orribile.
Il capitano lo lasciò libero, ma il suo volto era teso e i suoi occhi grigi
erano duri come pietre. — Dovete delle scuse a vostra figlia.
Sir Anthony si irrigidì davanti a quella critica da parte di un dipendente. —
Rebecca non prende sul serio le mie crisi di nervi.
— Davvero? Allora perché è pallida come un lenzuolo?
Voltandosi a guardarla, suo padre dovette ammettere che era molto
agitata. — Ti turbano così tanto i miei scatti d’ira, Rebecca? — chiese,
sorpreso.
Lei fu tentata di mentire per non farlo sentire in colpa, ma non ne fu
capace, non sotto lo sguardo penetrante del capitano Wilding. — Le tue
sfuriate mi hanno sempre sconvolto — ammise con riluttanza. — Quando ero
piccola temevo che la fine del mondo fosse vicina.
Suo padre inspirò bruscamente. — Mi dispiace, Rebecca. Non lo sapevo.
Tua madre… — ma s’interruppe di colpo.
Sua madre restava indifferente davanti alla sua ira, anche perché lei stessa
era spesso soggetta a crisi di nervi.
Per rompere quel silenzio imbarazzante, Rebecca si affrettò a dire: — Mio
padre si trova in difficoltà con questo quadro, capitano Wilding. E pensava
che voi avreste potuto dargli un consiglio. È l’ultimo della serie di Waterloo.
Wellington in persona ha accettato di posare.
Kenneth si voltò a guardare il dipinto. E poiché lei lo stava osservando con
attenzione, notò il muscolo che guizzò all’angolo della bocca. L’aveva
classificato come un tipo freddo e imperturbabile, ma ora cominciava a
riconoscere tracce di emozione anche impercettibili.
— Wellington che dà l’ordine di avanzare — mormorò Kenneth. — È
piuttosto inquietante rivederlo.
— Eravate presente quando ha dato il segnale di attaccare? — gli chiese
Rebecca.
— Sì, anche se non ero nelle immediate vicinanze. — Kenneth esaminò il
quadro. — Sir Anthony, volete che questo sia un ritratto classico e idealizzato
di un eroe, o la rappresentazione realistica della battaglia?
Suo padre rifletté per un attimo prima di dire: — Wellington è un grande
uomo e io voglio che la gente veda la sua grandezza. Voglio che, anche fra
qualche secolo, si parli di lui così come l’ha ritratto Seaton.
— Forse l’avete reso in modo troppo classico e misurato per ottenere quel
risultato. Sembra che il duca stia passando in rassegna le truppe in una piazza
d’armi. Waterloo non lo era. Dopo una giornata di feroci combattimenti,
soldati e cavalli erano esausti, sporchi di fango, di sudore e di polvere da
sparo.
— Com’era l’espressione del duca?
Kenneth rifletté prima di rispondere. — Il sole era basso all’orizzonte e un
raggio ne colpiva il volto mentre agitava in aria il cappello. Non si può
descrivere la sua espressione, ma pensate a quanti anni aveva combattuto per
arrivare a quella battaglia conclusiva. Una volontà ferrea gli aveva permesso
di avere la vittoria a portata di mano… eppure aveva visto morire molti dei
suoi più cari amici. Bisognerebbe riuscire a far vedere la sua tempra d’acciaio.
— Che stupido sono stato a ritrarlo com’era qui in studio — borbottò sir
Anthony. — Ci sono altri particolari che dovrei riesaminare?
Kenneth indicò lo sfondo del dipinto. — I soldati sono visibili come in una
limpida giornata di maggio. Sbagliato. Il campo di battaglia era un inferno
coperto dal fumo acre della polvere da sparo.
— È un effetto che posso ottenere usando vernici vetrose grige, ma la
chiave di tutto è Wellington. Devo rendere la sua tempra d’acciaio.
— Quali sono gli altri dipinti che completano la serie? — Kenneth chiese a
Rebecca.
Lei prese una cartella e ne tirò fuori due disegni. — I quadri finiti non
sono qui, ma questi schizzi sono abbastanza precisi. Nel primo, i reggimenti
sono schierati a perdita d’occhio.
Kenneth si mise alle spalle della donna per osservare i disegni e lei avvertì
il calore di quel corpo, a pochi centimetri di distanza. Quell’uomo aveva
vissuto l’inferno della guerra in Spagna, aveva combattuto a Waterloo, ed era
sopravvissuto. Come Wellington, doveva avere una tempra d’acciaio.
— Secondo me, il punto di forza di questo quadro sono gli uomini in
primo piano. — Rebecca indicò le figure di un giovane alfiere e di un sergente
brizzolato, sopra i quali sventolava la bandiera britannica.
— Sono soprattutto i particolari a commuoverci — commentò il capitano.
— Un giovane alla vigilia della sua prima battaglia, che si chiede se il suo
coraggio sarà all’altezza degli eventi. Un veterano che ha affrontato la morte
più di una volta e che si chiede se la fortuna continuerà ad assisterlo.
Chiunque guardi il quadro non può non chiedersi se questi due sono
sopravvissuti.
Dal suo tono, Rebecca capì che, in momenti diversi della sua vita, lui
aveva fatto entrambe quelle esperienze. Avrebbe voluto appoggiarsi a lui,
assorbirne l’energia e la determinazione.
Con la bocca secca, estrasse il secondo disegno. — Questo rappresenta la
difesa del Château de Hougoumont. — Suo padre aveva scelto il momento in
cui i francesi avevano fatto irruzione nel cortile e i difensori si battevano con
ferocia per ricacciarli. — Voleva la scena di un furioso corpo a corpo.
— Per grandiosità, fa degna compagnia al quadro che illustra la carica
della cavalleria.
— Secondo voi — intervenne sir Anthony — questa serie è un resoconto
esauriente di Waterloo?
Rebecca respirò di sollievo quando il capitano si allontanò da lei.
— Lo è, per quanto possono esserlo quattro quadri.
— Avverto una nota di dubbio nella vostra voce. Ho illustrato l’inizio, la
fine, la fanteria e la cavalleria. Quali altre scene dovrei inserire?
— Se fossi in voi — rispose Kenneth un po’ esitante, — ne farei altri due.
Uno dove Wellington stringe la mano al principe Blucher, quando gli inglesi
si incontrano con i prussiani vicino a La Belle-Alliance. La campagna di
Waterloo è anche la storia di molte nazioni unite contro un nemico comune.
— Mmm, un’interessante possibilità. E quale sarebbe il dipinto finale?
— Illustrate il prezzo della vittoria — rispose il capitano. — Mostrate
soldati esausti, feriti, che dormono come morti intorno al fuoco di un
bivacco. Nell’oscurità circostante, mostrate il groviglio dei cadaveri, le armi
disseminate sul terreno. Mostrate come le vittime della battaglia giacciano
insieme, unite nell’abbraccio della morte.
Ci fu un lungo silenzio prima che Rebecca dicesse a voce bassa: — Avete
una sensazionale forza espressiva, capitano.
— E un’ottima intuizione per i soggetti — aggiunse suo padre. — Rifletterò
sui vostri suggerimenti.
Negli istanti che seguirono, Rebecca fu pervasa da un impeto di desiderio,
da un’emozione così forte come non provava da tempo. Doveva catturare
l’essenza del capitano Wilding, così che qualcosa di lui le sarebbe
appartenuto per sempre.
Ignorando le convenienze, attraversò la stanza e gli sfiorò la guancia,
seguendo con la punta delle dita la linea della cicatrice. — Mi arrendo,
capitano — disse con voce roca. — Temo che non potrò fare a meno di ritrarvi.
7

Le parole di Rebecca e il suo tocco sensuale sorpresero Kenneth al punto


che riuscì soltanto a mormorare un flebile: — Scusate?
— Desidero avervi come modello fin da quando siete arrivato. — Rebecca
indietreggiò di un passo. — Siete irresistibile.
Quelle parole sarebbero suonate provocanti sulle labbra della maggior
parte delle donne, ma pronunciate da Rebecca Seaton, davano più
l’impressione di una massaia che esamini un pollo in previsione del pranzo
domenicale. — Dovrei essere onorato o preoccupato? — replicò con ironia.
— Oh, preoccupato, senza dubbio. — Lei diede un’occhiata al padre. — Hai
qualcosa in contrario se lo prendo in prestito per un’ora o due al giorno?
Sir Anthony sorrise. — Ti capisco perfettamente… anzi, sono tentato di
cambiare le sembianze del sergente nella scena che precede la battaglia e
dargli quelle di Kenneth. Dal suo volto si intuisce che è un soldato carico di
esperienze. Ma puoi averlo per prima, se lui acconsente.
— Acconsentite, capitano?
Kenneth si sentì a disagio sotto il duplice esame di padre e figlia. Quei
dannati artisti vedevano troppo. Tuttavia, voleva passare più tempo con
Rebecca, e quell’occasione era troppo allettante per lasciarsela sfuggire. — I
vostri desideri sono ordini, signorina Seaton.
— Allora, venite nel mio studio.
— Concedetemi cinque minuti. Devo chiamare una cameriera perché
pulisca le macchie di vernice prima che rovinino tappeti e mobili.
— Chiunque scegliate, assicuratevi che lavori senza far rumore — ordinò
sir Anthony.
Kenneth tenne la porta aperta per far uscire Rebecca e seguendola si
accorse che i capelli, raccolti sulla nuca, stavano sfuggendo dalle forcine. Le
seriche ciocche ramate non amavano la disciplina e, nel loro disordine, le
davano l’aria di essersi appena alzata da un letto.
Per la centesima volta da quando aveva messo piede in casa Seaton,
Kenneth si ripeté che doveva concentrarsi solo suo incarico. Dopo aver
ordinato a Betsy, la più accurata delle cameriere, di pulire lo studio, salì nel
tempio di Rebecca.
Bussò e, ricevuto il permesso, entrò, guardandosi intorno con interesse.
Mentre lo studio di sir Anthony aveva l’eleganza di un salotto, la tana di
Rebecca aveva l’atmosfera accogliente della cucina di una casa di campagna.
C’erano dipinti disseminati ovunque. Alcuni erano appesi, altri, non
ancora incorniciati, erano stati appoggiati alle pareti.
Rebecca era raggomitolata in una grande poltrona, con un album sulle
ginocchia e una matita in mano. Gli indicò il divano di fronte. — Mettetevi
comodo, capitano. Oggi mi limiterò a fare qualche studio.
— Se dobbiamo trascorrere del tempo insieme tutti i giorni, dovreste
chiamarmi Kenneth — disse lui, sedendosi.
— Allora, voi dovete chiamarmi Rebecca — replicò lei con un sorriso
fugace. Gli occhi castani erano spruzzati di pagliuzze verdi, che davano al suo
sguardo un’aria felina.
— Non ho mai posato. Cosa devo fare?
— Per ora, rilassatevi e cercate di non muovere la testa.
Mentre le sue abili dita disegnavano, lui cercò di studiare i dipinti che si
trovavano nel suo campo visivo. Il suo stile ricordava la precisione classica
del padre, ma c’era in essi una maggiore sensibilità. Erano numerosi i
personaggi femminili tratti dalla storia e dalla mitologia, non meno splendidi
della Boadicea appesa di sotto. — Avete mai esposto alla Royal Academy?
— Mai — rispose lei senza alzare la testa.
— Dovreste sottoporre al giudizio le vostre opere. Dovreste mostrar loro
cos’è in grado di fare una donna.
— Non provo affatto il bisogno di dimostrarlo.
Tacquero entrambi per un po’, e l’attenzione di Kenneth si concentrò su
Rebecca. I suoi polsi erano delicati, quasi fragili, eppure c’era forza nelle
lunghe dita affusolate. Era seduta di traverso nella poltrona e la gonna era
salita di diversi centimetri sopra le caviglie, esili e armoniose come i polsi.
Benché non possedesse le curve voluttuose di Maria, da lei emanava una
sensualità altrettanto affascinante. Ogni volta che chinava la testa sull’album,
gli offriva la visione della pelle delicata e bianca della nuca. Si chiese come
avrebbe reagito se l’avesse baciata in quel punto. Probabilmente gli avrebbe
ordinato di sedersi e di stare fermo per permetterle di finire il suo schizzo.
Distogliere lo sguardo da lei non era di nessun aiuto; avvertiva le fattezze
del suo corpo come se fosse seduta sulle sue ginocchia. Sotto gli odori di olio
di semi di lino e di fumo di carbone, individuò una lieve fragranza floreale.
Acqua di rose, pensò. Elusiva, femminile, come la donna che ne faceva uso.
Come sarebbe stata se avesse indossato soltanto acqua di rose e un velo
lucente di capelli ramati? Il battito del suo cuore accelerò e gocce di sudore
gli bagnarono la fronte.
Dannazione! Non essendo abituato all’inattività, non c’era da stupirsi se la
sua mente inseguiva fantasie erotiche. Kenneth cercò di distrarsi prima che
fosse troppo tardi, e disse: — Sir Anthony in preda all’ira è uno spettacolo
terrificante. Non mi stupisce che voi foste spaventata.
— Non lo ero — replicò lei, un po’ sorpresa. — Mio padre non farebbe mai
del male a nessuno. Ma non mi piacciono le grida e le esplosioni di
aggressività.
La sua fiducia nel padre era commovente, ma la scena cui aveva assistito
aveva convinto Kenneth che sir Anthony era capace di diventare violento.
Helen Seaton aveva forse affrontato il marito, rinfacciandogli la sua infedeltà,
ed era rimasta vittima di un suo scoppio d’ira? Che tipo di donna era stata
Helen?
Gli sembrava che fosse arrivato il momento buono per saperne di più. — A
vostra madre piaceva essere circondata da artisti pazzi?
— Lo adorava. Gli amici la chiamavano la regina del mondo artistico
londinese. Ogni povero artista era sicuro di poter ricevere da lei qualche
sterlina in prestito per non morire di fame.
— Le restituivano il denaro?
— Ogni tanto. Alcuni pittori la ripagavano regalandole una delle loro
opere. — Rebecca sorrise al ricordo. — Brutte, per lo più.
— Questo spiega gli orribili paesaggi che ci sono in camera mia. Deve aver
tentato di nasconderli.
— È molto probabile. Possiamo trovare qualcosa di meglio, se vi
disturbano.
— Potreste prestarmene uno dei vostri. — Kenneth passò in rassegna
quelli che riusciva a vedere. — Magari quella stupenda Diana cacciatrice.
— Se volete. — Rebecca voltò la pagina dell’album per iniziare un nuovo
schizzo.
— Prima che continuiate, vi dispiacerebbe se facessi una pausa? Non sono
abituato a restare immobile a lungo.
— Oh, certo. Quando lavoro, non mi accorgo del tempo che passa. Volete
una tazza di tè?
— La gradirei molto. — Kenneth si alzò e si stirò per sgranchire le
membra.
Rebecca andò al camino e appese il bollitore sopra il fuoco. — Ringraziate
il cielo, che posate per me e non per mio padre. Lui è ancora più spietato. —
Lo osservò con occhi che sembravano arrivare fino in fondo all’anima. — Mio
padre aveva ragione… sareste un sergente meraviglioso.
— Non c’è niente di strano in ciò, visto che sono stato sergente.
— Un sergente? Voi?
— Mi sono arruolato nell’esercito a diciott’anni. In seguito fui promosso
di grado.
— Siete un uomo pieno di sorprese, capitano. Da come parlate, avevo
pensato che foste… — Rebecca s’interruppe, sconcertata.
— Che fossi un gentiluomo — concluse Kenneth.
Lei abbassò gli occhi. — Vi chiedo scusa. È ovvio che siete un gentiluomo,
e vi fa ancora più onore esservi guadagnato quello che di solito è un diritto di
nascita.
Lui si strinse nelle spalle. — In realtà, sono di origini rispettabili, ma fui
allontanato da mio padre, che mi privò così del denaro necessario per
comprare una nomina a ufficiale.
— Cosa fu a causare l’allontanamento?
Sentendosi a disagio, Kenneth cominciò a passeggiare avanti e indietro
per l’attico. Era lui quello che avrebbe dovuto sondare Rebecca; come mai la
situazione si era capovolta? — Un anno dopo la morte di mia madre, mio
padre sposò una ragazza di diciassette anni. Non… non andavamo d’accordo.
— Sarebbe stato difficile per voi accettare qualsiasi matrigna, essendo
passato così poco tempo dalla morte di vostra madre, ma una ragazza della
vostra età… deve esservi sembrato indecente.
Peggio che indecente. Per un attimo il ricordo della rabbia e del disgusto
minacciarono di soffocarlo, ma respinse quei sentimenti perché sapeva che
anche lui era in parte colpevole per quello che era successo. — Oltretutto non
era neanche molto simpatica. Mio padre, però, ne era innamorato. In verità,
era molto attratto da lei, per essere più precisi. Non potevamo vivere sotto lo
stesso tetto. — L’uomo cercò di cambiare argomento, e le chiese: — Credete
che vostro padre si risposerà? E se lo facesse, come vi sentireste?
Lei parve sorpresa, come se non avesse ancora considerato quella
possibilità. — Immagino che dipenderebbe dalla donna che scegliesse di
sposare — replicò, senza entusiasmo.
— Lavinia spera di essere la prossima lady Seaton?
Rebecca si chinò a prendere una teiera da un armadietto. — Ne dubito.
Sotto l’aspetto sfacciato, in realtà è molto dolce, ma penso che tenga troppo
alla propria libertà per rinunciarvi. Comunque, è probabile che un giorno mio
padre si risposi. Gli piace avere una moglie che lo coccoli. — Il bollitore
cominciò a fischiare e lei lo tolse dal fuoco. — C’è un quadro di Lavinia dietro
di voi.
Kenneth lo vide tra le tele non incorniciate: la donna era ritratta sdraiata
su un divano in un succinto abbigliamento classico e con uno sguardo
invitante. Nell’eterna lotta tra i sessi, lady Claxton doveva essere il cacciatore,
non la preda. — Sbaglio o l’avete ritratta come Messalina, l’imperatrice che si
è portata a letto metà degli uomini di Roma?
Rebecca rise mentre versava acqua bollente sulle, foglie di tè. — In realtà,
dovrebbe essere Aspasia, la cortigiana più bella e più colta di Atene. Ho
dipinto Lavinia diverse volte. Le piace posare.
Kenneth pensò che sembrava davvero poco probabile che sposasse sir
Anthony. In quel caso, chi era l’amante che poteva essere all’origine della
morte di lady Seaton? Ma poiché aveva già fatto abbastanza domande, l’uomo
riprese a passeggiare per l’attico.
Il gatto, che dormiva su un tavolo tra un mortaio con pestello e una
cornice, socchiuse un occhio quando Kenneth gli si avvicinò e li aprì tutti e
due quando Rebecca posò il vassoio con il tè dicendo: — Ci sono degli ottimi
pasticcini al ribes in quella scatola di latta, ma state attento a Ghostie. Ne è
goloso. — Gli porse una tazza di tè e si sedette in una delle vecchie sedie di
legno.
Quella Rebecca in versione casalinga era una sorpresa, ma le si addiceva.
Acconsentire a posare era servito a farla sentire più a suo agio con lui, e
avrebbe dovuto esserne soddisfatto; in fondo, non voleva conquistarne la
fiducia per riuscire a strapparle tutte le informazioni possibili? Era un vero
peccato che il successo fosse guastato da un pungente senso di colpa.
Rimasero in silenzio mentre bevevano il tè e gustavano i pasticcini.
Quando Rebecca si protese per riempirgli di nuovo la tazza, Kenneth disse: —
Immagino che prepariate voi stessa le vostre tele.
Lei offrì un pezzetto di pasticcino a Ghostie. — Sì, come la maggior parte
di quelle di mio padre. Preparo anche i pastelli e alcuni pigmenti speciali che
non si trovano in colorificio.
Kenneth la guardò, perplesso. — Non dubito che sir Anthony potrebbe
affidare a qualcun altro compiti così umili.
— Ah, ma il lavoro sarebbe fatto altrettanto bene? Anche se dipingere è
considerato un’arte, è soprattutto un mestiere. Quanto meglio si conoscono i
materiali, tanto meglio si riesce a usarli. — Rebecca accarezzò la pietra liscia
del mortaio. — Si prova una soddisfazione meravigliosa nel mescolare
pigmenti e solventi fino a ottenere la perfetta consistenza. È il primo passo
per creare un quadro che riesca a catturare lo spirito di ciò che si vuole
rappresentare.
La sensualità, così palese nel ritratto della madre, era ora visibile sul volto
sognante della donna. Kenneth avrebbe voluto che lo toccasse nello stesso
modo in cui toccava il mortaio. Voleva che lei…
Distolse lo sguardo senza completare il pensiero. — Quando avete
cominciato a disegnare?
Lei fece una smorfia ironica. — Secondo una leggenda, un giorno nella
nursery ho aperto un uovo sodo e mi sono servita del tuorlo per disegnare un
gatto sulla parete.
Lui sorrise, immaginandosi la scena. — Dunque, avete l’arte nel sangue.
Immagino sia stato vostro padre a insegnarvi a dipingere.
— Non proprio. Mio padre era sempre troppo occupato, però ogni volta
che riuscivo a scappare dalla bambinaia, mi intrufolavo nel suo studio e lo
guardavo lavorare. Ben presto ho avuto i miei pastelli e i miei carboncini. Era
mia madre a farmi lezione quando ne aveva tempo.
— Anche vostra madre aveva talento artistico?
Rebecca indicò un piccolo acquarello appeso in un angolo. — Mi ha fatto
quel ritratto quando avevo quattro anni.
Il dipinto mostrava una Rebecca bambina, che rideva felice. Aveva un’aria
esuberante, piena di vita, e sembrava molto diversa dalla donna diffidente
che era diventata. Kenneth avrebbe voluto sapere se era stata la disastrosa
fuga romantica a provocare quel cambiamento. — È incantevole. Avendo due
genitori artisti, non c’è da stupirsi che abbiate un simile talento.
Rebecca scosse la testa. — Mamma aveva talento, ma non era una vera
artista. Credo che il matrimonio l’abbia ostacolata.
— Cosa ci vuole per essere un vero artista?
— Egoismo. Essere convinti che il proprio lavoro è la cosa più importante
al mondo. Anteporre le esigenze degli altri può essere dannoso.
Kenneth si chiese se le sue parole fossero una critica indiretta al padre. —
Un artista deve essere sempre egoista?
— Forse non sempre, ma la maggior parte del tempo — rispose lei,
scostando un ricciolo ribelle dalla guancia.
Osservandola, Kenneth provò un impeto d’ira e desiderò di averla
conosciuta in un altro momento e in un altro luogo. Un luogo dove poter
esplorare con calma le complessità della sua mente e del suo spirito. Un
luogo dove poterla baciare e convincerla a ricambiare il suo bacio.
Trasse un respiro lento e profondo. L’ira si placò, ma non scomparve il
desiderio intenso di toccarla. Si protese in avanti e le prese le mani nelle
proprie, voltandole con il palmo in su. Erano mani abili, con dita lunghe e
affusolate. — Quanta forza e maestria — mormorò. — Quali splendori
creeranno in futuro?
Un tremito percorse le mani di Rebecca. — La vera maestria è nella
mente, non nelle dita. Lo spirito deve vedere il quadro prima che il corpo lo
crei.
— Quale che sia la sua provenienza, voi possedete un grande dono. —
Kenneth accarezzò le linee del palmo con la punta del dito, — Mi chiedo se sia
veramente possibile leggere il futuro in una mano. Il vostro talento vi porterà
fama? Ricchezza? Felicità?
Lei ritirò la mano e la chiuse a pugno. — La creatività non garantisce
nessuna di quelle cose. Anzi, semmai interferisce con la felicità. L’unica
ricompensa sicura è il lavoro stesso. È uno scudo contro la solitudine, una
passione meno pericolosa dell’amore.
Lui sollevò la testa e i loro sguardi s’incontrarono. La tensione, che si era
lentamente creata, raggiunse un’intensità insopportabile. Kenneth intuì che
erano tutti e due vulnerabili, e sul punto di fare qualcosa di irrimediabile.
Temendo che riuscisse a leggere nelle profondità della sua anima
menzognera, si alzò di scatto. — Devo tornare al mio lavoro. Volete che
domani posi?
Lei deglutì. — No… domani no. Dopodomani.
Kenneth annuì e se ne andò, chiedendosi come avrebbe fatto a uscire
indenne da sedute così intime.
Rebecca riuscì a rimanere impassibile finché fu di nuovo sola. Allora
chiuse gli occhi e premette il palmo della mano destra contro la guancia. La
pelle, dove lui l’aveva toccata, era percorsa da un formicolio.
"Accidenti a quell’uomo!" Che diritto aveva di venire lì e incrinare lo
scudo che la proteggeva da così tanto tempo?
Con un sospiro tremulo, si alzò in piedi e percorse l’attico in tutta la sua
lunghezza. La stanza traboccava ancora della vitalità che emanava dal corpo
robusto del capitano. Poteva vederlo ancora, da qualunque parte si voltasse.
Era stata saggia a fare entrare poche persone nel suo santuario, ma
sarebbe stata ancor più saggia se non avesse permesso a Kenneth di mettervi
piede.
Permesso? Ve l’aveva praticamente trascinato.
Il passato di Kenneth l’affascinava, come anche il contrasto tra il suo
aspetto rude e la sensibilità percettiva della sua mente. Era un ottimo
soggetto da dipingere, ma quello che l’attirava più di tutto era il fatto di
riuscire a parlare con lui. Nessuno aveva mai dimostrato tanto interesse per
le sue opinioni. Il tempo passato insieme aveva avuto l’effetto di una pioggia
primaverile su un fiore. Prima di allora, non si era resa conto quanto fosse
malinconica la sua vita.
No, forse non poteva considerare la sua esistenza malinconica, ma
sicuramente solitaria. Lei e il padre condividevano una passione
predominante, e tra loro due c’era un’intesa perfetta. Eppure, mentre lui era
un uomo famoso con una vita intensa, lei vi aveva solo una parte secondaria.
Assorbita dalla sua arte, non aveva mai avuto amici intimi, e la sciocca
fuga con Frederick aveva sortito l’unico effetto di farla allontanare dalla
società rispettabile. Soltanto Lavinia e zio George nutrivano un affetto
sincero per lei. Per tutti gli altri membri della cerchia ristretta di suo padre
era semplicemente la figlia eccentrica di sir Anthony.
Era successo lo stesso con i precedenti segretari di suo padre. Erano tutti
gentili e rispettosi, ma lei aveva intuito che la consideravano solo una
stravagante, che dovevano tollerare se volevano conservare il posto. Non c’era
da stupirsi che fosse sensibile alla sincera attenzione di Kenneth.
Il cielo sapeva che erano molto diversi, eppure tra loro c’era un’insolita
empatia. Forse nasceva dal fatto che erano due esseri solitari. Di sicuro,
Kenneth non poteva essere attratto da lei; non era il tipo di donna da ispirare
una passione travolgente. Lo stesso Frederick era stato innamorato dell’idea
dell’amore, non di lei.
Andò a prendere l’album e studiò gli schizzi che aveva fatto. Parecchi
erano buoni, anche se non rendevano del tutto quello che aveva in mente.
Passò in rassegna i disegni, chiedendosi quale sarebbe stato il modo
migliore per catturare le complesse caratteristiche del capitano Wilding, la
brutalità del soldato e la sensibilità dell’osservatore.
Prese in esame diversi tipi di ambientazione, senza trovarne una che la
soddisfacesse. Quindi girò una pagina di troppo e sotto i suoi occhi apparve
all’improvviso uno dei suoi schizzi di donne che precipitavano. Con una fitta
di dolore, strappò il foglio e lo gettò nel fuoco soffocando un’imprecazione.
Kenneth Wilding era forse un problema, ma almeno con lui il piacere non si
mescolava al dolore.
8

Kenneth si svegliò da un sonno irrequieto coperto di sudore: era stato


assalito dagli incubi, di nuovo.
Aveva sempre avuto un’ottima memoria visiva, che gli permetteva di
eseguire lo schizzo di un volto che aveva visto anche solo per pochi attimi.
Aveva considerato quel dono come una benedizione, fino a quando era
entrato nell’esercito. Il ricordo delle battaglie non era affatto piacevole.
Gli passò per la mente l’ultima immagine di Maria.
Con un senso di nausea, accese la candela posata sul comodino e si sforzò
di pensare ad altro. Si immaginò il modo in cui Rebecca socchiudeva gli occhi
quando stava studiando un oggetto, l’ombra di una fossetta nella sua guancia
sinistra, la capigliatura ribelle.
Mentre il battito del suo cuore accelerava, dovette ammettere che pensare
a lei non era esente da rischi, ma, in ogni caso, l’eccitazione era molto più
piacevole dello squallore di immagini di morte.
Sapendo che non sarebbe più riuscito a dormire, si alzò, indossò la
vestaglia e andò a prendere il materiale per disegnare che aveva nascosto in
fondo all’armadio. Mentre frugava dietro gli indumenti appesi, le sue dita
incontrarono un piccolo oggetto metallico. Quando lo tirò fuori, scoprì che
era una bella scatoletta d’argento per biglietti da visita. All’interno, sul
biglietto in cima c’era scritto: "Thomas J. Morley".
Perfetto: ora aveva una scusa valida per andare a fargli visita.
Considerando il ritrovamento di quell’oggetto di buon augurio, prese il
materiale per disegnare e si sistemò in una poltrona. E, dopo qualche
momento di riflessione, trovò un buon soggetto. Pochi giorni prima Beth gli
aveva inviato una lettera in cui una sua coppia di amici, Michael e Catherine,
gli annunciava la nascita di un figlio e lo invitava al battesimo. Era un peccato
che non avesse né il tempo né il denaro per assistervi; non poteva nemmeno
permettersi un regalo adeguato a una simile circostanza, perciò avrebbero
dovuto accontentarsi di un disegno.
Si mise al lavoro e abbozzò un gruppo di famiglia davanti a un fonte
battesimale. Al centro c’era Michael, felice e un po’ nervoso per dover tenere
in braccio il neonato. Alla sua sinistra c’era Catherine, con la testa inclinata
verso il marito. Sulla destra, la loro figlia tredicenne, Amy, guardava raggiante
il fratellino.
Mise una cura particolare nelle espressioni, poiché voleva ritrarre l’amore
dal quale era nata una nuova vita, e delineò sullo sfondo la navata di una
chiesa.
Rimase soddisfatto del risultato finale e pensò che i suoi amici avrebbero
gradito il disegno, ma quando lo mise da parte, fu assalito dalla tristezza. Per
anni aveva sognato di tornare a Sutterton, e quel sogno contemplava anche
un eventuale matrimonio. Non aveva mai immaginato che sarebbe stato
troppo povero per mantenere una famiglia. Anche se lord Bowden avesse
estinto le ipoteche, lo aspettavano anni di dura fatica per riportare la
proprietà all’antico splendore. Ciò nonostante, sapeva che, prima o poi, anche
per lui sarebbe arrivato il momento in cui avrebbe potuto pensare al
matrimonio.
Guardò il disegno e, per un momento, vide se stesso e Rebecca al posto di
Michael e Catherine.
Sciocchezze! Rebecca poteva essere un tipo interessante, ma era la donna
meno adatta al ruolo di moglie che avesse mai conosciuto. Se e quando si
fosse sistemato, sarebbe stato con una donna dolce e amorevole come
Catherine, non con una zitella scontrosa che, ai rapporti umani, preferiva
dipingere.
Depresso, mise da parte l’album. Fuori, il sole stava sorgendo
all’orizzonte. Forse una cavalcata con il cavallo di sir Anthony gli avrebbe
risollevato il morale.

Kenneth studiò per un momento il giovane che lavorava nel piccolo


ufficio. Era magro, vestito in modo dignitoso, con una leggera ma
inconfondibile aria di presunzione. Ecco uno che aveva l’aspetto di un
segretario personale.
Un colpo battuto sullo stipite della porta gli fece alzare la testa. — Entrate,
signore. Sono Thomas Morley, il segretario di sir Wilford. In questo
momento è occupato. Posso esservi di aiuto?
Kenneth avanzò nella stanza. — In realtà, sono venuto per parlare con voi.
Sono Kenneth Wilding, il nuovo segretario di sir Anthony Seaton.
Un lampo di sorpresa indicò che Morley era un altro a pensare che
Kenneth non avesse le physique du ròle. Mascherando la propria reazione, il
giovane si alzò e gli tese la mano. — È un piacere conoscervi. "Capitano"
Wilding, vero?
Kenneth annuì. E dopo avergli stretto la mano, prese la scatoletta
d’argento. — Occupo la vostra vecchia stanza, e ieri ho trovato questa in un
angolo dell’armadio. Sir Anthony mi ha dato il vostro attuale indirizzo e,
poiché mi trovavo da queste parti, ho pensato di portarvela di persona.
Il volto di Morley si illuminò, mentre prendeva la scatoletta. —
Fantastico! È un regalo della mia madrina, e temevo di averla persa per
sempre. — La infilò in tasca. — Stavo per andare a pranzo in una locanda qui
vicino. Volete farmi compagnia, capitano? Mi piacerebbe offrirvi il pasto per
mostrarvi la mia gratitudine. Potrete raccontarmi le ultime novità di casa
Seaton.
Kenneth, che aveva scelto con cura l’orario della visita proprio con
l’intenzione di invitare il giovane a pranzo, accettò subito. Poco dopo erano
seduti al tavolo di una vicina locanda, davanti a un’ottima bistecca. Il fatto di
aver lavorato entrambi per. sir Anthony stabiliva un legame che indusse
Morley a parlare liberamente.
Dopo aver passato mezz’ora a descrivergli il suo lavoro presso un uomo
politico, Morley si interruppe con una risata. — Scusatemi se sono stato
prolisso, ma sono molto soddisfatto del mio nuovo posto. Cosa ne pensate di
casa Seaton?
— È originale.
— Una definizione piena di tatto. Vi si incontrano i personaggi più famosi
d’Inghilterra, ma non mi pento di essermene andato. La vita degli artisti è un
po’ troppo eccentrica, e non sento la mancanza delle crisi di nervi di sir
Anthony. L’avete mai visto al lavoro? Sta distante dal cavalletto e si serve di
un pennello dal manicò lungo. Sembra quasi che non guardi dove schiaffa i
colori. Pochi giorni di lavoro e, voilà. Un ritratto per il quale qualcuno
pagherà centinaia di ghinee. — Morley sospirò. — Non mi sembra giusto che
fama e ricchezza gli siano cadute in grembo, mentre uomini come voi e me
devono guadagnarsi da vivere con il duro lavoro.
— Sir Anthony può dare l’impressione che dipingere sia facile, ma ha
lavorato e studiato per anni con severa disciplina per imparare dove e come
schiaffare il colore — replicò Kenneth in tono secco. Poi, chiedendosi quale
fosse la sua opinione su Rebecca, aggiunse, mentendo: — Quando la
signorina Seaton ha saputo che vi avrei incontrato, mi ha chiesto di portarvi i
suoi saluti.
— È molto gentile da parte sua. Mi sorprende che si sia accorta che me ne
sono andato. Una ragazza strana, non vi pare? Anni fa commise… — Morley
fece una pausa per trovare le parole adatte — una grave imprudenza, ed è
questo il motivo per cui non è ricevuta nei salotti della buona società. Questo
deve averne inacidito il carattere, temo.
Kenneth resistette a stento all’impulso di vuotargli il suo boccale di birra
sulla testa. — Trovo che la signorina Seaton sia una giovane molto
interessante e intelligente.
Morley inarcò le sopracciglia. — Allora deve parlare con voi più di quanto
facesse con me — Si chinò in avanti e, in tono confidenziale, aggiunse: —
Avevo pensato che forse sarebbe stato conveniente corteggiarla. Dopotutto,
un giorno erediterà una fortuna e, considerando l’età che ha e la sua
reputazione, non può essere troppo esigente nella scelta di un marito. Ma ho
cambiato idea. Non sarebbe una moglie adatta per un uomo ambizioso.
Per Morley, la compagna ideale doveva essere una pupattola sciocca che
sapeva versare il tè e non faceva domande. Decidendo che era il caso di
cavargli qualche informazione prima di perdere la calma, Kenneth chiese: —
Quanto tempo avete lavorato per sir Anthony?
— Tre anni.
— Tre anni! — ripeté Kenneth, come se fosse all’oscuro di quel particolare.
— Allora, dovete aver conosciuto bene lady Seaton. Che tipo era?
L’espressione di Morley si irrigidì. — Era una signora bella e affascinante.
La sua morte è stata una grossa tragedia.
— Come è morta? Nessuno parla di lei in quella casa, e io sono riluttante a
fare domande.
— È caduta da una rupe mentre passeggiava nei dintorni della loro casa di
campagna. Non dimenticherò mai quel giorno. Stavo lavorando alla
corrispondenza di sir Anthony quando George Hampton arrivò al galoppo.
— Cosa ci faceva Hampton da quelle parti?
— Era in vacanza. — La voce di Morley divenne un bisbiglio. — Era
sconvolto, così uscii per scoprire cos’era successo. Disse di aver visto
qualcuno precipitare da Skelwith Crag, ed era corso a chiedere aiuto. —
Morley deglutì, facendo sobbalzare il pomo d’Adamo. — Gli chiesi di che
colore fosse vestita quella persona e quando mi rispose che indossava
qualcosa di verde, capii. Quella mattina lady Seaton si era messa un delizioso
abito verde.
— Così, avete chiamato sir Anthony e i domestici, vi siete munito di corda
e siete andato a vedere cosa fosse accaduto.
— Più o meno, tranne per sir Anthony. Era uscito. Come la signorina
Seaton. Così, toccò a me occuparmi di tutto.
— Sir Anthony e sua figlia erano usciti insieme?
— No. La signorina Seaton ci raggiunse proprio nel momento in cui
stavamo… recuperando il corpo di sua madre.
— Che esperienza orribile dev’essere stata per lei — mormorò Kenneth. —
E per voi. Dover consolare una donna in lacrime deve aver reso tutto più
difficile.
Morley scosse la testa. — La signorina Seaton non ha pianto. Era
pallidissima ma non ha versato una sola lacrima.
— È probabile che fosse in stato di shock. Quando ha saputo sir Anthony
della tragedia?
— Quando è tornato a casa a cambiarsi per la cena. Credo che si fosse
incontrato con un’altra donna. È risaputo che non era il tipo del marito
fedele.
— È toccato a voi comunicargli la notizia?
Morley annuì. — È stata una cosa stranissima. Ha ringhiato solo:
"Accidenti a lei!". Quindi mi ha spinto da parte, è andato nella camera da letto
di lady Seaton, dove l’avevamo composta, e vi ha passato tutta la notte. La
mattina seguente ne è emerso, calmissimo, e ha cominciato a impartire
ordini per il funerale. Non un solo segno di affetto per la moglie.
Per esperienza, Kenneth sapeva che il dolore poteva manifestarsi in molti
modi, e passare la notte accanto alla moglie morta non gli sembrava una
mancanza di affetto. — Cos’ha provocato la caduta di lady Seaton? C’era un
temporale, oppure è franato il terreno?
Morley sembrava turbato. — Niente del genere. È difficile capire come sia
potuto succedere.
— Non avranno sospettato un delitto! — esclamò Kenneth, fingendosi
scandalizzato.
— No di certo — rispose Morley, un po’ troppo in fretta. — L’inchiesta è
stata una semplice formalità. — Poi, alzandosi in piedi, aggiunse: — Ora devo
tornare al lavoro, capitano. È stato un piacere conoscervi. — E uscì a passo
veloce dalla locanda.
Kenneth finì di bere la sua birra, riflettendo su quello che aveva appreso.
Cos’aveva voluto dire sir Anthony quando aveva esclamato: "Accidenti a lei"?
Poteva essere l’imprecazione di rabbia di un uomo che si sentiva
abbandonato dalla persona amata. Ma poteva anche essere rivolta a un’altra
donna. Era possibile che la misteriosa amante avesse ucciso la moglie di sir
Anthony nella speranza che lui l’avrebbe sposata? Se le cose erano andate
così e sir Anthony l’aveva intuito, si spiegava perché avesse messo fine alla
relazione. Si spiegava anche il suo senso di colpa perché, pur conoscendo
l’identità dell’assassino, non trovava il coraggio di denunciarlo.
Ricordandosi che quelle erano solo ipotesi, Kenneth finì la birra e lasciò la
locanda. Sfruttando il comune interesse per i cavalli, aveva fatto amicizia con
lo stalliere dei Seaton, Phelps. Era ora di torchiarlo un po’ per ottenere
qualche informazione concreta.
Quanto a Rebecca, sperava di riuscire, nell’intimità dello studio, a
convincerla a raccontargli la sua versione della morte della madre.
9

Rebecca posò l’album sulla scrivania e allungò le braccia sopra la testa.


Non era insolito per lei passare giorni o anche settimane a decidere come
dipingere un soggetto. Era un procedimento a volte snervante, ma l’idea che
ne risultava era spesso una ricompensa sufficiente.
Non ne aveva avute molte, di idee, dalla morte della madre… fino a
quando aveva visto Kenneth Wilding. Voleva dipingerlo in un modo speciale,
per catturare l’essenza incomparabile sia del fisico sia dello spirito.
Con un sospiro di irritazione, si strofinò i muscoli irrigiditi del collo.
Aveva abbozzato decine di schizzi, ma nessuno era soddisfacente. La cosa
migliore da farsi era andare a letto, ma sapeva che sarebbe rimasta sveglia a
fissare il soffitto mentre visioni di Kenneth Wilding le danzavano in testa.
Forse un bicchiere di sherry l’avrebbe aiutata a dormire.
Prese una candela per scendere in sala da pranzo, uscì in corridoio e si
scontrò quasi con l’oggetto della sua ossessione, che nello stesso momento
stava uscendo dalla sua stanza. Si arrestò appena in tempo per non andare a
sbattere con il naso contro la clavicola di Kenneth, e perse quasi l’equilibrio.
— Chiedo scusa! — Lui la sostenne mettendole una mano sotto il gomito.
— Stavo andando in cucina per fare uno spuntino.
Si era tolto giacca e cravatta e la camicia era sbottonata. Avvertendo la
forza della mano che le stringeva il braccio, Rebecca alzò la testa per
guardarlo in viso. La luce della candela gettava ombre guizzanti sui suoi
lineamenti marcati. C’era qualcosa in quel gioco di luci e ombre, nel suo
abbigliamento… nella linea bianca della cicatrice. Dannazione, c’era quasi
arrivata…
Kenneth aggrottò la fronte. — Qualcosa non va?
Le idee frammentarie si fusero e presero forma. — Il corsaro! — esclamò
Rebecca. — Venite.
Lo afferrò per il polso e lo trascinò nella sua camera da letto. Le aveva
sempre ricordato un pirata e, come il corsaro di Byron, lui era coraggioso,
temerario e terribilmente romantico. Era stata una sciocca a non capirlo
prima.
Posò la candela, gli mise le mani sulle spalle e lo costrinse a sedersi sul
divano. — Siete un po’ troppo civilizzato — mormorò, studiandone il volto.
Gli passò le mani tra i capelli, scompigliandoli. Dopo avergli fatto ricadere
un ciuffo sulla fronte, slacciò altri due bottoni della camicia, mettendo in
mostra un triangolo di pelle, coperta di peluria scura. — Perfetto —
commentò, soddisfatta.
— Perfetto per cosa? — volle sapere Kenneth.
C’era una luce divertita nelle profondità dei suoi occhi… e qualcosa di più.
Di colpo, lei si rese conto di quanto fosse sconveniente trascinare un uomo in
camera da letto. Meno male che non aveva una reputazione da perdere. —
Stavo studiando il modo migliore per ritrarvi, e ho appena avuto
un’ispirazione — gli spiegò. — Tre anni fa, lord Byron scrisse un poema
intitolato Il corsaro. Parlava di un pirata di un paese orientale, affascinante e
terribilmente romantico. Un modo perfetto per ritrarvi.
— State scherzando. Io non sono né affascinante né romantico, e di sicuro
non ho niente di orientale. — Kenneth sorrise. — Se fossi un vero pirata, ecco
cosa farei. — Le posò una mano sulla nuca e la costrinse a chinarsi per
baciarla.
Il suo tono era scherzoso, ma c’era qualcosa di molto serio nel modo in
cui le loro labbra si incontrarono. Lei provò un brivido violento quando la
bocca di Kenneth s’impadronì della sua e l’energia creativa che l’aveva
posseduta si trasformò in desiderio. Aveva le mani ancora posate sul suo
torace e le formicolavano le punte delle dita nell’avvertire il battito accelerato
del suo cuore. Voleva sedersi sulle sue gambe e strappargli via la camicia.
Voleva esplorare ogni centimetro del suo corpo virile. Voleva… voleva…
Kenneth la lasciò andare e ritrasse la testa, interrompendo il bacio, ma
Rebecca gli lesse nello sguardo uno sbigottimento pari al suo.
Dopo un lungo istante, Kenneth disse, con calma apparente: — Io, però,
non sono un corsaro, ma un semplice segretario.
— Un capitano resta sempre un capitano — replicò Rebecca e, non meno
ansiosa di lui di fingere che non fosse successo niente di importante, si
ritrasse. — Non ci sono dubbi che emanate fascino e romanticismo. Quando
avrò finito di ritrarvi, vi guarderete e vi vedrete per la prima volta.
— Non sono sicuro di volermi vedere con tanta chiarezza.
— Siete padrone di non guardare il risultato finale, se non volete. —
Rebecca socchiuse gli occhi, trincerandosi dietro un atteggiamento
professionale. — Voglio fare qualche esperimento. Appoggiate il braccio sullo
schienale e rilassatevi.
Fece un cenno soddisfatto con il capo quando lui ubbidì. Una posa simile,
languida ma carica di un energia latente, era quella giusta. Ora doveva creare
la suggestione dell’Oriente.
Rifletté per qualche istante quindi, con un’esclamazione di trionfo, afferrò
un piccolo tappeto, sul lato opposto del letto. — Ecco lo sfondo ideale.
Kenneth si voltò a guardarla mentre lo stendeva sullo schienale. — È
stupendo — commentò, accarezzandone la morbida superficie. — Immagino
che sia persiano, ma non ho mai visto disegni dai colori così intensi. Se potrò
toccarlo per tutto il tempo che impiegherete a ritrarmi, mi considererò un
privilegiato.
Il tappeto creava proprio l’idea di ricchezza carica di sensualità che lei
voleva. Adesso bisognava trovare la posa giusta. Di solito era lei a dare
indicazioni ai suoi soggetti, ma sospettava che Kenneth non avesse bisogno di
suggerimenti. — Scegliete una posizione comoda, una da poter mantenere per
periodi prolungati. Voglio che sembriate rilassato ma vigile.
Kenneth piegò la gamba sinistra e posò il piede, calzato nello stivale, sul
bordo del divano. Quindi appoggiò il braccio sul ginocchio. L’effetto che ne
risultava era di una sicurezza totale e sorniona, abbinata alla minacciosa
sensazione che avrebbe potuto entrare in azione da un momento all’altro.
— Ottimo — commentò Rebecca. — Ora guardatemi come se fossi un
soldato svogliato e insolente della vostra compagnia.
La sua espressione si indurì e la cicatrice divenne più pronunciata. Era
l’immagine perfetta del pirata capace di uccidere e amare con la stessa
disinvoltura.
Rebecca si morse il labbro. Mancava ancora qualcosa. Non sarebbe stato
difficile rendere il temperamento focoso e spietato di Kenneth, ma come
riuscire a trasmettere il lato sensibile e meditativo del suo carattere?
Mentre gli girava intorno per scegliere la prospettiva migliore, il suo
sguardo fu attirato dal riflesso di Kenneth nello specchio della toeletta, e
un’idea prese forma.
L’eccitazione salì alle stelle. Avrebbe fatto un doppio ritratto. Lui, che
fissava con aria di sfida dal quadro, avrebbe rappresentato il fulcro, ma sulla
destra ci sarebbe stato il riflesso del suo profilo, con il quale trasmettere
l’intelligenza acuta e sottile della sua mente. Al posto di uno specchio si
sarebbe servita di una superficie di lucido marmo nero, così da obbligare lo
spettatore a scrutare con attenzione per scoprire il lato nascosto del capitano.
Mentre prendeva l’album degli schizzi, Ghostie si svegliò e balzò dal letto
al divano, dove si allungò accanto alla coscia di Kenneth. Lui gli accarezzò la
testa, dicendo: — Ghostie rappresenterà un ostacolo?
— Al contrario — rispose lei, ridendo. — Lo trasformerò in una specie di
feroce felino asiatico, il compagno ideale per un crudele pirata.
Chinò la testa e il carboncino cominciò a volare sul foglio.
Il silenzio che seguì fu rotto soltanto dal suono stridulo del carboncino
sulla carta e dai rumori lontani della città addormentata. Aveva finito le
figure principali e stava abbozzando lo sfondo quando Kenneth disse con un
sospiro: — Non mi sarà mai concesso di fare uno spuntino?
Sorpresa, lei guardò l’orologio e vide che era passata l’una. — Mi dispiace
molto… non avevo idea che fosse così tardi. Temo di essermi lasciata
trascinare dall’entusiasmo.
— È un eufemismo. Se un drago si fosse calato dal camino sputando
fiamme dalle narici non ve ne sareste nemmeno accorta. — Kenneth si alzò e
ruotò le spalle per sgranchire i muscoli.
Rebecca mise da parte l’album. — Sarete uno splendido corsaro, capitano.
— Se lo dite voi. — Kenneth esaminò il disegno e aggrottò la fronte. — Ho
un’aria così feroce?
— A volte. Non è un caso che la servitù sia diventata così ubbidiente. —
Rebecca prese un nuovo pezzo di carboncino e lo infilò nell’apposito
bocchino mentre Kenneth sfogliava le pagine dell’album. A un tratto, colpita
dal silenzio che si prolungava, alzò la testa e vide che stava fissando uno
schizzo.
Avvertendo il suo sguardo, Kenneth le mostrò il disegno che aveva attirato
la sua attenzione: quello di una donna che precipitava a capofitto, con
un’espressione che era un grido silenzioso di terrore. — Cos’è questo?
Il carboncino si spezzò tra le dita di Rebecca, mentre in lei il dolore
subentrava all’entusiasmo. — È… è uno studio di Didone che si getta dalle
torri di Cartagine dopo essere stata abbandonata da Enea — improvvisò, con
la bocca improvvisamente asciutta.
— In abiti moderni? — chiese lui, scettico. — Inoltre, credevo che Didone
si fosse uccisa con un pugnale.
Rebecca lo fissò in silenzio, incapace di inventare un’altra bugia. Lui disse,
adagio: — La donna assomiglia piuttosto al ritratto di vostra madre. Lady
Seaton è morta precipitando?
Con il cuore che batteva come se fosse stata sorpresa a rubare, Rebecca si
accasciò nella sua sedia. — Sì, e da allora sono ossessionata dall’immagine di
lei che cade. Continuo a chiedermi cos’abbia provato, quale sia stato il suo
ultimo pensiero. Dev’essere stato orribile morire da sola, in preda al terrore.
Ci fu un lungo silenzio. Quindi Kenneth disse, parlando lentamente: — Ho
avuto spesso paura, soprattutto prima di una battaglia. La paura può essere
un’ancora di salvezza perché aumenta la tua forza e la tua attenzione.
Tuttavia, in due occasioni in cui avevo la certezza che sarei morto, non ho
provato paura. Anzi, in me c’era uno strano senso di serenità. Tutte e due le
volte sono sopravvissuto per miracolo. Incuriosito, ne parlai con alcuni amici
e scoprii che altri avevano fatto la stessa esperienza. Forse la pace è l’ultimo
dono della natura quando non si può più far niente per sottrarsi a un destino
inevitabile. È probabile che vostra madre non abbia provato terrore, ma solo
qualche fuggevole istante di rassegnazione.
Rebecca chinò la testa, lottando per controllare le emozioni. — Non ve lo
state inventando per farmi sentire meglio?
— Dio mi è testimone che è la verità. — Kenneth si sedette di fronte a lei e
le strinse le mani nelle proprie.
— Se mi racconti quello che è successo, può darsi che ti aiuti a esorcizzare
qualche demone.
Forse aveva ragione. — Eravamo a Ravensbeck, la nostra casa nella
regione dei Laghi — iniziò Rebecca. — Era una giornata assolata e, dopo una
passeggiata sulle colline, stavo tornando a casa quando vidi alcuni uomini su
un dirupo, dove mia madre era solita recarsi. Anche se ero lontana, capii che
era successo qualcosa di brutto. Quando li raggiunsi, stavano… stavano
recuperando il suo cadavere.
— Che esperienza terribile. La cosa peggiore di un incidente mortale è che
non si ha il tempo di prepararsi.
Non era esattamente vero in quel caso, ma lei si limitò a dire: — Anche
adesso, a volte dimentico che se n’è andata. — Un nodo le serrò la gola e le
impedì di proseguire.
Con i pollici, lui le accarezzò il dorso delle mani. — Com’è successo
l’incidente? Tua madre era sconvolta per qualche motivo? Non è possibile
che, preoccupata e infelice, si sia distratta mettendo un piede in fallo?
— No — rispose Rebecca in tono brusco. — Non è accaduto niente del
genere. — Ritrasse le mani. — Uno degli uomini che si era calato lungo il
dirupo, disse che c’erano fiori sparpagliati tutt’intorno a lei. Mia madre
amava i fiori selvatici e dev’esserci avvicinata troppo all’orlo del precipizio per
raccoglierli.
— Una tragica ironia — mormorò Kenneth.
Rebecca guardò lo schizzo della donna che cadeva.
— Quando qualcosa mi turba, me ne libero disegnando. È come incidere
una ferita infetta per togliere il veleno. In genere funziona, ma non nel caso
di mia madre.
— Disegni quello che ti turba? — chiese lui, incuriosito. — Io invece di…
Mi sembrerebbe più logico sfuggire al dolore disegnando altri soggetti.
Rebecca sorrise senza allegria. — Come se non ci avessi provato.
— Se incidere non funziona, forse bisogna cauterizzare. — Kenneth
strappò dall’album il foglio e, tenendolo per un angolo, lo avvicinò alla
fiamma della candela. — Da quello che ho sentito dire di Lady Seaton, penso
che lei non avrebbe voluto che la tua vita fosse segnata dal dolore. Lasciala
andare, Rebecca.
Con il cuore oppresso dal dolore, lei osservò le fiamme divorare il disegno.
Apprezzava il suo desiderio di aiutarla, ma lui non capiva. Essendo così forte,
non sapeva cosa significasse soffrire al punto da averne lo spirito paralizzato.
Kenneth gettò il foglio in fiamme nel camino ed entrambi lo osservarono
in silenzio mentre si accartocciava e si riduceva in cenere. Solo allora lui
disse: — Disegnare con tanto furore deve aver richiesto un enorme dispendio
di energie. Dovresti mangiare. Facciamo insieme un’incursione in cucina.
Le sorrise e lei si sentì allargare il cuore. Ricambiò il suo sorriso. — Hai
ragione. Non mi ero accorta di essere affamata.
Mentre prendeva una candela e lo seguiva, Rebecca pensò al bacio, breve e
ardente, che si erano scambiati. Anche se era stato un errore, non si era mai
sentita così viva dalla morte della madre.

