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Queste poche righe rappresentano una parte non prevista e quanto mai
necessaria, visto l’argomento delicato che da qui a poco andrò a
trattare. L’informazione e il sistema per garantirne libertà e obiettività,
sono temi che non possono non legarsi in maniera quasi inestricabile
alla politica. In questa tesi si cercherà, per quanto possibile, di evitare
scivoloni ideologici al fine di aprire una finestra su aspetti e riflessioni
attuali e di una indiscutibile pregnanza.
Lo stage avuto presso la redazione di RedTv, mi ha dato l’inaspettata
opportunità di riflettere concretamente sul controverso problema del
finanziamento pubblico connesso alla nascita e crescita di un tentativo
editoriale. L’esperienza ha di fatti favorito un mio personale
cambiamento prospettico: l’economia, pensavo, è il motore che fa
girare il mondo; se uno Stato finanzia un’impresa, di fatto dopa il
mercato e non trovavo etico avvantaggiare alcuni a discapito di altri.
Dimenticavo il rilievo costituzionale del principio pluralistico e un
assunto fondamentale: la forma di un mezzo dipende dalla fonte di
finanziamento. L’auspicabile libero mercato dell’informazione, in cui
sarà il mercato a dare forma e sostanza all’informazione, è una chimera
che oggi passa attraverso una legislazione che non garantisce il diritto
ad essere informati dei cittadini a causa di caratteri oligopolistici (per
non dire monopolistici) del sistema italiano. A fronte di questo, il
pluralismo può essere garantito solo attraverso il denaro pubblico, una
varietà di voci che naturalmente il mercato non consentirebbe.
2
CAPITOLO 1
OBIETTIVI E METODOLOGIA DELLA TESI
3
La relazione proseguirà con la descrizione del contesto in cui la mia
esperienza si è svolta e proseguirà con l’inquadramento teorico del
problema. L’ultimo capitolo sarà dedicato allo stage e a “Resti tra noi”.
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CAPITOLO 2
RED IN E OUT
2.1 RedTv
5
La raccolta pubblicitaria è stato un cruccio fin dai primi passi della rete:
la platea di potenziali spettatori che ha accesso alla tv satellitare è
risucchiata dai canali o pacchetti che propongono sport, film e telefilm
nel loro palinsesto; una piccola rete persa fra i canali “a luci rosse” non
è appetibile dagli investitori pubblicitari.
«Forse un’operazione come quella di RedTv sarebbe sostenibile
passando sul digitale terrestre - ha prospettato Orfini nel corso della
nostra conversazione - poiché a regime garantirebbe una platea di
potenziali telespettatori più ampia da diventare più interessante anche
per la raccolta pubblicitaria. […] Bisognerebbe pensare un prodotto
televisivo diverso in grado di andare ad aggredire un mercato
pubblicitario più ampio».
“Resti tra noi”, programma pomeridiano al quale ho avuto la possibilità
di collaborare nel corso dello stage, si inscrive all’interno di questo
progetto. Se, fino ad allora, la tv era stata popolata da personaggi di
spicco degli ambienti politici di destra e sinistra, riempita di programmi
culturalmente “alti” rivolti ad un pubblico di sinistra in senso lato, con
“Resti tra noi” gli studi hanno cominciato a popolarsi di persone
“normali” con storie da raccontare, facendo percepire il protagonista
della televisione, una volta tanto, non come un fenomeno
dell’apparenza, ma come un portatore sano di valori e idee e
esperienze di vita.
2.1.1 Youdem
6
eventi del partito, etc. Non aveva l’ambizione di diventare una piccola tv
generalista e aperta come la nostra» ha spiegato il consigliere. Quindi
nulla in comune se non il riferimento ad un partito politico che diventa
“area” nelle intenzioni di Red. Lo stesso Caprara ha sottolineato:
«L’errore è stato quello di aver depotenziato l’unica carta che noi avevamo
però non è stato un problema di concorrenza. Perché un bollettino di partito
non ha l’ambizione di essere un giornale di informazione, ha l’ambizione di
tenere informati i propri iscritti». Mercati diversi ma concentrici: iscritti al
partito per Youdem, italiani che “guardano” a sinistra per RedTv.
Usando le parole del consigliere Orfini, il pubblico potenziale sarebbe
stato composto dagli «appassionati di politica orientati al centro sinistra
che seguono con passione le vicende del Paese. Nei momenti di grande
passione politica e di sperimentazione tv noi avevamo grandissimi
ascolti. Questo è un pubblico che ha voglia di ritrovarsi e riconoscersi e
vedersi in un contenitore tv che lo rappresenti di più di quelli attuali».
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Ascoltando Caprara ho avuto la sensazione che l’idea fosse differente:
«L’idea era che la nostra tv potesse diventare un riferimento politico
culturale per un’area larga». In qualche modo appare una dichiarazione
con intenti generalisti, ma le specificazioni che seguono rispetto alla
comparsa di Youdem mi hanno spinto a pensare che la sua fosse
un’idea complementare ma non coincidente a quella della Fondazione:
«L’esperienza ha dimostrato che lo spazio per una tv politica esiste
(una tv) che poi viene ripresa dai giornali e riproposta sul web – ha
spiegato – Un mercato significativo che può avere un impatto anche
economico solo se è da solo. Non esistono due possibilità di spazi così».
