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Un volto da pirata, un’anima da poeta: era lui l’uomo del destino per
Rebecca?
Kenneth Wilding non può permettersi debolezze. Nella sua carriera di
soldato e di spia ha dovuto affrontare molte situazioni spinose.
Ma qui, a Sutton Hall, la sua missione è in pericolo. I suoi pensieri sono
per una donna innamorata, una donna che ha fiducia in lui e che lui sta
ingannando…
Rebecca aveva deciso che avrebbe dedicato solo pochi minuti ad abbozzare
gli schizzi per la Signora del Lago, ma quando alzò gli occhi dall’album si
accorse che era già pomeriggio, ormai troppo tardi per fare pubblicare
l’annuncio sul giornale dell’indomani.
Allungò i muscoli rattrappiti e, con l’album in mano, attraversò la stanza.
Il suo studio occupava metà dell’attico ed era il suo luogo sacro. Nessuno,
nemmeno il padre, vi entrava senza permesso.
Si sedette accanto alla finestra e guardò fuori. Poiché era una casa
d’angolo, aveva una buona veduta di entrambe le strade. Sotto di lei, in Hill
Street, riconobbe due domestici dei vicini di casa che si erano fermati per
flirtare. L’impudente cameriera fece un gesto civettuolo mentre guardava da
sotto le ciglia il bel lacchè.
Rebecca aprì l’album e su un foglio bianco fece uno schizzo della scena
con pochi e rapidi tratti. Un giorno le sarebbe piaciuto disegnare una serie
dedicata agli innamorati. Forse l’avrebbe aiutata a imparare qualcosa
sull’amore.
Stava per allontanarsi dalla finestra quando un uomo in strada attrasse la
sua attenzione per il modo in cui si muoveva. Aveva un portamento eretto,
sicuro, quasi arrogante. Benché fosse vestito come un gentiluomo, la sua
corporatura imponente e muscolosa era quella di un manovale. Un
interessante contrasto.
L’uomo esitò sull’angolo e guardò lungo Hill Street. Rebecca trattenne il
fiato quando questi voltò la testa e lei poté vederne il volto. Non era bello,
tutt’altro. I suoi lineamenti erano rudi, quasi brutali, e una sottile cicatrice gli
attraversava la guancia per sparire tra i capelli neri. Eppure dava
l’impressione di possedere un’intelligenza pericolosa. Un pirata a Mayfair.
Rebecca non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.
L’incantesimo si ruppe quando lo sconosciuto abbassò la testa e riprese a
camminare. La matita di Rebecca correva sul foglio: la donna avrebbe voluto
tracciarne il ritratto finché l’aveva ancor vivo nella mente. Ne colse i
lineamenti con pochi tratti, ma l’espressione le sfuggiva. Tentò e ritentò,
senza però riuscire a catturare quell’aria di letale imprevedibilità.
Sollevò la testa e guardò fuori dalla finestra, chiedendosi se fosse il caso di
seguire quell’uomo per tentare di convincerlo a posare per lei. Ma,
naturalmente, era già scomparso. Un tempo si sarebbe precipitata in strada
per studiarlo più da vicino, ma aveva perso la passione creativa di un tempo.
Buon Dio, di fronte a lei c’era il pirata. Rebecca ne guardò a lungo la figura
muscolosa. Da vicino, aveva un’aria ancor più possente e pericolosa, un lupo
tra gli agnelli di Mayfair, — Quest’uomo, un segretario? Stai scherzando?
Suo padre inarcò le sopracciglia. — Credevo ti avrebbe fatto piacere sapere
che il posto non è più vacante.
Rendendosi conto di essere stata sgarbata, Rebecca disse: — Scusatemi,
capitano… Wilder, vero? Il fatto è che non avete per niente l’aria di un
segretario.
— Wilding, signorina Seaton. Al vostro servizio. — Kenneth si inchinò. —
Temo di non poter far niente se assomiglio più a un pugile che a un
gentiluomo.
La sua voce era profonda, e i modi erano quelli di una persona istruita.
Perché, allora, ne diffidava? Dipendeva forse dalla freddezza dei suoi occhi
grigi. O forse perché un uomo d’azione sembrava fuori posto in una casa
consacrata all’arte. La sua stessa presenza la turbava. Rebecca lanciò
un’occhiata ansiosa al padre.
— Non ti preoccupare. Il capitano Wilding ha le qualifiche giuste.
Mostragli la casa e spiegagli i suoi compiti. — Sir Anthony tornò al suo
cavalletto. — Di’ a Lavinia di salire così che possa riprendere a lavorare.
Se il pirata non fosse stato presente, Rebecca avrebbe discusso con il
padre ma, a quanto pareva, era troppo tardi. — Benissimo — disse con
malagrazia. — Seguitemi, capitano Wilding. — Mentre salivano le scale, gli
chiese: — Eravate nell’esercito, capitano?
— Sì, nella Rifle Brigade.
— Mio padre vi ha spiegato che dovrete occuparvi soprattutto di faccende
domestiche? Tutto ciò non c’entra molto con la vita militare. Forse non sarà
di vostro gusto.
— In entrambi i casi si tratta di impartire ordini a degli uomini.
— Già, ma comandare delle donne può rivelarsi più difficile.
— Me la caverò.
Aveva l’aria di uno a cui non mancasse esperienza in fatto di donne. E
quel pensiero non migliorò l’opinione che Rebecca si era fatta di lui.
— Non m’importa di dover ricoprire il ruolo di factotum — disse Kenneth
— ma mi stupisce che abbiate bisogno di me quando è ovvio che voi ne avete
la competenza.
— Non mi va di passare il mio tempo a fare la governante — ribatté lei
seccamente.
Reagendo al suo tono piuttosto che alle sue parole, lui commentò: — Io
non vi sono molto simpatico, vero, signorina Seaton?
Buon Dio, quell’uomo era davvero privo di tatto! Bene, se preferiva la
franchezza, l’avrebbe accontentato. Si fermò sul pianerottolo e si voltò ad
affrontarlo. Lui si arrestò un gradino più in basso, così che i loro occhi si
trovarono quasi allo stesso livello. Rebecca represse l’impulso di
indietreggiare. — Ci siamo appena conosciuti, come posso trovarvi antipatico
o simpatico?
— Da quando è necessario conoscere qualcuno per trovarlo antipatico? È
chiaro che vi secca che vostro padre mi abbia assunto.
— Conoscendo mio padre, sono sicura che non si è preoccupato di
chiedervi le referenze. Come faccio a sapere che non siete un imbroglione o
un ladro?
Kenneth socchiuse per un attimo gli occhi prima di rispondere. — È vero,
non ho referenze, ma suppongo che potrei chiedere al duca di Wellington di
fornirmele. Mi conosce da diversi anni.
Il tono della risposta era così disinvolto da riuscire convincente. Dandosi
per vinta, Rebecca disse: — Per carità, non mi sognerei di disturbare il duca
per una simile sciocchezza.
Le riusciva difficile concentrarsi, trovandosi così vicina a quel volto, che
era ancor più affascinante di quanto le era parso da lontano. Gli occhi erano
penetranti con lunghe ciglia nere, la pelle abbronzata da un sole più caldo di
quello inglese. Un tempo, i lineamenti marcati e rudi dovevano essere stati
più morbidi, ma della sua giovinezza non restava più traccia. Quell’uomo la
faceva pensare a un vulcano: calmo in superficie, ma con il fuoco che covava
nelle profondità.
— Manca qualcosa alla mia faccia? — chiese il capitano.
— I volti m’interessano, soprattutto se denotano una vita vissuta con
intensità, — Lo sguardo di Rebecca corse alla cicatrice, una linea sottile,
appena in rilievo. — È stata una sciabola a lasciarvi quel segno?
Era una domanda indiscreta, ma Kenneth non si scompose. — Sì, a
Waterloo.
Così, aveva combattuto in quella spaventosa carneficina. — Siete stato
fortunato a non perdere l’occhio.
— Già. Dal momento che non ero bello nemmeno prima, il danno non è
grave.
Rebecca si chiese se stesse cercando di sconcertarla. Non era facile
riuscirci, non con lei, cresciuta nell’ambiente anticonformista di un artista. —
Al contrario. La cicatrice rende ancor più interessante il vostro volto. Quel
francese ha fatto un buon lavoro.
Si voltò e si avviò lungo un corridoio. — La camera da letto di mio padre è
dietro di noi, la mia è sulla sinistra e quella accanto è la vostra. — Ne
spalancò la porta e fece una smorfia quando vide lo stato in cui si trovava. —
Mi dispiace. Avrebbero dovuto pulirla dopo che Tom Morley se ne andato. —
Rebecca sapeva benissimo che nessuna delle domestiche si sarebbe sognata
di farlo se non avesse ricevuto ordini precisi, ordini che lei non si era presa il
disturbo di dare.
Impassibile, Wilding disse: — Presentatemi alla servitù e farò in modo che
venga pulita.
— Sono impaziente di vedere come riuscirete a trasformarli in lavoratori
instancabili ed efficienti.
— Se tra i vostri attuali domestici ci sono degli scansafatiche, suppongo di
avere il diritto di licenziarli e assumerne altri.
— Certo. — Rebecca si diresse verso le scale. — Non occorre che vi faccia
visitare l’attico. Vi si trovano gli alloggi della servitù e il mio studio privato.
Se avete bisogno di parlarmi, tirate uno dei cordoni rossi. Il campanello
suonerà nel mio studio.
— Dunque, è così che vi ha chiamata vostro padre — mormorò lui,
seguendola. — Risponderete anche a me con tanta prontezza?
Senza sapersi spiegare perché, lei si sentì avvampare. — No — rispose in
tono brusco — perciò spero che saprete risolvere da solo i vari problemi.
Come aveva temuto, la presenza del capitano non smetteva di
scombussolarle l’esistenza. Sperava soltanto che non avrebbe tardato a capire
che la vita del segretario non gli si addiceva.
Kenneth aveva difficoltà a concentrarsi sulla visita della casa e su ciò che
Rebecca Seaton gli diceva. Quella donna aveva il potere di distrarlo, con la
sua lingua mordace e lo sguardo acuto.
La tappa successiva fu al primo piano. Lei aprì la porta di un piccolo locale
sul retro della casa. — Questo è l’ufficio di mio padre, anche se ci passerete
più tempo voi di lui. La scrivania nell’angolo è la vostra. Come potete vedere,
il lavoro si è accumulato da quando Tom Morley se ne andato.
La donna aveva usato un eufemismo: la scrivania era completamente
sepolta sotto mucchi di carte. — Capisco perché vostro padre era ansioso di
assumere il primo candidato disponibile.
— In realtà, mio padre ha scartato il sostituto suggerito da Tom. Ha detto
che era presuntuoso e ignorante.
— Sono contento di sapere che sir Anthony ha un’opinione migliore di me
— dichiarò Kenneth in tono serio.
Rebecca gli lanciò un’occhiata penetrante, e lui si prese mentalmente a
calci. Il suo compito era quello di essere un segretario efficiente e discreto. Se
non avesse imparato a tenere la lingua a freno, si sarebbe ritrovato per strada
e avrebbe perso Sutterton.
— Gli avvocati di mio padre — continuò Rebecca — si occupano delle
questioni finanziarie più importanti, ma voi avrete la responsabilità della
corrispondenza e dei conti di casa. Qui troverete i libri mastri. — Prese una
chiave dal cassetto della scrivania e aprì uno schedario. L’uomo diede
un’occhiata a uno dei libri, e capì che non avrebbe avuto difficoltà a seguire la
contabilità.
Rebecca gli porse la chiave e si voltò per andarsene. Lui stava per seguirla
quando il suo sguardo cadde su un quadro appeso sopra la scrivania di sir
Anthony. Un’affascinante donna in età matura era ritratta davanti a un
paesaggio nebbioso; i rossi capelli le scendevano in una massa disordinata
sulle spalle.
La donna era una copia sensuale di Rebecca Seaton. Doveva essere la
defunta lady Seaton, e Kenneth sarebbe stato disposto a giurare che sir
Anthony l’avesse ritratta con amore. Pensando che avrebbe potuto iniziare a
raccogliere informazioni, si rivolse a Rebecca, che si era fermata per vedere
come mai l’uomo non la seguisse. — Questa deve essere vostra madre.
Le dita di lei, strette intorno alla maniglia, si contrassero. — È stato
dipinto a Ravensbeck, la casa che abbiamo nella regione dei Laghi.
— Non mi è stata presentata nessuna lady Seaton, perciò suppongo che sia
morta.
Rebecca voltò la testa e rispose, laconica: — L’agosto scorso.
— Mi dispiace. Cos’è successo… una malattia improvvisa? Sembra così
piena di vitalità — commentò Kenneth, studiando il dipinto.
— È stato un incidente. Un orribile e stupido incidente. — Rebecca girò sui
tacchi e uscì dalla stanza. — Ora vi presento la servitù.
Prima di seguirla, Kenneth diede un’ultima occhiata al ritratto e intuì di
colpo che in Rebecca Seaton c’era una sensualità latente che la donna, a
differenza della madre, reprimeva con severità. Si chiese come sarebbe stato
vederla con i lucenti capelli ramati sciolti sulle spalle a incorniciare quel suo
volto così interessante…
Dannazione! Non poteva permettersi di provare attrazione per la figlia
dell’uomo che si era impegnato a distruggere. Per fortuna, non era il tipo di
donna che amava civettare. Anzi, era proprio l’opposto.
Per raggiungere le scale che scendevano in cucina attraversarono la sala
da pranzo e Rebecca disse, con un sarcasmo appena velato: — Poiché i
segretari sono gentiluomini, dividerete i pasti con mio padre e me.
Era chiaro che lo riteneva adatto solo a pulire le stalle. Cos’aveva detto
lord Bowden della sua fuga? Che l’uomo in questione era un sedicente poeta.
Si poteva dedurre che la signorina Seaton avesse un debole per i tipi verbosi e
romantici, sempre che l’esperienza non l’avesse disgustata al punto di non
volerne più sapere degli uomini.
Passando davanti alla credenza, Kenneth non poté fare a meno di
arrestarsi vedendo il quadro che vi era appeso sopra. Cogliendo lo sguardo
impaziente di Rebecca, disse in tono contrito: — Mi dispiace. È difficile
restare indifferenti davanti a simili capolavori. Mi sento come la prima volta
che sono entrato al Louvre.
Rebecca sembrava sorpresa all’idea che lui potesse apprezzare l’arte, e il
suo tono fu meno aspro quando parlò. — S’intitola La carica della Union
Brigade ed è uno dei quattro dipinti sul tema di Waterloo che mio padre
esporrà quest’anno alla Royal Academy.
I sei o sette cavalieri che avanzavano al galoppo, con le spade sguainate,
sembravano sul punto di esplodere fuori dall’enorme tela. — Magnifico —
commentò Kenneth. — Anche se non è del tutto realistico, mi sembra di
rivedere la cavalleria francese quando ci piombava addosso.
Rebecca si accigliò. — In che senso, non è realistico?
— I cavalli sono così vicini l’uno all’altro da toccarsi quasi. In battaglia
sarebbe impossibile — spiegò Kenneth. — Ma se suo padre li avesse
distanziati, l’effetto non sarebbe così travolgente.
— Mio padre sostiene che, in un dipinto, l’illusione della realtà è più
importante della precisione tecnica.
— Rebecca rimase un attimo pensierosa, quindi lo invitò a seguirla nella
saletta della colazione. — Ecco un genere diverso di battaglia. Boadicea poco
prima dello scontro finale con i romani. Cosa ne pensate?
Kenneth studiò il dipinto della regina guerriera che impugnava una lancia
con una mano e una spada con l’altra. Con la testa gettata all’indietro e il
vento che faceva svolazzare il mantello di pelle di lupo, incitava le sue truppe
a seguirla per andare incontro a morte certa.
— Anche se non è convincente come guerriera, è splendida come simbolo
del coraggio e della passione per la libertà.
— Perché non è convincente?
— Troppo snella. Ci vogliono muscoli per maneggiare quelle armi. E lo
stile è un po’ diverso dagli altri dipinti di sir Anthony che ho visto. Era
un’opera sperimentale? L’intensità della composizione e la ricchezza dei
colori sono tipiche, ma il disegno è più delicato, quasi poetico.
In silenzio, Rebecca lo fissava con gli occhi socchiusi. Che lo stesse
sottoponendo a un’altra prova? Kenneth guardò l’angolo in basso del quadro,
dove sir Anthony siglava tutte le sue opere con un piccolo AS. Questa volta,
tuttavia, le iniziali erano RS. — Mio Dio, siete stata voi a dipingerlo? —
chiese, stupito.