Kenneth fece del suo meglio per divertirla durante il loro spuntino
notturno. E quando si ritirarono nelle rispettive camere, alcune delle ombre
erano sparite dai suoi occhi.
Purtroppo, da parte sua era sempre più preoccupato. La versione che gli
aveva dato della morte della madre non l’aveva convinto fino in fondo ed era
quasi certo che gli avesse taciuto qualche particolare importante. Per
esempio, era stata troppo precipitosa nel negare la possibilità che non si fosse
trattato di un incidente. Al dolore si mescolava forse una paura che era
troppo orribile da affrontare, e nella quale era coinvolto il padre.
Ma la sua irrequietudine era dovuta anche ad altri motivi. Primo fra tutti,
il turbamento per quel bacio. Era ovvio che il maschio primitivo che c’era in
lui aveva approfittato della prima occasione che gli si era presentata per agire,
cedendo all’attrazione che aveva provato fin dall’inizio. Erano bastati quei
brevi attimi per confermare i suoi sospetti sulla latente sensualità di Rebecca.
Il fuoco che faceva di lei un’artista poteva divampare in una passione
violenta.
In circostanze normali, non avrebbe smesso di baciarla. Ma quelle non
erano circostanze normali.
Al desiderio fisico si contrapponeva una forte inquietudine. Era rimasto
affascinato dalla rivelazione che Rebecca disegnava quello che là turbava. Per
lui, invece, disegnare era sempre stata una fuga, un’occasione per creare un
muro di protezione tra se stesso e l’insopportabile.
Prese il suo album e ne fissò i fogli come se fossero stati una bomba in
procinto di esplodere. Cosa sarebbe successo se avesse osato disegnare una
delle scene che gli torturavano la mente? Una parte di lui temeva che sarebbe
stato come aprire il vaso di Pandora, liberando un’angoscia che non sarebbe
più riuscito a controllare.
Eppure, le parole di Rebecca lo ossessionavano. "Come incidere una ferita
infetta per togliere il veleno." Forse la fuga non era il rimedio migliore al
dolore. Ma per disegnare i demoni che lo tormentavano, avrebbe dovuto
affrontare il dolore, abbattere le barriere mentali che gli avevano permesso di
continuare a vivere.
Facendosi animo, prese penna e inchiostro. Avrebbe iniziato con
un’immagine che gli si era impressa nel cervello durante la sua prima
battaglia. Se disegnarla fosse servito ad attenuare la sofferenza, avrebbe
tentato con altre scene, più difficili.
Intinse la penna nel calamaio e pregò che il metodo di Rebecca
funzionasse anche per lui.
10

Il pomeriggio del giorno seguente, Kenneth stava lavorando in ufficio


quando entrò Lavinia Claxton, una bionda visione fasciata in un abito blu e
con un cappello ornato di piume. — Buongiorno, capitano — lo salutò con aria
civettuola. — Ho deciso di venirvi a scovare nella vostra misteriosa tana.
Lui alzò la testa, improvvisamente agitato. Benché Lavinia fosse un’ospite
abituale di casa Seaton, era la prima volta che aveva l’occasione di
interrogarla. — Non c’è niente di misterioso nel fare il proprio lavoro, lady
Claxton.
Lei sorrise con la sicurezza di una donna che conosce il potere della
propria bellezza. — Allora, il mistero deve essere in voi. Questo non è il vostro
ambiente, capitano. Qui siete come una tigre tra gli agnelli. Dovreste essere
alla testa di un esercito, non seduto dietro una scrivania.
— Anche le tigri devono guadagnarsi da vivere, milady — replicò lui con
l’ombra di un sorriso.
— Chiamatemi Lavinia, come fanno tutti. — Disse, e si sedette sull’orlo
della scrivania, sfiorandogli il ginocchio con la gonna. Quindi si protese ad
accarezzargli una guancia. — E potete chiamarmi in qualsiasi momento.
Anche se gli aveva rivolto sorrisi seducenti fin dalla prima volta che
l’aveva visto, Kenneth rimase stupito da un approccio così impudente. — Una
simile familiarità sarebbe sbagliata, milady. — Le prese la mano e posò un
bacio lieve sul dorso prima di rimettergliela in grembo. — Sir Anthony mi
giudicherebbe impertinente, e a ragione.
— Non gli importerebbe nulla. Tutti sanno che Lavinia è una grande
puttana — dichiarò lei con autoironia. — Scese dalla scrivania e si avvicinò al
ritratto di lady Seaton. — Non come Helen. Una volta Anthony ci ritrasse
insieme e intitolò il quadro La santa e la peccatrice. Io, naturalmente, ero la
peccatrice.
— Lady Seaton era davvero una santa?
— Come la maggior parte di noi, poteva essere generosa o egoista, saggia o
sciocca. A volte era molto difficile. Ma era la mia migliore amica, e mi manca
molto. Come manca ad Anthony e a George.
— George?
— George Hampton. Helen era la sua amante.
Mascherando la sorpresa, Kenneth disse: — Dite davvero? Oppure state
solo cercando di scandalizzarmi?
— Dubito che sia facile scandalizzarvi, capitano. Helen era molto discreta,
ma ha avuto i suoi amanti nel corso degli anni. Tuttavia, solo George ha
avuto una certa importanza.
Sinceramente stupito da quella rivelazione, Kenneth chiese: — Sir
Anthony sapeva che la moglie aveva una relazione con uno dei suoi amici più
intimi?
— Oh, certo. Il loro era un matrimonio immorale, ma molto civile.
Anthony apprezzava George, sapendo che non avrebbe mai fatto del male a
Helen. E lei dava poco peso alle scappatelle del marito. Sapeva di essere
l’unica donna importante della sua vita.
— Ho sentito dire che era coinvolto in una relazione seria all’epoca della
morte di lady Seaton.
— Non date retta a tutto quello che dicono, capitano. Anthony e io siamo
amici da molto tempo. Credo che me ne sarei accorta se si fosse innamorato
di un’altra.
C’era un’ombra di incertezza nella sua voce. Sotto l’aspetto sofisticato,
Lavinia era molto più vulnerabile di quanto volesse far credere. Kenneth si
chiese se fosse innamorata di lord Seaton. — Pensate che sir Anthony si
risposerà?
— Non saprei proprio cosa rispondere. La morte di Helen incombe ancora
su di lui come una nuvola nera.
— C’era qualcosa di poco chiaro nel modo in cui è morta?
Lavinia si arrotolò intorno all’indice uno dei nastri del cappello. — È stato
senza dubbio un incidente. Eppure… — ma la donna non concluse la frase.
— Ho sentito dire che c’erano segni di lotta nel punto in cui lady Seaton
cadde.
— Soltanto arbusti spezzati. Scivolando, Helen deve aver tentato di
aggrapparsi a qualche ramo.
Era una spiegazione logica, eppure Lavinia sembrava turbata. — Ogni
volta che si solleva l’argomento della morte di lady Seaton, quelli che la
conoscevano diventano molto evasivi — commentò Kenneth, pensieroso. —
Cosa c’è di tanto misterioso? Sir Anthony o George Hampton l’hanno spinta
nel vuoto?
— Sciocchezze. Non c’è nessun mistero. Il fatto è che la morte è molto
meno divertente del sesso.
Accorgendosi che non gli avrebbe rivelato altro, Kenneth disse in tono
disinvolto: — Parliamo allora di sesso. Quello che avete detto conferma
l’opinione diffusa secondo cui gli artisti conducono una vita sfrenata e
dissoluta.
— Non più dissoluta di quella dei membri dell’alta società. Soltanto meno
ipocrita. — Lavinia gli rivolse un sorriso provocante. — E, a essere sincera, vi
trovo molto attraente, capitano.
Malgrado le sue assicurazioni, Kenneth non era convinto che sir Anthony
avrebbe gradito condividere l’amante con il suo segretario. — È un
sentimento reciproco, ma non ritengo che sarebbe saggio dargli retta.
— Spero che frequentare l’ambiente degli artisti servirà a minare la vostra
saggezza. — Lavinia gli fece scivolare una mano guantata dietro il collo e lo
baciò. Era un bacio da donna esperta, eppure non suscitò in lui nemmeno
una minima parte della sensazione che aveva provato baciando Rebecca.
Scorse un movimento con la coda dell’occhio e, un attimo dopo, una voce
gelida disse: — Per quanto mi dispiaccia interrompere queste tenere
effusioni, c’è una questione che devo risolvere.
Kenneth alzò lo sguardo e vide una Rebecca fremente in piedi sulla soglia.
Mentre lui soffocava un’imprecazione, Lavinia si scostò senza fretta. —
Salve, mia cara. — Il suo sguardo acuto passò da Rebecca a Kenneth. — Ho
ricevuto un sacco di complimenti per l’ultimo dipinto che mi hai fatto. Se mi
permettessi di rivelare il nome dell’artista, saresti sommersa da commissioni.
— Sorrise e scivolò fuori dalla stanza.
Rebecca la lasciò passare, quindi entrò nell’ufficio e si sbatté la porta alle
spalle. — Mio padre si aspetta che i suoi segretari siano versatili, capitano, ma
tu stai esagerando.
— Se hai udito l’ultima parte della conversazione, sai che ho cortesemente
respinto le sue avance.
— Ma non il suo bacio.
— Non potevo ricorrere alla violenza fisica.
— Una sculacciata non sarebbe stata fuori luogo — ribatté Rebecca, acida.
— Lavinia se la merita da tempo.
— Stando a quello che ha detto lady Claxton, i baci illeciti non dovrebbero
suscitare scandalo in questa casa. Durante il nostro colloquio ha accennato
alla relazione tra tua madre e George Hampton.
Rebecca si irrigidì, ma non per la sorpresa. — Credevo che fossi superiore
a questi pettegolezzi, capitano.
— Non spettegolo, mi limito ad ascoltare. — Kenneth ebbe un attimo di
esitazione. — È stato un trauma scoprire quanto erano… anticonformisti i
tuoi genitori?
— Promiscui, vuoi dire. Come avrebbe potuto sconvolgermi? Ho rovinato
me stessa a diciott’anni. Abbiamo la lussuria nel sangue.
— Non lo credo — replicò lui con dolcezza. — Sei scappata a causa
dell’esempio dei tuoi genitori? Oppure perché stavi cercando l’amore?
Dopo un lungo silenzio lei disse: — Poco prima del mio debutto in società,
conobbi un giovane visconte al quale mio padre stava facendo il ritratto.
Scambiai le sue galanterie per un interesse serio e accettai di andare a fare
una cavalcata con lui nel parco. A un certo punto smontammo per proseguire
a piedi, e lui tentò di mettermi le mani addosso. Quando resistetti, mi disse
che, essendo cresciuta in un ambiente di artisti, non avevo nessun diritto di
comportarmi da educanda.
— Sono sicuro che gli avrai risposto per le rime.
— L’ho mandato a gambe levate in una fontana; offesa con lui e con mio
padre, che, con il suo stile di vita, mi aveva esposta a un simile insulto.
Poco dopo debuttai in società e conobbi Frederick. Era romantico, scriveva
poesie e diceva di amarmi, e tutto ciò era un balsamo per il mio cuore
ammaccato. Ai miei non piaceva e forse non sarebbe accaduto niente se non
fossi venuta a sapere di mia madre e zio George. Pur essendo al corrente delle
avventure di mio padre, fu uno shock scoprire che mia madre non era
migliore di lui. Tre giorni dopo, scappai. — Gli rivolse un sorriso amaro. —
Non tardai ad accorgermi che i miei avevano ragione, e che sposare Frederick
sarebbe stato un errore madornale. Per fortuna l’ho capito in tempo.
Pensando che i Seaton avrebbero dovuto concedere meno libertà e più
consigli alla figlia, Kenneth disse: — Immagino che ti abbiano ripresa in casa
proprio perché erano di vedute così larghe.
— Oh, sì. Hanno criticato soltanto la mia mancanza di buon senso, non la
mia moralità, dicendo che l’esperienza mi sarebbe servita per non ripetere
mai più un errore simile.
— E non l’hai ripetuto.
— Né succederà in futuro — dichiarò Rebecca, con il tono di voler
chiudere l’argomento. — Ero scesa per chiederti che fine hanno fatto le tele
che avevo ordinato.
— Il fornitore si scusa per il ritardo e fa sapere che le consegnerà
dopodomani. Vuoi sapere altro?
— Oh, no. È tutto. — Rebecca si voltò per andarsene.
— Vuoi sempre che oggi pomeriggio posi per te, o sei troppo arrabbiata?
— Niente affatto. Essere sedotti da femmine vogliose è nella migliore
tradizione degli eroi byroniani — dichiarò lei, uscendo.
Rimasto solo, Kenneth ripensò a quello che aveva appreso per giungere
alla conclusione che quanto più a lungo restava in casa Seaton tanto più si
rendeva conto delle difficoltà di stabilire la verità sulla morte di Helen… e
tanto più detestava la propria doppiezza. Diventare il confidente di Rebecca
mentre era lì sotto false spoglie era un tradimento. Se avesse scoperto il
motivo che l’aveva condotto in questa casa…
Ma si rifiutava di pensare a una simile eventualità.

Rebecca si rimproverò aspramente mentre tornava al rifugio sicuro del


suo studio. Alla vista di Lavinia che baciava Kenneth, avrebbe dovuto
andarsene alla chetichella. Invece, aveva agito in preda a un impeto di gelosia
e, quello che era peggio, non era riuscita a nasconderlo. Benché lei e Lavinia
fossero andate sempre d’accordo, in quel momento avrebbe voluto cavarle gli
occhi.
Impiegò solo pochi minuti per preparare la scena per la seduta
pomeridiana, quindi si guardò in giro, irrequieta. C’erano una decina di cose
che avrebbe potuto fare, nessuna delle quali la interessava.
Il suo sguardo cadde sul dipinto di Diana cacciatrice. Accidenti, aveva
promesso di incorniciarlo e di sostituire i quadri orribili che si trovavano in
camera di Kenneth. Pensando che fosse un modo sottile per fare ammenda,
incorniciò Diana, quindi scelse un paesaggio della regione dei Laghi e uno
studio di Ghostie che dava la caccia a un uccello. Poi scese e andò a bussare
alla porta di Kenneth e, quando nessuno rispose, entrò. Stava appendendo la
Diana quando il suo piede urtò una cartella appoggiata contro l’armadio.
Questa si aprì e una serie di disegni si sparpagliò sul tappeto. Chiedendosi
cosa ci facesse il capitano con la cartella di un artista, si chinò per richiuderla.
Rimase impietrita scorgendo lo schizzo a penna di una battaglia. Era una
scena molto realistica, ma quello che attirò la sua attenzione fu la figura al
centro: un uomo in preda agli spasimi dell’agonia. Angoscia e morte, un
attimo di silenzio eterno al centro degli orrori infernali della battaglia.
Si sedette a gambe incrociate sul pavimento e iniziò a sfogliare gli altri
disegni. C’erano soprattutto ritratti a pastello e a carboncino, e paesaggi ad
acquarello. Anche se nessuno aveva l’intensità drammatica della scena della
battaglia, erano tutti eseguiti con una certa tecnica.
Stava studiando lo schizzo di una coppia abbracciata, con la scritta Romeo
e Giulietta, quando la porta si aprì e Kenneth entrò. L’uomo si arrestò di
colpo quando la vide, torvo in volto.
— Cosa diavolo ci fai qui?
Lei posò una mano sulla cartella. — Sei stato tu a fare questi disegni?
Kenneth si chinò e le strappò la cartella. — Non hai nessun diritto di
curiosare tra le mie cose.
— Non stavo curiosando — protestò Rebecca. — L’ho urtata per caso e si è
aperta. — Chiedendosi perché mai fosse così infuriato, chiese di nuovo: —
Sono opera tua?
Kenneth rimase in silenzio, come se fosse incerto se mentire o no, quindi
annuì lentamente.
Rebecca si alzò in piedi e senza lasciarsi intimidire dalla sua espressione
minacciosa, disse: — Perché vuoi nascondere il fatto che sei un artista?
— Non lo sono.
— Certo che lo sei. Questi disegni lo dimostrano. Perché tenerli segreti? E
perché ora ti comporti come un toro infuriato?
Lui respirò a fondo. — Scusami. Non era mia invenzione tenere segreti i
miei disegni ma mi considero solo un semplice dilettante. Sarebbe stato
presuntuoso parlarne a te o a tuo padre.
— Sciocchezze. Tu hai molto talento. Sono vissuta circondata da artisti,
ma non ne ho mai conosciuto uno che si vergognasse di far vedere ad altri di
cosa era capace.
— Non sono un artista! — ripeté lui con rabbia.
Stupita da tanta veemenza, Rebecca gli posò le mani sulle spalle e lo
costrinse a sedersi sul letto. Guardandolo negli occhi, gli chiese: — Qual è il
problema, Kenneth? Ti comporti in un modo molto strano.
I muscoli sotto le sue mani si irrigidirono e lui abbassò lo sguardo. — Mio
padre detestava il mio interesse per l’arte — disse, dopo un lungo silenzio — e
ha cercato di scoraggiarmi in tutti i modi. Dipingere non era degno del suo
unico figlio maschio.
— Tuttavia, tu non hai smesso.
— Non potevo. Era come un fuoco che mi ardeva dentro. Disegnando
riuscivo a esprimere cose per le quali non avrei mai trovato le parole adatte.
Così, dipingevo di nascosto.
— Che sofferenza dev’essere stata per te. — Resistendo all’impulso di
cancellare con un bacio le ombre che gli velavano gli occhi, Rebecca gli sfiorò
la guancia con il dorso della mano, quindi si allontanò. — Io sarei impazzita
se i miei mi avessero impedito di dipingere.
— Hai avuto la fortuna di vivere con uno dei migliori pittori d’Inghilterra.
Quando ero giovane, il mio sogno segreto era di studiare alla Royal Academy
e diventare un artista professionista. Invece sono diventato un soldato, cioè
esattamente il contrario.
— Tu sei un artista, Kenneth — ribadì lei con enfasi. — Se ti impegnassi,
potresti sicuramente emergere.
— Disegno bene e faccio dei discreti acquerelli, come qualsiasi ragazza
della buona società, ma io non sono più un ragazzo. Ho trentatré anni. Ormai
è passato il tempo in cui avrei potuto imparare a essere un vero artista.
— Come definiresti un artista? — chiese Rebecca.
— Qualcuno che, oltre a rendere una somiglianza, sa cogliere l’essenza
segreta del soggetto. Per esempio, nella tua Diana cacciatrice sei riuscita a
esprimere la sua forza e il suo orgoglio, ma anche la solitudine e il desiderio
di essere come le altre comuni mortali. — Kenneth si avvicinò al quadro per
studiarlo più da vicino. — Hai una visione personale del mondo, e la infondi
in tutto quello che fai. Credo che riconoscerei qualsiasi cosa eseguita da te.
Il pensiero che avesse la capacità di rintracciare il suo spirito nelle sue
opere aveva l’intimità di un bacio. Volendo evitare che la conversazione
prendesse una piega pericolosa, Rebecca tolse dalla cartella diversi disegni. —
Tu hai la stessa abilità — commentò, indicando il ritratto di una bella
spagnola. — Questa donna non è soltanto incantevole, ma ha anche un
carattere passionale. Perfino pericoloso.
Vedendo i muscoli del suo volto contrarsi, capì di aver colto nel segno.
Rebecca sollevò il disegno del soldato colpito a morte. — Anche questo è
molto originale ed espressivo.
Lui si strinse nelle spalle. — Quello è un caso a sé. L’ho fatto perché tu hai
detto che rappresenti le cose che ti sconvolgono. Siccome ho sempre
considerato il disegno come un’evasione, ho deciso di provare a liberarmi da
uno dei miei demoni.
— Ha funzionato?
— Sì, lo ammetto. Quell’immagine è rimasta impressa nella mia mente
come un marchio per anni. Disegnarla è servito a rendere il ricordo… —
Kenneth aggrottò la fronte, cercando le parole giuste — non meno chiaro, ma
più remoto.
— Ha anche dato a me l’occasione di vedere e capire qualcosa che non
vedrò mai nella realtà. Se questo non fa di te un artista, cos’altro lo farebbe?
Lui sorrise con mestizia. — La capacità di usare i colori a olio. Qualsiasi
imbrattatele sa usare i pastelli e gli acquerelli.
— Allora, impara a usarli. Non è poi così difficile. — Vedendo che Kenneth
serrava le labbra e restava in silenzio, Rebecca aggiunse: — Non pensi di
esserne capace.
— Lo… lo desidero troppo per crederlo possibile.
Quelle parole la dicevano lunga sulla durezza con cui la vita l’aveva
trattato. Sapendo che non avrebbe sopportato la sua pietà, Rebecca disse in
tono vivace: — Allora te lo insegnerò. Una volta che avrai superato la sciocca
convinzione che usare i colori a olio esula dalle tue capacità, te la caverai
bene. — Vedendo che stava per protestare, aggiunse: — Hai un sacco di idee
sbagliate su cosa sia necessario per essere un artista. Tu hai talento. Non
sprecarlo. Ti aspetto nel mio studio alle due — gli ordinò, prima di dirigersi
alla porta e uscire.
Salendo le scale, Rebecca pensò come sarebbe stato avere la forza e la
ferocia di un guerriero e l’anima di un artista.
Povero pirata maledetto.
11

Dopo che Rebecca se ne fu andata, Kenneth crollò su una sedia, tremando


come se avesse avuto la febbre.
Secondo lei, aveva talento, era addirittura già un artista. E Rebecca Seaton
non era tipo da sprecare lodi.
Respirò lentamente, chiedendosi se ci fosse del vero nelle sue parole; se
dovesse credere che non era troppo tardi, che forse era ancora in tempo per
diventare un vero pittore.
Quei pensieri lo colmarono di un assurdo miscuglio di paura ed
eccitazione, e solo quando si alzò in piedi, ricordò che si trovava in casa
Seaton per indagare su una misteriosa morte. Ora, la figlia del principale
indiziato si offriva di esaudire il suo più grande desiderio. Era spregevole
accettare quel dono sapendo che la sua missione aveva lo scopo di
distruggere la persona che lei amava più di ogni altra. Eppure, che Dio lo
aiutasse, era incapace di rifiutare.
Per la prima volta, pensò di rinunciare all’incarico datogli da lord Bowden.
Avrebbe perso Sutterton, ma Kenneth era disposto a sacrificarla in cambio di
una vita che aveva sempre desiderato. Avrebbe potuto continuare a fare da
segretario a sir Anthony, e dedicare il tempo libero alla pittura.
Ma cosa ne sarebbe stato di Beth? Ne era responsabile, e non aveva il
diritto di comprare la propria felicità al prezzo del suo futuro.
Non gli restava altra possibilità che proseguire, pregando che le sue
indagini non rivelassero niente che potesse incriminare sir Anthony per la
morte della moglie.
Purtroppo, aveva poca fiducia nelle preghiere.

Prima di recarsi nello studio di Rebecca, Kenneth passò dall’ufficio. E


rimase sorpreso di trovarvi sir Anthony, che fissava il ritratto della moglie
bevendo quello che sembrava brandy.
Mentre Kenneth esitava, incerto se entrare, disse, con aria pensierosa: —
Oggi sono ventotto anni che conobbi Helen. A volte è difficile credere che se
ne sia andata.
Kenneth entrò nell’ufficio. — Lady Seaton era bella. Vostra figlia le
assomiglia.
— Fisicamente, ma Rebecca ha il mio stesso carattere. — Sir Anthony
sorrise con ironia. — In un certo senso, assomiglia perfino al mio fratello
maggiore. Se lo sapesse, Marcus ne sarebbe seccato.
— Ignoravo che aveste un fratello — commentò Kenneth, curioso di
conoscere la sua versione della storia.
— Marcus è un tipo inflessibile. Non mi approva. — Sir Anthony bevve un
sorso generoso di brandy. — Lui e mio padre erano convinti che fare il pittore
fosse la strada più breve per finire all’inferno. Dev’essere inorridito quando,
cinque anni fa, mi hanno nominato baronetto, dando così il suggello della
rispettabilità alla mia scandalosa carriera.
— Molti considererebbero un onore avere in famiglia un artista del vostro
livello.
— C’erano… altri motivi di disaccordo. — Lo sguardo di sir Anthony corse
al volto della moglie. — Helen era fidanzata con Marcus. Quando ci siamo
conosciuti è stato come essere travolti da una bufera. Lei tentò di resistere, di
tener fede all’impegno preso. Io non ci provai nemmeno. Due settimane dopo
esserci conosciuti, siamo fuggiti insieme e ci siamo sposati a Gretna Green.
— Immagino che vostro fratello ci sia rimasto male.
— Marcus non mi ha più rivolto la parola. Non posso biasimarlo. Al suo
posto, sarei stato capace di uccidere se qualcuno mi avesse portato via Helen.
Chiedendosi se fosse arrivato veramente al punto di farlo, Kenneth
domandò: — Vostro fratello l’amava?
— Perderla può aver ferito il suo orgoglio, non il suo cuore. Per lui, Helen
era una ragazza graziosa e docile che sarebbe stata una moglie perfetta. In
realtà, non l’ha mai capita. Il cielo sa se non ha perso tempo a sostituirla. Si è
sposato entro l’anno e ha fatto subito un paio di figli, per assicurarsi che il
titolo non sarebbe mai passato a me.
— Lady Seaton non era docile?
— Era una strega quando s’infuriava, ma mi stava bene… anch’io ho un
pessimo carattere. — Sir Anthony scosse la testa. — Aveva un temperamento
focoso. Con Marcus sarebbe morta di noia. Lui è tutto onore e rispettabilità,
mentre io ero un eccentrico.
— È ovvio che a lady Seaton non importava che voi foste così diverso dalla
maggior parte degli aristocratici.
— Non le importava affatto. — Lo sguardo di sir Anthony corse di nuovo al
ritratto. — Non so come sarei riuscito a sopravvivere dopo la morte di Helen
se non fosse stato per Rebecca. Lei è come una roccia.
Era impossibile che un uomo così legato alla moglie l’avesse uccisa. Se
soltanto avesse trovato il modo di dimostrarlo, Kenneth avrebbe potuto tener
fede all’impegno preso con lord Bowden senza perdere il rispetto di Rebecca.
Sir Anthony lo guardò, aggrottando la fronte. — Non dovreste posare per
Rebecca?
— Sì, signore. Ero sceso per occuparmi di un paio di faccende, ma possono
aspettare.
Kenneth aveva già la mano sulla maniglia quando udì sir Anthony
sussurrare, con voce quasi impercettibile: — Adesso se n’è andata, e possa
Dio perdonarmi perché è stata colpa mia.
Per un attimo, Kenneth rimase immobile. Quindi lasciò la stanza con un
senso di nausea. Se quello che sir Anthony aveva detto era vero, erano tutti
nelle mani di Dio.

Dopo aver scoperto i disegni di Kenneth, Rebecca era tornata nel suo
studio in preda all’eccitazione. Non c’era da stupirsi se si era sentita attratta
da lui fin dal primo momento; sotto l’aspetto coriaceo del soldato possedeva
un animo di artista. Avere in comune gli stessi interessi poteva essere la base
di una solida amicizia.
Andò al tavole e iniziò a mescolare i colori che intendeva usare. Era una
procedura così automatica che, mentre lavorava, la sua mente era libera di
seguire il corso dei suoi pensieri. Si chiese, per esempio, se era amicizia
quello che voleva veramente da Kenneth.
Per un attimo le balenò in testa il pensiero del matrimonio, ma lo scacciò
subito. Anche se Kenneth avesse provato interesse per lei, al punto da passar
sopra alla sua perduta rispettabilità, da parte sua non avrebbe mai rinunciato
alla propria libertà.
Forse avrebbero potuto essere amanti. Il mondo degli artisti era
tollerante, e suo padre era così assorbito dal suo lavoro che forse non se ne
sarebbe nemmeno accorto.
Ma mentre la sua educazione le aveva dato una concezione del mondo
anticonformista, il suo spirito di osservazione l’aveva convinta che una
relazione poteva essere una faccenda complicata. Lavinia era senz’altro in
grado di spiegarle come evitare di restare incinta, ma c’erano altri rischi. La
fine di una relazione, illecita o no che fosse, era sempre dolorosa. Ed era
inevitabile che finisse. A quanto pareva, Kenneth la trovava attraente, ma
l’avrebbe apprezzata più come insegnante che come amante di non molta
esperienza.
Con un sospiro, finì di mescolare i colori. Mantenere il rapporto dentro i
confini dell’amicizia era la soluzione migliore. Non doveva far altro che
soffocare le fantasie peccaminose.
Inoltre, c’era un regalo che poteva fare a Kenneth, da amica, e che
l’avrebbe aiutato a diventare un vero pittore.

Rebecca trattenne il fiato quando Kenneth entrò nello studio vestito


secondo le sue indicazioni: indossava calzoni, stivali e una camicia bianca
aperta sul torace. La sua espressione era così minacciosa da farne un pirata
molto convincente.
Volendo metterlo a suo agio, disse in tono disinvolto: — Non occorre che
tu assuma l’aria di un condannato a morte. Prima di cominciare, ho qualcosa
per te.
— Un pappagallo da tenere sulla spalla?
Rebecca rise. — È un’idea, ma Ghostie gli farebbe fare una brutta fine.
Seguimi.
Lo condusse all’ultima stanza in fondo al corridoio e, dopo averne aperto
la porta, si scostò per lasciarlo entrare.
Lo sguardo di Kenneth passò in rassegna i pochi mobili, l’alta finestra e si
arrestò sul cavalletto al centro della stanza. Accanto c’era un vecchio tavolo di
legno, sul quale erano disposti vari pennelli di misure diverse e una scatola
contenente una serie completa di tubetti di colore. Si voltò a guardarla,
perplesso.
— Se intendi dipingere sul serio, ti occorre uno studio — spiegò Rebecca,
porgendogli una grossa chiave di ferro.
La mano di lui si strinse con un gesto convulso intorno alla chiave. — Non
merito tanto — disse, confuso. — Perché sei così buona con me, Rebecca?
Intuendo che non era una domanda retorica, lei rifletté un momento
prima di rispondere. — Perché suppongo che sia quello che io avrei
desiderato avere se, per dipingere, avessi dovuto affrontare gli ostacoli che tu
hai incontrato sulla tua strada.
— Non lo merito — ripeté Kenneth, e nei suoi occhi c’era un espressione,
quasi addolorata. — Se soltanto sapessi…
I fatti stavano per prendere una piega pericolosa. Rebecca si impose di
non guardare la vena che gli pulsava alla base del collo.
Cosa sarebbe successo se avesse fatto un passo in avanti e avesse
sollevato il viso verso il suo?
Stringendo le mani a pugno, Rebecca si voltò. — Quando avrai finito di
posare per me, ti sarai guadagnato le tue lezioni di pittura. Vieni. È ora di
cominciare.

Mentre Rebecca iniziava a disegnare sulla tela, Kenneth pensò che in


poche ore aveva trovato un’insegnante, uno studio e qualcuno a cui confidare
le sue più segrete aspirazioni. Sarebbe stato tutto perfetto se sir Anthony non
avesse appena confessato di sentirsi responsabile della morte della moglie.
Messo sotto pressione, avrebbe rivelato dell’altro? Non era probabile; aveva
parlato senza rendersi conto che c’erano orecchie estranee ad ascoltarlo.
A essere sincero, Kenneth doveva ammettere che aveva preferito non
approfondire l’argomento. Era più che possibile che una lite tra due persone
irascibili fosse sfociata nella violenza.
Forse George Hampton aveva convinto Helen a lasciare il marito per
andare a vivere con lui e, alla notizia, sir Anthony era stato colto da un raptus
omicida. Oppure la sua misteriosa amante aveva deciso di sbarazzarsi della
rivale e, scoperta la verità, sir Anthony aveva allontanato la donna, incapace
di consegnarla alla giustizia, ma sentendosi in colpa per la morte della
moglie.
Perché quei disgraziati non potevano limitarsi ad andare a letto con i loro
legittimi compagni?
I suoi pensieri furono interrotti dalla voce di Rebecca. — L’espressione
minacciosa va bene ma cerca di rilassarti, altrimenti ti verranno i crampi.
Mentre lui faceva del suo meglio per ubbidire, Ghostie saltò sul divano e
si acciambellò accanto alla sua coscia, in posa perfetta. — Ghostie è un ottimo
modello per un pittore.
— Sa sicuramente rimanere immobile a lungo. — Rebecca si infilò un
grembiule macchiato di colori. — Non ho mai tenuto lezioni di pittura e non
so con sicurezza da che parte si debba cominciare. Come ho già detto, l’arte è
un mestiere, come fabbricare orologi o ferrare cavalli. Un pittore che è un
bravo artigiano non è necessariamente un grande artista, ma alla base della
vera arte c’è sempre il mestiere.
— Ogni indicazione mi è molto utile — dichiarò Kenneth. — Tieni a mente
che ignoro tutto dei colori a olio.
— Benissimo. Gli stupendi dipinti dei grandi maestri del passato venivano
eseguiti con procedure laboriose e lente, e il colore era steso strato su strato
per ottenere effetti particolari. Oggi si preparano i colori necessari fin
dall’inizio. È molto più rapido e si guadagna in spontaneità quello che si
perde in profondità.
— È per questo che tuo padre è così prolifico?
— In parte, ma è anche molto ben organizzato. Prima di mettersi al lavoro,
mescola i colori per ottenere tutte le tonalità che intende usare.
— Immagino che tu ti serva dello stesso metodo.
Rebecca annuì e gli andò vicino per mostrargli la tavolozza. — Ogni artista
dispone i colori secondo un suo sistema personale. Io di solito uso una decina
di pigmenti puri che dispongo lungo il bordo. Poi preparo un’altra fila di
colori, che scelgo a seconda del soggetto che voglio dipingere. Per un
paesaggio, per esempio, la gamma sarebbe molto diversa.
Kenneth studiò la tavolozza.
Rebecca tornò al cavalletto. — Più tardi ti spiegherò nei particolari come si
prepara una tela. Per il momento ti dirò che si inizia stendendo una base
scura su tutta la superficie. La base influirà sul dipinto finito, anche se sarà
interamente coperta.
Con un gesto impaziente, si scostò dalla fronte un ricciolo ribelle. Fu il
tocco finale che fece sciogliere la massa dei capelli, già in equilibrio precario.
Lunghi fino alla vita, formavano una cascata di un caldo oro ramato, con un
effetto di una sensualità provocante.
Con una facilità dovuta alla lunga pratica, Rebecca raccolse i capelli, li
avvolse in uno chignon, che fissò con il manico di legno di un pennello. Prese
quindi la tavolozza con la mano sinistra. — La tela è già preparata, e ho
disegnato a grandi linee le forme principali del quadro. È ora di dare il colore.
Tra una pennellata e l’altra, continuò a parlare, illustrando quello che
stava facendo. Kenneth ascoltava con attenzione, cercando di memorizzare
insegnamenti e consigli che neanche la Royal Academy sarebbe stata in grado
di impartirgli.
E quando lei divenne troppo concentrata sul lavoro per continuare a
parlare, a Kenneth non dispiacque. Seduto sul divano, si trovava in una
posizione ottima per osservarla.
Immaginò di ritrarla nuda, coperta soltanto dal lucente mantello dei
capelli. Si scoprì a immaginare come fosse il suo corpo snello sotto i pratici
abiti che indossava, e si chiese che forma avessero i suoi seni.
A quei pensieri si sentì pervadere da un’ondata di calore. Dannazione!
Avrebbe finito per prendere fuoco se non fosse riuscito a distogliere la mente
da quelle fantasie. Tra poco a Sutterton sarebbe arrivato il momento della
semina. Doveva scrivere per sapere cosa Jack Davidson aveva deciso di
piantare. Il pennello che teneva fermi i capelli di Rebecca avrebbe resistito
fino alla fine della seduta?
La sua mente continuò a divagare, ma alla fine non sopportò più di
rimanere fermo nella stessa posizione e disse: — È tempo di fare una pausa.
Si alzò e si stirò per sgranchire le membra intorpidite. Era passata un’ora.
Forse due. — Non ti stanchi mai quando lavori?
Rebecca sbatté le palpebre, come se fosse appena uscita da un lungo
sonno. — Sì, ma me ne accorgo solo dopo.
— Ghostie è più bravo di me a posare. Giuro che non ha mosso neanche
un baffo. — Kenneth si avvicinò al cavalletto, strofinandosi i muscoli irrigiditi
del collo. — Posso vedere a che punto sei?
— Preferisco mostrartelo quando sarà in una fase più avanzata. — Rebecca
girò il cavalletto, voltando così la tela contro il muro. — Adesso è ora della tua
prima lezione, di pittura. — Gli indicò uno scatolone dicendo: — Scegli alcuni
oggetti e componi una natura morta su quel tavolino.
Kenneth frugò nello scatolone e, aiutato dai suoi suggerimenti, sistemò
un calice di cristallo, una testa di statua greca e altri oggetti su un telo di
morbido velluto.
Quando fu soddisfatto, lei mise una tela su un cavalletto, prese un
pennello e glielo porse con un gesto solenne, dicendogli con un sorriso
incoraggiante: — È giunto il momento di dare la prima pennellata.
Quando si era arruolato nell’esercito, si era visto consegnare un fucile più
o meno nello stesso modo. Con il cuore che gli batteva forte, prese il
pennello.
12

Il sentiero correva tra filari di alberi, e in lontananza spariva nella foschia


dell’alba. Kenneth spronò il cavallo e per qualche minuto riuscì a dimenticare
tutto il resto per godersi la galoppata.
Di solito tornava a casa Seaton tonificato, ma non quel giorno. Il ricordo
della prima lezione di pittura era ancora troppo vivo. Non era andata bene. La
consistenza dei colori a olio era diversissima da quella degli acquerelli, e si
erano dimostrati refrattari a comportarsi come lui voleva.
In confronto a Rebecca, si era sentito un goffo dilettante, anche se nei
suoi pacati commenti non aveva avvertito traccia di derisione. Ciò
nonostante, aveva provato il desiderio di prendere a calci il cavalletto.
Le cose non erano andate meglio la sera, quando si era chiuso nel suo
nuovo studio per fare un secondo tentativo. Non era riuscito a dipingere in
modo decente nemmeno una semplice ciotola. Il risultato, piatto e confuso,
l’aveva fatto vergognare dei suoi sogni ambiziosi.
Tornato a casa Seaton, smontò e condusse il sauro nella stalla. Lo stava
strigliando quando Phelps, lo stalliere, scese dal suo piccolo alloggio che si
trovava sopra la stalla con una pipa stretta tra i denti.
Phelps era l’unico servitore che si trovasse a casa Seaton da molti anni.
Era di carattere taciturno, e per questo non era una gran fonte di
informazioni, ma a Kenneth piaceva la sua compagnia.— Fa freddo
stamattina — commentò. — È difficile credere che fra poco sarà primavera.
Phelps aspirò una boccata dalla sua pipa prima di rispondere. — Non vedo
l’ora di lasciare Londra per i laghi.
— Di solito, quando parte sir Anthony?
— Un paio di settimane dopo l’inaugurazione della mostra alla Royal
Academy.
Dal momento che la mostra apriva il primo lunedì di maggio, la partenza
sarebbe avvenuta solo verso il quindici. Mancavano più di due mesi, e
Kenneth non poté fare a meno di chiedersi se allora avrebbe fatto ancora
parte della famiglia. — Alla signorina Seaton piace la campagna?
— Oh, sì. Le fa bene. A Londra non esce quasi mai di casa.
Kenneth si rese conto che Phelps aveva ragione, e si ripromise di
convincere Rebecca a fare una passeggiata ogni tanto per respirare una
boccata di aria fresca.
— Da quanto ho saputo, anche molti degli amici di sir Anthony vanno ai
laghi.
— È vero. Lady Claxton, lord Frazier e altri cinque o sei hanno la casa
vicino a Ravensbeck. — Phelps fece una smorfia. — Come se non li vedessimo
abbastanza qui a Londra.
— Anche George Hampton vi passa l’estate, vero?
— Solo un paio di settimane, perché non può lasciare il suo negozio di
stampe. Di solito in agosto.
— Ho saputo che è stato Hampton a trovare lady Seaton dopo l’incidente.
Lo stalliere strinse i denti intorno al cannello della pipa. — Già, proprio
così. È stata una brutta giornata. Una bruttissima giornata.
— La sua morte deve essere stata una tragedia terribile.
— Non così terribile, dopotutto — fu la risposta enigmatica di Phelps.
Sorpreso, Kenneth studiò l’espressione dello stalliere. — Ve l’aspettavate?
— Non me l’aspettavo, no. Ma non mi ha sorpreso.
Intuendo che Phelps non intendeva spiegarsi meglio, Kenneth cambiò
tattica: — Ho saputo che George Hampton e lady Seaton erano… molto
intimi.
Phelps sputò per terra. — Troppo intimi. Sir Anthony avrebbe dovuto
frustare Hampton, invece, no, erano amicissimi. E lo sono ancora. Sono un
branco di svergognati.
— È un genere di vita al quale non sono abituato — ammise Kenneth. — E
lord Frazier? Mi sembra il tipo d’uomo che fa il galante con le donne.
— Già. Gli piace soprattutto portarle via a sir Anthony — replicò lo
stalliere con un lieve sorriso. — Non che sir Anthony se ne curi. Ha cose più
importanti per la testa.
Quindi, potevano esserci motivi di rivalità tra i due uomini. Lo stesso
poteva valere per Hampton; la fama di sir Anthony era di gran lunga
superiore a quella dei suoi amici. Kenneth avrebbe voluto fare altre domande
a Phelps, masi astenne per non insospettirlo.
Tornando verso casa rifletté su quello che aveva appreso. Trovava molto
interessante che Phelps non fosse rimasto sorpreso dalla morte di lady
Seaton. Forse Helen era il tipo di donna che dava l’impressione che non
sarebbe vissuta fino a tarda età. Kenneth ne aveva conosciute di persone
simili, che recavano su di sé il marchio del destino. Forse vivevano troppo in
fretta, consumando la loro parte di mortalità prima degli altri.
Maria era stata così. Inconsciamente, lui aveva sempre saputo che il suo
tempo era limitato. Forse era stato quello a dare un’intensità struggente alla
loro relazione.
Kenneth si lavò, si cambiò e scese per fare colazione. Rebecca,
diversamente dal solito, era già alzata e sbadigliava davanti a una tazza di
caffè. Aveva gli occhi assonnati e i capelli erano raccolti in modo
approssimativo con un nastro verde. Era adorabile. — Buongiorno. Sei in
piedi prima del solito.
— Non per mia scelta — si lamentò lei. — Odio la gente che è allegra alle
prime luci dell’alba.
— L’alba è sorta parecchio tempo fa. Il parco era bellissimo, con il sole che
brillava attraverso la nebbia.
— Dipingilo.
— Non credo che riuscirei a rendere giustizia a una scena così suggestiva.
— Ci riuscirai. Con il tempo.
Kenneth si riempì il piatto di uova, prosciutto e fette di pane e andò a
sedersi di fronte a lei. — La pazienza non è mai stato il mio forte.
— Non l’avrei mai detto — commentò lei con ironia.
— Quando sei irritata, sembri una gatta che rizza il pelo color carota.
— I miei capelli non sono color carota. Hanno una decorosa sfumatura
ramata.
— Quasi decorosa. A proposito, oggi pomeriggio devo incontrare
l’avvocato di tuo padre, così potrò posare solo dopo le tre. — Kenneth mangiò
con appetito. — Il parco è davvero delizioso. E tu non esci abbastanza. Vuoi
che ti accompagni a vedere i fregi del Partenone che si trovano al British
Museum?
— No! Non mi va di essere scorrazzata per Londra come una ragazzina.
— Devi respirare un po’ di aria fresca e prendere un po’ di sole, altrimenti
ti ammalerai.
— Ecco due cose che in marzo a Londra non esistono quasi.
Kenneth abbandonò il tono scherzoso. — Abiti in una delle più eccitanti
città europee, e vivi come un’eremita.
— Passo molto tempo all’aria aperta d’estate. Londra è troppo sporca e
rumorosa.
Istintivamente, lui le chiese: — È questo il vero motivo, oppure è perché
di senti una reietta della società?
Rebecca abbassò la testa e rimase a lungo in silenzio prima di rispondere.
— So che è una vigliaccheria da parte mia, ma non mi sento a mio agio in
posti dove posso incontrare gente che mi conosce.
— Sono passati quasi dieci anni dalla tua fuga romantica. Avranno ormai
dimenticato quello scandalo.
Rebecca sorrise senza allegria. — Sottovaluti la memoria della gente
perbene. Non meno di sei mesi fa, sono stata snobbata da una vecchia
compagna di scuola, che avevo incontrato per caso. Non è stata un esperienza
piacevole. Sono sicura che anche nell’esercito si impara qualcosa
sull’ostracismo sociale. Oppure ti avevano accettato perché era evidente che
venivi da una famiglia rispettabile?
— Per pura e semplice testardaggine, non ho nemmeno cercato di
convincere gli altri ufficiali che, da un punto di vista sociale, ero un loro pari.
È stato molto istruttivo. Alcuni mi disprezzavano per la mia presunta bassa
estrazione sociale, ma la maggior parte mi ha accettato quando ho dimostrato
la mia competenza. — Kenneth pensò a Michael Kenyon. — Pochi poi mi
hanno apprezzato per quello che ero, e sono diventati miei amici.
Rebecca sospirò. — Sei più coraggioso di me. Io preferisco evitare la
società piuttosto che sfidarla.
Kenneth pensò che se avesse occupato la posizione sociale alla quale
aveva diritto per nascita e per il suo titolo, avrebbe potuto aiutare Rebecca a
uscire di nuovo e a stringere amicizie.
Anzi, se Michael e Catherine fossero venuti a Londra per la Stagione,
sarebbero stati felici di ricevere Rebecca. Purtroppo, sarebbe stato
irrealizzabile finché lui fosse stato per tutti il segretario di sir Anthony.
Ma forse c’era un modo migliore per far sì che Rebecca uscisse dal suo
isolamento. — Potresti crearti uno spazio nella società se esponessi le tue
opere. Un’artista come Angelica Kauffmann era ricevuta ovunque, anche se
correvano voci scandalose sul suo conto.
L’espressione di Rebecca s’indurì. — Non ho nessun desiderio di mettere
in mostra i miei quadri.
— Almeno, presentane alcuni alla rassegna di quest’anno — insistette
Kenneth.
Lei appallottolò il tovagliolo e lo scagliò a terra, alzandosi in piedi. — Non
sai ascoltare, capitano. Ho detto che la cosa non m’interessa. — Girò sui
tacchi e uscì dalla saletta.
Kenneth la seguì con lo sguardo, accigliato. Era un peccato che avesse
tanta paura di varcare i confini del suo mondo ristretto e sicuro. Doveva
riuscire a farle cambiare idea. Mentre si dirigeva in ufficio, si chiese perché si
sentisse in obbligo di aiutarla, ed ebbe lo sgradevole sospetto che il suo fosse
un modo di fare ammenda per il male che le avrebbe sicuramente inflitto.

Rebecca si chiuse nello studio, sbattendosi la porta alle spalle. Si pentiva


di non aver fatto colazione in camera, come era sua abitudine. Dover
affrontare un maschio insopportabile e arrogante di prima mattina era un
pessimo modo per iniziare la giornata.
Soprattutto perché lui aveva ragione.
Accidenti a quell’uomo! Afferrò un cuscino e lo scagliò attraverso la
stanza. Prima del suo arrivo, era soddisfatta della propria vita. Aveva la sua
pittura… aveva…
Ben poco d’altro.
La sua esperienza della vita mondana si limitava all’osservazione della
gente che frequentava la loro casa. Timida di natura, dopo aver perso la
rispettabilità si era chiusa ancor di più in se stessa. Poi, Helen Seaton era
morta, e qualcosa di vitale si era spezzato dentro di lei. Da allora non era più
riuscita a dipingere niente di eccezionale. Tutti i quadri che Kenneth aveva
classificato come degni di nota risalivano a un periodo precedente, e lei si
rifiutava di sottoporli alla Royal Academy perché sapeva di non essere più in
grado di uguagliarne la qualità.
Con un sospiro, si lasciò cadere sul divano. Il tappeto persiano era soffice
dietro alle sue spalle, e poteva quasi immaginare che conservasse ancora il
calore del suo corsaro.
Il ritratto di Kenneth era il primo lavoro al quale si era dedicata con
entusiasmo da quando la madre era morta.
Un pensiero doloroso le attraversò la mente. Si immobilizzò. C’era un
altro quadro che avrebbe dovuto dipingere, uno che avrebbe richiesto tutto il
suo coraggio.
Prima di abbandonarsi alla disperazione, prese un album e cominciò a
disegnare una donna che stava precipitando nel vuoto.

Dopo aver incontrato l’avvocato di sir Anthony, con il quale aveva


discusso di normali questioni finanziarie, Kenneth si fermò all’ufficio
postale. C’era ad aspettarlo una lettera di Jack Davidson, nella quale l’amico
gli descriveva i progetti per la primavera allegando un preventivo dei costi.
Facendo un rapido calcolo, Kenneth constatò che il denaro risparmiato sullo
stipendio sarebbe dovuto bastare, sempre che non si fossero verificate
emergenze improvvise.
Rilesse con attenzione l’ultimo paragrafo della lettera, dove Jack passava
dagli affari a questioni personali.

Kenneth, non riuscirò mai a ringraziarvi abbastanza per avermi fatto


venire a Sutterton. Avevo dimenticato com’è piacevole vivere a contatto
con la campagna. Avevo anche dimenticato il fascino dolce di una vera
signora inglese. Vostra sorella è stata di una gentilezza meravigliosa.

Seguiva una frase cancellata, quindi:

È prematuro per me pensare di poter corteggiare la signorina Wilding,


ma accenno ora all’argomento in modo che possiate riflettere con calma
alla risposta che mi darete quando verrà il giorno in cui potrò chiedere
la sua mano.
Rispettosamente vostro,
Jack Davidson.

Kenneth sorrise mentre infilava la lettera in tasca. Dalle missive di Beth


aveva già intuito che lei era altrettanto attratta da Jack. I due sembravano
fatti l’uno per l’altra.
Tuttavia, pensò ridiventando serio, combinare matrimoni era una
faccenda rischiosa, e ora nutriva sentimenti contrastanti sul risultato di
quella relazione. Non sull’unione in se stessa; anche se Jack non era brillante
da un punto di vista mondano, non avrebbe potuto pretendere un marito
migliore per la sorella. Ma non ci sarebbe stato nessun matrimonio se la
coppia non avesse avuto abbastanza denaro per mantenersi, e Beth e Jack
dipendevano da lui. Ciò significava che doveva portare a termine l’incarico
affidatogli da lord Bowden e che i suoi desideri personali passavano in
secondo piano.

Giunto a casa Seaton, Kenneth, appese il mantello e il cappello e si recò


nello studio per informare sir Anthony che era tornato. Arrivato sulla porta si
arrestò, affascinato dalla scena che si presentò ai suoi occhi. Sapeva che sir
Anthony doveva iniziare il ritratto di un gruppo composto da due aristocratici
con le rispettive mogli, ma non sapeva che le due donne erano gemelle, e
praticamente identiche. Sir Anthony le aveva disposte in modo che una
sembrasse l’immagine riflessa dell’altra.
Alla seduta erano presenti anche diversi amici delle due coppie che, con le
loro risate e le loro chiacchiere, avevano trasformato una giornata grigia in
una festa.
Dopo aver dato ordine ai domestici di servire i rinfreschi, Kenneth di
diresse in camera sua per prepararsi alla seduta con Rebecca. Aveva già
messo un piede sul primo gradino quando il suo sguardo cadde su un quadro
al quale non aveva mai dedicato una particolare attenzione.
Rappresentava la morte di Socrate. Circondato dai discepoli in lacrime, il
grande filosofo teneva in mano la tazza di cicuta. Non era un brutto dipinto
ma, anche se eseguito con tecnica notevole, era privo di anima.
Ricordandosi che era sempre meglio di quanto lui riuscisse a fare, stava
per salire quando una voce maschile disse in tono flemmatico: — Vi piacciono
i soggetti classici, capitano?
Voltandosi, vide l’amico di sir Anthony, lord Frazier, che era appena
arrivato. Notando la luce che brillava nel suo sguardo, Kenneth rispose con
tatto: — Sì, milord. Quello di Socrate è un soggetto di grande carica emotiva.
È opera vostra?
Soddisfatto, Frazier si tolse il cappello bagnato e lo scrollò. — L’ho dipinto
cinque anni fa. L’ho esposto all’accademia, e ho anche ricevuto diverse
offerte lusinghiere, ma le ho respinte, naturalmente. Sono un gentiluomo,
non un commerciante. Poiché sir Anthony ne era entusiasta, gliel’ho regalato.
Se sir Anthony l’aveva elogiato, era stato di certo per gentilezza verso un
amico; perché era un quadro anonimo. Tenendo quel pensiero per sé,
Kenneth chiese: — Eseguite molti quadri storici?
— Naturalmente. Sono gli unici soggetti che valga la pena dipingere. L’arte
deve essere l’espressione di sentimenti elevati, senza l’interferenza di volgari
elementi umani. — Frazier sporse le labbra. — È un peccato che sir Anthony
debba dipingere ritratti per guadagnarsi da vivere. Dovrebbe dedicare più
tempo ai suoi quadri storici.
La velata malignità del commento confermava le allusioni dello stalliere.
Benché lord Frazier e sir Anthony fossero amici di lunga data, il primo
nutriva un certo rancore per il successo dell’altro.
— Forse i suoi ritratti non hanno la grandiosità dei quadri storici, ma sono
ottimi nel loro genere — disse Kenneth. — Quello di lady Seaton che si trova
in ufficio è stupendo.
— Ricordo il giorno in cui ha iniziato a dipingerlo — disse Frazier, con lo
sguardo perduto nel vuoto. — Eravamo una decina di amici e avevamo fatto
un picnic sul prato di Ravensbeck. Dopo aver bevuto una bottiglia di
champagne, Anthony disse che Helen era così incantevole che doveva
immortalarla a tutti i costi e che doveva farlo all’aria aperta per catturare
l’effetto della luce. Abbiamo riso tutti di lui… solo uno sciocco preferirebbe
dipingere all’aperto piuttosto che nell’atmosfera raccolta di uno studio.
Comunque, è un ritratto riuscito. — Scosse la testa con rimpianto. — Poche
settimane dopo, Helen è morta.
— Vi trovavate nella regione dei Laghi quando si è verificato l’incidente di
lady Seaton?
— Sì. Anzi, quella sera lei e Anthony avrebbero dovuto cenare con me. Il
lavoro di Anthony non è stato più lo stesso dopo la morte della moglie. Mi
preoccupa che non riesca più a riprendersi dalla sua perdita.
— Davvero? Mi sembra che i suoi quadri su Waterloo siano all’altezza
delle sue opere precedenti.
— Non c’è dubbio che siano validi — dichiarò Frazier con un’ombra di
altezzosità — ma se voi foste un artista vi accorgereste di alcune sottili
differenze.
Sforzandosi di dimostrarsi impressionato dalla sua competenza, Kenneth
disse: — Se il dolore ha influito sul lavoro di sir Anthony, allora è stata una
doppia tragedia.
— Nella sua reazione c’è qualcosa di più del dolore — replicò l’uomo,
parlando quasi tra sé. — È quasi come… come un senso di colpa.
— Cosa intendete dire?
Dal volto di Frazier sparì ogni espressione. — Niente. Non avrei dovuto
parlare. — Chinò la testa e si lisciò una manica. — Anthony è libero? Ero
venuto a chiedergli se vuole venire con me alla galleria Turner.
— È impegnato a eseguire un ritratto, ma sono sicuro che non avrà niente
in contrario se entrate per salutarlo.
— Non occorre. Ditegli che sono passato e che lo vedrò stasera al club.
Dopo che Frazier se ne fu andato, Kenneth rifletté sulle sue parole. Anche
se era invidioso del successo dell’amico, si era affrettato a far marcia indietro
dopo essersi lasciato sfuggire che sir Anthony potesse avere qualche motivo
di sentirsi in colpa. Era una dimostrazione di lealtà ma, così facendo, forse
non era leale nei confronti della memoria di lady Seaton.
13

Rebecca guardò per caso fuori dalla finestra e vide Kenneth che rientrava.
Ma poiché non si decideva a salire per la prevista seduta, decise di scendere
per vedere cosa lo trattenesse.
Giunse in cima alle scale nel momento in cui Frazier usciva, e stava per
scendere quando la porta si aprì di nuovo, lasciando entrare una folata di aria
fredda e umida. Doveva trattarsi di amici delle due coppie che suo padre stava
ritraendo, così si fermò per aspettare che i nuovi arrivati fossero
accompagnati nello studio.
Un attimo dopo, una voce squillante esclamò: — Kenneth!
Una donna entrò con incedere aggraziato nel campo visivo di Rebecca. —
Che splendida sorpresa! — Si gettò tra le braccia di Kenneth e lo baciò. Così
facendo, il cappuccio le scivolò sulle spalle.
Le dita di Rebecca, strette attorno alla ringhiera, sbiancarono. La donna
era la creatura più bella che lei avesse mai visto, una bruna affascinante con
un viso molto espressivo.
E non si poteva dire che Kenneth la respingesse. Anzi, dopo aver lanciato
un rapido sguardo all’atrio, abbracciò la bruna, mormorandole qualcosa
all’orecchio.
— Dovevi avvertirci che eri qui a Londra, Kenneth. — La donna si scostò,
ridendo. — Oppure adesso dovrei chiamarti lord Kimball?
Rebecca sussultò e si aggrappò alla ringhiera. Lord Kimball?
— Non osare — stava rispondendo Kenneth. — Ci conosciamo da troppo
tempo per simili formalità, Catherine.
Un gentiluomo elegante apparve dietro la donna e strinse la mano di
Kenneth tra le proprie. — Mio Dio, quanto tempo è passato? — disse, con un
ampio sorriso. — Quasi due anni.
Kenneth gli strinse la spalla con la mano libera. — L’ultima volta che ci
siamo visti non conta, Michael, perché eri più morto che vivo.
— Come puoi vedere, adesso sono in forma perfetta. — Il nuovo arrivato
fece scivolare un braccio intorno alla vita della donna. — Non potrei stare
meglio.
— Ci è dispiaciuto molto che tu non sia potuto venire al battesimo, ma il
disegno che ci hai mandato è meraviglioso.
Intontita, Rebecca ascoltava. Era chiaro che l’uomo e la donna erano
sposati, e che Kenneth e Catherine erano legati solo da una profonda
amicizia. Tuttavia… lord Kimball?
— Cosa vi porta a casa Seaton? — stava chiedendo Kenneth.
— Alcuni nostri amici si stanno facendo fare un ritratto — rispose l’uomo.
— Ci hanno invitato a tener loro compagnia. Anche tu sei qui per un ritratto?
— Io lavoro per sir Anthony — rispose Kenneth. — Sono il suo segretario.
I suoi amici parvero molto stupiti, ma si ripresero subito. — Dev’essere
meraviglioso poter vivere circondati da opere d’arte — dichiarò Catherine.
Suo marito aggiunse: — Puoi cenare con noi domani?
— In questo momento, non sono in grado di dirtelo — rispose Kenneth. —
Te lo farò sapere. Dove abitate?
— A casa Ashburton. — Michael gli prese di nuovo la mano. — Amy andrà
su tutte le furie se non ti farai vivo il più presto possibile.
Stordita, Rebecca si appoggiò alla parete mentre la coppia si congedava. Si
era illusa che tra lei e Kenneth ci fosse un’affinità speciale, invece scopriva di
non conoscere nemmeno il suo nome.
Udì troppo tardi il rumore di passi che salivano le scale e, pochi attimi
dopo, Kenneth era di fronte a lei.
Dopo un lungo istante di tensione, lui disse: — Suppongo che tu abbia
udito la conversazione con i miei amici.
— Lord Kimball? — replicò lei, in tono gelido.
Kenneth trasalì. — Andiamo nel tuo studio. Là potremo parlare senza
essere disturbati. Inoltre, penso che una tazza di tè farà bene a tutti e due.
Senza darle il tempo di replicare, la precedette e, una volta nello studio, si
avvicinò subito al camino per prendere il bollitore. Sapendo che sarebbe
tornato infreddolito, Rebecca aveva già fatto scaldare l’acqua e aveva anche
preparato un vassoio di pasticcini. Una scenetta davvero romantica. Quanto
era stata sciocca!
Dopo aver versato l’acqua nella teiera, lui si raddrizzò e le rivolse un
sorriso esitante, come se sperasse di rabbonirla. — Stai di nuovo rizzando il
pelo come una gatta infuriata.
— Mi puoi biasimare? Sei una fonte infinita di sorprese. Prima scopro che
sei un artista, e ora che sei un nobile in incognito. Cosa ci fai in questa casa,
lord Kimball?
— Il segretario — rispose lui in tono conciliante. — A giudicare dalla tua
reazione, consideri grave che lo abbia tenuto nascosto il mio titolo.
— L’anno scorso mio padre fece un ritratto a lady Kimball — replicò
Rebecca in tono sferzante. — È riuscito molto bene, ma è ovvio che non puoi
non saperlo. Tua moglie è una donna molto bella, lord Kimball.
Kenneth la fissò a bocca aperta. Quindi imprecò: — Cristo, la donna in
questione non è mia moglie, Rebecca. È la mia matrigna.
Fu la volta di Rebecca di restare a bocca aperta. Si lasciò cadere sul divano,
ricordando che Kenneth le aveva parlato del matrimonio del padre con una
ragazza. — Capisco — disse, più calma. — Ma questo non spiega perché stai
lavorando come segretario e perché hai nascosto di essere un nobile.
Kenneth le porse una tazza piena di tè. — Non c’è niente di misterioso.
Quando mio padre morì, diversi mesi fa, ereditai soltanto debiti. Avevo
bisogno di lavorare e qualcuno mi indirizzò a tuo padre. Temevo che non
avrei ottenuto il posto se avessi detto di essere un nobile. Inoltre, preferisco
che mi chiamino capitano.
Almeno quello è un titolo che mi sono guadagnato, mentre il viscontado
dipende solo dalla mia nascita.
— La tua situazione finanziaria è talmente disperata da obbligarti ad
accettare un posto così umile? — chiese lei, poco convinta. — Ricordo che
lady Kimball sfoggiava dei gioielli di gran valore, e immagino che parecchi
facciano parte del patrimonio di famiglia.
Kenneth prese la propria tazza e andò a sedersi all’estremità opposta del
divano. — È esatto — rispose con una smorfia amara. — Ma il testamento non
parlava di gioielli, ed Hermione sostiene che mio padre glieli ha regalati.
Sono sicuro che mente, perché mio padre aveva un forte senso della
tradizione, e aveva già provveduto a Hermione, ma poiché era onesto e
infatuato, non gli è passato per la mente che il suo tesoruccio avrebbe tentato
di impadronirsi anche dei cimeli di famiglia.
— Non puoi ricorrere alle vie legali?
Kenneth scosse la testa. — Il mio avvocato dice che, non essendo citati nel
testamento, sarebbe praticamente impossibile riavere i gioielli. È un vero
peccato. Oltre a quelli che sarebbero passati alla prossima viscontessa, ce
n’erano alcuni che mia madre aveva destinato a mia sorella minore.
Dunque, c’era anche una sorella, un altro particolare che le aveva tenuto
nascosto. — Può darsi che i gioielli siano persi per sempre, ma tuo padre ti
avrà pur lasciato delle proprietà.
— Ho ereditato la residenza di famiglia, Sutterton, nel Bedfordshire. Un
tempo era una tenuta che rendeva molto bene, ma mio padre non se n’è più
interessato dopo essere rimasto vedovo. Quando Hermione pretese di venire
a vivere a Londra, lui la ipotecò per comprare una casa in città, che è rimasta
a lei.
Il dolore era così intenso nei suoi occhi che l’ira di Rebecca svanì del
tutto. — Non si può fare niente per salvare la proprietà?
— C’è… forse c’è un modo. — Kenneth posò la tazza, si alzò e prese a
passeggiare avanti e indietro, terribilmente irrequieto. — Sto valutando una
possibilità, ma ci vorrà del tempo prima di conoscerne i risultati.
Rebecca intuì che le stava dicendo la verità, ma non tutta la verità. — Mi
nascondi qualcosa d’importante.
— Ammetto di aver imparato a essere reticente quando fui abbastanza
grande da scoprire che disegnare, la cosa che amavo fare più di ogni altra, non
si confaceva all’erede di un visconte. E temo che operare come agente segreto
in Spagna mi abbia reso ancor più evasivo.
— Non tentare di approfittare della mia comprensione. Mi stai
nascondendo qualcosa di molto preciso, e questo ti turba.
— Dovrei sapere che e inutile mentire a un’artista. — Kenneth andò alla
finestra e rimase per un attimo a fissare in silenzio la, pioggia. — Hai ragione.
Sono implicato in qualcosa di cui non posso discutere. Credimi, Rebecca, mi
dispiace non poter essere sincero con te fino in fondo. A volte si è costretti ad
agire contro la propria natura, anche se ciò provoca dolore e rimorsi.
Lei si alzò e andò a mettersi al suo fianco, davanti alla finestra, per
poterne osservare il profilo e studiare gli eventuali cambiamenti di
espressione. — Sei venuto qui per far del male a me o a mio padre?
Le rughe intorno ai suoi occhi divennero più accentuate. — Come soldato,
ho fatto del male a troppa brava gente per colpa della guerra — rispose
Kenneth, in tono sofferto. — Ho giurato che non avrei mai più torto un
capello a un innocente.
Senza dubbio si stava comportando di nuovo da sciocca, ma Rebecca gli
credeva. Fu colpita da un pensiero più inquietante. — Stai nascondendo una
moglie, o una fidanzata?
— No — rispose lui con prontezza. — Niente del genere.
Il sollievo che provò fu così forte da farle capire fino a che punto
desiderava saperlo libero da legami. Sperando che fosse troppo assorto nei
propri pensieri per notare la sua reazione, disse: — Ci sarà stata qualche
donna importante nella tua vita.
Kenneth deglutì. — C’era… c’era una donna in Spagna. Maria. Si era unita
ai guerriglieri per combattere i francesi. L’ho conosciuta perché, come agente
segreto, avevo spesso contatti con loro. In teoria, ha rifiutato la mia proposta
di matrimonio perché non ero cattolico. In realtà, il suo paese aveva la
precedenza su tutto il resto.
A Rebecca tornò alla mente il ritratto della focosa bellezza che aveva visto
tra i disegni di Kenneth. Doveva essere la sua Maria, ed era evidente che il
loro non era stato un amore platonico.
— Adesso la Spagna è libera — disse, con voce inespressiva. — Forse
dovresti proporglielo di nuovo.
— È stata catturata e uccisa dai francesi.
Rebecca intuì che avrebbe preferito non rivelare un episodio così penoso
del suo passato. E che forse l’aveva spinto il desiderio di compensare con
quella rivelazione ciò che le teneva segreto.
— Mi dispiace — mormorò. Gli posò una mano sul braccio e sollevò il
volto per sfiorargli le labbra con le proprie.
Kenneth si voltò verso di lei, le fece scivolare una mano dietro la testa e
d’un tratto la pietà di trasformò in passione. Il suo bacio divenne più ardente
mentre con le dita le accarezzava la pelle sensibile della nuca. Le forcine
sfuggirono dai capelli, che ricaddero sciolti sulle spalle e lungo la schiena.
Rebecca si premette contro di lui e, facendo aderire le proprie curve al suo
corpo muscoloso, avvertì l’intensità pulsante della sua virilità.
Prendendola tra le braccia, Kenneth la strinse forte e per pochi attimi
frenetici la passione regnò sovrana.
Poi, lui interruppe il bacio e scostò la testa. — Non avresti dovuto farlo —
disse con voce roca.
— No, non avrei dovuto. — Rebecca si sollevò in punta di piedi e gli
mordicchiò il labbro inferiore.
Con un gemito, lui si impadronì di nuovo della sua bocca. Le loro lingue si
intrecciarono, calde e avide.
Kenneth le posò una mano sul seno, stuzzicando il capezzolo attraverso il
tessuto. E lei trasalì, pervasa da una sensazione inebriante. Avrebbe dovuto
preoccuparsi al pensiero di quello che sarebbe potuto succedere, ma in quel
momento se ne infischiava di dar retta al buonsenso.
Kenneth la sollevò tra le braccia e attraversò la stanza. Aggrappata a lui,
Rebecca gli leccava la gola e la linea della mandibola, gustando il sapore della
sua pelle.
Un istante dopo lui la lasciò andare e fece un passo indietro, ansimando.
— Rossa, tu sei una vera minaccia.
Dopo un attimo di smarrimento, Rebecca si riprese e sorrise con aria
maliziosa. — Una minaccia. Mi piace. È ora che cominci a godere dei vantaggi
che derivano dall’essermi rovinata la reputazione.
— Farmi impazzire può essere un godimento per te, ma non voglio
sedurre la figlia del mio datore di lavoro, e allungare così l’elenco dei miei
peccati.
Rebecca si mise a sedere, muovendosi con provocante lentezza. Anche se
non era una bellezza, dal suo sguardo era evidente che lui la desiderava, e
quel pensiero la inebriava. — Ma tu non mi stavi seducendo. Al contrario. Ora
che la questione è risolta, possiamo continuare?
— No! — Kenneth si passò le dita nei capelli e le voltò le spalle. — Se
soltanto tu sapessi…
— Siamo da capo con i segreti — commentò lei, sentendo svanire
l’eccitazione di poco prima. — Non riesco a immaginare di quali colpe
potrebbe macchiarsi un uomo che si comporta con tanta ostinata rettitudine.
— Allora, non sforzarti di farlo — ribatté lui con veemenza. — A Dio
piacendo, quello che temo non si verificherà mai.
Rebecca osservò la grazia felina con cui si muoveva, la carica di energia
che sprigionava da lui, e provò il desiderio di catturare i lati più oscuri della
sua personalità sulla tela, visto che non era riuscita a catturarlo fisicamente.
— Se hai accettato di lavorare per mio padre in attesa che i tuoi problemi
economici si risolvano, non resterai qui a lungo. Sarà meglio che mi affretti a
terminare il quadro — disse, andando al cavalletto, impaziente. — È ora di
cominciare, lord Kimball.
Lui si diresse al divano togliendosi giacca e cravatta e slacciando la
camicia. — Il mio nome è Kenneth.
In quel momento, al pensiero che era un nobile, a Rebecca venne in
mente un ovvia soluzione ai suoi problemi finanziari. Chiedendosi come
avrebbe reagito, disse: — Sei vuoi conservare Sutterton, perché non sposi
un’ereditiera? Ci sono un sacco di ricchi borghesi che sarebbero disposti a
concedere le loro figlie, più una ricca dote, per conquistare un visconte come
genero.
Kenneth la fissò, chiaramente inorridito. — Che tu ci creda o no, non mi è
mai passato per la testa. Probabilmente perché è un’idea rivoltante.
— Simili matrimoni sono una tradizione consolidata.
— E poi accusano gli uomini di essere calcolatori — borbottò Kenneth. —
Rimettiti a dipingere, Rossa.
Quel soprannome cominciava a piacerle; c’era qualcosa di intimo e di
scherzoso nel modo in cui lo diceva. Prese in mano la tavolozza e, mentre
applicava una prima pennellata di colore, le venne in mente la logica
conseguenza del consiglio che gli aveva appena dato.
Lei stessa era un’ereditiera. Non solo era l’unica erede di suo padre, ma
aveva anche ricevuto un considerevole patrimonio dalla madre, un
patrimonio che controllava di persona.
Era ovvio che a Kenneth ripugnava l’idea di sposare un’estranea per soldi.
Sarebbe stato disposto a sposare lei? E lei avrebbe accettato? La prospettiva
le procurò un miscuglio di eccitazione e paura. Era vero che non voleva
rinunciare alla sua libertà, ma detestava pensare che Kenneth fosse ridotto in
povertà per colpa di un padre irresponsabile e una matrigna avida.
— Qualcosa non va? — chiese Kenneth.
Rebecca si accorse che, abbassata la tavolozza, lo stava fissando con
un’intensità che doveva sembrargli sconcertante. — Valutavo la luce —
borbottò, sforzandoti di concentrarsi di nuovo sulla tela.