Per l’ex-direttore quindi, NessunoTv e poi RedTv era una “tv politica”,
ossia una tv che aveva «il compito di fare capire la politica; di
raccontarla, di interpretarla, di offrire al telespettatore una chiave di
lettura della realtà». E infatti NessunoTv prima e RedTv poi ha ospitato
tutto l’arco politico italiano senza distinzioni di sorta: «Da Tilgher
(Adriano, fondatore del Fronte Sociale Nazionale, ndr) a Ferrando
(Marco, componente del Prc, ndr) sono venuti tutti. Noi abbiamo
intervistato tutti e abbiamo dato parola a chiunque» ricorda Politano,
fiduciario di redazione. Uno spazio che non si esauriva in dibattiti, ma
nella possibilità di “gestire” angoli della programmazione. Il secondo
aspetto che più è stato sottolineato in tutti i colloqui, infatti, è stato
quello della “libertà d’espressione”.
Con la Fondazione ItalianiEuropei, il salto di qualità è stato palpabile:
«Doversi confrontare con un mercato delle idee maggiore ci ha permesso di
entrare in contatto con persone che noi prima potevamo certo intervistare, ma
non pensare di avere come collaboratori» ha osservato Caprara
commentando che come la presenza di tali personaggi portava con sé
la speranza, vana, di maggiori introiti pubblicitari. Un miraggio che è
sfumato davanti allo lo strutturale duopolio del sistema italiano e i più
competitivi “pacchetti” Sky.
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Ho sottolineato in precedenza come le mie idee rispetto al
finanziamento pubblico all’editoria fossero a favore del libero gioco del
mercato. In un contesto come quello di RedTv e sulla base delle nozioni
trasmesse dal master, ho messo in discussione il mio punto di vista
domandandomi quanto e se una piccola realtà fosse in grado di vivere
senza finanziamento pubblico; quanto e se fosse capace di
sperimentare contenuti e linguaggi contribuendo di fatto all’evoluzione
non solo del sistema televisivo, ma anche della società in senso lato.
Racconterò come, in una società in cui i partiti politici somigliano
sempre più a “brand elettorali” (Stefano Balassone), l’unico modo di
fare cultura politica sia quello di dare vita a fondazioni alla cui base
possono essere rintracciate quelle “correnti” meritevoli di stimolare
confronto e quindi crescita sociale. Sono loro che oggi cercano di
dotarsi di strumenti atti a diffondere idee e creare universi simbolici
condivisi da aree trasversali della società. E’ successo con i “finiani”,
oggi riuniti nella fondazione Farefuturo, ed il Secolo d’Italia. Doveva
succedere con i “d’alemiani” e RedTv, ma la politica ha deciso
diversamente. I media diventano, insomma, strumenti d’area e non
organi di partito dediti alla propaganda.
Su questo punto si gioca la partita del pluralismo. Le idee per essere
diffuse devono poter essere trasmesse indipendentemente dal ritorno
pubblicitario. A questo serve il finanziamento pubblico: «per garantire la
libertà di informazione e di espressione, per finanziare quelle testate e
imprese editoriali che non possono stare da sole sul mercato» (Matteo
Orfini).
1
Dispense Diritto dell’informazione, Università degli studi di Tor Vergata, avv. Silvio
Vannini, Roma marzo 2009-giugno 2010
9
Pluralismo e libertà di informazione sono i principi, i valori che più di
altri vengono chiamati in causa quando si trattano temi inerenti le
comunicazioni di massa ed i media.
Il loro essere cruciali mezzi ad uso della democrazia, fu tanto chiaro alla
Assemblea Costituente da spingerla ad inserire nella Carta
costituzionale precise indicazioni su come la futura Repubblica avrebbe
dovuto comportarsi.
Il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, infatti, è tutelato
dall’art.21 che recita: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il
proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di
diffusione». Lo stesso articolo, al secondo comma, riporta «La stampa
non può essere soggetta ad autorizzazioni o censura».
Bisogna considerare che quando la Costituzione della Repubblica
italiana entrò in vigore, siamo nel gennaio 1948, l’avventura televisiva
era ancora ai suoi albori. Prove tecniche di diffusione del segnale e
sperimentazioni iniziarono durante il ventennio e proseguirono fino alla
metà degli anni Cinquanta. Il servizio regolare RAI, infatti, cominciò
soltanto il 3 gennaio 1954, in bianco e nero, con “Arrivi e partenze”.
Parallelamente iniziò la commercializzazione degli apparati tv con i
consueti problemi inerenti costi e ricezione del segnale. Basti ricordare
che ci volle qualche anno perché la Rai riuscisse ad irradiare l’intero
territorio nazionale2.
Se da un lato, quindi, i nostri costituenti hanno inteso tutelare la libera
espressione delle idee attraverso la stampa, dall’altro, sembra piuttosto
chiaro che abbiano sottovalutato la portata dei cambiamenti che il
mezzo televisivo avrebbe di lì a poco apportato al sistema dei media e
della comunicazione.