— Perché siete così sconvolto? Appartenete a quella categoria di uomini
secondo i quali le donne dovrebbero occuparsi solo di faccende domestiche?
— Niente affatto. Sono rimasto sorpreso perché non avevo idea che anche
voi foste un’artista. E che artista! Non c’è da stupirsi se rifiutate di dedicarvi
alle questioni di casa. Sarebbe criminale sprecare un simile talento.
Per un attimo Rebecca parve quasi intimidita da quel complimento, ma il
suo tono non aveva perso il consueto sarcasmo quando disse: — Non potrei
essere più d’accordo. Ecco perché ci occorre qualcuno in grado di dirigere la
casa. — Dalla sua espressione era evidente che non lo riteneva all’altezza di
quel compito.
Era il momento di dimostrare la sua competenza. — Prima di conoscere i
domestici, devo saperne qualcosa di più. Quanti sono?
— Al momento quattro donne e tre uomini.
— Sono con voi da molto tempo?
— Soltanto lo stalliere, Phelps. Gli altri lavorano qui da pochi mesi.
Questo era un vero peccato, pensò Kenneth, perché i domestici erano una
fonte importante di informazioni. — Come mai avete continuato a cambiarli?
E perché è così difficile trovare una governante competente?
— Mia madre preferiva occuparsi di persona della casa. Da quando è
morta, siamo piombati nel caos. Mio padre non è più stato… se stesso, e se un
domestico lo irrita, non ci pensa due volte a licenziarlo. Abbiamo avuto due
governanti, ma nessuna delle due capiva quali sono le esigenze della casa di
un artista, e hanno preferito andare a servizio presso famiglie più tranquille.
— Al momento ci sono posti vacanti?
— Abbiamo un bisogno urgente di un cuoco e di un maggiordomo. — Un
lampo maligno brillò negli occhi di Rebecca. — Anzi, tra poco dovrebbero
arrivare due candidati per il posto di cuoco. Potreste occuparvi voi di
incontrarli.
Kenneth annuì, come se fosse stata la cosa più naturale del mondo, ma
dentro di sé si chiedeva cos’avrebbero pensato gli uomini della sua
compagnia se l’avessero visto in quel momento.
5
Come era stato concordato, dopo la prima settimana, Kenneth si recò a far
rapporto a lord Bowden.
Gli spiegò quali fossero le difficoltà delle indagini, e con quanta lentezza
poteva svolgerle per via del tempo che aveva dovuto impiegare a smaltire il
lavoro arretrato. Descrisse quindi come intendeva procedere e concluse
dicendo: — Sir Anthony tiene agende dettagliate, che potrebbero fornire
molte notizie sul periodo che ci interessa. Purtroppo, ho saputo che proprio il
volume relativo a quei mesi è rimasto nella casa estiva, non riuscirò a
esaminarlo a meno che non faccia ancora parte della famiglia quando,
quest’estate, si recheranno in campagna.
Bowden ascoltava accigliato. — Speravo che avreste ottenuto dei risultati
prima di allora.
— Qualche progresso l’ho fatto. Per esempio, ho conosciuto alcuni amici
di sir Anthony. Presto potrò far loro domande sul passato. Voglio anche
parlare con l’ex segretario, Morley.
— Sarà semplice. — Bowden prese una penna e un foglio di carta e scrisse
un nome e un indirizzo. — Adesso è il segretario di un membro del
parlamento che è un mio amico. — Gli porse il foglio e si appoggiò allo
schienale, incrociando le dita sotto il mento. — Anche se non siete riuscito a
trovare prove concrete, quali sono le vostre impressioni?
— La morte di lady Seaton è come una ferita aperta, tutti la avvertono ma
nessuno vuole affrontarla. Sir Anthony non ha mai accennato alla moglie,
anche se l’ho sorpreso spesso a guardarne il ritratto che è appeso in ufficio.
Sua figlia non sopporta di parlare della morte della madre. — Kenneth diede
un’occhiata interrogativa a Bowden. — È forse lady Claxton l’amante che
vostro fratello avrebbe voluto sposare? Tra di loro c’è qualcosa, ma mi
sembra una relazione superficiale.
— Lavinia Claxton? Non mi sorprende, visto con quanta generosità
concede i suoi favori. No, è un’altra la donna per cui Anthony ha ucciso
Helen, ma non sono riuscito a scoprirne l’identità.
Kenneth era perplesso. Se sir Anthony amava una donna al punto da
uccidere per lei, come mai si era legato a Lavinia?
— Che tipo è mia nipote? — chiese Bowden di punto in bianco.
Kenneth scoprì di essere riluttante a parlarne. — La vedo di rado, in
pratica, solo a cena. Passa la maggior parte del tempo chiusa nel suo studio.
Lo sapevate che è una pittrice di talento?
— Non ne avevo idea. Forse questo spiega la sua condotta immorale. A
quanto pare, gli artisti non sentono il dovere di rispettare le leggi di Dio.
Quelle parole fecero infuriare Kenneth, che faticò a controllarsi. — Può
darsi che la signorina Seaton abbia commesso un errore quando era giovane,
ma non ho sentito nessuna critica sul suo conto.
— Continuate a indagare e finirete per scoprire qualcosa. Spero che la
prossima volta il vostro rapporto sarà più esauriente.
— È un errore insistere su un rapporto settimanale. Voi restereste deluso
per l’apparente mancanza di risultati, e a me non piace sentirmi il fiato sul
collo.
Bowden si oscurò in volto. — Forse avete ragione. Pretendo però almeno
un rapporto mensile.
— D’accordo, ma in futuro non ci incontreremo a casa vostra. Abitate
troppo vicino a sir Anthony. Qualcuno potrebbe dirgli di avermi visto entrare
qui. Per lo stesso motivo, se dovete scrivermi indirizzate le lettere a questo
recapito postale, dove arriva la mia corrispondenza personale.
Bowden infilò in un cassetto la striscia di carta con l’indirizzo che
Kenneth gli porse, e pochi minuti dopo lo congedò.
Kenneth lasciò lo studio, quindi rimase nascosto nelle ombre dell’atrio
mentre il maggiordomo faceva entrare una donna piccola e graziosa, con i
capelli argentei. Dal modo in cui la salutò, era chiaro che si trattava della
padrona di casa.
Mentre saliva le scale, lady Bowden notò Kenneth e lo salutò con un
cenno distratto del capo. Lui si chiese che genere di matrimonio fosse il loro,
visto che Bowden era ancora ossessionato dall’ex fidanzata.
Mentre tornava a casa, Seaton penso che, tutto sommato, la sua posizione
di segretario non era affatto spiacevole. Gli amici di sir Anthony l’avevano
accettato con disinvolta bonomia e parlavano liberamente in sua presenza.
Aveva dovuto impiegare più energie per imporre la sua autorità alla
servitù, ma l’assunzione di un maggiordomo competente, Minton, aveva
contribuito molto a migliorare la situazione.
Il suo unico rimpianto era che vedeva molto poco Rebecca. Cenavano
insieme, ma c’erano quasi sempre ospiti, perciò era impossibile parlare. Una
volta o due gli era venuto il dubbio che lei lo evitasse di proposito, ma aveva
subito scartato questa possibilità. La spiegazione più logica era che, avendo
accettato la sua presenza, lo considerasse alla stregua di un pezzo di
arredamento. Doveva escogitare una scusa per parlarle, anche se sapeva che
l’interesse che provava per lei non era causato solo dalla missione che doveva
portare a termine. Voleva saperne di più del suo talento, del suo carattere
aggressivo, della sua latente sensualità.
Si fermò all’ufficio postale, dove lo attendeva una lettera della sorella.
Lacerò la busta e lesse l’unico foglio che vi era contenuto.
Caro Kenneth,
sono contenta che tu sia soddisfatto del tuo lavoro. Anche qui le cose
vanno piuttosto bene, soprattutto grazie all’arrivo del tuo amico, il
tenente Davidson. All’inizio era un po’ timido, ma ora si sente già a suo
agio. Ha un notevole senso dell’umorismo.
Avendo quel braccio menomato, con lui avverto meno il peso del mio
piede deforme. Ogni mattina facciamo un giro a cavallo per la proprietà.
Ha molte idee per migliorare il raccolto dei campi e, da quando c’è lui,
Sutterton sembra un posto diverso.
Appena ebbe messo piede nello studio del padre, Rebecca capì che questo
era sul punto di esplodere in una scenata terribile, come succedeva tutte le
volte che incontrava difficoltà a risolvere un problema di carattere tecnico.
Rebecca cercava sempre di evitarlo quando era di quell’umore, ma ormai era
troppo tardi. Vedendola, l’uomo posò tavolozza e pennello e sbottò: — Dove
diavolo è Wilding?
Rassegnata, lei entrò nello studio. — Credo che stamattina sia uscito. —
Non che l’avesse visto con i suoi occhi, ma si era accorta che in casa
l’atmosfera cambiava quando lui era fuori. C’era meno energia nell’aria.
Suo padre tornò a guardare con occhio furioso la grande tela appoggiata al
cavalletto. — Cosa c’è che non va in questo dannato quadro?
Benché avesse seguito le varie fasi del dipinto, a iniziare dagli schizzi, e lo
conoscesse bene, Rebecca si avvicinò e lo esaminò di nuovo. Nell’ultimo
quadro della serie su Waterloo era rappresentato il duca di Wellington a
cavallo, in piedi sulle staffe, che agitava il tricorno per dare il segnale alle sue
truppe di avanzare contro i francesi.
Era un buon dipinto, tuttavia lei capiva l’insoddisfazione del padre. Era
privo di anima, anche se non avrebbe saputo spiegargli come rimediare a un
simile mancanza.
— Non c’è niente che non vada — iniziò in tono esitante. — Wellington è
molto somigliante e il campo di battaglia è realistico.
— Lo so che la somiglianza e la composizione sono buone, ma manca
qualcosa. Forse Wilding potrebbe dirmi cosa. Dopotutto, lui c’era. — La sua
voce divenne querula. — Perché non è qui?
— Sono sicura che tornerà presto. Dirò al lacchè di mandartelo nello
studio appena rientra.
Stava per dirigersi alla porta quando questa si spalancò per lasciare
entrare il capitano Wilding. Egli salutò con un cenno del capo Rebecca e andò
a posare un pacchetto sul tavolo. — Ecco qui i pigmenti che avete ordinato, sir
Anthony. Trovandomi a passare vicino al colorificio, li ho ritirati io stesso.
Invece di approfittare dell’occasione per andarsene, Rebecca si soffermò a
studiarlo, cercando di capire cos’era a conferirgli quel piglio autoritario.
— Dove siete stato? — lo apostrofò sir Anthony, per niente rabbonito.
— A visitare mercanti di vino. Ricordate la discussione di ieri? Eravate
insoddisfatto del vostro fornitore, così ne ho trovato uno migliore.
— Immagino che abbiate dovuto assaggiarne parecchi e che ora siate
alticcio — commentò sir Anthony con sarcasmo.
— Li ho assaggiati, certo, ma non sono affatto ubriaco — replicò il
capitano, lasciando cadere la provocazione. — Non sarei uscito se avessi
saputo che c’era bisogno di me.
Infuriato, sir Anthony afferrò un barattolo di pittura bianca e glielo
scagliò contro. — Certo che avevo bisogno di voi!
— Per tutti i diavoli! — Kenneth fu svelto a scansare il proiettile, che andò
a sbattere contro la porta, schizzando pittura sui pannelli di legno.
Perso ogni controllo, sir Anthony cominciò a scagliare nella stanza tutti gli
oggetti che gli capitavano sotto mano. Dopo aver spazzato via con il braccio
quello che si trovava sul tavolo al suo fianco, lanciò una spatola, che fendette
l’aria, sfiorando la spalla di Rebecca, prima di rimbalzare contro la parete.
Tremando, lei si preparava a rifugiarsi dietro il divano quando Kenneth
attraversò con pochi passi veloci la stanza e afferrò sir Anthony per il polso.
— Distruggete pure il vostro studio — disse con un tono di voce minaccioso —
ma non prendete mai di mira una signora.
Suo padre tentò di liberarsi. — Non è una signora, è mia figlia!
Le dita di Kenneth si strinsero come una morsa. — Un motivo di più per
controllarvi.
Per un attimo, le figure dei due uomini si stagliarono immobili contro la
finestra. Quella più fragile di sir Anthony vibrava d’ira, ma era impotente
contro la forza implacabile dell’altro.
Rebecca vide il padre alzare di scatto l’altro braccio e, per un attimo,
temette che intendesse colpire il capitano. Poi, con uno dei suoi improvvisi
cambiamenti d’umore, lo lasciò ricadere lungo il fianco.
— Avete ragione, dannazione. — Diede un’occhiata alla figlia. — Non ti ho
mai colpita, vero?
— Soltanto con schizzi di colore — rispose lei, in tono volutamente
leggero. — Hai una mira orribile.
Il capitano lo lasciò libero, ma il suo volto era teso e i suoi occhi grigi
erano duri come pietre. — Dovete delle scuse a vostra figlia.
Sir Anthony si irrigidì davanti a quella critica da parte di un dipendente. —
Rebecca non prende sul serio le mie crisi di nervi.
— Davvero? Allora perché è pallida come un lenzuolo?
Voltandosi a guardarla, suo padre dovette ammettere che era molto
agitata. — Ti turbano così tanto i miei scatti d’ira, Rebecca? — chiese,
sorpreso.
Lei fu tentata di mentire per non farlo sentire in colpa, ma non ne fu
capace, non sotto lo sguardo penetrante del capitano Wilding. — Le tue
sfuriate mi hanno sempre sconvolto — ammise con riluttanza. — Quando ero
piccola temevo che la fine del mondo fosse vicina.
Suo padre inspirò bruscamente. — Mi dispiace, Rebecca. Non lo sapevo.
Tua madre… — ma s’interruppe di colpo.
Sua madre restava indifferente davanti alla sua ira, anche perché lei stessa
era spesso soggetta a crisi di nervi.
Per rompere quel silenzio imbarazzante, Rebecca si affrettò a dire: — Mio
padre si trova in difficoltà con questo quadro, capitano Wilding. E pensava
che voi avreste potuto dargli un consiglio. È l’ultimo della serie di Waterloo.
Wellington in persona ha accettato di posare.
Kenneth si voltò a guardare il dipinto. E poiché lei lo stava osservando con
attenzione, notò il muscolo che guizzò all’angolo della bocca. L’aveva
classificato come un tipo freddo e imperturbabile, ma ora cominciava a
riconoscere tracce di emozione anche impercettibili.
— Wellington che dà l’ordine di avanzare — mormorò Kenneth. — È
piuttosto inquietante rivederlo.
— Eravate presente quando ha dato il segnale di attaccare? — gli chiese
Rebecca.
— Sì, anche se non ero nelle immediate vicinanze. — Kenneth esaminò il
quadro. — Sir Anthony, volete che questo sia un ritratto classico e idealizzato
di un eroe, o la rappresentazione realistica della battaglia?
Suo padre rifletté per un attimo prima di dire: — Wellington è un grande
uomo e io voglio che la gente veda la sua grandezza. Voglio che, anche fra
qualche secolo, si parli di lui così come l’ha ritratto Seaton.
— Forse l’avete reso in modo troppo classico e misurato per ottenere quel
risultato. Sembra che il duca stia passando in rassegna le truppe in una piazza
d’armi. Waterloo non lo era. Dopo una giornata di feroci combattimenti,
soldati e cavalli erano esausti, sporchi di fango, di sudore e di polvere da
sparo.
— Com’era l’espressione del duca?
Kenneth rifletté prima di rispondere. — Il sole era basso all’orizzonte e un
raggio ne colpiva il volto mentre agitava in aria il cappello. Non si può
descrivere la sua espressione, ma pensate a quanti anni aveva combattuto per
arrivare a quella battaglia conclusiva. Una volontà ferrea gli aveva permesso
di avere la vittoria a portata di mano… eppure aveva visto morire molti dei
suoi più cari amici. Bisognerebbe riuscire a far vedere la sua tempra d’acciaio.
— Che stupido sono stato a ritrarlo com’era qui in studio — borbottò sir
Anthony. — Ci sono altri particolari che dovrei riesaminare?
Kenneth indicò lo sfondo del dipinto. — I soldati sono visibili come in una
limpida giornata di maggio. Sbagliato. Il campo di battaglia era un inferno
coperto dal fumo acre della polvere da sparo.
