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“Ci siano pure scuole di partito o scuole di chiesa. Ma lo Stato le deve sorvegliare, le deve regolare; le deve tenere nei loro
limiti e deve riuscire a far meglio di loro. La scuola di Stato, insomma, deve essere una garanzia, perché non si scivoli in
quello che sarebbe la fine della scuola e forse la fine della democrazia e della libertà, cioè nella scuola di partito.
Come si fa a istituire in un paese la scuola di partito? Si può fare in due modi. Uno è quello del totalitarismo aperto,
confessato. Lo abbiamo esperimentato, ahimé. Credo che tutti qui ve ne ricordiate, quantunque molta gente non se ne
ricordi più. Lo abbiamo sperimentato sotto il fascismo. Tutte le scuole diventano scuole di Stato: la scuola privata non è più
permessa, ma lo Stato diventa un partito e quindi tutte le scuole sono scuole di Stato, ma per questo sono anche scuole di
partito. Ma c'è un'altra forma per arrivare a trasformare la scuola di Stato in scuola di partito o di setta. Il totalitarismo
subdolo, indiretto, torpido, come certe polmoniti torpide che vengono senza febbre, ma che sono
pericolosissime... Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però
formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e
trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa
fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato
hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata.
Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole
pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole
private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure
di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori
si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che
saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Gli
esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito
dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato
per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere.
Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d'occhio i cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi: ve l'ho
già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni.
Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino
insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private
denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico...”
Piero Calamandrei
discorso al 3° Congresso in difesa della Scuola nazionale
Roma 11 febbraio 1950
Indice
1
4.8.1. Assorbimento atomico .................................................................................................................................... 48
4.8.2. Metodo volumetrico........................................................................................................................................ 48
4.8.3. Metodo spettrofotometrico alla difenilcarbazide (in assenza di manganese).................................................. 49
4.8.4. Metodo spettrofotometrico in presenza di manganese.................................................................................... 50
4.9. Determinazione del manganese ............................................................................................................................. 50
4.9.1. Determinazione spettrofotometrica................................................................................................................. 50
4.9.2. Assorbimento atomico .................................................................................................................................... 51
4.9.3. Metodo volumetrico........................................................................................................................................ 51
5. I prodotti ceramici e i loro cicli di produzione.............................................................................................................. 53
5.1. Definizione di prodotto ceramico .......................................................................................................................... 53
5.2. Classificazione dei prodotti ceramici ..................................................................................................................... 53
5.3. Ceramiche silicatiche a base argillosa ................................................................................................................... 53
5.4. Materiali ceramici speciali..................................................................................................................................... 54
5.5. La classificazione delle piastrelle .......................................................................................................................... 55
5.5.1. Classificazione tecnico-commerciale.............................................................................................................. 55
5.5.2. Classificazione secondo le norme UNI EN 14411.......................................................................................... 56
5.6. I cicli tecnologici di fabbricazione......................................................................................................................... 57
5.6.1. Le materie prime per la preparazione degli impasti........................................................................................ 59
5.6.2. La preparazione delle materie prime per il supporto ...................................................................................... 60
5.6.3. La formatura ................................................................................................................................................... 61
5.6.4. L'essiccamento................................................................................................................................................ 61
5.6.5. La preparazione e l' applicazione degli smalti ................................................................................................. 61
5.6.6. La cottura ........................................................................................................................................................ 61
6. Il laboratorio nell’industria ceramica............................................................................................................................ 63
6.0. Scheda raccolta dati sperimentali........................................................................................................................... 63
6.1. Il laboratorio analisi materie prime e controllo qualità .......................................................................................... 64
6.2. Analisi granulometrica........................................................................................................................................... 64
6.3. Analisi meccanica e fisica...................................................................................................................................... 64
6.4. Analisi termica....................................................................................................................................................... 65
6.5. Analisi mineralogica .............................................................................................................................................. 66
6.6. Analisi chimica ...................................................................................................................................................... 66
6.6.1. Analisi chimica in fluorescenza RX ............................................................................................................... 66
6.7. Analisi chimica per via umida ............................................................................................................................... 67
6.7.1. Metodi d’attacco per la disgregazione del campione ...................................................................................... 67
6.7.2. Silice ............................................................................................................................................................... 70
6.7.3. Alluminio........................................................................................................................................................ 71
6.7.4. Titanio............................................................................................................................................................. 72