In dottrina, l’empasse interpretativo è stato superato individuando i
principi costituzionali che come tali devono dare forma ed ispirare la
condotta del legislatore. Trasparenza, come desunto dal quinto comma
dell’art. 21 («La legge può stabilire, con norme di carattere generale,
2
Aldo Grasso, Storia della televisione italiana, Garzanti, 2000
10
che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica»);
pluralismo, come dedotto dal secondo comma dell’articolo già
richiamato. In questo ultimo caso, i giuristi hanno sostenuto che il
divieto di sottoporre la stampa ad autorizzazioni o censure, servisse
non solo a garantire chiunque volesse entrare nel mercato, ma anche e
soprattutto a garantire la presenza di più voci nel mercato stesso. Una
tutela che, in poche parole, andava ad incidere sia sull’aspetto passivo
(ricevere) che su quello attivo (dare) del diritto all’informazione.
Pertanto «principio costituzionale che deve governare il settore delle
comunicazioni di massa, in quanto strumenti di realizzazione della
libertà attiva e passiva di informazione, è il principio pluralistico»3.
Tuttavia, mentre per la stampa periodica la Costituzione aveva indicato
la strada da percorrere, per gli altri mezzi di comunicazione la scelta
era stata completamente messa nelle mani del legislatore.
La lentezza della macchina legislativa ha fatto sì che la
regolamentazione in materia venisse lasciata per lungo tempo nelle
mani della Corte Costituzionale. Per avere un’idea dell’ampiezza della
lacuna legislativa basti pensare che la giurisprudenza costituzionale
prese le mosse a partire dal 1960, anno del primo pronunciamento, a
soli quattro anni dall’inizio della radiodiffusione a livello nazionale. La
prima legge organica di sistema arriverà solo nel 1990 con la cosiddetta
Legge Mammì (l. n. 223/90).
In tutti i suoi pronunciamenti, la Corte si richiamò alla necessità di
garantire il pluralismo, sia interno che esterno, delle voci. Da una
chiusura completa all’iniziativa privata nel campo della radiodiffusione
a causa di questioni tecniche relative alla limitata disponibilità delle
frequenze, la posizione della Corte andò mitigandosi, concedendo
deboli ma fondamentali aperture a livello locale (sent. N. 202/76). Il
progresso tecnologico , del resto, rendeva sempre meno sostenibile il
3
Dispense Diritto dell’informazione, Università degli studi di Tor Vergata, avv. Silvio
Vannini, pag. 5
11
monopolio che la Corte aveva giustificato come una misura a tutela
della libertà di espressione.
Pronunciamenti, richiami e silenzi continuarono a caratterizzare lo
sviluppo del sistema radiotelevisivo italiano. Nel 1988, nella sentenza n.
826, la Corte precisò meglio il concetto di pluralismo, individuando due
accezioni. Il pluralismo interno, che doveva caratterizzare l’attività del
servizio pubblico di radiotelevisione, indicava la necessità che
all’interno delle reti fosse riproposta la complessità della società civile,
non impedendo a nessuno l’accesso al servizio. Il pluralismo esterno, al
contrario, doveva caratterizzare l’attività delle emittenti private. In
questo caso il pluralismo si realizzava non perché ogni emittente
avesse una pluralità di voci al suo interno, ma perché ogni emittente
parlava con la sua voce unica e differente dalle altre.
Negli anni ’80 un altro aspetto preoccupava la Corte Costituzionale: il
pericolo di concentrazioni monopolistiche od oligopolistiche favorite dal
vuoto legislativo creatosi e dalla nascita di consorzi e gruppi di
emittenti locali che grazie all’interconnessione funzionale (ossia la
trasmissione simultanea di programmi registrati su cassetta) avevano,
di fatto, superato l’ambito locale liberalizzato nel ’76 dalla stessa Corte.
Alla richiesta di una legge antitrust, siamo nel 1981, il legislatore
rispose nel 1984 con una decretazione d’urgenza, dichiaratamente
provvisoria, che semplicemente consentì alle imprese che già
operavano al limite della legalità, di proseguire nelle loro attività in
attesa di una legge organica.
La legge arrivò nel 1990 con il ministro Mammì. Venne istituito il
Garante dell’editoria e della radiodiffusione, si sottopose l’attività di
radiodiffusione al rilascio di una concessione e per la prima volta
vennero posti dei limiti legislativi alle concentrazioni e vennero regolati
anche gli “incroci proprietari” tra emittenza televisiva e stampa
quotidiana. La Corte venne chiamata in causa e sentenziò che le soglie
previste fossero troppo elevate per garantire l’accesso al massimo
numero di voci possibile. Non si garantiva, insomma, quel pluralismo
12
esterno tutelato dall’art. 21 della Costituzione. Successive proroghe agli
effetti della dichiarazione di incostituzionalità mantenne invariato il
panorama anche dopo la riforma della Legge Maccanico (l. n.
249/1997). La nuova legislazione, che sostituì il Garante con l’AGCOM,
mantenne pressoché identico lo spettro delle emittenti, pur
individuando limiti congrui all’irradiamento delle reti (fissato al 20% per
uno stesso soggetto). Proroghe e lungaggini amministrative
continuarono a favorire le imprese già operanti nella radiodiffusione e
anche il piano di assegnazione delle frequenze, una delle più rilevanti
funzioni affidate all’AGICOM, non fu mai messo in pratica. La parità di
accesso ai mezzi di diffusione di massa continuava a rivestire
un’importanza cruciale nel gioco democratico, tant’è che nel 2000 il
legislatore sentì il bisogno di legiferare in proposito, dando forma alla l.
n. 28/2000 la c.d. par condicio. La normativa si riferiva ai soli periodi
elettorali e restringeva notevolmente l’autonomia editoriale delle
emittenti radiotelevisive nella comunicazione politica individuando
specifiche modalità di diffusione dei messaggi. Il pluralismo interno
faceva il suo ingresso anche nella gestione delle emittenti private.