— È un effetto che posso ottenere usando vernici vetrose grige, ma la
chiave di tutto è Wellington. Devo rendere la sua tempra d’acciaio.
— Quali sono gli altri dipinti che completano la serie? — Kenneth chiese a
Rebecca.
Lei prese una cartella e ne tirò fuori due disegni. — I quadri finiti non
sono qui, ma questi schizzi sono abbastanza precisi. Nel primo, i reggimenti
sono schierati a perdita d’occhio.
Kenneth si mise alle spalle della donna per osservare i disegni e lei avvertì
il calore di quel corpo, a pochi centimetri di distanza. Quell’uomo aveva
vissuto l’inferno della guerra in Spagna, aveva combattuto a Waterloo, ed era
sopravvissuto. Come Wellington, doveva avere una tempra d’acciaio.
— Secondo me, il punto di forza di questo quadro sono gli uomini in
primo piano. — Rebecca indicò le figure di un giovane alfiere e di un sergente
brizzolato, sopra i quali sventolava la bandiera britannica.
— Sono soprattutto i particolari a commuoverci — commentò il capitano.
— Un giovane alla vigilia della sua prima battaglia, che si chiede se il suo
coraggio sarà all’altezza degli eventi. Un veterano che ha affrontato la morte
più di una volta e che si chiede se la fortuna continuerà ad assisterlo.
Chiunque guardi il quadro non può non chiedersi se questi due sono
sopravvissuti.
Dal suo tono, Rebecca capì che, in momenti diversi della sua vita, lui
aveva fatto entrambe quelle esperienze. Avrebbe voluto appoggiarsi a lui,
assorbirne l’energia e la determinazione.
Con la bocca secca, estrasse il secondo disegno. — Questo rappresenta la
difesa del Château de Hougoumont. — Suo padre aveva scelto il momento in
cui i francesi avevano fatto irruzione nel cortile e i difensori si battevano con
ferocia per ricacciarli. — Voleva la scena di un furioso corpo a corpo.
— Per grandiosità, fa degna compagnia al quadro che illustra la carica
della cavalleria.
— Secondo voi — intervenne sir Anthony — questa serie è un resoconto
esauriente di Waterloo?
Rebecca respirò di sollievo quando il capitano si allontanò da lei.
— Lo è, per quanto possono esserlo quattro quadri.
— Avverto una nota di dubbio nella vostra voce. Ho illustrato l’inizio, la
fine, la fanteria e la cavalleria. Quali altre scene dovrei inserire?
— Se fossi in voi — rispose Kenneth un po’ esitante, — ne farei altri due.
Uno dove Wellington stringe la mano al principe Blucher, quando gli inglesi
si incontrano con i prussiani vicino a La Belle-Alliance. La campagna di
Waterloo è anche la storia di molte nazioni unite contro un nemico comune.
— Mmm, un’interessante possibilità. E quale sarebbe il dipinto finale?
— Illustrate il prezzo della vittoria — rispose il capitano. — Mostrate
soldati esausti, feriti, che dormono come morti intorno al fuoco di un
bivacco. Nell’oscurità circostante, mostrate il groviglio dei cadaveri, le armi
disseminate sul terreno. Mostrate come le vittime della battaglia giacciano
insieme, unite nell’abbraccio della morte.
Ci fu un lungo silenzio prima che Rebecca dicesse a voce bassa: — Avete
una sensazionale forza espressiva, capitano.
— E un’ottima intuizione per i soggetti — aggiunse suo padre. — Rifletterò
sui vostri suggerimenti.
Negli istanti che seguirono, Rebecca fu pervasa da un impeto di desiderio,
da un’emozione così forte come non provava da tempo. Doveva catturare
l’essenza del capitano Wilding, così che qualcosa di lui le sarebbe
appartenuto per sempre.
Ignorando le convenienze, attraversò la stanza e gli sfiorò la guancia,
seguendo con la punta delle dita la linea della cicatrice. — Mi arrendo,
capitano — disse con voce roca. — Temo che non potrò fare a meno di ritrarvi.
7
Kenneth fece del suo meglio per divertirla durante il loro spuntino
notturno. E quando si ritirarono nelle rispettive camere, alcune delle ombre
erano sparite dai suoi occhi.
Purtroppo, da parte sua era sempre più preoccupato. La versione che gli
aveva dato della morte della madre non l’aveva convinto fino in fondo ed era
quasi certo che gli avesse taciuto qualche particolare importante. Per
esempio, era stata troppo precipitosa nel negare la possibilità che non si fosse
trattato di un incidente. Al dolore si mescolava forse una paura che era
troppo orribile da affrontare, e nella quale era coinvolto il padre.
Ma la sua irrequietudine era dovuta anche ad altri motivi. Primo fra tutti,
il turbamento per quel bacio. Era ovvio che il maschio primitivo che c’era in
lui aveva approfittato della prima occasione che gli si era presentata per agire,
cedendo all’attrazione che aveva provato fin dall’inizio. Erano bastati quei
brevi attimi per confermare i suoi sospetti sulla latente sensualità di Rebecca.
Il fuoco che faceva di lei un’artista poteva divampare in una passione
violenta.
In circostanze normali, non avrebbe smesso di baciarla. Ma quelle non
erano circostanze normali.
Al desiderio fisico si contrapponeva una forte inquietudine. Era rimasto
affascinato dalla rivelazione che Rebecca disegnava quello che là turbava. Per
lui, invece, disegnare era sempre stata una fuga, un’occasione per creare un
muro di protezione tra se stesso e l’insopportabile.
Prese il suo album e ne fissò i fogli come se fossero stati una bomba in
procinto di esplodere. Cosa sarebbe successo se avesse osato disegnare una
delle scene che gli torturavano la mente? Una parte di lui temeva che sarebbe
stato come aprire il vaso di Pandora, liberando un’angoscia che non sarebbe
più riuscito a controllare.
Eppure, le parole di Rebecca lo ossessionavano. "Come incidere una ferita
infetta per togliere il veleno." Forse la fuga non era il rimedio migliore al
dolore. Ma per disegnare i demoni che lo tormentavano, avrebbe dovuto
affrontare il dolore, abbattere le barriere mentali che gli avevano permesso di
continuare a vivere.
Facendosi animo, prese penna e inchiostro. Avrebbe iniziato con
un’immagine che gli si era impressa nel cervello durante la sua prima
battaglia. Se disegnarla fosse servito ad attenuare la sofferenza, avrebbe
tentato con altre scene, più difficili.
Intinse la penna nel calamaio e pregò che il metodo di Rebecca
funzionasse anche per lui.
10
Dopo aver scoperto i disegni di Kenneth, Rebecca era tornata nel suo
studio in preda all’eccitazione. Non c’era da stupirsi se si era sentita attratta
da lui fin dal primo momento; sotto l’aspetto coriaceo del soldato possedeva
un animo di artista. Avere in comune gli stessi interessi poteva essere la base
di una solida amicizia.
Andò al tavole e iniziò a mescolare i colori che intendeva usare. Era una
procedura così automatica che, mentre lavorava, la sua mente era libera di
seguire il corso dei suoi pensieri. Si chiese, per esempio, se era amicizia
quello che voleva veramente da Kenneth.
Per un attimo le balenò in testa il pensiero del matrimonio, ma lo scacciò
subito. Anche se Kenneth avesse provato interesse per lei, al punto da passar
sopra alla sua perduta rispettabilità, da parte sua non avrebbe mai rinunciato
alla propria libertà.
Forse avrebbero potuto essere amanti. Il mondo degli artisti era
tollerante, e suo padre era così assorbito dal suo lavoro che forse non se ne
sarebbe nemmeno accorto.
Ma mentre la sua educazione le aveva dato una concezione del mondo
anticonformista, il suo spirito di osservazione l’aveva convinta che una
relazione poteva essere una faccenda complicata. Lavinia era senz’altro in
grado di spiegarle come evitare di restare incinta, ma c’erano altri rischi. La
fine di una relazione, illecita o no che fosse, era sempre dolorosa. Ed era
inevitabile che finisse. A quanto pareva, Kenneth la trovava attraente, ma
l’avrebbe apprezzata più come insegnante che come amante di non molta
esperienza.
Con un sospiro, finì di mescolare i colori. Mantenere il rapporto dentro i
confini dell’amicizia era la soluzione migliore. Non doveva far altro che
soffocare le fantasie peccaminose.
Inoltre, c’era un regalo che poteva fare a Kenneth, da amica, e che
l’avrebbe aiutato a diventare un vero pittore.
Rebecca guardò per caso fuori dalla finestra e vide Kenneth che rientrava.
Ma poiché non si decideva a salire per la prevista seduta, decise di scendere
per vedere cosa lo trattenesse.
Giunse in cima alle scale nel momento in cui Frazier usciva, e stava per
scendere quando la porta si aprì di nuovo, lasciando entrare una folata di aria
fredda e umida. Doveva trattarsi di amici delle due coppie che suo padre stava
ritraendo, così si fermò per aspettare che i nuovi arrivati fossero
accompagnati nello studio.
Un attimo dopo, una voce squillante esclamò: — Kenneth!
Una donna entrò con incedere aggraziato nel campo visivo di Rebecca. —
Che splendida sorpresa! — Si gettò tra le braccia di Kenneth e lo baciò. Così
facendo, il cappuccio le scivolò sulle spalle.
Le dita di Rebecca, strette attorno alla ringhiera, sbiancarono. La donna
era la creatura più bella che lei avesse mai visto, una bruna affascinante con
un viso molto espressivo.
E non si poteva dire che Kenneth la respingesse. Anzi, dopo aver lanciato
un rapido sguardo all’atrio, abbracciò la bruna, mormorandole qualcosa
all’orecchio.
— Dovevi avvertirci che eri qui a Londra, Kenneth. — La donna si scostò,
ridendo. — Oppure adesso dovrei chiamarti lord Kimball?
Rebecca sussultò e si aggrappò alla ringhiera. Lord Kimball?
— Non osare — stava rispondendo Kenneth. — Ci conosciamo da troppo
tempo per simili formalità, Catherine.
Un gentiluomo elegante apparve dietro la donna e strinse la mano di
Kenneth tra le proprie. — Mio Dio, quanto tempo è passato? — disse, con un
ampio sorriso. — Quasi due anni.
Kenneth gli strinse la spalla con la mano libera. — L’ultima volta che ci
siamo visti non conta, Michael, perché eri più morto che vivo.
— Come puoi vedere, adesso sono in forma perfetta. — Il nuovo arrivato
fece scivolare un braccio intorno alla vita della donna. — Non potrei stare
meglio.
— Ci è dispiaciuto molto che tu non sia potuto venire al battesimo, ma il
disegno che ci hai mandato è meraviglioso.
Intontita, Rebecca ascoltava. Era chiaro che l’uomo e la donna erano
sposati, e che Kenneth e Catherine erano legati solo da una profonda
amicizia. Tuttavia… lord Kimball?
— Cosa vi porta a casa Seaton? — stava chiedendo Kenneth.
— Alcuni nostri amici si stanno facendo fare un ritratto — rispose l’uomo.
— Ci hanno invitato a tener loro compagnia. Anche tu sei qui per un ritratto?
— Io lavoro per sir Anthony — rispose Kenneth. — Sono il suo segretario.
I suoi amici parvero molto stupiti, ma si ripresero subito. — Dev’essere
meraviglioso poter vivere circondati da opere d’arte — dichiarò Catherine.
Suo marito aggiunse: — Puoi cenare con noi domani?
— In questo momento, non sono in grado di dirtelo — rispose Kenneth. —
Te lo farò sapere. Dove abitate?
— A casa Ashburton. — Michael gli prese di nuovo la mano. — Amy andrà
su tutte le furie se non ti farai vivo il più presto possibile.
Stordita, Rebecca si appoggiò alla parete mentre la coppia si congedava. Si
era illusa che tra lei e Kenneth ci fosse un’affinità speciale, invece scopriva di
non conoscere nemmeno il suo nome.
Udì troppo tardi il rumore di passi che salivano le scale e, pochi attimi
dopo, Kenneth era di fronte a lei.
Dopo un lungo istante di tensione, lui disse: — Suppongo che tu abbia
udito la conversazione con i miei amici.
— Lord Kimball? — replicò lei, in tono gelido.
Kenneth trasalì. — Andiamo nel tuo studio. Là potremo parlare senza
essere disturbati. Inoltre, penso che una tazza di tè farà bene a tutti e due.
Senza darle il tempo di replicare, la precedette e, una volta nello studio, si
avvicinò subito al camino per prendere il bollitore. Sapendo che sarebbe
tornato infreddolito, Rebecca aveva già fatto scaldare l’acqua e aveva anche
preparato un vassoio di pasticcini. Una scenetta davvero romantica. Quanto
era stata sciocca!
Dopo aver versato l’acqua nella teiera, lui si raddrizzò e le rivolse un
sorriso esitante, come se sperasse di rabbonirla. — Stai di nuovo rizzando il
pelo come una gatta infuriata.
— Mi puoi biasimare? Sei una fonte infinita di sorprese. Prima scopro che
sei un artista, e ora che sei un nobile in incognito. Cosa ci fai in questa casa,
lord Kimball?
— Il segretario — rispose lui in tono conciliante. — A giudicare dalla tua
reazione, consideri grave che lo abbia tenuto nascosto il mio titolo.
— L’anno scorso mio padre fece un ritratto a lady Kimball — replicò
Rebecca in tono sferzante. — È riuscito molto bene, ma è ovvio che non puoi
non saperlo. Tua moglie è una donna molto bella, lord Kimball.
Kenneth la fissò a bocca aperta. Quindi imprecò: — Cristo, la donna in
questione non è mia moglie, Rebecca. È la mia matrigna.
Fu la volta di Rebecca di restare a bocca aperta. Si lasciò cadere sul divano,
ricordando che Kenneth le aveva parlato del matrimonio del padre con una
ragazza. — Capisco — disse, più calma. — Ma questo non spiega perché stai
lavorando come segretario e perché hai nascosto di essere un nobile.
Kenneth le porse una tazza piena di tè. — Non c’è niente di misterioso.
Quando mio padre morì, diversi mesi fa, ereditai soltanto debiti. Avevo
bisogno di lavorare e qualcuno mi indirizzò a tuo padre. Temevo che non
avrei ottenuto il posto se avessi detto di essere un nobile. Inoltre, preferisco
che mi chiamino capitano.
Almeno quello è un titolo che mi sono guadagnato, mentre il viscontado
dipende solo dalla mia nascita.
— La tua situazione finanziaria è talmente disperata da obbligarti ad
accettare un posto così umile? — chiese lei, poco convinta. — Ricordo che
lady Kimball sfoggiava dei gioielli di gran valore, e immagino che parecchi
facciano parte del patrimonio di famiglia.
Kenneth prese la propria tazza e andò a sedersi all’estremità opposta del
divano. — È esatto — rispose con una smorfia amara. — Ma il testamento non
parlava di gioielli, ed Hermione sostiene che mio padre glieli ha regalati.
Sono sicuro che mente, perché mio padre aveva un forte senso della
tradizione, e aveva già provveduto a Hermione, ma poiché era onesto e
infatuato, non gli è passato per la mente che il suo tesoruccio avrebbe tentato
di impadronirsi anche dei cimeli di famiglia.
— Non puoi ricorrere alle vie legali?
Kenneth scosse la testa. — Il mio avvocato dice che, non essendo citati nel
testamento, sarebbe praticamente impossibile riavere i gioielli. È un vero
peccato. Oltre a quelli che sarebbero passati alla prossima viscontessa, ce
n’erano alcuni che mia madre aveva destinato a mia sorella minore.
Dunque, c’era anche una sorella, un altro particolare che le aveva tenuto
nascosto. — Può darsi che i gioielli siano persi per sempre, ma tuo padre ti
avrà pur lasciato delle proprietà.
— Ho ereditato la residenza di famiglia, Sutterton, nel Bedfordshire. Un
tempo era una tenuta che rendeva molto bene, ma mio padre non se n’è più
interessato dopo essere rimasto vedovo. Quando Hermione pretese di venire
a vivere a Londra, lui la ipotecò per comprare una casa in città, che è rimasta
a lei.
Il dolore era così intenso nei suoi occhi che l’ira di Rebecca svanì del
tutto. — Non si può fare niente per salvare la proprietà?
— C’è… forse c’è un modo. — Kenneth posò la tazza, si alzò e prese a
passeggiare avanti e indietro, terribilmente irrequieto. — Sto valutando una
possibilità, ma ci vorrà del tempo prima di conoscerne i risultati.