Costretto all’immobilità, Kenneth ne approfittò per schiarirsi le idee.


L’abilità con cui Rebecca riusciva a leggergli nella mente era pericolosa. Per
fortuna, sembrava che gli avesse creduto quando aveva dichiarato di aver
giurato di non fare mai più un torto a un innocente. Pregava il cielo che sir
Anthony fosse innocente.
Inoltre, la sua sfrontata sensualità era non meno pericolosa del suo
intuito. Era un groviglio affascinante di timidezza e di impudenza, e
avrebbero dovuto dargli una medaglia per essersi fermato prima di
commettere qualcosa di irreparabile.
Per combattere il tedio di dover stare immobile, Kenneth si divertì a
osservare lo chignon di Rebecca, che si scioglieva un po’ di più ogni volta che
girava la testa. Alla fine, un ultimo movimento brusco liberò la massa lucente
dei capelli, che ricaddero come un mantello fino alla vita.
A quel punto, si alzò in piedi con un gemito. — Basta così, Rossa. È quasi
ora di cena, e tu sei senza pietà.
Lei batté le palpebre, strappata al suo fervore creativo. — Se vuoi fare una
pausa, basta che tu lo chieda. — Posò la tavolozza e si stirò come una gatta. —
Il signore che hai incontrato prima nell’atrio è un ex commilitone?
— Michael era l’ufficiale che mi ha raccomandato per la promozione a
capitano. Lui se ne infischiava delle mie origini, così era l’unico al quale
avevo detto la verità.
— Mi è parso anche che non sia rimasto molto colpito dal fatto che ora
lavori come segretario. — Rebecca raccolse di nuovo i capelli. — Chi è la Amy
che hanno nominato?
Benché il suo tono fosse noncurante, Kenneth notò divertito un’ombra di
gelosia. — È la figlia tredicenne di Catherine. Un tempo le davo lezioni di
disegno.
Attraversò la stanza e prese uno dei pasticcini alle mandorle prima di
rivolgersi di nuovo a Rebecca. — Poiché il mio titolo non è più un segreto,
potremmo anche approfittarne.
— In che senso? — chiese lei con diffidenza.
— Per rifarti una reputazione. Michael Kenyon è un eroe di guerra, è
fratello di un duca, e ha un’ottima posizione sociale. Sono sicuro che lui e
Catherine sarebbero felici di riceverti a casa loro, e di presentarti ai loro
amici. In men che non si dica saresti di nuovo una persona rispettabile.
Rebecca si morse il labbro, per niente attratta da quella prospettiva. —
Perché dovrebbero ricevere un’estranea che gode di una pessima
reputazione?
— All’inizio lo farebbero perché sarei io a chiederglielo. Ma dopo averti
conosciuto, ti accetteranno per quello che sei. Credo che ti piacerebbero tutti
e due.
Rebecca abbassò gli occhi e iniziò a pulire un pennello con uno straccio. —
Perché una donna come Catherine Kenyon dovrebbe sprecare il suo tempo
con me?
— Perché è la persona più cordiale e più generosa che si possa conoscere.
Nell’esercito era soprannominata Santa Caterina per la sua opera di
infermiera.
— Un modello di virtù. — Scura in volto, Rebecca infilò il pennello in un
barattolo di acquaragia. — Mi disprezzerebbe a prima vista.
— Ti sarebbe di aiuto se ti dicessi che, per comodità, non si vergognava di
indossare i calzoni? Oppure che ha adottato un buffissimo cane randagio e
l’ha chiamato Napoleone?
— Sembra un tipo abbastanza interessante — ammise Rebecca, con un
sorriso riluttante. — Ma non sono sicura di voler essere riabilitata. La vita di
società di solito è di una noia mortale.
— È verissimo. — Kenneth prese un altro pasticcino. — Ma anche essere
una reietta non è molto divertente. Pensa che piacere sarebbe per te
incontrare una delle tue odiose compagne di un tempo mentre sei ospite di
lord e lady Kenyon.
— Stai cercando di far leva sui miei istinti più bassi.
— Sei tu l’esperta nel far leva sugli istinti più bassi — ribatté Kenneth con
ironia.
Lei arrossì e abbassò gli occhi. — Rifletterò sulla tua proposta.
Kenneth sperava che avrebbe accettato. Aveva bisogno di amici e aiutarla
a trovarne avrebbe alleviato un po’ i suoi rimorsi, anche se non era
abbastanza.
14

L’indomani mattina, Rebecca fece colazione in camera per non dover


affrontare Kenneth. Poi, poiché voleva parlare con il padre e sapeva di
doverlo fare prima che iniziasse a lavorare, scese nello studio.
Lui stava studiando il dipinto di Wellington quando entrò. — Cosa ne
pensi? — le chiese.
Rebecca esaminò la tela con aria critica. — Si può quasi avvertire l’odore
della polvere da sparo, e il duca ha l’aspetto di un autentico condottiero.
— È anche merito dei consigli di Kenneth. La mia serie su Waterloo farà
scalpore alla mostra di quest’anno.
— Senza ombra di dubbio. — Rebecca sorrise; a volte il padre era come un
bambino nella sua candida arroganza. — A proposito, lo sapevi che Kenneth è
un visconte?
— Oh? — In un primo momento, sir Anthony non parve comprendere la
notizia, ma subito dopo si accigliò. — Wilding. È il visconte Kimball?
Rebecca annuì. — Hai fatto un ritratto alla sua matrigna.
— Sì, ora ricordo. Un’ossatura stupenda, ma una donna di un egoismo
incredibile.
Decidendo che era giunto il momento di accennare al vero scopo della sua
visita, Rebecca disse: — Kenneth mi ha proposto di sfruttare le sue
conoscenze per riabilitarmi agli occhi della società. Cosa ne pensi?
— È necessario?
— Hai dimenticato che, a causa del mio comportamento scandaloso, è da
quando avevo diciotto anni che non sono gradita nei salotti rispettabili?
— Non l’ho dimenticato, ma in realtà non ho mai preso davvero in
considerazione le possibili conseguenze. È il genere di problemi che lasciavo
a tua madre. Suppongo di aver pensato che, una volta placatosi lo scandalo, ti
fossi chiusa in casa per tua libera scelta. — Sir Anthony storse la bocca. — So
di non essere un bravo padre, ma è spiacevole sentirselo ricordare.
— Tu sei il padre giusto per me — replicò Rebecca, commossa.
— Ciò nonostante, avrei dovuto essere più presente. Imporre regole un
po’più severe.
— Spero non vorrai cominciare adesso — protestò lei. — Sono troppo
vecchia per imparare a ubbidire.
Suo padre sorrise con un’ombra di tristezza. — Non è necessario. Non sei
riuscita male, anche se non è merito mio.
— Non affliggerti, papà. Se la vita mondana fosse stata importante per me,
già da anni avrei trovato il modo di parteciparvi. Ora ci penso soltanto perché
Kenneth desidera introdurmi in società. A essere sincera, preferirei farne a
meno.
— Segui il consiglio di Kenneth — le suggerì il padre. — La tua nascita ti dà
il diritto di frequentare le sfere più alte, ed è un privilegio che va sfruttato.
Lei non era sicura che la risposta del padre le piacesse. In cuor suo aveva
sperato che le dicesse di non sprecar tempo a socializzare. Doveva comunque
ammettere che, facendo una vita da reclusa, rischiava di inaridirsi da un
punto di vista sia umano sia creativo. Rebecca decise allora di approfittare
dell’occasione che le veniva offerta. Poi si avvicinò a un’altra tela e scostò il
panno che la copriva. — Ah, è il ritratto delle sorelle gemelle. Sta venendo
bene. La somiglianza è così perfetta che la difficoltà consiste nel mostrare le
differenze di carattere, ma credo di esserci riuscito. A proposito, come
procede il ritratto di Kenneth?
— Piuttosto bene. — Rebecca fu sul punto di dilungarsi sull’argomento,
ma preferì limitarsi a dire: — Ha un viso molto interessante.
Da quell’artista che era, suo padre possedeva un notevole intuito. E lei
non voleva correre il rischio che vedesse cose che non era disposta ad
ammettere nemmeno con se stessa.

Rebecca scese con trepidazione dalla carrozza e iniziò a salire i gradini di


casa Ashburton, contenta che la pioggia li rendesse abbastanza scivolosi da
darle la scusa di aggrapparsi al braccio, di Kenneth. — Me ne pentirò —
borbottò tra i denti mentre lui sollevava il battente a forma di testa di leone.
— No di certo. È soltanto una cena informale con due persone molto
simpatiche.
In ogni caso era troppo tardi per i ripensamenti. La porta venne aperta da
un maggiordomo dall’aria altezzosa. Dopo essersi sbarazzati dei mantelli, gli
ospiti si accomodarono in un elegante salotto, dove si trovavano un uomo e
una donna che si alzarono subito per andare loro incontro. Anche se non si
toccavano, era evidente che erano uniti in un modo quasi tangibile.
Formavano una coppia straordinaria e, vista da vicino, Catherine Kenyon era
ancora più bella che da lontano.
Kenneth sospinse in avanti Rebecca con dolcezza, posandole una mano
sulle reni. — Michael, Catherine, vi presento la mia amica, la signorina
Seaton.
Catherine sorrise e le strinse la mano. — Sono felicissima di conoscervi —
disse, e sembrava sincera.
— Il piacere è mio, lady Kenyon — mormorò Rebecca.
— Vi prego, chiamatemi Catherine.
Era impossibile resistere a tanta cordialità. — Il mio nome è Rebecca.
Lord Kenyon la salutò con un inchino. I suoi occhi erano di un verde
chiaro, e nelle loro profondità c’era la stessa energia inflessibile che si
leggeva in quelli di Kenneth.
Pensando a voce alta, Rebecca, disse: — Sareste un modello meraviglioso
per Alessandro il Grande. — Ma si rese subito conto di quanto fosse
indiscreto quel commento e arrossì.
Michael si limitò a sorridere. — Kenneth ci ha detto che pensate soltanto
all’arte. Non ha esagerato.
— Se Kenneth con questo intendeva dire che non so salutare come una
persona normale, temo che avesse ragione.
— Secondo me, la normalità è molto sopravvalutata — dichiarò Catherine,
conducendoli al camino. — Non credete?
Rebecca sorrise e cominciò a rilassarsi. Quando alla fine si sedettero a
tavola, si stava divertendo davvero, e quando lei e Catherine si allontanarono,
lasciando gli uomini al loro porto, non era più in ansia al pensiero di restare
da sole.
Dopo essere uscite dalla sala da pranzo, Catherine disse: — È molto
maleducato da parte mia, ma devo andare di sopra ad allattare mio figlio. Ti
dispiacerebbe se ti lasciassi da sola in biblioteca per qualche minuto?
Rebecca rispose quasi senza riflettere. — Se non la consideri
un’intrusione, mi piacerebbe accompagnarti e vedere il tuo bambino.
Catherine s’illuminò. — È impossibile che una madre consideri indiscreto
chi desidera conoscere i suoi figli. Mi dispiace soltanto che Amy passi la notte
da amici.
Salirono alla nursery, dove una bambinaia di mezz’età stava cullando il
neonato accanto al fuoco. — Siete arrivata appena in tempo, milady — disse.
— Il signorino è molto affamato. — E, dopo averlo consegnato alla madre,
lasciò la stanza.
Mentre il piccolo si attaccava con avidità al seno, Rebecca lo studiò,
affascinata. — È molto bello. Come si chiama?
— Nicholas. Non ti pare che assomigli al padre? — rispose Catherine,
accarezzandone la testolina appena coperta di peluria. — Ti prego, siediti. Ci
vorrà un po’ di tempo.
Rebecca ubbidì. Lo spettacolo di madre e figlio la colmava di una
tenerezza struggente. Kenneth aveva detto che voleva aiutarla ad arricchire la
sua vita, e in una sola sera ci era già riuscito. Per la prima volta si rese conto
quale grossa perdita fosse rinunciare al matrimonio e a eventuali figli.
Le due donne parlarono del più e del meno finché Nicholas fu sazio.
Catherine se lo appoggiò allora contro la spalla e gli diede dei leggeri colpetti
sulla schiena.
— Voi due sareste perfetti per un dipinto della Madonna con Bambino.
— Immagino che vedere il mondo come se fosse un potenziale quadro sia
insito nella natura di un artista — disse Catherine, pensierosa. — Invidio il
tuo talento. Io non ho doti speciali, a parte forse quella di curare malati e
feriti.
Si sbagliava, pensò Rebecca. Possedeva il più prezioso di tutti i talenti: il
coraggio di dare e ricevere liberamente l’amore.
Alzandosi dalla sedia, Catherine chiese: — Ti piacerebbe tenere Nicholas?
— Io? — La voce di Rebecca era stridula. — E se lo lasciassi cadere?
Catherine glielo mise tra le braccia. — Non succederà.
Il piccolo aprì gli occhi e la guardò con aria assonnata. Rebecca si chiese
cos’avrebbe provato a tenere in braccio un figlio proprio, un figlio che fosse
stato concepito da lei e da Kenneth. Quel pensiero toccò un tasto di una
vulnerabilità insopportabile.
Con infinita cura, restituì il neonato alla madre. — Da grande diventerà un
rubacuori.
— Lo è già. — Catherine mise il bambino nella culla, che recava su un
fianco lo stemma degli Ashburton, e prima di raddrizzarsi gli sfiorò la guancia
con un bacio lievissimo. — Tutti in famiglia lo adorano, soprattutto mia figlia.
Rebecca si guardò attorno. — Nicholas ha cugini della sua età?
— No, purtroppo. Il fratello di Michael, Stephen, è stato sposato per molti
anni, ma lui e la moglie non hanno mai avuto figli. Ora Stephen è in lutto
perché sua moglie è morta l’anno scorso. Spero che si risposi e abbia più
fortuna.
La bambinaia tornò e loro due se ne andarono. Ma, prima di uscire,
Rebecca diede un’ultima occhiata al bambino addormentato, e pensò a
Kenneth.
Che cosa le stava succedendo?

Dopo che le signore si furono allontanate, Michael indicò le due caraffe


che il maggiordomo aveva posato sul tavolo. — Cosa preferisci? L’ottimo
Porto di mio fratello, o un micidiale whisky scozzese?
Kenneth sorrise. — Due dita di whisky, naturalmente. In ricordo dei
vecchi tempi.
— La tua giovane signora è incantevole — commentò Michael, versando
da bere. — Mi fa pensare a una spada timida, sempre che esista una cosa del
genere.
— Non è male come descrizione, però lei non è la mia giovane signora.
Michael inarcò un sopracciglio con aria scettica ma non insistette. — Cosa
dipinge?
— Ritratti a olio, di solito di donne. Ha uno stile molto personale, tanto
che le ho suggerito di sottoporli al giudizio della Royal Academy, ma si
rifiuta.
— Dev’essere difficile per lei, sapendo che sarà giudicata come la figlia di
suo padre — osservò Michael. — Hai detto che ha bisogno di essere riabilitata
agli occhi della società. Cos’è successo?
— Una fuga quando aveva diciotto anni. Per fortuna, ebbe il buon senso di
tornare a casa prima che fosse troppo tardi, ma ci fu uno scandalo,
naturalmente. Da allora si è chiusa in casa e vive isolata. Anche se tu e
Catherine non amate molto l’alta società, spero che abbiate amici disposti a
riceverla. Ha bisogno di incontrare gente.
— Il mio amico Rafe… sai, il duca di Candover… dà un ballo la settimana
prossima. Gli chiederò di spedirvi un invito.
Kenneth annuì, impressionato. — Diventa tutto così facile se si conoscono
le persone giuste. Una volta accettata in casa Candover, per Rebecca si
apriranno quasi tutte le porte. Il guaio è che dovrò andarci anch’io.
— Ti farà bene distrarti. Ora parlami del tuo lavoro. Chissà perché, ma non
credo che tu sia diventato il segretario di sir Anthony solo per frequentare
l’ambiente degli artisti.
Kenneth esitò solo per un attimo, ma poi accantonò la discrezione. Anzi,
fu un sollievo confidarsi con un amico fidato.
Dopo averlo ascoltato in silenzio, Michael disse: — Capisco che Bowden
desideri scoprire la verità, ma la situazione dev’essere molto imbarazzante. È
ovvio che Rebecca ti piace, e ho l’impressione che ti piaccia anche sir
Anthony.
Kenneth pensò a tutte le tensioni sotterranee che aveva scoperto a casa
Seaton. — Imbarazzante è un termine riduttivo. Ho pensato persino di
rinunciare all’incarico, ma non posso. Ho dato la mia parola a Bowden, e poi
c’è anche una questione di giustizia.
— A proposito di giustizia, vorrei avere notizie della tua cara matrigna.
Immagino che possa accampare diritti solo su quello che è in suo possesso.
— È vero. Peccato che sia riuscita a mettere le mani su tutto quanto
avevamo di più prezioso.
— Interessante — commentò Michael, pensieroso.
— Più deprimente che interessante. — Kenneth si versò un altro po’ di
whisky. — Ora tocca a te. Parlami delle gioie del matrimonio e della paternità.
Michael non aveva bisogno di incoraggiamenti, stando alle sue parole, la
vita coniugale era solo fonte di delizie. Kenneth ripensò che Rebecca, con la
sua lingua tagliente e il suo vibrante spirito ribelle, sarebbe stata una moglie
ben diversa dalla serena e dolce Catherine.
Era un vero guaio che lui si sentisse attratto da una donna con una tale
personalità.

Quando Rebecca e Catherine tornarono in salotto, gli uomini non erano


ancora usciti dalla sala da pranzo. — Hanno molto da raccontarsi —
commentò Catherine tranquilla.
Si erano appena sedute accanto al fuoco quando un cane emerse
trotterellando da un angolo e andò ad accovacciarsi accanto a Rebecca,
posandole il muso sul piede.
— A quanto pare, il nostro cane ti ha preso in simpatia — disse Catherine.
— Se ti disturba, lo faccio allontanare.
Rebecca si chinò a grattarlo dietro le lunghe orecchie. — Neanche per
sogno. Sbaglio o questo è Napoleone?
— Vedo che la sua reputazione l’ha preceduto. Mia figlia conserva ancora
il disegno che Kenneth ne fece l’inverno in cui dividevamo un alloggio a
Tolosa.
— Mi ha colpito sapere che hai seguito l’esercito attraverso la Francia e la
Spagna. Non riesco a immaginare come tu sia riuscita a crescere una bambina
in condizioni simili.
— Non è stato facile, e Amy è cresciuta in circostanze che avrebbero
fiaccato la resistenza di un mulo. — Catherine raccontò diversi episodi, che
sembravano divertenti visti con gli occhi del ricordo, ma che dovevano essere
stati spaventosi.
Rebecca notò che alludeva raramente al primo marito. Sembrava che non
fosse mai presente quando c’era più bisogno di lui. A quanto poteva vedere,
lord Kenyon non si sarebbe mai macchiato di una simile colpa. Nemmeno
Kenneth.
Pensando a lui, Rebecca chiese: — Quando hai conosciuto Kenneth?
— Stavamo viaggiando con le salmerie quando siamo stati attaccati da un
drappello di francesi a cavallo. Amy e io eravamo lontane dal grosso del
gruppo e mi stavo chiedendo se sarebbe servito a qualcosa estrarre la mia
pistola quando Kenneth con i suoi uomini sono comparsi e hanno messo in
fuga i francesi. Lui si schermisce dicendo che faceva parte del suo lavoro
quotidiano, ma puoi bene immaginare che non me ne sono mai dimenticata.
— Catherine fissava il fuoco, persa nei ricordi. — Non è stata quella l’unica
volta che ci ha salvate.
— Hai avuto una vita molto eccitante — commentò Rebecca con un
sospiro. — Non so se essere invidiosa o ringraziare il cielo in ginocchio per
avermi risparmiato simili delizie.
— Ringrazia il cielo, perché non c’è niente da invidiare. — Catherine fece
una pausa prima di chiedere: — Hai mai visto i disegni di Kenneth?
— Sì, ma è stato un caso. Se fosse dipeso da lui, non l’avrei mai saputo.
— A me sembrava che i suoi lavori fossero molto buoni, ma io non me ne
intendo di arte.
— Ha molto talento e una spiccata personalità — rispose Rebecca. — Ho
iniziato a dargli lezioni di pittura.
Un sorriso illuminò il volto di Catherine. — Ne sono felice. Si è sempre
comportato come se disegnare fosse una cosa di poco conto, ma sospettavo
che l’arte fosse in realtà molto importante per lui.
Oltre a essere bella, Catherine aveva anche intuito, e Rebecca decise che
era pericoloso insistere su quell’argomento. Le chiese perciò di descriverle
l’atmosfera che regnava a Bruxelles nei giorni precedenti la battaglia di
Waterloo.
La guerra era un argomento molto più sicuro.
15

Il giorno seguente, Rebecca stava facendo colazione quando Lavinia entrò


nel salottino. La sua presenza in casa a quell’ora mattutina significava che
aveva passato la notte con sir Anthony. Non era la prima volta, e nessuno ne
avrebbe parlato.
Rebecca riempì un’altra tazza di tè. — Buongiorno, Lavinia. Con due
zollette, vero?
— Sì, grazie. Hai un aspetto incantevole stamattina, cara. Significa che il
lavoro va bene?
— Sì, ma non è l’unico motivo per cui sono soddisfatta. Kenneth ha deciso
che dovevo uscire di più, così mi ha portato a cena da una coppia di suoi
amici. Devo ammettere che mi sono divertita.
— Ho capito subito che quel giovanotto è dotato di buon senso — dichiarò
Lavinia, sedendosi a tavola. — Sei troppo sola.
Rebecca la guardò, perplessa. — Mi stupisce che te ne sia accorta.
— Ma certo, sei la figlia di due dei miei amici più cari. Sono preoccupata
per te, soprattutto da quando Helen non c’è più. Vivi quasi come un’eremita,
ma non era compito mio parlartene. Mi avresti staccato la testa dal collo se ci
avessi provato.
— È probabile. Non amo ricevere consigli.
In quel momento un lacchè entrò e posò una lettera sigillata accanto al
piatto di Rebecca. Incuriosita, lei l’aprì con un coltello e, dopo aver letto il
messaggio, rimase a bocca aperta.
Lavinia alzò la testa dall’uovo alla coque che stava mangiando. —
Qualcosa non va?
Rebecca deglutì. — Non proprio. È un invito per il prossimo ballo dei
duchi di Candover.
— La tua vita mondana sta facendo passi da gigante.
— Le persone con cui abbiamo cenato ieri sera sono amici dei Candover.
Dev’esserci il loro zampino. — Rebecca si morse il labbro rileggendo il
biglietto. Una cosa era una cena a quattro, ma cosa fare di fronte alla
prospettiva di un ballo in una delle case più famose di Londra?
Interpretando la sua espressione, Lavinia disse: — Non lasciarti prendere
dal panico. Alle feste dei Candover non c’è mai una ressa di invitati, così
rimane anche spazio per ballare.
— Non ballo da nove anni. Non ricordo nemmeno come si fa.
— Non è detto che tu debba ballare. Io intendo passare almeno la metà del
tempo a chiacchierare.
— Tu andrai a questa festa?
— Non declino mai gli inviti di Rafe — replicò Lavinia con un sorriso. —
Lo conosco da anni. Ha sempre avuto un debole per le donne spregiudicate,
ma temevo che sarei stata cancellata dall’elenco degli invitati dopo il suo
matrimonio. Avrei dovuto immaginare che non avrebbe mai sposato una
bigotta. Sua moglie, Margot, ti piacerà.
Per la prima volta, Rebecca si accorse che c’erano delle analogie tra la sua
situazione e quella di Lavinia. — È maleducato da parte mia chiedertelo, ma
come sei riuscita a farti accettare dovunque se un tempo eri considerata
molto… — cercò un termine che non fosse offensivo — molto disinvolta?
Lavinia scoppiò a ridere. — Vuoi dire come ho fatto a diventare una
signora quasi rispettabile dall’attricetta volgare che ero?
Rebecca annuì, imbarazzata.
— Prima di tutto, non sono accettata dovunque. Se mi presentassi a casa
degli Almack, verrei buttata fuori a calci. Ma è meglio così, perché gli Almack
sono di una noia mortale. Sono riuscita a far dimenticare il mio passato
scandaloso perché sono bella e divertente, inoltre ho fatto un buon
matrimonio.
— Io non sono né bella né divertente, e non intendo sposarmi — disse
Rebecca con aria tetra. — Sono un caso disperato.
— Ah, ma tu sei la figlia di sir Anthony Seaton, e possiedi un talento
insolito. Se dovessi fare una mostra, diventeresti una celebrità da un giorno
all’altro.
— Non riuscirai a convincermi a esporre i miei quadri. — Guardando il
biglietto, a Rebecca venne in mente un altro problema. — Non ho niente di
adatto da indossare. Dovrò declinare l’invito.
— Neanche per sogno. Tre giorni sono pochi ma… — Lavinia esitò un
attimo. — Io avrei un’idea…
Quando Rebecca la guardò, come per incoraggiarla a proseguire, disse: —
Potremmo modificare uno dei vestiti di tua madre. Helen aveva gusti raffinati
e, poiché tu hai il suo stesso incarnato, dovrebbero essere adatti. — Lavinia
ebbe un attimo di esitazione. — Bada, sarebbe comprensibile se non te la
sentissi di indossare qualcosa di suo.
La prima reazione di Rebecca fu di respingere l’idea, ma vedendo che
tentennava, Lavinia disse in tono pacato: — Non sarebbe un male se il ricordo
di Helen diventasse di nuovo parte della tua vita, invece di essere una ferita
dolorosa che è impossibile toccare.
Rebecca si morse il labbro, sorpresa che Lavinia la capisse così bene. Si
sforzò di esaminare la sua proposta e pensò che in fondo indossare uno degli
abiti della madre sarebbe stato come averne il sostegno silenzioso. — Penso
che… che mi piacerebbe. Vogliamo andare a dare un’occhiata? I vestiti sono
stati riposti in alcuni bauli e portati in soffitta. — Rebecca si alzò. — Non ho la
minima idea di come trasformare il mio aspetto, per essere alla moda. Avrò
bisogno di aiuto.
— Affronta il problema come faresti con un ritratto — suggerì Lavinia,
seguendola. — Non guardarti allo specchio pensando: "Ecco la timida e
scialba signorina Seaton". Pensa a cosa faresti se volessi dipingerla e renderla
incantevole ed elegante.
Rebecca la guardò con rispetto. — Lavinia, sei una benedizione — disse.

Era quasi mezzogiorno quando Kenneth tornò a casa Seaton dopo aver
sbrigato alcune commissioni. L’invito al ballo dei Candover lo aspettava
appoggiato su un tavolino nell’atrio. Da vero amico, Michael non aveva perso
tempo.
Salì in ufficio, dove trovò sir Anthony in compagnia di George Hampton.
— Ah, Kenneth, siete arrivato giusto in tempo per aiutare George a cercare un
dipinto in cantina.
— In cantina, signore?
— L’abbiamo trasformata in magazzino, per tenervi i quadri. George ve lo
mostrerà. Lo accompagnerei io stesso se non avessi un cliente che mi aspetta.
— Sir Anthony diede una chiave a Kenneth e uscì.
Hampton prese una lampada a petrolio e l’accese, spiegando: — Mi
occorre l’originale di uno dei dipinti di Anthony per farne un’incisione.
Pensando che era una fortuna avere l’occasione di parlare con lui in
privato, mentre scendevano le scale Kenneth chiese: — È uno della serie di
Waterloo?
— Sì, quello del Château de Hougoumont. La serie farà scalpore quando
sarà esposta, e vogliamo che le stampe siano pronte per la vendita fin
dall’inaugurazione della mostra.
— Mi sembra un ottimo affare.
— In quanto figlio di un negoziante, ho il fiuto per gli affari nel sangue —
replicò Hampton con ironia. — È una fortuna, perché se fosse toccato ai
nobili governare il mondo, l’umanità vivrebbe ancora nelle caverne.
— Il mio non voleva essere un insulto. Al contrario.
— Mi dispiace — si scusò Hampton. — È un argomento sul quale sono
molto suscettibile da quando ho lasciato la campagna per iscrivermi alla
Royal Academy. Mi hanno fatto spesso notare che non sono un gentiluomo, e
che non lo sarò mai.
— Se non ricordo male, il padre del signor Turner non era un barbiere?
— Sì, ma non penso che abbia commesso l’errore di fare amicizia con i
suoi aristocratici compagni di studi — replicò Hampton con sarcasmo.
Kenneth si chiese se fosse invidioso dei nobili natali di sir Anthony.
Sperando di riuscire a cavargli altre informazioni, disse: — L’accademia non
vi avrebbe accettato se non aveste avuto talento.
Sul volto di Hampton calò un’ombra di nostalgia. — Il giorno in cui mi
ammisero fu il più felice della mia vita. Ero arrivato a Londra con il sogno di
diventare il pittore più geniale che l’Inghilterra avesse mai avuto. — Gli
sfuggì un sospiro. — Sciocche fantasie giovanili.
Nessuno meglio di Kenneth era in grado di capirlo. Lui nutriva ancora la
segreta speranza di poter dimostrare di possedere un talento innato per la
pittura a olio. Invece, non riusciva nemmeno a dipingere una natura morta
dignitosa.
Erano arrivati davanti alla porta del magazzino e, mentre inseriva la
chiave nella serratura, Kenneth disse: — Forse non avete realizzatoli vostro
sogno, ma siete diventato l’incisore più bravo d’Inghilterra. Dev’essere una
grande soddisfazione.
— Lo è — ammise Hampton, entrando nel locale. — E rende anche molto
bene. Ma è sempre doloroso ricordare la delusione che provai quando iniziai
l’accademia e mi trovai per la prima volta tra gente più dotata di me. Ricordo
che quando vidi le opere di Anthony, capii subito che non avrei mai potuto
uguagliarle.
— Eppure, siete diventati amici.
— Ci unisce l’amore per l’arte. Lo stesso vale per Malcolm Frazier. Per più
di trent’anni, la nostra amicizia è stata consolidata dalla comune passione per
l’arte.
Un’amicizia che nemmeno la relazione di Hampton con Helen Seaton era
riuscita a incrinare. Kenneth si chiese se l’incisore avesse provato una segreta
soddisfazione nel sedurre la moglie del più famoso amico. La gelosia poteva
assumere molte forme.
Si guardò intorno. Il magazzino era fresco e asciutto, con finestre alte e
strette, ed era ingombro di rastrelliere studiate per contenere quadri. Prese la
tela più vicina e la guardò: era inquietante e incantevole al tempo stesso,
rappresentava una ninfa leggiadra che trascinava un giovane dall’aria vanesia
verso un destino fatale nelle acque di un lago. — Questo è sicuramente di
Rebecca, non di sir Anthony — commentò Kenneth.
Hampton lo guardò, un po’ sorpreso. — Vi ha mostrato i suoi lavori? Una
concessione ben rara. Sì, è suo. L’ha dipinto poco dopo la fuga. — Negli occhi
gli si accese un lampo divertito. — Il giovanotto che viene trascinato in acqua
assomiglia molto al porco che la sedusse.
Kenneth rimise la tela al suo posto, soddisfatto che Rebecca avesse
trovato un modo per pareggiare i conti. — Il quadro del Château de
Hougoumont è delle stesse dimensioni degli altri della serie?
— Sì, e ciò significa che dovrebbe trovarsi in questa rastrelliera. —
Hampton tirò fuori una grande tela e sussultò, sbiancando in volto.
Kenneth si spiegò la violenta reazione quando vide il dipinto. Era uno
studio a olio di Helen Seaton, ma non la Helen sorridente del rifratto che si
trovava in ufficio. Indossava una morbida tunica greca e gemeva con le
braccia levate verso il cielo e i capelli ramati sparsi sulle spalle. — Buon Dio
— esclamò suo malgrado. — Vuole essere la rappresentazione di una donna
troiana, dopo la distruzione della sua città?
— Forse. Oppure era… semplicemente Helen. — Cupo in volto, Hampton
rimise a posto la tela e ne estrasse un’altra.
Chiedendosi cosa si nascondesse sotto quel commento, Kenneth cercò di
scoprire qualcosa di più: — Ho saputo che siete stato voi a trovare il suo
cadavere dopo l’incidente.
Hampton annuì. — Stavo facendo una cavalcata sulle colline quando, con
la coda dell’occhio, scorsi uno strano movimento. Mi voltai per guardare
meglio, e feci appena in tempo a scorgere di sfuggita una sagoma verde che
precipitava da Skelwith Crag.
— L’avete vista cadere? — Quando l’incisore annuì, Kenneth chiese: —
Avete notato qualcos’altro di strano?
Hampton aggrottò la fronte. — Cosa intendete dire?
— C’era qualcun altro in cima al dirupo?
— No di certo. Tuttavia, sono così miope che avrebbe potuto esserci un
tiro a quattro senza che lo notassi. Ho visto soltanto quella figura umana che
precipitava. Sono andato al galoppo a Ravensbeck nella speranza che Helen
fosse in casa e ridesse di me e delle mie assurde paure, ma… ma non rimasi
sorpreso quando non ve la trovai.
Era un vero peccato che la vista di Hampton fosse così scadente. — Perché
non vi siete sorpreso?
— Perché fate tutte queste domande? — ribatté Hampton, con un lampo di
ostilità negli occhi.
— Si comportano tutti in modo strano quando si parla della sua morte —
rispose Kenneth con semplicità. — Sono preoccupato perché so che Rebecca
ne è ancora molto sconvolta.
L’ostilità svanì, ma Hampton non aveva più intenzione di scavare nei
ricordi. — La morte di Helen ha sconvolto tutti, capitano. Tirate fuori quella
tela. Credo sia quella che siamo cercando.
Kenneth ubbidì in silenzio. Gli avevano appena fornito un altro tassello
dell’enigma ma, come tutti gli altri, non gli era di nessuna utilità.
Kenneth aiutò Hampton a imballare il quadro per il trasporto, quindi salì
di sopra. Al secondo piano, incontrò Rebecca e Lavinia, con le braccia cariche
di tessuti colorati.
— Voi due avete un’aria soddisfatta — osservò. — Cosa state combinando?
— Cerchiamo un abito che io possa indossare per il ballo — spiegò
Rebecca. — Lavinia mi ha suggerito di modificare uno di quelli di mia madre.
Penso che sceglierò questo — aggiunse, accarezzandone la seta color ambra.
Kenneth ne sollevò un lembo e glielo accostò al volto. — Perfetto. È della
stessa sfumatura dei tuoi occhi.
Le ciglia di Rebecca tremolarono quando lui le sfiorò la guancia con la
seta. Una vena le pulsava alla base della gola. — Suppongo che anche tu abbia
ricevuto l’invito al ballo.
Kenneth annuì. — Per fortuna, ho ancora qualcosa di adatto a una serata
elegante. Immagino che oggi pomeriggio sarai troppo occupata per dipingere?
Rebecca diede un’occhiata a Lavinia. — Sarò troppo occupata?
— Temo di sì — rispose Lavinia, sorridendo come una zia amorevole. — La
mia cameriera deve avere il tempo di fare le necessarie modifiche. Dovremo
anche scegliere gli accessori, e la pettinatura.
Osservandola, Kenneth si rese conto che a Lavinia piaceva rendersi utile.
Era un peccato che non avesse avuto figli. — Mi sembra che abbiate un bel
mucchio di vestiti.
— Lavinia vuole che sia pronta nell’improbabile caso che mi comporti
abbastanza bene da ricevere altri inviti — replicò Rebecca prima di
allontanarsi in compagnia dell’altra donna.
Osservando la grazia con cui camminava ancheggiando, Kenneth pensò a
un piccolo dono che poteva regalarle per il suo primo ballo. E, a differenza dei
quadri a olio, era una cosa che sapeva di poter fare.
16

La cameriera di lady Claxton, Emma, diede gli ultimi tocchi ai capelli di


Rebecca.
— Adesso puoi guardarti allo specchio — annunciò Lavinia.
Rebecca ubbidì e sussultò per lo stupore; faticava a riconoscersi. Emma
aveva modificato l’abito così che si adattava alla perfezione alla sua figura, e
l’acconciatura dei capelli le dava un’aria sofisticata. — Voi due siete riuscite a
trasformare il brutto anatroccolo in un cigno.
— Sciocchezze, cara — replicò Lavinia. — Sei sempre stata bella, malgrado
i tuoi sforzi per nasconderlo. Adesso hai bisogno di qualche gioiello.
Rebecca aprì la scatola laccata che era appartenuta alla madre, e che ora
era sua. Con la gola serrata dall’emozione, scelse alcuni pezzi in oro. Una
collana e un bracciale di una bella maglia dal disegno intricato, un paio di
orecchini pendenti e un pettine di filigrana. — Questi.
— Non sono troppo semplici? — obiettò Lavinia.
— No. — Rebecca infilò il pettine nel voluminoso chignon alla base della
nuca e indossò gli altri gioielli. L’oro era il complemento ideale per la seta
color ambra dell’abito e il rosso ramato dei capelli.
— Sei stupenda! — esclamò Lavinia. — Ora Emma dovrà rendere
presentabile anche me, un compito molto più difficile data la mia età.
Rebecca scoppiò a ridere. — Non dire sciocchezze. Dimostri dieci anni
meno di quelli che hai, anche una regina invidierebbe la tua figura.
— Nessuna regina vorrebbe assomigliarmi, forse una cortigiana — replicò
Lavinia in tono leggero. — Au reyoir. Ci vediamo al ballo.
Dopo che le due donne se ne furono andate, Rebecca prese il mantello di
velluto marrone e andò a bussare alla porta del padre. — Papà? Sto per
scendere.
Quando aprì la porta, sir Anthony rimase di stucco. — Hai un aspetto
fiabesco, quasi quanto Helen.
— Sono più bassa e non sono bella. — Rebecca girò su se stessa per dargli
un’idea dell’effetto generale.
Suo padre la esaminò con aria critica. — Questo colore ti dona molto di
più di quella mussola bianca che hai dovuto indossare per il tuo debutto. Mi
dispiace di non assistere al tuo trionfo.
— Ma anche tu sei stato invitato, vero? Potresti cambiare idea e venire.
— Ho perso il gusto per queste occasioni mondane. Con Kenneth, sarai in
mani sicure.
— Lo spero, perché l’idea è stata sua. — Rebecca scese in salotto, dove
avrebbero aspettato che Catherine e Michael passassero a prenderli con la
carrozza degli Ashburton.
Kenneth, che era già sceso, si voltò al suo arrivo. Lei rimase sorpresa nel
vedere com’era elegante vestito da sera. I pantaloni color crema, la camicia
bianca, il gilè color cuoio e la giacca blu scuro gli davano l’aspetto di un
gentiluomo senza sminuirne la forza fisica e il piglio autoritario. Era un
piacere guardarlo, e questa volta Rebecca non lo guardava con gli occhi della
pittrice ma con quelli della donna, e aveva voglia di baciarlo.
Kenneth avanzò e le prese la mano. — Sei fantastica, Rebecca. Sarai
all’altezza delle signore più eleganti.
L’ammirazione che gli lesse nello sguardo le fece correre un fremito lungo
la spina dorsale. Fu seriamente tentata di baciarlo, ma rinunciò, consapevole
che le conseguenze sarebbero state disastrose. — Avrei preferito non dare
nell’occhio. Anzi, tutto sommato preferirei restare a casa e dipingere.
— Ti prometto che sarà una serata memorabile. — Kenneth andò a
prendere un oggetto che era posato sul tavolo e glielo porse, un po’ esitante.
— Ho un piccolo regalo per te, in ricordo del tuo primo ballo.
Era un ventaglio. Rebecca lo aprì e scoppiò a ridere. Il tessuto di seta era
dipinto a mano con un disegno orientaleggiante di foglie e fiori, e da sotto
una composizione floreale faceva capolino un gatto dal pelo rossiccio. — L’hai
dipinto tu, vero? — Accostò il ventaglio al vestito. — E i colori si intonano alla
perfezione.
— Non è stato difficile, avendo visto prima il vestito. — Il suo tono era
noncurante, ma lei notò che era rimasto compiaciuto dalla sua reazione.
Questa volta non seppe resistere al desiderio di baciarlo: sollevandosi
sulle punte dei piedi, gli sfiorò le labbra con le proprie e si affrettò a ritrarsi.
Mise da parte il ventaglio che aveva comprato due giorni prima ed esaminò
con più attenzione il regalo di Kenneth. — Usi gli acquerelli con una tecnica
eccezionale, e sai sfruttarne al massimo la trasparenza.
— Dipingere il ventaglio è stato un diversivo piacevole, dopo i problemi
che ho incontrato con i colori a olio — commentò lui con ironia.
— Se decidi di abbandonare i colori a olio, potresti avere successo come
acquerellista. La Royal Academy accetta anche gli acquerelli.
Kenneth parve sorpreso. — Non lo sapevo. Non sono mai stato a una delle
loro mostre.
— Dovresti sottoporre qualche tuo lavoro perché venga esposto.
— Alla Roy al Academy? Impossibile!
— Potresti, senza ombra di dubbio — replicò Rebecca.
Lui aveva ancora un aria stupefatta quando dalla strada giunse un rumore
di zoccoli e ruote. Sollevato, Kenneth andò alla finestra e scostò la tenda. — I
Kenyon sono arrivati. È ora di andare.
Prese il mantello e l’aiutò a infilarlo. Rebecca lo indossò, avvertendo
acutamente la vicinanza del corpo solido e caldo di Kenneth. Provava il
desiderio struggente di appoggiarsi a lui. Le sue braccia l’avrebbero
circondata e forse lui le avrebbe deposto un bacio alla base della gola…
Un po’ ansante, disse: — Dev’essere comodo avere un duca come fratello.
Michael e Catherine si godono casa Ashburton senza doverne sopportare i
costi.
— In questo caso, si tratta di un piccolo miracolo. — Kenneth indossò il
proprio mantello e aprì la porta del salotto, scostandosi per farla passare. —
Anche Michael, come me, si era allontanato dalla famiglia. È stato suo
fratello Stephen a fare i passi necessari per sanare la rottura quando l’anno
scorso ha ereditato il ducato.
Rebecca si chiese se c’era la possibilità che anche suo padre facesse la
pace con il fratello. Ma non ci sperava molto perché toccava a lord Bowden
prendere l’iniziativa, ed era evidente che non era disposto al perdono.

Il ballo era uno spettacolo meraviglioso. Malgrado il desiderio di fuggire,


Rebecca era sopraffatta dalla bellezza di ciò che la circondava. Pur sapendo
che ben pochi avrebbero notato la sua presenza, infilò la mano sotto il braccio
di Kenneth mentre avanzavano in fila con gli altri invitati. Odiava le folle. Le
odiava di cuore.
Poco più avanti, Michael e Catherine stavano salutando i Candover.
Riconobbe i padroni di casa dal ritratto che suo padre ne aveva fatto di
recente: il duca, alto e bruno, e la deliziosa duchessa bionda, che riusciva a
essere regale e vivace al tempo stesso.
Mentre la duchessa e Catherine si abbracciavano, Michael disse: — Vorrei
presentarvi due miei cari amici. Lord Kimball, un ex compagno d’armi e la
signorina Seaton.
Il duca strinse con cordialità la mano di Kenneth. — Benvenuto. Michael
mi ha parlato spesso di voi. — Poi s’inchinò davanti a Rebecca, con una luce
scherzosa negli occhi. — È un piacere conoscere la creazione più bella di sir
Anthony Seaton.
Mentre Rebecca arrossiva, la duchessa disse: — Sono felice di potervi
finalmente conoscere, signorina Seaton. Non vi biasimo se avete evitato lo
studio di vostro padre mentre ci faceva il ritratto… mio figlio era una vera
peste!
Ricordando ciò che le aveva detto Catherine a proposito della gioia delle
madri per i complimenti rivolti ai figli, Rebecca rispose timidamente: — A
quell’età è difficile restare immobili così a lungo, ma mi sembra che il ritratto
di vostro figlio sia venuto molto bene. È un bel ragazzino.
La duchessa s’illuminò. — Grazie. Lo penso anch’io.
Mentre entravano nella sala da ballo, l’orchestra iniziò a suonare un
valzer.
— Posso avere l’onore di questo ballo, signorina Seaton? — chiese
Kenneth in tono formale.
— Con molto piacere, lord Kimball.
Rebecca era felice di avere una scusa per rifugiarsi tra le sue braccia, e per
abbandonarsi alla sensazione seducente della sua mano intorno alla vita.
Sospirò di piacere mentre volteggiavano al ritmo della musica.
— Questo sospiro significa che ti ho già pestato un piede? — chiese lui,
preoccupato.
— Niente affatto. — Rebecca gli rivolse un sorriso carico di affetto. —
Significa che se non ti allontanerai più di un metro da me per il resto della
serata, potrei divertirmi veramente.
Kenneth ricambiò il suo sorriso. Era così calmo e sicuro di sé che i timori
di Rebecca cominciarono a placarsi. Una lezione con il suo vecchio maestro di
ballo le aveva ridato fiducia. Non solo ricordava i passi, ma provava anche un
piacere squisito a muoversi al ritmo della musica. Scoprì anche che, per
essere uno che dichiarava di odiare le feste danzanti, Kenneth era un ottimo
ballerino.
Nel corso della serata, i Kenyon non persero una sola occasione per
presentarli ai loro amici. Rebecca danzò con gli uomini e rise con le donne,
consapevole di essere circondata da affetto e calore.
Stava chiacchierando con Michael, dopo aver ballato con lui un reel,
quando si avvicinò a loro uno dei suoi amici, lord Strathmore, seguito da un
giovanotto. — Una persona mi ha chiesto di esservi presentata — annunciò.
Rebecca sorrise, chiedendosi se avesse fatto una conquista. Non che
volesse farne, soprattutto non nel caso del giovanotto in questione, che
doveva essere più giovane di lei.
— Signorina Seaton — proseguì lord Strathmore — vi presento sir Henry
Seaton.
— Santo cielo! — esclamò lei. — Siamo imparentati?
— Sono vostro cugino — rispose lui con un sorriso accattivante — L’erede
di lord Bowden. Non vedo per quale motivo dovremmo essere nemici solo
perché i nostri padri non si parlano da anni.
— Sono d’accordo — dichiarò Rebecca, ricambiandone il suo sorriso. —
Proprio stasera stavo pensando a quanto può essere tragica una faida
familiare.
— Soprattutto se è iniziata come quella dei Seaton. Posso capire che mio
padre sia rimasto sconvolto nel vedersi rubare la fidanzata dal fratello
minore, ma si dà il caso che io sia molto affezionato a mia madre. E anche il
vecchio dà l’impressione di volerle piuttosto bene.
Rebecca sapeva che lord Bowden si era sposato e aveva avuto due figli e, a
quanto pareva, il suo era un matrimonio riuscito. Era un peccato che tutto ciò
non fosse bastato per mitigare la ferita al suo orgoglio. — Immagino che mio
zio non abbia nessun desiderio di conoscermi, ma forse un giorno mi sarà
possibile incontrare lady Bowden.
— È stata proprio lei a mandarmi a cercarvi. — Henry le porse il braccio. —
Volete che vi conduca a conoscerla?
Rebecca chiese a Michael di informare Kenneth, quindi accettò il braccio
del cugino e insieme attraversarono la sala da ballo. Lady Bowden, che era
seduta con un gruppo di donne di una certa età, si alzò e andò loro incontro.
Era anche più piccola di Rebecca, non era bella, ma aveva una testa di
stupendi capelli color argento e un volto delicato.
— Madre, ti presento la cugina Rebecca — disse Henry.
— È un piacere, mia cara. — Lady Bowden si rivolse quindi al figlio. — Va’
a prenderci qualcosa da bere, Henry.
Quando lui si fu allontanato, studiò la nipote del marito con palese
interesse. — Ho capito che dovevi essere la figlia di Helen appena sei entrata
qui.
— Conoscevate mia madre?
— Oh, sì. La proprietà di mio padre confinava con quella dei Bowden.
Marcus, Anthony e io siamo cresciuti insieme. I nostri padri speravano in un
matrimonio tra le due famiglie. Invece, Marcus conobbe Helen e perse la
testa. — Lady Bowden sorrise con un po’ di tristezza. — Non posso biasimarlo.
Era una creatura stupenda, e tutti gli uomini se ne innamoravano. Ma tu lo
sai certamente meglio di me. Ti prego, accetta le mie condoglianze.
— Grazie. Siete molto gentile ad accettare di parlarmi, date le circostanze.
— Non ho niente contro di te, bambina. Anzi, sono in debito con Helen
perché, se non fosse fuggita con Anthony, non avrei mai sposato Marcus.
Con un’improvvisa intuizione, Rebecca capì cos’era successo: Marcus
aveva finito per sposare la ragazza che lo amava da sempre, ma nel segreto
del suo cuore lady Bowden celava l’amara consapevolezza di essere stata una
scelta di ripiego.
— Lord Bowden è qui stasera? — chiese Rebecca.
— No, altrimenti non avremmo potuto incontrarci. Non farei niente che
dispiacesse a mio marito, ma occhio non vede, cuore non duole.
Rebecca rise. — Vorrei poter approfondire la vostra conoscenza, lady
Bowden, ma non credo sia possibile.
— Ti prego, chiamami zia Margaret. È ovvio che non possiamo scambiarci
visite. Tuttavia, potrei sempre farti avere un biglietto per avvertirti quando mi
reco a fare una passeggiata nel parco.
— Mi farebbe molto piacere. — Rebecca le prese la mano e la tenne per un
momento. — Alla prossima volta, zia Margaret.
Stava tornando sui suoi passi, impaziente di raccontare quanto era
accaduto a Kenneth, ma tutta la sua felicità si dileguò quando si trovò faccia a
faccia con le due sorelle che più di chiunque altro l’avevano tormentata
durante l’anno in cui aveva frequentato una scuola per signorine dell’alta
società. Charlotte e Beatrice l’avevano sempre trattata con sufficienza, e con
il tempo non erano migliorate.
Mentre Rebecca le fissava, immobile, Charlotte disse in tono velenoso: —
Santo cielo, Beatrice, avevi ragione… è proprio Rebecca Seaton. Chi lo
avrebbe creduto che sarebbe stata così impudente da imporre la sua presenza
a gente rispettabile?
— È ovvio che il duca e la duchessa sono all’oscuro del suo passato —
replicò Beatrice, arricciando il naso come se avesse avvertito puzza di pesce
marcio. — È nostro dovere informarli.
Le due sorelle le voltarono le spalle con ostentato disprezzo, lasciandola
tremante e incapace di muoversi.
In quel momento, una voce profonda disse: — Finalmente vi ho trovato,
signorina Seaton. Desidero farvi conoscere una persona.
Era il duca di Candover in persona, che passò accanto alle due sorelle
come se fossero invisibili, prese la mano di Rebecca e se la infilò sotto il
braccio. — Margot e io siamo felici che abbiate finalmente accettato di venire
a uno dei nostri balli. Spero vi stiate divertendo.
Incapace di parlare, Rebecca annuì. Le sue vecchie compagne di scuola
fissavano il duca con gli occhi sgranati. Candover si voltò a guardarle, e
qualcosa nella sua espressione le fece impallidire. Quindi si allontanò, con
Rebecca aggrappata al suo braccio.
— Vi sono molto grata per avermi salvata, Vostra Grazia — mormorò lei,
con voce flebile — ma perché farlo per una donna che avete appena
conosciuto?
— Prima di tutto, non approvo l’intolleranza, in secondo luogo, Kimball
desidera che siate accettata in società, e dal momento che ha salvato la vita al
mio amico Michael, farò di tutto per accontentarlo.
— Non lo sapevo. È per questo che siete così ben disposto verso Kenneth e
me?
— È la ragione iniziale. — Il duca le sorrise, senza nascondere
l’ammirazione. — Ma vi assicuro che non mi costa nessuno sforzo.
Quando furono vicini all’angolo dove erano riuniti i suoi nuovi amici,
Kenneth si staccò dal gruppo e le andò incontro. — Hai l’aria un po’ agitata —
le disse, prendendola per il braccio. — È successo qualcosa?
Mentre passeggiavano lungo il perimetro della sala da ballo, lei gli
raccontò l’incontro con i suoi parenti e lo spiacevole incidente con le vecchie
compagne di scuola. Quando ebbe finito, Kenneth commentò: — È stata una
fortuna che Candover fosse nelle vicinanze: avendo preso le tue difese in
modo così palese, non dovresti avere più problemi.
— Il duca mi ha detto che hai salvato la vita a Michael.
— Può darsi. — L’espressione di Kenneth s’incupì. — Ma Michael mi ha
impedito di impazzire, e ciò è molto più difficile.
Rebecca si ripromise di attendere un momento più opportuno per
chiedergli cosa intendesse dire.
— Avrei dovuto pensarci prima — continuò Kenneth. — C’è il rischio che
tu possa incontrare anche il tuo spregevole poeta?
— Nessun rischio. Circa un anno dopo la nostra disgraziata fuga, è
scappato in Italia con una donna sposata. E là è spirato, molto poeticamente,
di febbre.
— Questo dimostra che al mondo esiste una giustizia poetica.
Rebecca sorrise. Non aveva sparso lacrime per Frederick, il cui
egocentrismo superava di gran lunga il talento.
Stavano ancora passeggiando lentamente lungo le pareti della sala quando
all’improvviso si trovarono faccia a faccia con una donna, la cui bionda
bellezza sembrò a Rebecca familiare.
La donna si arrestò e le sue labbra s incurvarono in un sorriso maligno. —
Kenneth, tesoro. È fantastico rivederti dopo tutti questi anni.
Pallido in volto come un lenzuolo, lui replicò con voce gelida: — Non
posso dire che questo sia un piacere imprevisto, perciò mi limiterò a dire che
è solo un imprevisto.
La donna socchiuse gli occhi. — Sei diventato più arguto, tesoro. Ti si
addice. — Posò la mano sulla stupenda collana di diamanti che portava al
collo. — Quasi quanto questa si addice a me.
Con un improvviso senso di sgomento, Rebecca si rese conto che la donna
era Hermione, lady Kimball.
17

Superata la sorpresa, Rebecca esaminò la matrigna di Kenneth con


distacco critico. Era senz’altro una bella donna, ma un’inequivocabile durezza
guastava i lineamenti del volto.
— Non mi aspettavo di trovarti qui stasera — disse Kenneth, la cui mano
si strinse con gesto protettivo attorno al braccio di Rebecca. — Se ricordo
bene, è ancora consuetudine portare il lutto per un anno intero dopo la morte
di un marito.
— Come vedi, tesoro, sono vestita di nero, e porto diamanti piuttosto che
pietre colorate. E, naturalmente, non ballo. Ma so che tuo padre non avrebbe
voluto che passassi un anno intero in isolamento. Era il più generoso e
indulgente dei mariti.
Kenneth esaminò con disprezzo l’abito dalla generosa scollatura. — Forse,
ma era anche molto attaccato alle tradizioni.
Ignorando il commento, lady Kimball si rivolse a Rebecca. — Siete la figlia
di Anthony, vero? Vi ho intravista qualche volta a casa Seaton. Avete un’aria
molto, dolce negli abiti smessi di vostra madre.
— Basta così, Hermione — intervenne Kenneth con durezza. — Puoi
insultare me, ma lascia in pace persone innocenti.
— Se pensi che la piccola signorina Seaton sia innocente, non hai prestato
orecchio ai pettegolezzi, ma non importa. — Hermione lo studiò con aria
critica.— Peccato per quella cicatrice. In ogni caso, non eri bello neanche
prima.
Per un attimo, Rebecca temette che Kenneth potesse metterle le mani
addosso, ma riuscì a mantenere il controllo. — Addio, Hermione. Non
abbiamo niente da dirci.
Prima che potesse allontanarsi trascinando Rebecca con sé, lei sollevò la
mano e gli accarezzò la guancia con un gesto di provocante intimità. — Ah,
Kenneth, tesoro. Sei sempre tormentato da quella tua noiosa coscienza.
Speravo che te ne fossi liberato. — Guardò con la coda dell’occhio Rebecca,
per assicurarsi che stesse ascoltando. — Se così fosse, potremmo riprendere
da dove eravamo rimasti tanti anni fa.
L’allusione era inequivocabile. Rebecca fissò Kenneth, sconcertata, e gli
lesse negli occhi l’orrore di chi ha ricevuto un colpo mortale. Sapendo di
doverlo trascinare via, lo afferrò per un braccio, ma si fermò il tempo
necessario per dire: — Fate attenzione, lady Kimball. La vostra faccia
comincia a tradire la bruttezza della vostra anima.
Mentre Hermione restava a bocca aperta, Rebecca le voltò le spalle e
guidò il suo compagno in mezzo alla folla. Arrivati in fondo alla sala, vide una
porta che dava in un corridoio e non esitò a uscire. Kenneth la seguì senza
opporre resistenza.
Lungo il corridoio si aprivano piccole nicchie, arredate con sedie e
lampade per consentire agli ospiti di conversare in pace. La maggior parte
erano occupate, ma l’ultima era per fortuna libera. Rebecca vi condusse
Kenneth e lo costrinse a sedersi.
In piedi di fronte a lui, gli posò le mani sulle spalle e disse, con voce
ferma: — Tu e lei eravate amanti.
Kenneth chiuse gli occhi e trasse un respiro profondo. — Quello che è… è
successo non ha niente a che vedere con l’amore. Mio padre sposò Hermione
mentre frequentavo l’ultimo anno ad Harrow. Feci del mio meglio per essere
gentile, anche se sospettavo che sotto la facciata della brava e giovane moglie
battesse un cuore di pietra. Tuttavia, anche se non mi era simpatica, mi… mi
sentivo attratto da lei. Aveva un fascino sensuale che nessun uomo poteva
ignorare.
Rebecca annuì. L’aveva notato e non le era difficile immaginare quale
effetto dovesse aver avuto su un giovanotto nel pieno delle sue forze.
Kenneth respirò di nuovo a fondo. — Durante l’estate, le cose andarono
abbastanza bene. Mio padre aveva cominciato a trascurare la proprietà, ma io
ero in grado di occuparmene. Poi, venni a sapere che intendeva ipotecarla per
comprare una casa a Londra. Ero molto preoccupato ma, piuttosto che
litigare con lui, decisi di dirgli che non volevo andare a Cambridge e che sarei
invece rimasto a Sutterton per fargli da fattore.
Credevo che ne sarebbe stato contento, ma lui immaginò che avessi preso
quella decisione perché disapprovavo i suoi piani. Si infuriò per la mia
impertinenza e tra noi scoppiò una lite furiosa. Alla fine mio padre uscì di
casa sbattendo la porta, e lo decisi che mi sarei sbronzato per la prima volta
nella mia vita. Presi una bottiglia di brandy e salii in camera. L’avevo ormai
vuotata quando Hermione entrò piangendo, dicendo che era sconvolta per
essere stata la causa della lite tra mio padre e me.
Gli si incrinò la voce e, vedendo che il silenzio si protraeva, Rebecca
concluse: — È caduta in lacrime tra le tue braccia e la natura ha fatto il suo
corso.
— Non c’è niente di naturale nel portare a letto la moglie di tuo padre. —
Kenneth storse la bocca. — L’ho fatto per uno scellerato miscuglio di rabbia,
libidine e alcol, inoltre probabilmente volevo dimostrare a me stesso che lei
era un essere abietto come sospettavo. E così facendo, mi sono comportato
con altrettanta abiezione. Non potevo più restare a Sutterton. Salutai mia
sorella, Beth, presi il poco denaro che avevo e due giorni dopo mi arruolai
nell’esercito. In parte perché in quel modo sarei riuscito a mantenermi, ma
più che altro per punirmi per quello che avevo fatto. Dio sa che non ho mai
desiderato fare il soldato.
— Non avresti dovuto essere così severo con te stesso. — Le mani di
Rebecca si strinsero sulle sue spalle. — Hermione ha agito di proposito.
Sapeva che ti saresti macerato nel rimorso. Quella strega sperava
probabilmente che il senso di colpa ti distruggesse, ma le bastava che tu ne
andassi. Con la tua partenza, non c’era più nessuno a contrastare i suoi
desideri.
— Buon Dio, credi che abbia calcolato tutto a sangue freddo?
— Ne sono sicura. Non ti sei accorto che trasudava trionfo da tutti i pori?
— E a ragione. Per colpa della mia debolezza, non è rimasto nessuno a
impedirle di mandare in rovina Sutterton e di privare mia sorella del genere
di vita che meritava. Se avessi controllato l’ira e la libidine, avrei potuto
restare. Forse avrei potuto evitare i danni peggiori.
— Temo che ti sbagli. Credo che Hermione fosse disposta a tutto pur di
ottenere quello che voleva. Se quella volta le avessi resistito, avrebbe
escogitato altri piani per sbarazzarsi di te. Forse avrebbe fatto in modo che un
giorno tuo padre vi sorprendesse insieme, mentre lei, con le vesti stracciate,
urlava allo stupro.
— Cristo! — imprecò Kenneth, scosso. — Non ci avevo pensato ma mi
sembra verosimile.
— Per colpa di quella donna, hai trascorso più di dieci anni all’inferno,
combattendo e uccidendo quando era l’ultima cosa che avresti scelto di fare.
— Rebecca gli fece scivolare le braccia intorno al collo e premette la guancia
contro la sua. — Oh, povero caro.
— Rebecca. Dio, Rebecca. — Kenneth la fece sedere sulle sue ginocchia e
la strinse forte, respirando a fatica. — Mi dispiace di essere crollato. La
maggior parte del tempo riesco a seppellire in un angolo della mente quello
che è successo, ma rivederla all’improvviso… mi ha fatto rivivere tutti gli
orrori che ho passato.
— Lei conosceva il tuo senso dell’onore, e se ne servita contro di te. —
Rebecca appoggiò il suo volto sul collo. Era una follia restare seduta sulle sue
ginocchia in un luogo dove chiunque, passeggiando lungo il corridoio,
avrebbe potuto vederli, eppure, non riusciva a muoversi.
Lui la tenne stretta per qualche istante, quindi voltò la testa e le catturò la
bocca in un bacio che lei sospettò fosse alimentato più dal bisogno di
annegare i ricordi che lo ossessionavano che dalla passione. Tuttavia, la
passione divampò, incandescente e irrefrenabile. Rebecca ricambiò il bacio,
avida di assaporare le sue labbra, di cedere al piacere inebriante che aveva già
provato in precedenza.
Il piacere era ora di un’intensità ancor più grande. Calore sensuale, fuoco
liquido. Kenneth le fece scivolare la mano sul fianco e la tenne ancor più
stretta a sé.
Lei sentì che i muscoli delle sue cosce si irrigidivano, e si spostò per
cercare un contatto più ravvicinato, mentre gli insinuava le mani sotto la
giacca, sgualcendo il tessuto che li divideva.
In quel momento, una voce femminile alle sue spalle esclamò in tono
indignato: — Che svergognati!
Rebecca rimase immobile e Kenneth imprecò tra i denti. Voltandosi, lei si
trovò di fronte a un gruppo di persone e si accorse con sgomento che la
musica era cessata e che gli ospiti stavano percorrendo il corridoio, diretti alla
sala da pranzo. A lanciare l’esclamazione era stata un’anziana matrona, che
ora si premeva la mano sulla bocca con aria disgustata. Al suo fianco c’erano
il duca e la duchessa di Candover, Michael e Catherine Kenyon, oltre a una
decina di altri ospiti che li fissavano allibiti.
Rebecca cominciò a tremare. Non erano passate tre ore da quando aveva
riconquistato una certa rispettabilità, e ora l’aveva persa di nuovo, per
sempre. Peggio ancora, Catherine e Michael, che le avevano offerto il loro
appoggio, si sarebbero sentiti traditi. Avrebbe voluto sprofondare sotto terra.
In quel momento, Lavinia si fece largo e si portò in prima fila. — Bene,
miei cari colombi, adesso non potrete più mantenere segreto il vostro
fidanzamento — disse con un sorriso indulgente. — Sir Anthony sarà felice di
poterlo rendere pubblico.
Kenneth sollecitò Rebecca ad alzarsi e si mise al suo fianco, sorreggendola
con un braccio intorno alla vita. — Per favore, scusateci — disse in tono
disarmante. — Da quando Rebecca ha accettato di diventare mia moglie, mi
comporto come uno sciocco. Stento ancora a credere alla mia fortuna. —
Sottovoce, le bisbigliò all’orecchio: — Collabora, Rossa, e sopravvivremo a
questa storia.
Con uno sforzo immane, lei gli rivolse un sorriso tremulo. — La fortunata
sono io.
Catherine si fece avanti ed esclamò: — È fantastico! Ma, a dire il vero, l’ho
sospettato fin dalla prima volta che vi ho visto insieme. — Baciò Rebecca
sulla guancia. — Sei la donna perfetta per Kenneth.
Un attimo dopo, il duca e la duchessa si congratulavano con loro, imitati
dagli altri ospiti. Rebecca si rese conto che l’intervento tempestivo di Lavinia
li aveva trasformati da svergognati peccatori in una romantica coppia di
fidanzati. La sua reputazione era salva, ma a quale prezzo?