Chiamata in causa, la Corte Costituzionale rigettò le questioni di
incostituzionalità sollevate. Le preoccupazioni che avevano ispirato la
Corte riguardavano «l’irrisolta situazione di deficit di pluralismo esterno
nella emittenza radiotelevisiva nazionale. In presenza di tale deficit
l’imposizione di obblighi di pluralismo interno si impone quale fattore di
riequilibrio del sistema»4.
Con l’avvento del digitale il panorama cambiò. La legge Gasparri (l. n.
112/2004) si assunse la responsabilità di traghettare il Paese verso una
nuova era in cui i limiti tecnologici legati al sistema analogico venivano
letteralmente spazzati via. A questa legge si deve la delega al Governo
per l’emanazione di un decreto recante il Testo Unico della
radiotelevisione (T.U. n. 177/2005), e delle disposizioni di principio al
4
Dispense Diritto dell’informazione, Università degli studi di Tor Vergata, avv. Silvio
Vannini, pag. 20
13
fine di indirizzare l’attività legislativa concorrente delle Regioni in
materia di “ordinamento della comunicazione” (come previsto dal
riformato art. 117 della Costituzione).
Da sottolineare come, nelle trasmissioni in tecnica digitale, il fornitore
di contenuti fosse diverso dal gestore di rete. Il primo aveva la
responsabilità editoriale di tutti i contenuti messi in onda e aveva
bisogno di un’apposita autorizzazione, il secondo doveva
semplicemente garantire l’accesso alla rete a condizioni eque e non
discriminatorie dopo aver ottenuto una licenza. L’art. 3 recita: «Sono
principi fondamentali del sistema radiotelevisivo la garanzia della
libertà e del pluralismo dei mezzi di comunicazione radiotelevisiva, la
tutela della libertà di espressione di ogni individuo, inclusa la libertà di
opinione e quella di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza
limiti di frontiere, l'obiettività, la completezza, la lealtà e l'imparzialità
dell'informazione, l'apertura alle diverse opinioni e tendenze politiche,
sociali, culturali e religiose e la salvaguardia delle diversità etniche e
del patrimonio culturale, artistico e ambientale, a livello nazionale e
locale, nel rispetto delle libertà e dei diritti, in particolare della dignità
della persona, della promozione e tutela del benessere, della salute e
dell'armonico sviluppo fisico, psichico e morale del minore, garantiti
dalla Costituzione, dal diritto comunitario, dalle norme internazionali
vigenti nell'ordinamento italiano e dalle leggi statali e regionali».
Sul piano dei principi e dei valori, dopo circa cinquant’anni, la legge ha
accolto le evidenze messe in luce dalla Corte Costituzionale e dalla
Costituzione stessa in un ambito solo sfiorato dal pensiero costituente.
Sul tema delle concentrazioni, cioè sull’aspetto in pratica più rilevante,
la discussione politica è ancora accesa.
14
imprese mediatiche. La composizione del consiglio di amministrazione,
infatti, è il segno tangibile di come un’azienda si muoverà nello spazio e
nel tempo. I progetti a breve, medio e lungo termine vengono plasmati
secondo gli indirizzi della direzione ed hanno un unico obiettivo: fare in
modo che l’azienda duri nel tempo. Una longevità che deve declinarsi in
soldi e consenso.
Per capire al meglio i meccanismi di governo di un’impresa, sia essa del
settore mediatico o meno, abbiamo bisogno di un altro elemento:
dobbiamo focalizzare l’attenzione sui rapporti fra proprietà, controllo e
direzione. In una parola, parliamo di “Corporate governance”5.
La Committee on the Finacial Aspects of Corporate Governance la
definisce come «Il sistema con il quale le aziende vengono dirette e
controllate» intendendo con “sistema” l’insieme di regole e limiti
imposti dai finanziatori, dall’assemblea generale degli azionisti, dallo
statuto della società6. Si tratta nel complesso di un modus operandi che
mira alla compensazione degli interessi, potenzialmente divergenti, per
la massimizzazione della tutela degli azionisti stessi. In un organismo
semplice, il principale azionista delega i propri poteri decisionali ad un
manager il quale deve operare negli interessi del principale. Il sistema
di controlli di governance, gli strumenti equity e non-equity,
garantiscono l’allineamento fra proprietà e management. Una
particolarità tutta italiana sta nella concentrazione in un unico soggetto
delle funzioni di proprietà e controllo. Il management avrà funzioni di
direzione7.
I caratteri della governance nel settore mediatico, sono legati alle
caratteristiche degli strumenti di informazione, a partire dalla loro
genesi.