Rebecca intuì che le stava dicendo la verità, ma non tutta la verità. — Mi
nascondi qualcosa d’importante.
— Ammetto di aver imparato a essere reticente quando fui abbastanza
grande da scoprire che disegnare, la cosa che amavo fare più di ogni altra, non
si confaceva all’erede di un visconte. E temo che operare come agente segreto
in Spagna mi abbia reso ancor più evasivo.
— Non tentare di approfittare della mia comprensione. Mi stai
nascondendo qualcosa di molto preciso, e questo ti turba.
— Dovrei sapere che e inutile mentire a un’artista. — Kenneth andò alla
finestra e rimase per un attimo a fissare in silenzio la, pioggia. — Hai ragione.
Sono implicato in qualcosa di cui non posso discutere. Credimi, Rebecca, mi
dispiace non poter essere sincero con te fino in fondo. A volte si è costretti ad
agire contro la propria natura, anche se ciò provoca dolore e rimorsi.
Lei si alzò e andò a mettersi al suo fianco, davanti alla finestra, per
poterne osservare il profilo e studiare gli eventuali cambiamenti di
espressione. — Sei venuto qui per far del male a me o a mio padre?
Le rughe intorno ai suoi occhi divennero più accentuate. — Come soldato,
ho fatto del male a troppa brava gente per colpa della guerra — rispose
Kenneth, in tono sofferto. — Ho giurato che non avrei mai più torto un
capello a un innocente.
Senza dubbio si stava comportando di nuovo da sciocca, ma Rebecca gli
credeva. Fu colpita da un pensiero più inquietante. — Stai nascondendo una
moglie, o una fidanzata?
— No — rispose lui con prontezza. — Niente del genere.
Il sollievo che provò fu così forte da farle capire fino a che punto
desiderava saperlo libero da legami. Sperando che fosse troppo assorto nei
propri pensieri per notare la sua reazione, disse: — Ci sarà stata qualche
donna importante nella tua vita.
Kenneth deglutì. — C’era… c’era una donna in Spagna. Maria. Si era unita
ai guerriglieri per combattere i francesi. L’ho conosciuta perché, come agente
segreto, avevo spesso contatti con loro. In teoria, ha rifiutato la mia proposta
di matrimonio perché non ero cattolico. In realtà, il suo paese aveva la
precedenza su tutto il resto.
A Rebecca tornò alla mente il ritratto della focosa bellezza che aveva visto
tra i disegni di Kenneth. Doveva essere la sua Maria, ed era evidente che il
loro non era stato un amore platonico.
— Adesso la Spagna è libera — disse, con voce inespressiva. — Forse
dovresti proporglielo di nuovo.
— È stata catturata e uccisa dai francesi.
Rebecca intuì che avrebbe preferito non rivelare un episodio così penoso
del suo passato. E che forse l’aveva spinto il desiderio di compensare con
quella rivelazione ciò che le teneva segreto.
— Mi dispiace — mormorò. Gli posò una mano sul braccio e sollevò il
volto per sfiorargli le labbra con le proprie.
Kenneth si voltò verso di lei, le fece scivolare una mano dietro la testa e
d’un tratto la pietà di trasformò in passione. Il suo bacio divenne più ardente
mentre con le dita le accarezzava la pelle sensibile della nuca. Le forcine
sfuggirono dai capelli, che ricaddero sciolti sulle spalle e lungo la schiena.
Rebecca si premette contro di lui e, facendo aderire le proprie curve al suo
corpo muscoloso, avvertì l’intensità pulsante della sua virilità.
Prendendola tra le braccia, Kenneth la strinse forte e per pochi attimi
frenetici la passione regnò sovrana.
Poi, lui interruppe il bacio e scostò la testa. — Non avresti dovuto farlo —
disse con voce roca.
— No, non avrei dovuto. — Rebecca si sollevò in punta di piedi e gli
mordicchiò il labbro inferiore.
Con un gemito, lui si impadronì di nuovo della sua bocca. Le loro lingue si
intrecciarono, calde e avide.
Kenneth le posò una mano sul seno, stuzzicando il capezzolo attraverso il
tessuto. E lei trasalì, pervasa da una sensazione inebriante. Avrebbe dovuto
preoccuparsi al pensiero di quello che sarebbe potuto succedere, ma in quel
momento se ne infischiava di dar retta al buonsenso.
Kenneth la sollevò tra le braccia e attraversò la stanza. Aggrappata a lui,
Rebecca gli leccava la gola e la linea della mandibola, gustando il sapore della
sua pelle.
Un istante dopo lui la lasciò andare e fece un passo indietro, ansimando.
— Rossa, tu sei una vera minaccia.
Dopo un attimo di smarrimento, Rebecca si riprese e sorrise con aria
maliziosa. — Una minaccia. Mi piace. È ora che cominci a godere dei vantaggi
che derivano dall’essermi rovinata la reputazione.
— Farmi impazzire può essere un godimento per te, ma non voglio
sedurre la figlia del mio datore di lavoro, e allungare così l’elenco dei miei
peccati.
Rebecca si mise a sedere, muovendosi con provocante lentezza. Anche se
non era una bellezza, dal suo sguardo era evidente che lui la desiderava, e
quel pensiero la inebriava. — Ma tu non mi stavi seducendo. Al contrario. Ora
che la questione è risolta, possiamo continuare?
— No! — Kenneth si passò le dita nei capelli e le voltò le spalle. — Se
soltanto tu sapessi…
— Siamo da capo con i segreti — commentò lei, sentendo svanire
l’eccitazione di poco prima. — Non riesco a immaginare di quali colpe
potrebbe macchiarsi un uomo che si comporta con tanta ostinata rettitudine.
— Allora, non sforzarti di farlo — ribatté lui con veemenza. — A Dio
piacendo, quello che temo non si verificherà mai.
Rebecca osservò la grazia felina con cui si muoveva, la carica di energia
che sprigionava da lui, e provò il desiderio di catturare i lati più oscuri della
sua personalità sulla tela, visto che non era riuscita a catturarlo fisicamente.
— Se hai accettato di lavorare per mio padre in attesa che i tuoi problemi
economici si risolvano, non resterai qui a lungo. Sarà meglio che mi affretti a
terminare il quadro — disse, andando al cavalletto, impaziente. — È ora di
cominciare, lord Kimball.
Lui si diresse al divano togliendosi giacca e cravatta e slacciando la
camicia. — Il mio nome è Kenneth.
In quel momento, al pensiero che era un nobile, a Rebecca venne in
mente un ovvia soluzione ai suoi problemi finanziari. Chiedendosi come
avrebbe reagito, disse: — Sei vuoi conservare Sutterton, perché non sposi
un’ereditiera? Ci sono un sacco di ricchi borghesi che sarebbero disposti a
concedere le loro figlie, più una ricca dote, per conquistare un visconte come
genero.
Kenneth la fissò, chiaramente inorridito. — Che tu ci creda o no, non mi è
mai passato per la testa. Probabilmente perché è un’idea rivoltante.
— Simili matrimoni sono una tradizione consolidata.
— E poi accusano gli uomini di essere calcolatori — borbottò Kenneth. —
Rimettiti a dipingere, Rossa.
Quel soprannome cominciava a piacerle; c’era qualcosa di intimo e di
scherzoso nel modo in cui lo diceva. Prese in mano la tavolozza e, mentre
applicava una prima pennellata di colore, le venne in mente la logica
conseguenza del consiglio che gli aveva appena dato.
Lei stessa era un’ereditiera. Non solo era l’unica erede di suo padre, ma
aveva anche ricevuto un considerevole patrimonio dalla madre, un
patrimonio che controllava di persona.
Era ovvio che a Kenneth ripugnava l’idea di sposare un’estranea per soldi.
Sarebbe stato disposto a sposare lei? E lei avrebbe accettato? La prospettiva
le procurò un miscuglio di eccitazione e paura. Era vero che non voleva
rinunciare alla sua libertà, ma detestava pensare che Kenneth fosse ridotto in
povertà per colpa di un padre irresponsabile e una matrigna avida.
— Qualcosa non va? — chiese Kenneth.
Rebecca si accorse che, abbassata la tavolozza, lo stava fissando con
un’intensità che doveva sembrargli sconcertante. — Valutavo la luce —
borbottò, sforzandoti di concentrarsi di nuovo sulla tela.
Era quasi mezzogiorno quando Kenneth tornò a casa Seaton dopo aver
sbrigato alcune commissioni. L’invito al ballo dei Candover lo aspettava
appoggiato su un tavolino nell’atrio. Da vero amico, Michael non aveva perso
tempo.
Salì in ufficio, dove trovò sir Anthony in compagnia di George Hampton.
— Ah, Kenneth, siete arrivato giusto in tempo per aiutare George a cercare un
dipinto in cantina.
— In cantina, signore?
— L’abbiamo trasformata in magazzino, per tenervi i quadri. George ve lo
mostrerà. Lo accompagnerei io stesso se non avessi un cliente che mi aspetta.
— Sir Anthony diede una chiave a Kenneth e uscì.
Hampton prese una lampada a petrolio e l’accese, spiegando: — Mi
occorre l’originale di uno dei dipinti di Anthony per farne un’incisione.
Pensando che era una fortuna avere l’occasione di parlare con lui in
privato, mentre scendevano le scale Kenneth chiese: — È uno della serie di
Waterloo?
— Sì, quello del Château de Hougoumont. La serie farà scalpore quando
sarà esposta, e vogliamo che le stampe siano pronte per la vendita fin
dall’inaugurazione della mostra.
— Mi sembra un ottimo affare.
— In quanto figlio di un negoziante, ho il fiuto per gli affari nel sangue —
replicò Hampton con ironia. — È una fortuna, perché se fosse toccato ai
nobili governare il mondo, l’umanità vivrebbe ancora nelle caverne.
— Il mio non voleva essere un insulto. Al contrario.
— Mi dispiace — si scusò Hampton. — È un argomento sul quale sono
molto suscettibile da quando ho lasciato la campagna per iscrivermi alla
Royal Academy. Mi hanno fatto spesso notare che non sono un gentiluomo, e
che non lo sarò mai.
— Se non ricordo male, il padre del signor Turner non era un barbiere?
— Sì, ma non penso che abbia commesso l’errore di fare amicizia con i
suoi aristocratici compagni di studi — replicò Hampton con sarcasmo.
Kenneth si chiese se fosse invidioso dei nobili natali di sir Anthony.
Sperando di riuscire a cavargli altre informazioni, disse: — L’accademia non
vi avrebbe accettato se non aveste avuto talento.
Sul volto di Hampton calò un’ombra di nostalgia. — Il giorno in cui mi
ammisero fu il più felice della mia vita. Ero arrivato a Londra con il sogno di
diventare il pittore più geniale che l’Inghilterra avesse mai avuto. — Gli
sfuggì un sospiro. — Sciocche fantasie giovanili.
Nessuno meglio di Kenneth era in grado di capirlo. Lui nutriva ancora la
segreta speranza di poter dimostrare di possedere un talento innato per la
pittura a olio. Invece, non riusciva nemmeno a dipingere una natura morta
dignitosa.
Erano arrivati davanti alla porta del magazzino e, mentre inseriva la
chiave nella serratura, Kenneth disse: — Forse non avete realizzatoli vostro
sogno, ma siete diventato l’incisore più bravo d’Inghilterra. Dev’essere una
grande soddisfazione.
— Lo è — ammise Hampton, entrando nel locale. — E rende anche molto
bene. Ma è sempre doloroso ricordare la delusione che provai quando iniziai
l’accademia e mi trovai per la prima volta tra gente più dotata di me. Ricordo
che quando vidi le opere di Anthony, capii subito che non avrei mai potuto
uguagliarle.
— Eppure, siete diventati amici.
— Ci unisce l’amore per l’arte. Lo stesso vale per Malcolm Frazier. Per più
di trent’anni, la nostra amicizia è stata consolidata dalla comune passione per
l’arte.
Un’amicizia che nemmeno la relazione di Hampton con Helen Seaton era
riuscita a incrinare. Kenneth si chiese se l’incisore avesse provato una segreta
soddisfazione nel sedurre la moglie del più famoso amico. La gelosia poteva
assumere molte forme.
Si guardò intorno. Il magazzino era fresco e asciutto, con finestre alte e
strette, ed era ingombro di rastrelliere studiate per contenere quadri. Prese la
tela più vicina e la guardò: era inquietante e incantevole al tempo stesso,
rappresentava una ninfa leggiadra che trascinava un giovane dall’aria vanesia
verso un destino fatale nelle acque di un lago. — Questo è sicuramente di
Rebecca, non di sir Anthony — commentò Kenneth.
Hampton lo guardò, un po’ sorpreso. — Vi ha mostrato i suoi lavori? Una
concessione ben rara. Sì, è suo. L’ha dipinto poco dopo la fuga. — Negli occhi
gli si accese un lampo divertito. — Il giovanotto che viene trascinato in acqua
assomiglia molto al porco che la sedusse.
Kenneth rimise la tela al suo posto, soddisfatto che Rebecca avesse
trovato un modo per pareggiare i conti. — Il quadro del Château de
Hougoumont è delle stesse dimensioni degli altri della serie?
— Sì, e ciò significa che dovrebbe trovarsi in questa rastrelliera. —
Hampton tirò fuori una grande tela e sussultò, sbiancando in volto.
Kenneth si spiegò la violenta reazione quando vide il dipinto. Era uno
studio a olio di Helen Seaton, ma non la Helen sorridente del rifratto che si
trovava in ufficio. Indossava una morbida tunica greca e gemeva con le
braccia levate verso il cielo e i capelli ramati sparsi sulle spalle. — Buon Dio
— esclamò suo malgrado. — Vuole essere la rappresentazione di una donna
troiana, dopo la distruzione della sua città?
— Forse. Oppure era… semplicemente Helen. — Cupo in volto, Hampton
rimise a posto la tela e ne estrasse un’altra.
Chiedendosi cosa si nascondesse sotto quel commento, Kenneth cercò di
scoprire qualcosa di più: — Ho saputo che siete stato voi a trovare il suo
cadavere dopo l’incidente.
Hampton annuì. — Stavo facendo una cavalcata sulle colline quando, con
la coda dell’occhio, scorsi uno strano movimento. Mi voltai per guardare
meglio, e feci appena in tempo a scorgere di sfuggita una sagoma verde che
precipitava da Skelwith Crag.
— L’avete vista cadere? — Quando l’incisore annuì, Kenneth chiese: —
Avete notato qualcos’altro di strano?
Hampton aggrottò la fronte. — Cosa intendete dire?
— C’era qualcun altro in cima al dirupo?
— No di certo. Tuttavia, sono così miope che avrebbe potuto esserci un
tiro a quattro senza che lo notassi. Ho visto soltanto quella figura umana che
precipitava. Sono andato al galoppo a Ravensbeck nella speranza che Helen
fosse in casa e ridesse di me e delle mie assurde paure, ma… ma non rimasi
sorpreso quando non ve la trovai.
Era un vero peccato che la vista di Hampton fosse così scadente. — Perché
non vi siete sorpreso?
— Perché fate tutte queste domande? — ribatté Hampton, con un lampo di
ostilità negli occhi.
— Si comportano tutti in modo strano quando si parla della sua morte —
rispose Kenneth con semplicità. — Sono preoccupato perché so che Rebecca
ne è ancora molto sconvolta.
L’ostilità svanì, ma Hampton non aveva più intenzione di scavare nei
ricordi. — La morte di Helen ha sconvolto tutti, capitano. Tirate fuori quella
tela. Credo sia quella che siamo cercando.
Kenneth ubbidì in silenzio. Gli avevano appena fornito un altro tassello
dell’enigma ma, come tutti gli altri, non gli era di nessuna utilità.
Kenneth aiutò Hampton a imballare il quadro per il trasporto, quindi salì
di sopra. Al secondo piano, incontrò Rebecca e Lavinia, con le braccia cariche
di tessuti colorati.
— Voi due avete un’aria soddisfatta — osservò. — Cosa state combinando?
— Cerchiamo un abito che io possa indossare per il ballo — spiegò
Rebecca. — Lavinia mi ha suggerito di modificare uno di quelli di mia madre.
Penso che sceglierò questo — aggiunse, accarezzandone la seta color ambra.
Kenneth ne sollevò un lembo e glielo accostò al volto. — Perfetto. È della
stessa sfumatura dei tuoi occhi.
Le ciglia di Rebecca tremolarono quando lui le sfiorò la guancia con la
seta. Una vena le pulsava alla base della gola. — Suppongo che anche tu abbia
ricevuto l’invito al ballo.