L’ora successiva passò con esasperante lentezza. Kenneth riuscì a recitare


la parte del fidanzato felice, anche se era preoccupato per l’espressione che
scorgeva di tanto in tanto negli occhi di Rebecca. Dovevano assolutamente
parlare.
Mentre tornavano a casa in carrozza, la presenza di Michael e di Catherine
impedì ogni conversazione privata. Kenneth sospettava che i suoi amici
avessero intuito che il loro era un fidanzamento fasullo, anche se, con tatto
squisito, si astenevano dal fare domande.
Sospirò di sollievo quando alla fine li lasciarono davanti a casa Seaton.
Rebecca tenne il braccio appoggiato al suo mentre salivano i gradini e lui
apriva la porta. Salutò perfino i Kenyon con un cenno della mano ma,
nell’attimo stesso in cui misero piede nell’atrio, si scostò di scatto. Sotto la
fiammeggiante chioma rossa, il suo volto era bianco.
— Ce la siamo cavata a buon mercato — commentò Kenneth, volendo
alleviare la tensione. — Non dobbiamo far altro che continuare a fingerci
fidanzati per qualche mese, quindi, senza chiasso, faremo sapere di aver
scoperto che non eravamo fatti l’uno per l’altra.
— Così, oltre alla mia precedente reputazione di donna di facili costumi,
mi ritroverò quella di civetta. — Rebecca si tolse il mantello e lo scagliò su
una sedia. — Fantastico.
— Rompere il fidanzamento non sarà niente in confronto allo scandalo
che sarebbe scoppiato se Lavinia non avesse avuto la prontezza di correre ai
ripari. Mi dispiace, Rebecca. Ti giuro che non sarai costretta a sposarmi per
colpa di uno stupido incidente.
— È stato un incidente, capitano? — Lei si sfilò i guanti e proseguì, con
voce tremante: — Hai accesso alla maggior parte delle carte di mio padre. Hai
forse scoperto che, alla morte di mia madre, ho ereditato un patrimonio
considerevole? Immagino che ce ne sia a sufficienza per salvare la tua
preziosa proprietà.
— Cristo, credi che io abbia organizzato quella scena per costringerti a
sposarmi? — chiese Kenneth, incredulo.
Rebecca lo fissò con sguardo cupo. — No, suppongo di no. Tuttavia, mi
sono chiesta perché mai fossi così deciso a sostenere che non volevi sposarti
per denaro. Sarebbe la scelta più logica per uno che si trova nella tua
situazione.
Kenneth le voltò le spalle, sentendosi svuotato come se avesse passato la
serata sotto il fuoco dell’artiglieria nemica. E adesso era costretto a spiegarle
per quale motivo era così contrario a trasformarsi in un cacciatore di dote.
— Sono cresciuto nella convinzione che ricchezza e titolo mi sarebbero
spettati di diritto — iniziò a fatica. — Per una combinazione di sfortuna ed
errori di valutazione, quella convinzione è sfumata. Mentre altri giovani
gentiluomini frequentavano le corse ippiche e davano la caccia alle ballerine
dell’opera, io ho imparato che il mondo non ti garantisce nessun diritto
tranne la possibilità di lottare per la sopravvivenza.
Sempre senza guardarla, Kenneth si tolse il mantello e lo piegò con cura
meticolosa. — Adesso ho ereditato il titolo che mi spetta, ma c’è la reale
possibilità che passerò il resto della mia esistenza a vivere alla giornata. Gran
parte della colpa è mia, ma anche se sopravvivere significasse rinunciare
all’orgoglio, alle speranze e alla mia dignità, quello a cui non rinuncerò è, se
mai dovessi sposarmi, il diritto di scegliere una donna alla quale sia legato da
un profondo amore.
Nel silenzio che seguì, Kenneth temette di soffocare.
Alla fine, Rebecca mormorò con un filo di voce: — Sei molto eloquente.
Mi dispiace per quello che ho detto… ciò che è accaduto è stato tanto colpa
mia quanto tua. — Emise un sospiro tremulo. — Stava andando tutto così
bene, e un attimo dopo era tutto finito. Avrei dovuto restarmene chiusa nel
mio studio, invece di lasciarmi convincere a uscirne. — Si voltò e salì le scale,
con la schiena rigida.
Kenneth crollò in una poltrona e si prese il volto tra le mani. Lei aveva
ragione; tutti e due avrebbero dovuto restare a casa. Aveva voluto migliorare
la sua vita, e invece non aveva fatto altro che peggiorarla. Quando avrebbe
imparato che le migliori intenzioni possono dare risultati disastrosi?
Non poteva biasimarla per i suoi sospetti. Avendole confessato lui stesso
di non essere stato del tutto sincero, era facile saltare alla conclusione che
fosse un cacciatore di dote, soprattutto essendo stato così pazzo da baciarla in
un luogo pieno di gente.
In quel momento era davvero un po’ fuori di sé. Maledetta Hermione. Pur
sapendo che, prima o poi, si sarebbero incontrati, non si aspettava che
succedesse alla sua prima uscita nella società londinese. Ne aveva
sottovalutato la malvagità. La miglior prova che quanto era accaduto anni
prima non era stato affatto casuale, era l’impudenza con cui aveva voluto che
Rebecca ne fosse al corrente.
Rebecca, per fortuna, aveva reagito molto bene a quella rivelazione.
Invece di correre via disgustata, gli aveva offerto consolazione e
comprensione. Ringraziava Dio per la sua mente lucida e anticonformista.
Ma adesso, a causa del suo comportamento imprudente, si trovavano
fidanzati ufficialmente. E la tragedia era che, in circostanze diverse, lui
avrebbe potuto davvero chiederle di sposarlo. Con nessun’altra donna c’era
stata una simile intesa, né un desiderio così intenso. Sarebbe stato molto
facile innamorarsi di lei. Invece, l’onore lo costringeva a rompere il
fidanzamento al più presto. Non era in grado di sposarsi, e anche se fosse
riuscito a risolvere il mistero della morte di Helen Seaton senza che Rebecca
scoprisse la sua doppiezza, una proposta seria ne avrebbe risvegliato i
sospetti che lo facesse per il suo denaro.
Con un gemito, si alzò in piedi e salì in camera per cambiarsi, con
l’intenzione di recarsi poi nel suo piccolo studio e scaricare la tensione
dipingendo una furiosa scena di battaglia.

Dopo essersi chiusa la porta alle spalle, Rebecca si gettò sul letto. Dio,
come era stata sciocca. Se non avesse scaricato la propria angoscia su di lui
con un’accusa così stupida, Kenneth non sarebbe stato costretto a dire a
chiare lettere che lei non era il tipo di donna di cui poteva innamorarsi. Non
l’avrebbe sposata nemmeno per salvare dalla rovina la proprietà e la sorella.
Non che lei desiderasse sposarlo, ma doveva ammettere che le piaceva, e
che lo desiderava. Voleva anche che lui ardesse di un desiderio che lei sola
fosse in grado di appagare.
Quale sarebbe stata la relazione ideale con Kenneth? Rebecca si girò sulla
schiena e fissò il soffitto. Essere amanti. Ecco la soluzione perfetta.
Sarebbero vissuti ognuno a casa propria e, ogni volta che lei fosse stata nella
giusta disposizione d’animo, l’avrebbe invitato ad andarla a trovare, e
avrebbero fatto l’amore con furia appassionata, senza conseguenze dolorose.
Peccato che la vita non fosse così semplice.
18

Il primo pensiero di Rebecca quando si svegliò fu che doveva raccontare


tutto a suo padre. Scese le scale pregando di non imbattersi in Kenneth
perché non avrebbe saputo cosa dirgli.
Per fortuna, sir Anthony era da solo nella saletta della colazione. Al suo
ingresso alzò gli occhi dal giornale.
— Buon giorno. Sei mattiniera per essere una che ieri sera è andata a un
ballo. Ti sei divertita?
— Sì e no. — Rebecca si riempì una tazza di caffè e si sedette. — All’inizio è
stato piacevole, ma poi è successo un incidente.
— Qualcuno ti ha pestato l’orlo della gonna? — le chiese il padre,
sorridendo.
Stringendo la tazza tra le mani fredde, lei disse senza mezzi termini; —
Kenneth e io siamo stati sorpresi mentre ci baciavamo.
Il sorriso di sir Anthony svanì. — Dannazione! L’idea era quella di
riabilitarti, non di peggiorare la tua reputazione.
— È stato un… incidente.
— Sei inciampata e sei atterrata per caso tra le sue braccia?
Rebecca gli lanciò un occhiata insofferente. — No di certo. Era accaduta
una cosa che l’aveva sconvolto. Lo stavo consolando e ci siamo scambiati
un… un bacio amichevole. — In verità il bacio era stato molto più che
amichevole, ma Rebecca sospettava che il padre, per quanto, di mente aperta,
non avrebbe accettato la pura verità. — Ci stavamo baciando quando è
passato un gruppo di invitati diretti alla sala da pranzo e una stupida vecchia
ci ha visto e ha dato in escandescenze. Per fortuna, c’era anche Lavinia, che ci
ha salvato fingendo che Kenneth e io fossimo fidanzati. Essendo risaputo che
è un’amica di famiglia, nessuno l’ha messo in dubbio.
— Grazie al cielo lei ha dimostrato di avere un po’ di buon senso. È chiaro
che tu e Kenneth non ne avete affatto.
— È stato un incidente sgradevole ma innocuo — si difese Rebecca. — Fra
qualche mese potremo rompere il fidanzamento, ma nel frattempo bisognerà
annunciarlo sulla stampa per salvare le apparenze.
— Le apparenze? — Sir Anthony piegò il giornale e lo sbatté sul tavolo. —
Ho chiuso un occhio sulla tua fuga con quel poeta imbecille, ma ora basta.
Dovrai sposare Kenneth.
Lei quasi si soffocò con il caffè. — Non essere insensato! Sposarsi per aver
commesso una banale imprudenza è il genere di sciocche convenzioni sociali
contro cui ti sei sempre ribellato.
Sir Anthony la guardò con durezza. — Sono stato troppo indulgente con te.
È tempo di correre ai ripari. Sei una donna adulta e dovresti essere
decorosamente sposata. Kenneth sarà un marito più che adeguato.
— Cosa ti fa pensare di poter iniziare a disporre della mia vita quando ho
ventisette anni? — sbottò Rebecca, incapace di credere alle proprie orecchie.
— Meglio tardi che mai. Sono tuo padre ed è mio dovere guidarti. Farai
come dico, e io dico che devi sposare Kenneth.
Rebecca si alzò in piedi e picchiò i pugni sul tavolo. — Come osi! Hai
commesso adulterio con una donna di cui ti eri invaghito. Hai accettato il
fatto che uno dei tuoi migliori amici fosse l’amante di tua moglie. E ora
pretendi di guidarmi? Sei un ipocrita! — Appallottolò il tovagliolo e lo scagliò
attraverso la stanza. — Con l’esempio del tuo matrimonio sotto gli occhi,
preferirei bruciare all’inferno piuttosto che sposarmi. Me ne andrò e metterò
su casa per conto mio. Me lo posso permettere.
— L’avevo detto a Helen che era uno sbaglio farti entrare in possesso
dell’eredità. — Sir Anthony si alzò in piedi, torvo in volto. — Se te ne andrai,
non ti considererò più mia figlia. Puoi vivere da sola, come una reietta.
Troppo furiosa per misurare le parole, lei urlò: — Benissimo! E tu puoi
preparare da te le tue tele e i colori a olio! E non ti sognare che ti riveli la
formula con cui preparo le sfumature per ottenere il giusto incarnato della
pelle!
— Ragazzina arrogante! Io mescolavo i colori a olio quando tua madre era
ancora nella culla. — Con un gesto della mano, sir Anthony mandò le
stoviglie a frantumarsi per terra. — Coraggio, vattene!
Lei stava per replicare quando una voce profonda disse in tono brusco: —
Basta! Piantatela prima di dire qualcosa di irreparabile.
Voltandosi, Rebecca e il padre videro che Kenneth era entrato nella
stanza. Lei arrossì, chiedendosi da quanto tempo fosse lì, ma subito dopo fu
pervasa dal gelo al pensiero di quanto lei e il padre fossero andati vicini a una
rottura disastrosa.
Più impulsivo, suo padre sbottò: — Badate agli affari vostri. Questa è una
faccenda di famiglia.
Kenneth inarcò le sopracciglia in modo eloquente. — È questo il punto. In
teoria, sto per entrare a farne parte.
— Allora, fate ragionare mia figlia. — Sir Anthony la indicò con un gesto
esasperato della mano. — Lei è cocciuta, ma voi vi renderete conto che,
essendo stati sorpresi in una situazione compromettente, dovrete sposarvi, e
presto.
— Non necessariamente — replicò Kenneth con calma. — Le conseguenze
di un fidanzamento rotto sarebbero insignificanti in confronto a quelle di un
matrimonio sconsiderato.
— Dannazione! — ruggì sir Anthony. — Vi credevo un gentiluomo. Non
avrei mai dovuto assumervi!
— Dimentichi che è un visconte — intervenne Rebecca. — E tu stesso hai
detto che è il segretario migliore che tu abbia mai avuto.
— Ragione di più perché faccia ciò che è giusto! — Suo padre fulminò
Kenneth con un occhiataccia. — Non crediate di potervi sottrarre al vostro
dovere. Avete compromesso mia figlia e, perdio, la sposerete, altrimenti vi
frusterò.
Rebecca soffocò una risatina mentre cercava di immaginare il padre, di
corporatura non certo robusta, che frustava un uomo che pesava almeno
venti chili più di lui. La situazione stava trasformandosi in farsa.
Senza perdere la calma, Kenneth disse: — La decisione di sposarsi o meno
spetta solo a Rebecca. Se deciderà per il sì, è naturale che non mi tirerò
indietro, ma non la costringerò. Né voi né io abbiamo il diritto, o il potere, di
farlo. Non sono un partito eccezionale, perciò non posso biasimarla se
preferisce bruciare all’inferno piuttosto che sposarmi.
Rebecca trasalì, dispiaciuta che avesse udito quelle parole.
— Più penso a un vostro matrimonio, più l’idea mi piace — replicò sir
Anthony. — La casa è grande, perciò potreste vivere qui.
— Per amor del cielo, papà, non mi sposerò solo perché tu non vuoi
perdere il tuo segretario preferito — protestò Rebecca.
Fu Kenneth a parlare prima che il padre potesse risponderle: — Non si
può prendere una decisione ora, non mentre prevale l’ira.
— Forse avete ragione. — Sir Anthony si diresse alla porta. — Ma che la si
prenda ora o in seguito, c’è un’unica soluzione accettabile. Kenneth,
preparate una bozza per l’annuncio da trasmettere ai giornali. — E se ne andò
sbattendosi la porta alle spalle.
Rebecca crollò su una poltrona e si coprì il volto con le mani. Sentì i passi
di Kenneth che si avvicinavano e avvertì il calore del suo corpo quando si
inginocchiò al suo fianco.
— Tutto bene? — le chiese.
— Non ti preoccupare, sono più prossima a scoppiare a ridere che in
lacrime. — Rebecca sollevò la testa e gli rivolse un sorriso incerto. — Questa
situazione è assurda.
Lui andò a prendere la caraffa del caffè e ne riempì due tazze. — Sir
Anthony non l’ha presa bene. Sto per essere licenziato?
— Non credo. Le sue crisi di nervi non durano a lungo.
— E le tue? Te ne andrai davvero a vivere da sola?
— Dubito che si arriverà a tanto.
— Spero che tu abbia ragione. Non sopporterei di essere la causa della
rottura tra te e tuo padre.
Mentre beveva un sorso di caffè, Rebecca si rese conto di non provare
nessun imbarazzo nei confronti di Kenneth. — Se questo accadrà, la colpa
sarà nostra, non tua. — Lo fissò, per un attimo sovrappensiero. — Parlavi sul
serio quando hai detto che spetta soltanto a me decidere se sposarmi o no?
— Certo. Un gentiluomo non può rompere un fidanzamento. È una regola
fondamentale della buona società.
Lei sbuffò. — Ti obbligherò a rispettarlo per punirti di avermi trascinata a
quel ballo.
— Ho subito punizioni peggiori — replicò lui con un sorriso ironico.
Negli occhi gli brillava un’espressione di complicità che le scatenò
un’ondata di calore in tutto il corpo. Dio, la tentazione di costringerlo ad
andare fino in fondo aveva un fascino subdolo, ma non voleva perderlo come
amico, e niente sarebbe stato più fatale alla loro amicizia di un matrimonio
che lui non voleva.
— Oltre a pubblicare l’annuncio — disse con disinvoltura — cosa
dobbiamo fare per rendere credibile il nostro fidanzamento?
— Sarebbe consigliabile accettare qualche invito, ma è tutto. Tra qualche
settimana, la vita tornerà alla normalità.
Forse lui ne era convinto, ma non Rebecca. I fatti della sera precedente
aveva cambiato il loro rapporto, ora provava un miscuglio di intimità e di
cautela, e capiva che lo stesso valeva per lui. Solo il tempo avrebbe detto fino
a che punto era significativo quel cambiamento.

Un’ora più tardi, Kenneth alzò la testa con cautela quando sir Anthony
entrò in ufficio, ma il suo datore di lavoro era calmissimo, e non fece
allusioni alla scenata di poco prima.
Dopo aver sbrigato la normale corrispondenza, Kenneth gli porse la bozza
dell’annuncio che aveva preparato.
Sir Anthony lesse le poche righe e gli restituì il foglio. — Molto bene, ma
usate il vostro titolo invece del grado militare. — Nella sua voce si insinuò
una nota di ironia. — Voglio che tutti sappiano che la mia bambina farà un
ottimo matrimonio.
— Mi dispiace per quanto è accaduto, signore — disse Kenneth, a disagio.
— Volete dire che vi dispiace di aver baciato mia figlia? O vi dispiace di
esservi fatto sorprendere?
Kenneth decise di essere sincero e rispose: — Non rimpiango di averla
baciata… Rebecca è molto affascinante. Ma è stato uno sbaglio farlo e
metterla soprattutto in una situazione così imbarazzante.
— Quali sono le vostre intenzioni nei suoi riguardi?
Pensando che avrebbe preferito trovarsi di fronte a una corte marziale,
Kenneth rispose scegliendo con cura le parole. — Prima di ieri sera, non
avevo intenzioni di nessun tipo. Non ho alcun diritto di prendere moglie,
avendo ereditato una proprietà che è sull’orlo della bancarotta.
— Rebecca possiede già un patrimonio considerevole e, alla mia morte,
erediterà una piccola fortuna.
Kenneth fu colto dall’ira. — State cercando di convincermi a sposarla per il
suo denaro? Perché se è così, è oltraggioso per tutti e due. Non le occorre
essere ricca perché un uomo la desideri, e io non mi lascerò comprare.
— Non inalberatevi, capitano — ribatté sir Anthony, in apparenza
soddisfatto. — Non intendevo insultarvi. Vi sto solo facendo notare che, se
volete sposarla, è stupido che permettiate al vostro orgoglio di interferire.
— A quanto pare, siete favorevole a questo matrimonio. Perché? — chiese
Kenneth con franchezza. — Come ho già detto, non sono un gran partito, e
non mancano certo uomini più ricchi, più istruiti e più belli di me.
— Forse, ma siete l’unico per il quale Rebecca abbia dimostrato un certo
interesse dall’epoca di quel dannato poeta. È un requisito fondamentale.
— Ma non sapete niente di me.
— Non ho bisogno di un mucchio di referenze per capire chi siete. Un
uomo porta scritto in faccia il suo carattere. Io non vivrò in eterno, e mia
figlia ha bisogno di un marito premuroso, onesto e capace, che deve anche
saper apprezzare l’arte e rispettare il suo talento. Non è facile trovare un
uomo simile. Voi sareste perfetto per quel ruolo.
Non c’era niente di più umiliante che godere della stima dell’uomo per
distruggere il quale era stato assunto. Non sapendo cosa rispondere, Kenneth
disse: — Rebecca non sarebbe d’accordo sulla necessità di avere un marito.
Sir Anthony gli lanciò un’occhiata penetrante. — Voi non siete inesperto
in fatto di donne. Se deciderete di darvi da fare, sono sicuro che riuscirete a
essere molto… convincente.
— Convincente? — ripeté Kenneth, incredulo. — State insinuando che
dovrei tentare di convincere vostra figlia a sposarmi seducendola?
— Detto così è un po’ brutale, ma fondamentalmente esatto. Mi
dispiacerebbe vedere una buona unione andare in fumo per colpa della sua
ostinazione e del vostro orgoglio.
Kenneth trasse un respiro profondo. — Tutti i colloqui tra padri e
potenziali generi sono così espliciti?
Sir Anthony ridacchiò. — Non posso saperlo, dal momento che Helen e io
siamo fuggiti per sposarci. Quando tornammo da Gretna Green, suo padre mi
informò che aveva preso le misure necessarie per impedirmi di mettere le
mie mani avide sul suo patrimonio. Credo che rimase deluso quando capì che
la cosa mi lasciava indifferente. — La sua espressione ridivenne seria. — Un
buon soldato è un misto di onore e realismo. Un uomo non è niente senza
l’onore, ma spesso è meglio essere realistici. Rebecca non è una vergine di
diciassette anni, perciò non occorre che vi comportiate come se lo fosse.
Con quel commento stupefacente, sir Anthony si alzò e si diresse alla
porta, ma prima di uscire disse ancora: — Sono sincero con voi perché credo
che teniate a mia figlia. Ma se la farete soffrire, perdio, vi frusterò, anche se
siete due volte più grosso di me e avete la metà dei miei anni.
— Ho capito. Ma vi consiglio di evitare di parlare così a Rebecca — replicò
Kenneth con sarcasmo. — È probabile che reagirebbe andandosene di casa e
spedendoci tutti e due all’inferno.
— Vedo che la capite molto bene — commentò sir Anthony, lasciando la
stanza.
Kenneth si strofinò le tempie, confuso. C’era un’unica spiegazione: gli
artisti erano tutti matti.
Eppure, in cuor suo sapeva che, se non si fosse introdotto in casa Seaton
con l’inganno, sarebbe stato tentato di seguire il suggerimento di sir Anthony
e sedurre Rebecca.
19

Rebecca stava disegnando quando, senza nemmeno bussare, Lavinia entrò


nel suo studio.
— Spero sarai soddisfatta di te stessa — l’apostrofò. — Se non ti fossi
immischiata, ora la mia reputazione sarebbe a pezzi e non avrei più la
seccatura di dovermi riabilitare.
Lavinia scoppiò a ridere e si sedette sul divano. — Rinfodera gli artigli,
cara. Ho temuto che saresti svenuta quando vi hanno sorpreso a baciarvi e, se
non sbaglio, eri felice che fossi intervenuta per salvarti. Avresti dovuto
scegliere un luogo più appartato per buttarti tra le braccia di Kenneth.
— Non è stata una questione di scelta — replicò Rebecca, rossa in viso. —
È successo. E non mi sono buttata tra le sue braccia.
— No? Il vostro non era un bacio innocente. Era il genere di bacio
appassionato di chi è a un passo dallo strapparsi le vesti di dosso, e parlo per
esperienza personale.
— Lavinia! Mi stai mettendo in imbarazzo — la supplicò Rebecca,
chinando la testa.
Lavinia ne ebbe pietà e disse in tono più serio: — È ovvio che, in seguito,
potrai rompere il fidanzamento, ma rifletti prima di agire. Ti potrebbe
capitare un marito peggiore di Kenneth. Non solo è attraente, ma ha anche
un titolo nobiliare, ed è veramente interessato a te. Fai onore al nostro sesso,
perché poche donne sarebbero riuscite a ottenere un simile risultato in una
sola sera. — Soffocò una risatina. — Inoltre, sposandolo faresti un grosso
dispetto a Hermione.
Rebecca alzò la testa. — Conosci lady Kimball?
— Sì, e so quanto è perfida. Ho notato che siete scappati dalla sala da ballo
dopo aver parlato con lei. Come al solito, avrà sputato tutto il suo veleno.
— Si è comportata come una vera strega. — Pensando che a Kenneth
avrebbe fatto piacere saperlo, Rebecca chiese: — Com’era il suo matrimonio?
Ha reso lord Kimball infelice?
Lavinia rifletté per un momento. — Non credo. Hermione non è una
stupida, e non dubito che abbia fatto in modo che il marito fosse felice
tenendolo all’oscuro dei suoi tradimenti. — Inclinò la testa e chiese: — Come
ha preso tuo padre la notizia del vostro fidanzamento?
— Non bene — ammise Rebecca. — Si è messo a strepitare che Kenneth
deve sposarmi.
— In questo caso, non insisterò sull’argomento. — Con un movimento
aggraziato, Lavinia si alzò in piedi. — Non c’è niente come sentirsi dire di fare
qualcosa per indurci a fare esattamente il contrario. — Se ne andò, agitando la
mano in un gesto di saluto.
Mordicchiando la matita, incapace di concentrarsi sul disegno, Rebecca si
chiese invece fino a che punto Kenneth fosse attratto da lei.

Quando Kenneth arrivò per la seduta pomeridiana, Rebecca aveva ripreso


il controllo sul caos di emozioni che si agitavano in lei. L’aiutò anche il fatto
che lui si astenne dall’alludere alla situazione imbarazzante in cui si erano
cacciati, ma prese Ghostie e si mise subito in posa sul divano. — Come sta
venendo il quadro? — le chiese.
— Piuttosto bene. Tra una settimana o due sarai libero. Ora fai la faccia da
feroce pirata.
— Non mi ci abituerò mai — si lamentò Kenneth, chiudendo gli occhi e
riaprendoli per fissarla con cupa intensità. L’effetto era non tanto minaccioso
quanto affascinante, e di una virilità prepotente.
Rebecca respirò a fondo e, prendendo in mano il pennello, diede il giusto
chiaroscuro alla guancia, quindi vi tracciò sopra la linea pallida della cicatrice,
segno tangibile di una vita pericolosa. Più difficile era catturare la trasparenza
dei suoi occhi grigi. Occhi stanchi che avevano visto tutto, e diffidavano di
tutto. Usò sprazzi di bianco per renderne lo scintillio, e sapienti pennellate di
nero per renderli penetranti come erano nella realtà.
Immerse il pennello nel barattolo di acquaragia e ne scelse un altro per
aggiungere le sottili rughe agli angoli degli occhi. Gli davano un aspetto
maturo, oltre a essere la prova di una vita vissuta all’aria aperta.
Ombre per dare risalto alla linea marcata degli zigomi. Ora toccava alla
bocca. Rebecca si trovò subito in difficoltà. Mentre la delineava, ebbe il vivido
ricordo delle sensazioni che aveva provato sentendo quelle labbra sulle
proprie. Fu percorsa da un’ondata di calore e il pennello scivolò sulla tela,
strappandole un’esclamazione esasperata.
— Qualcosa non va? — chiese Kenneth.
— Solo… solo una pennellata sbagliata. — Evitando il suo sguardo,
Rebecca si asciugò le palme umide, quindi grattò via il colore. Tentò di nuovo
di dipingere la bocca che le aveva baciato l’orecchio e le aveva mordicchiato la
gola, suscitando sensazioni deliziose…
Sbagliò di nuovo e, con disgusto, si accorse che le tremava la mano.
Decise allora di lasciar perdere il volto finché il ricordo dei suoi baci era
ancora troppo vivo e spostò l’attenzione sul braccio posato sullo schienale del
divano. La camicia di lino bianco, tesa sulla spalla, lasciava intuire i muscoli
possenti sotto il tessuto. Occorreva soltanto intensificare le ombre. Lo fece,
quindi studiò il modo in cui la camicia fasciava il torace.
Si era premuta senza nessun pudore contro di lui…
Abbassò lo sguardo e deglutì a fatica. Trovarsi da sola con un uomo,
completamente concentrata sul suo corpo, era un’esperienza carica di
erotismo. Senza dubbio anche lui doveva avvertire quella energia pulsante
che saturava l’aria, ma non osava guardarlo in faccia per scoprirlo, sapendo
che i suoi occhi l’avrebbero tradita.
Abbassò lo, sguardo sulle sue gambe, ma si affrettò a distoglierlo vedendo
come i calzoni neri gli modellavano le cosce. Non poteva nemmeno pensare
di dedicarsi alla parte inferiore del suo corpo. Così decise che era meglio
terminare la mano posata su Ghostie.
Rebecca si sforzò di pensare come una pittrice e non come una donna, e si
rimise al lavoro, spostando lo sguardo dalla tela al soggetto e viceversa. Ma
quando vide le lunghe dita di Kenneth lisciare con dolcezza sensuale la testa
del gatto, nella sua mente si riaccese il ricordo di come quelle forti mani
l’avevano accarezzata. La sensazione del palmo stretto a coppa sul suo seno…
Dannazione, tutto ciò era assurdo. Il suo volto doveva aver tradito il
tumulto che la agitava perché Kenneth chiese: — Ci sono altri problemi?
Sperando di non essere arrossita, Rebecca rifletté, in fretta e disse: — Per
favore, sposta di qualche centimetro la mano destra. — Si inumidì le labbra e
iniziò a lavorare sulla mano posata sullo schienale del divano, ma
improvvisamente ricordò che quella stessa mano si era stretta intorno al suo
fianco per attirarla più vicino, scatenando fremiti ardenti nelle parti più
segrete del suo corpo…
Con un’imprecazione, gettò la tavolozza sul tavolo. — Per oggi basta così
— borbottò, — Possiamo concederci una tazza di tè prima di passare alla tua
lezione di pittura.
— Bene. Sono stanco di stare immobile. — Kenneth si alzò dal divano e si
stirò con voluttà. Affascinata, lei osservò la grazia felina del suo corpo.
Ufficialmente, era fidanzata con quell’uomo e, sui giornali del giorno dopo,
avrebbero annunciato al mondo che loro due intendevano dividere lo stesso
letto per il resto della loro vita.
Afferrò uno straccio e si mise a pulire con energia i pennelli. Era una
fortuna che il ritratto fosse quasi terminato, pensò, esasperata.

Kenneth era contento che la seduta fosse finita. Era sempre difficile per
lui restare immobile e senza niente da fare tranne ammirare Rebecca, ma
quel giorno aveva temuto di non farcela. La sua mente divagava tra il ricordo
di lei, affascinante nell’abito di seta color ambra, e il pensiero ancor più
pericoloso di lei senza niente addosso.
Dopo il tè, si preparò con riluttanza ad affrontare un’altra lezione di
pittura. Aveva finito per odiarle perché si rendeva conto che non riusciva a
fare progressi.
Preparò con cura meticolosa i colori di cui avrebbe avuto bisogno per la
sua natura morta, e si mise al lavoro, mentre Rebecca, seduta al suo tavolo,
triturava pigmenti.
Dopo un po’ si alzò e si avvicinò a Kenneth per controllare a che punto
era.
— Le ombre della ciotola dovrebbero essere più accentuate, per darle
rotondità — commentò dopo un breve esame. — E le zone di massima luce
devono essere più calde, per trasmettere l’impressione del rame.
Aveva ragione, e Kenneth capiva dove stava sbagliando, ma mentre non
aveva difficoltà a ottenere certi risultati con gli acquerelli, non riusciva a
padroneggiare i colori a olio. Colto da un furore improvviso, scagliò sul tavolo
tavolozza e pennello e cominciò a passeggiare avanti e indietro per lo studio.
— Non ce la farò mai, Rebecca. Sto solo sprecando colori e tela. — Si voltò
a indicare la sua natura morta.
— È piatta. Morta. Cristo! Ho sbagliato a pensare che avrei potuto
imparare a dipingere con i colori a olio.
Si stava dirigendo verso la porta quando lei disse in tono deciso: — La
lezione non è finita, Kenneth.
— Oh, sì, e non ce ne saranno altre. Apprezzo la tua buona volontà,
Rebecca, ma è una perdita di tempo.
— Torna qui, capitano — gli ordinò lei. — Io ti ho accontentato accettando
di partecipare a quel dannato ballo, e ora tu accontenterai me facendo un
altro tentativo.
Con la mano sulla maniglia, Kenneth inspirò ed espirò lentamente per
calmare l’agitazione, quindi tornò con aria rassegnata al cavalletto.
Rebecca, seduta su uno sgabello, tamburellava con le dita sul tavolo,
pensando a voce alta. — I colori a olio sono un mezzo per trasformare le idee
in immagini visibili. In pratica, per esprimere le emozioni. Il tuo desiderio di
diventare padrone della pittura a olio è così forte che pretendi troppo da te. Il
risultato è che finisci per irrigidirti, e questo influisce sul tuo modo di
dipingere. Anche se il disegno di base è buono, alla fine il quadro risulta privo
di vita.
— Hai ragione — ammise Kenneth. — Ma che io sia dannato se so come
porvi rimedio.
Rebecca gli rivolse un sorriso malizioso. — Ci sarebbe una soluzione.
Faremo in modo che i colori a olio si comportino come un mezzo che tu già
padroneggi. — Così dicendo, prese un tubetto di azzurro e ne spremette una
piccola quantità su una tavolozza pulita. Dopo aver diluito il colore con
acquaragia fino a ottenere la consistenza desiderata, prese un foglio di spessa
carta e si servì di un pennello per tracciarvi una striscia di blu.
— Così diluiti — gli spiegò — li puoi usare quasi come se fossero
acquerelli. Provaci.
Dubbioso, Kenneth prese il pennello, lo intinse nell’azzurro e, tracciando
una pennellata sulla tela, si accorse di riuscire a stenderlo con notevole
facilità.
Quasi senza accorgersene aggiunse altre strisce di colore, creando
sfumature di blu come quelle che avrebbe usato per il cielo di un paesaggio
ad acquerello.
Posò il pennello e piegò le dita, pensieroso. — Interessante. La mia mano
ha agito d’istinto. — In preda all’entusiasmo, spremette sulla tavolozza un po’
di terra di Siena. Con pochi e rapidi tratti disegnò una silhouette di Rebecca,
con i lunghi capelli che le danzavano intorno alle spalle.
— Ne hai capito i vantaggi? — commentò lei, ridendo.
Kenneth aggrottò la fronte. — È troppo facile. Dev’esserci un motivo se
chi dipinge a olio non usa questa tecnica.
— I colori non hanno la stessa profondità e ricchezza — gli spiegò
Rebecca. — Sbiadiscono anche più in fretta così diluiti.
— Non ha importanza. Sto cercando di imparare, non di creare capolavori
capaci di sfidare il tempo.
— Un altro vantaggio — proseguì Rebecca — è che i colori diluiti si
asciugano più rapidamente ed è possibile lavorarci sopra prima. Il mio
consiglio è di usarli diluiti per lo sfondo, e di aggiungere poi i particolari con
tinte più dense.
Sempre più eccitato per quello che gli sembrava un passo importante
nella giusta direzione, Kenneth esclamò: — Rossa, sei fantastica.
Senza riflettere, si protese per darle un rapido bacio di riconoscenza. Ma
appena le loro labbra si sfiorarono, la tensione che si era accumulata tra loro
per tutto il pomeriggio prese vita. Rebecca socchiuse la bocca e le loro lingue
si incontrarono, intrecciandosi insieme con languida sensualità.
Il suo profumo era inebriante, un miscuglio di acqua di rose, di colori a
olio e di donna, una fragranza unica, come unica era Rebecca. Kenneth
ardeva dal desiderio di abbeverarsi alla forza e al mistero della sua
femminilità.
Le mise un braccio intorno all’esile vita e la strinse a sé. Con l’altra mano
risalì lungo il fianco fino a soffermarsi sulla tenera rotondità del seno.
Quando iniziò ad accarezzarlo, disegnando lenti cerchi con il palmo, Rebecca
sussultò e si inarcò contro di lui, flessuosa e arrendevole.
Le loro bocche si incontravano e si lasciavano in una estenuante
schermaglia. Le mani di Kenneth la modellavano con la stessa cura
amorevole che uno scultore avrebbe usato con l’argilla, esplorando la linea
delicata della nuca, le curve piene dei fianchi, la superficie piatta dell’addome.
A Rebecca sfuggì un lieve grido quando le sue mani scesero ancora più in
basso e accarezzarono la zona più intima della sua femminilità, nascosta
sotto strati di tessuto. In quell’istante, nella mente di Kenneth
riecheggiarono raggelanti le parole di sir Anthony: "Sono sicuro che potreste
essere molto convincente".
Dannazione, era sul punto di sedurla, proprio come gli aveva suggerito di
fare sir Anthony, Il fatto che non lo stesse facendo a sangue freddo non
significava che le conseguenze sarebbero state meno gravi.
Kenneth sollevò la testa e si raddrizzò. Da passionale il suo abbraccio
divenne protettivo e, per un istante, avvertì la protesta del corpo di Rebecca.
Ma subito la donna si immobilizzò e gli appoggiò la testa sotto il mento. Così
piccola e fragile, meritava di avere accanto l’uomo forte e onesto che sir
Anthony auspicava per lei, non quello subdolo e ingannevole che lui era in
realtà.
— Se non stiamo attenti — disse con voce incerta — potremmo davvero
finire davanti a un altare.
— Il cielo ce ne scampi e liberi. — Anche se il tono era sarcastico, c’era
un’espressione di vulnerabilità sul suo viso quando si scostò da lui.
I suoi capelli erano di nuovo sciolti, e Kenneth non resistette alla
tentazione di farvi scorrere attraverso le dita. — Se tento di baciarti di nuovo,
Rebecca, prendimi a calci. Tu riesci ad annullare la mia forza di volontà.
Un sorriso pigro e compiaciuto le incurvò le labbra. — Non ne ho molta
neanche io. Ricordi, ho distrutto la mia reputazione dieci anni fa.
Rebecca sollevò una mano per attirare a sé la testa di Kenneth, ma lui fu
rapido a catturarla e vi depose un bacio sul palmo. — Non dimenticarti che
ora sei di nuovo rispettabile.
Lei rise e scrollò la testa, facendo ondeggiare la folta capigliatura lucente
come seta. La sensualità che aveva avvertito in lei era ora palese in tutta la
sua carica erotica. Come aveva detto il padre, non era una vergine di
diciassette anni.
— Ti sembro rispettabile, capitano? — gli chiese con un ombra di
sarcasmo.
Senza volerlo, Kenneth strinse a pugno la mano con cui le aveva
accarezzato il seno. — Assomigli a Lilit, la creatura demoniaca inviata a
rubare le anime agli uomini. Perfida e irresistibile. Sono sicuro che aveva i
capelli rossi.
Rebecca inclinò la testa, in un gesto di deliberata provocazione. — Allora,
faresti meglio ad andartene prima che rubi la tua.
Lui le baciò di nuovo la mano prima di dirigersi alla porta. Sul punto di
uscire, si voltò per darle un ultima occhiata: appoggiata al tavolo, lo stava
osservando con lo sguardo ardente dell’artista e della donna. Kenneth fu
colto dal terribile sospetto che gli avesse già rubato l’anima, ma su una cosa
non aveva dubbi: aveva trovato il soggetto per il suo prossimo dipinto.

Rebecca rimase a lungo appoggiata al tavolo dopo che Kenneth se ne fu


andato. Aveva voluto che lui la desiderasse, e così era stato.
Anche se non vedeva un futuro per loro due, forse sarebbe riuscita ad
assaggiare i frutti proibiti della passione prima che lui se ne andasse da casa
Seaton, come era inevitabile che accadesse.
20

Kenneth trascorse la serata e gran parte della notte nel suo piccolo studio,
facendo esperimenti con i colori a olio diluiti e consumando una piccola
fortuna in candele. Quando alla fine andò a letto, il quadro che aveva preso
forma nella sua mente, mentre parlava con Rebecca, e la baciava, era già
abbozzato. Il pomeriggio seguente, mentre si stava applicando con una certa
fatica ai suoi compiti di segretario, l’amico di sir Anthony, lord Frazier, entrò
in ufficio.
— Buon giorno — lo salutò con voce flemmatica. — Ho letto sui giornali la
bella notizia e le congratulazioni sono d’obbligo. — Sollevò il monocolo e
studiò Kenneth con cura esagerata. — Così, siete un visconte. Vi prego di
perdonarmi se vi sono passato davanti uscendo da una porta. Ignoravo che
aveste un titolo che ha la precedenza sul mio.
Anche se il commento voleva essere ironico, Kenneth vi intuì una certa
acredine. Soffocò un sospiro; era la prima volta che Frazier lo apostrofava più
come un suo pari che come un essere inferiore, ma avrebbe preferito restare
una nullità ai suoi occhi.
— È un titolo che mi appartiene da poco — replicò in tono pacato. — Ci
vorrà del tempo perché mi abitui.
Frazier batté il monocolo sul palmo della mano. — Così, la piccola
Rebecca diventerà lady Kimball. L’avete già presentata alla vostra matrigna?
Nel suo intimo, Kenneth si irrigidì. — Abbiamo incontrato Hermione al
ballo dei Candover. La conoscete?
— Oh, sì. — Dal tono, era chiaro che Frazier la conosceva piuttosto bene.
— Possiede un umorismo di una perfidia raffinata. Ma voi lo saprete
sicuramente.
— Oh, certo. Ogni volta che penso a Hermione, ricordo la perfidia raffinata
del suo umorismo.
Frazier si appoggiò allo stipite della porta. — Non andate d’accordo con
lei?
Kenneth si strinse nelle spalle. — Non posso dire di conoscerla bene. Mi è
sembrata in gran forma al ballo.
— La vedovanza le si addice. — Frazier socchiuse gli occhi. — Avete fatto
bene a conquistare Rebecca. È un’ottima scelta per un uomo che sta
attraversando un periodo sfortunato.
— La prossima volta che qualcuno insinuerà che sposo Rebecca per il suo
denaro, dovrà vedersela con me — replicò Kenneth con voce gelida.
Frazier ammiccò, sorpreso da tanta veemenza. — Sono spiacente, non
intendevo insultarvi. In realtà, non conosco Rebecca, anche se l’ho vista in
pratica nascere. Che tipo è?
Kenneth rifletté un attimo prima di rispondere. — Timida ma decisa.
Intelligente e dotata di talento. — Pensando che Frazier non sapesse che
dipingeva, non si dilungò su quel punto. — È un’ottima assistente e critica
d’arte per suo padre.
— Non avevo idea che fosse una sua valida collaboratrice. — Lo stupore di
Frazier era genuino.
— È un tipo tranquillo. — Kenneth sorrise suo malgrado. — E incantevole
come un folletto silvestre.
— Queste sono le parole di un uomo innamorato. A quanto pare, il suo
matrimonio sarà una grossa perdita per Anthony. — Frazier diede un’occhiata
all’orologio sulla mensola del camino. — È tempo che me ne vada. Vi prego,
fatele le mie congratulazioni.
Kenneth si rimise al lavoro. Aveva chiesto a Rebecca di esentarlo dalla
seduta del pomeriggio perché non vedeva l’ora di rifugiarsi nel suo studio e
dipingere.

Appena Rebecca vide Kenneth a colazione capì, da come sprizzava energia


ed entusiasmo, che il nuovo approccio alla pittura stava dando i suoi frutti.
Fu perciò felice di dargli il pomeriggio di libertà.
Dopo aver lavorato tutta la giornata a perfezionare lo sfondo
orientaleggiante del quadro del pirata, cenò da sola. Suo padre doveva
assistere a una qualche cerimonia della Royal Academy, e Kenneth non si
fece vedere.
Terminata la cena, tornò nel suo studio e lavorò al quadro che
rappresentava una donna che precipitava. Anche se era un soggetto che la
turbava molto da un punto di vista emotivo, si sentiva costretta suo malgrado
a terminarlo. Forse, una volta finito, sarebbe servito a esorcizzare in parte le
ombre cupe che aleggiavano sulla sua anima.
Lo studio di Kenneth aveva una parete in comune con il suo, e una o due
volte udì dei deboli rumori, ma la porta non si aprì mai. Senza sapere se a
spingerla fosse la preoccupazione o la curiosità, alla fine decise di portargli
qualcosa da mangiare. Anche se la sua mente doveva aver perso la nozione
del tempo, probabilmente Kenneth avrebbe gradito un po’ di cibo.
Scese in cucina e ammucchiò su un vassoio delle fette di carne, formaggio,
una pagnotta e una bottiglia di vino con due bicchieri. Quindi salì di nuovo
all’attico.
Tenendo il vassoio in equilibrio su una mano, bussò alla porta dello
studio, ma non ottenne risposta. Cominciando a essere seriamente in ansia,
girò la maniglia senza far rumore, e scoprì che si era preoccupata per niente.
La luce di una mezza dozzina di candele le mostrò un Kenneth tutto assorto
davanti al cavalletto. Poiché si trovava ad angolo retto rispetto alla porta, non
si accorse di lei.
Rebecca sorrise vedendo il ciuffo di capelli che gli era ricaduto sulla fronte
e una macchia di colore sulla guancia. Si era tolto gli stivali, probabilmente
per non fare rumore. Si era sbarazzato anche di giacca e cravatta, e la camicia
aperta lasciava intravedere il torace. Lo studiò con autentico piacere. Il corpo
muscoloso e la grazia atletica ne facevano un pirata affascinante, ma il vero
Kenneth era molto più complesso e interessante di un eroe byroniano. A voce
alta disse: — Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere mangiare qualcosa.
Lui si girò di scatto, con la prontezza di riflessi di un soldato, quindi
sorrise. — Scusami. Mi hai spaventato. — Guardò le tenebre fuori dalla
finestra. — Ho saltato la cena, vero?
— In effetti, sono quasi le undici. — Rebecca posò il vassoio. — Immagino
che il dipinto proceda bene.
— Avevi ragione. Mi occorreva un modo diverso di lavorare con i colori a
olio, e un soggetto che mi interessasse. — Kenneth posò la tavolozza e il
pennello e cominciò a camminare per la stanza, troppo piccola per contenere
l’energia che gli sprizzava da ogni poro. — Dopo un inizio un po’ faticoso, è
stato proprio come hai detto tu… come essere travolti da un torrente di fuoco.
Amo la ricchezza dei colori a olio, gli effetti che si possono ottenere. È tutto
proprio come avevo sognato e non riesco a capire perché ieri mi sembrasse
impossibile.
Era come un soldato vittorioso dopo una strenua battaglia, e il suo
entusiasmo la fece ridere. Curiosa di vedere il suo lavoro, Rebecca si diresse
al cavalletto.
Quando lui se ne accorse, si girò di scatto. — Cristo, Rebecca, non puoi
guardarlo!
— È un privilegio dell’insegnante — replicò lei con noncuranza, ma
quando, un attimo dopo, si trovò di fronte al dipinto, si arrestò di colpo.
Era un ritratto di lei, nuda.
Incredula, fissò la tela. Kenneth si era servito dei colori a olio diluiti per
dipingere lo scenario magico di una radura in mezzo ai boschi. In primo
piano c’era la figura di una donna, in piedi. Una delle sue mani era posata sul
tronco di un albero mentre con l’altra porgeva una mela.
Il corpo snello era reso con cura amorevole. La vellutata pelle color pesca
gridava di essere accarezzata, e le chiome ramate scendevano a cascata fino al
suolo, come cupe fiamme. Alcune ciocche disegnate in posizioni strategiche
rappresentavano una scherzosa concessione al pudore, e le ricordarono la
Venere del Botticelli, dea innocente che nasceva dalle acque del mare.
Ma non c’era niente di innocente nella creazione di Kenneth. La sua
donna nuda irradiava sensualità. Le labbra erano generose e impudiche, gli
occhi castani, spruzzati di pagliuzze dorate, promettevano misteriose delizie
all’uomo che avesse osato accettare il frutto proibito dalla sua mano.
Rebecca riuscì a distogliere gli occhi dal dipinto e guardò Kenneth, che
aveva un’espressione vulnerabile, come se temesse che lei urlasse o desse in
escandescenze. Ma, a parte quella paura, era un pittore alle prime armi che
aveva disperatamente bisogno di approvazione.
Rebecca dovette deglutire prima di riuscire a parlare. — È… è molto
buono. Hai saputo utilizzare bene le diverse densità dei colori. Immagino che
sia Eva.
— Lilit — la corresse lui con voce roca. — La prima donna creata da Dio,
prima di Eva.
— Ah. Certo. Hai detto che per te Lilit era una rossa. Penso a lei non come
a una creatura demoniaca ma come alla prima donna indipendente, creata
con la stessa dignità dell’uomo piuttosto che come una sua schiava. —
Rebecca guardò di nuovo la tela, cercando di assumere un tono distaccato. —
È perfetta come figura mitica, idealizzata, ma non funziona come ritratto. La
tua Lilit è molto più bella di me.
— No — la contraddisse lui con veemenza. — È così che tu sei. Bella.
Sensuale. Straordinaria.
Nei suoi occhi c’era la stessa passione ardente che aveva creato il dipinto.
Rebecca capì con certezza assoluta che la desiderava, non spinto da un
impulso casuale, ma da un bisogno profondo.
L’intensità del suo desiderio fece avvampare in lei la smania struggente
che aveva cercato di soffocare. Mandando al diavolo le convenienze, decise
che era giunto il momento di liberare il fiume di fuoco che poteva trascinarli
a vette di gioia sublime.
Rebecca lanciò lo scialle sull’unica sedia della stanza quindi, sbalordita
dalla propria audacia, slacciò il primo bottone del corpetto. — Vorrai vedere
fino a che punto è precisa la tua immaginazione.
Kenneth si irrigidì quando anche il secondo bottone venne slacciato. — La
mia immaginazione non ha bisogno di conferme. Non occorre che tu mi
faccia da modella.
— No? — Lei sorrise e slacciò un altro bottone. — Credo che tu abbia
sbagliato certe proporzioni. — Ne slacciò un altro. Kenneth non riusciva a
staccare gli occhi dalle sue dita.
Quando l’ultimo bottone scivolò fuori dalla sua asola, Rebecca si sfilò
l’abito dalle braccia con provocante lentezza prima di lasciarlo cadere a terra.
Aveva sempre odiato la biancheria complicata imposta dalla moda, perciò
sotto il vestito indossava solo il minimo indispensabile.
Si sbarazzò con un calcio delle scarpe e si sfilò le forcine per sciogliere i
capelli. — Un buon artista sfrutta ogni occasione per dipingere dal vero,
Kenneth.
— Se non ti rivesti subito, le frustate e il matrimonio diventeranno
inevitabili.
Lei rise e si passò le dita tra i capelli per liberare le ultime ciocche. — Chi
ha parlato di frustate e di matrimonio? Per Lilit e il Pirata solo il desiderio
conta.
— Quelle sono soltanto fantasie — replicò Kenneth con voce roca e il volto
velato di sudore. — È sbagliato, Rebecca. Forse non lo capisci, ma è sbagliato.
— Hai ragione, non capisco. — Lei si sedette sulla sedia, slacciò le
giarrettiere e si sfilò le calze. — Non devi proteggermi, mio caro pirata. So
cosa sto facendo. — Appallottolò le calze e gliele lanciò, mirando alla sua zona
virile. — Stando così le cose, dammi un solo motivo valido per cui dovremmo
rinunciare a fare una cosa che desideriamo tutti e due.
Kenneth afferrò al volo le calze e le strinse con tanta forza le nocche
divennero bianche. Lei gli vide riflessa nei suoi occhi la lotta che si stava
svolgendo nel suo animo. Sì, la desiderava, ma il suo dannato senso
dell’onore stava prevalendo.
Incapace di sopportare quel pensiero, si alzò e gli andò vicino, con le mani
tese in un gesto di supplica. — Ti prego, Kenneth. Ti desidero tanto.
Lei gli accarezzò il volto e l’autocontrollo dell’uomo si incrinò. Le coprì le
mani con le proprie, intrappolandole contro le guance. — Che Dio mi aiuti,
Lilit — disse con voce roca. — Hai vinto.
Le prese le mani e se le premette contro il torace. E lei avvertì il battito
convulso del suo cuore mentre le loro bocche si univano. Pervasa da
un’ondata di sollievo, capì che erano ormai prigionieri della corrente
inesorabile del fiume.
Fu un bacio carico di desiderio, impetuoso. Rebecca gli fece scivolare la
braccia intorno alla vita mentre lui le appoggiava le mani sulle natiche,
facendo aderire i loro bacini. Un fuoco liquido cominciò a serpeggiare nelle
sue parti più segrete.
Quando lui interruppe il bacio, Rebecca mormorò una protesta finché il
tocco delle sue labbra sull’orecchio trasformò la protesta in un sospiro
estatico. Gettò la testa all’indietro e sarebbe caduta a terra se le braccia
dell’uomo non l’avessero sorretta.
— Lilit, con i capelli e l’anima di fuoco — mormorò Kenneth, tracciando
una scia di baci lungo la pelle tenera della gola.
Lei gli infilò le mani sotto la camicia, impaziente di avvertire il contatto
con la sua pelle nuda, ma le sfuggì un’esclamazione irritata quando
l’indumento resistette ai suoi tentativi di aprirlo. Con gesti febbrili, tirò i
lembi della camicia per sfilargliela dai calzoni.
Gli stava accarezzando la pelle calda del torace quando la bocca di lui si
chiuse sul suo seno. Ne leccò il capezzolo attraverso il tessuto sottile della
sottoveste, disegnando cerchi sensuali con la lingua prima di mordicchiarlo.
Rebecca si irrigidì, paralizzata la un’eccitazione che le serpeggiava in tutto il
corpo. Ma subito venne invasa da una smania che aveva bisogno di essere
appagata. Gli afferrò i lembi della camicia e, tirando con forza, lacerò il
tessuto, dicendo con tono trionfante: — Desideravo farlo dalla prima volta
che ti ho visto, mio bel pirata.
Kenneth fu scosso da un fremito quando lei iniziò ad accarezzargli con
gesti lenti il torace muscoloso, infilandogli le dita tra la scura peluria.
Gli premette le labbra nell’incavo della clavicola e avvertì un lieve sapore
di sale mentre scendeva a leccargli il cerchio scuro del capezzolo. Lo baciò,
come lui aveva baciato il suo, lambendolo con la lingua e stuzzicandolo con i
denti.
Kenneth le affondò le mani nella folta chioma, aprendo e chiudendo le
dita in un gesto d’impotenza. — Mio Dio, Rebecca — ansimò — mi fai
impazzire.
Lei rise di piacere, si alzò sulla punta dei piedi e strofinò il suo volto
nell’incavo tra la spalla e la gola. L’odore muschiato della sua pelle era di una
virilità esaltante.
Un attimo dopo sentì che le mancava il respiro quando lui afferrò i lembi
della sottoveste e gliela sfilò dalla testa. D’un tratto consapevole della propria
nudità, provò il fugace desiderio di coprirsi, per nascondere le imperfezioni
del suo corpo.
Ma gli occhi di Kenneth scintillavano come stelle in un cielo invernale. —
Sei più bella di quanto avessi immaginato — mormorò con voce roca,
chiudendo le mani a coppa sui seni, stuzzicandone i capezzoli con i pollici
fino a farli diventare turgidi, massaggiandone le curve con carezze sensuali.
La sollevò tra le braccia ed ebbe un attimo di esitazione quando la sentì
irrigidirsi per la sorpresa. — Sei così leggera — mormorò impacciato. —
Delicata.
— Ma niente affatto fragile. — Temendo che la sua coscienza potesse
avere il sopravvento, Rebecca attirò a sé la sua testa per baciarlo mentre gli
copriva di carezze appassionate ogni parte raggiungibile del corpo. La smania
struggente che le serpeggiava nelle membra continuava a crescere d’intensità.
Percorsero a zigzag la decina di passi che li separavano dallo stretto letto
nell’angolo, dove lui la depose sulla coperta stesa sopra il materasso di paglia.
Rebecca sentì la lana ruvida contro la schiena e le cosce. — Voglio vederti
tutto — sussurrò con un tremito nella voce.
Un po’ impacciato per la fretta, Kenneth si slacciò i calzoni e se li tolse. Si
sfilò quindi gli indumenti intimi e si offrì al suo sguardo. Rebecca fissò le sue
cosce muscolose, il sesso imponente, e per un attimo fu colta dal dubbio di
non riuscire ad accoglierlo dentro di sé.
Kenneth si sedette sul bordo del letto e si chinò su di lei. I lineamenti rudi
del suo volto erano ammorbiditi dalla luce delle candele e la cicatrice era
quasi invisibile. Rebecca gli passò le mani sulle spalle e lungo le braccia,
affascinata dalla sagoma scultorea di quel corpo. Una lacrima le bagnò le
ciglia e lei batté le palpebre per scacciarla.
Vedendola, lui chiese a voce bassa: — Hai cambiato idea?
Rebecca scosse la testa e lo fissò con i grandi occhi luminosi. — Il fatto è
che sei bello, talmente bello…
Kenneth non aveva mai pensato che qualcuno potesse considerarlo bello,
e gli sembrava quasi un delitto voler imporre la mole del proprio corpo a una
creatura così delicata ed esile come Rebecca. — Pensavo che tu fossi dotata di
senso estetico — la canzonò. — La bella sei tu. Sei fatta per fare l’amore. Sei
un tripudio per gli occhi, le mani e la bocca.
Sollevò una ciocca di capelli e se li strofinò contro la guancia. — Che
stupende sfumature di rosso, bronzo e oro. — Posò i capelli sulla spalla e
ammirò il contrasto con la pelle bianca. — L’incarnato squisito di una rossa
che lascia intravedere l’azzurro delle vene. — Le passò le palme delle mani
lungo le braccia. — Seni perfetti. Non troppo grossi, non troppo piccoli,
coronati da boccioli scuri. — Chinò la testa e succhiò il capezzolo sinistro, che
divenne subito turgido.
Dopo aver reso omaggio a quella tenera rotondità, con la lingua tracciò un
cerchio intorno all’ombelico e le infilò una mano tra le ginocchia, per
accarezzare la pelle vellutata della parte interna delle cosce. Lei fu percorsa
da un fremito e inarcò la schiena, aggrappandosi con le mani alla coperta.
La lieve peluria tra le sue gambe era di una sfumatura più scura dei
capelli. Lui posò il palmo sulla tenera prominenza del pube, stupito di essere
la causa del pulsare rapido del suo sangue. Si allungò quindi al suo fianco,
tenendola stretta con un braccio mentre insinuava le dita dell’altra mano ad
accarezzare le pieghe umide nascoste sotto la peluria.
Lei gemette, man mano che l’esplorazione diventava sempre più profonda
e intima. Prima di raggiungere l’orgasmo, allungò una mano e trovò la verga
dura e calda del suo sesso. Lo strinse delicatamente e ne accarezzò con il
pollice la punta sensibile.
Il suo tocco, pur così delicato, gli procurò un piacere quasi intollerabile. Si
inarcò, colto da uno spasimo. "Oh, Dio, Dio, non ancora."
In preda a un desiderio ormai incontrollabile, si scostò da lei e sollevò il
proprio corpo sul suo. Gli tremavano le braccia per lo sforzo di sostenere il
proprio peso mentre si apprestava a penetrare nella calda fessura della sua
femminilità.
Quando avvertì un’inattesa resistenza e sentì che si irrigidiva, si maledisse
per essersi dimenticato di quanto era fragile. Tremando per lo sforzo, cercò di
rimanere immobile per consentirle di adattarsi, e si impadronì della sua
bocca in un bacio appassionato nel tentativo di alleviarne la tensione.
Rebecca si rilassò e ricambiò il suo bacio con avidità, come se avesse
voluto fondersi insieme a lui. Kenneth cominciò a muoversi, all’inizio con
estrema cautela e via via con spinte sempre più profonde e rapide.
Girando la testa da una parte all’altra, con il respiro ansante, lei gli
affondò le unghie nei muscoli della schiena. — Ti prego, Kenneth, ti prego…
— gemette, inarcando il bacino in preda a una frenesia inarrestabile.
Raggiunse l’orgasmo nell’attimo stesso in cui lui arrivava all’apice del
piacere. Con un gemito, Kenneth continuò ad affondare in lei, travolto da una
marea infuocata di sensazioni. E mentre le fiamme si placavano, si rese conto
con stupore e disperazione che gli avevano marchiato in maniera irrevocabile
anche l’anima.
21