5
Dispense Governance delle imprese del settore dei media, Università degli studi di
Tor Vergata, dott. Emiliano Di Carlo
6
Adrian Cadbury, Corporate Governance cosa è, Luiss University Press, 2007
7
Dispense Governance delle imprese del settore dei media, Università degli studi di
Tor Vergata, dott. Emiliano Di Carlo
15
In origine era la stampa. In Italia nacque nei salotti dell’alta borghesia
come critica letteraria. Si trattava di fogli di commento destinati alle
èlite culturali. Essendo destinati a gruppi ristretti, l’interesse primario di
questi “fogli” era quello di perorare punti di vista e opinioni all’interno
dello stesso gruppo. Il fine, non era la vendita, ma mantenere
l’omogeneità culturale e di pensiero di questi circoli ristretti. Questo
modus operandi ha fatto in modo che non si creasse un vero e proprio
mercato della stampa, ma un sistema in cui ogni movimento politico,
culturale o sociale trovasse nelle comunicazioni di massa un altro
strumento per mantenere il contatto con i propri membri e rafforzare il
senso d’appartenenza al gruppo8.
Alla base del fenomeno televisivo, al contrario, si possono ravvisare fini
puramente commerciali: Rusconi, Mondadori e Fininvest si mossero alla
conquista dell’etere con l’intento di usarlo come sponda per i propri
affari. Il pluralismo? Non era un problema loro e c’era la Rai che aveva
l’obbligo istituzionale di garantirlo. Con la progressiva scomparsa di
editori sulla scena nazionale e la concentrazione dei network nazionali
nelle mani di un unico grande gruppo, la Finivest, le cose si complicano.
Con l’ingresso della holding, il pluralismo esterno diventa una
emergenza.
E’ facilmente intuibile come, in questo contesto, la proprietà ed il
controllo dei mezzi di comunicazione di massa siano aspetti legati a
doppio filo con la libertà editoriale dei mezzi stessi: dovendo rafforzare
senso di appartenenza e la coesione sociale, risulta quanto mai
evidente che la proprietà pretenda dal management del media
l’assoluto allineamento e la diffusione delle proprie idee e non quelle
dell’avversario.
8
Dispense, Università degli studi di Tor Vergata, dott. Marco Mazzoni, lezioni di
comunicazione pubblica, Roma giugno 2010. Per approfondimenti vedere Jurgen
Habermas, Storia e critica dell’opinione pubblica, Editori Laterza, 2006; Paolo Mancini,
Manuale di comunicazione pubblica, Editori Laterza, 1996
16
2.3.3 Nuove tecnologie e mezzo televisivo: evoluzione della
domanda e dell’offerta pubblicitaria
17
Intanto la libera circolazione delle idee, non trovando nei tradizionali
mezzi di comunicazione di massa un’adeguata cassa di risonanza,
approda sul web. Con il protocollo 2.0, siamo nel 2006, gli user
generated content aprono un panorama diverso, almeno all’apparenza.
La possibilità di mettere in rete foto, video o semplicemente idee, con la
stessa facilità con cui prima si creavano documenti con fogli di scrittura
virtuali (word e simili), fanno immaginare scenari apocalittici per la tv
generalista. Già con la paytv il pubblico era stato spezzettato,
targettizzato. L’offerta stessa era andata specializzandosi arrivando, in
alcuni contesti, a personalizzarsi10. Per ogni profilo esisteva un
programma adatto e, di conseguenza, uno spot pubblicitario mirato.
Con il web 2.0 le possibilità di studiare il consumatore si moltiplicano
all’infinito. “Dimmi che siti visiti, come interagisci e ti suggerirò che
cosa comprare e dove” sembrava essere diventato uno slogan non
dichiarato. Problema: l’internauta mal sopportava le intrusioni
pubblicitarie “tradizionali” (banner e pop-up). Minimo l’impatto per
giustificare lo spostamento degli investimenti pubblicitari dalla tv
generalista o dalla paytv al mezzo internet. Anche le web-tv, proliferate
al materializzarsi della possibilità di fare informazione senza passare
attraverso il filtro dei grandi broadcaster, stanno incontrando lo stesso
problema: «I talk show delle webtv, ancorché titolate (Repubblica,
Corriere) fanno notizia oggi, ma mai una famiglia si radunerà per
assistervi ed esporsi al ciclo massiccio dell’investimento
pubblicitario»11. Un costume che, ad oggi, sembra essere piuttosto
lontano dal formarsi, proprio per l’abitudine ad utilizzare la rete come
mezzo individuale ed individualista di informazione.
10
Dispense L’industria televisiva: caratteristiche generali e prospettive di risposta alla
discontinuità del mercato, Università degli studi di Tor Vergata, dott. Claudio Cappon
11
Articolo di Stefano Balassone, “Europa” 20 marzo 2010
18
Leggendo i trend tracciati dalla fondazione Rosselli12, nell’insieme si
può supporre, anche in base all’andamento delle spese per pubblicità
pur in un anno difficile come il 2009, che quella sulla rete sia comunque
destinata a crescere, magari erodendo i ricavi della stampa per la
“piccola pubblicità”, mentre la Tv Free, pur con l’aumento di offerte
marginali conseguente alla estensione del Digitale Terrestre, non
dovrebbe vedere sostanzialmente cambiato il proprio panorama
strategico.
19
comprare un telegiornale di quelli tutti uguali come vanno in onda sulle
reti locali. La scelta di fare una tv tutta autoprodotta ha un costo
enormemente maggiore che oggi sul satellite è sostenibile con delle
risorse non pubblicitarie perché la quantità di persone che vedono il
satellite non sono sufficienti a coprire un costo pari a quello sostenuto
per Red (ha indicato 5mln di euro/anno, ndr).