Kenneth annuì. — Per fortuna, ho ancora qualcosa di adatto a una serata
elegante. Immagino che oggi pomeriggio sarai troppo occupata per dipingere?
Rebecca diede un’occhiata a Lavinia. — Sarò troppo occupata?
— Temo di sì — rispose Lavinia, sorridendo come una zia amorevole. — La
mia cameriera deve avere il tempo di fare le necessarie modifiche. Dovremo
anche scegliere gli accessori, e la pettinatura.
Osservandola, Kenneth si rese conto che a Lavinia piaceva rendersi utile.
Era un peccato che non avesse avuto figli. — Mi sembra che abbiate un bel
mucchio di vestiti.
— Lavinia vuole che sia pronta nell’improbabile caso che mi comporti
abbastanza bene da ricevere altri inviti — replicò Rebecca prima di
allontanarsi in compagnia dell’altra donna.
Osservando la grazia con cui camminava ancheggiando, Kenneth pensò a
un piccolo dono che poteva regalarle per il suo primo ballo. E, a differenza dei
quadri a olio, era una cosa che sapeva di poter fare.
16
Dopo essersi chiusa la porta alle spalle, Rebecca si gettò sul letto. Dio,
come era stata sciocca. Se non avesse scaricato la propria angoscia su di lui
con un’accusa così stupida, Kenneth non sarebbe stato costretto a dire a
chiare lettere che lei non era il tipo di donna di cui poteva innamorarsi. Non
l’avrebbe sposata nemmeno per salvare dalla rovina la proprietà e la sorella.
Non che lei desiderasse sposarlo, ma doveva ammettere che le piaceva, e
che lo desiderava. Voleva anche che lui ardesse di un desiderio che lei sola
fosse in grado di appagare.
Quale sarebbe stata la relazione ideale con Kenneth? Rebecca si girò sulla
schiena e fissò il soffitto. Essere amanti. Ecco la soluzione perfetta.
Sarebbero vissuti ognuno a casa propria e, ogni volta che lei fosse stata nella
giusta disposizione d’animo, l’avrebbe invitato ad andarla a trovare, e
avrebbero fatto l’amore con furia appassionata, senza conseguenze dolorose.
Peccato che la vita non fosse così semplice.
18
Un’ora più tardi, Kenneth alzò la testa con cautela quando sir Anthony
entrò in ufficio, ma il suo datore di lavoro era calmissimo, e non fece
allusioni alla scenata di poco prima.
Dopo aver sbrigato la normale corrispondenza, Kenneth gli porse la bozza
dell’annuncio che aveva preparato.
Sir Anthony lesse le poche righe e gli restituì il foglio. — Molto bene, ma
usate il vostro titolo invece del grado militare. — Nella sua voce si insinuò
una nota di ironia. — Voglio che tutti sappiano che la mia bambina farà un
ottimo matrimonio.
— Mi dispiace per quanto è accaduto, signore — disse Kenneth, a disagio.
— Volete dire che vi dispiace di aver baciato mia figlia? O vi dispiace di
esservi fatto sorprendere?
Kenneth decise di essere sincero e rispose: — Non rimpiango di averla
baciata… Rebecca è molto affascinante. Ma è stato uno sbaglio farlo e
metterla soprattutto in una situazione così imbarazzante.
— Quali sono le vostre intenzioni nei suoi riguardi?
Pensando che avrebbe preferito trovarsi di fronte a una corte marziale,
Kenneth rispose scegliendo con cura le parole. — Prima di ieri sera, non
avevo intenzioni di nessun tipo. Non ho alcun diritto di prendere moglie,
avendo ereditato una proprietà che è sull’orlo della bancarotta.
— Rebecca possiede già un patrimonio considerevole e, alla mia morte,
erediterà una piccola fortuna.
Kenneth fu colto dall’ira. — State cercando di convincermi a sposarla per il
suo denaro? Perché se è così, è oltraggioso per tutti e due. Non le occorre
essere ricca perché un uomo la desideri, e io non mi lascerò comprare.
— Non inalberatevi, capitano — ribatté sir Anthony, in apparenza
soddisfatto. — Non intendevo insultarvi. Vi sto solo facendo notare che, se
volete sposarla, è stupido che permettiate al vostro orgoglio di interferire.
— A quanto pare, siete favorevole a questo matrimonio. Perché? — chiese
Kenneth con franchezza. — Come ho già detto, non sono un gran partito, e
non mancano certo uomini più ricchi, più istruiti e più belli di me.
— Forse, ma siete l’unico per il quale Rebecca abbia dimostrato un certo
interesse dall’epoca di quel dannato poeta. È un requisito fondamentale.
— Ma non sapete niente di me.
— Non ho bisogno di un mucchio di referenze per capire chi siete. Un
uomo porta scritto in faccia il suo carattere. Io non vivrò in eterno, e mia
figlia ha bisogno di un marito premuroso, onesto e capace, che deve anche
saper apprezzare l’arte e rispettare il suo talento. Non è facile trovare un
uomo simile. Voi sareste perfetto per quel ruolo.
Non c’era niente di più umiliante che godere della stima dell’uomo per
distruggere il quale era stato assunto. Non sapendo cosa rispondere, Kenneth
disse: — Rebecca non sarebbe d’accordo sulla necessità di avere un marito.
Sir Anthony gli lanciò un’occhiata penetrante. — Voi non siete inesperto
in fatto di donne. Se deciderete di darvi da fare, sono sicuro che riuscirete a
essere molto… convincente.
— Convincente? — ripeté Kenneth, incredulo. — State insinuando che
dovrei tentare di convincere vostra figlia a sposarmi seducendola?
— Detto così è un po’ brutale, ma fondamentalmente esatto. Mi
dispiacerebbe vedere una buona unione andare in fumo per colpa della sua
ostinazione e del vostro orgoglio.
Kenneth trasse un respiro profondo. — Tutti i colloqui tra padri e
potenziali generi sono così espliciti?
Sir Anthony ridacchiò. — Non posso saperlo, dal momento che Helen e io
siamo fuggiti per sposarci. Quando tornammo da Gretna Green, suo padre mi
informò che aveva preso le misure necessarie per impedirmi di mettere le
mie mani avide sul suo patrimonio. Credo che rimase deluso quando capì che
la cosa mi lasciava indifferente. — La sua espressione ridivenne seria. — Un
buon soldato è un misto di onore e realismo. Un uomo non è niente senza
l’onore, ma spesso è meglio essere realistici. Rebecca non è una vergine di
diciassette anni, perciò non occorre che vi comportiate come se lo fosse.
Con quel commento stupefacente, sir Anthony si alzò e si diresse alla
porta, ma prima di uscire disse ancora: — Sono sincero con voi perché credo
che teniate a mia figlia. Ma se la farete soffrire, perdio, vi frusterò, anche se
siete due volte più grosso di me e avete la metà dei miei anni.
— Ho capito. Ma vi consiglio di evitare di parlare così a Rebecca — replicò
Kenneth con sarcasmo. — È probabile che reagirebbe andandosene di casa e
spedendoci tutti e due all’inferno.
— Vedo che la capite molto bene — commentò sir Anthony, lasciando la
stanza.
Kenneth si strofinò le tempie, confuso. C’era un’unica spiegazione: gli
artisti erano tutti matti.
Eppure, in cuor suo sapeva che, se non si fosse introdotto in casa Seaton
con l’inganno, sarebbe stato tentato di seguire il suggerimento di sir Anthony
e sedurre Rebecca.
19
Kenneth era contento che la seduta fosse finita. Era sempre difficile per
lui restare immobile e senza niente da fare tranne ammirare Rebecca, ma
quel giorno aveva temuto di non farcela. La sua mente divagava tra il ricordo
di lei, affascinante nell’abito di seta color ambra, e il pensiero ancor più
pericoloso di lei senza niente addosso.
Dopo il tè, si preparò con riluttanza ad affrontare un’altra lezione di
pittura. Aveva finito per odiarle perché si rendeva conto che non riusciva a
fare progressi.
Preparò con cura meticolosa i colori di cui avrebbe avuto bisogno per la
sua natura morta, e si mise al lavoro, mentre Rebecca, seduta al suo tavolo,
triturava pigmenti.
Dopo un po’ si alzò e si avvicinò a Kenneth per controllare a che punto
era.
— Le ombre della ciotola dovrebbero essere più accentuate, per darle
rotondità — commentò dopo un breve esame. — E le zone di massima luce
devono essere più calde, per trasmettere l’impressione del rame.
Aveva ragione, e Kenneth capiva dove stava sbagliando, ma mentre non
aveva difficoltà a ottenere certi risultati con gli acquerelli, non riusciva a
padroneggiare i colori a olio. Colto da un furore improvviso, scagliò sul tavolo
tavolozza e pennello e cominciò a passeggiare avanti e indietro per lo studio.
— Non ce la farò mai, Rebecca. Sto solo sprecando colori e tela. — Si voltò
a indicare la sua natura morta.
— È piatta. Morta. Cristo! Ho sbagliato a pensare che avrei potuto
imparare a dipingere con i colori a olio.
Si stava dirigendo verso la porta quando lei disse in tono deciso: — La
lezione non è finita, Kenneth.
— Oh, sì, e non ce ne saranno altre. Apprezzo la tua buona volontà,
Rebecca, ma è una perdita di tempo.
— Torna qui, capitano — gli ordinò lei. — Io ti ho accontentato accettando
di partecipare a quel dannato ballo, e ora tu accontenterai me facendo un
altro tentativo.
Con la mano sulla maniglia, Kenneth inspirò ed espirò lentamente per
calmare l’agitazione, quindi tornò con aria rassegnata al cavalletto.
Rebecca, seduta su uno sgabello, tamburellava con le dita sul tavolo,
pensando a voce alta. — I colori a olio sono un mezzo per trasformare le idee
in immagini visibili. In pratica, per esprimere le emozioni. Il tuo desiderio di
diventare padrone della pittura a olio è così forte che pretendi troppo da te. Il
risultato è che finisci per irrigidirti, e questo influisce sul tuo modo di
dipingere. Anche se il disegno di base è buono, alla fine il quadro risulta privo
di vita.
— Hai ragione — ammise Kenneth. — Ma che io sia dannato se so come
porvi rimedio.
Rebecca gli rivolse un sorriso malizioso. — Ci sarebbe una soluzione.
Faremo in modo che i colori a olio si comportino come un mezzo che tu già
padroneggi. — Così dicendo, prese un tubetto di azzurro e ne spremette una
piccola quantità su una tavolozza pulita. Dopo aver diluito il colore con
acquaragia fino a ottenere la consistenza desiderata, prese un foglio di spessa
carta e si servì di un pennello per tracciarvi una striscia di blu.
— Così diluiti — gli spiegò — li puoi usare quasi come se fossero
acquerelli. Provaci.
Dubbioso, Kenneth prese il pennello, lo intinse nell’azzurro e, tracciando
una pennellata sulla tela, si accorse di riuscire a stenderlo con notevole
facilità.
Quasi senza accorgersene aggiunse altre strisce di colore, creando
sfumature di blu come quelle che avrebbe usato per il cielo di un paesaggio
ad acquerello.
Posò il pennello e piegò le dita, pensieroso. — Interessante. La mia mano
ha agito d’istinto. — In preda all’entusiasmo, spremette sulla tavolozza un po’
di terra di Siena. Con pochi e rapidi tratti disegnò una silhouette di Rebecca,
con i lunghi capelli che le danzavano intorno alle spalle.
— Ne hai capito i vantaggi? — commentò lei, ridendo.
Kenneth aggrottò la fronte. — È troppo facile. Dev’esserci un motivo se
chi dipinge a olio non usa questa tecnica.
— I colori non hanno la stessa profondità e ricchezza — gli spiegò
Rebecca. — Sbiadiscono anche più in fretta così diluiti.
— Non ha importanza. Sto cercando di imparare, non di creare capolavori
capaci di sfidare il tempo.
— Un altro vantaggio — proseguì Rebecca — è che i colori diluiti si
asciugano più rapidamente ed è possibile lavorarci sopra prima. Il mio
consiglio è di usarli diluiti per lo sfondo, e di aggiungere poi i particolari con
tinte più dense.
Sempre più eccitato per quello che gli sembrava un passo importante
nella giusta direzione, Kenneth esclamò: — Rossa, sei fantastica.
Senza riflettere, si protese per darle un rapido bacio di riconoscenza. Ma
appena le loro labbra si sfiorarono, la tensione che si era accumulata tra loro
per tutto il pomeriggio prese vita. Rebecca socchiuse la bocca e le loro lingue
si incontrarono, intrecciandosi insieme con languida sensualità.
Il suo profumo era inebriante, un miscuglio di acqua di rose, di colori a
olio e di donna, una fragranza unica, come unica era Rebecca. Kenneth
ardeva dal desiderio di abbeverarsi alla forza e al mistero della sua
femminilità.
Le mise un braccio intorno all’esile vita e la strinse a sé. Con l’altra mano
risalì lungo il fianco fino a soffermarsi sulla tenera rotondità del seno.
Quando iniziò ad accarezzarlo, disegnando lenti cerchi con il palmo, Rebecca
sussultò e si inarcò contro di lui, flessuosa e arrendevole.
Le loro bocche si incontravano e si lasciavano in una estenuante
schermaglia. Le mani di Kenneth la modellavano con la stessa cura
amorevole che uno scultore avrebbe usato con l’argilla, esplorando la linea
delicata della nuca, le curve piene dei fianchi, la superficie piatta dell’addome.
A Rebecca sfuggì un lieve grido quando le sue mani scesero ancora più in
basso e accarezzarono la zona più intima della sua femminilità, nascosta
sotto strati di tessuto. In quell’istante, nella mente di Kenneth
riecheggiarono raggelanti le parole di sir Anthony: "Sono sicuro che potreste
essere molto convincente".
Dannazione, era sul punto di sedurla, proprio come gli aveva suggerito di
fare sir Anthony, Il fatto che non lo stesse facendo a sangue freddo non
significava che le conseguenze sarebbero state meno gravi.
Kenneth sollevò la testa e si raddrizzò. Da passionale il suo abbraccio
divenne protettivo e, per un istante, avvertì la protesta del corpo di Rebecca.
Ma subito la donna si immobilizzò e gli appoggiò la testa sotto il mento. Così
piccola e fragile, meritava di avere accanto l’uomo forte e onesto che sir
Anthony auspicava per lei, non quello subdolo e ingannevole che lui era in
realtà.
— Se non stiamo attenti — disse con voce incerta — potremmo davvero
finire davanti a un altare.
— Il cielo ce ne scampi e liberi. — Anche se il tono era sarcastico, c’era
un’espressione di vulnerabilità sul suo viso quando si scostò da lui.
I suoi capelli erano di nuovo sciolti, e Kenneth non resistette alla
tentazione di farvi scorrere attraverso le dita. — Se tento di baciarti di nuovo,
Rebecca, prendimi a calci. Tu riesci ad annullare la mia forza di volontà.
Un sorriso pigro e compiaciuto le incurvò le labbra. — Non ne ho molta
neanche io. Ricordi, ho distrutto la mia reputazione dieci anni fa.
Rebecca sollevò una mano per attirare a sé la testa di Kenneth, ma lui fu
rapido a catturarla e vi depose un bacio sul palmo. — Non dimenticarti che
ora sei di nuovo rispettabile.
Lei rise e scrollò la testa, facendo ondeggiare la folta capigliatura lucente
come seta. La sensualità che aveva avvertito in lei era ora palese in tutta la
sua carica erotica. Come aveva detto il padre, non era una vergine di
diciassette anni.
— Ti sembro rispettabile, capitano? — gli chiese con un ombra di
sarcasmo.
Senza volerlo, Kenneth strinse a pugno la mano con cui le aveva
accarezzato il seno. — Assomigli a Lilit, la creatura demoniaca inviata a
rubare le anime agli uomini. Perfida e irresistibile. Sono sicuro che aveva i
capelli rossi.
Rebecca inclinò la testa, in un gesto di deliberata provocazione. — Allora,
faresti meglio ad andartene prima che rubi la tua.
Lui le baciò di nuovo la mano prima di dirigersi alla porta. Sul punto di
uscire, si voltò per darle un ultima occhiata: appoggiata al tavolo, lo stava
osservando con lo sguardo ardente dell’artista e della donna. Kenneth fu
colto dal terribile sospetto che gli avesse già rubato l’anima, ma su una cosa
non aveva dubbi: aveva trovato il soggetto per il suo prossimo dipinto.