Il letto era stretto, ma Kenneth riuscì ugualmente a girarsi su un fianco e


l’attirò vicino a sé. Lei gli si rannicchiò contro e gli nascose il volto nella
spalla velata di sudore, sapendo che avrebbe voluto rimanere così per sempre.
O, che Dio l’aiutasse, non avrebbe più potuto fare a meno del piacere al quale
aveva immolato ogni sua reticenza.
Fuori pioveva, e il rumore della pioggia li avvolgeva in un’atmosfera
d’intimità. Rebecca stava per appisolarsi, ma aprì gli occhi quando lui si
sollevò su un gomito e la baciò sulla tempia.
Vedendo che era sveglia, Kenneth le scostò i capelli dalla fronte. — Dovrei
bruciare il mio quadro. Non c’è opera d’arte che possa renderti giustizia.
— Non osare farlo — replicò lei con un sorriso indolente. — Ma non
mostrarlo a nessuno. Soprattutto non a mio padre. — Si rese conto che aveva
detto una cosa sbagliata quando vide il suo sguardo incupirsi e cercò di
correre ai ripari aggiungendo: — Sul vassoio c’è una bottiglia di vino con due
bicchieri.
— È un’ottima idea. — Kenneth fece per alzarsi, ma improvvisamente si
fermò. Seguendone lo sguardo, Rebecca notò che il lenzuolo era macchiato di
sangue.
Lui alzò la testa di scatto e la fissò con espressione inorridita. — Mio Dio,
eri vergine! Ecco perché all’inizio è stato difficile.
Rebecca distolse gli occhi, — Infatti, lo ero.
Kenneth le sollevò il mento e la costrinse a guardarlo. — E cosa mi dici
della tua fuga con il poeta? Tutte quelle storie sulla tua reputazione rovinata?
Lei si liberò con uno strattone. — Si può essere rovinate socialmente
senza esserlo fisicamente. Frederick era disposto ad aspettare che fossimo
sposati. Ma, arrivati a Leeds, avevo già capito che fuggire con lui era stato un
errore terribile, che non avrei potuto passare il resto della vita con lui. Così,
presi una carrozza postale e tornai a Londra. Ma in ogni caso ero rimasta via
diverse notti, e la mia reputazione era distrutta.
— I tuoi genitori sapevano che non eravate andati a letto insieme?
— Non mi è sembrato importante metterli al corrente, visto che ero
comunque compromessa.
— Per tutti i diavoli. — Kenneth le appoggiò la fronte sulla spalla. Quando
la rialzò, la sua espressione era quella di un condannato di fronte al plotone
di esecuzione. — Se sposarsi non fosse un errore madornale, direi che il
nostro fidanzamento si è trasformato da finzione in realtà.
— Essendo cresciuta tra artisti spregiudicati, non assegno molto valore
alla verginità. Non ha molta importanza per me.
Kenneth andò a prendere l’asciugamano appeso vicino al lavabo e pulì in
modo sommario le macchie di sangue. Quindi si rivestì e si sedette accanto a
lei, appoggiandosi alla parete. — Credimi, Rebecca, ha importanza invece.
Sapevo che era sbagliato fare l’amore con te, ma l’ho fatto comunque.
Lei gli rivolse un sorriso titubante. — Dal momento che ti ho quasi
costretto, avresti dovuto avere una forza di volontà disumana per impedire
che accadesse.
— Alla mia età, dovrei essere in grado di controllarmi, anche se ad
aggredirmi è una donna affascinante.
Affascinante? L’aggettivo piacque a Rebecca. — Sono felice che non sia
riuscito a controllarti, e sono molto soddisfatta dei risultati.
Kenneth sorrise scuotendo la testa. — Ero così pazzo di desiderio che non
ho preso precauzioni. Se fossi rimasta incinta…
— È improbabile dopo una sola volta, non credi? Inoltre, non mi
dispiacerebbe avere un figlio. Se mio padre non sopportasse lo scandalo,
potrei sempre ritirarmi a vivere in una città di provincia. Dopotutto, sono
finanziariamente indipendente.
— Pensi seriamente che ti permetterei di farlo? Sarebbe anche figlio mio.
Se fossi rimasta incinta, dovresti rassegnarti ad accettarmi come marito. —
Kenneth trasse un respiro profondo. — E in questo caso, che Dio aiuti tutti e
due.
Rebecca si morse il labbro, rendendosi conto di aver urtato la sua
sensibilità. Aveva forse sperato inconsciamente di costringerlo a sposarla?
No, nutriva ancora seri dubbi sull’opportunità di legarsi per sempre a un
uomo. Ma, folle com’era di desiderio, aveva perso la testa, dimenticando che
le conseguenze potevano essere ancora più gravi per Kenneth che per lei. Il
senso del dovere poteva costringerlo a sposare una donna che non avrebbe
mai scelto come moglie. Neanche il peggiore dei nemici meritava di essere
trattato come lei aveva trattato l’uomo migliore che avesse mai conosciuto.
Ma era inutile abbandonarsi ai sensi di colpa. Gettò indietro i capelli e
disse con calma: — È improbabile che sia rimasta incinta e sono sicura che ci
stiamo preoccupando per niente. — Poi, pur sapendo che non avrebbe dovuto
chiederlo, aggiunse: — Ma se lo fossi, troveresti tanto orribile la prospettiva
di sposarmi? So che non mi ami come ameresti una moglie, ma mi sembra
che tu mi voglia un po’ di bene. C’è forse un’altra donna? Se non c’è, sono
sicura che potremmo andare abbastanza d’accordo. Giuro che non sarei una
moglie asfissiante.
Kenneth imprecò sottovoce e le mise un braccio attorno alle spalle,
attirandola a sé. — Non è che non ti voglia bene, Rebecca, o che ci sia un’altra.
Il guaio del matrimonio è… — s’interruppe e fece una lunga pausa prima di
proseguire. — Ho un impegno da rispettare. Quando tutto sarà finito, sono
pronto a scommettere che non vorrai più saperne di me. Tranne pretendere la
mia testa su un vassoio — concluse con amara ironia.
— Non ti capisco.
Lui le posò la guancia sulla testa. — È bene che sia così. È una cosa di cui
non posso discutere.
Rebecca si chiese se il misterioso impegno fosse legato alla disastrosa
situazione finanziaria che aveva ereditato. — Qualunque cosa succeda, tu non
hai colpa per quanto è avvenuto — disse adagio. — Sono stata io a provocare
quello che è accaduto tra noi due. E anche se è stato immorale da parte mia,
non riesco a dispiacermene.
— Nemmeno io, Rossa — ammise lui con un sorriso mesto.

Rebecca scoprì che era facile peccare con un uomo che viveva sotto lo
stesso tetto, soprattutto in una casa di artisti pazzi che seguivano orari
strampalati. Nessuno si accorse di niente.
Naturalmente la tensione vibrava tra loro due la mattina seguente. Lei era
combattuta tra il desiderio di chiedergli scusa e la voglia di gettarsi tra le sue
braccia.
Era difficile capire cosa pensasse Kenneth, ma di sicuro non era rilassato
in sua presenza. Sapendo che l’atmosfera intima di una seduta sarebbe stata
snervante, lei decise che per qualche giorno si sarebbe limitata a ultimare lo
sfondo. E lui accettò con palese sollievo.
Poi, ritenendo che fosse meglio avere qualche informazione in più, invitò
Lavinia nel suo studio per una tazza di tè e, senza perifrasi, le chiese come
prevenire una gravidanza.
Lavinia pensò che fosse una richiesta naturale da parte di una donna in
procinto di sposarsi, e le illustrò diversi metodi.
Rebecca non le rivelò che il matrimonio era ancora una questione in
sospeso, ma apprendere come evitare di restare incinta la fece sentire
meravigliosamente libera. In quel modo, anche se avesse fatto ancora l’amore
con Kenneth, i rimorsi che già provava non sarebbero aumentati, perciò
avrebbe cercato di sedurlo di nuovo, se si fosse presentata l’occasione.
Perché, accidenti a lui, aveva ragione. Non si era resa conto della differenza
tra una vergine e una donna che aveva assaggiato il frutto proibito. Aveva
desiderato Kenneth senza sapere con esattezza cosa voleva. Adesso capiva
come la passione poteva avvelenare corpo e mente al punto che niente aveva
più importanza tranne l’amante, capiva come il desiderio riuscisse a colmare
il suo vuoto interiore, e il tocco della mano di un uomo a farle cantare il
sangue.
Sì, adesso sapeva cosa voleva, e lo voleva con un’intensità che la
spaventava.
Il fatto più preoccupante, poi, era la consapevolezza che non le interessava
l’appagamento sessuale in astratto, bensì Kenneth. Soltanto Kenneth.

Tre giorni dopo la pubblicazione dell’annuncio del fidanzamento, Rebecca


scoprì di non poter più procedere con il ritratto del corsaro senza il suo
modello. La mattina seguente avrebbe chiesto a Kenneth di riprendere a
posare, nella speranza di resistere alla tentazione di gettarsi tra le sue braccia.
Stava fissando la tela immersa in pensieri peccaminosi quando bussarono
alla porta. Era Minton, il maggiordomo, che portava un biglietto da visita su
un vassoio. — Perché me lo porti? — gli chiese Rebecca, accigliata. — Lo sai
che non sono mai in casa per visitatori casuali.
Lui si schiarì la gola. — Pensavo che forse avreste fatto un’eccezione in
questo caso, signorina.
Lei prese il biglietto e lesse con sorpresa: — Nobildonna Elizabeth
Wilding. È una donna giovane, Minton?
— Sì, signorina. Accompagnata da un gentiluomo che si direbbe un ex
militare.
Doveva essere la sorella di Kenneth, in visita di corte sia alla futura sposa
del fratello. Poiché lui era uscito per commissioni, avrebbe dovuto recitare da
sola la parte della fidanzata felice. — Dite alla signorina Wilding che scenderò
tra qualche minuto.
Corse rapidamente in camera sua per indossare un sontuoso scialle
indiano, in modo da ravvivare la semplicità dell’abito che indossava, quindi
disse a Minton di avvertire Kenneth appena fosse tornato ed entrò in salotto.
I due visitatori, che stavano ammirando uno dei quadri di sir Anthony, si
voltarono al suo ingresso. L’uomo era un giovanotto biondo di bell’aspetto; il
portamento eretto e il braccio sinistro menomato confermavano il suo
passato di militare.
La ragazza al suo fianco era snella e graziosa, con un viso dolce e gli
straordinari occhi grigi di Kenneth.
Avanzò verso di lei aiutandosi con un bastone. — La signorina Seaton? —
chiese, con voce esitante. — Sono Beth Wilding, la sorella di Kenneth.
Intuendone la timidezza, Rebecca le andò incontro con le mani tese e un
sorriso aperto. — Sono felice di fare la vostra conoscenza, signorina Wilding.
Da quanto mi ha detto Kenneth, pensavo che viveste nel Bedfordshire.
— Vi prego, chiamatemi Beth, visto che diventeremo sorelle. Quando ho
letto l’annuncio del fidanzamento sul giornale, ho deciso di venire a Londra
per darvi il benvenuto nella nostra famiglia. — Beth lanciò un’occhiata al suo
accompagnatore. — Noi… noi volevamo anche parlare di un’altra questione
con mio fratello. Vi presento il mio amico, il tenente Jack Davidson. Era nel
reggimento di Kenneth.
Davidson s’inchinò. — Molto piacere, signorina Seaton. Le mie
congratulazioni per il vostro fidanzamento.
Rebecca provò una simpatia istantanea per lui, anche se notò che era teso
come la corda di un violino. Dal modo in cui guardava Beth, era evidente che
erano più che amici. — Chiamatemi pure Rebecca, e diamoci del tu. — Quindi,
invece di ignorare la menomazione di Davidson, gli chiese con semplicità: —
Waterloo?
Lui annuì. — Quel giorno Kenneth… lord Kimball… mi ha salvato la vita,
impedendo che morissi dissanguato.
Rebecca li invitò ad accomodarsi e, dopo aver suonato perché portassero il
tè, disse a Beth: — Qualche giorno fa ho conosciuto la tua matrigna.
— E sei sopravvissuta? — fu la pronta replica di Beth, che subito si chiuse
la bocca con una mano.— Oh, povera me. Mi ero ripromessa di comportarmi
bene.
Rebecca sorrise; lei e Beth sarebbero andate molto d’accordo. —
Hermione è una vera arpia, non credi? Devi avere una gran forza d’animo se
sei riuscita a sopportarla così a lungo.
— Per mia fortuna, non mi considerava degna delle sue attenzioni.
Dopo diversi minuti di conversazione, Beth chiese: — Sai dove potremmo
trovare Kenneth?
— Dovrebbe essere di ritorno tra poco. È uscito per fare alcune
commissioni.
— Abita qui? — Beth era stupita.
— Sì. È il segretario di mio padre. Non lo sapevi?
— No. Gli ho sempre scritto a un fermo posta.
Rebecca si chiese se tanta segretezza avesse a che fare con il suo
misterioso impegno. Avvertendo un in spiegabile desiderio di proteggerlo,
disse in tono disinvolto: — Forse temeva che le lettere fossero indirizzate a
lord Kimball. Né mio padre né io sapevamo del suo titolo finché lord e lady
Kenyon l’hanno incontrato qui e ci hanno rivelato la verità.
— Sai se Kenyon è ancora a Londra? — chiese Jack. — Mi piacerebbe fargli
visita. Eravamo nello stesso reggimento. — Sorrise, più a suo agio. — Noi
umili tenenti avevamo un’enorme ammirazione per lui e per lord Kimball.
— Hanno lo stesso effetto su di me — ammise Rebecca, pensando che il
suo corsaro avrebbe dovuto rispondere a non poche domande.
22

Come al solito, prima di tornare a casa Seaton, Kenneth si fermò


all’ufficio postale per ritirare la sua corrispondenza. Vi trovò un secco
messaggio di lord Bowden, che lo informava che stava per recarsi alla sua
residenza di campagna, e che al suo ritorno avrebbe dovuto fargli un rapporto
su come procedevano le indagini.
Kenneth aggrottò la fronte e infilò la lettera in tasca. Mentre camminava
sotto una leggera pioggia pomeridiana riepilogò mentalmente, per quella che
doveva essere la millesima volta, tutte le informazioni che era riuscito a
raccogliere. In tutta onestà, poteva dire di aver fatto del suo meglio. Se non
aveva ancora scoperto niente, era molto probabile che non ci fosse niente da
scoprire.
In quel caso, sarebbe stato libero da ogni impegno con Bowden, e Rebecca
non avrebbe mai saputo che si era introdotto in casa Seaton allo scopo di
spiare suo padre. Ma bisognava vedere se Bowden avrebbe tenuto fede a
quanto aveva promesso.
Kenneth si sarebbe trovato in un grosso guaio se si fosse rifiutato di
restituire le ipoteche su Sutterton. Anche se avevano firmato un contratto,
non poteva certo trascinarlo in tribunale, rendendo così di pubblico dominio
il loro accordo.
Forse avrebbe potuto tentare di arrivare a un compromesso con Bowden,
chiedendogli di risarcire il debito un poco alla volta. Comunque la questione
era chiusa, o almeno se ne vedeva la conclusione, e lui avrebbe potuto
pensare a un possibile futuro con Rebecca.
In quel momento, desiderava soprattutto fare di nuovo l’amore con lei.
Rientrato in casa, si stava togliendo il martello quando comparve Minton,
per comunicargli che la signorina Seaton lo pregava di raggiungerla in salotto.
Vi entrò pensando di trovarvi i Kenyon, e rimase di stucco quando invece
vide la sorella e Jack Davidson.
Con una luce maligna negli occhi, Rebecca disse: — Caro, guarda chi è
venuto a congratularsi con noi per il nostro fidanzamento.
Beth gli andò incontro, con un’espressione ansiosa. — Ciao, Kenneth. La
nostra visita è inopportuna?
— No di certo — rispose lui, abbracciandola. — Sono solo sorpreso. Coma
diavolo avete fatto a trovarmi?
— Abbiamo letto l’annuncio del fidanzamento e abbiamo pensato di far
visita alla tua fidanzata. Trovarti qui è stato un caso fortunato.
Avrebbe avuto tutte le ragioni di interrogarlo sul perché di quei misteri, e
le era grato che non lo facesse.
Avanzò tenendo un braccio intorno alla vita della sorella e tese la mano a
Jack. — Hai un aspetto migliore di quando ci siamo visti l’ultima volta — si
congratulò.
— Bedfordshire e Beth hanno fatto miracoli, signore.
Mentre si stringevano la mano, Kenneth notò che era nervoso come un
gatto sui carboni ardenti. Era anche troppo formale. Forse erano sorti dei
problemi che, pensava di dover discutere a quattr’occhi con lui.
Confermando la sua supposizione, Rebecca disse: — Jack vuole parlarti in
privato. Il salottino deve essere libero.
Cominciando a essere seriamente preoccupato, Kenneth lo precedette nel
salottino e, una volta chiusa la porta, chiese con franchezza: — Ci sono altri
guai a Sutterton?
— Diamine, no. Va tutto bene.
— Allora perché sei così agitato?
Jack si massaggiò il braccio invalido. — Sono… sono venuto a chiedervi il
permesso di sposare Beth.
— Quando arriverà il momento, sarò felice di darvi la mia benedizione —
replicò Kenneth, sorpreso. — Ma nella tua lettera mi dicevi che era ancora
troppo presto. Vi conoscete da troppo poco tempo e il destino di Sutterton è
ancora incerto.
— Non possiamo aspettare, temo. — Jack deglutì a fatica. — O forse
sarebbe più esatto dire che noi non abbiamo aspettato.
Il silenzio che seguì era carico di tensione. Alla fine Kenneth chiese con
un tono di voce minaccioso: — Stai dicendo che Beth è incinta?
— Lo pensiamo, signore — rispose Jack, imbarazzato ma fermò. — Mi
dispiace, signore. Se volete, è un vostro diritto sfidarmi a duello. È… è
successo una sola, volta, e non è stato intenzionale, anche se questo non mi
discolpa. Voi mi avete salvato la vita e io vi ho ripagato seducendo vostra
sorella. Posso solo dire che amo Beth con tutto il mio cuore. Giuro che
l’amerò e avrò sempre cura di lei, anche se Sutterton fosse venduta e dovessi
cercarmi un’altra sistemazione.
L’impeto d’ira più che giustificata che Kenneth aveva provato svanì
quando colse l’ironia della situazione. Che diritto aveva di ergersi a giudice
degli altri quando c’era la possibilità che anche lui e Rebecca fossero costretti
a ricorrere a un matrimonio precipitoso?
Respirò a fondo un paio di volte prima di dire: — Avrei preferito che le
cose andassero diversamente, ma sospetto che l’opera di seduzione sia stata
reciproca. Beth ha un carattere deciso.
Il sorriso di Jack gli fece capire di aver colto nel segno. — Vogliamo
tornare dalle signore e dar loro la notizia?
Con un’aria molto più sollevata, Jack disse: — L’avete presa molto bene,
signore. Meglio di quanto io meriti.
— Tu e io abbiamo visto la nostra parte di brutture del mondo. In
confronto, l’irruenza dell’amore è un problema di secondaria importanza. —
Kenneth gli diede un’occhiata severa. — Ma per l’amore del cielo, piantala di
chiamarmi signore. Saremo cognati, quindi dammi del tu. — Mentre si
dirigevano alla porta gli chiese: — Cosa avresti fatto se ti avessi rifiutato il
mio consenso?
— L’avrei sposata comunque. Beth è maggiorenne, ma preferivamo
iniziare la nostra vita insieme con la tua approvazione.
Kenneth scoprì che la gioia per il matrimonio della sorella faceva passare
in secondo piano le circostanze sconvenienti che lo rendevano necessario.
Sperava soltanto di essere presto in grado di darle la dote che le spettava di
diritto.
Entrando in salotto, le annunciò sorridendo: — Jack mi ha chiesto la tua
mano, e voglio vedervi sposati prima che lui scopra che sei una piccola peste.
Dal momento che vi trovate a Londra; cosa ne direste di chiedere una licenza
speciale e di sposarvi entro pochi giorni?
— Oh, Kenneth! — Radiosa in volto per il sollievo Beth gli gettò le braccia
al collo. — Sei il migliore dei fratelli.
— Non è vero. Jack si prenderà cura di te meglio di quanto abbia fatto io —
rispose lui, pensando a come avrebbe potuto offrirle un matrimonio
memorabile nonostante il poco tempo e la mancanza di soldi. Era il momento
di chiedere uno o due favori.
Lasciando andare la sorella, disse: — Michael e Catherine Kenyon abitano
in casa Ashburton, e si sono spesso lamentati che per loro è troppo grande e
vuota. Credo che sarebbero felici di ospitarvi per qualche giorno.
— Se fossero disposti a farlo, sarebbe molto più adatto che alloggiare in
una locanda — commentò Jack.
Rebecca disse, un po’ titubante: — Non mi conosci quasi, Beth, ma se non
hai amiche a Londra che possano farti da testimone, per me sarebbe un
onore.
Beth accettò prontamente l’offerta. Mentre iniziavano a fare progetti per
la cerimonia, Kenneth mandò un messaggio a Michael, il quale rispose nel
giro di un’ora, dicendo di essere felice di ospitare un ufficiale del suo vecchio
reggimento e la sorella di un carissimo amico. Metteva a loro disposizione
anche una carrozza.
Nel trambusto generale che seguì, la tensione che si era creata tra
Kenneth e Rebecca svanì. Ma subentrò un altro tipo di tensione quando lui
cercò di immaginare che genere di moglie sarebbe stata lei. Mentre osservava
Beth e Jack salire in carrozza, si chiese con ironia se i matrimoni fossero
contagiosi.

Il giorno seguente, George Hampton si presentò con un’incisione di prova


di uno dei quadri della serie di Waterloo. Dopo aver discusso con sir Anthony
di alcune modifiche, Hampton si apprestava ad andarsene quando Kenneth
gli si avvicinò. — Avrei bisogno di parlarvi, signore. Potreste concedermi un
po’ del vostro tempo?
— Posso dedicarvi qualche minuto ora. — Hampton gli diede una pacca
sulla spalla. — A proposito, congratulazioni. Ritengo che voi e Rebecca sarete
una coppia affiatata.
Sentendosi più nervoso di quando aspettava la carica della cavalleria
francese, Kenneth disse: — Ho… ho qualcosa da mostrarvi.
Lo condusse nell’ufficio e gli sottopose una decina di disegni che
illustravano le sue esperienze di guerra. Hampton inarcò le sopracciglia
cespugliose quando vide quello del soldato colpito a morte.
Lo studiò a lungo, quindi esaminò con attenzione tutti gli altri prima di
chiedere: — Dove ve li siete procurati?
Sapendo che stava per compiere un passo importante, Kenneth trasse un
respiro profondo. — Sono opera mia.
— Davvero! Non sapevo che foste un artista. Li avete mostrati a sir
Anthony?
— No, ma Rebecca pensa che abbiano qualche pregio.
— Ha perfettamente ragione. — Hampton chiuse il portfolio che
conteneva i disegni e posò una mano sulla copertina di pelle. — Mi
permettereste di farne delle incisioni?
— Speravo che me l’avreste chiesto. — Kenneth esitò, cercando le parole
giuste per fargli capire che il denaro lo interessava non meno dell’onore di
veder stampate le proprie opere. — Anche se tengo la contabilità di sir
Anthony, non so quanto possano valere i disegni di uno sconosciuto.
— Mmm, è una buona domanda. — Aggrottando la fronte Hampton tirò
fuori un sigaro e l’accese. — Suppongo che dovrei approfittare della vostra
ignoranza e offrirvi dieci sterline per l’intera collezione, prendere o lasciare.
Ma sarebbe un modo indegno di trattare il futuro marito della mia figlioccia.
Soffocando il senso di colpa all’idea di trarre vantaggio da un
fidanzamento fasullo, Kenneth disse: — In realtà, mi risulta che siate molto
generoso quando i lavori di un artista vi interessano.
— Per me si tratta di concludere buoni affari. Avete uno stile particolare, e
la questione è: qual è il modo migliore per sfruttarlo? — Hampton tamburellò
con le dita sulla scrivania. — Forse potremmo trarne una serie intitolata:
"Scene di guerra viste attraverso gli occhi di un ufficiale". Potremmo far
uscire sul mercato le singole incisioni, e in seguito pubblicare un libro che le
raccolga e ne contenga di nuove. Così la gente sarebbe costretta a comprarlo
per avere la serie completa.
Un libro! Cercando di controllare l’eccitazione, Kenneth disse: — Avrete
bisogno di altri disegni. Di che genere?
— Scene di battaglia, ma anche soggetti come la gente, le città, i paesaggi.
Potete farlo?
— Ho partecipato a quasi tutte le battaglie più importanti, e ho un’ottima
memoria per i particolari — Perfino troppo buona, aveva spesso pensato
Kenneth.
— Cosa ne dite di un anticipo di duecento sterline su una percentuale del
totale delle vendite? Se ho ragione, e di solito è così, nei prossimi anni questa
attività potrebbe rendervi una cifra consistente.
Era più di quanto Kenneth avesse sperato. Abbastanza per fare un bel
regalo di nozze a Beth e Jack. — Affare fatto. E grazie — disse, tendendogli la
mano.
Hampton gliela strinse e si infilò il portfolio sotto il braccio. — Preparerò
una bozza del contratto e vi manderò le duecento sterline. — Studiò la figura
imponente di Kenneth, con un lampo malizioso negli occhi. — Non avete
l’aspetto di un artista, d’altronde, non ce l’ho nemmeno io. Alla faccia delle
apparenze. — Si mise il cappello e se ne andò.
Stordito per l’eccitazione, Kenneth lasciò l’ufficio, e vagò per la casa senza
una meta finché si scoprì a bussare alla porta dello studio di Rebecca. Certo,
chi meglio di lei poteva capire l’importanza dell’offerta di Hampton?
Entrò e Rebecca alzò gli occhi a guardarlo. — Hai l’aria di un gatto che si è
appena mangiato un canarino.
Lui scoppiò a ridere. — Sono stato promosso da dilettante a
professionista. George Hampton mi pagherà duecento sterline per ricavare
una serie di incisioni dai miei disegni. Sarà una cronaca della guerra, e forse
in seguito ne ricaverà un libro.
— È fantastico! — Rebecca posò la tavolozza e gli andò incontro. Le
scintillavano gli occhi. — Dopotutto, non meriti di meno.
Era talmente irresistibile l’entusiasmo con cui partecipava al suo successo
che Kenneth la sollevò tra le braccia e prese a piroettare per la stanza insieme
a lei.
— Sei pazzo, capitano — esclamò Rebecca ridendo.
— Ma un pazzo felice. — Lei era come fuoco tra le sue braccia, viva e
ardente. Quando smise di roteare, scoprì di non avere la forza di lasciarla
andare. La posò lentamente a terra, facendone scivolare il corpo lungo il
proprio. Un corpo morbido, femminile, sensuale.
I pochi giorni che erano passati da quando avevano fatto l’amore gli
sembravano un’eternità. Chinò la testa e la baciò; le sue labbra avevano il
sapore dolce delle prime fragole di primavera.
Stava per trascinarla verso il divano quando un residuo di buon senso lo
trattenne, e si staccò da lei con riluttanza. — Continuo a dimenticarmi che
questa è una cosa che non dobbiamo fare.
— Anch’io — sussurrò lei, sciogliendosi dal suo abbraccio.
Cercando di ritrovare il controllo si guardò intorno: nello studio ogni cosa
recava l’impronta di Rebecca. Gli era mancato. — Anche Hampton approva il
nostro fidanzamento.
— Si direbbe che ne siano tutti felici.
— Probabilmente perché era un’opinione diffusa che io fossi destinata a
restare zitella — scherzò lei. — Ti ammirano molto per il coraggio che
dimostri accettando di sposarmi.
— Rebecca, se un gioiello resta nascosto in una soffitta, il mondo non ha
occasione di apprezzarlo. Credo di essere oggetto d’invidia perché sono
l’uomo fortunato che ha scoperto un tesoro.
Un’ombra di dolore le offuscò gli occhi. — Che cosa incantevole e
romantica da dire. È un’enorme sciocchezza, naturalmente, ma incantevole.
— Dirigendosi al suo cavalletto, Rebecca aggiunse: — Oggi è il tuo giorno
fortunato. Ho scoperto di non essere incinta.
Il sollievo fu mitigato da una inaspettata fitta di rimpianto, in fondo, una
piccola parte di lui aveva sperato in segreto che le circostanze li avrebbero
costretti ai sposarsi.
Ma non voleva unirsi a una donna che avrebbe potuto disprezzarlo per il
resto dei suoi giorni. Imponendosi di non lasciar trapelare la preoccupazione,
disse: — A proposito della seduta di oggi pomeriggio. Alla solita ora?
Senza guardarlo, lei prese un pennello e si passò la punta sul palmo. —
Alla solita ora.
Kenneth se ne andò, chiedendosi se sarebbe mai arrivato il giorno in cui
avrebbe potuto parlarle liberamente. Si chiedeva anche cosa le avrebbe detto
se fosse successo, e come avrebbe reagito lei.
23

Mentre aspettavano nel salone di casa Ashburton la carrozza che li


avrebbe portati in chiesa, Rebecca girò intorno a Beth per fare un ultimo
controllo e le sistemò lo strascico dell’abito di seta color crema, che era un
dono di Lavinia.
— Sei più nervosa di me — disse Beth sorridendo.
— È probabile. Prima d’ora non ho mai fatto da testimone a un
matrimonio — rispose Rebecca, pensando che la vita da reclusa l’aveva
privata di molte esperienze divertenti.
Kenneth e Catherine erano andati a prendere gli ultimi accordi con il
cuoco per il pranzo di nozze, che sarebbe stato offerto dai Kenyon. Forse nella
vita Kenneth non aveva accumulato ricchezze materiali, ma si era
sicuramente fatto amici impagabili.
— Tra poco toccherà a te — commentò Beth. — Avente già stabilito la
data?
Rebecca distolse lo sguardo. — Non ancora. Non abbiamo fretta.
— A differenza di Jack e me. — Beth si accarezzò l’addome con un gesto
protettivo. — Sarò sfacciata, ma non ho rimpianti.
Rebecca la fissò, chiedendosi se avesse frainteso il gesto. — Vuoi dire
che… che…
— Che sono incinta? Pensavo che Kenneth te l’avesse detto. È un fratello
molto discreto ma non è il tipo di cosa che si possa tenere segreta a lungo.
Quando il bambino nascerà, chiunque sappia contare avrà dei sospetti.
Rebecca non era sorpresa che Kenneth non glielo avesse detto. Dopo il
loro arrivo, aveva posato per lei un paio di volte, ma entrambi avevano
mantenuto un comportamento molto corretto, sapendo che bastava
pochissimo per scatenare la passione.
La porta si aprì e Kenneth entrò accompagnato da Catherine. Reggeva in
mano un pacco di discrete dimensioni. — Beth, questo l’hanno consegnato
pochi minuti fa, ed è indirizzato a tutti e due. Dev’essere un dono di nozze,
anche se non capisco perché ci sia il mio nome.
Beth aprì il pacco; conteneva uno scrigno dorato e, quando ne sollevò il
coperchio, le sfuggì un’esclamazione stupita. All’interno c’erano dei gioielli e
un biglietto.
— Buon Dio! — mormorò Kenneth. — I gioielli dei Wilding. Non posso
crederci.
Prese il biglietto e lo lesse: — "A Beth e Kenneth: ho deciso che i gioielli
della famiglia Wilding vi appartengono. I miei migliori auguri per le tue
nozze, Beth. Hermione Kimball."
Con gli occhi sgranati, Beth prese un paio di orecchini di zaffiri. — Non
avrei mai pensato di poterli rivedere. È un gesto molto generoso da parte di
Hermione.
— Non ci credo — ribatté Kenneth in tono categorico. — Non ha mai avuto
un comportamento altruista tutta la sua vita.
— Ciò nonostante, ne abbiamo la prova sotto gli occhi.— Beth rimise a
posto gli orecchini. — E non l’ho nemmeno invitata al matrimonio. — Si
rivolse a Catherine. — Ormai è troppo tardi per la cerimonia, ma potrei
invitarla al pranzo di nozze?
— Certo — rispose Catherine. — Su quella scrivania troverai carta e penna.
Scrivile un biglietto e glielo fare consegnare.
Mentre le due donne andavano alla scrivania, Kenneth piegò il foglio e se
lo mise in tasca. — Continuo non crederci.
— Nemmeno io — disse Rebecca. — Deve esserci un altro motivo.
— Già, vorrei proprio sapere quale, ma non riesco a immaginare che
vantaggio potrebbe ricavarne.
Rebecca sfiorò i diamanti della stupenda collana che Hermione aveva
indossato al ballo dei Candover e che un giorno avrebbe ornato il collo della
moglie di Kenneth. — Ti pare che ci siano tutti?
Kenneth esaminò il contenuto dello scrigno. — Credo di sì, anche se non
riconosco alcuni pezzi.
— Forse ha aggiunto qualche suo gioiello personale, forse è stata travolta
dal rimorso per aver depredato la vostra famiglia — suggerì Rebecca. Davanti
all’espressione incredula di Kenneth, scoppiò in una risatina. — O forse, ieri
sera Hermione si è ubriacata e ha agito in stato confusionale. Qualunque sia
il motivo, a caval donato non si guarda in bocca.
In quel momento Beth si alzò dalla scrivania e Catherine suonò per
chiamare un domestico.
Quando il valletto arrivò, prese la lettera da recapitare e annunciò: — La
carrozza è pronta, milady.
Catherine si rivolse agli altri. — Vogliamo andare? Chiederò al
maggiordomo di mettere lo scrigno in un luogo sicuro.
— Un momento solo. — Kenneth prese una bella collana. — Mi sembra
giusto che tu ti sposi con le perle della mamma. Beth. Le aveva destinate a te.
— È un ottimo auspicio per la giornata — mormorò lei, mentre il fratello
le agganciava la collana. — Adesso mi pento di tutte le cose scortesi che ho
detto su Hermione. Dopotutto ha dimostrato di avere un cuore.
Rebecca non ne era così sicura. Sospettava che la restituzione dei gioielli
nascondesse qualcosa di poco chiaro, e si chiese quando Hermione avrebbe
fatto la prima mossa.

Arrivati alla chiesa, Kenneth aiutò le tre signore a scendere dalla carrozza.
Porse quindi il braccio a Beth e insieme salirono i gradini mentre
risuonavano le note di un organo. Osservando la sorella, si sentì un po’ triste
all’idea di perderla prima di avere avuto l’occasione di rifarsi di tutti gli anni
in cui erano stati lontani.
Il suo volto doveva aver tradito quello stato d’animo, perché Rebecca
commentò con vivacità: — Fatti animo, Kenneth. Non perdi una sorella, ma
guadagni un ottimo fattore. — Quindi sbirciò all’interno della chiesa e
aggiunse: — È quasi tempo, Beth. Jack è bellissimo, anche se ha l’aria di poter
svenire da un momento all’altro. Ma non temere, Michael gli è accanto ed è
pronto ad afferrarlo se dovesse succedere. Ah, Jack sta sorridendo, ora che sa
che sei arrivata. Tutto sommato, penso che sopravvivrà.
Rebecca aspettò che risuonassero le note della marcia nuziale e, reggendo
il suo bouquet di fiori, si avviò lungo la navata con incedere elegante.
Beth lasciò il suo bastone contro il muro e si aggrappò al braccio del
fratello. Vedendo la sua espressione stupita, dichiarò in tono risoluto: — Non
arriverò all’altare appoggiandomi a un bastone. Non ne avrò bisogno. Adesso
ci sei tu a sorreggermi, e dopo ci sarà Jack.
— Sei incantevole, Beth. Vorrei che nostra madre fosse qui per vederti.
Beth indicò con il suo bouquet le volte del soffitto e alte vetrate colorate.
— Credo che mi stia guardando Kenneth.

Dopo la cerimonia, tornarono a casa Ashburton per il pranzo di nozze;


tutte le donne, tranne Rebecca, avevano sparso qualche lacrima di
commozione. Mentre sbarazzavano di mantelli e cappelli, ci fu un momento
di allegra confusione, anche perché Napoleone, il cane dei Kenyon, aveva
deciso di schiacciare un pisolino sullo strascico di Beth. Alla fine, la comitiva
si diresse alla sala da pranzo.
Kenneth rimase un po’ indietro con Michael e gli disse: — Sono grato a te
e a Catherine per aver reso questa giornata memorabile.
Il suo amico si schermì con un gesto della mano. — Ho sempre avuto
molta stima di Jack Davidson, e tua sorella è un tesoro, è stato un piacere
poterli aiutare.
Stavano percorrendo il corridoio che conduceva alla sala da pranzo
quando alcuni colpi violenti fecero vibrare la porta d’ingresso. Michael andò
ad aprirla. — Che sia un ospite ritardatario? Chi manca ancora?
La porta si spalancò e Hermione fece irruzione nell’atrio. Ignorando
Michael, si scagliò contro Kenneth. — Come osi! — lo investì. — Prima ti
introduci in casa mia per rubarmi i gioielli. Poi hai l’impudenza di farmi
ringraziare da Beth per averglieli restituiti! Sei… sei una spregevole canaglia!
Quella era l’Hermione che lui conosceva. Quando cercò di graffiargli il
volto con le unghie, le afferrò il polso. — È troppo tardi per cambiare idea,
Hermione. Ho la prova che hai restituito i gioielli di tua spontanea volontà,
così non ti servirà a niente lanciare assurde accuse.
— Bugiardo! Non ho mai fatto niente del genere. — Hermione liberò il
polso con uno strattone. — Ti trascinerò in tribunale!
— Davvero? — Kenneth estrasse dalla tasca il biglietto. — Questa mi
sembra la tua calligrafia.
Hermione lo aprì con mani tremanti. — È falso! Non l’ho mai scritto.
— Forse l’hai fatto in un momento di distrazione e poi te ne sei
dimenticata. — Kenneth si riprese il biglietto, volendolo conservare come
prova.
Mentre Hermione si preparava a un’altra esplosione d’ira, una voce
musicale alle loro spalle disse in tono innocente: — Lady Kimball, come siete
stata gentile a venire al pranzo di nozze… Beth ne sarà felice.
Catherine entrò nell’atrio: era il ritratto della perfetta padrona di casa, e
aveva un sorriso irresistibile. — Mi sono commossa quando, stamattina,
hanno consegnato i gioielli. Vi fa molto onore aver messo il sentimento e il
rispetto delle tradizioni al di sopra del vostro interesse personale.
Hermione era ammutolita sotto quella pioggia di parole lusinghiere.
— Appena i gioielli sono arrivati, ho sentito il bisogno di informare mio
cognato, Ashburton, del vostro gesto altruista — proseguì Catherine. —
Naturalmente, lo conoscete.
Un lampo si accese nei pallidi occhi azzurri di Hermione — Non ho mai
avuto il privilegio di incontrare il duca.
— In questo caso, dovrò assolutamente invitarvi a cenare con noi quando
tornerà a Londra. Una cena per pochi intimi, naturalmente, perché è in lutto
per la morte della moglie, ma vorrei che lo conosceste. È così importante che
faccia la scelta giusta quando si risposerà.
Un lungo e significativo silenzio scese nella stanza mentre le due donne si
studiavano. Poi, le labbra di Hermione si incurvarono in un sorriso rapace. —
Poiché anch’io sono rimasta vedova da poco, sono sicura che il duca e io
scopriremo di avere molto in comune.
Catherine si illuminò. — Unitevi a noi per il pranzo. Beth sarà ansiosa di
ringraziarvi per averle permesso di indossare le perle della madre il giorno
delle sue nozze.
— Non posso restare, ma voglio fare i miei auguri alla cara Beth.
Dopo che le due donne ebbero lasciato l’atrio, Kenneth disse con
ammirazione: — Correggimi se sbaglio, Michael, ma credo di avere appena
visto quella santa di tua moglie neutralizzare un serpente prospettandole la
possibilità un’unione con il partito migliore che esista sul mercato.
Michael ridacchiò. — Catherine è una donna pericolosa, non credi? Sono
fortunato ad averla al mio fianco.
— Potrebbe dare lezioni di tattica a Wellington. Ma credevo che volessi
bene a tuo fratello. Sarebbe crudele gettarlo tra le grinfie di Hermione.
— Stephen ha troppo buon senso per lasciarsi affascinare da un’arpia
simile — lo rassicurò Michael. — Ma quando capirà che non ha alcuna
possibilità di diventare la prossima duchessa, sarà troppo tardi per sostenere
che i gioielli le sono stati rubati.
— Non sarai stato tu a introdurli ih casa di Hermione, vero?
Michael inarcò un sopracciglio con aristocratico sdegno. — No di certo. Ti
sembro il tipo che commette simili azioni?
— Direi di no. Ma non avevi un amico che era una specie di spia
governativa? Uno come lui potrebbe avere conoscenze interessanti.
Un lampo divertito si accese negli occhi di Michael, — È possibile che
abbia accennato al comportamento indegno della tua matrigna con Lucien.
Ha un forte senso della giustizia. Forse, nella sua indignazione, ha parlato
della questione con qualche suo conoscente di dubbia fama.
— Che molto probabilmente è un esperto in falsificazioni, oltre che in
furti con scasso.
— Senza dubbio — ammise Michael, imperturbabile.
Kenneth sorrise. — Non voglio sapere altro. Per favore, ringrazia chi di
dovere.
— A cosa servono gli amici? Coraggio, andiamo. Ci aspettano per brindare
agli sposi.

Come in tutti i pranzi di nozze che si rispettino, era ormai pomeriggio


inoltrato quando la comitiva si sciolse con un felice scambio di baci e
abbracci. Infilandosi i guanti, Lavinia disse a Rebecca e Kenneth: — Faccio la
vostra stessa strada. Posso accompagnarvi con la mia carrozza?
Kenneth scosse la testa. — Portate Rebecca a casa. Io ho voglia di
camminare e di godermi la bella serata.
— Posso venire con te? — chiese Rebecca. — Ho bisogno di un po’ di aria
fresca dopo tutto quello champagne.
— Sarò felice di avere la tua compagnia — rispose lui, offrendole il braccio.
Rebecca sospirò di sollievo quando uscirono in strada. — È stata una
bellissima giornata, ma per almeno sei mesi non voglio più saperne di
avvenimenti mondani.
— Allora non è il momento adatto per ricordarti che tra non molto
dovremo recarci a un altro ballo.
— Dagli Strathmore. Me n’ero dimenticata. — Rebecca fece una smorfia.
Mentre passeggiavano per le strade di Mayfair, studiò Kenneth con la
coda dell’occhio. Anche se lavorava da settimane al suo ritratto, non si
stancava di guardarlo. In momenti come quello, desiderava quasi che la storia
del loro fidanzamento fosse vera.
Scacciando quel pensiero pericoloso, disse: — Cos’è successo con
Hermione? Muoio dalla voglia di saperlo.
Sorridendo, Kenneth le descrisse l’irruzione della matrigna in casa
Ashburton e l’astuzia con cui Catherine era riuscita a domarla.
Quando ebbe terminato, Rebecca scoppiò a ridere. — Stupendo! Essendo
venale, Hermione ha pensato che anche Catherine lo fosse.
— Catherine, venale? — esclamò lui, perplesso. — Allora forse non ho
capito esattamente quello che è accaduto. Cosa vuoi dire?
— Affermando di desiderare che il cognato scelga la moglie giusta,
Catherine ha insinuato anche che lo vuole sposato con una donna che non gli
darà eredi — spiegò Rebecca. — Così, sarebbe suo figlio a ereditare il ducato.
— Ah! Poiché Hermione è stata sposata per anni senza concepire, è
probabile che sia sterile.
— Esatto. La cosa più buffa è che Catherine stessa mi ha detto di non
essere affatto ansiosa che Nicholas erediti il titolo. — Rebecca rise di nuovo.
— Dunque, è questo che è successo. Catherine è più subdola di quanto
immaginassi.
Rebecca lo guardò con la coda dell’occhio. — Niente potrà convincermi
che la tua matrigna abbia rinunciato ai gioielli di sua spontanea volontà.
Qualcuno le ha spedito una minaccia di morte per conto tuo?
— Credo che Michael abbia chiesto a un amico che ha conoscenze nella
malavita di organizzare il furto e di falsificare il biglietto. Ma sono mie
supposizioni.
— La giustizia al di sopra della legge. Approvo. La vendita dei gioielli ti
permetterà di ricavarne abbastanza denaro da pagare i debiti?
— Forse non abbastanza per pagarli tutti, ma potrò far fronte agli impegni
più urgenti.
— Così eviterai la bancarotta. È fantastico!
— È troppo presto per dirlo, ma c’è una cosa che posso sicuramente fare.
Mio nonno aveva aggiunto a quella originaria una proprietà adiacente,
Ramsey Grange. La casa, che è piuttosto bella, è rimasta abbandonata,
mentre le terre sono state unite a quelle di Sutterton. Poiché Ramsey Grange
è stata ipotecata separatamente, posso riscattarla e intestarla a Beth e Jack.
— Così saranno sistemati anche se dovessi perdere Sutterton. È molto
generoso da parte tua.
Kenneth si strinse nelle spalle. — Beth ha diritto a una dote.
Forse, pensò Rebecca, ma non tutti i fratelli avrebbe agito nello stesso
modo se si fossero trovati in ristrettezze finanziarie. Annusò il bouquet di
fiori che teneva in mano, abbandonandosi a fantasticherie romantiche.
Doveva essere colpa dello champagne.
— Quello non era il bouquet di Beth? — chiese lui. Rebecca fece una
smorfia. — Ha detto che, poiché sarò io la prossima a sposarsi, era giusto che
l’avessi.
— Un fidanzamento falso ha infinite ripercussioni — commentò Kenneth.
— Non è falso, è ufficiale. Solo che è nostra intenzione romperlo prima di
arrivare all’altare.
— Ma non subito. — Lui si arrestò e si frugò in tasca.
— Togliti il guanto sinistro.
Rebecca ubbidì e Kenneth le infilò all’anulare un bellissimo anello antico.
Il diamante che vi era incastonato brillò alla luce del sole.
Rebecca fissò la mano; l’anello le andava alla perfezione. Deglutì, aveva
una gran voglia di piangere ma senza sapere perché. — È… è molto bello.
— Appartiene alla famiglia Wilding da generazioni — disse lui, impacciato.
— L’ho trovato nello scrigno e ho pensato che avrebbe potuto rendere più
veritiero il nostro fidanzamento.
— Ne avrò cura fino a quando arriverà il momento di restituirlo. —
Rebecca sollevò la testa fino a incontrare il suo sguardo e vi scorse un riflesso
del suoi stessi sentimenti. C’era qualcosa di troppo intimo, troppo pieno di
promesse, in un anello.
Si infilò di nuovo il guanto, quindi prese Kenneth sotto braccio. Voleva
evitare a ogni costo argomenti troppo personali, così disse: — Il giorno della
presentazione cade tra tre settimane circa.
— Cos’è?
— L’ultimo giorno utile per presentare le opere alla Royal Academy. Fino
alla mezzanotte del dieci aprile. Hai abbastanza tempo per preparare un
dipinto. Non uno di Lilit, naturalmente.
— Come? — Kenneth si arrestò di colpo. — Vuoi che sottoponga un quadro
all’accademia? Che assurdità.
— Niente affatto. Forse è difficile accettarlo, capitano, ma adesso sei un
artista professionista. Esporrei all’accademia è il modo migliore per
richiamare l’attenzione di eventuali mecenati.
— Ma anche se so dipingere abbastanza bene — obiettò Kenneth, che
aveva l’aria di aver ricevuto un pugno nello stomaco — i miei soggetti
potrebbero essere considerati troppo realistici per l’accademia.
— Come dice mio padre, un artista deve sempre seguire la propria
ispirazione — insistette Rebecca. Ogni anno espongono centinaia di quadri
che sono solo poco più che mediocri. Con il tuo talento, hai buone probabilità
di essere selezionato. E se i tuoi quadri verranno considerati troppo realistici,
pazienza. Riproverai l’anno prossimo.
Lui la fissò per un lungo istante, teso in volto. Poi, la sua espressione
cambiò. — Presenterò un quadro solo se lo farai anche tu.
— Io? Sciocchezze. Non ho nessun motivo per esporre.
— È tutta un’altra faccenda quando la cosa ti tocca di persona, vero?
Anche se non sei costretta a vendere le tue opere per motivi economici, è
importante che tu esponga. Hai un dono. Fagli onore.
— Gli faccio onore — si difese lei. — Sperimento sempre nuove tecniche e
cerco di migliorarmi.
Kenneth la prese per le spalle. — Non basta. Hai l’obbligo morale di fare
gli altri partecipi del tuo talento. Devi dare agli altri l’opportunità di
commuoversi, perfino di arrabbiarsi davanti ai tuoi quadri. Di cosa hai paura?
Sicuramente non dell’insuccesso. I tuoi dipinti sono stupendi, e tu lo sai.
Rebecca cercò di sottrarsi allo sguardo penetrante dei suoi occhi grigi ma
lui non glielo permise. Perché il pensiero di esporre i propri quadri la
colmava di terrore? Qual era il vero motivo?
— Mi… mi spaventa l’idea di mettere a nudo me stessa davanti a occhi
estranei.
— Lo capisco, ma devi superarlo. Tutti gli artisti si mettono a nudo. Pensi
che mi faccia piacere sapere che i miei orrori privati siano alla portata di
chiunque abbia qualche scellino da spendere? Tuttavia, se non infondessi me
stesso nei miei disegni, non avrebbero niente da dire. Lo stesso vale per te. Se
continuerai a seppellire il tuo talento, finirà per avvizzire e morire. Rischi di
perdere la capacità di toccare l’anima.
A un livello inconscio, lei era costretta ad ammettere che c’era qualcosa di
vero nelle sue parole. — Sai come colpire i punti più vulnerabili, capitano —
disse, con un tremito nella voce. — D’accordo, se così vuoi, lo farò.
— Finalmente! — Kenneth si chinò a sfiorarle le labbra con un bacio
lievissimo. — Al nostro successo.
Quel contatto la fece fremere. Cos’aveva Kenneth di tanto speciale da
riuscire a gettarla sempre nella più totale confusione? Prima del suo arrivo a
casa Seaton, aveva giurato che mai e poi mai avrebbe esposto le proprie
opere. Ora, mentre gli riprendeva il braccio e percorreva accanto a lui l’ultimo
tratto di strada, provava un senso di eccitazione a quella prospettiva.