I finanziamenti pubblici garantiscono, a chi non starebbe sul mercato
perché fa un prodotto difficile, perché fa un prodotto colto, perché fa un
prodotto scomodo, di poter esistere comunque. E’ vero che nelle pieghe
della legge ci sono anche i furbi che ne approfittano, ma quella è una
cosa che va perseguita. Una cosa come Red sul satellite può esistere
solo con il finanziamento pubblico, altrimenti deve diventare un’altra
cosa. Anche perché viviamo in un Paese in cui non che il mercato
pubblicitario sia libero, è evidente che il mercato è controllato e chiuso.
E’ difficile aprirsi spazi. Forse un’operazione come quella di RedTv
sarebbe sostenibile passando sul digitale terrestre, poiché a regime
garantirebbe una platea di potenziali telespettatori più ampia da
diventare più interessante anche per la raccolta pubblicitaria».
Claudio Caparara alla stessa domanda posta ad Orfini ha risposto così:
«Non c’è possibilità di raccolta pubblicitaria per una piccola televisione
da sola. Per fare pubblicità bisogna fare numeri, per fare numeri
bisogna avere un corpo maggiore rispetto a quello di una tv isolata. Il
finanziamento pubblico è indispensabile come lo è per i giornali e le
radio di movimento». E poi ipotizza la fattibilità di un finanziamento
pubblico ridotto della metà addizionato con fondi provenienti, magari,
da soggetti e fondazioni legati a movimenti politici. Il web: «è un
ulteriore canale su cui si può costruire qualche cosa, anche dal punto di
vista pubblicitario. Se noi avessimo avuto un po’ più di risorse avremmo
potuto fare dei passi più decisi in quella direzione».
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CAPITOLO 3
RESTI TRA NOI
3.2 Il programma
21
di una stanza. Lo studio non mancava, certo, di ricordare l’intimo spazio
domestico. Un tavolo, due sedie, una brocca, due bicchieri ed una
sveglia. Tre monitor delimitavano lo spazio virtuale della camera. La
quarta parete, ovviamente, era quella alle spalle del telespettatore.
Un’intima chiacchierata davanti a tre telecamere. Un’ironia che è stata
immancabilmente sottolineata dal logo prescelto: le tre scimmiette
sagge nel gesto di tappare bocca, orecchie e occhi. Come dire: “Non
vedo, non sento, non parlo”.
Una delle parole chiave della trasmissione era “viaggio”. E di fatti,
questo era: un viaggio breve, ma intenso nelle vite e nelle esperienze di
vita vissuta e in contesti sociali spesso solo evocati e mai esperiti.
In poco più di quattro mesi si sono dati il cambio sulle sedie di “Resti tra
noi” qualcosa come trecento persone dalle più disparate estrazioni
sociali, con all’attivo esperienze a volte singolari, a volte
semplicemente vere.
Il tentativo era quello di mostrare al pubblico quello che altrove era
introvabile: frammenti di vita, campioni di esperienze che a volte sono
raccontate come eccezionali invece di essere rivelate, come giusto
sarebbe, nella loro disarmante normalità.
La volontà era quella di far sentire il telespettatore, come un
viaggiatore che osservi dal finestrino il panorama della vita: «I am the
passenger and I ride and I ride, I ride through the city's backsides, […], I
am the passenger, I stay under glass, I look through my window so
bright»13. Il famoso brano di Iggy Pop “The passenger” per la sigla è
stata una scelta ben fatta.
La scaletta degli ospiti era organizzata cercando di rendere omogeneo il
contenuto della singola puntata. Dall’astrazione alla concretizzazione:
l’obiettivo era quello di mettere insieme chi un dato problema lo viveva,
chi lo trattava dal punto di vista filosofico o teorico o artistico, chi
13
“The passenger”, brano tratto dall’album “Lust for life” del 1977 di Iggy Pop.
Traduzione: «sono un passeggero che viaggia e viaggia, viaggia attraverso le parti
nascoste delle città […], sono un passeggero dietro un vetro, osservo attraverso il mio
finestrino così chiaro e lucente».
22
cercava di risolverlo poiché membro di un movimento o partito politico
o di un’associazione attiva sul territorio.
Il ritmo delle interviste, con un format di questa maniera, avrebbe
rischiato di essere inesistente o legato alla sola capacità ed esperienza
del conduttore. Allo scopo di alleggerire e dare alla coppia in video
l’occasione di cambiare argomento o arricchire di nuovi aspetti il tema
che si stava già trattando, in scaletta erano previste interruzioni,
interferenze video o fotografiche che avessero in qualche modo a che
fare con l’ospite. Video ispirati alla sua professione, foto riguardanti le
sue passioni. Musiche evocative di passaggi fondamentali o degni di
nota della sua esistenza. Mai sullo stesso mood della discussione: per
esempio, con un promotore finanziario abbiamo utilizzato uno spezzone
di “Pinocchio” in cui il Gatto e la Volpe cercano di convincere il
burattino a “fare un investimento”; con una blogger abbiamo usato
immagini sui vecchi metodi di comunicazione (piccioni viaggiatori
compresi); per uno dei rappresentanti di Action avevamo preparato un
breve filmato montando su scene da Biancaneve e i sette nani, la
famosa canzone di Sergio Endrigo “La casa”.
Questo significava, per la redazione, la necessità di scavare e
investigare, magari prevedendo incontri informali con gli invitati. Ma
anche immaginare percorsi concettuali al di sopra o al di sotto delle
“righe”.