Kenneth trascorse la serata e gran parte della notte nel suo piccolo studio,
facendo esperimenti con i colori a olio diluiti e consumando una piccola
fortuna in candele. Quando alla fine andò a letto, il quadro che aveva preso
forma nella sua mente, mentre parlava con Rebecca, e la baciava, era già
abbozzato. Il pomeriggio seguente, mentre si stava applicando con una certa
fatica ai suoi compiti di segretario, l’amico di sir Anthony, lord Frazier, entrò
in ufficio.
— Buon giorno — lo salutò con voce flemmatica. — Ho letto sui giornali la
bella notizia e le congratulazioni sono d’obbligo. — Sollevò il monocolo e
studiò Kenneth con cura esagerata. — Così, siete un visconte. Vi prego di
perdonarmi se vi sono passato davanti uscendo da una porta. Ignoravo che
aveste un titolo che ha la precedenza sul mio.
Anche se il commento voleva essere ironico, Kenneth vi intuì una certa
acredine. Soffocò un sospiro; era la prima volta che Frazier lo apostrofava più
come un suo pari che come un essere inferiore, ma avrebbe preferito restare
una nullità ai suoi occhi.
— È un titolo che mi appartiene da poco — replicò in tono pacato. — Ci
vorrà del tempo perché mi abitui.
Frazier batté il monocolo sul palmo della mano. — Così, la piccola
Rebecca diventerà lady Kimball. L’avete già presentata alla vostra matrigna?
Nel suo intimo, Kenneth si irrigidì. — Abbiamo incontrato Hermione al
ballo dei Candover. La conoscete?
— Oh, sì. — Dal tono, era chiaro che Frazier la conosceva piuttosto bene.
— Possiede un umorismo di una perfidia raffinata. Ma voi lo saprete
sicuramente.
— Oh, certo. Ogni volta che penso a Hermione, ricordo la perfidia raffinata
del suo umorismo.
Frazier si appoggiò allo stipite della porta. — Non andate d’accordo con
lei?
Kenneth si strinse nelle spalle. — Non posso dire di conoscerla bene. Mi è
sembrata in gran forma al ballo.
— La vedovanza le si addice. — Frazier socchiuse gli occhi. — Avete fatto
bene a conquistare Rebecca. È un’ottima scelta per un uomo che sta
attraversando un periodo sfortunato.
— La prossima volta che qualcuno insinuerà che sposo Rebecca per il suo
denaro, dovrà vedersela con me — replicò Kenneth con voce gelida.
Frazier ammiccò, sorpreso da tanta veemenza. — Sono spiacente, non
intendevo insultarvi. In realtà, non conosco Rebecca, anche se l’ho vista in
pratica nascere. Che tipo è?
Kenneth rifletté un attimo prima di rispondere. — Timida ma decisa.
Intelligente e dotata di talento. — Pensando che Frazier non sapesse che
dipingeva, non si dilungò su quel punto. — È un’ottima assistente e critica
d’arte per suo padre.
— Non avevo idea che fosse una sua valida collaboratrice. — Lo stupore di
Frazier era genuino.
— È un tipo tranquillo. — Kenneth sorrise suo malgrado. — E incantevole
come un folletto silvestre.
— Queste sono le parole di un uomo innamorato. A quanto pare, il suo
matrimonio sarà una grossa perdita per Anthony. — Frazier diede un’occhiata
all’orologio sulla mensola del camino. — È tempo che me ne vada. Vi prego,
fatele le mie congratulazioni.
Kenneth si rimise al lavoro. Aveva chiesto a Rebecca di esentarlo dalla
seduta del pomeriggio perché non vedeva l’ora di rifugiarsi nel suo studio e
dipingere.
Rebecca scoprì che era facile peccare con un uomo che viveva sotto lo
stesso tetto, soprattutto in una casa di artisti pazzi che seguivano orari
strampalati. Nessuno si accorse di niente.
Naturalmente la tensione vibrava tra loro due la mattina seguente. Lei era
combattuta tra il desiderio di chiedergli scusa e la voglia di gettarsi tra le sue
braccia.
Era difficile capire cosa pensasse Kenneth, ma di sicuro non era rilassato
in sua presenza. Sapendo che l’atmosfera intima di una seduta sarebbe stata
snervante, lei decise che per qualche giorno si sarebbe limitata a ultimare lo
sfondo. E lui accettò con palese sollievo.
Poi, ritenendo che fosse meglio avere qualche informazione in più, invitò
Lavinia nel suo studio per una tazza di tè e, senza perifrasi, le chiese come
prevenire una gravidanza.
Lavinia pensò che fosse una richiesta naturale da parte di una donna in
procinto di sposarsi, e le illustrò diversi metodi.
Rebecca non le rivelò che il matrimonio era ancora una questione in
sospeso, ma apprendere come evitare di restare incinta la fece sentire
meravigliosamente libera. In quel modo, anche se avesse fatto ancora l’amore
con Kenneth, i rimorsi che già provava non sarebbero aumentati, perciò
avrebbe cercato di sedurlo di nuovo, se si fosse presentata l’occasione.
Perché, accidenti a lui, aveva ragione. Non si era resa conto della differenza
tra una vergine e una donna che aveva assaggiato il frutto proibito. Aveva
desiderato Kenneth senza sapere con esattezza cosa voleva. Adesso capiva
come la passione poteva avvelenare corpo e mente al punto che niente aveva
più importanza tranne l’amante, capiva come il desiderio riuscisse a colmare
il suo vuoto interiore, e il tocco della mano di un uomo a farle cantare il
sangue.
Sì, adesso sapeva cosa voleva, e lo voleva con un’intensità che la
spaventava.
Il fatto più preoccupante, poi, era la consapevolezza che non le interessava
l’appagamento sessuale in astratto, bensì Kenneth. Soltanto Kenneth.
Arrivati alla chiesa, Kenneth aiutò le tre signore a scendere dalla carrozza.
Porse quindi il braccio a Beth e insieme salirono i gradini mentre
risuonavano le note di un organo. Osservando la sorella, si sentì un po’ triste
all’idea di perderla prima di avere avuto l’occasione di rifarsi di tutti gli anni
in cui erano stati lontani.
Il suo volto doveva aver tradito quello stato d’animo, perché Rebecca
commentò con vivacità: — Fatti animo, Kenneth. Non perdi una sorella, ma
guadagni un ottimo fattore. — Quindi sbirciò all’interno della chiesa e
aggiunse: — È quasi tempo, Beth. Jack è bellissimo, anche se ha l’aria di poter
svenire da un momento all’altro. Ma non temere, Michael gli è accanto ed è
pronto ad afferrarlo se dovesse succedere. Ah, Jack sta sorridendo, ora che sa
che sei arrivata. Tutto sommato, penso che sopravvivrà.
Rebecca aspettò che risuonassero le note della marcia nuziale e, reggendo
il suo bouquet di fiori, si avviò lungo la navata con incedere elegante.
Beth lasciò il suo bastone contro il muro e si aggrappò al braccio del
fratello. Vedendo la sua espressione stupita, dichiarò in tono risoluto: — Non
arriverò all’altare appoggiandomi a un bastone. Non ne avrò bisogno. Adesso
ci sei tu a sorreggermi, e dopo ci sarà Jack.
— Sei incantevole, Beth. Vorrei che nostra madre fosse qui per vederti.
Beth indicò con il suo bouquet le volte del soffitto e alte vetrate colorate.
— Credo che mi stia guardando Kenneth.
Dopo cena, Kenneth salì nel suo studio e appoggiò sul cavalletto una tela
nuova, già preparata con un fondo rosso per il soggetto che aveva in mente.
Per renderlo al meglio, avrebbe dovuto risvegliare l’antica angoscia.
Avrebbe usato una tecnica spregiudicata, e il risultato sarebbe stato molto
diverso dai freddi e particolareggiati quadri storici che l’accademia
prediligeva. Tutti, tranne forse Rebecca, ne sarebbero rimasti disgustati.
Si fece coraggio e rievocò l’immagine, e l’orrore che l’accompagnava. Il
dolore era diminuito ma non era scomparso del tutto.
Con gli occhi lucidi di lacrime, sollevò il carboncino e tracciò le prime
linee.
24
Kenneth sibilò adagio quando entrò con Rebecca nella Somerset House. —
Non esageravi quando parlavi di coda. Devono esserci cinquanta o sessanta
uomini pigiati qui dentro. — Le sorrise. — E tre donne.
Il portiere, che stava consultando la lista dei dipinti, tuonò: — No —
rivolto all’uomo in testa alla coda.
— Poveraccio — mormorò Kenneth, mentre l’artista se ne andava,
terribilmente pallido.
Rebecca si aggrappò al suo braccio. — Mi sto pentendo seriamente di
essermi lasciata convincere.
Lui le diede un colpetto sulla mano. Aveva le dita gelate. — Vorrei dirti che
sarai stata sicuramente accettata, ma non ti farebbe sentire meglio, vero?
Rebecca gli rivolse un sorriso stentato. — Stai male anche tu, vero?
— Peggio di te, perché le mie probabilità sono più scarse delle tue.
— Io ho una tecnica migliore, ma tu hai temi più corposi.
— Sono corposi anche i tuoi, solo che sono meno drammatici.
Si guardarono e scoppiarono a ridere. — Siamo proprio in uno stato
pietoso, vero? — commentò Rebecca.
Lui non l’aveva mai sentita così vicina. A quanto pareva, condividere le
preoccupazioni creava un legame non meno potente della passione fisica.
Riuscirono a conversare del più e del meno mentre la coda avanzava, ma
Kenneth dubitava che in seguito avrebbero ricordato una sola parola di quello
che si erano detti. Aveva notato che in media venivano scartati tre artisti su
quattro, e immaginava che anche Rebecca se ne fosse accorta.
Dopo un attesa interminabile, rimase un uomo soltanto tra loro e il
portiere. — Frederick Marshall — disse l’artista con voce roca.
Il portiere passò di nuovo in rassegna i fogli, quindi sbirciò al di sopra
delle lenti. — Marshall. No.
Marshall picchiò un pugno contro il palmo dell’altra mano. — Accidenti
all’accademia! Cosa ne sanno quei vecchi imbecilli della vera arte? — Con gli
occhi che mandavano lampi, girò sui tacchi e si allontanò.
Toccava a Rebecca. Kenneth le posò le mani sulle spalle per farle coraggio.
Con un tremito nella voce, lei disse: — R.A. Seaton.
Il portiere le lanciò un’occhiata di disapprovazione, quindi si chinò di
nuovo sui suoi fogli. — Seaton. Il corsaro. Sì. Trasfigurazione. Sì.
Rebecca parve rinascere sotto le mani di Kenneth. Si voltò verso di lui,
con gli occhi scintillanti. Kenneth avrebbe voluto baciarla, ma si limitò a dire:
— Fantastico, e meritato.
— Tocca a te.
Lui avanzò di un passo. — Kimball.
Il portiere sfogliò il suo elenco con lentezza esasperante. — Kimball. No.
Kenneth si sentì gelare il cuore. Anche se si era preparato al peggio, la
realtà faceva ugualmente male. Rebecca gli prese la mano e la strinse forte.
Un attimo dopo, il portiere borbottò: — No, quell’era Kimborough.
Vediamo, avete detto Kimball? Kenneth riuscì ad annuire.
Il portiere guardò di nuovo l’elenco. — Navarro, 5 novembre 1811. Sì. La
Pietà spagnola. Sì.
In un impeto di pura gioia, Kenneth sollevò Rebecca tra le braccia e la fece
piroettare nell’aria. E lei lo abbraccio, ridendo di felicità.
L’uomo che era alle loro spalle si fece largo con impazienza. E questo li
riportò alla realtà. Kenneth posò Rebecca a terra, ma i loro sguardi rimasero
avvinti con pericolosa intensità.
Lui avrebbe dovuto sapere che era un errore toccarla quando erano
entrambi in uno stato di forte emotività. Era una fortuna che si trovassero in
un luogo affollato, altrimenti non avrebbe potuto rispondere delle sue azioni.
Prese Rebecca sotto braccio e la condusse via. — Ce l’abbiamo fatta,
Rossa. Ce l’abbiamo fatta!
Rebecca scese i gradini quasi a passo di danza. — Anche se appenderanno i
nostri quadri vicino al soffitto, potremo sempre dire di aver esposto alla
Royal Academy.
Il suo entusiasmo lo fece sorridere. Sembravano due soldati che avessero
combattuto e vinto una battaglia fianco a fianco.
Rebecca non pronunciò una sola parola per tutto il tragitto fino a casa. E,
nello spazio ristretto della carrozza, Kenneth si tenne il più lontano possibile
da lei.
Si considerava fortunato per averla trovata prima che succedesse il peggio,
ma doveva anche ammettere che era colpa sua se aveva corso il rischio di
essere violentata.
Kenneth si chiedeva come avesse potuto essere così stupido da credere
che sarebbe riuscito a districarsi dal groviglio in cui si era cacciato. La sua vita
era stata costellata da difficoltà e ora, nello spazio di pochi minuti, era
passato dalla felicità alla disperazione.
Cercò di ricordare cosa aveva detto Bowden con esattezza; ma senz’altro
era abbastanza da condannarlo per sempre agli occhi di Rebecca.
Arrivati a casa Seaton, pagò il vetturino mentre lei picchiava il battente
con violenza contro la porta.
Nell’attesa che qualcuno arrivasse ad aprire, si voltò verso di lui e disse
con voce dura: — Prendi la tua roba e vattene. Ti concedo un quarto d’ora,
dopodiché ti farò sbattere fuori dai servitori.
— Non c’è nessuno in grado di farlo. Inoltre, è da settimane che prendono
ordini solo da me. Non metterli, nella situazione di dover decidere a chi
ubbidire.
Per un attimo pensò che lei l’avrebbe schiaffeggiato.
— Sono stato assunto da tuo padre, e spetta a lui licenziarmi — proseguì in
tono conciliante, — Ho intenzione di confessargli tutto, ma prima devo
parlare con te.
Rebecca non ebbe il tempo di rispondere perché il maggiordomo aprì la
porta. Entrò in casa come se fosse normale per lei indossare un vestito
strappato e un cappotto maschile. — Mio padre è tornato, Minton?
— Non ancora, signorina Rebecca. — Il maggiordomo la fissò, stupito, ma
non fece domande.
Con la schiena rigida come un palo, lei salì le scale, Kenneth la seguì
dicendo: — Suppongo che il tuo studio sia il posto migliore per parlare.
— No! — Rebecca si tolse il cappotto e glielo lanciò.
Mentre lui lo afferrava, Rebecca si tolse il guanto e si sfilò dal dito l’anello
dei Wilding. Gli lanciò anche quello. Più per fortuna che per abilità, Kenneth
riuscì a prenderlo al volo prima che cadesse a terra.
— Scegli, o il tuo studio o il mio — continuò imperturbabile.
Vedendolo così determinato, lei salì all’attico, munendosi di una candela
strada facendo. Una volta nel suo studio, Kenneth accese le lampade e lei si
avvolse in un vecchio scialle intorno alle spalle prima di affrontarlo.
— Pensi di riuscire a giustificare il tuo inganno? — sibilò, con voce
tagliente.
— Probabilmente no, ma devo tentare. Devi credermi, non mi ha fatto
piacere ricorrere alla menzogna per introdurmi in casa vostra, ma non avevo
scelta. Mi ripugnava ogni giorno di più dovervi ingannare.
— Ed è per questo che mi hai sedotta… perché ti ripugna l’inganno? —
ribatté lei con amarezza.
Kenneth la guardò negli occhi. — Io ti ho sedotta? Ripensa a quello che è
successo, e dimmi se puoi sostenere un’accusa del genere.
Lei arrossì per l’umiliazione. — D’accordo. Sono stata io a sedurti. Ma se
tu fossi un uomo d’onore non saresti venuto a letto con me, visto che il tuo
vero scopo era quello di distruggere la vita di mio padre.
— Me lo sono ripetuto più di una volta. La verità, Rebecca, è che è stato
più forte di me.
Lei storse la bocca. — Una risposta molto comoda. Reciti con freddezza la
tua parte giorno e notte per settimane, ma ti manca l’autocontrollo
sufficiente per resistere alle patetiche avance di una zitella.
— È stato Bowden a fare quello stupido commento sulle ereditiere di una
certa età, non io. Credimi, tu non sei affatto patetica. Ti considero la donna
più affascinante che io abbia mai conosciuto. E la più desiderabile.