Dopo cena, Kenneth salì nel suo studio e appoggiò sul cavalletto una tela
nuova, già preparata con un fondo rosso per il soggetto che aveva in mente.
Per renderlo al meglio, avrebbe dovuto risvegliare l’antica angoscia.
Avrebbe usato una tecnica spregiudicata, e il risultato sarebbe stato molto
diverso dai freddi e particolareggiati quadri storici che l’accademia
prediligeva. Tutti, tranne forse Rebecca, ne sarebbero rimasti disgustati.
Si fece coraggio e rievocò l’immagine, e l’orrore che l’accompagnava. Il
dolore era diminuito ma non era scomparso del tutto.
Con gli occhi lucidi di lacrime, sollevò il carboncino e tracciò le prime
linee.
24

Servendosi di un pennello a punta fine, Rebecca accentuò un’ombra


all’angolo dell’occhio del corsaro. Studiò il risultato e fece per aggiungere
un’altra pennellata, ma cambiò idea e indietreggiò di un passo. Era più facile
iniziare un quadro che finirlo. C’era sempre il desiderio di ritoccarlo per
ottenere la perfezione, pur sapendo che la perfezione era irraggiungibile.
Avvertiva un senso di vuoto all’idea di aver completato un’opera che
l’aveva assorbita in modo così totale, ma almeno non sarebbe più impazzita
pensando costantemente a Kenneth e al suo corpo stupendo. Vi avrebbe
pensato soltanto… forse dieci o dodici ore al giorno.
La porta si aprì con un cigolio e Lavinia entrò nello studio.
Rebecca sospirò. — Devi proprio imparare a bussare.
— L’ho fatto. Tre volte. Non mi hai sentito.
— Oh, scusami. — Rebecca guardò fuori dalla finestra, e si accorse che era
pomeriggio inoltrato. A quanto pareva, aveva saltato il pranzo. — Ti va una
tazza di tè?
— Grazie, ma non ne ho il tempo. Sono passata per lasciarti l’abito che la
mia cameriera ha modificato per il ballo degli Strathmore. L’ho dato alla tua
Betsy. Si interessa di moda più lei di te.
— Scusami di nuovo. Regna sempre una certa confusione quando si
avvicina la scadenza per la presentazione delle opere.
— Me ne sono accorta. Infatti, Anthony è intrattabile. Ma tu perché sei
così impegnata? Non mi dire che hai finalmente deciso di presentare
qualcosa di tuo!
Rebecca annuì, impacciata.
— Alleluia! Quale quadro presenterai?
— Probabilmente questo, che ho appena terminato, insieme a un altro.
Vuoi vedere il mio corsaro?
— Con enorme piacere. — Lavinia si avvicinò al cavalletto e, dopo aver
dato una rapida occhiata, emise un fischio di ammirazione. — Buon Dio, cosa
ne pensa Kenneth?
— Non l’ha ancora visto. Non lo presenterei, naturalmente, se lui non
volesse.
— Se si opporrà, ignoralo. Avrai la gratitudine di tutte le donne che amano
l’arte e gli uomini.
Rebecca aggrottò la fronte. — Cosa intendi dire?
— Hai catturato l’essenza della virilità. Il tuo corsaro è l’amante ideale di
ogni donna. Tenebroso. Pericoloso. Irresistibile. Eppure, quando lo guardi
negli occhi, sai di essere la sua unica ragione di vita. In breve, mia cara, è
passione pura.
Rebecca trasalì. — Dimmi che stai scherzando.
— Forse esagero un po’, ma non sto scherzando. Dovrai assolutamente
sposarlo se è davvero così che lo vedi.
— Lavinia, è un quadro! Il ritratto romantico di un ex soldato. Non è una
dichiarazione di amore eterno.
— Questo lo pensi tu. Voi artisti non si rendete conto delle vostre
emozioni a meno che non abbiate una matita in mano. Se tu non lo vuoi,
posso averlo per me? Per favore.
Rebecca scoppiò a ridere. — Non è uno scialle che posso prestare o
regalare. E, a rischio di essere indelicata, mi pare che una volta tu ci abbia già
provato, senza successo.
— Non mi aspettavo che cedesse, ma era così serio che non ho resistito
alla tentazione di stuzzicarlo. Bada, se avesse detto di sì, non avrei esitato ad
andare fino infondo.
Rebecca scosse la testa. — Sei incorreggibile.
— Può darsi. — Lavinia studiò di nuovo la tela. — A parte gli scherzi, è
forse la cosa migliore che tu abbia fatto. — Voltando le spalle al cavalletto,
aggiunse: — Quando andrai al ballo, bada di non farti cogliere in situazioni
compromettenti. Io non ci sarò, perciò non contare che ti salvi di nuovo.
— Dopo quello che è successo, non vedo quali altri danni potrei fare alla
mia reputazione.
— Dotata come sei di creatività, chissà cosa potresti inventarti. Sii
prudente.
— Non faccio promesse — replicò Rebecca ridendo.
Quando Lavinia se ne fu andata, studiò di nuovo il dipinto. Pura passione?
Imbarazzata, si rese conto che c’era del vero; aveva trasmesso nel quadro il
desiderio segreto che nutriva per il suo modello. Per fortuna, non molti
possedevano l’intuito di Lavinia.
Pensò alla notte in cui lei e Kenneth avevano fatto l’amore e un calore
liquido le percorse le vene. Desiderava, con intensità spasmodica, festeggiare
il quadro appena ultimato con l’uomo che l’aveva ispirato.
Eppure, non osava cedere al desiderio. Era fin troppo facile diventare
schiava del piacere che provava facendo l’amore con lui. Se fossero diventati
amanti, sarebbe stata in balia delle proprie emozioni e, se voleva evitare guai
seri, non doveva lasciarsi trascinare dagli impulsi. Meglio rimanere amici.
Ma, come amica, poteva andare nel suo studio e vedere come progrediva il
suo lavoro.
Il colpo alla porta fu accompagnato dalla voce di Rebecca che diceva: —
Sono io. Posso entrare?
— Certo. — Kenneth posò la tavolozza e si massaggiò i muscoli indolenziti
del collo. Rebecca era incantevole in un abito blu cobalto. Ciocche di capelli le
incorniciavano il volto, ponendo in risalto lesile collo. — Sei un balsamo per i
miei occhi stanchi.
— Hai l’aspetto di uno che non dorme da una settimana — replicò lei. —
Come sta procedendo il lavoro?
Kenneth pensò all’accanimento con cui si era dedicato alla pittura dal
giorno del matrimonio di Beth, al supplizio di dover rivisitare i suoi incubi, e
decise che sarebbe stato il suo lavoro a parlare per lui quando fosse giunto il
momento. — Avrò tempo di dormire in seguito — rispose. — Per fortuna, sir
Anthony è così impegnato che ho avuto parecchio tempo libero. Altrimenti,
non credo che sarei riuscito a terminare i miei quadri.
— Ne sottoporrai più di uno?
— Due, collegati tra di loro. — Kenneth sospirò. — Il primo sarà
sicuramente scartato dall’accademia, e dubito che il secondo abbia maggiori
possibilità. Tuttavia, sono riuscito a esprimere quello che volevo.
— Di tanto in tanto l’accademia ci sorprende riconoscendo il valore di
opere che pure esulano dai loro criteri estetici. Forse sarà il tuo caso. —
Rebecca esitò un attimo. — Dopo cena, vorrei chiedere a mio padre di
guardare i nostri lavori. Non sa ancora che abbiamo deciso di partecipare alla
mostra.
— Non possiamo più rimandare. Ho finalmente il permesso di vedere il
corsaro?
— Anche subito, se vuoi. — Rebecca guardò verso il cavalletto. — E io
posso dare un’occhiata al tuo lavoro?
Kenneth scrollò il capo. — Preferirei mostrarlo contemporaneamente a
tuo padre e a te. Non vorrei che fossi troppo indulgente.
— Sopravvaluti la mia bontà d’animo — rise Rebecca, avvicinandosi alla
finestra. — Sono stata sempre sincera con te.
Lui la osservò di nascosto mentre copriva la tela. Il tessuto dell’abito
ondeggiava con leggerezza intorno al suo corpo, come se sotto indossasse ben
poco. Come molti dei suoi vestiti, era abbottonato davanti, una comodità per
lei, e una tentazione irresistibile per lui.
Sentì crescere il desiderio, e ringraziò il cielo di essere stato molto
impegnato negli ultimi tempi, altrimenti Dio solo sapeva cosa sarebbe potuto
succedere. — Fa’ strada. Secondo te, mi piacerà?
— Non lo so — rispose lei, dirigendosi alla porta. — Lavinia l’ha appena
visto e, anche se le è piaciuto, ha fatto dei commenti piuttosto allarmanti.
Quando entrarono nel suo studio, Rebecca indicò senza parlare il
cavalletto che si trovava accanto alla finestra, voltato in modo da ricevere in
pieno la luce. Impaziente di scoprire come lei l’avesse visto in tutto quel
tempo, Kenneth girò intorno al cavalletto, e impallidì.
Mentre il silenzio si protraeva, Rebecca disse con un filo di voce: — Non ti
piace.
Ricordando come era riuscita a restare impassibile quando si era vista
ritratta come una creatura demoniaca nuda, lui rispose: — Niente affatto. È
eccezionale. Solo che è un po’… inquietante vedermi ritratto in modo così
drammatico.
Sforzandosi di essere obiettivo, Kenneth tralasciò i particolari per
concentrarsi sulla figura del pirata chi dominava la tela, e cercò di
dimenticare che stava guardando se stesso. — Hai catturato l’essenza di uno
che ha condotto una vita violenta. Coriaceo. Perfino brutale. Un uomo senza
illusioni che ha dovuto scegliere se uccidere o essere ucciso. È affascinante.
Ma è questo a farne un grande quadro. — Indicò il profilo riflesso sulla parete
scura alle spalle del corsaro. — Questa immagine mostra il prezzo pagato
dalla sua anima. Ha perso molto di ciò per cui vale la pena vivere. Adesso,
conoscendo il prezzo che ha dovuto pagare per sopravvivere è ossessionato da
una domanda, e cioè, se non sarebbe stato meglio consegnarsi alla morte.
— È così che ti vedi, Kenneth?
Lui pensò all’atmosfera lugubre dopo una battaglia e a Maria. — Ci sono
stati momenti in cui mi sono sentito così. Tuttavia, non sono veramente io.
Hai piuttosto scoperto un lato nascosto del mio carattere e l’hai distillato in
qualcosa di universale e avvincente. Intendi consegnarlo domani?
— Ti seccherebbe?
— Non mi entusiasma l’idea di esporre la mia anima lacerata al bel mondo
londinese, ma sopravvivrò. Chi è dotato d’intuito, ne rimarrà commosso. —
Kenneth si voltò a guardare Rebecca. — Quale è stata la reazione di Lavinia?
Lei scoppiò a ridere. — La conosci. Ha detto che il quadro è passione pura
e che, se era questo ciò che provavo per te, avrei dovuto sposarti. Sciocchezze,
naturalmente.
Kenneth soffocò un sospiro. Era un peccato che Rebecca fosse così
contraria al matrimonio perché, più ci pensava, più l’idea gli piaceva.

La cena era quasi terminata quando Kenneth disse: — Sir Anthony, ho un


favore da chiedervi.
Vedendo l’espressione stupita del padre, Rebecca intuì che era la prima
volta che il suo segretario gli chiedeva qualcosa.
— Non so se Rebecca ve l’ha mai detto — proseguì Kenneth — ma anch’io
sono una… una specie di artista.
Sir Anthony ascoltava con l’aria di chi è stato troppo spesso importunato
da artisti dilettanti con un’opinione esagerata delle proprie capacità.
— È molto bravò, papà — intervenne Rebecca. — Gli ho suggerito di usare
come studio una delle stanze vuote dell’attico.
Sir Anthony inarcò un sopracciglio. — A quanto pare, sono successe molte
cose senza che io lo sapessi. Che genere di favore volete, Kenneth?
— Sto pensando di sottoporre due quadri alla Royal Academy — rispose
Kenneth, giocherellando con la forchetta. — È assai probabile che non li
accettino, ma… ma sareste disposto a guardarli e a dirmi se rischio di fare una
figura umiliante?
Sir Anthony posò il tovagliolo e si alzò in piedi. — Se ci tenete, ma vi
avverto, sono un critico severo.
— Puoi dare un’occhiata anche ai due quadri che intendo inviare io alla
selezione? — gli chiese Rebecca.
— Così, alla fine ti sei decisa! — Sir Anthony diede un’occhiata
significativa a Kenneth. — Merito vostro, suppongo. Il fidanzamento ha un
effetto benefico su entrambi. Molto bene. Sbrighiamoci perché devo tornare
al lavoro.
Si recarono prima nello studio di Rebecca, che indicò il ritratto di Kenneth
posato sul cavalletto accanto, alla finestra.
Sir Anthony lo studiò con attenzione. — Ottimo. È tempo stesso eroico e
umano. Sarà selezionato, e avrà anche un grosso successo di pubblico. — Dal
modo in cui gli brillavano gli occhi, era chiaro che, come Lavinia, ne aveva
colto la carica di sensualità. Per fortuna non fece commenti. — Cos’altro
proporrai?
Sentendosi molto più nervosa, Rebecca lo condusse al quadro della donna
che precipitava. — Credo che lo intitolerò Trasfigurazione.
I due uomini fissarono la tela, e un muscolo guizzò nella guancia di suo
padre.
La maggior parte della gente vi avrebbe visto la presentazione romantica
di una cultura esotica. L’ambientazione era all’interno del cratere di un
vulcano, la parte inferiore della tela era un inferno ribollente di lava e di
fumo.
Sull’orlo del cratere, una giovane donna si offriva agli dei pagani.
Precipitava con le braccia tese, e i capelli neri e il bianco sarong turbinavano
intorno al suo esile corpo. Sul suo volto c’era un’espressione estasiata, una
resa totale.
A ispirare il quadro era stato il commento di Kenneth, secondo il quale
non sempre si provava paura di fronte a una morte inevitabile. Ma anche se
Rebecca era riuscita a esprimere quel concetto in termini artistici, questo non
le aveva dato la pace interiore che tanto desiderava.
Sir Anthony deglutì a fatica. — Non tutti lo capiranno, ma sarà molto
ammirato. Hai superato te stessa Kenneth, ora tocca a voi.
Mentre suo padre si dirigeva alla porta, Rebecca lo vide asciugarsi di
nascosto una lacrima.
Prima di seguirlo, Kenneth si fermò per sussurrarle — Eccezionale.
Una volta nel suo studio, prese un dipinto e lo poso sul letto,
appoggiandolo alla parete. Per un momento lei ricordò di avergli donato la
sua verginità su quello stesso letto, poi guardò la tela e il ricordo svanì.
Kenneth aveva dipinto un’esecuzione. Era una scena notturna; la maggior
parte della tela era in ombra, mentre una luce surreale illuminava un gruppo
di guerriglieri spagnoli, nell’attimo in cui venivano trucidati dal fuoco di un
plotone francese.
I soldati francesi erano anonimi nelle loro uniformi blu, mentre i
guerriglieri spagnoli erano rappresentati nei minimi particolari. C’erano
diversi uomini stesi a terra, compreso un prete che stringeva un crocefisso
nella mano. Il punto focale del quadro era un giovane che allargava le braccia
mentre veniva dilaniato dai proiettili. La sua camicia bianca era già macchiata
di sangue.
— Capisco perché dubitate che venga accettato — disse sir Anthony. — In
genere, l’accademia non ama le opere di così palese emotività. Come si
intitola?
— Navarra, 5 novembre 1811 — rispose Kenneth.
— Mostratemi l’altro.
Rebecca guardò il padre, sorpresa. Anche se lui dipingeva attenendosi ai
canoni del neoclassicismo, era impossibile che gli sfuggisse il valore della
pittura di Kenneth.
— Le scene sono collegate. — Kenneth prese la tela dal cavalletto e la
collocò accanto all’altra. — L’ho intitolata La Pietà spagnola.
Rebecca notò che si era ispirato alla famosa scultura di Michelangelo che
si trovava in San Pietro, anche se non aveva niente della compostezza classica
del suo modello. Aveva ritratto una donna spagnola di mezza età che cullava
il cadavere del giovane, già al centro del quadro precedente. Con la testa
gettata all’indietro, gridava la sua disperazione per la morte del figlio.
Temendo di non riuscire a trattenere le lacrime davanti a una scena così
straziante, distolse lo sguardo e guardò il padre. Vide che osservava la tela
senza espressione alcuna, e provò l’impulso di scrollarlo. Non si rendeva
conto dell’ansia con cui Kenneth aspettava un suo giudizio?
Alla fine sir Anthony ruppe il silenzio. — Avete molto da imparare prima
di diventare un grande pittore, Kenneth. Ma siete già un grande artista. —
Quindi, girò sui tacchi e lasciò lo studio.
Kenneth era stordito, incapace di interpretare il significato di quelle
parole.
Quando Rebecca si sentì sicura che la sua voce non si sarebbe incrinata,
disse: — Congratulazioni, capitano. Hai appena ricevuto un raro encomio.
Lui espirò e si strofinò la nuca. — Tu cosa ne pensi dei miei quadri?
— Straordinari. Ispireranno sia amore sia odio. La Pietà è così drammatica
che non riesco quasi a guardarla. Spero proprio che l’accademia abbia il buon
senso di accettarla. — Rebecca guardò di nuovo le due tele. — Tu hai assistito
a questi episodi — commentò, e la sua non era una domanda.
— Sono due delle immagini principali della mia galleria di incubi. —
Kenneth indicò il dipinto dell’esecuzione. — Tra i miei compiti c’era quello di
tenere i contatti con le bande di guerriglieri per raccogliere informazioni. Ho
operato molto spesso insieme a questo gruppo, e venni catturato con loro,
quando i francesi ci circondarono. Come ufficiale inglese, fui trattato con
grande rispetto, perché mi avrebbero usato per uno scambio. — S’interruppe,
e i suoi occhi erano così cupi da sembrare quasi neri.
— E ti hanno costretto ad assistere alla morte dei tuoi amici.
— Non mi hanno costretto, ma non farlo mi sembrava una vigliaccheria.
Dovevo essere testimone del loro coraggio e del loro sacrificio.
— Ne hai fatto una nobile commemorazione. Il ragazzo era un tuo amico?
— Eduardo era il fratello minore di Maria. Aveva soltanto diciassette anni
quando è morto.
— Hai detto che Maria è stata uccisa dai francesi. Hanno fucilato anche
lei?
— No. — Kenneth chiuse gli occhi e uno spasimo di dolore gli contrasse il
volto. — Un giorno troverò la forza di dipingere quella scena, così riuscirò
forse a liberarmi dai miei incubi. — Riaprì gli occhi. — Sei stata tu a
insegnarmi che il dolore può essere sublimato attraverso l’arte. È un altro
debito che non riuscirò mai a ripagare.
Rebecca gli voltò le spalle. C’era troppa tensione nell’aria, un calore
troppo pericoloso nella sua espressione. — Non mi devi niente, Kenneth. Non
sei il solo ad aver tratto vantaggio dalla nostra amicizia.
Anche lui avvertì la necessità di allentare la tensione che si era creata. —
So che tutte le opere devono essere consegnate entro la mezzanotte di
domani — disse. — Dopo cosa succederà?
— La Giuria, composta da numerosi accademici, solitamente decide di
accettare all’incirca un migliaio di pezzi. I quadri di membri dell’accademia,
come mio padre, zio George e lord Frazier vengono esposti comunque.
— Non sapevo che fossero anche loro accademici.
— Frazier, in realtà, è soltanto membro ordinario. Sospetto che sia un
grande dolore per lui non essere mai stato nominato accademico, ma è troppo
orgoglioso per parlarne.
— È un peccato che il talento e la disciplina di Frazier non siano all’altezza
del suo orgoglio — commentò Kenneth con sarcasmo.— Come faremo a
sapere se i nostri lavori sono stati accettati?
— In un modo poco civile. Dopo la selezione, gli artisti devono presentarsi
all’accademia e chiedere al portiere quale è stato il destino delle loro fatiche.
C’è una lunghissima coda di gente, e il portiere ci prova gusto a urlare No
ogni volta che un quadro è stato scartato. È molto imbarazzante.
Kenneth fece una smorfia. — Suppongo che è quanto accadrà a me.
— Essere scartati non significa nulla. Se accadrà non dovrai abbatterti.
— E avendo ottenuto l’approvazione tua e di tuo padre, posso sopravvivere
al rifiuto dell’accademia.
C’era di nuovo un calore inquietante nel suo sorriso, che le ricordava
troppo la volta che avevano fatto l’amore. Con aria noncurante, Rebecca si
allontanò da lui, dicendo: — Solo il giorno del vernissage scopri dove hanno
appeso i tuoi quadri. Il salone della mostra è enorme e, se sono appesi vicino
al soffitto, è praticamente impossibile vederli. Comunque, sempre meglio che
non essere esposti.
— È strano per me parlare di quadri e mostre con tanta naturalezza. Sono
stato educato per essere un proprietario terriero, e il destino ha fatto di me
un soldato. Chi l’avrebbe detto che sarei diventato un artista?
Rebecca guardò il suo volto dai lineamenti marcati e il suo corpo atletico,
e pensò al corsaro. Forse lui non era il sogno segreto di ogni donna, ma era
sicuramente il suo. Sapendo che la cosa più saggia da farsi era andarsene,
mise la mano sulla maniglia, — Può darsi che un destino imperscrutabile ti
abbia portato all’arte per vie traverse, Kenneth. Avevi il talento per imparare
senza dover frequentare le scuole tradizionali, e la guerra ti ha fornito il
materiale per realizzare opere straordinarie.
Così dicendo, uscì dalla stanza prima di cedere alla tentazione di gettarsi
tra le sue braccia.
25

Kenneth sibilò adagio quando entrò con Rebecca nella Somerset House. —
Non esageravi quando parlavi di coda. Devono esserci cinquanta o sessanta
uomini pigiati qui dentro. — Le sorrise. — E tre donne.
Il portiere, che stava consultando la lista dei dipinti, tuonò: — No —
rivolto all’uomo in testa alla coda.
— Poveraccio — mormorò Kenneth, mentre l’artista se ne andava,
terribilmente pallido.
Rebecca si aggrappò al suo braccio. — Mi sto pentendo seriamente di
essermi lasciata convincere.
Lui le diede un colpetto sulla mano. Aveva le dita gelate. — Vorrei dirti che
sarai stata sicuramente accettata, ma non ti farebbe sentire meglio, vero?
Rebecca gli rivolse un sorriso stentato. — Stai male anche tu, vero?
— Peggio di te, perché le mie probabilità sono più scarse delle tue.
— Io ho una tecnica migliore, ma tu hai temi più corposi.
— Sono corposi anche i tuoi, solo che sono meno drammatici.
Si guardarono e scoppiarono a ridere. — Siamo proprio in uno stato
pietoso, vero? — commentò Rebecca.
Lui non l’aveva mai sentita così vicina. A quanto pareva, condividere le
preoccupazioni creava un legame non meno potente della passione fisica.
Riuscirono a conversare del più e del meno mentre la coda avanzava, ma
Kenneth dubitava che in seguito avrebbero ricordato una sola parola di quello
che si erano detti. Aveva notato che in media venivano scartati tre artisti su
quattro, e immaginava che anche Rebecca se ne fosse accorta.
Dopo un attesa interminabile, rimase un uomo soltanto tra loro e il
portiere. — Frederick Marshall — disse l’artista con voce roca.
Il portiere passò di nuovo in rassegna i fogli, quindi sbirciò al di sopra
delle lenti. — Marshall. No.
Marshall picchiò un pugno contro il palmo dell’altra mano. — Accidenti
all’accademia! Cosa ne sanno quei vecchi imbecilli della vera arte? — Con gli
occhi che mandavano lampi, girò sui tacchi e si allontanò.
Toccava a Rebecca. Kenneth le posò le mani sulle spalle per farle coraggio.
Con un tremito nella voce, lei disse: — R.A. Seaton.
Il portiere le lanciò un’occhiata di disapprovazione, quindi si chinò di
nuovo sui suoi fogli. — Seaton. Il corsaro. Sì. Trasfigurazione. Sì.
Rebecca parve rinascere sotto le mani di Kenneth. Si voltò verso di lui,
con gli occhi scintillanti. Kenneth avrebbe voluto baciarla, ma si limitò a dire:
— Fantastico, e meritato.
— Tocca a te.
Lui avanzò di un passo. — Kimball.
Il portiere sfogliò il suo elenco con lentezza esasperante. — Kimball. No.
Kenneth si sentì gelare il cuore. Anche se si era preparato al peggio, la
realtà faceva ugualmente male. Rebecca gli prese la mano e la strinse forte.
Un attimo dopo, il portiere borbottò: — No, quell’era Kimborough.
Vediamo, avete detto Kimball? Kenneth riuscì ad annuire.
Il portiere guardò di nuovo l’elenco. — Navarro, 5 novembre 1811. Sì. La
Pietà spagnola. Sì.
In un impeto di pura gioia, Kenneth sollevò Rebecca tra le braccia e la fece
piroettare nell’aria. E lei lo abbraccio, ridendo di felicità.
L’uomo che era alle loro spalle si fece largo con impazienza. E questo li
riportò alla realtà. Kenneth posò Rebecca a terra, ma i loro sguardi rimasero
avvinti con pericolosa intensità.
Lui avrebbe dovuto sapere che era un errore toccarla quando erano
entrambi in uno stato di forte emotività. Era una fortuna che si trovassero in
un luogo affollato, altrimenti non avrebbe potuto rispondere delle sue azioni.
Prese Rebecca sotto braccio e la condusse via. — Ce l’abbiamo fatta,
Rossa. Ce l’abbiamo fatta!
Rebecca scese i gradini quasi a passo di danza. — Anche se appenderanno i
nostri quadri vicino al soffitto, potremo sempre dire di aver esposto alla
Royal Academy.
Il suo entusiasmo lo fece sorridere. Sembravano due soldati che avessero
combattuto e vinto una battaglia fianco a fianco.

Il giorno del vernissage alla Royal Academy regnava il caos. D’istinto,


Rebecca si strinse vicino a Kenneth; in mezzo a quella folla, la sua presenza
le dava coraggio.
Lui si guardò intorno nell’enorme sala. — Mi avevi detto che tutte le
pareti sarebbero state tappezzate di quadri dal pavimento al soffitto, ma la
realtà supera l’immaginazione. Mi sento in soggezione.
— Anch’io. Non ho mancato una sola delle mostre dell’accademia, ma è la
prima volta che devo cercare i miei quadri in questa confusione.
— Sarà meglio farlo con metodo. Cominciamo da quell’angolo e facciamo
il giro della sala.
— E preghiamo che li abbiano appesi vicino alla linea — Quando Kenneth
la guardò, perplesso, Rebecca piegò: — La linea è quella cornice che corre
tutt’intorno a un’altezza di due metri circa, ed è di solito riservata ai quadri
degli accademici.
Erano a metà del loro giro quando Rebecca si arrestò di colpo ed esclamò:
— Guarda! La serie di Waterloo ditata da mio padre. Non sono stupendi?
Un gruppo di gente si era raccolto per ammirare le tiro grandi tele che
dominavano la parete.
— Sir Anthony ha raggiunto il suo obiettivo — commentò Kenneth. — Le
generazioni future guarderanno questi dipinti e potranno capire cosa accadde
a Waterloo.
Lei indicò il quadro che rappresentava l’esercito schierato in battaglia. —
Eccoti con il tuo reggimento, un po’ a sinistra.
— Già, sono proprio io. Sir Anthony ha rifatto il sergente per dargli le mie
sembianze, ha messo in atto la sua minaccia.
— Diventerai una celebrità, dopo questa mostra — commentò lei con un
sorriso malizioso.
Kenneth gemette. — Non sono molto riconoscibile nel quadro di tuo
padre. Quanto al corsaro, perdonami, ma spero che l’abbiano appeso vicino al
soffitto.
— È un peccato che non ci siano donne nella Giuria, altrimenti gli
avrebbero assegnato un buon posto.
Ridendo, ripresero il loro giro. Avevano già esaminato due pareti quando
Kenneth esclamò, cercando di contenere l’eccitazione. — Guarda. Là!
I loro quadri erano stati sistemati fianco a fianco, appena al di sopra della
cornice, dove erano ben visibili.
— Grazie al cielo — disse Rebecca con fervore. — la tua carriera è
assicurata, Kenneth. A quanto vuoi venderli?
Lui parve sorpreso. — Veramente, non ci ho nemmeno pensato.
— Bene, allora devi cominciare a farlo. Dopotutto, è questo lo scopo della
mostra.
— Tu hai stabilito il prezzo dei tuoi?
— I miei due non sono in vendita. Tuttavia, non mi seccherebbe se mi
commissionassero qualche ritratto?
Una coppia elegante si era fermata a guardare i dipinti. Un uomo esclamò:
— Guarda quelle scene spagnole. Quanto realismo!
La signora al suo braccio rabbrividì. — Le trovo disgustose. L’arte
dovrebbe rappresentare la bellezza non lo squallore. — Indicò i dipinti di
Rebecca. — Ecco quelli sono belli. Nota l’espressione esaltata della ragazza,
mentre s’immola per il suo popolo. È commovente. Il corsaro, invece, è
piuttosto scandaloso, ma fa sicuramente colpo. — Si passò la punta della
lingua sulle labbra. — Mi chiedo chi sia il modello.
Rebecca soffocò una risata con la mano. — Ecco un esempio di come
commenteranno i nostri lavori. E tu, signor corsaro, domattina ti sveglierai
famoso.
Kenneth fece una smorfia. — Dovrò lasciare Londra immediatamente.
Quando lei rise di nuovo, aggiunse in tono arcigno — Ti stai divertendo
troppo alle mie spalle. Avrei dovuto concorrere con la mia Lilit. Gli uomini
sarebbero andati in visibilio.
— Sciocchezze. — Rebecca batté le ciglia con modestia. — Nessuno
crederebbe che sia stata una persona insignificante come me a ispirare una
creatura così sensuale.
— Sottovaluti il tuo fascino, Rossa. — Kenneth guardò al di là delle spalle
della donna e, alzando la voce per farsi sentire al di sopra del brusio, disse: —
Buongiorno, Frazier.
— Buongiorno, Kimball, Rebecca — rispose lord Frazier in tono gioviale. —
Anthony mi ha detto che avete presentato dei lavori e che sono stati accettati.
— Quei quattro — rispose Rebecca, indicandoli. — È una fortuna che li
abbiano appesi in un buon posto.
— Anthony avrà sicuramente usato la sua influenza. — Lo sguardo di
Frazier cadde sulla Trasfigurazione, e il suo volto s’irrigidì.
Dopo un lungo silenzio, la sua attenzione si spostò sui quadri di Kenneth.
— Interessanti, anche se sono un po’ troppo moderni per i miei gusti. Se
volete continuare a dipingere, Kimball, dovrete dedicarvi a soggetti storici.
Non si può essere considerati veri artisti se non si conosce l’antichità.
Rebecca non era sorpresa che non avesse espresso alcun parere sui suoi
dipinti. Frazier era convinto che le donne non erano degne di occuparsi
d’arte.
— Quest’anno avete presentato un quadro? — s’informò Kenneth.
— Sì, ma non l’ho ancora localizzato. Ho scelto di rappresentare Leonida
alle Termopili. La vittoria dei greci sui persiani è uno degli eventi da cui è
nata la civiltà occidentale.
— Un nobile soggetto. C’è un dipinto laggiù che mi pare tratti questo
argomento. Tuttavia, dubito che possa essere il vostro, a giudicare da dove è
appeso. — Kenneth indicò un quadro collocato sulla parete di fronte, a metà
tra la cornice e il soffitto.
Frazier seguì il suo sguardo e impallidì. — È proprio il mio quadro —
disse, a denti stretti.
Il tono della sua voce preoccupò Rebecca. Dall’aspetto, si sarebbe detto
che fosse sull’orlo di un colpo apoplettico. — È ovvio che si tratta di un errore
— si affrettò a dire. — Vi ricordate che anni fa commisero una svista simile
con uno dei quadri di mio padre? — Senza farsi notare, diede un calcio a
Kenneth.
Cogliendo al volo il suggerimento, lui disse: — È indecente che facciano
simili errori con l’opera di un accademico. Una composizione molto
complessa, Frazier. Deve aver richiesto molto tempo.
Frazier si calmò un po’. — Ci ho lavorato per più di due anni, e lo ritengo
uno dei miei dipinti migliori.
— Dovete pretendere che l’appendano al posto che vi spetta — dichiarò
Rebecca.
— Certo. Me ne occuperò subito. Razza di imbecilli — Frazier si allontanò
senza neanche salutarli.
— È stato davvero un errore? — chiese Kenneth sottovoce.
Rebecca si strinse nelle spalle. — Come membro ordinario dell’accademia
gli spetta un posto subito al disopra della cornice, ma non è benvoluto. È
troppo arrogante. E si può sopportare un artista arrogante solo se è anche un
genio. Può darsi che qualcuno della Giuria avesse un conto da regolare con
lui.
— Oppure l’hanno semplicemente giudicato in base al valore del suo
quadro.
— Sei crudele. È tecnicamente pregevole.
— Ma non lascerà tracce. — Kenneth studiò le decine di figure nude,
armate di scudi e spade. — Ed è assurdo. Tutti i soldati preferiscono battersi
vestiti.
— Zitto — lo ammonì Rebecca. — È lo stile classico, non realismo
moderno.
— Anche duemila anni fa, i soldati ci tenevano a proteggere almeno le
parti più vulnerabili del loro corpo — insistette Kenneth.
Sorridendo, lei gli prese il braccio per proseguire nel loro giro. Mentre si
allontanavano, notò che lord Frazier era stato fermato da qualcuno, a pochi
passi da loro. Ne vedeva soltanto la schiena rigida, ma non era escluso che
avesse udito le critiche impietose di Kenneth.
Sperava che non fosse così. Dopotutto, anche se un artista era mediocre,
non per questo le critiche facevano meno male.
26

Era arrivato il giorno del ballo dagli Strathmore, e Kenneth e Rebecca


stavano facendo uno spuntino perché avrebbero cenato solo a tarda ora.
Servendosi un’altra fetta di torta, lui disse: — Sono molto impaziente di
andare al ballo. Adesso che la mostra è iniziata e il nostro successo è ormai
assicurato, ci meritiamo una serata frivola.
Rebecca sorrise e divise quello che restava del tè tra le loro due tazze. —
Devo ammettere che sono impaziente anch’io.
Lui la guardò con tenerezza. Non dovendo più concentrare tutte le sue
energie nel lavoro, il desiderio di amarla stava rapidamente sfuggendo al suo
controllo.
Doveva assolutamente tenersi occupato, iniziando la serie di disegni per le
incisioni.
Le sue riflessioni furono interrotte dall’ingresso di sir Anthony, che
indossava un abito da sera, Rebecca sollevò la testa. — Ciao, papà. Credevo
fossi già uscito per andare a cena.
— George e Malcolm verranno a prendermi tra poco, ma prima volevo
comunicarti qualche notizia. Rebecca, oggi alla mostra, due persone mi
hanno chiesto se esegui anche ritratti. Si faranno vivi. Ci sono state anche
alcune offerte esagerate per comprare Il corsaro, tutte da parte di donne.
Suppongo che non sia in vendita.
— Supposizione esatta. Tuttavia… quanto esagerate?
— Cinquecento ghinee.
— È una fortuna! — esclamò Rebecca.
— È stata l’offerta ferma più alta. Un’anziana duchessa ha detto di essere
disposta a pagarlo mille ghinee, ma credo che stesse scherzando.
Rebecca sorrise a Kenneth. — Sei famoso, capitano.
— Mi farò crescere la barba, per non farmi riconoscere.
— Anche i vostri lavori hanno risvegliato un notevole interesse, Kenneth.
Vi consiglio di non accettare meno di trecento ghinee a quadro.
— Secondo voi, valgono così tanto?
— Un quadro vale la cifra che uno è disposto a sborsare. Non
sottovalutatevi. — Dirigendosi alla porta, sir Anthony aggiunse con
rimpianto: — Immagino che dovrò presto cercarmi un altro segretario.
Kenneth pensò alle indagini che non aveva ancora terminato. — Sì. Ma c’è
ancora tempo.
In quel momento arrivarono Hampton e Frazier. E poiché la porta della
sala da pranzo era aperta, entrarono per salutare.
— Voi due avete avuto successo — si congratulò Hampton. — Sono molto
soddisfatto del mio fiuto — proseguì, rivolto a Kenneth — per avervi
impegnate con un contratto a disegnare la serie sulla guerra in Spagna. Posso
sperare di avere in prestito Il corsaro, per esporlo in vetrina con le prime
incisioni? Le vendite andrebbero alle stelle.
Kenneth assunse un’espressione terrorizzata e sir Anthony scoppiò a
ridere, ma Rebecca rispose con fermezza: — Temo di no, zio George.
— Peccato. Mi avrebbe fatto un’ottima pubblicità.
Lord Frazier seguiva la conversazione con un’espressione disgustata.
Quell’uomo era del tutto privo di senso dell’umorismo, decise Kenneth.
— È ora di andare. Stasera ceniamo con Benjamin West. — Sir Anthony
fece una pausa, poi aggiunse: — West vuole discutere con me dell’eventualità
che gli succeda come presidente della Royal Academy.
Ci fu un attimo di silenzio totale. Kenneth notò che, Hampton era
sorpreso, mentre Frazier aveva un’aria sconvolta.
Fu Rebecca a reagire per prima, balzando in piedi per andare ad
abbracciare il padre: — È fantastico! Con l’appoggio dell’attuale presidente, la
tua elezione sarà assicurata.
— Spero che quel momento non sia troppo vicino. Voglio bene a West e
non ho nessuna fretta di vederlo morto. Ma quando avranno bisogno di un
nuovo presidente, sarò onorato di accettare l’incarico.
— Forse Tom Lawrence avrà qualcosa da dire in proposito — disse Frazier
in tono indolente.
— Anthony è senz’altro il più qualificato per quel posto — dichiarò
Hampton. — Chissà, forse un giorno toccherà a Kimball dirigere l’accademia.
Qualcuno ha già proposto di accettarlo come membro ordinario non appena
si libererà un posto.
Era un pensiero lusinghiero ma, notando un lampo di rabbia nello
sguardo di Frazier, Kenneth si affrettò a dire: — È prematuro parlarne,
avendo esposto soltanto due quadri. Inoltre, la mia educazione artistica ha
molte lacune.
— Mi fa piacere che ve ne rendiate conto — commentò Frazier in tono
acido. — Sarebbe un vero peccato se vi montaste la testa quando siete ancora
un dilettante.
Hampton gli lanciò un’occhiata infastidita, ma si limitò a dire: — È ora di
andare. Buonasera, Rebecca, Kimball.
Dopo che la porta si fu richiusa alle loro spalle, Rebecca disse: — Povero
Frazier, è risentito perché vede la sua stella declinare mentre quella di tutti
gli altri è in continua ascesa. — Corse a passo di danza verso Kenneth, che si
era appena riseduto e si stava portando la tazza alle labbra, e lo abbracciò. —
Stento a credere al nostro successo.
Dovendo scegliere tra il tè freddo e la femminilità calda di Rebecca, la
decisione fu facile. Kenneth posò la tazza e la fece sedere sulle sue ginocchia.
— Devo tutto a te, Rebecca. Se non mi avessi sfidato a dipingere, non avrei
mai trovato il coraggio necessario.
Le diede un bacio che voleva essere superficiale, ma che divenne ben
presto ardente. La bocca di lei si schiuse sotto le sue labbra. Sapeva di torta e
di gioia, un miscuglio inebriante che ebbe il potere di eccitarlo subito.
Scostò la testa, cercando di non farle capire quale effetto avesse avuto su
di lui quel bacio. — Non dovremmo comportarci così, qui in sala da pranzo.
Anzi, da nessuna parte.
Per un attimo ebbe l’impressione che Rebecca gli avrebbe dato ragione,
ma subito dopo la sua esuberanza si trasformò in passione sfrenata. —
Giusto. Il mie studio è un luogo molto più adatto. — Gli accarezzò la guancia
con una sensualità carica di promesse. — Lavinia ha detto che Il corsaro è
l’amante tenebroso, pericoloso e irresistibile sognato da tutte le donne, che ti
rappresenta come io ti vedo veramente, e ha ragione.
Kenneth cominciava ad avere difficoltà a respirare. La rimise in piedi e si
alzò. — Come mi vedi?
— Tenebroso… — Lei gli fece scivolare una mano, lungo la nuca,
infilandogli le dita tra i capelli, premendo i seni contro il suo torace.
Il cuore cominciò a battergli forte per il desiderio.
— Pericoloso… — sollevandosi sulle punte dei piedi, Rebecca gli
mordicchiò il lobo dell’orecchio.
Tutto il suo corpo fu pervaso da un fremito.
— Irresistibile… — mormorò lei contro la sua gola! Gli sfiorò la guancia
con le labbra e le incollò quindi sulle sue.
Kenneth la strinse tra le braccia, avido di dissetarsi al liquore inebriante
della sua bocca. Lei era come un vino, frizzante e letale. Fece scivolare le
mani lungo la linea flessibile della schiena, per poi stringerle intorno alle
curve scultoree dei fianchi.
Voleva denudare quel corpo incantevole per divorarlo con lo sguardo.
Voleva passione e tenerezza. Voleva sprofondare in quel corpo accogliente.
Vedere l’ardore accendersi nei suoi occhi.
No.
— Sei proprio come Lilit, la divinità demoniaca. Mandata per rubarmi
l’anima. — Con una dolorosa fitta di rimpianto, l’allontanò da sé. —
Comportarsi da sciocchi una volta è perdonabile. Non lo sarebbe la seconda.
— Cosa c’è di sciocco nel fare l’amore? — Rebecca si tolse il nastro che le
legava i capelli e li lasciò cadere sulle spalle come un manto dai riflessi
ramati. — E non accampare la scusa che sei un semplice segretario. Hai il
titolo di visconte e sei un promettente giovane artista.
Kenneth si sforzò di pensare quale altra barriera avrebbe potuto erigere
tra loro due, a parte svelarle la sua doppiezza. — Essendo sfuggiti una volta a
un matrimonio obbligato, sarebbe da sciocchi tentare di nuovo la fortuna.
Non sono sicuro che riuscirei a fermarmi al momento giusto. — Le accarezzò
la guancia con il dorso della mano. — Sei troppo eccitante.
Rebecca gli imprigionò la mano e se la portò al seno. Kenneth si irrigidì,
incapace di ritrarla.
— Se è solo per questo, non devi preoccuparti. Lavinia mi ha spiegato
come evitare conseguenze sgradite. — Rebecca arrossì, ma non abbassò gli
occhi. — Di sopra ho l’occorrente per… per proteggermi.
La fragile difesa di Kenneth crollò come un castello di carte. Perché
rinunciare a una cosa che entrambi desideravano così tanto? In quel
momento bruciavano tutti e due, e c’era un solo modo per spegnere le
fiamme.
Le prese il volto tra le mani e la baciò a lungo, con una passione divorante.
Quando si staccò per riprendere fiato, le sussurrò: — Va’ a prepararti, Lilit,
perché è impossibile resisterti.
— Bene. Ti raggiungerò nello studio.
Lasciarono la sala tenendosi a un metro di distanza l’uno dall’altra,
sebbene chiunque li avesse visti in quel momento avrebbe intuito le loro
intenzioni. Il loro desiderio si leggeva negli occhi scintillanti di Rebecca e nei
suoi capelli sciolti, e anche sul volto di Kenneth. Lui andò direttamente nello
studio, dove prese il tappeto dallo schienale del divano e lo stese davanti al
camino. Accese anche il fuoco, perché l’aria sarebbe stata fresca sulla pelle
nuda, e lui intendeva ammirare ogni centimetro del suo corpo.
Si era appena tolto stivali, giacca e cravatta quando lei arrivò. Le andò
incontro al centro della stanza e la travolse con un altro bacio appassionato.
Rebecca gli infilò le mani sotto la camicia e gli accarezzò il torace. —
Morivo dalla voglia di farlo — sussurrò.
— Anch’io. Mio Dio, anch’io. — Kenneth slacciò i bottoni del corpetto con
impaziente goffaggine e se ne sbarazzò, denudando le rotondità vellutate del
seno. La piccola strega aveva eliminato la biancheria intima, e non indossava
niente sotto l’abito. La sua audacia era di un erotismo provocante. Kenneth
chinò la testa per baciare uno degli scuri capezzoli. Lei gemette e gli intrecciò
le braccia intorno alla testa. Emanava un profumo di rose in boccio.
Continuando a succhiare i capezzoli fino a farli diventare turgidi, Kenneth
sollevò l’orlo della gonna e le accarezzò la gamba nuda. Lei sospirò, estasiata,
quando la sua mano si spostò dalla caviglia su fino alla pelle sensibile dietro
il ginocchio, e poi ancora più in alto, scivolando sulla carne vellutata
all’interno delle cosce.
Ebbe soltanto un assaggio di quello che sarebbe seguito, quando con la
punta delle dita le sfiorò la calda umidità tra le gambe e si insinuò fino alle
zone più sensibili, tra un labirinto di pieghe.
— Oh, sì, sì — ansimò Rebecca, inarcandosi.
Kenneth si alzò in piedi e le tolse il vestito, mentre lei lo osservava con gli
occhi offuscati dalla passione.
Quando si raddrizzò, gli disse con voce roca: — Lascia che ti guardi.
Kenneth l’accontentò, togliendosi i vestiti con tanta furia che due bottoni
schizzarono via e rimbalzarono sul pavimento. Sotto il suo sguardo ardente si
sentiva come l’amante irresistibile del suo quadro.
— Sei un nudo stupendo — disse lei, con una risatina. — Sono incerta se
disegnarti o baciarti.
— Mi potrai disegnare più tardi. — Kenneth la sollevò tra le braccia per il
puro piacere di stringerla, e le strofinò il naso nell’incavo tra la gola e la
spalla. — Abbiamo cose migliori da fare.
Rebecca approfittò della vicinanza per mordicchiargli l’orecchio con tanta
erotica sensualità da farlo, gemere. Kenneth si inginocchiò e la depose sul
tappeto davanti al fuoco. Lei era un tripudio di rosso e avorio, un piacere per
tutti i sensi. Si allungò al suo fianco, tempestandole di baci ardenti la gola, i
seni e l’addome mentre l’accarezzava nelle sue parti più intime.
Impaziente, lei gli si abbandonò, inarcando la schiena, mentre l’esile
corpo era scosso da un tremito incontenibile. — Ora, Kenneth.
La sua mano trovò la verga rigida del suo sesso e la strinse,
accarezzandone la pelle sensibile con il pollice.
Quasi senza accorgersene, lui si abbassò tra le sue gambe e sprofondò
nella serica incandescenza del suo corpo, smarrendosi nel ritmo frenetico di
possesso e resa. Rebecca si adeguò a quel movimento, animata da un identico
furore passionale, e insieme si lasciarono trascinare dal torrente di fuoco fino
a raggiungere l’apice sublime che, per un istante, li fuse anima e corpo.
Ritornarono alla realtà molto lentamente e con riluttanza, mentre gli
spasimi dell’orgasmo si placavano. Kenneth rotolò su un fianco, cercando di
riprendere fiato, e l’attirò a sé, pensando che sembrava perfino troppo fragile
per la passione scatenata con cui gli si era concessa.
Gli unici rumori attorno a loro erano il ticchettio dell’orologio, il crepitio
dei carboni nel camino e i loro respiri ansimanti. Kenneth le infilò le dita
nella nuvola ramata dei capelli. Lilit. Rossa. Rebecca. Era un groviglio di
paradossi, al tempo stesso dolce e passionale, risoluta e tenera.
Sperava con tutto il cuore che, quando fosse arrivato il momento giusto,
sarebbe stata sua per sempre, perché dubitava di avere la forza di rinunciare a
lei.

Rebecca sonnecchiò, rannicchiata contro il corpo muscoloso di Kenneth.


Era impossibile immaginare un appagamento più totale. Ma il tempo
passava. Quando lo sentì muoversi, mormorò: — Dobbiamo proprio andare al
ballo?
— Temo di sì. — Kenneth le accarezzò pigramente un fianco. — Credo sia
merito di Strathmore se ho recuperato i gioielli. Vorrei trovare il modo di
ringraziarlo, anche se non potrò farlo apertamente.
— È un buon motivo per andare. — Rebecca rotolò sulla schiena per
ammirarlo. — Non hai molte cicatrici, per essere un soldato.
— Per fortuna, non ho mai riportato ferite gravi, altrimenti non sarei qui.
Lei si mise seduta e gli passò una mano lungo la schiena. — Qui sento
certi rilievi. Una volta hai detto che ti hanno frustato.
— Agli inizi della mia carriera. I soldati semplici possono essere frustati
per un’infinità di motivi. Nel mio caso si trattava di insolenza, perché avevo
avuto la sfacciataggine di far capire a un ufficiale che lo consideravo un
imbecille. Mi hanno legato a due pali incrociati e mi hanno levato una
considerevole quantità di pelle dalla schiena.
Rebecca sussultò. — Avrebbero potuto ucciderti.
— Niente affatto. Il medico del reggimento assiste alla punizione e la fa
sospendere se si accorge che il soldato è allo stremo. Poi, quando il
poveraccio si è ripreso, gli danno il resto delle frustate.
— È una barbarie.
— Può darsi, ma molto efficace. Ho imparato presto che essere di nobili
natali non contava niente quando dimenticavo di stare al mio posto. È stato il
primo passo per diventare un bravo soldato.
Rebecca studiò i lineamenti rudi del suo volto, pensando che erano le
esperienze che aveva fatto a renderlo diverso da tutti gli uomini che aveva
conosciuto. — Quando sei diventato ufficiale, anche tu sei ricorso alle
fustigazioni?
— Solo quando era necessario. Se si ha a che fare con uomini duri, a volte
occorrono le maniere forti. — Kenneth si alzò in piedi. — È ora di tornare al
mondo reale, Rossa.
Più interessata al suo corpo nudo che alle sue parole, Rebecca prese da un
tavolo un carboncino e un blocco e iniziò a disegnare. — Saresti un modello
perfetto per Ercole. Potrei sempre chiedere a zio George se gli interessano
delle incisioni di nudi maschili.
Kenneth le si avvicinò con aria minacciosa. — Fallo e Lilit sarà esposto
alla mostra dell’anno prossimo.
— Nessun gentiluomo esporrebbe quel quadro.
— Chi ha detto che io sono un gentiluomo? Volevi un pirata, ed è questo
che hai. Un pericoloso corsaro che vive aggredendo ragazze innocenti.
— Allora, dovrei essere al sicuro — replicò lei, ridendo. — Nessuno è al
sicuro da un corsaro. — Kenneth si gettò su di lei.
Con un gridolino, Rebecca tentò invano di sfuggirgli. Facendo volar via il
materiale da disegno, Kenneth la obbligò a stendersi sul letto mentre la
copriva di baci.
— Se è per questo, nessuno è al sicuro nemmeno da Lilit — ansimò lei,
toccandolo e accarezzandolo in un modo che, come aveva scoperto, lo faceva
impazzire.
Aveva imparato a farlo con molta maestria perché, soffocando un gemito,
lui le imprigionò i polsi, la costrinse ad allargare le gambe e la penetrò con
un’unica potente spinta.
Si fissarono negli occhi ridendo, e Rebecca avvertì una stretta al cuore.
Provava un piacere immenso nel vederlo così felice e, mentre lui iniziava a
muoversi dentro di lei con provocante lentezza, espresse in silenzio il
desiderio di poter restare così per sempre, al riparo dalla crudele realtà del
mondo.
Ma anche mentre cadeva in preda dell’estasi ebbe il cupo presentimento
che il suo desiderio non si sarebbe realizzato.
27

Malgrado il tempo che avevano dedicato ai loro giochi erotici, Kenneth e


Rebecca arrivarono al ricevimento a un’ora ragionevole.
Dopo aver salutato i padroni di casa, si diressero alla sala da ballo e
Rebecca, alzando la testa, si accorse che Kenneth la osservava con un sorriso
divertito.
— Perché quell’espressione? — gli chiese.
— Perché ti sei trasformata da una nuda divinità in un’elegante signora
con una rapidità sorprendente. Vorrei trascinarti in una stanza vuota e farti di
nuovo mia.
Un rossore delizioso le colorò le guance. — Seguirai il tuo impulso?
— Ahimè, dovrò accontentarmi di ballare con te più spesso di quanto il
decoro consentirebbe, per avere la scusa di tenerti tra le braccia.
Ballarono insieme un valzer, quindi girarono tra gli invitati per salutare
amici e conoscenti. Rebecca era molto più spigliata della volta precedente e
ricevette, ben presto numerosi inviti a ballare.
Vedendola impegnata, Kenneth si allontanò con l’intenzione di scambiare
una parola in privato con lord Strathmore. Dopo i soliti convenevoli, alluse al
gesto straordinario della matrigna, che aveva deciso improvvisamente di
restituirgli i gioielli di famiglia, e all’enorme gratitudine che provava per quel
fatto. Dal lampo malizioso che si accese negli occhi del padrone di casa,
risultò evidente che non era estraneo a quell’episodio.
Si erano appena lasciati quanto Michael Kenyon lo chiamò con un gesto
della mano. — Oggi Catherine e io siamo andati alla mostra dell’accademia.
Spero che i tuoi quadri non siano stati ancora venduti. Ti vanno bene mille
ghinee per tutti e due?
Kenneth rimase a bocca aperta. — È una cifra assurda! Oppure stai
cercando di farmi la carità?
— Sapevo che l’avresti detto — ribatté l’amico, imperturbabile. — I miei
nipoti mi ringrazieranno per la lungimiranza dimostrata nell’acquistare le
prime due opere di Wilding. Il prezzo pagato sembrerà un furto.
Kenneth sorrise, ma era ancora un po’ dubbioso. — Sei sicuro di volerli?
— Anche Catherine e io siamo stati in Spagna. Quei quadri hanno un
significato speciale per noi.
— In questo caso, sono tuoi. Così avrò l’occasione di vederli di tanto in
tanto.
— Lo spero proprio. Devo andare a dirlo a Catherine. — Con un cenno di
saluto, Michael si allontanò per comunicare la notizia alla moglie.
Un po’ stordito da quel colpo di fortuna, Kenneth si voltò per cercare
Rebecca. Invece, si scontrò quasi con lord Bowden.
Anche se non aveva una figura imponente, l’espressione minacciosa gli
conferiva un aspetto temibile.— Speravo di trovarvi qui, Kimball. Vi siete
rifiutato di incontrarmi e di rispondere alle mie lettere, ma ora dobbiamo
parlare.
Dentro di sé, Kenneth trasalì. Nelle ultime due settimane si era quasi
dimenticato di Bowden, impegnato com’era a dipingere. — Vi chiedo scusa.
Non ho cercato di evitarvi, e sono d’accordo che è tempo di incontrarci. Volete
fissare una data?
— Parleremo adesso — replicò Bowden a denti stretti — In mezzo a questa
sala da ballo, se sarà necessario.
L’uomo era sul punto di esplodere, e Kenneth non poteva biasimarlo. Per
fortuna, Rebecca stava ballando e non si sarebbe accorta se si fosse
allontanato per un po’. — Credo che sarebbe più conveniente per entrambi
parlare in privato. Cerchiamo una stanza vuota.
Bowden annuì e insieme si fecero largo in mezzo alla folla degli invitati. Il
cervello di Kenneth lavorava a pieno ritmo, ma senza successo; non aveva
niente di nuovo da comunicare all’uomo che voleva distruggere sir Anthony.

Terminata la quadriglia, Rebecca ringraziò il suo cavaliere e si guardò


intorno, cercando Kenneth, con il quale avrebbe dovuto ballare la danza
seguente. Rimase sorpresa nel vedere che si stava allontanando in compagnia
di un uomo che le sembrava vagamente familiare.
Li seguì e uscì dalla sala in tempo per vederli scomparire oltre una porta
che si apriva lungo un corridoio. Incuriosita, li raggiunse e aprì senza far
rumore, ritrovandosi in una lunga e stretta biblioteca, divisa in due da un
arco. Dall’estremità opposta le giunse un mormorio di voci maschili.
Rebecca esitò. Kenneth era probabilmente impegnato in una questione di
affari, e lei non avrebbe dovuto interromperlo. Si voltò e stava già per
allontanarsi quando una voce disse con veemenza: — Dannazione, Kimball!
Vi ho assunto per trovare le prove della colpevolezza di Anthony, non per
sposarne la figlia! Vi ha comprato offrendovi la ragazza e il suo patrimonio?
Rebecca rimase di pietra. Aveva sicuramente frainteso. Volendo
sincerarsene, tornò sui suoi passi e tese, l’orecchio.
— Il fidanzamento è stato una specie di incidente — rispose la voce di
Kenneth. — Non ha niente a che vedere con sir Anthony.
Pur sapendo che era la pura e semplice verità, le fece male sentire che
Kenneth lo liquidava con tanta sommaria indifferenza. Si avvicinò in punta di
piedi all’arco e si appostò nell’ombra.
Lo sconosciuto sbuffò, disgustato. — Allora, state facendo il doppio gioco.
Quando sono tornato a Londra e ho saputo da mia moglie che mia nipote si
era fidanzata, ho svolto qualche indagine. Una mente sospettosa potrebbe
pensare che avete tramato con quella sgualdrina di Lavinia Claxton per farvi
sorprendere in una situazione compromettente con la ragazza. Dopotutto, ha
ereditato il patrimonio di Helen. Suppongo che un’ereditiera, anche se ormai
di una certa età, sia una tentazione irresistibile per uno con i vostri problemi
finanziari.
— Lord Bowden, in questo modo insultate sia lady Claxton sia la signorina
Seaton. Non fatelo più. Avete anche la tendenza a vedere cospirazioni dove
non ce ne sono. Vi ripeto: la mia relazione con la signorina Seaton non
c’entra nulla con la mia indagine.
Bowden? Santo cielo, quell’uomo era il fratello di suo padre. Ma perché
diamine, dopo decine di anni che non si parlavano nemmeno, aveva deciso di
far svolgere delle indagini sul fratello minore? Quell’uomo doveva essere
matto.
Ma se lui era matto, Kenneth ne era lo strumento. Sconvolta, Rebecca
appoggiò la fronte contro il broccato della parete.
— A che punto sono le vostre indagini? — udì suo zio chiedere.
— A un punto morto. Ho parlato con tutti quelli che potrebbero essere a
conoscenza di qualche particolare, ma non ce nessuna prova che sia stato
commesso un crimine. Forse scoprirò qualcosa di più nella regione dei Laghi,
ma non posso fare promesse.
— Ci deve essere una prova, Kimball. Trovatela.
Dei passi leggeri, non certo quelli di Kenneth, attraversarono il locale e
subito dopo una porta si aprì e si richiuse con un colpo secco. Rebecca chiuse
gli occhi, chiedendosi su cosa stesse indagando Kenneth. Era assurdo pensare
che suo padre fosse un criminale. Era un pittore famoso e ricco, non un ladro
o un corrotto funzionario governativo. Non c’era da stupirsi che Kenneth non
fosse riuscito a trovare prove di misfatti.
Ma questo non scusava il suo inganno. Si era introdotto in casa con la
menzogna. Aveva approfittato della fiducia di suo padre per avere libero
accesso a tutte le sue carte personali. Rebecca ricordò anche tutte le volte in
cui lui le aveva fatto domande in apparenza casuali alle quali lei aveva
sempre risposto. Fu colta dalla nausea al pensiero di essere stata usata per
raccogliere prove contro suo padre.
Per qualche istante, scossa da un tremito, rimase appoggiata alla parete,
finché la rabbia le diede la forza di reagire.
Avanzò al centro dell’arco. In piedi accanto al camino, a testa bassa,
Kenneth fissava i carboni. Il suo corsaro. Possente, affascinante. Era stata tre
volte sciocca.
Con voce sibilante, disse: — Sei un essere spregevole.
Lui alzò di scatto la testa e la fissò, pallido. — Hai udito la conversazione?
— Sì, l’ho udita. — La bocca di Rebecca si storse in una smorfia amara. —
Se fossi un uomo, ti ucciderei ma suppongo che dovrò accontentarmi di
bruciare il tuo ritratto e di dire a mio padre che il suo segretario preferito l’ha
tradito.
— Rebecca… — Kenneth sollevò le mani e avanzò di un passo.
Lei ebbe l’improvvisa e orribile certezza che, se l’avesse toccata, tutte le
sue difese sarebbero crollate. — Non venirmi vicino! — esclamò con
veemenza. — Non voglio mai più vederti.
Si girò di scatto e uscì. Lo udì gridare di nuovo il suo nome, ma lo ignorò.
Doveva andarsene subito da quella casa.
Mentre si avvicinava all’atrio, ricordò che la carrozza sarebbe tornata a
prenderli solo a mezzanotte. Non avendo neanche il denaro necessario per
noleggiarne una, avrebbe dovuto tornare a casa a piedi, ma casa Seaton non
poteva distare più di un chilometro e Mayfair era un quartiere rispettabile.
Pensò di andare e recuperare lo scialle, ma cambiò idea perché,
lanciandosi un’occhiata alle spalle, vide Kenneth che si faceva largo in mezzo
alla folla. Corse alla porta d’ingresso e quando il valletto gliela aprì, gli indicò
la figura di Kenneth. — Quel cosiddetto gentiluomo mi ha importunata —
disse in tono imperioso: — Non permettetegli di seguirmi.
Il valletto s’inchinò. — Sì, signorina.
Anche se era un tipo robusto, Rebecca dubitava che sarebbe riuscito a
trattenere Kenneth a lungo, ma forse abbastanza da consentirle di far perdere
le tracce.
Sollevò le gonne e scese di corsa i gradini. Sulla destra, una fila di carrozze
aspettava gli ospiti degli Strathmore; i cocchieri chiacchieravano o giocavano
a dadi. Svoltò a sinistra e si mise a correre senza curarsi di suscitare la
curiosità di eventuali spettatori.
Corse fin quando un crampo al fianco la costrinse a fermarsi. L’aria umida
della notte era fredda sulla pelle nuda delle braccia e del collo.
Era stato un errore affrontare subito Kenneth. Avrebbe dovuto tornare
nella sala da ballo e chiedere a uno dei suoi nuovi conoscenti di prestarle una
carrozza per tornare a casa. Ma a chi chiederlo? Erano tutti amici di Kenneth,
non suoi.
Pensò per un attimo a Catherine e a Michael, e le si spezzò il cuore all’idea
che avrebbe perso anche loro.
Furiosa, soffocò quella reazione. Poteva fare benissimo a meno degli
amici di Kenneth, e la sua vita mondana era stata catastrofica. Molto meglio
starsene da sola.
Ma come avrebbe potuto rinchiudersi nel suo studio e non pensare a lui?
Soltanto poche ore prima, aveva fatto l’amore con lei davanti al camino,
recitando la parte dell’amante appassionato, come se fosse stata la donna più
desiderabile della terra.
Recitando era la parola chiave. Non c’erano dubbi che l’accusa di Bowden
fosse fondata: Kenneth era soltanto un cacciatore di dote.
Ansiosa di allontanare quei pensieri, riprese a camminare. Dove diavolo si
trovava? Di notte sembrava tutto diverso, e il quartiere era più squallido di
quanto si era aspettata.
All’incrocio successivo lesse la targa, ma non riconobbe il nome della
strada. Cominciando a innervosirsi, si fermò e cercò di decidere quale
direzione prendere.
In quel momento, vide un gruppo di uomini avvicinarsi dall’estremità
opposta della strada; dal tono delle loro voci era chiaro che avevano bevuto.
Girò sui tacchi e si avviò nella direzione da cui era arrivata, perché sapeva che
il fatto di indossare un abito scollato e di avere su di sé diversi gioielli costosi
poteva costituire un pericolo.
Uno degli uomini le gridò con voce biascicata: — Ehi, baldracca! Siamo in
tre. Non occorre che torni fino a Covent Garden per trovare clienti.
Con il cuore che batteva forte, Rebecca iniziò a correre. Non c’era nessuno
di rispettabile in giro quella sera? I passi alle sue spalle risuonarono più
vicini e, un attimo dopo, una grossa mano l’afferrò per il braccio e la costrinse
a voltarsi.
L’uomo era. alto, scarmigliato, e puzzava di gin. — Niente male, la piccola
— disse, sbirciando con aria lasciva nella scollatura del suo abito. — Ti
daremo una ghinea a testa, eh?
— Vi state sbagliando — replicò lei con altezzosa freddezza. — Non sono il
tipo di donna che cercate.
L’uomo rimase per un attimo sconcertato. Poi uno dei suoi compagni
scoppiò in una risata oscena e disse: — Ah, che arie da signora! Ma come
diceva sempre il mio principale, se cammina come una puttana e si veste
come una puttana, è una puttana.
Incoraggiato dal commento, l’uomo che la teneva prigioniera le mise una
mano sul seno e tentò di baciarla sulla bocca. In preda alla nausea, Rebecca
cercò di respingerlo con la forza della disperazione, ma senza successo. Colta
dal panico, sollevò le mani e gli graffiò, la faccia, mancando di poco un
occhio.
L’uomo lanciò un urlo e ritirò di scatto la testa. — Maledetta sgualdrina!
Ti insegnerò le buone maniere.
La sbatté contro il muro e ve la tenne inchiodata, mentre con una mano le
strappava il vestito. Quando cercò di urlare, e lui le tappò la bocca con un
braccio, fu assalita da una paura folle. Lei, la figlia di sir Anthony. Seaton,
stava per essere violentata da quelle bestie, e non poteva far nulla per
impedirlo.
Aveva perso ogni speranza quando si ritrovò di colpo, libera. Vide l’uomo
compiere un volo in aria e, mente si schiantava a terra, lei si accasciò contro il
muro, cercando di riprendere fiato. Davanti a lei si profilava la sagoma
possente e inconfondibile di Kenneth.
— Resta dove sei — le ordinò, prima di voltarsi per affrontare gli altri due
uomini, che avanzavano minacciosi.
Con una facilità estrema, ne atterrò uno con un pugno alla mascella e
stese l’altro sferrandogli un calcio nel ventre. Il primo uomo si rialzò con un
ruggito di rabbia e si lanciò all’attacco, ma un pugno ben assestato di
Kenneth gli ruppe il naso. L’uomo crollò di nuovo a terra, e il sangue gli
inzuppò la camicia. Kenneth si rivolse a lei. — Coraggio. Dobbiamo andarcene
prima che uno di loro tiri fuori un coltello o una pistola.
— Grazie per avermi salvato. — Rebecca lo fissò, in preda a un tremito
incontrollabile. — Ma questo non cambia il disprezzo che provo per te.
— Lo so. — Kenneth si tolse il cappotto e glielo mise sulle spalle, quindi la
prese per un braccio e la trascinò via. — Siamo all’angolo con Oxford Street,
dove dorremmo riuscire a trovare una carrozza.
— Immagino sia un sollievo sapere di essere più forte dei malviventi che
si aggirano di notte per le strade — disse Rebecca, battendo i denti.
— Lo è — ribatté lui, imperturbabile. — Suppongo che avrai anche
imparato che non c’è nessun gusto a essere una vittima.
Il fatto che avesse ragione aumentò la sua rabbia. Avrebbe voluto
rendergli il cappotto, ma ne aveva bisogno per scaldarsi. Se lo strinse intorno
alle spalle, disgustata dalla sensazione di intimità che provò nell’avvertire che
conservava il calore e il profumo del suo corpo.
Si accorse con disperazione fino a che punto avesse permesso a
quell’uomo di insinuarsi nel suo cuore. Era una debolezza che avrebbe pagato
a caro prezzo.