Gli intervalli avevano lo stesso compito: spezzare, frammentare,
interferire. Puro intrattenimento senza secondi fini. Fonte unica:
Youtube.
Lo stile di conduzione, con buona pace di Umberto Eco14, non poteva
essere ricondotto né al compianto Mike e tantomeno al popolare
Bonolis. Sobrietà e pacatezza erano gli aggettivi che più si confacevano
allo stile di Stefano Balassone. Qualità riconosciutegli anche dai
frequentatori del blog (di cui si parlerà nei prossimi paragrafi) e dagli
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Si fa riferimento al testo “Fenomenologia di Mike Bongiorno” di Umberto Eco,
contenuto in “Diario minimo”, edito da Mondadori, 1975
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ospiti. A questo si univa un modo di portare avanti la conversazione con
sincero interesse e coinvolgimento. In poco più di venti minuti
Balassone era in grado di cogliere sfaccettature che altrimenti
sarebbero rimaste nascoste.
In un certo senso con “Resti tra noi” si stava verificando quello che
Caprara aveva scritto nel suo blog: «Noi vogliamo fare una bella
televisione, partendo da risorse esigue e cercando di ottenere la
collaborazione di soggetti nuovi […]. Vogliamo fare una televisione
capace di offrire spazi che altre realtà non possono o non vogliono
aprire. […] Vogliamo informare: cioè formare dentro le persone curiose
e appassionate ai temi sociali, culturali, economici»
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che le aprisse nuove finestre sul mondo senza la pesantezza ed il
pathos dell’approfondimento giornalistico). La distribuzione non
passava solo tramite satellite, ma anche on-streaming sul sito di RedTv,
su Youtube attraverso il canale di Red, sul blog restitranoi.it, su
Facebook e Twitter.
Nei prossimi paragrafi la descrizione dei due “spin-off” di “Resti tra
noi”.
“Prima d’ora” in origine era una striscia quotidiana, senza titolo, che
apriva la trasmissione. Dalle 16 alle 16.30 circa, Balassone portava
avanti una rassegna stampa incontrando, fisicamente o in
videoconferenza, giornalisti de L’Unità e personaggi provenienti dal
mondo dell’arte e della cultura “informati dei fatti”.
Nulla di originale, potrebbe pensare un telespettatore poco attento, se
non fosse che i giornali da cui si estrapolavano le “notizie” erano editi
fra il 1900 e il 2000. Cento anni di pubblicazioni patrimonio inestimabile
e on-line de L’Unità.
Da questo è derivata la scelta di ospitare coloro i quali quelle notizie le
avevano seguite e pubblicate e commentate. O magari le avevano
vissute in prima persona o da attenti spettatori. Macaluso, Reichlin,
Emiliani, ma anche Sansonetti, Muccino padre, Fregonara, si sono dati il
cambio negli studi di RedTv per commentare, ricordare, raccontare
storie che, grazie ad una felice intuizione, tornavano ad essere cronaca.
Il bianco e nero sottolineava la “storicità” del momento. Sugli schermi
dello studio e in onda, venivano messe le foto digitali scaricate dal sito
de L’Unità, per facilitare la comprensione dei telespettatori. La sigla, il
logo e le “interferenze video” rimanevano inalterate. Nel lungo periodo
l’intenzione sarebbe stata quella di creare uno spazio totalmente
autonomo.
Per ricapitolare: vecchie edizioni di quotidiani, giornalisti e direttori che
a quelle edizioni lavorarono, il bianco e nero. Questi gli ingredienti del
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progetto ambizioso, paradossalmente innovativo, che ha riportato agli
onori della cronaca fatti e misfatti. Dai primi fogli stampati sotto lo
sguardo di Antonio Gramsci per operai e contadini, alla clandestinità
durante il periodo fascista. Dalla ricostruzione dopo la seconda guerra
mondiale, agli anni di piombo.
Un progetto è tanto piaciuto alla direzione de L’Unità da portalo ad
essere parte integrante del nuovo sito del quotidiano.
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3.3 Know-how acquisito tramite lo stage
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Con l’avvento del web 2.0 e degli users generated content, la rete si è
trasformata in una vera e propria agorà virtuale in cui, attraverso lo
scambio di opinioni e punti di vista, si costruiscono o demoliscono,
crescono o muoiono marche, prodotti e servizi.
L’approccio che ho avuto con questa materia applicata a “Resti tra noi”,
è stato piuttosto ingenuo e immediato: la mia preoccupazione iniziale
era quella di lanciare on-line, sul numero più ampio possibile di social
network, quello che il programma e la redazione proponeva al pubblico
televisivo.
Il passo successivo è stato quello della ricerca dell’interazione. L’arco
temporale della trasmissione è stato troppo breve per ottenere risultati
stabili nelle interazioni e nei contatti giornalieri.
La mia attività è partita con la cura del blog www.restitranoi.redtv.it. La
struttura del sito:
Quotidianamente caricavo i video delle interviste con un breve abstract.
In un certo senso era l’archivio della trasmissione. A lungo andare ci
siamo resi conto che il blog stava rischiando di diventare un doppione
del sito redtv.it: anche in quello spazio virtuale aveva posto un archivio
con abstract delle nostre puntate. In tre mesi abbiamo raccolto circa
32000 (trentaduemila) visite. La mole di commenti, in proporzione,
molto esigua (circa 40), era dovuta al fatto che non fosse semplice
trovare lo spazio deputato. Questa è stata una delle critiche che più di
altre abbiamo raccolto fra i nostri “followers” attraverso contatti diretti.