Lei parve di nuovo sul punto di schiaffeggiarlo.— Non cercare di cavartela
con l’adulazione! Il tuo cervello controllava il tuo corpo, e hai deciso che io
ero abbastanza ricca e disponibile.
Kenneth fu colto da un impeto d’ira. Improvvisamente le fu accanto, le
mise le mani sulle spalle e la baciò con prepotenza. Per un attimo, Rebecca gli
oppose una furiosa resistenza. Ma subito dopo la passione divampò, e le loro
bocche si fusero in un bacio ardente. Sentendo che il suo corpo s’inarcava
istintivamente contro di lui, Kenneth provò l’impulso irresistibile di lasciare
che il desiderio fisico colmasse il baratro che era aperto tra loro due. Dopo
aver fatto l’amore, forse sarebbe stata più disposta ad ascoltarlo.
Ma si rese conto che era una follia. Anche se il corpo di Rebecca stava per
cedere alla passione, possederla mentre era colma di disprezzo per lui,
significava commettere nei suoi confronti una violenza emotiva. Lei l’avrebbe
odiato per sempre.
La lasciò andare e indietreggiò. — Sei ancora convinta che il cervello
controlli il corpo? — disse con voce roca.
Rebecca si premette il dorso della mano sulla bocca. — Hai colto nel
segno, capitano. — Si strinse nello scialle e andò a sedersi accanto al camino.
— Su cosa diavolo dovevi indagare? Mio padre non è un criminale.
— Bowden è convinto che abbia ucciso tua madre — confessò Kenneth con
franchezza.
Rebecca rimase a bocca aperta per lo shock. — È assurdo. O Bowden è
pazzo o tu menti.
— Bowden è ossessionato da questo sospetto, ma non credo che sia pazzo.
— In modo conciso, Kenneth le spiegò cosa era accaduto e i motivi per cui
aveva dovuto accettare la proposta di Bowden.
Quando ebbe finito, lei disse: — Non hai scoperto niente perché non c’è
niente da scoprire. È inconcepibile che mio padre possa aver fatto del male a
qualcuno, tanto meno a mia madre.
— Puoi affermarlo con certezza? — Kenneth si lasciò cadere sul divano. —
Lo ammetto, mi sembra improbabile che sir Anthony sia capace di uccidere a
sangue freddo. Ma avrebbe potuto provocare la morte di tua madre senza
volerlo. È risaputo che avevano tutti e due un carattere focoso. Una lite, una
spinta rabbiosa, o un passo falso mentre cercava di sfuggirgli… così si
spiegherebbero molte cose.
— No! — esclamò Rebecca, in preda all’angoscia, — È vero, litigavano, ma
non in modo violento. Perché ti rifiuti di credere che la sua morte sia stata un
incidente?
— L’incidente è la spiegazione più probabile. Tuttavia, è a dir poco strano
che tutti quelli che erano vicini a tua madre siano molto reticenti sulla sua
morte. Sembra che abbiate tutti qualcosa da nascondere. Temete forse che sir
Anthony vi sia coinvolto?
— No!
— Allora, cosa temete? — insistette Kenneth.
Rebecca si alzò e iniziò a passeggiare avanti e indietro per la stanza, in
preda all’agitazione. Poi, come se avesse preso una decisione, si arrestò di
fronte a lui.
— D’accordo. Se proprio vuoi saperlo, la paura segreta di tutti noi e di cui
nessuno vuole discutere è che si sia suicidata. Se non è morta per un
incidente, si deve essere uccisa. In questo caso, la chiesa le avrebbe negato la
sepoltura in terra consacrata. — Rebecca chiuse gli occhi e sussurrò: — Ci
biasimi se non vogliamo parlare della sua morte?
28
Alla luce del giorno, i danni allo studio apparivano ancora più gravi.
Scendendo a far colazione, Kenneth si fermò a dare un occhiata e vi incontrò
sir Anthony.
— È una scena che mi fa gelare il sangue. Pensate se fosse successo
mentre i quadri della serie di Waterloo erano ancora qui. Avrei potuto
perdere quelle che considero le mie opere migliori.
— Grazie al cielo si sono salvate. Sarebbe potuto succedere di peggio. Se la
bomba incendiaria fosse atterrata nella vostra camera da letto, voi e lady
Claxton avreste rischiato di non uscirne vivi.
— Credetemi, ci ho pensato. Si riuscirà a scoprire il responsabile?
— Non saprei. Non vedo come la polizia possa svolgere un’indagine se non
ha elementi da cui iniziare. Vi risulta di avere nemici che vi odiano a morte?
— Assolutamente no. È facile per un uomo nella mia posizione recare
offesa senza volerlo. Posso aver stroncato un quadro esposto alla mostra,
qualcuno potrebbe aver riferito la mia critica all’autore, il quale potrebbe aver
deciso di vendicarsi. I pittori sono delle teste matte.
— Capisco. Se vi venisse in mente qualche episodio particolare, fatemelo
sapere. — Kenneth contemplò i resti dello studio. — Quali quadri sono andati
persi?
— Alcuni ritratti che dovevo ancora completare. — Sir Anthony elencò i
nomi di vari clienti. — Spedite una lettera a ciascuno di loro, spiegando il
motivo del ritardo. Dovranno rassegnarsi a posare di nuovo. Trasferirò la mia
attrezzatura in sala, perché è ovvio che non posso più lavorare qui.
Kenneth aprì le porte bruciacchiate che davano nella sala. — Il fumo ha
fatto danni anche qui, e ieri notte ho notato che c’è un’infiltrazione di acqua
al piano di sotto. — All’improvviso, ebbe un’idea. — Perché non vi recate nella
regione dei Laghi ora, invece di aspettare la data consueta? Possiamo
approfittare dell’estate per riparare i danni.
Il volto di Sir Anthony si illuminò. — È un ottimo suggerimento. Voi
resterete a Londra il tempo necessario per organizzare i lavori, quindi ci
raggiungerete.
Kenneth esitò, non gli garbava l’idea di non poterlo sorvegliare di persona.
D’altra parte, era meglio che si allontanasse da Londra, perché era ovvio che
il suo nemico si trovava lì. — Benissimo, signore. Iniziando subito a fare i
bagagli, potreste partire dopodomani.
— Date gli ordini necessari.
Kenneth annuì e scese al piano inferiore. Nell’atrio incontrò lord Frazier,
George Hampton e altri amici di sir Anthony, accorsi dopo aver saputo
dell’incendio. Ne studiò i volti, cercando segni di soddisfazione o di
delusione, ma vide soltanto curiosità e preoccupazione. Mentre si recava a far
colazione, si chiese se qualcuno di loro avrebbe anticipato la partenza per la
regione dei Laghi.
Per un giorno e mezzo in casa Seaton regnò un caos incredibile. Quando le
carrozze e il carro con i bagagli finalmente partirono, Kenneth aveva
l’impressione di aver organizzato un intero esercito per una marcia di
qualche mese.
Vedendo allontanarsi la carrozza con a bordo sir Anthony e Rebecca, ebbe
un improvviso e raccapricciante ricordo dell’ultima volta che aveva visto
Maria viva. Alla sua partenza, era stato colto da un presentimento, ma lei
aveva riso delle sue paure.
Sapeva, naturalmente, che i paragoni erano senza senso. Maria era una
nota guerrigliera che attraversava un paese in guerra; Rebecca viaggiava con
il padre e i domestici su strade sicure. Inoltre, avrebbe corso meno rischi
lontano da Londra e dai nemici del padre. Ma, nonostante quelle logiche
riflessioni, la partenza lo colmò di una paura irrazionale.
— Scusatemi, milord, non vi sentite bene?
A parlare era stato Minton, che lo osservava con la fronte corrugata.
Kenneth respirò a fondo. — Mi dispiace che la signorina Seaton se ne
vada.
Minton si rilassò. — L’impazienza degli innamorati. Non preoccupatevi,
milord. La raggiungerete tra pochi giorni.
Rientrando in casa, Kenneth si disse che era sciocco preoccuparsi: a
Rebecca non sarebbe successo niente di male. Anzi, la lontananza avrebbe
potuto aiutarla a capire cosa voleva veramente il suo cuore. L’angoscia,
comunque, lo tormentò anche mentre visitava le fabbriche di tessuti e di
mobili. Fu una ricerca estenuante, ma riuscì a trovare l’occorrente per
sostituire ciò che era andato distrutto.
Era molto tardi quando poté finalmente esaminare i diari che Lavinia gli
aveva consegnato quella mattina. Solo dopo una lieve esitazione si decise ad
aprire il primo. Forse a Helen Seaton non sarebbe piaciuto che occhi estranei
leggessero le sue confidenze, ma non avrebbe nemmeno voluto che il marito
venisse ucciso, o che la sua morte restasse impunita.
Le prime note risalivano a quando lei aveva diciassette anni. I suoi
genitori erano appena morti in seguito a una febbre mortale. E, terminato il
lutto, il suo tutore l’aveva mandata a Londra perché debuttasse in società.
Aveva riscosso un enorme successo malgrado gli orribili capelli rossi.
L’occhio di Kenneth cadde sul nome di lord Bowden. Nelle pagine
seguenti raccontava la storia del fidanzamento e della fuga.
Credo che all’inizio Anthony sia rimasto un po’ deluso perché non ho
dato alla luce un maschio. Ma adesso è in estasi davanti alla nostra
figlioletta con i suoi riccioli rossi. Ha già riempito mezzo album con
schizzi di lei che dorme, che gorgoglia e fa tutto quello che fanno i
neonati.
Il primo volume dei diari terminava lì, e Kenneth si alzò per sgranchirsi le
gambe e fare una pausa. Solo allora scoprì con sorpresa che era passata la
mezzanotte. Prima di andare a letto, buttò giù uno schizzo a pastelli di una
neonata con fiammanti riccioli rossi e seri occhi castani.
Quelle parole toccavano qualcosa nel profondo del suo animo. Anche lui
aveva sopportato la sua parte di dolore e, come per Helen, l’infelicità era stata
per lungo tempo rinchiusa nel suo cuore. Solo Rebecca gli aveva insegnato a
dare sfogo ai suoi orrori segreti.
L’ironia era che, mentre aveva dato a lui la chiave per conquistare la
libertà, lei era rimasta intrappolata nel proprio dolore. Come Helen, soffriva
per la perdita della madre e Kenneth sospettava che, come lei, non fosse mai
stata capace di spargere una lacrima.
Forse, quando si sarebbero rivisti, avrebbe trovato il modo di aiutarla ad
affrontare la sofferenza. Per il momento sapeva, con certezza assoluta, che
era giunto per lui il tempo di dipingere l’ultima delle immagini che lo
ossessionavano.
Una volta presa quella decisione, si chiuse nello studio, pregando che,
dopo aver affidato l’immagine alla carta, sarebbe stato libero di convivere con
le emozioni del suo passato, senza più esserne perseguitato.
Kenneth lavorò fino all’alba per dipingere il suo ultimo incubo. George
Hampton sarebbe stato felice di aggiungerlo alla serie delle incisioni, ma
certe cose erano troppo personali per rivelarle al mondo. Rebecca era l’unica
persona alla quale avrebbe voluto mostrare il dipinto, e si sentiva gelare al
pensiero che la frattura tra loro due non si sarebbe mai più sanata.
Lavorò tutta la giornata, senza risparmiarsi, per organizzare la
ristrutturazione di casa Seaton, in modo da poter partire al più presto per la
regione dei Laghi. Benché stanco per la mancanza di sonno, dopo cena iniziò
a leggere il terzo e ultimo dei diari di Helen. Nella prima parte, emergeva un
crescente senso di depressione.
Kenneth scosse la testa dopo aver letto quelle righe. Non c’era da stupirsi
se le persone che le erano vicine erano preoccupate che potesse suicidarsi.
Con il passare degli anni, aveva smesso di affidare i suoi pensieri alle
pagine del diario durante i mesi invernali. Forse era un compito che
richiedeva più energie di quante ne possedesse, oppure i suoi pensieri erano
troppo deprimenti per metterli nero su bianco.
Pur non avendo trovato tracce di eventuali nemici, Kenneth continuò con
perseveranza a leggere.
A poche pagine dalla fine, si imbatté in alcune righe che lo sconvolsero,
facendogli dimenticare la stanchezza.
Rebecca era contenta che fosse già calata l’oscurità quando arrivarono a
Ravensbeck, perché sarebbe stato più doloroso rivedere quei luoghi alla luce
del giorno. Avvertiti da Kenneth, i domestici avevano preparato le camere e
c’era ad attenderli una cena calda.
Il giorno dopo, Rebecca si svegliò di buonora e andò alla finestra ad
ammirare un panorama che riusciva sempre a estasiarla come la prima volta.
Anche se aveva vissuto quasi sempre a Londra, in campagna si sentiva più
felice. Meno gente, meno problemi, aria più pulita e tanta pace. Di colpo le
venne in mente che niente le impediva di trascorrere la sua vita a
Ravensbeck.
Rifletté su quell’idea. Suo padre e Lavinia avrebbero avuto la casa di
Londra tutta per loro, come si addiceva a una coppia appena sposata. Quanto
a lei, tra il paesaggio e la gente del posto, non le sarebbero mancati i soggetti
per i suoi quadri, e non avrebbe più potuto rivedere Kenneth.
Dopo aver fatto colazione, Rebecca saltò in sella a un pony e si recò al
villaggio. Legò la sua cavalcatura accanto. alla chiesa e si diresse a piedi alla
tomba della madre; negli ultimi nove mesi, l’erba era cresciuta, formando un
morbido manto erboso. Avevano installato anche il monumento disegnato
dal padre, con la scritta: HELEN COSGROVE SEATON. 1768-1816. MOGLIE, MADRE E
MUSA ADORATA.
Rebecca posò i fiori sulla tomba e restò a lungo con il capo chino,
sperando di avvertire un segno della presenza della madre, ma non sentì
niente se non il proprio dolore.
— Riposa in pace, mamma — mormorò prima di voltarsi e tornare sui
propri passi.
Quando arrivò in vista del pony, rimase sorpresa nel vedere Lavinia
accanto a un altro dei cavalli di Ravensbeck.
— Non volevo disturbarti — disse la donna sottovoce.
Rebecca sorrise vedendo il mazzo di fiori che reggeva in mano. — Il
giardiniere sarà molto arrabbiato con noi.
— Possiamo chiedergli di piantare dei fiori sulla tomba, così non dovremo
saccheggiare ogni volta le sue aiuole. — Lavinia esitò. — Davvero non
t’importa che io sposi Anthony?
— Davvero — la rassicurò Rebecca. — Mio padre ha bisogno di qualcuno
che si prenda cura di lui quando è troppo impegnato con il suo lavoro, e io
non ho il tempo per farlo.
— Inoltre, anche tu ti sposerai presto.
Rebecca s’impietrì. — Ne dubito.
— La situazione con Kenneth è così terribile?
— Sì — rispose Rebecca, laconica. Non voleva parlare di Kenneth, e si
voltò a guardare la valle. — È strano pensare che la dimora dei Seaton non
dista più di dieci miglia da qui, eppure non vi ho mai messo piede. Ho
conosciuto lady Bowden questa primavera. È stata gentile, benché le nostre
famiglie non si parlino.
— Margaret ha sempre avuto un carattere dolce. Se non vi sono rapporti
tra le vostre famiglie, la colpa è soltanto di Bowden. Penso che Anthony
sarebbe felice di fare la pace.
— Conosci lord Bowden?
— Un po’. Mi disprezza. Il nostro matrimonio sarà un altro punto a
sfavore di Anthony.
— Peggio per lui se è così sciocco. — Rebecca la salutò con un cenno del
capo e si allontanò, sapendo che Lavinia, come lei, avrebbe preferito restare
da sola a pregare sulla tomba di Helen. L’indomani avrebbe fatto un secondo
pellegrinaggio, ben più difficile: alla rupe dove sua madre era morta.
Essere frustati era meno penoso che viaggiare su una delle carrozze delle
Poste Reali. Privilegiando la rapidità, non offrivano la minima comodità ai
passeggeri, Kenneth, tuttavia, pensava che ne valesse la pena, perché sarebbe
arrivato a Ravensbeck impiegando soltanto due giorni.
Per tutta la durata del viaggio, cercò di convincersi che non c’era alcun
motivo di credere che Frazier si fosse recato nella regione dei Laghi animato
da brutte intenzioni. Fino a quel momento, niente lasciava pensare che ci
fosse un vero pericolo per la vita di sir Anthony.