Rebecca non pronunciò una sola parola per tutto il tragitto fino a casa. E,
nello spazio ristretto della carrozza, Kenneth si tenne il più lontano possibile
da lei.
Si considerava fortunato per averla trovata prima che succedesse il peggio,
ma doveva anche ammettere che era colpa sua se aveva corso il rischio di
essere violentata.
Kenneth si chiedeva come avesse potuto essere così stupido da credere
che sarebbe riuscito a districarsi dal groviglio in cui si era cacciato. La sua vita
era stata costellata da difficoltà e ora, nello spazio di pochi minuti, era
passato dalla felicità alla disperazione.
Cercò di ricordare cosa aveva detto Bowden con esattezza; ma senz’altro
era abbastanza da condannarlo per sempre agli occhi di Rebecca.
Arrivati a casa Seaton, pagò il vetturino mentre lei picchiava il battente
con violenza contro la porta.
Nell’attesa che qualcuno arrivasse ad aprire, si voltò verso di lui e disse
con voce dura: — Prendi la tua roba e vattene. Ti concedo un quarto d’ora,
dopodiché ti farò sbattere fuori dai servitori.
— Non c’è nessuno in grado di farlo. Inoltre, è da settimane che prendono
ordini solo da me. Non metterli, nella situazione di dover decidere a chi
ubbidire.
Per un attimo pensò che lei l’avrebbe schiaffeggiato.
— Sono stato assunto da tuo padre, e spetta a lui licenziarmi — proseguì in
tono conciliante, — Ho intenzione di confessargli tutto, ma prima devo
parlare con te.
Rebecca non ebbe il tempo di rispondere perché il maggiordomo aprì la
porta. Entrò in casa come se fosse normale per lei indossare un vestito
strappato e un cappotto maschile. — Mio padre è tornato, Minton?
— Non ancora, signorina Rebecca. — Il maggiordomo la fissò, stupito, ma
non fece domande.
Con la schiena rigida come un palo, lei salì le scale, Kenneth la seguì
dicendo: — Suppongo che il tuo studio sia il posto migliore per parlare.
— No! — Rebecca si tolse il cappotto e glielo lanciò.
Mentre lui lo afferrava, Rebecca si tolse il guanto e si sfilò dal dito l’anello
dei Wilding. Gli lanciò anche quello. Più per fortuna che per abilità, Kenneth
riuscì a prenderlo al volo prima che cadesse a terra.
— Scegli, o il tuo studio o il mio — continuò imperturbabile.
Vedendolo così determinato, lei salì all’attico, munendosi di una candela
strada facendo. Una volta nel suo studio, Kenneth accese le lampade e lei si
avvolse in un vecchio scialle intorno alle spalle prima di affrontarlo.
— Pensi di riuscire a giustificare il tuo inganno? — sibilò, con voce
tagliente.
— Probabilmente no, ma devo tentare. Devi credermi, non mi ha fatto
piacere ricorrere alla menzogna per introdurmi in casa vostra, ma non avevo
scelta. Mi ripugnava ogni giorno di più dovervi ingannare.
— Ed è per questo che mi hai sedotta… perché ti ripugna l’inganno? —
ribatté lei con amarezza.
Kenneth la guardò negli occhi. — Io ti ho sedotta? Ripensa a quello che è
successo, e dimmi se puoi sostenere un’accusa del genere.
Lei arrossì per l’umiliazione. — D’accordo. Sono stata io a sedurti. Ma se
tu fossi un uomo d’onore non saresti venuto a letto con me, visto che il tuo
vero scopo era quello di distruggere la vita di mio padre.
— Me lo sono ripetuto più di una volta. La verità, Rebecca, è che è stato
più forte di me.
Lei storse la bocca. — Una risposta molto comoda. Reciti con freddezza la
tua parte giorno e notte per settimane, ma ti manca l’autocontrollo
sufficiente per resistere alle patetiche avance di una zitella.
— È stato Bowden a fare quello stupido commento sulle ereditiere di una
certa età, non io. Credimi, tu non sei affatto patetica. Ti considero la donna
più affascinante che io abbia mai conosciuto. E la più desiderabile.
Lei parve di nuovo sul punto di schiaffeggiarlo.— Non cercare di cavartela
con l’adulazione! Il tuo cervello controllava il tuo corpo, e hai deciso che io
ero abbastanza ricca e disponibile.
Kenneth fu colto da un impeto d’ira. Improvvisamente le fu accanto, le
mise le mani sulle spalle e la baciò con prepotenza. Per un attimo, Rebecca gli
oppose una furiosa resistenza. Ma subito dopo la passione divampò, e le loro
bocche si fusero in un bacio ardente. Sentendo che il suo corpo s’inarcava
istintivamente contro di lui, Kenneth provò l’impulso irresistibile di lasciare
che il desiderio fisico colmasse il baratro che era aperto tra loro due. Dopo
aver fatto l’amore, forse sarebbe stata più disposta ad ascoltarlo.
Ma si rese conto che era una follia. Anche se il corpo di Rebecca stava per
cedere alla passione, possederla mentre era colma di disprezzo per lui,
significava commettere nei suoi confronti una violenza emotiva. Lei l’avrebbe
odiato per sempre.
La lasciò andare e indietreggiò. — Sei ancora convinta che il cervello
controlli il corpo? — disse con voce roca.
Rebecca si premette il dorso della mano sulla bocca. — Hai colto nel
segno, capitano. — Si strinse nello scialle e andò a sedersi accanto al camino.
— Su cosa diavolo dovevi indagare? Mio padre non è un criminale.
— Bowden è convinto che abbia ucciso tua madre — confessò Kenneth con
franchezza.
Rebecca rimase a bocca aperta per lo shock. — È assurdo. O Bowden è
pazzo o tu menti.
— Bowden è ossessionato da questo sospetto, ma non credo che sia pazzo.
— In modo conciso, Kenneth le spiegò cosa era accaduto e i motivi per cui
aveva dovuto accettare la proposta di Bowden.
Quando ebbe finito, lei disse: — Non hai scoperto niente perché non c’è
niente da scoprire. È inconcepibile che mio padre possa aver fatto del male a
qualcuno, tanto meno a mia madre.
— Puoi affermarlo con certezza? — Kenneth si lasciò cadere sul divano. —
Lo ammetto, mi sembra improbabile che sir Anthony sia capace di uccidere a
sangue freddo. Ma avrebbe potuto provocare la morte di tua madre senza
volerlo. È risaputo che avevano tutti e due un carattere focoso. Una lite, una
spinta rabbiosa, o un passo falso mentre cercava di sfuggirgli… così si
spiegherebbero molte cose.
— No! — esclamò Rebecca, in preda all’angoscia, — È vero, litigavano, ma
non in modo violento. Perché ti rifiuti di credere che la sua morte sia stata un
incidente?
— L’incidente è la spiegazione più probabile. Tuttavia, è a dir poco strano
che tutti quelli che erano vicini a tua madre siano molto reticenti sulla sua
morte. Sembra che abbiate tutti qualcosa da nascondere. Temete forse che sir
Anthony vi sia coinvolto?
— No!
— Allora, cosa temete? — insistette Kenneth.
Rebecca si alzò e iniziò a passeggiare avanti e indietro per la stanza, in
preda all’agitazione. Poi, come se avesse preso una decisione, si arrestò di
fronte a lui.
— D’accordo. Se proprio vuoi saperlo, la paura segreta di tutti noi e di cui
nessuno vuole discutere è che si sia suicidata. Se non è morta per un
incidente, si deve essere uccisa. In questo caso, la chiesa le avrebbe negato la
sepoltura in terra consacrata. — Rebecca chiuse gli occhi e sussurrò: — Ci
biasimi se non vogliamo parlare della sua morte?
28

— Suicidio! — Kenneth la fissò, sconvolto. — Ho sentito dire che Helen


era un tipo emotivo, ma non che avesse tendenze all’autodistruzione.
Con l’amara soddisfazione di averlo sorpreso, Rebecca riprese a
camminare per la stanza. — Solo i più intimi amici erano al corrente dei suoi
terribili attacchi di depressione. L’inverno era il periodo peggiore. A volte
restava a letto a piangere per giorni interi. Papà e io non sapevamo cosa fare.
Avevamo paura che potesse uccidersi per sfuggire all’angoscia che la
tormentava. Poi, a mano a mano che le giornate si allungavano, il suo umore
migliorava. L’estate era il periodo migliore.
— Eppure è morta in piena estate. Aveva mai attentato alla propria vita?
— Non… non ne sono sicura. C’è stato un incidente che ha fatto riflettere
papà e me. Inoltre, mi ricordo di un episodio a Ravensbeck. Noi tre stavamo
percorrendo un sentiero lungo un dorsale quando lei, con un’espressione
strana, ha guardato verso la valle, dicendo che sarebbe stato molto facile
lanciarsi nel vuoto.
— Forse era un commento casuale.
— Potrei crederlo, se non fosse morta proprio in quel modo.
— Era depressa prima della morte?
— Sembrava abbastanza felice, ma il suo umore era molto mutevole. Se
fosse stata vittima di una crisi di depressione, avrebbe potuto decidere da un
momento all’altro di… farla finita.
— Può darsi, ma è soltanto una supposizione.
Rebecca esitò. Discutere della morte della madre era una sofferenza
insopportabile, ma doveva convincere Kenneth che si sbagliava sul conto del
padre. Così, se ne sarebbe andato e li avrebbe lasciati in pace. — C’è una prova
di cui non ho parlato con nessuno, nemmeno con mio padre.
Andò alla scrivania e prese da un cassetto un anello d’oro. — Conosci la
fede araba? È formata da due o più cerchietti separati, che si incastrano e
diventano un unico anello. — Consegnò l’anello a Kenneth. — Mio padre lo
comprò come una curiosità e lo regalò a mia madre il giorno in cui fuggirono.
In seguito le donò una vera fede, ma lei continuò a portare questa per motivi
sentimentali.
Kenneth esaminò l’anello, che mostrava due mani strette insieme, una
più grande e una più piccola e più femminile. Rebecca si chiedeva se si
sarebbe accorto di un piccolo particolare.
Lui alzò la testa. — I due cerchietti non combaciano alla perfezione.
Non c’erano dubbi; aveva spirito di osservazione. — Questo anello in
particolare è composto da tre cerchietti. Separando le mani, sotto appare un
cuore. — Rebecca divise i cerchietti e li rimise insieme. — Quando
recuperarono il corpo di mia madre, stringeva l’anello nella mano invece di
portarlo al dito. Lo conservai e solo in seguito mi accorsi che mancava il
cerchietto con il cuore.
— E hai concluso che avesse voluto in questo modo lasciare un
messaggio… che la vita non le stava più a cuore.
Seppure riluttante, lei rimase colpita dalla sua intuizione. — Proprio così.
Poiché non lo toglieva mai, non può aver perso il cuore per caso. Deve averlo
tolto di proposito.
— Immagino che non abbia lasciato un biglietto di addio, e questo avrebbe
senso solo se non avesse voluto gettare nell’angoscia le persone che amava.
Così come stanno le cose, mi sembra strano che abbia lasciato un indizio. Hai
mai trovato il cuore mancante?
— No, anche se l’ho cercato.
— Supponiamo che non si sia uccisa e che non sia morta per un incidente.
Questo significherebbe che qualcuno è implicato nella sua morte.
— Non mio padre!
— Sono propenso a darti ragione. È raccapricciante pensare che qualcuno
possa aver lasciato un messaggio così subdolo.
— Tu ti basi sulla logica per spiegare una situazione illogica. Non ci sono
prove a sostegno di un omicidio, non più di quante ce ne siano di un
incidente o un suicidio.
— Però ci sono indizi. Per esempio, le tracce di lotta in cima alla rupe
tendono a eliminare la tesi del suicidio. E la scomparsa del cuore fa a pugni
con quella dell’incidente.
— Chi poteva desiderare la morte di mia madre? Tutti le volevano bene.
— Forse non tutti. In queste settimane, ho esaminato varie possibilità.
Forse tua madre aveva deciso di rompere la relazione con Hampton, e lui è
diventato violento.
— Non zio George — protestò Rebecca. — Credo che mia madre lo amasse
proprio perché ha un carattere dolce e posato. Sarebbe l’ultima persona al
mondo capace di commettere un omicidio passionale.
— A quanto pare, lady Seaton ispirava forti sentimenti — le fece notare
Kenneth. — A quasi trent’anni di distanza dalla rottura del loro fidanzamento,
Bowden è disposto a spendere una fortuna solo per stabilire come è morta.
Ho avuto l’impressione che anche l’ex segretario di tuo padre, Morley, ne
fosse innamorato e forse anche altri potrebbero aver perso la testa per lei.
Rebecca si strofinò le tempie. — A volte mi sono chiesta se non fosse lei il
motivo per cui lord Frazier non si è mai sposato. Il signor Turner e sir
Thomas Lawrence erano soliti dichiarare in tono semiserio che non
avrebbero mai preso moglie perché la bella Helen non era disponibile. Potrei
citare altri uomini che l’ammiravano, ma non riesco a immaginare nessuno
di questi nei panni di un assassino.
— Un’altra ipotesi è che a eliminarla sia stata l’amante di tuo padre, per
prenderne il posto. Sai con chi andava a letto all’epoca?
— Sono cose su cui mi sono sempre rifiutata di indagare. Comunque, le
sue amanti erano di solito donne alle quali aveva fatto il ritratto. E ho sempre
sospettato che fossero loro a dare la caccia a lui, piuttosto che il contrario. Per
identificare le sue possibili amanti forse basterebbe consultare l’agenda
relativa a quella primavera, e vedere chi erano le sue clienti.
— Quell’agenda è rimasta a Ravensbeck. È possibile che Lavinia sappia
con chi andava a letto allora?
— Chiediglielo se vuoi. Io mi rifiuto. — Rebecca esitò un attimo, quindi
aggiunse: — Benché goda di una reputazione scandalosa, non credo che
Lavinia sia mai andata a letto con mio padre mentre mia madre era in vita.
Una volta ha detto che non sta bene farlo con i mariti delle amiche.
— Una donna interessante, Lavinia.
Vedendo la sua espressione, Rebecca dichiarò con veemenza: — Neanche
lei è un’assassina. L’idea che qualcuno abbia ucciso mia madre è assurda.
Perché non possiamo lasciarla riposare in pace?
— Sono sicuro che lei è in pace. Ma se qualcuno l’ha uccisa, è ancora a
piede libero. È questo che vuoi?
— Vorrei che giustizia fosse fatta, naturalmente… ma non credo che sia
stata uccisa.
— La possibilità di fare giustizia è uno dei motivi per cui ho accettato
l’incarico di Bowden — disse Kenneth in tono pacato. — Sì, volevo salvarmi
dalla bancarotta, ma scoprire un assassino mi sembrava comunque una
missione meritevole.
Rebecca gli voltò le spalle, non volendo lasciarsi influenzare dalle sue
parole. — A quanto pare, non hai avuto molto successo.
— È vero. Ma adesso sono convinto che si è trattato proprio di un
omicidio. Poco fa hai detto una cosa interessante… hai parlato di un incidente
che ha fatto sospettare a te e a tuo padre che lady Seaton avesse tendenze
suicide. Cos’è successo?
Rebecca sospirò. — Verso la fine dell’ultimo inverno, prima della sua
morte, cadde in una specie di coma. Il medico disse che aveva preso una dose
massiccia di laudano. Quando alla fine si svegliò, disse di avere un ricordo
confuso di quello che era successo, ma pensava di aver sbagliato dose di
sonnifero. Era stata molto convincente, anche se non era riuscita a cancellare
tutti i nostri dubbi.
In realtà lei e suo padre non ne avevano mai parlato, perché c’era sempre
stata una tacita congiura del silenzio sui problemi di Helen.
Kenneth socchiuse gli occhi. — Interessante. Esattamente come la caduta
che l’ha uccisa, una dose eccessiva di sonnifero potrebbe essere un incidente,
un tentato suicidio o un tentato omicidio.
— Ma se qualcuno ha tentato di ucciderla con il laudano, quella persona
doveva trovarsi in casa nostra.
— Molta gente frequenta questa casa — replicò Kenneth. — Per qualcuno
che avesse saputo dove tenete i medicinali, non sarebbe stato difficile
effettuare una sostituzione. E immagino che gran parte degli amici di tuo
padre si rechi ogni anno nella regione dei Laghi. Dopo un tentativo fallito in
inverno, l’assassino avrebbe potuto riprovarci in estate.
— Forse… forse hai ragione — ammise lei, con molta riluttanza. Andò alla
finestra e fissò la strada immersa nell’oscurità. L’idea di un omicidio era vaga
e remota se paragonata alla terribile realtà del vuoto lasciato da sua madre.
Senza Helen, Rebecca e suo padre non erano una famiglia, ma due individui
isolati che vivevano sotto lo stesso tetto, divisi dal dolore.
Nel silenzio, udirono il rumore di una carrozza che si fermò davanti al
portone. Suo padre era tornato a casa.
— Devo scendere e confessare tutto a sir Anthony? — chiese Kenneth.
Lei si voltò a guardarlo, seria in volto. Suo padre sarebbe rimasto
sconvolto nell’apprendere che un uomo che lui aveva preso a benvolere,
aveva tradito la sua fiducia.
Come se le avesse letto nel pensiero, Kenneth disse: — Se pensi che la
verità lo turberebbe troppo, posse dirgli che la mia situazione finanziaria è
cambiata e che c’è bisogno di me a Sutterton.
Pochi minuti, e sarebbe uscito per sempre dalla sua vita. Era proprio
quello che voleva. Non era forse così?
— Potrebbe essere la soluzione migliore.
— E circa la possibilità che tua madre sia stata uccisa?
Rebecca si strofinò di nuovo le tempie, avvertendo un principio di
emicrania. — Forse assumerò un ex funzionario di polizia perché svolga
ulteriori indagini.
— L’ha già fatto Bowden, senza venire a capo di niente. Ecco perché si è
rivolto a me. Nella mia qualità di segretario avrei potuto attingere
informazioni a fonti inaccessibili a un estraneo.
Lei lo fissò, con la fronte aggrottata. — Hai in mente qualcosa?
— Se esistono prove di quanto è successo in realtà, è probabile che si
trovino nella regione dei Laghi, dove è morta. Forse un indizio nell’agenda di
tuo padre, o qualche particolare che una persona del posto potrebbe aver
notato. Avendo chiuso il caso come un incidente, nessuno si è preoccupato di
indagare a fondo.
— Stai dicendo che vuoi continuare a vivere qui come se non fosse
accaduto niente e venire ai Laghi con noi? — dichiarò Rebecca con voce
incolore.
La bocca di Kenneth s’incurvò in un sorriso privo di allegria. — Sarà
impossibile fingere che non sia successo niente, ma tutto il resto è vero.
— Per amore della giustizia e delle tue ipoteche? — L’ironia non era certo
velata.
— Esatto. — Kenneth ebbe una breve esitazione. — E forse per aiutare te e
tuo padre a scoprire la verità. Sento di dovervelo. La verità, per quanto
dolorosa, potrebbe essere un sollievo.
Le sue parole suonavano così dannatamente ragionevoli… Rebecca si
appoggiò alla parete e chiuse gli occhi. Una parte di lei voleva che non se ne
andasse, e un’altra parte era terrorizzata al pensiero di vivere sotto lo stesso
tetto, assillata dall’ombra del suo tradimento. Era molto meglio che se ne
andasse.
Tuttavia, se c’era qualcuno in grado di risolvere il mistero della morte di
sua madre, quello era Kenneth. Per rispetto alla memoria di Helen, doveva
permettergli di condurre a termine le indagini.
Mentre tentava di prendere una decisione, Kenneth disse adagio: — Ho
mentito sui veri motivi che mi hanno spinto a venire qui, ma tutto ciò che ti
ho detto sul mio passato, tutto quello che è successo tra noi due, era vero.
Tutto.
Lei avrebbe voluto credergli, ma la ferita inferta ai suoi sentimenti era
troppo profonda. Il suo sguardo corse al tappeto davanti al camino. Solo
poche ore prima era stata al colmo della felicità. Ma lui le era sembrato
altrettanto sincero e credibile durante il suo colloquio con Bowden.
— Troppi segreti tra noi, capitano. La mia fiducia si esaurita.
— Se mi permetti di restare, ti assicuro che mi vedrai il meno possibile.
— Me lo auguro.
Era una concessione, e il segnale di una tregua armata. Kenneth annuì e
uscì in silenzio.
Quando se ne fu andato, Rebecca si rannicchiò sul divano e si strinse
nello scialle. Troppe cose erano successe in quella serata disastrosa, e lei era
così svuotata; da non avere nemmeno la forza di scendere in camera da letto.
Dove finiva l’inganno e iniziava la verità?
Il talento di Kenneth era autentico, come lo erano il suo passato da
militare e sua sorella. Era anche circondato da amici che erano persone
rispettabili e leali.
Ma tutto questo non significava che non fosse un cacciatore di dote. Non
significava che avesse provato qualcosa per lei, oltre il desiderio fisico,
quando l’aveva portata a letto. Non significava che poteva fidarsi di lui.

Esausto, Kenneth si spogliò e si infilò subito sotto le coperte. La furia


iniziale dell’ira di Rebecca si era smussata, ma il baratro tra loro due era
ancora disastrosamente profondo.
Lei era un tale groviglio di contraddizioni. L’educazione anticonformista
le aveva dato un piglio sofisticato che traeva in inganno. Stando alle
apparenze, non attribuiva nessuna importanza alla verginità e al matrimonio.
Eppure, lui sospettava che, in fondo all’animo, fosse una romantica che
desiderava credere all’amore e alla fedeltà. Altrimenti, non avrebbe
disapprovato le infedeltà dei genitori, né avrebbe aspettato ventisette anni
per concedere a un uomo il suo corpo e almeno un pezzetto del suo cuore.
Lui aveva sperato che, una volta risolti i suoi problemi finanziari, gli. avrebbe
concesso anche la sua mano. Quella sera, invece, si era rinchiusa di nuovo nel
suo guscio, forse per sempre.
Mentre scivolava in un sonno irrequieto, Kenneth pensò all’ironia della
situazione. Senza la missione segreta in casa Seaton, non avrebbe mai
conosciuto Rebecca. Eppure, quegli stessi segreti avevano distrutto ogni
possibilità di costruire un futuro con lei.
29

Due giorni dopo il ballo degli Strathmore, Rebecca ricevette un biglietto


con cui lady Bowden la informava che quella mattina si sarebbe recata a
passeggiare a Hyde Park, nei pressi della Serpentine.
Essendo venuta a conoscenza dei piani di lord Bowden, Rebecca non era
sicura che sarebbe riuscita a fingere con sua moglie. D’altra parte, forse era
l’occasione per scoprire qualcosa di più sul fratello di suo padre.
Così, due ore più tardi, accompagnata dalla sua cameriera, Betsy, Rebecca
si recò a passeggiare nel parco. C’era poca gente a quell’ora, e non ebbe
difficoltà a individuare la figura elegante di sua zia.
— Buongiorno, zia Margaret. È un piacere rivederti.
La donna invitò con un’occhiata la propria cameriera ad appartarsi con
Betsy, quindi disse con un sorriso: — Sono contenta che tu sia potuta venire,
Rebecca. Partiamo domani per la campagna e, anche se la nostra casa è a
poche miglia da quella di tuo padre, non penso che là avremo la possibilità di
vederci.
— Qualcuno se ne accorgerebbe sicuramente — ammise Rebecca, poi,
guardandosi intorno, aggiunse: — Sono felice di avere una scusa per uscire in
una giornata così bella.
Le due donne parlarono di argomenti banali, passeggiando lungo la riva
del laghetto.
— A proposito — disse lady Bowden — non mi sono ancora congratulata
con te per il tuo fidanzamento. Suppongo che lord Kimball sia quello
splendido giovanotto che ti faceva da cavaliere quando ci siamo conosciute.
Il ballo dei Candover sembrava appartenere a un passato lontano. —
Alludi al gentiluomo con il quale sono stata sorpresa in atteggiamento
compromettente. A essere sincera, zia Margaret, il fidanzamento è stato solo
un espediente per evitare lo scandalo. Intendevamo romperlo dopo un
discreto intervallo di tempo.
Sua zia le lanciò un’occhiata incuriosita. — Da come parli, si direbbe che
tu stia pensando di trasformarlo in un fidanzamento vero. Dopotutto, farsi
sorprendere in atteggiamento compromettente con un uomo, di solito
significa che non ci è del tutto indifferente.
— La situazione è cambiata. Forse non dovrei dirlo, per non procurarti un
dolore ma, in un certo senso, è una questione che ci riguarda tutte e due. Ho
saputo di recente che tuo marito ha assunto lord Kimball perché si
introducesse in casa nostra come segretario e trovasse le prove che mio padre
ha ucciso mia madre.
— Oh, povera me. — Lady Bowden sgranò gli occhi, sconvolta. — Capisco
perché sei così riluttante a parlarne, e suppongo che tu sia preoccupata per
tuo padre e furiosa con il tuo giovanotto.
— Non è il mio giovanotto. Soprattutto non ora.
— Gli uomini sono esseri imperfetti, vero? Purtroppo, dobbiamo accettarli
per quello che sono. — Sua zia, sospirò. — È strano come, dopo quasi
trent’anni, mio marito non riesca ancora a dimenticare Helen.
— Mi dispiace, zia Margaret. Immagino che tu debba soffrirne molto.
— Solo un po’. Marcus mi ama, più di quanto lui stesso non sappia.
Abbiamo avuto un buon matrimonio, e i nostri due figli sono una grande
gioia per noi. Ma credo che, avendo amato Helen quando era giovane, lei
rappresenti i sogni perduti della sua gioventù.
— Posso capirlo, ma non posso tollerare che i suoi rimpianti lo spingano
ad accusare mio padre ingiustamente. Perdonami se te lo chiedo… ma… l’odio
potrebbe indurlo a fabbricare prove false per sostenere l’accusa contro mio
padre?
— Lo escludo. Marcus sa essere molto testardo, ma è onestissimo. Come
hai saputo del suo piano?
— L’ho udito parlare con Kenneth al ballo degli Strathmore.
— Hai affrontato lord Kimball?
— Sì.
— Come si è comportato?
— Ha detto che si pentiva di averci ingannato. — Rebecca serrò le labbra —
Questo non cambia il fatto che abbia mentito.
— Una volta immischiato in questa faccenda, non poteva rivelarti di punto
in bianco la verità — disse lady Bowden. — Si è trovato tra due fuochi.
— Ci si è messo da solo — ribatté Rebecca con amarezza.
— Adesso sei in collera, e hai ragione di esserlo. Ma se il giovanotto ti sta a
cuore, ti suggerisco di non escludere a priori la possibilità di perdonarlo.
— È possibile ritrovare la fiducia una volta che la si è persa?
— L’amore può guarire la fiducia tradita. L’amore può guarire molte cose.
Se non fosse così, la razza umana si sarebbe estinta da un pezzo. — Lady
Bowden la prese per un braccio. — Vogliamo andare a prendere un gelato? Ho
scoperto che sono ottimi per combattere il malumore.

Da quando Rebecca aveva scoperto il suo inganno, per Kenneth le


giornate passavano con infernale lentezza. Come le aveva promesso, fece del
suo meglio per ridurre al minimo i loro contatti. Da parte sua, lei si
comportava come se lui nemmeno esistesse. Vedere che si consumava,
oppressa dall’angoscia, non faceva che aumentare la sua infelicità. Riusciva
ad alleviare un po’ il dolore solo dipingendo, e i disegni per la serie delle
incisioni fecero notevoli progressi.
L’unico a essere soddisfatto della piega che avevano preso gli eventi era
lord Bowden. Aveva subito intuito l’importanza della notizia del cerchietto
mancante, quello con il cuore e, anche se era sempre convinto che l’assassino
fosse sir Anthony, era soddisfatto che fosse finalmente emerso qualcosa di
nuovo.
Kenneth passava le sue serate a disegnare nel suo studio, e ciò gli
risparmiava di dover udire i rumori di Rebecca che si preparava ad andare a
letto.
Una sera, era mezzanotte passata quando decise di ritirarsi. Nel resto della
casa regnava il silenzio. Posò l’album e andò alla finestra; era piovuto, ma in
quel momento la luna fece capolino tra le nuvole.
Quella dei Seaton era una casa d’angolo e dall’attico poté scorgere un
uomo che camminava lungo una delle strade laterali, appena oltre il muro di
cinta del giardino. Quando l’uomo si fermò, Kenneth aguzzò la vista,
insospettito.
A un certo punto, l’uomo roteò qualcosa con un movimento rapidissimo.
Un lampo di luce saettò attraverso l’aria in direzione della casa, poi si udì un
fracasso di vetri rotti. Pochi secondi dopo, un’esplosione fece tremare
l’edificio.
— Cristo! — Kenneth si precipitò fuori dallo studio.
Correndo lungo lo stretto corridoio, bussò con forza alle porte dei
domestici per svegliarli. Raggiunse il piano di sotto nel momento esatto in
cui Rebecca e sir Anthony uscivano dalle loro camere da letto in camicia da
notte. Con l’uomo c’era Lavinia, che era rimasta per passare la notte con lui.
— Mio Dio, cos’è successo? — ansimò sir Anthony.
— È scoppiato un incendio! — gridò Kenneth, continuando a scendere. —
Nel vostro studio, suppongo. Assicuratevi che i domestici siano svegli… forse
dovremo evacuare la casa.
Lavinia salì all’attico mentre Rebecca e il padre lo seguirono. Si trovavano
a pochi passi da lui quando spalancò la porta dello studio.
Un fumo soffocante uscì dalla stanza, dove il fuoco crepitava e sibilava,
già quasi fuori controllo, e le fiamme cominciavano a lambire i mobili e i
tappeti. Kenneth imprecò quando un barattolo di acquaragia esplose,
alimentando l’incendio.
— Oh, Dio, i miei quadri! — gridò sir Anthony, precipitandosi verso il
ritratto delle contesse gemelle, che era posto su un cavalletto, sotto alcuni
tendaggi che già ardevano.
Kenneth riuscì ad afferrarlo e a trattenerlo prima che i tendaggi
piombassero sul dipinto. — Per amor del cielo, portate via quelli più lontani
dal fuoco! — Munendosi di un piccolo tappeto, se ne servì per tentare di
soffocare le fiamme.
Sir Anthony staccò due quadri da una parete e corse fuori dalla stanza. Un
attimo dopo era di ritorno con Rebecca al suo fianco, per salvarne altri.
I due giovani lacchè entrarono reggendo delle brocche d’acqua. Kenneth si
tolse la cravatta e la inzuppò prima di legarsela intorno alla bocca e al naso.
Poi, aiutato dai lacchè, vuotò le brocche sul focolaio principale dell’incendio.
Le nuvole di fumo acre facevano lacrimare gli occhi. Kenneth recuperò il
tappeto e aggredì le fiamme che ancora guizzavano, riuscendo a spegnerle.
Ma altri focolai ardevano ancora in vari punti della stanza, illuminando di
una luce arancione lo studio e la sala adiacente. Con la coda dell’occhio
Kenneth vide Rebecca e il padre che uscivano dalla sala portando Orazio al
ponte. Solo poche lingue di fuoco avevano raggiunto quel locale; Kenneth le
spense, quindi chiuse le doppie porte.
Minton, il maggiordomo, comparve armato di un lungo palo munito di
uncino, che veniva di solito usato per aprire le finestre più alte. Se ne servì
per rompere i vetri di una finestra e per arpionare oggetti che stavano
bruciando e lanciarli nel giardino fradicio di pioggia.
Diverse domestiche arrivarono dalla cucina portando secchi pieni di
acqua. — Passatemeli — ordinò Kenneth.
Sfidando il calore, li vuotò uno dopo l’altro sulle fiamme residue. Aveva in
bocca il sapore del carbone ed era mezzo accecato dal fumo e dalle lacrime,
ma mentre aspettava che arrivassero altri secchi d’acqua, continuava a lottare
con il tappeto contro il fuoco.
Solo dopo essersi assicurato che tutti i focolai erano stati spenti, uscì
barcollando in corridoio e si accasciò a terra, riempiendosi i polmoni di aria
fresca.
Quasi irriconoscibile nella camicia da notte nera di fuliggine, sir Anthony
disse con voce roca: — Ce l’abbiamo fatta. Anzi, il merito è soprattutto vostro.
Rebecca si inginocchiò accanto a Kenneth, e posò a terra un catino pieno
d’acqua. — Ti sei bruciato, capitano? Le tue mani non hanno un bell’aspetto.
Abbassando gli occhi, lui vide che, sotto la fuliggine, la pelle era arrossata
e coperta di vesciche. Solo allora si rese conto che gli facevano un male cane
e, quando piegò le dita, non riuscì a trattenere una smorfia. — Niente di
grave, penso.
Lei inzuppò un panno e gli lavò la mano destra. Quindi spalmò un
unguento sulle vesciche, senza mai sollevare gli occhi.
La camicia da notte le scivolò lungo una spalla, lasciando intravedere la
curva dei seni. Kenneth si affrettò a distogliere lo sguardo perché era bastata
quella visione fugace per scatenare la reazione istintiva del suo corpo.
Impassibile, Rebecca iniziò a lavargli la mano sinistra con la stessa
impersonale competenza.
Sir Anthony tornò da un’ispezione allo studio. — I mobili sono da buttar
via, e cinque quadri sono ridotti in cenere. Ma è poca cosa in confronto a
quello che sarebbe potuto succedere se, grazie a voi, non fossimo intervenuti
subito. Ma come è accaduto? Non avevamo lasciato né fuochi né candele
accese.
— È stato un incendio doloso — rispose Kenneth, cupo in volto. — Ero per
caso affacciato alla finestra del mio studio quando ho visto un uomo lanciare
una specie di bomba incendiaria contro la casa.
— Ma perché? — Sir Anthony era sconcertato.
— Chi può saperlo? Un critico d’arte. Un rivale geloso. Un marito
infuriato. Un bonapartista al quale non è piaciuta la vostra serie su Waterloo.
— Kenneth si alzò in piedi a fatica. — Vi consiglio di assumere un paio di
guardie per sorvegliare la casa.
— È un’ottima idea — disse Lavinia. — Ma per stanotte, suggerisco a tutti
un bel bicchiere di brandy e una buona dormita.
Kenneth scrutò i domestici, sui cui volti era dipinto lo stesso miscuglio di
stanchezza e di trionfo che stava provando lui. — Senza il vostro impegno,
casa Seaton sarebbe ridotta a un cumulo di ceneri. Come ricompensa,
riceverete tutti una gratifica.
Sir Anthony approvò con un cenno della testa mentre un brusio
compiaciuto serpeggiava tra il personale, poi si allontanò con Lavinia.
Rebecca li seguì, senza rivolgere nemmeno uno sguardo a Kenneth.
Lui congedò tutti i domestici, tranne i lacchè e il maggiordomo. Insieme
ispezionarono lo studio e, dopo essersi assicurati che niente potesse
provocare un altro incendio, li invitò ad andare a letto mentre, da parte sua,
avrebbe fatto la guardia fino al mattino.
— Resterò io di guardia, milord — disse Minton. — Voi vi siete prodigato
più di tutti gli altri messi insieme, e barcollate per la stanchezza.
Quando Kenneth tentò di protestare, il maggiordomo disse con fermezza:
— Andate.
— Nell’esercito questa sarebbe insubordinazione.
— Non siamo nell’esercito, milord, e al massimo potete licenziarmi.
— Non ci penso nemmeno. — Kenneth gli posò per un attimo la mano
sulla spalla. — Grazie.
Si trascinò su per le scale fino alla sua camera. Quando aprì la porta,
scoprì che Rebecca lo stava aspettando. Purtroppo, notò con rammarico,
aveva indossato una pesante vestaglia.
Dalla freddezza dell’espressione era evidente che non c’era niente di
romantico nelle sua visita. Gli andò incontro porgendogli un bicchiere pieno.
— Ho pensato che avresti gradito un po’ di brandy.
— È una buona idea. — Kenneth ne bevve un sorse generoso per placare
l’arsura della gola. — Dopo i fatti di stasera, è chiaro che siamo passati da
vaghe ipotesi alla certezza che esiste una precisa volontà di fare del male.
Lei si morse il labbro — Allora, pensi che ci sia un nesso con la morte di
mia madre.
— Può darsi di no, ma è più plausibile dell’ipotesi che la tua famiglia abbia
due nemici mortali. — Kenneth ammucchiò i cuscini contro la testata del
letto e vi si gettò sopra. — Finora, ci sono stati tre incidenti: la dose eccessiva
di laudano presa da tua madre, la sua caduta mortale, e l’incendio di stasera.
Lo sguardo di Rebecca s’incupì. — Hai parlato di un nemico della mia
famiglia, ma il bersaglio deve essere mio padre. Non c’è nessuno che mi
conosca abbastanza bene da volermi uccidere. — La sua bocca si storse in una
smorfia. — Tranne te, forse.
— Credimi, Rebecca, non ho mai provato il desiderio di farti del male.
— Forse dovremmo dire a mio padre che, secondo la tua teoria, l’incendio
fa parte di un disegno più complesso.
Lui rifletté un momento, quindi scrollò il capo. — Non ne vedo la
necessità. Dopo stasera, non sarà difficile convincerlo a essere prudente,
anche senza metterlo al corrente dei miei sospetti.
— Molto bene. Buonanotte, capitano.
Kenneth provava un desiderio quasi insopportabile, di prenderla tra le
braccia e trascinarla a letto. Non per fare l’amore, ma per poterla stringere a
sé e ritrovare l’armonia perduta.
Era una pia illusione. Con un sospiro, posò il bicchiere sul comodino. — Il
mio comportamento di stasera non serve a placare almeno un po’ il tuo
rancore per le mie passate azioni?
Lei si fermò sulla porta. — Non ho mai dubitato del tuo coraggio, capitano.
Soltanto della tua sincerità. — Un attimo dopo se n’era andata.
La sua infelicità era così grande che Kenneth si chiese se, con la sua
doppiezza, non avesse risvegliato un dolore più profondo. Il suo primo amore
giovanile si era rivelato un disastro, e il padre, per quanto amato, non era un
modello di affetto paterno. Non c’era da stupirsi che non si fidasse degli
uomini.
Se era così, forse non sarebbe mai riuscito a ottenere il suo perdono, e
quello era un pensiero deprimente.
Si costrinse a concentrare l’attenzione sull’incendiario. Nell’oscurità della
notte non era riuscito a individuare caratteristiche particolari. Poteva
soltanto dire che era di corporatura normale, forse un po’ più alto della
media.
Era sul punto di spegnere la candela quando sentì un colpo leggero alla
porta. — Avanti — disse con voce stanca.
Lavinia entrò. Kenneth fece per alzarsi, ma lei gli indicò con un gesto della
mano di restare a letto.
— Mi dispiace disturbarvi, ma ho pensato che non vi sarebbe importato
molto, visto che voi e Rebecca siete ancora ai ferri corti.
— Siete un’osservatrice troppo acuta — commentò Kenneth con sarcasmo.
— Sir Anthony non si chiederà dove siete andata?
— Dorme come un ghiro. — Lavinia si chiuse la porta alle spalle e chiese
con franchezza: — Anthony è in pericolo?
— Sospetto che potrebbe esserlo.
Lei si sedette sull’orlo dell’unica sedia. — Cosa posso fare?
Rendendosi conto che Lavinia, con il suo intuito e la vasta cerchia di
conoscenze, poteva fornirgli qualche informazione utile, Kenneth le chiese:
— Vi risulta che sir Anthony abbia qualche nemico?
Lei rabbrividì e si strinse la vestaglia intorno alle curve procaci. In quel
momento, dimostrava la sua vera età, e nella sua espressione non c’era
traccia della consueta frivolezza. — Un uomo di successo come Anthony non
può non suscitare invidia, ma non mi viene in mente nessuno che
arriverebbe al punto di bruciarlo vivo, insieme con tutti i suoi.
— Ne siete innamorata, vero?
— Dal giorno in cui ci siamo conosciuti — rispose Lavinia con semplicità.
— Avevo diciassette anni la prima volta che ho posato per lui. Ero tentata di
provare a sedurlo, ma non volevo essere una delle tante relazioni effimere.
Pensai che l’amicizia sarebbe durata più a lungo, e così è stato. — Sospirò e si
appoggiò allo schienale. — Helen mi disse una volta che, se le fosse successo
qualcosa, le sarebbe piaciuto che mi prendessi cura di Anthony. Non voleva
che cadesse nelle mani di qualche arpia, interessata solo alla sua ricchezza.
Pensando che fosse il momento giusto per ottenere una risposta a un’altra
domanda, Kenneth chiese: — All’epoca della morte di lady Seaton, chi era
l’amante di sir Anthony? Mi è giunta voce che facesse molto sul serio con
quella donna… al punto forse di divorziare dalla moglie.
— Non l’avrebbe mai fatto — ribatté Lavinia con fermezza. — E in ogni
caso non per la sua amante del momento. Dev’essere stata lei stessa a
spargere la voce per vanità. Poiché aveva un marito, non avrebbe potuto
sposare Anthony nemmeno se lui avesse divorziato.
— Chi era quella donna? — la sollecitò Kenneth.
Lavinia esitò, quindi si strinse nelle spalle. — La vostra matrigna.
Lui ebbe solo un lieve sussulto di sorpresa. Sir Anthony aveva dipinto il
ritratto di Hermione più o meno a quell’epoca. Sperava soltanto che suo
padre non l’avesse mai saputo. — Ora che è vedova, ha delle mire su sir
Anthony?
— Lui ha interrotto la relazione alla morte di Helen, e da allora non l’ha
più rivista — rispose Lavinia con palese soddisfazione. — Helen ne sarebbe
stata felice. Erano le donne come la vostra matrigna a preoccuparla.
Comunque, so da fonte attendibile che Hermione sta per sposare lord Fydon,
senza chiasso perché è ancora in lutto. Lui è ricco sfondato, ma è un essere
disgustoso.
— Spero che la vostra fonte non si sbagli. Ero convinto che Hermione non
si sarebbe più risposata perché le sarebbe costato troppo. Secondo le
condizioni del testamento di mio padre, se lo facesse, ogni cosa, tranne
l’appannaggio vedovile, tornerebbe alla proprietà. Questo significa che avrò
anche la casa di Londra.
— Oh, sposerà Fydon. Non solo è ricchissimo, ma i gioielli della sua
famiglia sono straordinari, e Hermione ne ha un bisogno disperato. — Un
lampo malizioso si accese negli occhi di Lavinia. — Non so come ci siate
riuscito, ma vi faccio le mie congratulazioni.
— Non è merito mio. Ci sono altre donne che potrebbero tentare di
vendicarsi di sir Anthony a causa di un amore non corrisposto?
Lavinia scosse la testa. — Le sue sono state sempre relazioni superficiali.
— Forse l’agenda che si trova a Ravensbeck ci fornirà qualche indizio —
disse Kenneth, ma era pessimista.
— Una fonte migliore di informazioni potrebbero essere i diari di Helen.
Kenneth si rizzò a sedere di scatto. — Teneva un diario?
— Non sono sicura che Anthony e Rebecca lo sapessero. Helen vi
annotava soprattutto i sentimenti e le emozioni piuttosto che i fatti.
— Dove sono?
— Li ho io — dichiarò Lavinia con calma. — Quando mi chiese di aver cura
di Anthony, mi disse anche che, se fosse morta, avrei dovuto bruciarli. Mi
chiedo se non avesse avuto un presentimento.
— Ma voi non li avete bruciati?
— No. Conservarli è stato come mantenere un legame con Helen, ma non
ho avuto il coraggio di leggerli. Sarebbe troppo doloroso.
— Permettetemi di esaminarli: Forse riuscirò a trovare un indizio per
risalire al responsabile dell’incendio di stasera.
— Sì, vale la pena tentare. — Lavinia si alzò in piedi — Sono sicura che
siete un ottimo investigatore. Buona notte, capitano.
Kenneth si tolse gli abiti sporchi di fuliggine contenendo a stento
l’eccitazione. Se Hermione si fosse risposata, i suoi beni personali sarebbero
stati salvi e avrebbe finalmente potuto dare un indirizzo alla sua vita.
Prima, tuttavia, doveva scoprire chi fosse il criminale che aveva ucciso
lady Seaton e stava ora minacciando sir Anthony. Sperava ardentemente che i
diari di Helen potessero fornirgli gli indizi necessari, perché l’unica speranza
di riconquistare Rebecca era forse di salvare la vita di suo padre.
In cuor suo, però, sapeva che non era così semplice; era più facile scoprire
un assassino che rimettere insieme i cocci di una fiducia tradita.
30

Alla luce del giorno, i danni allo studio apparivano ancora più gravi.
Scendendo a far colazione, Kenneth si fermò a dare un occhiata e vi incontrò
sir Anthony.
— È una scena che mi fa gelare il sangue. Pensate se fosse successo
mentre i quadri della serie di Waterloo erano ancora qui. Avrei potuto
perdere quelle che considero le mie opere migliori.
— Grazie al cielo si sono salvate. Sarebbe potuto succedere di peggio. Se la
bomba incendiaria fosse atterrata nella vostra camera da letto, voi e lady
Claxton avreste rischiato di non uscirne vivi.
— Credetemi, ci ho pensato. Si riuscirà a scoprire il responsabile?
— Non saprei. Non vedo come la polizia possa svolgere un’indagine se non
ha elementi da cui iniziare. Vi risulta di avere nemici che vi odiano a morte?
— Assolutamente no. È facile per un uomo nella mia posizione recare
offesa senza volerlo. Posso aver stroncato un quadro esposto alla mostra,
qualcuno potrebbe aver riferito la mia critica all’autore, il quale potrebbe aver
deciso di vendicarsi. I pittori sono delle teste matte.
— Capisco. Se vi venisse in mente qualche episodio particolare, fatemelo
sapere. — Kenneth contemplò i resti dello studio. — Quali quadri sono andati
persi?
— Alcuni ritratti che dovevo ancora completare. — Sir Anthony elencò i
nomi di vari clienti. — Spedite una lettera a ciascuno di loro, spiegando il
motivo del ritardo. Dovranno rassegnarsi a posare di nuovo. Trasferirò la mia
attrezzatura in sala, perché è ovvio che non posso più lavorare qui.
Kenneth aprì le porte bruciacchiate che davano nella sala. — Il fumo ha
fatto danni anche qui, e ieri notte ho notato che c’è un’infiltrazione di acqua
al piano di sotto. — All’improvviso, ebbe un’idea. — Perché non vi recate nella
regione dei Laghi ora, invece di aspettare la data consueta? Possiamo
approfittare dell’estate per riparare i danni.
Il volto di Sir Anthony si illuminò. — È un ottimo suggerimento. Voi
resterete a Londra il tempo necessario per organizzare i lavori, quindi ci
raggiungerete.
Kenneth esitò, non gli garbava l’idea di non poterlo sorvegliare di persona.
D’altra parte, era meglio che si allontanasse da Londra, perché era ovvio che
il suo nemico si trovava lì. — Benissimo, signore. Iniziando subito a fare i
bagagli, potreste partire dopodomani.
— Date gli ordini necessari.
Kenneth annuì e scese al piano inferiore. Nell’atrio incontrò lord Frazier,
George Hampton e altri amici di sir Anthony, accorsi dopo aver saputo
dell’incendio. Ne studiò i volti, cercando segni di soddisfazione o di
delusione, ma vide soltanto curiosità e preoccupazione. Mentre si recava a far
colazione, si chiese se qualcuno di loro avrebbe anticipato la partenza per la
regione dei Laghi.
Per un giorno e mezzo in casa Seaton regnò un caos incredibile. Quando le
carrozze e il carro con i bagagli finalmente partirono, Kenneth aveva
l’impressione di aver organizzato un intero esercito per una marcia di
qualche mese.
Vedendo allontanarsi la carrozza con a bordo sir Anthony e Rebecca, ebbe
un improvviso e raccapricciante ricordo dell’ultima volta che aveva visto
Maria viva. Alla sua partenza, era stato colto da un presentimento, ma lei
aveva riso delle sue paure.
Sapeva, naturalmente, che i paragoni erano senza senso. Maria era una
nota guerrigliera che attraversava un paese in guerra; Rebecca viaggiava con
il padre e i domestici su strade sicure. Inoltre, avrebbe corso meno rischi
lontano da Londra e dai nemici del padre. Ma, nonostante quelle logiche
riflessioni, la partenza lo colmò di una paura irrazionale.
— Scusatemi, milord, non vi sentite bene?
A parlare era stato Minton, che lo osservava con la fronte corrugata.
Kenneth respirò a fondo. — Mi dispiace che la signorina Seaton se ne
vada.
Minton si rilassò. — L’impazienza degli innamorati. Non preoccupatevi,
milord. La raggiungerete tra pochi giorni.
Rientrando in casa, Kenneth si disse che era sciocco preoccuparsi: a
Rebecca non sarebbe successo niente di male. Anzi, la lontananza avrebbe
potuto aiutarla a capire cosa voleva veramente il suo cuore. L’angoscia,
comunque, lo tormentò anche mentre visitava le fabbriche di tessuti e di
mobili. Fu una ricerca estenuante, ma riuscì a trovare l’occorrente per
sostituire ciò che era andato distrutto.
Era molto tardi quando poté finalmente esaminare i diari che Lavinia gli
aveva consegnato quella mattina. Solo dopo una lieve esitazione si decise ad
aprire il primo. Forse a Helen Seaton non sarebbe piaciuto che occhi estranei
leggessero le sue confidenze, ma non avrebbe nemmeno voluto che il marito
venisse ucciso, o che la sua morte restasse impunita.
Le prime note risalivano a quando lei aveva diciassette anni. I suoi
genitori erano appena morti in seguito a una febbre mortale. E, terminato il
lutto, il suo tutore l’aveva mandata a Londra perché debuttasse in società.
Aveva riscosso un enorme successo malgrado gli orribili capelli rossi.
L’occhio di Kenneth cadde sul nome di lord Bowden. Nelle pagine
seguenti raccontava la storia del fidanzamento e della fuga.

Marcus Seaton, erede di lord Bowden, ha chiesto la mia mano. Ho


accettato perché mi piace più di tutti i miei altri corteggiatori. Anzi,
credo di esserne innamorata, anche se non ne sono del tutto sicura
essendo la prima volta che mi capita. Ma Marcus è affascinante e
intelligente, e mi adora. Mi piace essere adorata. Lui e io andremo molto
d’accordo. La settimana prossima ci recheremo alla residenza che la sua
famiglia ha nella regione dei Laghi, così conoscerò gli altri parenti e
vedrò la mia futura casa.

La pagina seguente iniziava così:

La dimora dei Seaton è molto bella e la campagna è stupenda. Mi


piacerà recitare il ruolo della padrona di casa. Ho conosciuto la figlia di
alcuni vicini, Margaret Willard. Non è bella, ma è graziosa, dolce e con
occhi molto espressivi. Credo che sia innamorata di Marcus perché
ammutolisce quando lui è presente. Marcus non se ne accorge
nemmeno. Questo è tipico degli uomini! Sono sicura che Margaret prova
del risentimento nei miei confronti, eppure è sempre gentile. Spero che
potremo diventare amiche. Forse sposerà il fratello minore di Marcus,
Anthony, un artista pazzo. Arriverà domani con due amici. Non vedo
l’ora di conoscerli…

Gli artisti pazzi sono arrivati. Lord Fraizer è un bell’uomo, un po’


arrogante, ma molto galante. Mi ha fatto uno schizzo nei panni di
Afrodite. George Hampton è di umili origini ed è un po’ intimidito dalla
presenza di tante persone di rango superiore. Ma è molto caro, con una
dignità innata che gli sarà molto utile. Quanto al fratello di Marcus,
Anthony… Mio Dio, non so cosa dire di Anthony.

L’annotazione successiva, della settimana seguente, era lapidaria:

Anthony mi ha chiesto di fuggire con lui. Anche soltanto pensarlo è


indecente… eppure, come potrei sopportare di diventare sua cognata? E
sarebbe leale sposare Marcus adesso che so di non amarlo? Che sciocca
sono stata a pensare di esserne innamorata. Se ci devi riflettere, vuol
dire che non lo sei.

Il giorno seguente scriveva:


Anthony e io fuggiremo. Possiamo raggiungere Gretna Green in una
giornata. Non m’importa nulla dello scandalo, o del fatto che non
diventerò lady Bowden. Avremo un tetto sopra la testa e il nostro
amore. Tutto il resto non ha importanza. Che Dio, e Marcus, possano
perdonarmi per la mia malvagità.

Kenneth continuò a leggere la storia di lei come moglie e madre. Un


punto lo fece sorridere.

Credo che all’inizio Anthony sia rimasto un po’ deluso perché non ho
dato alla luce un maschio. Ma adesso è in estasi davanti alla nostra
figlioletta con i suoi riccioli rossi. Ha già riempito mezzo album con
schizzi di lei che dorme, che gorgoglia e fa tutto quello che fanno i
neonati.

Il primo volume dei diari terminava lì, e Kenneth si alzò per sgranchirsi le
gambe e fare una pausa. Solo allora scoprì con sorpresa che era passata la
mezzanotte. Prima di andare a letto, buttò giù uno schizzo a pastelli di una
neonata con fiammanti riccioli rossi e seri occhi castani.

Per quella che era almeno la quindicesima volta, Rebecca pensò di


malumore che il peggior difetto della regione dei Laghi era la sua distanza da
Londra. Suo padre pagava una cifra notevole per i cavalli di posta, e riusciva a
compiere il viaggio in soli quattro giorni. Quattro lunghe giornate durante le
quali non si poteva fare niente tranne stare aggrappati a una maniglia e
riflettere.
E non serviva a migliorare la situazione il fatto che la sua mente
continuasse a rimuginare su Kenneth o sui pericoli che correva suo padre. Né
l’entusiasmava la prospettiva di tornare nei luoghi dove era morta la madre.
La carrozza incontrò un’asperità del terreno, e solo aggrappandosi alla
maniglia Rebecca evitò di andare a sbattere contro Lavinia.
Sir Anthony seduto sul sedile di fronte disse: — È una mia impressione o
quest’anno le strade sono peggio del solito?
Rebecca non poté fare a meno di sorridere. — Lo dici tutti gli anni. Per tua
fortuna riesci sempre a dimenticare quanto è disagevole questo viaggio.
— E questa è una cosa che tu ripeti tutti gli anni. Ora me lo ricordo.
— Meno male che, viaggiando a questa velocità, arriveremo in fretta —
commentò Lavinia.
— È quello che diceva sempre Helen — disse sir Anthony.
Nel silenzio imbarazzato che seguì, lo sguardo di Rebecca passò al padre a
Lavinia. Una volta aveva pensato che la loro fosse una relazione superficiale,
ma ora non più. Si conoscevano da tanti anni e alla loro amicizia si era adesso
aggiunto quello che a lei sembrava un rapporto fisico molto soddisfacente.
Ma suo padre, oppresso dal senso di colpa per la morte equivoca della moglie,
non aveva forse il coraggio di inseguire la felicità. Decise che era necessaria
una piccola spinta. — Presto scadrà il periodo di lutto per la mamma. Perché
voi due non vi sposate?
Il silenzio era denso come un budino di riso, e alla fine fu Lavinia a
romperlo, con voce non del tutto ferma. — Tuo padre non me l’ha chiesto,
cara.
Rebecca si voltò a guardare il padre. — Perché non gliel’hai chiesto? In
pratica, voi due vivete insieme. Dovresti fare di lei una donna rispettabile.
Sir Anthony era allibito. — Non riesco a credere che sia mia figlia a
parlare. Non hai nessun rispetto?
— Ho imparato a essere impudente da te. Rifletti. Non saresti sleale nei
confronti della mamma se ti risposassi. Lei non avrebbe voluto che restassi
solo, e ci sono poche donne capaci come Lavinia di essere pazienti con un
artista eccentrico.
Suo padre sembrava sul punto di esplodere. — Una sola parola di più e ti
farò proseguire a piedi.
— Sarebbe un sollievo per la mia schiena — replicò lei, per niente
intimidita.
Percorsero almeno un miglio prima che Lavinia dicesse, con una voce che
era quasi un bisbiglio: — Non sono stata io a istigare Rebecca, Anthony.
— Lo so. Tu continueresti a sopportare in eterno il mio egoismo.
Parlando come se fossero soli nella carrozza, Lavinia mormorò: — Certo
che lo farei. Ti amo da sempre, e tu lo sai.
— Lo so. Ti ho amata anch’io, dal giorno in cui sei apparsa nel mio studio,
quando avevi diciassette anni. Ma non merito l’amore di una donna generosa
come te. Ho amato anche Helen, e sono stato un pessimo marito per lei.
— Sei stato il marito che lei voleva. E sei il marito che io voglio. Ho
condotto una vita scandalosa e sono andata a letto con un sacco di uomini
solo perché non potevo farlo con l’unico che amavo. Nessuno di noi è
perfetto, Anthony, ed è meglio che sia così.
Lavinia gli tese una mano e lui la prese, stringendola forte tra le proprie.
Rebecca si voltò con discrezione e guardò fuori dal finestrino, mentre Lavinia
si trasferiva sul sedile di fronte accanto a suo padre.
Era felice per loro. Lo era davvero. Eppure, mentre guardava senza vederlo
il verdeggiante panorama della campagna, avvertiva dentro di sé un vuoto
desolato. La breve parentesi di felicità con Kenneth sembrava un miraggio
lontano e sbiadito.

Kenneth passò la giornata successiva alla partenza dei Seaton a cercare


falegnami, imbianchini e tappezzieri. Dopo cena scrisse un elenco dettagliato
di istruzioni, in modo che Minton non avesse difficoltà a seguire i lavori di
ristrutturazione.
Quando finalmente fu solo in camera, aprì il secondo volume dei diari di
Helen. Quanto più il racconto si avvicinava al presente, tanto più egli faceva
attenzione a non lasciarsi sfuggire eventuali allusioni a qualche nemico
segreto. Helen aveva annotato episodi riguardanti gelosie, maldicenze,
contrasti, ma non aveva trovato niente che facesse pensare a un pericolo
reale.
Era, comunque, una lettura affascinante. Helen era un’ottima scrittrice,
divertente e molto acuta. Dalle sue annotazioni emergeva un vivido ritratto di
almeno trent’anni di vita artistica inglese. Restituendo i diari, avrebbe
suggerito che fossero pubblicati a distanza di cinquant’anni, dopo la
scomparsa della maggior parte dei protagonisti.
C’erano tuttavia pagine che la famiglia avrebbe preferito omettere, perché
troppo personali. Kenneth era rimasto colpito in particolare dalla descrizione
di una gravidanza che Helen non era riuscita a terminare, quando Rebecca
aveva all’incirca due anni.