L’obiettivo per il futuro sarebbe stato quello di dare una linea editoriale
al blog, e di farlo diventare un piccolo portale pluritematico legato a
doppio filo con gli argomenti trattati di volta in volta nel corso delle
trasmissioni.
Il passo successivo è stata l’apertura di una pagina Facebook, una fan
page. La scelta è stata quella di far amministrare la pagina da tutto il
gruppo di lavoro: Balassone, Riviello, Caprì ed io. L’obiettivo era quello
di riempire la pagine di punti di vista e provocazioni provenienti da
teste differenti. Volevamo creare on-line lo stesso ambiente che
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cercavamo di proporre in tv. Ovviamente anche sulla pagina Facebook
trovavano posto i link verso le interviste caricate sul blog o sul sito di
redtv. Ad ogni ospite chiedevamo di intervenire sulla pagina e di
suggerirla ai propri amici. In pochi giorni siamo arrivati a 500 contatti
superando di circa un centinaio di unità i contatti della fanpage di
RedTv, che comunque compariva come una delle nostre preferite.
Anche le interazioni ed i contatti giornalieri hanno soddisfatto. Del resto
non si avevano aspettative al riguardo.
Ultimo atto è stato un timido tentativo su Twitter a cui sarebbe seguito
Flickr.
Sperimentare la possibilità e la percorribilità di strade e piazze virtuali,
era l’obiettivo di questa parte del lavoro per “Resti tra noi”.
Una visione oculata nella gestione dell’immagine del canale avrebbe
cercato di sfruttare il corpus dei nostri contatti per ampliare la propria
rete e il proprio bacino di “followers”. D’altro canto, avrebbe messo a
disposizione del programma la notorietà accumulata e gli spazi virtuali,
per aiutare il successo di “Resti tra noi”, al di là della presenza
nell’archivio su RedTv.it.
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CONCLUSIONI
In un panorama mediatico in cui le proprietà incidono pesantemente sui
contenuti editoriali dei mezzi, NessunoTv, almeno nelle intenzioni, si
proponeva di essere uno spazio sperimentale a disposizione della
politica. Con l’ingresso nella compagine societaria della Fondazione
ItalianiEuropei, l’obiettivo si è ampliato: sperimentazione sì, ma con un
occhio di riguardo per tutte quelle aree della società civile che
guardavano a sinistra. Se per NessunoTv l’editore di riferimento poteva
essere il Pd e l’area politica che vi gravitava intorno, per RedTv doveva
diventare tutta l’area civile e politica orientata a sinistra. Da qui il
tentativo di rendere ampiamente generalista una rete che lo era
moderatamente e solo su temi politici.
Educare e favorire la crescita della cultura di sinistra, si potrebbe dire,
era l’intento ultimo della Fondazione, interprete d’eccezione della
tendenza dell’associazionismo a promuovere la cultura politica e non la
semplice propaganda.
“Resti tra noi” può essere inquadrato in questo panorama. Una rottura
rispetto al passato del canale, un progetto sperimentale su cui
continuare a lavorare allo scopo di aprire gli studi alla società civile.
La mia esperienza si è consumata in poco più di tre mesi ampliando le
mie competenze redazionali e aggiungendo, alle mie esperienze, anche
una infarinatura di web marketing.
Siamo stati, allo stesso tempo, spettatori e interpreti di una situazione
politica-economica che ha investito e sconquassato un piccolo canale
satellitare “in cerca d’autore”, potrei dire. Da quello che ho potuto
direttamente osservare, non c’è stata mai unitarietà di visione. Spero di
essere riuscita, attraverso gli stralci di interviste che ho proposto, a
descrivere o quanto meno tratteggiare le diversità di opinione, obiettivi
e vedute dei protagonisti. Strappi ci sono stati anche in seno al cda,
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tensioni che hanno portato alla fuoriuscita del direttore storico del
canale. Un fatto mal digerito dalla redazione di RedTv che si è trovata,
dall’oggi al domani, da assoluta dominatrice a pedina: da protagonista
di approfondimenti e dibattiti e tribune politiche, a comparsa nel
confezionamento delle news giornaliere.
Certo è che il cambio di passo è stato attuato in un momento di
assoluta debolezza. Una debolezza paradossalmente costruita nel
tempo: pubblicità, comunicazione web, canali alternativi a quello
satellitare, sono rimaste solo potenzialità sulla carta. Forse, l’attivazione
di i processi di comunicazione interna e di condivisione degli obiettivi
editoriali avrebbe potuto traghettare, in maniera meno traumatica, il
vecchio verso il nuovo. Ma questo non avrebbe cambiato il punto
centrale della discussione: RED ha tentato un cambio di passo senza che ne
esistessero le condizioni economiche adeguate.
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BIBLIOGRAFIA
Adrian Cadbury, Corporate Governance cosa è, Luiss University Press,
2007
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SOMMARIO
CAPITOLO 1...........................................................................3
CAPITOLO 2...........................................................................5
CAPITOLO 3.........................................................................21
CONCLUSIONI......................................................................30
BIBLIOGRAFIA......................................................................32
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