Tuttavia, la bomba incendiaria che aveva appiccato il fuoco allo studio di
casa Seaton aveva tutte le caratteristiche di una dichiarazione di guerra.
Kenneth non voleva correre il rischio che Rebecca finisse per esservi
coinvolta.
La sua ansia cresceva man mano che si avvicinava alla meta. Quando
fecero una sosta alla locanda di Kendal, non si fece scrupoli nel servirsi del
suo titolo per prendere a nolo il cavallo del proprietario. Era un animale
robusto, che gli avrebbe permesso di arrivare ancor prima a Ravensbeck.
Non era mai stato nella regione dei Laghi, ed era confusamente
affascinato dallo splendore della campagna. In circostanze diverse si sarebbe
fermato per ammirare il panorama e per buttare giù qualche rapido schizzo,
ma data la situazione, non rallentò per un solo attimo l’andatura. Avrebbe
avuto tutto il tempo di godersi il paesaggio, una volta saputo che Rebecca era
sana e salva.
Lady Bowden terminò di bere il tè e posò la tazza. Quindi alzò la testa e
guardò il marito, seria in volto. — Ho saputo che Anthony e sua figlia sono
arrivati a Ravensbeck per l’estate.
Bowden impallidì. — Perché la cosa dovrebbe riguardarti, Margaret?
— È una bella giornata. Mi recherò a Ravensbeck per porgere le mie
condoglianze per la morte di Helen, come avrei dovuto fare l’estate scorsa.
Suo marito batté il pugno sul tavolo. — Non avremo nessun rapporto con
nessun membro di quella famiglia!
— Forse non ne avrai tu, ma io, sì — ribatté lei con voce ferma. — Durante
tutti questi anni ho ignorato la tua ossessione per Helen e l’odio che nutri per
tuo fratello, ma ora non più. Anthony ed Helen si sono innamorati e si sono
sposati. Il loro è stato un comportamento sconveniente, ma non hanno
commesso un crimine. Da parte tua, hai agito con malanimo nell’assumere
quel giovanotto perché dimostrasse che Anthony è un assassino.
Bowden rimase a bocca aperta. — Come sei venuta a saperlo?
— Ti ha tradito la tua stessa impazienza. — Margaret si alzò in piedi. — In
realtà, non hai mai conosciuto davvero Helen. Era una donna dal carattere
tempestoso, che ti avrebbe rovinato l’esistenza. Ha avuto delle relazioni, e lo
sai. L’avresti accettato da una moglie? È improbabile, perciò devi smetterla di
spasimare per lei come un liceale.
Lui si alzò in piedi gridando: — Ti proibisco di andare a Ravensbeck!
— Mi terrai prigioniera, mio signor marito? — chiese Margaret con soave
sarcasmo. — Mi impedirai di rientrare in casa dopo che avrò fatto visita a tuo
fratello? Non credo.
— Ti sei forse consumata d’amore per lui in tutti questi anni? Anche tu ti
sei incontrata con lui di nascosto, come tutte le altre sue donnacce?
— Non essere stupido, Marcus — replicò Margaret con voce gelida. — Sei
libero di non accompagnarmi, ma non puoi fermarmi.
Gli voltò le spalle e lasciò la stanza; nonostante la fermezza dimostrata, le
tremavano le mani. In tutti gli anni del loro matrimonio non aveva mai
messo alla prova l’influenza che aveva sul marito. C’era il rischio che l’avesse
sopravvalutata, ma quasi tre decenni vissuti all’ombra di un’altra donna
erano troppi. Era tempo di rischiare, nella speranza che la loro unione ne
uscisse rafforzata.
Kenneth arrivò a Ravensbeck nella tarda mattinata. Salì i gradini a tre alla
volta e, quando entrò nella bella casa di pietra grigia, fu accolto da un lacchè.
— Lord Kimball, siete in anticipo. Sarete impaziente di vedere la signorina
Rebecca, immagino.
— Esatto. Dov’è?
— Credo che sia andata a fare una passeggiata sulle colline.
Kenneth imprecò. — Dov’è sir Anthony? Lady Claxton?
— Sono in giardino. Volete che vi accompagni?
— Sì, per favore — rispose Kenneth, fremendo per l’impazienza.
Sir Anthony e Lavinia stavano godendosi un pallido sole. Vedendolo,
l’uomo esclamò, sorpreso: — Avete già terminato di organizzare i lavori di
ristrutturazione? Con voi a capo dell’esercito, Napoleone sarebbe stato
sconfitto molto più velocemente.
— Sono venuto perché sono preoccupato per la vostra incolumità. Frazier
si trova qui?
— No, che io sappia.
— Forse è qui — intervenne Lavinia. — Stamattina, una delle cameriere ha
detto che, quest’anno, tutti i londinesi sono arrivati prima del solito. Al
momento non ci ho fatto caso, ma può darsi che si riferisse a Frazier, che
abita a poche miglia da qui.
Kenneth imprecò di nuovo. — Credo che sia stato lui a incendiare la casa,
e sospetto anche che abbia ucciso lady Seaton l’estate scorsa.
Ci fu un attimo di silenzio esterrefatto, quindi sir Anthony esclamò: — È
assurdo! La morte di Helen è stata un incidente. È una follia accusare uno dei
miei più vecchi amici.
Kenneth scrollò la testa. — L’ipotesi dell’incidente non regge. So che le
persone a lei vicine sospettavano che si fosse trattato di un suicidio, ed è per
questo che siete tutti così reticenti.
Sir Anthony impallidì. — Avete parlato con Rebecca.
Kenneth annuì. — Da quanto mi ha detto, credo che se lady Seaton avesse
deciso di togliersi la vita, probabilmente l’avrebbe fatto in inverno, quando la
sua depressione si aggravava. Non in estate.
Lavinia posò una mano su quella di Anthony. — Dagli retta, caro. Dice
cose sensate, soprattutto sul conto di Frazier. Può darsi che il suo rancore per
il tuo successo abbia prevalso sull’amicizia.
— Vi spiegherò più tardi — insistette Kenneth con impazienza. — Ma
prima devo trovare Rebecca. Sapete dove è andata?
— A Skelwith Crag, dove Helen è morta — rispose sir Anthony.
Lavinia aggrottò la fronte. — Credo che la rupe sia visibile dalla casa di
Frazier. Ma che motivo avrebbe per farle del male?
— Che motivo aveva per uccidere lady Seaton? — ribatté Kenneth. —
Secondo me, è un po’ più che matto, e non voglio correre rischi. C’è uno
stalliere che possa condurmi subito alla rupe?
— Vi ci porterò io stesso. — Sir Anthony si alzò in piedi. — Anche se non vi
credo, la vostra ansia è contagiosa.
— Andiamoci subito. A cavallo.
Mentre cavalcavano, Kenneth gli fece un resoconto dettagliato di quanto
aveva scoperto. Quando gli rivelò quale incarico avesse ricevuto da lord
Bowden, sir Anthony commentò con ironia: — Così, è stato Marcus a
trovarmi un segretario. Gli scriverò un biglietto per ringraziarlo. Gli seccherà
sapere di avermi fatto un favore.
— Potete perdonare la mia doppiezza? — chiese Kenneth, sorpreso.
— Anche se vi siete introdotto in casa mia con l’inganno questo non
significa che abbiate un carattere infido.
— Vorrei che Rebecca fosse ugualmente tollerante.
— Ah. È per questo che non porta più il vostro anello.
— Non mi ero reso conto che ve ne foste accorto.
— Noto molte cose, ma mi è sembrato meglio non interferire. —
Arrivarono a un bivio e sir Anthony prese il sentiero sulla sinistra. — Temo
che mia figlia abbia difficoltà a fidarsi degli altri. Per lei è più facile aspettarsi
sempre il peggio dalla gente. Era una ragazzina molto tranquilla, e non dava
mai l’impressione di essere turbata dalle sregolatezze dell’ambiente artistico.
Solo quando fuggì con quell’idiota, mi resi conto che non le avevamo dato la
stabilità di cui un bambino avrebbe avuto bisogno. Ma ormai il danno era
fatto. Ecco perché pensavo che uno di carattere come voi fosse l’uomo giusto
per lei. Deve avere al suo fianco qualcuno di cui fidarsi.
L’analisi di sir Anthony spiegava senz’altro perché Rebecca aveva reagito
così male scoprendo il suo inganno. L’aveva giudicato e condannato e lui,
confuso com’era sul proprio futuro, non aveva migliorato le cose. Ma, perdio,
ora sapeva cosa voleva.
Kenneth accantonò quel pensiero e spiegò quali fossero i motivi per cui
riteneva che Frazier fosse un assassino e un incendiario. Mentre parlava, sir
Anthony ascoltava, sconvolto e sempre più convinto.
Quando Kenneth ebbe terminato, disse: — Se Helen non si è uccisa… — gli
si spezzò la voce. — Non potete capire cosa significhi per me. — Sul suo volto
era dipinto un grande dolore, ma anche il sollievo per essersi liberato da un
simile fardello.
Da quel momento, proseguirono in silenzio. L’ansia che Kenneth aveva
provato quando Rebecca aveva lasciato Londra era cresciuta fino a diventare
panico, anche se il cervello gli diceva che forse stava solo ingigantendo i
pericoli.
Sarebbe stato felicissimo di scoprire che si era sbagliato.
32
— Buongiorno, Rebecca.
Lei sussultò, spaventata, nell’udire quella voce familiare. Il vento le aveva
impedito di udire il rumore dei passi che si avvicinavano. — Buongiorno, lord
Frazier — rispose con freddezza. — Non sapevo che sareste arrivato così
presto quest’anno.
— Ho seguito un impulso.
Rebecca era seccata dal fatto di trovarselo sempre tra i piedi. A quanto
pareva, quell’uomo non aveva una vita indipendente, ma orbitava sempre
intorno a suo padre. Tuttavia, non poteva essere scortese. — La campagna è
un sollievo dopo la città.
Frazier frugò nel taschino del panciotto. — Volevo… consegnarvi un
piccolo dono.
— Se è un regalo di fidanzamento, devo rifiutarlo. Lord Kimball e io
abbiamo deciso che non siamo fatti l’uno per l’altra.
— Non è un regalo di fidanzamento. Ecco, prendete.
Riluttante, lei tese la mano e Frazier le mise nel palmo un piccolo oggetto.
Era il cerchietto mancante dell’anello di sua madre, quello con il cuore.
Rebecca lo fissò, pervasa di colpo da una paura agghiacciante. Kenneth
non si era sbagliato, era stato uno dei migliori amici del padre a uccidere sua
madre.
Pur sentendosi soffocare dal terrore, s’impose di mascherarlo. — Che
grazioso anello. Grazie, lord Frazier.
— Mettetelo — le ordinò luì.
Con dita tremanti, Rebecca lo infilò all’anulare della mano sinistra. — Mi
sta un po’ largo — disse, accennando a levarlo.
— Non toglietelo — Frazier disse in tono imperioso.
— Helen aveva il dito un po’ più grosso, ma non importa. L’anello è
indispensabile.
Ansiosa di allontanarsi, Rebecca disse in tono vivace, iniziando a riporre le
sue cose nel cestino: — Informerò mio padre che siete arrivato. Sono sicura
che vorrà invitarvi a cena stasera.
— Lascia perdere. Non avrai bisogno dei tuoi acquerelli per raggiungere
tua madre.
— Non capisco — rispose Rebecca, fingendo, spaventata soprattutto dalla
sua terribile calma.
Lui fece flettere il frustino tra le mani. — Credo, invece, che tu capisca
benissimo. Sei timida, ma non stupida. Ancora sconvolta per la triste fine di
tua madre, ti unirai a lei nella morte. Peccato che il significato dell’anello non
sarà compreso.
Non vedendo vie di fuga, Rebecca pensò, come ultimo disperato tentativo,
di incrinare la sua fredda determinazione. — Se mi ucciderete, Kenneth lo
capirà. Ha già intuito che mia madre è stata assassinata, e si renderà conto
che la stessa cosa è successa a me.
Frazier si limitò a stringersi nelle spalle. — Kimball dev’essere più
intelligente di quanto sembra, ma non gli servirà a niente. Avevo già in mente
di eliminarlo. Mi irrita vederlo pavoneggiarsi per gli insulsi elogi che
riscuotono i suoi brutti quadri.
— Non potete competere con lui — disse Rebecca con disprezzo. — È un
soldato. Potrebbe spezzarvi in due con le nude mani.
— Anche i soldati muoiono se colpiti al cuore da una pallottola. E io sono
un ottimo tiratore. — Frazier avanzò di un passo.
— Perché fate questo? — gridò lei, con il cuore stretto in una morsa di
terrore. — Mio padre è sempre stato vostro amico! Come potete permettere
che la gelosia vi trasformi in un assassino?
Frazier si arrestò. — Anthony è mio amico, l’amico più caro che abbia.
L’unica cosa che amo di più è l’arte. Non ho agito contro di lui, ma contro le
perverse influenze che hanno corrotto la sua opera.
— Corrotto la sua opera? È uno dei migliori pittori che l’Inghilterra abbia
mai avuto. I suoi ritratti, i suoi paesaggi, i suoi quadri storici… sono tutti
stupendi.
Uno spasimo alterò i lineamenti di Frazier, incrinandone la freddezza. — È
t u t t a spazzatura. Helen ha rovinato l’artista che c’era in lui. Quando
frequentavamo insieme la Royal Academy, aveva una passione per quanto di
più elevato c’è nell’arte. I suoi primi quadri erano nobili e raffinati.
— Erano ottimi per tecnica ed esecuzione, ma non avevano niente di
memorabile — replicò Rebecca — Solo in seguito ha acquistato uno stile
personale.
Le dita di Frazier si contrassero intorno al frustino.
— Helen l’ha distrutto! Per mantenerla, è stato costretto a dipingere
quadri volgari, dai quali Hampton potesse ricavare incisioni da vendere a
qualsiasi pescivendolo che avesse qualche scellino in tasca. L’ideale del
neoclassicismo è di trascendere la natura, non di sguazzarvi dentro.
— Mio padre trascende il neoclassicismo. Lui e altri veri artisti hanno una
visione innovativa della realtà. Non vomitano le stesse trite scene una dopo
l’altra.
— Kimball aveva ragione quando ha detto che eserciti una grande
influenza su di lui. — Frazier picchiò con rabbia il frustino sul palmo della
mano sinistra. — Avevo creduto che il vero problema fosse Helen, che dopo la
sua morte si sarebbe dedicato a opere più degne. Ma come poteva, con te
accanto che sputavi stupide sentenze sull’arte? È un peccato che quel poeta
idiota che ti ho messo alle calcagna si sia dimostrato così incapace.
Era un’altra rivelazione sconcertante. — Avete assoldato Frederick perché
mi seducesse?
— Non proprio. Mi sono limitato a fargli notare come sono romantici i
capelli rossi, e che un giorno saresti stata ricca. La sua immaginazione ha
fatto il resto. — Frazier scosse la testa. — Se l’avessi sposato e te ne fossi
andata dalla casa di tuo padre, non si sarebbe arrivati a questo. Devi
biasimare soltanto te stessa.
— Di tutte le cose che avete detto, questa è la più ridicola — Rebecca posò
la mano sulla bottiglia d’acqua che le serviva per pulire i pennelli, e si irrigidì,
pronta ad agire. — Non c’è da stupirsi che siate un pittore così mediocre. Il
vostro Leonida era patetico. Dipingevo meglio io a dieci anni.
Quelle parole gli fecero perdere definitivamente il controllo. Come una
furia, si lanciò su di lei. Rebecca gridò a pieni polmoni. E, al tempo stesso,
sollevò la bottiglia e gliela scagliò contro, colpendolo in piena faccia. Mentre
lui urlava per il dolore, Rebecca scattò in piedi e corse verso il boschetto di
betulle.
Aveva raggiunto i primi alberi quando Frazier si riprese e si gettò
all’inseguimento, coprendo la distanza che li divideva in pochi secondi. Un
attimo dopo, l’afferrò per il braccio e la fece girare con uno strattone. La sua
faccia insanguinata era una maschera di odio. Lei gridò di nuovo, cercando di
graffiarlo con le unghie.
— Maledetta! — Frazier le sferrò un pugno con violenza, colpendola al
diaframma. Rebecca crollò a terra, batté il capo contro il terreno e rimase
senza fiato, stordita e incapace di muoversi.
Mentre lui incombeva minaccioso su di lei, si rese conto di essere in balia
di un pazzo e che, tra pochi istanti, sarebbe diventata la donna che precipitava
dei suoi peggiori incubi.