Sarebbe stato un maschio. Oh, Dio, perché non riesco a piangere?


Mia madre mi manca tanto. A ogni episodio importante della mia
vita - il mio fidanzamento, il matrimonio, la nascita di Rebecca - ne
sento la mancanza come se fosse morta ieri. Eppure, non riesco a
piangere. Forse c’è una stagione per il dolore, e la mia non è ancora
arrivata. Oppure mi è sfuggito il momento giusto e ora sono destinata a
compiangermi per sempre incompleta. Il mio dolore è come un vasto,
sterminato oceano interiore, eppure non riesco a dare libero sfogo alle
lacrime.

Quelle parole toccavano qualcosa nel profondo del suo animo. Anche lui
aveva sopportato la sua parte di dolore e, come per Helen, l’infelicità era stata
per lungo tempo rinchiusa nel suo cuore. Solo Rebecca gli aveva insegnato a
dare sfogo ai suoi orrori segreti.
L’ironia era che, mentre aveva dato a lui la chiave per conquistare la
libertà, lei era rimasta intrappolata nel proprio dolore. Come Helen, soffriva
per la perdita della madre e Kenneth sospettava che, come lei, non fosse mai
stata capace di spargere una lacrima.
Forse, quando si sarebbero rivisti, avrebbe trovato il modo di aiutarla ad
affrontare la sofferenza. Per il momento sapeva, con certezza assoluta, che
era giunto per lui il tempo di dipingere l’ultima delle immagini che lo
ossessionavano.
Una volta presa quella decisione, si chiuse nello studio, pregando che,
dopo aver affidato l’immagine alla carta, sarebbe stato libero di convivere con
le emozioni del suo passato, senza più esserne perseguitato.

Kenneth lavorò fino all’alba per dipingere il suo ultimo incubo. George
Hampton sarebbe stato felice di aggiungerlo alla serie delle incisioni, ma
certe cose erano troppo personali per rivelarle al mondo. Rebecca era l’unica
persona alla quale avrebbe voluto mostrare il dipinto, e si sentiva gelare al
pensiero che la frattura tra loro due non si sarebbe mai più sanata.
Lavorò tutta la giornata, senza risparmiarsi, per organizzare la
ristrutturazione di casa Seaton, in modo da poter partire al più presto per la
regione dei Laghi. Benché stanco per la mancanza di sonno, dopo cena iniziò
a leggere il terzo e ultimo dei diari di Helen. Nella prima parte, emergeva un
crescente senso di depressione.

Perché le cose che mi rendono felice in maggio sono come cenere a


gennaio? Quest’ultima settimana, la vita è stata un orrore così assillante
che mi sono chiesta se non sarebbe meglio addormentarsi per non
svegliarsi mai più. Sicuramente per Anthony, Rebecca e George sarebbe
meglio se io sparissi. Solo la certezza - senza speranza ma innegabile -
che le cose miglioreranno mi impedisce di cedere alla mia vigliaccheria.
Questo, e il fatto che mi manca la determinazione di porre fine ai miei
giorni.

Kenneth scosse la testa dopo aver letto quelle righe. Non c’era da stupirsi
se le persone che le erano vicine erano preoccupate che potesse suicidarsi.
Con il passare degli anni, aveva smesso di affidare i suoi pensieri alle
pagine del diario durante i mesi invernali. Forse era un compito che
richiedeva più energie di quante ne possedesse, oppure i suoi pensieri erano
troppo deprimenti per metterli nero su bianco.
Pur non avendo trovato tracce di eventuali nemici, Kenneth continuò con
perseveranza a leggere.
A poche pagine dalla fine, si imbatté in alcune righe che lo sconvolsero,
facendogli dimenticare la stanchezza.

L’ultimo ritratto che Anthony mi ha fatto è il più bello di tutti. Mi ha


rappresentato sul prato di Ravensbeck mentre rido con aria maliziosa.
Dice che sono la sua musa. Ha appeso il quadro in salotto, in modo che
tutti potessero ammirarlo dopo la cena. Malcolm aveva un’espressione
strana mentre lo guardava. Ha detto una cosa assurda… che io sono il
cuore di Anthony. Che, senza di me, Anthony non sarebbe più il grande
artista che è.

Kenneth fissò le righe mentre tutti i pezzi iniziavano a combaciare. Il


cerchietto con il cuore mancante… non era stato un messaggio di Helen,
bensì di Frazier. Aveva eliminato la donna che riteneva essere il cuore e
l’ispiratrice di sir Anthony.
Da giovane, Frazier era stato un pittore di grandi promesse, promesse che
non aveva mantenuto. Nelle sue opere era riflessa la grettezza della sua
anima e, per quasi trent’anni, era stato condannato a vedere la stella di sir
Anthony salire sempre più in alto.
Kenneth ricordò che Frazier aveva commentato con tristezza che le opere
di sir Anthony non erano più le stesse da quando la moglie era morta. Quello
di Frazier era in realtà un pio desiderio, che non era sopravvissuto al trionfo
tributato ai quadri della serie di Waterloo.
Il colpo finale era arrivato quando sir Anthony aveva annunciato che
Benjamin West l’aveva designato come suo successore alla presidenza
dell’accademia, mentre Frazier non era nemmeno giudicato degno di
diventare accademico a pieno titolo.
La bomba incendiaria era stata lanciata due giorni dopo quell’annuncio.
Aggrottando la fronte, richiamò alla memoria l’immagine confusa del
piromane: avrebbe potuto essere Frazier.
Tirò fuori l’orologio e guardò l’ora. Non era ancora mezzanotte. Era tardi,
ma non troppo tardi per affrontare un assassino.
Non gli sarebbe dispiaciuto se Frazier avesse opposto resistenza; sarebbe
stato un piacere prenderlo a pugni per fargli confessare di aver ucciso una
donna innocente. Ciò nonostante, sapendo che Frazier non era tipo da lottare
lealmente, Kenneth caricò la piccola pistola che teneva nell’armadio e la
infilò in una tasca interna.
Impiegò un quarto d’ora per arrivare a casa di Frazier. Non si vedevano
luci alle finestre, ma Kenneth non se ne preoccupò finché, saliti i gradini,
scoprì che alla porta d’ingresso mancava il battente.
Trattenne il respiro, travolto dall’ansia contro cui lottava da giorni.
Togliere il battente era il modo per indicare che il padrone di casa non era in
città.
Il bastardo se n’era andato.
31

Rebecca era contenta che fosse già calata l’oscurità quando arrivarono a
Ravensbeck, perché sarebbe stato più doloroso rivedere quei luoghi alla luce
del giorno. Avvertiti da Kenneth, i domestici avevano preparato le camere e
c’era ad attenderli una cena calda.
Il giorno dopo, Rebecca si svegliò di buonora e andò alla finestra ad
ammirare un panorama che riusciva sempre a estasiarla come la prima volta.
Anche se aveva vissuto quasi sempre a Londra, in campagna si sentiva più
felice. Meno gente, meno problemi, aria più pulita e tanta pace. Di colpo le
venne in mente che niente le impediva di trascorrere la sua vita a
Ravensbeck.
Rifletté su quell’idea. Suo padre e Lavinia avrebbero avuto la casa di
Londra tutta per loro, come si addiceva a una coppia appena sposata. Quanto
a lei, tra il paesaggio e la gente del posto, non le sarebbero mancati i soggetti
per i suoi quadri, e non avrebbe più potuto rivedere Kenneth.
Dopo aver fatto colazione, Rebecca saltò in sella a un pony e si recò al
villaggio. Legò la sua cavalcatura accanto. alla chiesa e si diresse a piedi alla
tomba della madre; negli ultimi nove mesi, l’erba era cresciuta, formando un
morbido manto erboso. Avevano installato anche il monumento disegnato
dal padre, con la scritta: HELEN COSGROVE SEATON. 1768-1816. MOGLIE, MADRE E
MUSA ADORATA.
Rebecca posò i fiori sulla tomba e restò a lungo con il capo chino,
sperando di avvertire un segno della presenza della madre, ma non sentì
niente se non il proprio dolore.
— Riposa in pace, mamma — mormorò prima di voltarsi e tornare sui
propri passi.
Quando arrivò in vista del pony, rimase sorpresa nel vedere Lavinia
accanto a un altro dei cavalli di Ravensbeck.
— Non volevo disturbarti — disse la donna sottovoce.
Rebecca sorrise vedendo il mazzo di fiori che reggeva in mano. — Il
giardiniere sarà molto arrabbiato con noi.
— Possiamo chiedergli di piantare dei fiori sulla tomba, così non dovremo
saccheggiare ogni volta le sue aiuole. — Lavinia esitò. — Davvero non
t’importa che io sposi Anthony?
— Davvero — la rassicurò Rebecca. — Mio padre ha bisogno di qualcuno
che si prenda cura di lui quando è troppo impegnato con il suo lavoro, e io
non ho il tempo per farlo.
— Inoltre, anche tu ti sposerai presto.
Rebecca s’impietrì. — Ne dubito.
— La situazione con Kenneth è così terribile?
— Sì — rispose Rebecca, laconica. Non voleva parlare di Kenneth, e si
voltò a guardare la valle. — È strano pensare che la dimora dei Seaton non
dista più di dieci miglia da qui, eppure non vi ho mai messo piede. Ho
conosciuto lady Bowden questa primavera. È stata gentile, benché le nostre
famiglie non si parlino.
— Margaret ha sempre avuto un carattere dolce. Se non vi sono rapporti
tra le vostre famiglie, la colpa è soltanto di Bowden. Penso che Anthony
sarebbe felice di fare la pace.
— Conosci lord Bowden?
— Un po’. Mi disprezza. Il nostro matrimonio sarà un altro punto a
sfavore di Anthony.
— Peggio per lui se è così sciocco. — Rebecca la salutò con un cenno del
capo e si allontanò, sapendo che Lavinia, come lei, avrebbe preferito restare
da sola a pregare sulla tomba di Helen. L’indomani avrebbe fatto un secondo
pellegrinaggio, ben più difficile: alla rupe dove sua madre era morta.

Essere frustati era meno penoso che viaggiare su una delle carrozze delle
Poste Reali. Privilegiando la rapidità, non offrivano la minima comodità ai
passeggeri, Kenneth, tuttavia, pensava che ne valesse la pena, perché sarebbe
arrivato a Ravensbeck impiegando soltanto due giorni.
Per tutta la durata del viaggio, cercò di convincersi che non c’era alcun
motivo di credere che Frazier si fosse recato nella regione dei Laghi animato
da brutte intenzioni. Fino a quel momento, niente lasciava pensare che ci
fosse un vero pericolo per la vita di sir Anthony.
Tuttavia, la bomba incendiaria che aveva appiccato il fuoco allo studio di
casa Seaton aveva tutte le caratteristiche di una dichiarazione di guerra.
Kenneth non voleva correre il rischio che Rebecca finisse per esservi
coinvolta.
La sua ansia cresceva man mano che si avvicinava alla meta. Quando
fecero una sosta alla locanda di Kendal, non si fece scrupoli nel servirsi del
suo titolo per prendere a nolo il cavallo del proprietario. Era un animale
robusto, che gli avrebbe permesso di arrivare ancor prima a Ravensbeck.
Non era mai stato nella regione dei Laghi, ed era confusamente
affascinato dallo splendore della campagna. In circostanze diverse si sarebbe
fermato per ammirare il panorama e per buttare giù qualche rapido schizzo,
ma data la situazione, non rallentò per un solo attimo l’andatura. Avrebbe
avuto tutto il tempo di godersi il paesaggio, una volta saputo che Rebecca era
sana e salva.
Lady Bowden terminò di bere il tè e posò la tazza. Quindi alzò la testa e
guardò il marito, seria in volto. — Ho saputo che Anthony e sua figlia sono
arrivati a Ravensbeck per l’estate.
Bowden impallidì. — Perché la cosa dovrebbe riguardarti, Margaret?
— È una bella giornata. Mi recherò a Ravensbeck per porgere le mie
condoglianze per la morte di Helen, come avrei dovuto fare l’estate scorsa.
Suo marito batté il pugno sul tavolo. — Non avremo nessun rapporto con
nessun membro di quella famiglia!
— Forse non ne avrai tu, ma io, sì — ribatté lei con voce ferma. — Durante
tutti questi anni ho ignorato la tua ossessione per Helen e l’odio che nutri per
tuo fratello, ma ora non più. Anthony ed Helen si sono innamorati e si sono
sposati. Il loro è stato un comportamento sconveniente, ma non hanno
commesso un crimine. Da parte tua, hai agito con malanimo nell’assumere
quel giovanotto perché dimostrasse che Anthony è un assassino.
Bowden rimase a bocca aperta. — Come sei venuta a saperlo?
— Ti ha tradito la tua stessa impazienza. — Margaret si alzò in piedi. — In
realtà, non hai mai conosciuto davvero Helen. Era una donna dal carattere
tempestoso, che ti avrebbe rovinato l’esistenza. Ha avuto delle relazioni, e lo
sai. L’avresti accettato da una moglie? È improbabile, perciò devi smetterla di
spasimare per lei come un liceale.
Lui si alzò in piedi gridando: — Ti proibisco di andare a Ravensbeck!
— Mi terrai prigioniera, mio signor marito? — chiese Margaret con soave
sarcasmo. — Mi impedirai di rientrare in casa dopo che avrò fatto visita a tuo
fratello? Non credo.
— Ti sei forse consumata d’amore per lui in tutti questi anni? Anche tu ti
sei incontrata con lui di nascosto, come tutte le altre sue donnacce?
— Non essere stupido, Marcus — replicò Margaret con voce gelida. — Sei
libero di non accompagnarmi, ma non puoi fermarmi.
Gli voltò le spalle e lasciò la stanza; nonostante la fermezza dimostrata, le
tremavano le mani. In tutti gli anni del loro matrimonio non aveva mai
messo alla prova l’influenza che aveva sul marito. C’era il rischio che l’avesse
sopravvalutata, ma quasi tre decenni vissuti all’ombra di un’altra donna
erano troppi. Era tempo di rischiare, nella speranza che la loro unione ne
uscisse rafforzata.

Lord Bowden crollò sulla sedia, con la sensazione che il pavimento si


stesse incrinando sotto i suoi piedi e lui fosse sul punto di piombare
nell’abisso. Come poteva Margaret tradirlo in quel modo?
Ma non l’aveva forse tradita anche lui, restando prigioniero per tutti
quegli anni dell’ossessione di un’altra donna? Ripensò a Helen e alla sua
bellezza, e si rese conto che quello che provava non era amore, ma il ricordo
dell’amore. La donna dei suoi sogni non l’avrebbe abbandonato per un altro
uomo. Quella donna esisteva soltanto nella sua fantasia.
Anthony ed Helen si sono innamorati e si sono sposati. Il loro è stato un
comportamento sconveniente, ma non hanno commesso un crimine.
Se Anthony aveva causato la morte di Helen, si trattava senz’altro di un
crimine. Ma c’era stato davvero un delitto? Cominciava a dubitarne. Fino a
che punto la sua convinzione era dettata solo dal desiderio di punire il
fratello perché Helen l’aveva preferito a lui?
Provò una fitta di dolore. Da chi aveva ricevuto amicizia e felicità in tutta
la sua vita? Da Margaret. In tutti quegli anni l’aveva sempre circondato di
affetto e tenerezza. Ora, in pochi minuti, gli aveva tolto l’amore e la lealtà che
lui aveva sempre dato per scontati.
Corse alle stalle e ordinò che gli sellassero il cavallo. Quindi, partì
all’inseguimento della moglie, senza sapere se avrebbe cercato di fermarla o
sarebbe andato con lei.

A colazione, Rebecca annunciò: — Vado a fare un picnic, probabilmente


passerò la giornata disegnando.
Sir Anthony chiese: — In che direzione devo farti cercare se ti scordassi di
tornare per la cena?
— Pensavo di fare una passeggiata fino a Skelwith Crag.
Lui annuì, intuendo il motivo che la spingeva a scegliere quella meta.
Rebecca immaginava che anche il padre si sarebbe recato in pellegrinaggio
alla rupe non appena si fosse sentito pronto.
Nella regione dei Laghi faceva più fresco che a Londra, e la neve
imbiancava ancora le cime più alte.
Poiché non aveva fretta di arrivare a destinazione, Rebecca mantenne un
andatura moderata, fermandosi di tanto in tanto a raccogliere fiori selvatici.
Ma alla fine, in preda alla trepidazione, arrivò a Skelwith Crag: era una collina
coronata da betulle, con una parete a picco, dalla quale si godeva la vista di
una valle solcata da un fiume.
Uscì dal bosco di betulle e posò il cestino a terra. Quindi, dopo aver
ammirato il panorama che conosceva nei minimi particolari, concentrò
l’attenzione sulla rupe. Prima dello strapiombo vero e proprio c’era un tratto
di terreno inclinato, la cui pendenza aumentava fino all’ultimo salto fatale.
Non era impossibile, in un momento di distrazione, spingersi troppo avanti e
perdere l’equilibrio.
Incidente? Suicidio? Delitto? Rebecca dubitava che sarebbero riusciti a
scoprire la verità. Provò una pena acuta e si chiese se sarebbe mai riuscita a
piangere per la madre.
A uno a uno, lanciò i fiori nel vuoto. Trovò quindi un posto assolato e
protetto dal vento e si sedette, con la schiena appoggiata a una roccia. Pensò
che una persona religiosa avrebbe pregato per l’anima della madre. Lei,
invece, aprì la scatola degli acquerelli.
Helen Seaton avrebbe capito.

Frazier si affacciò a una finestra dell’attico e sollevò il cannocchiale per


perlustrare la valle. Il suo sguardo andò automaticamente a Skelwith Crag.
Non si aspettava di vedere niente, invece c’era qualcuno. Una donna in un
abito blu scuro, seduta vicino a una roccia.
Trattenne il respiro per l’eccitazione quando si rese conto che era quella
dannata figlia di Anthony, intenta a disegnare. Perfetto.
Andò nella sua camera e prese la sottile fascetta d’oro, quindi scese alle
stalle. La cavalcata avrebbe richiesto almeno un’ora. Poiché lei stava
disegnando, al suo arrivo l’avrebbe trovata ancora lì.
Ma non ci sarebbe rimasta a lungo.

Kenneth arrivò a Ravensbeck nella tarda mattinata. Salì i gradini a tre alla
volta e, quando entrò nella bella casa di pietra grigia, fu accolto da un lacchè.
— Lord Kimball, siete in anticipo. Sarete impaziente di vedere la signorina
Rebecca, immagino.
— Esatto. Dov’è?
— Credo che sia andata a fare una passeggiata sulle colline.
Kenneth imprecò. — Dov’è sir Anthony? Lady Claxton?
— Sono in giardino. Volete che vi accompagni?
— Sì, per favore — rispose Kenneth, fremendo per l’impazienza.
Sir Anthony e Lavinia stavano godendosi un pallido sole. Vedendolo,
l’uomo esclamò, sorpreso: — Avete già terminato di organizzare i lavori di
ristrutturazione? Con voi a capo dell’esercito, Napoleone sarebbe stato
sconfitto molto più velocemente.
— Sono venuto perché sono preoccupato per la vostra incolumità. Frazier
si trova qui?
— No, che io sappia.
— Forse è qui — intervenne Lavinia. — Stamattina, una delle cameriere ha
detto che, quest’anno, tutti i londinesi sono arrivati prima del solito. Al
momento non ci ho fatto caso, ma può darsi che si riferisse a Frazier, che
abita a poche miglia da qui.
Kenneth imprecò di nuovo. — Credo che sia stato lui a incendiare la casa,
e sospetto anche che abbia ucciso lady Seaton l’estate scorsa.
Ci fu un attimo di silenzio esterrefatto, quindi sir Anthony esclamò: — È
assurdo! La morte di Helen è stata un incidente. È una follia accusare uno dei
miei più vecchi amici.
Kenneth scrollò la testa. — L’ipotesi dell’incidente non regge. So che le
persone a lei vicine sospettavano che si fosse trattato di un suicidio, ed è per
questo che siete tutti così reticenti.
Sir Anthony impallidì. — Avete parlato con Rebecca.
Kenneth annuì. — Da quanto mi ha detto, credo che se lady Seaton avesse
deciso di togliersi la vita, probabilmente l’avrebbe fatto in inverno, quando la
sua depressione si aggravava. Non in estate.
Lavinia posò una mano su quella di Anthony. — Dagli retta, caro. Dice
cose sensate, soprattutto sul conto di Frazier. Può darsi che il suo rancore per
il tuo successo abbia prevalso sull’amicizia.
— Vi spiegherò più tardi — insistette Kenneth con impazienza. — Ma
prima devo trovare Rebecca. Sapete dove è andata?
— A Skelwith Crag, dove Helen è morta — rispose sir Anthony.
Lavinia aggrottò la fronte. — Credo che la rupe sia visibile dalla casa di
Frazier. Ma che motivo avrebbe per farle del male?
— Che motivo aveva per uccidere lady Seaton? — ribatté Kenneth. —
Secondo me, è un po’ più che matto, e non voglio correre rischi. C’è uno
stalliere che possa condurmi subito alla rupe?
— Vi ci porterò io stesso. — Sir Anthony si alzò in piedi. — Anche se non vi
credo, la vostra ansia è contagiosa.
— Andiamoci subito. A cavallo.
Mentre cavalcavano, Kenneth gli fece un resoconto dettagliato di quanto
aveva scoperto. Quando gli rivelò quale incarico avesse ricevuto da lord
Bowden, sir Anthony commentò con ironia: — Così, è stato Marcus a
trovarmi un segretario. Gli scriverò un biglietto per ringraziarlo. Gli seccherà
sapere di avermi fatto un favore.
— Potete perdonare la mia doppiezza? — chiese Kenneth, sorpreso.
— Anche se vi siete introdotto in casa mia con l’inganno questo non
significa che abbiate un carattere infido.
— Vorrei che Rebecca fosse ugualmente tollerante.
— Ah. È per questo che non porta più il vostro anello.
— Non mi ero reso conto che ve ne foste accorto.
— Noto molte cose, ma mi è sembrato meglio non interferire. —
Arrivarono a un bivio e sir Anthony prese il sentiero sulla sinistra. — Temo
che mia figlia abbia difficoltà a fidarsi degli altri. Per lei è più facile aspettarsi
sempre il peggio dalla gente. Era una ragazzina molto tranquilla, e non dava
mai l’impressione di essere turbata dalle sregolatezze dell’ambiente artistico.
Solo quando fuggì con quell’idiota, mi resi conto che non le avevamo dato la
stabilità di cui un bambino avrebbe avuto bisogno. Ma ormai il danno era
fatto. Ecco perché pensavo che uno di carattere come voi fosse l’uomo giusto
per lei. Deve avere al suo fianco qualcuno di cui fidarsi.
L’analisi di sir Anthony spiegava senz’altro perché Rebecca aveva reagito
così male scoprendo il suo inganno. L’aveva giudicato e condannato e lui,
confuso com’era sul proprio futuro, non aveva migliorato le cose. Ma, perdio,
ora sapeva cosa voleva.
Kenneth accantonò quel pensiero e spiegò quali fossero i motivi per cui
riteneva che Frazier fosse un assassino e un incendiario. Mentre parlava, sir
Anthony ascoltava, sconvolto e sempre più convinto.
Quando Kenneth ebbe terminato, disse: — Se Helen non si è uccisa… — gli
si spezzò la voce. — Non potete capire cosa significhi per me. — Sul suo volto
era dipinto un grande dolore, ma anche il sollievo per essersi liberato da un
simile fardello.
Da quel momento, proseguirono in silenzio. L’ansia che Kenneth aveva
provato quando Rebecca aveva lasciato Londra era cresciuta fino a diventare
panico, anche se il cervello gli diceva che forse stava solo ingigantendo i
pericoli.
Sarebbe stato felicissimo di scoprire che si era sbagliato.
32

— Buongiorno, Rebecca.
Lei sussultò, spaventata, nell’udire quella voce familiare. Il vento le aveva
impedito di udire il rumore dei passi che si avvicinavano. — Buongiorno, lord
Frazier — rispose con freddezza. — Non sapevo che sareste arrivato così
presto quest’anno.
— Ho seguito un impulso.
Rebecca era seccata dal fatto di trovarselo sempre tra i piedi. A quanto
pareva, quell’uomo non aveva una vita indipendente, ma orbitava sempre
intorno a suo padre. Tuttavia, non poteva essere scortese. — La campagna è
un sollievo dopo la città.
Frazier frugò nel taschino del panciotto. — Volevo… consegnarvi un
piccolo dono.
— Se è un regalo di fidanzamento, devo rifiutarlo. Lord Kimball e io
abbiamo deciso che non siamo fatti l’uno per l’altra.
— Non è un regalo di fidanzamento. Ecco, prendete.
Riluttante, lei tese la mano e Frazier le mise nel palmo un piccolo oggetto.
Era il cerchietto mancante dell’anello di sua madre, quello con il cuore.
Rebecca lo fissò, pervasa di colpo da una paura agghiacciante. Kenneth
non si era sbagliato, era stato uno dei migliori amici del padre a uccidere sua
madre.
Pur sentendosi soffocare dal terrore, s’impose di mascherarlo. — Che
grazioso anello. Grazie, lord Frazier.
— Mettetelo — le ordinò luì.
Con dita tremanti, Rebecca lo infilò all’anulare della mano sinistra. — Mi
sta un po’ largo — disse, accennando a levarlo.
— Non toglietelo — Frazier disse in tono imperioso.
— Helen aveva il dito un po’ più grosso, ma non importa. L’anello è
indispensabile.
Ansiosa di allontanarsi, Rebecca disse in tono vivace, iniziando a riporre le
sue cose nel cestino: — Informerò mio padre che siete arrivato. Sono sicura
che vorrà invitarvi a cena stasera.
— Lascia perdere. Non avrai bisogno dei tuoi acquerelli per raggiungere
tua madre.
— Non capisco — rispose Rebecca, fingendo, spaventata soprattutto dalla
sua terribile calma.
Lui fece flettere il frustino tra le mani. — Credo, invece, che tu capisca
benissimo. Sei timida, ma non stupida. Ancora sconvolta per la triste fine di
tua madre, ti unirai a lei nella morte. Peccato che il significato dell’anello non
sarà compreso.
Non vedendo vie di fuga, Rebecca pensò, come ultimo disperato tentativo,
di incrinare la sua fredda determinazione. — Se mi ucciderete, Kenneth lo
capirà. Ha già intuito che mia madre è stata assassinata, e si renderà conto
che la stessa cosa è successa a me.
Frazier si limitò a stringersi nelle spalle. — Kimball dev’essere più
intelligente di quanto sembra, ma non gli servirà a niente. Avevo già in mente
di eliminarlo. Mi irrita vederlo pavoneggiarsi per gli insulsi elogi che
riscuotono i suoi brutti quadri.
— Non potete competere con lui — disse Rebecca con disprezzo. — È un
soldato. Potrebbe spezzarvi in due con le nude mani.
— Anche i soldati muoiono se colpiti al cuore da una pallottola. E io sono
un ottimo tiratore. — Frazier avanzò di un passo.
— Perché fate questo? — gridò lei, con il cuore stretto in una morsa di
terrore. — Mio padre è sempre stato vostro amico! Come potete permettere
che la gelosia vi trasformi in un assassino?
Frazier si arrestò. — Anthony è mio amico, l’amico più caro che abbia.
L’unica cosa che amo di più è l’arte. Non ho agito contro di lui, ma contro le
perverse influenze che hanno corrotto la sua opera.
— Corrotto la sua opera? È uno dei migliori pittori che l’Inghilterra abbia
mai avuto. I suoi ritratti, i suoi paesaggi, i suoi quadri storici… sono tutti
stupendi.
Uno spasimo alterò i lineamenti di Frazier, incrinandone la freddezza. — È
t u t t a spazzatura. Helen ha rovinato l’artista che c’era in lui. Quando
frequentavamo insieme la Royal Academy, aveva una passione per quanto di
più elevato c’è nell’arte. I suoi primi quadri erano nobili e raffinati.
— Erano ottimi per tecnica ed esecuzione, ma non avevano niente di
memorabile — replicò Rebecca — Solo in seguito ha acquistato uno stile
personale.
Le dita di Frazier si contrassero intorno al frustino.
— Helen l’ha distrutto! Per mantenerla, è stato costretto a dipingere
quadri volgari, dai quali Hampton potesse ricavare incisioni da vendere a
qualsiasi pescivendolo che avesse qualche scellino in tasca. L’ideale del
neoclassicismo è di trascendere la natura, non di sguazzarvi dentro.
— Mio padre trascende il neoclassicismo. Lui e altri veri artisti hanno una
visione innovativa della realtà. Non vomitano le stesse trite scene una dopo
l’altra.
— Kimball aveva ragione quando ha detto che eserciti una grande
influenza su di lui. — Frazier picchiò con rabbia il frustino sul palmo della
mano sinistra. — Avevo creduto che il vero problema fosse Helen, che dopo la
sua morte si sarebbe dedicato a opere più degne. Ma come poteva, con te
accanto che sputavi stupide sentenze sull’arte? È un peccato che quel poeta
idiota che ti ho messo alle calcagna si sia dimostrato così incapace.
Era un’altra rivelazione sconcertante. — Avete assoldato Frederick perché
mi seducesse?
— Non proprio. Mi sono limitato a fargli notare come sono romantici i
capelli rossi, e che un giorno saresti stata ricca. La sua immaginazione ha
fatto il resto. — Frazier scosse la testa. — Se l’avessi sposato e te ne fossi
andata dalla casa di tuo padre, non si sarebbe arrivati a questo. Devi
biasimare soltanto te stessa.
— Di tutte le cose che avete detto, questa è la più ridicola — Rebecca posò
la mano sulla bottiglia d’acqua che le serviva per pulire i pennelli, e si irrigidì,
pronta ad agire. — Non c’è da stupirsi che siate un pittore così mediocre. Il
vostro Leonida era patetico. Dipingevo meglio io a dieci anni.
Quelle parole gli fecero perdere definitivamente il controllo. Come una
furia, si lanciò su di lei. Rebecca gridò a pieni polmoni. E, al tempo stesso,
sollevò la bottiglia e gliela scagliò contro, colpendolo in piena faccia. Mentre
lui urlava per il dolore, Rebecca scattò in piedi e corse verso il boschetto di
betulle.
Aveva raggiunto i primi alberi quando Frazier si riprese e si gettò
all’inseguimento, coprendo la distanza che li divideva in pochi secondi. Un
attimo dopo, l’afferrò per il braccio e la fece girare con uno strattone. La sua
faccia insanguinata era una maschera di odio. Lei gridò di nuovo, cercando di
graffiarlo con le unghie.
— Maledetta! — Frazier le sferrò un pugno con violenza, colpendola al
diaframma. Rebecca crollò a terra, batté il capo contro il terreno e rimase
senza fiato, stordita e incapace di muoversi.
Mentre lui incombeva minaccioso su di lei, si rese conto di essere in balia
di un pazzo e che, tra pochi istanti, sarebbe diventata la donna che precipitava
dei suoi peggiori incubi.

— Skelwith Crag è al di là di quel bosco di betulle — disse sir Anthony


indicando davanti a sé.
Un grido di donna lacerò l’aria, seguito un attimo dopo da un urlo
maschile.
— Cristo! Rebecca! — Kenneth spronò il cavallo al galoppo e, precedendo
il compagno, si infilò tra gli alberi a una velocità pericolosa, chino sul collo
dell’animale per evitare i rami più bassi. Mentre avanzava, Rebecca gridò di
nuovo.
Quando finalmente emerse dal bosco e arrestò il cavallo, quasi sull’orlo
del precipizio, ai suoi occhi si presentò una scena che lo colmò di terrore: un
Frazier insanguinato stava trascinando Rebecca verso il ciglio della rupe. Il
suo corpo era inerte come quello di una bambola di stracci.
Kenneth reagì d’istinto, balzò a terra urlando a pieni polmoni per
disorientare l’avversario. E partì alla carica, estraendo la pistola dalla tasca
interna e alzandone il cane.
Frazier fece due lunghi passi verso il ciglio, sollevando Rebecca per
farsene scudo. — Stai lontano da me, Kimball!
Kenneth si arrestò di colpo e abbassò la pistola. Bastava un solo passo
falso e quel pazzo sarebbe precipitato trascinando con sé la sua vittima. — Se
uccidi Rebecca, sei un uomo morto, Frazier. Lasciala e potrai andartene,
libero. — Avanzò con cautela di un passo.
— Fermati, altrimenti farà la stessa fine di sua madre — urlò Frazier, fuori
di sé, con lo sguardo allucinato.
Kenneth si arrestò di nuovo. Non sapeva proprio come comportarsi con
un pazzo: Frazier era in preda a un’esaltazione pericolosa, e la prima vittima
della sua follia sarebbe stata Rebecca. Era scarmigliata e sembrava stordita,
ma Kenneth scorse un lampo di consapevolezza dei suoi occhi; sapeva di
essere vicinissima alla morte.
Nel silenzio teso che seguì, sir Anthony emerse dal bosco. Tirò le redini e
impallidì quando vide cosa stava accadendo. Smontò e disse con calma
deliberata: — Lo scherzo si è spinto troppo oltre, Malcolm. Portami Rebecca.
Un muscolo guizzò sulla guancia di Frazier. — Non è uno scherzo,
Anthony. Avevo sperato che alla fine sarei riuscito a ricondurti alla vera arte,
ma ho fallito. Non si può tornare indietro. — Abbassò lo sguardo su Rebecca.
— Almeno lei pagherà per aver contribuito a rovinare la tua opera. Non
avresti dovuto farti coinvolgere dalle donne, Anthony, servono solo per
andarci a letto. Ma dare retta alle loro parole è veleno per un vero artista.
Sir Anthony scosse la testa. — Nessuna donna ha avvelenato il mio lavoro.
Non Helen, non Rebecca, non Lavinia. Sono l’unico responsabile dei miei
difetti. — Sir Anthony cominciò ad avanzare con cautela. — Per amor del
cielo, non sfogare il tuo rancore sulla mia unica figlia. Se vuoi buttare
qualcuno giù da questa dannata rupe, lascia che sia io, non Rebecca.
— Non potrei mai farti del male — esclamò Frazier con voce angosciata. —
Tu sei mio amico. Il mio migliore amico.
Sul suo volto si stava dipingendo la consapevolezza di aver perso per
sempre tutto quello a cui teneva… l’amicizia di sir Anthony e il suo posto nel
mondo dell’arte. Quell’uomo era un codardo, e Kenneth capì con assoluta
certezza che, tra un istante si sarebbe sottratto a un’angoscia insopportabile
lanciandosi nel vuoto, portando con sé il suo ostaggio per puro spirito di
vendetta.
Non c’era tempo da perdere. Mentre l’attenzione di Frazier era puntata su
sir Anthony, Kenneth sollevò adagio la pistola e prese di mira la sua testa, pur
sapendo che correva il rischio di colpire Rebecca.
Nell’attimo stesso in cui Kenneth premeva il grilletto, Frazier fece un
passo verso il precipizio, cambiando sia la propria posizione sia quella della
sua prigioniera. Kenneth lo guardò inorridito mentre il proiettile lo colpiva
alla spalla, vicinissimo alla testa di Rebecca.
L’uomo lanciò un urlo di dolore e girò su se stesso, lasciando la sua
vittima, che cadde a terra, sbattendo con violenza contro il suolo, proprio
sull’orlo del precipizio.
Poi, lentamente, inesorabilmente, Rebecca cominciò a scivolare lungo il
pendio, verso il salto finale.
33

Mentre sir Anthony lanciava un grido disperato, Kenneth scattò verso la


rupe e si tuffò, atterrando sul ventre, con il braccio destro teso verso Rebecca.
Il suo corpo inerte era sul punto di precipitare oltre il ciglio.
Kenneth si trascinò in avanti e riuscì ad afferrarne il polso. Restarono per
un attimo immobili, schiacciati contro la superficie inclinata, prima di
cominciare a scivolare, attirati dall’implacabile forza di gravità.
Mentre lui cercava con i piedi e la mano libera un appiglio nel terreno, il
vento le sollevò i capelli e Kenneth vide inorridito che erano sporchi di
sangue. Se il proiettile aveva colpito lei prima di Frazier, poteva darsi che
fosse già morta.
Ma non l’avrebbe lasciata cadere. Annaspò con il braccio sinistro e afferrò
un cespuglio. Si sradicò quasi subito, ma resistette abbastanza a lungo da
permettergli di aggrapparsi a un cespuglio più robusto.
Guardò alla sua sinistra. L’appiglio successivo distava una trentina di
centimetri. Se fosse stato da solo, avrebbe potuto raggiungerlo aiutandosi con
mani e piedi, ma era impossibile con il peso di Rebecca che lo trascinava
verso il basso.
Anche se dubitava che potesse udirlo, le disse a denti stretti: — Fidati di
me, Rossa, non voleremo nel vuoto.
Ma era una spacconata perché, appena il cespuglio avesse ceduto, niente
avrebbe più frenato la loro caduta.
In quel momento, una forte folata di vento investì i loro corpi distesi. E
per un attimo Kenneth sentì diminuire il peso di Rebecca, decise di sfruttare
al meglio quella situazione e chiamò a raccolta tutte le sue energie. Lasciò
andare il cespuglio, che stava ormai per cedere, e con uno scatto disperato
riuscì ad aggrapparsi a una pietra ben salda nel terreno.
Ansimando per la fatica, attirò Rebecca verso di sé finché riuscì a metterle
il braccio destro intorno alla vita. Tenendola stretta, si trascinò verso l’alto,
mentre i muscoli del braccio sinistro tremavano per lo sforzo di reggere il
peso dei loro due corpi.
Si fermò un attimo per riprendere fiato, quindi si allungò verso l’appiglio
successivo. La pendenza stava diminuendo, e diventava più facile conquistare
un pezzetto di terreno alla volta.
Dovette ripetere quei momenti cinque o sei volte prima di raggiungere un
tratto più pianeggiante. Troppo esausto per alzarsi, rimase immobile per
recuperare il respiro, con il corpo inerte di Rebecca abbandonato contro il
suo. Le tastò la gola, ma non avvertì nessun battito. In preda alla
disperazione, si sedette, le mise una mano sul petto ed ecco, sì, il suo cuore
batteva ancora.
Con un sospiro di sollievo, guardò verso l’alto. Anche se gli era parso
un’eternità, era passato pochissimo tempo da quando aveva fatto fuoco. Sir
Anthony stava correndo verso di loro mentre Frazier barcollava, premendosi
la mano destra sulla spalla sinistra.
Inginocchiandosi accanto alla figlia, sir Anthony gridò con rabbia: — Sarai
impiccato per quello che hai fatto, Malcolm. Lo giuro davanti a Dio.
Frazier sussultò, come se fosse stato colpito. Quindi, sul suo volto si
dipinse un’espressione di fredda arroganza. — Sono vissuto e ho dipinto
secondo i canoni del neoclassicismo, e così morirò.
Si raddrizzò in tutta la sua altezza e si lanciò nel vuoto.
Non gridò mentre precipitava e se ci fu un rumore quando si schiantò al
suolo, se lo portò via il vento.
— Stupido — imprecò sir Anthony. — Maledetto stupido. Era ricco, aveva
talento e nutriva una vera passione per l’arte. Perché diventare un assassino?
— La vera passione di Frazier non era dipingere — rispose Kenneth,
esaminando la ferita di Rebecca — ma imporre le sue idee al mondo.
Aveva anche amato sir Anthony, troppo e nel modo sbagliato, pensò
Kenneth, e aveva sfogato un rancore violento sulle donne che lo
circondavano.
Sir Anthony prese la figlia tra le braccia, macchiandosi la camicia di
sangue. — La pallottola l’ha… l’ha colpita?
— No. Si è fatta un taglio alla testa sbattendo contro la pietra, ma il battito
cardiaco e il respiro sono normali. — Kenneth prese un fazzoletto, lo piegò
per farne un tampone, quindi lo applicò alla ferita, legandolo con la cravatta.
Si alzò e sollevò Rebecca tra le braccia. Aveva un’aria così fragile da
spezzare il cuore. Eppure, era riuscita a tener testa a un uomo tanto più
robusto di lei abbastanza a lungo da salvarsi la vita. "Rossa indomabile"
pensò Kenneth, posandole un bacio sulla tempia.

Tornati a Ravensbeck, Kenneth adagiò Rebecca sul divano del salotto,


mentre sir Anthony dava ordini ai domestici perché portassero l’occorrente
per medicarla e chiamassero un medico con la massima urgenza.
Lavinia accorse, pulì e medicò la ferita prima di fasciarla. Seduto sul
bracciolo del divano, Kenneth teneva una mano sulla spalla di Rebecca,
deciso a non allontanarsi da lei un solo istante.
Sir Anthony stava sfogando l’ansia camminando avanti e indietro per il
salotto quando una voce maschile esclamò: — Buon Dio, cos’è successo?
Alzando lo sguardo, Kenneth vide lord e lady Bowden in piedi sulla porta.
Come mai si trovavano a Ravensbeck? si chiese.
Mentre sir Anthony li fissava, allibito, Bowden gli si avvicinò, osservando
con aria preoccupata la camicia sporca di sangue.
Sir Anthony si passò le dita tra i capelli scarmigliati.
— Sto bene, Marcus. Mia figlia ha battuto la testa, ma Kenneth dice che
non è niente di grave.
Bowden guardò verso il divano, dove giaceva Rebecca, svenuta. — Cosa
diavolo è successo?
— Uno dei miei più vecchi amici è impazzito e ha tentato di ucciderla —
rispose sir Anthony. — Aveva già ucciso Helen.
Nella stanza piombò il silenzio, quindi Bowden guardò Kenneth, che
annuì dicendo: — È vero. Il colpevole è lord Frazier.
Ritrovando la sua solita ironia, sir Anthony chiese: — A cosa devo l’onore
di questa visita inaspettata, Marcus?
— Margaret mi ha finalmente detto senza mezzi termini che mi sono
comportato come uno stupido imbecille riguardo a te e a Helen, e che era
tempo che ti chiedessi scusa.
— Lo sai che non userei mai un linguaggio così volgare, Marcus — lo
rimproverò lady Bowden.
Sir Anthony sorrise. — Non sei cambiata, Margaret. È un piacere vederti.
— Le prese la mano e gliela strinse con affetto prima di rivolgersi al fratello.
— In lei hai avuto una moglie di gran lunga migliore di quanto sarebbe stata
Helen. Non era per niente docile e ti avrebbe fatto impazzire.
— Sono un uomo fortunato — ammise Bowden con una smorfia. — E tre
volte imbecille per non essermene accorto prima.
— Ogni cosa a suo tempo, mio caro. Prima, non eri pronto ad ascoltare
quello che dovevo dirti — replicò lady Bowden, posandogli una mano sul
braccio.
Lui deglutì a fatica. — Dopo il modo in cui mi sono comportato per tutti
questi anni, mi permetterai di mettere piede in casa tua, Anthony?
— Saresti stato sempre il benvenuto, Marcus. Sempre — rispose il fratello,
tendendogli la mano.
Pensando che i due uomini avrebbero avuto molte cose di cui parlare,
Kenneth disse a Lavinia: — Porterò Rebecca nella sua camera. Ha bisogno di
riposare tranquilla.
Lavinia annuì. — Ti faccio strada.
Kenneth sollevò Rebecca con estrema delicatezza. Ancora priva di sensi,
lei sospirò e gli appoggiò la testa contro la spalla.
Lord Bowden ne studiò il volto pallido. — Assomiglia molto a Helen —
commentò, con una nota di meraviglia.
— Ha la bellezza di Helen e il mio talento. — Sir Anthony prese dal divano
la coperta e coprì la figlia. Quindi, dando un’occhiata a Lavinia, aggiunse in
tono di sfida. — Credo che tu conosca lady Claxton. Intendiamo sposarci
appena il periodo di lutto sarà finito.
Forse lord Bowden avrebbe fatto fatica a digerire quella notizia, ma non
sua moglie.
Margaret prese la mano di Lavinia e disse con calore: — È stupendo. Una
volta Helen mi disse di sperare che voi avreste sposato Anthony, se le fosse
capitato qualcosa, perché eravate la sua migliore amica e l’unica donna in
grado di prendersi cura di lui.
— Tu e Helen eravate in contatto? — esclamò suo marito, incredulo.
— A volte, in città, le nostre strade si incrociavano.
Bowden scosse la testa, quindi disse con grande cortesia: — Vi prego di
accettare i miei migliori auguri, lady Claxton.
— Grazie, lord Bowden. E non preoccupatevi. Non sono così perversa
come pensate — replicò Lavinia in tono soave, prima di seguire Kenneth fuori
dalla stanza.

Rebecca si svegliò con la testa che le pulsava. Batté le palpebre e si rese


conto di trovarsi nel suo letto. La stanza era debolmente illuminata solo da
un focherello e da una lampada. Sentì vicino a lei il suono familiare di un
pennino che grattava sulla carta.
Voltò la testa e vide Kenneth seduto in una poltrona poco distante dal
letto. Teneva sulle ginocchia un assicella per disegnare ed era intento ad
aggiungere particolari a quello che sembrava un acquerello. Aveva un’aria
stanca e, nella penombra, i suoi lineamenti erano contratti.
Deglutendo per alleviare l’arsura alla gola, bisbigliò: — Ogni momento è
buono per disegnare, vero?
Lui alzò la testa e un sorriso ne addolcì l’espressione. — Ti sei svegliata,
finalmente. Come ti senti?
— Assetata — rispose Rebecca, passandosi la lingua sulle labbra.
Kenneth posò l’assicella e andò a riempire un bicchiere d’acqua. Quando
glielo portò, lei si mise seduta e bevve a piccoli sorsi. Poi, dissetata, si
appoggiò ai cuscini e chiese: — Per quanto tempo sono rimasta priva di
conoscenza?
— Circa dieci ore.
— Cos’è… successo?
— Qual è il tuo ultimo ricordo?
Lei rifletté un attimo. — Lord Frazier che mi colpisce con violenza. Mi
stava trascinando verso la rupe quando tu hai fatto irruzione come un
reggimento di cavalleria. Sei uno spettacolo che incute terrore, capitano.
— Ho alle spalle un sacco di pratica — rispose lui con modestia.
— Poi è arrivato mio padre, e c’è stato uno sparo. Hai colpito Frazier,
vero? Non ricordo niente altro. — Rebecca si toccò con cautela la testa
bendata. — Il proiettile mi ha colpito?
— No, ma ha raggiunto alla spalla Frazier, che ti ha lasciato cadere
facendoti sbattere la testa. Per fortuna, l’hai dura come un sasso. Il dottore
dice che non è niente di grave. La ferita di Frazier era superficiale, ma quando
ha capito che la resa dei conti era arrivata, si è lanciato nel vuoto.
Rebecca serrò le labbra. — Se fossi una santa, potrei provare pietà per la
sua pazzia. Invece, sono contenta che sia morto.
— Da parte mia, avrei preferito che fosse impiccato, in pubblico. Ma forse
è meglio che sia andata così, in questo modo tu e tuo padre non dovrete
affrontare la tensione di un processo. — Kenneth guardò verso il camino. —
C’è della zuppa in caldo. Ne vuoi un po’?
Rebecca annuì e solo in quel momento si rese conto che sua madre era
stata assassinata. Non si era trattato di un suicidio e saperlo con certezza le
procurò un enorme sollievo.
Mentre accettava la ciotola dalle mani di Kenneth, si chiese per la prima
volta che cosa ci facesse a Ravensbeck. — Non dovresti essere ancora a
Londra?
— Mi sono precipitato qui per via di alcune parole che ho trovato nel
diario di tua madre. — Le spiegò in breve cos’aveva scoperto, quindi aggiunse:
— Il motivo specifico per cui mi trovo ora nella tua camera da letto è che mi
sono imposto con la forza a Lavinia, a tuo padre, a lady Bowden e a tutti
quelli che volevano restare al tuo capezzale finché ti fossi svegliata. Per
fortuna, sono molto più grosso di loro.
— Lady Bowden?
— L’altro importante avvenimento della giornata è che Bowden e tuo
padre si sono riappacificati.
— Cosa!
Kenneth scoppiò in una risatina. — Sospetto che lady Bowden abbia detto
al marito che era ora che crescesse, e che abbia minacciato di sbatterlo a calci
fuori dal letto se non l’avesse fatto.
Rebecca sorrise, immaginando la sua dolce zia mentre diceva una cosa del
genere. — Ne sono felice. Credo che mio padre soffrisse per questa
situazione. Nella sua voce c’era sempre una nota di rimpianto quando
accennava al fratello.
— Dubito che Bowden abbia mai seriamente pensato che tuo padre fosse
un assassino. Poiché era troppo orgoglioso per fare il primo passo, ha deciso
di incaricarmi di indagare perché era un modo per non rompere tutti i legami
con la memoria di Helen e con sir Anthony. Mostrarsi indifferente sarebbe
stato come perderli tutti e due.
— Un classico esempio di come amore e odio possano essere le due facce
di una stessa medaglia. — Rebecca terminò la zuppa e posò la ciotola sul
comodino. — Bowden dev’essere soddisfatto del risultato delle tue indagini.
Kenneth annuì. — Cancellerà le ipoteche. Anche se mi sembra una
ricompensa troppo alta per quello che ho fatto, vuole che i termini del nostro
accordo vengano rispettati.
— Hai scoperto l’assassino, e dunque è merito tuo se lord Bowden e mio
padre si sono riconciliati. Credo che abbia fatto un buon affare.
— Ah, ma ho anche conosciuto te. Mi sarebbe bastata come ricompensa.
Kenneth posò la sua ciotola e si protese verso di lei, con il volto teso per
l’emozione. — Adesso che sono in grado di sposarmi, ti avverto: farò di tutto
per trascinarti davanti all’altare. Non posso cambiare il passato, ma spero
conti qualcosa il fatto che ti amo alla follia. — I suoi occhi s’incupirono. —
Non… non mi ero reso conto di quanto ti amassi fino al momento in cui ho
rischiato di perderti per sempre.
Mise una mano in tasca e tirò fuori la fede araba. — Ho trovato il
cerchietto con il cuore al tuo dito, e l’ho unito agli altri due. — Glielo porse. —
L’anello è di nuovo completo.
Rebecca lo fissò, quasi soffocata dal caos di emozioni suscitato dalle sue
parole. Spaventata dalla loro intensità, posò l’anello e disse, in un tentativo
disperato di cambiare argomento: — Cosa stavi disegnando?
Kenneth impallidì davanti a quel palese rifiuto, e rimase un momento in
silenzio prima di rispondere: — Stavo passando a inchiostro alcuni
particolari, ma non è un soggetto adatto agli occhi di una convalescente.
— Promette di essere molto interessante — commentò lei in tono leggero.
Kenneth si strinse nelle spalle e le mise la tavoletta sulle ginocchia. — Ho
disegnato quello che era il mio incubo peggiore. Adesso ne ho uno nuovo… la
vista di te che vieni trascinata verso un precipizio da un pazzo.
L’acquerello rappresentava con grande forza espressiva un enorme albero
in un’assolata pianura spagnola. Era l’alba, il cielo era chiaro e tinteggiato con
colori delicati… e dai rami pendevano i cadaveri di una donna e di un uomo. I
lunghi capelli neri della donna ondeggiavano al vento, nascondendole il volto.
Con un senso di nausea, Rebecca capì subito il suo significato. — È la
morte di Maria?
Kenneth annuì. — L’unica consolazione che mi era rimasta, dopo che mi
avevano catturato e avevano giustiziato i guerriglieri, era sapere che Maria
era ormai lontana, e che con lei c’era il fratello maggiore, Domingo. In catene,
mi misero su un cavallo per portarmi al quartiere generale dei francesi. Era
già notte fonda quando ci accampammo accanto a un albero. Era troppo tardi
per accendere un fuoco, così mangiammo un boccone al buio, quindi ci
avvolgemmo nelle nostre coperte. Ma io… io non riuscivo a dormire. C’era
qualcosa che mi disturbava, benché non avessi idea di cosa fosse. Alla fine
svegliai l’ufficiale che mi aveva in custodia e lo convinsi a spostarsi di trenta
o quaranta passi. La sensazione era meno orribile, ma non riuscii ugualmente
a chiudere occhio. Poi, quando si alzò il sole, vidi Maria e Domingo.
— Dev’essere stato orribile — bisbigliò Rebecca, con la gola così contratta
da non riuscire quasi parlare. — È un miracolo che tu non sia impazzito.
— Ho vissuto come un pazzo per un po’ di tempo. — Kenneth chiuse gli
occhi, con uno spasimo di dolore. — Due giorni dopo, riuscii a fuggire. Tornai
al mio reggimento e da allora mi rifiutai di far parte dei servizi segreti. Devo a
Michael se non persi la ragione. Non parlai mai di quello che era successo,
ma lui si rese conto di quanto fossi disperato e mi rimase sempre vicino.
Rebecca si protese a prendergli la mano. Avvertì un brivido, che
intensificò le emozioni che vibravano nell’aria.
— Maria è morta per la Spagna — disse sottovoce. — Adesso, il suo paese è
libero, e lei e i suoi fratelli sono in pace.
— Spero con tutto il cuore che sia vero.
Rebecca ne avvertì il dolore lacerante, che trovò identico a quello che era
sepolto nel suo animo, abbattendo le fragili barriere che la proteggevano da
una tristezza insopportabile. Era una donna adulta, avrebbe dovuto trovare la
forza di accettare la morte della madre e continuare la propria vita. Eppure,
nel suo animo c’era un oceano di sofferenza che bruciava come lava
incandescente.
— Credi in Dio? — chiese, con voce rotta dall’angoscia. — Credi nel
paradiso?
Lui esitò, quindi disse lentamente: — Credo in un’energia vitale che
supera la nostra comprensione, e credo che lo spirito non possa essere
distrutto. Maria e tua madre non sono soltanto in pace… da qualche parte
sono vive e reali non meno di te e me.
Le lacrime che aveva soffocato dalla morte di sua madre eruppero con
violenza. Rebecca scoppiò in un pianto dirotto. Aveva sempre temuto che, se
avesse cominciato a piangere, non sarebbe più riuscita a fermarsi, e ora
sapeva che quella paura era reale.
Il letto s’incurvò sotto il peso di Kenneth. Le tolse la tavoletta con il
disegno dalle ginocchia e la prese tra le braccia, tenendola stretta come per
proteggerla dalla tempesta che la stava squassando. Singhiozzando, scossa da
un tremito convulso, lei si rannicchiò contro il suo petto, debole e indifesa
come quando Frazier la stava trascinando verso la morte.
Ma in quel frangente era riuscita a conservare la calma. Ora, invece,
riviveva tutte le sofferenze passate. Era stata una bambina tranquilla,
bisognosa di attenzioni che nessuno le dava, un’adolescente confusa dalle
infedeltà degli adulti. Aveva sopportato la condanna della società, e la
deprimente convinzione di non essere importante per i suoi genitori,
impegnati a vivere la loro vita con drammatica intensità.
Aveva sofferto soprattutto la solitudine, e la sconsolante certezza che non
sarebbe mai stata amata. Di non essere degna di amore.
Ma non era sola. Le braccia di Kenneth la cullavano, impedendole di
annullarsi nella disperazione. Avvertiva, sotto la guancia, il battito costante
del suo cuore. Anche se la loro relazione era nata con una menzogna, doveva
riconoscergli il merito di essere sempre stato leale e gentile con lei. Perfino la
perdita più dolorosa della sua vita trovava sollievo nel calore e nella
comprensione che solo lui aveva saputo offrirle.
Era finalmente in grado di riconoscere che il dolore aveva paralizzato ogni
altra emozione. Ora che gli aveva dato libero sfogo, altri sentimenti
prorompevano, impetuosi come le acque di un fiume in primavera. E solo in
quel momento si rese conto della propria capacità di amare, sentì come ogni
fibra del suo corpo vibrava per l’intensità dei sentimenti che provava per
Kenneth.
E, grazie al suo amore, ora capiva anche molte altre cose. Quel giorno, suo
padre aveva offerto la propria vita in cambio della sua. E anche sua madre
l’aveva amata, a modo suo, compatibilmente con il suo carattere instabile e
tormentato.
Un’immagine le sbocciò vivida nella mente. — Oggi mia madre era là,
Kenneth — bisbigliò con voce roca. — Credo di averla vista mentre ero priva
di sensi. Era tutta luce, come un angelo, e stava cercando di salvarmi la vita. È
possibile?
— Quando si è in bilico tra la vita e la morte, il velo tra il visibile e
l’invisibile si assottiglia, Rebecca. Frazier ti ha lasciata cadere quando l’ho
colpito. Tu hai cominciato a scivolare verso il ciglio della rupe. Sono riuscito
ad afferrarti, ma il pendio era troppo ripido per risalirlo. Eravamo appiattiti
contro la roccia, sul punto di precipitare, quando siamo stati investiti da una
forte raffica di vento. Non so come, ma mi ha permesso di portarci in salvo.
Mi è sembrato soprannaturale, e giuro che ha fatto la differenza tra vivere e
morire. Forse era tua madre, che ci ha prestato la sua forza perché potessimo
salvarci.
Un senso di pace dilagò nel cuore di Rebecca. L’amore, la serenità e
l’immortalità erano reali, ed era stato un rude soldato a insegnarglielo.
Sollevò la testa a guardarlo. — Ti amo, Kenneth. Non lasciarmi mai.
Un sorriso gli illuminò il volto. — Non posso prometterti che non morirò,
ma sarò sempre con te, Rebecca, con lo spirito se non con il corpo. — Si chinò
per baciarla mormorando: — Per sempre.
Il suo bacio era come balsamo. Rebecca si abbandonò sui cuscini,
trascinandolo con sé. — Facciamo l’amore, Kenneth. Ti prego.
Lui l’accarezzò con tenerezza, ma la sua fronte era aggrottata. — Il colpo
alla testa è stato molto forte.
— Quando mi baci, la testa non mi fa affatto male. — Rebecca gli premette
le labbra sulla gola e gli fece scivolare una mano lungo il torace. — Se il
medico fosse qui, ammetterebbe senz’altro che tu sei la medicina migliore
per l’emicrania.
Kenneth trattenne il respiro mentre lei continuava ad accarezzarlo. — Hai
vinto, donna spudorata. — Afferrò l’orlo della camicia da notte e gliela sfilò
dalla testa. — So che mi aspetta un matrimonio dove tu otterrai sempre
quello che vuoi.
Lei rise. — Sarà facile, dal momento che quello che voglio sei tu.
Gli indumenti di Kenneth raggiunsero in fretta la sua camicia sul
pavimento. La toccava con delicatezza, come se fosse stata di fragile vetro, ma
lei reagì con un ardore che spazzò via ogni residua incertezza. Per la prima
volta, la passione che li aveva sempre uniti poté esprimersi in piena libertà,
senza dubbi o riserve.
Furono ben presto travolti da una marea di sensazioni, con momenti di
tenerezza, di abbandono, perfino di allegria. Tutte le innumerevoli
sfaccettature dell’amore. All’apice supremo dell’appagamento, lei pianse di
nuovo, ma di gioia, perché non aveva mai pensato che si potesse provare una
beatitudine così totale.
Dopo la tempesta, riposarono uno nelle braccia dell’altra. La testa di
Kenneth era un peso rassicurante sul suo petto.
Gli passò le dita nella massa scura dei capelli. — Ti dipingerò come
Vulcano, il signore del fuoco. Come te, era forte e temibile.
— Ed era sposato con Venere. — Kenneth si mise a sedere, per ammirare
la bellezza del suo corpo. — Avresti potuto posare per la Venere di Botticelli.
La baciò tra i seni, quindi scese dal letto e andò a frugare nella tasca della
giacca.
Rebecca stava già per protestare quando lui le tornò accanto, le prese la
mano sinistra e le infilò all’anulare l’anello di fidanzamento dei Wilding.
— Sto facendo tutto alla rovescia, amore mio — disse, baciandole la mano.
— Avrei dovuto suggellare il fidanzamento dandoti l’anello prima di fare
l’amore con te.
— Agli artisti è concesso essere eccentrici — replicò lei con un sorriso.
— Sarò anche un artista, ma ho un concetto molto tradizionale della
fedeltà — dichiarò Kenneth con fermezza. — Niente amanti. Niente
tradimenti. Soltanto noi due. Per sempre.
Con un sorriso seducente e complice, Rebecca l’attirò a sé per baciarlo. —
Non potrei essere più d’accordo.
Mary Jo Putney

Dopo gli studi e la laurea in letteratura inglese e in design industriale, e le


successive esperienze lavorative in California e Inghilterra come progettista,
Mary Jo Putney non immaginava davvero che un giorno il suo sogno più
grande si sarebbe realizzato: diventare scrittrice. È bastato però il casuale
acquisto di un computer, necessario per la sua attività grafica, per scoprire
che era proprio quello lo strumento che ancora le mancava per dare forma
alle sue fantasie, e con un pizzico di incoscienza ma con enorme entusiasmo
si è lanciata nella stesura del suo primo romanzo. E poiché la fortuna sorride
agli audaci, i risultati sono stati ottimi e incoraggianti, e da allora Mary Jo ha
iniziato una felice carriera di scrittrice, conseguendo anche numerosi
riconoscimenti letterari. Ora vive a Baltimora, nel Maryland, con la sua pigra
gattona, Miss Pudge.

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