6.7.5. Ferro................................................................................................................................................................ 73
6.7.6. Calcio e magnesio.......................................................................................................................................... 73
6.7.7. Sodio, potassio e litio...................................................................................................................................... 74
6.7.8. Zirconio .......................................................................................................................................................... 74
6.8. Umidità .................................................................................................................................................................. 75
6.9. Perdita al fuoco ...................................................................................................................................................... 75
6.10. Calcare ................................................................................................................................................................. 75
6.11. Carbonio e zolfo totali ......................................................................................................................................... 76
6.12. Ritiro e/o espansione............................................................................................................................................ 76
6.13. Assorbimento d’acqua ......................................................................................................................................... 76
6.14. Plasticità............................................................................................................................................................... 77
6.15. Densità ................................................................................................................................................................. 77
6.16. Viscosità dinamica ............................................................................................................................................... 77
6.17. Residuo ................................................................................................................................................................ 77
6.18. Tempo di scorrimento .......................................................................................................................................... 77
6.19. Il laboratorio ricerca e sviluppo ........................................................................................................................... 78
6.19.1. La formulazione dell’impasto ....................................................................................................................... 78
6.19.2. Il diagramma di greificazione ....................................................................................................................... 79
6.19.3. La pulizia nel laboratorio ceramico .............................................................................................................. 80
6.19.4. Campionamento e cernita ............................................................................................................................. 80
6.19.5. Determinazione dell’umidità ........................................................................................................................ 80
6.19.6. Macinazione a umido in mulino rapido ........................................................................................................ 80
6.19.7. Essiccamento della barbottina....................................................................................................................... 81
6.19.8. Reidratazione ................................................................................................................................................ 81
6.19.9. Pressatura...................................................................................................................................................... 82
2
6.19.10. Acquisizione dei dati .................................................................................................................................. 82
6.19.11. Cottura ........................................................................................................................................................ 82
6.19.12. Prove finali e relazione ............................................................................................................................... 83
6.19.13. Formule di calcolo ...................................................................................................................................... 83
6.19.14. Dati finali .................................................................................................................................................... 84
6.19.15. Relazione per i provini ceramici ................................................................................................................. 84
7. I Fertilizzanti................................................................................................................................................................. 85
7.0. Scheda raccolta dati sperimentali........................................................................................................................... 85
7.1 Classificazione dei Fertilizzanti .............................................................................................................................. 86
7.1.1. Fertilizzanti azotati ......................................................................................................................................... 86
7.1.2. Fertilizzanti fosfatici ....................................................................................................................................... 86
7.1.3. Fertilizzanti Potassici...................................................................................................................................... 86
7.2 Analisi dei fertilizzanti............................................................................................................................................ 87
7.2.1. Trattamento preliminare ................................................................................................................................. 87
7.2.2. Determinazioni dell’umidità ........................................................................................................................... 87
7.2.3. Determinazione del fosforo ............................................................................................................................ 87
7.2.4. Determinazione dell’azoto .............................................................................................................................. 88
7.2.5. Determinazione del potassio ........................................................................................................................... 89
8. Analisi dei grassi alimentari ......................................................................................................................................... 91
8.0. Scheda raccolta dati sperimentali........................................................................................................................... 91
8.1. Aspetti generali ...................................................................................................................................................... 92
8.2. Determinazione spettrofotometrica del ∆K per gli oli d’oliva ............................................................................... 92
8.2.1. Produzione dell’olio di oliva........................................................................................................................... 92
8.2.2. Determinazione del ∆k.................................................................................................................................... 93
8.3. Saggio di Kreiss per la rancidità ............................................................................................................................ 95
8.4. Determinazione Gas-cromatografica degli esteri metilici...................................................................................... 95
8.4.1. Preparazione esteri metilici (metodo rapido CEE).......................................................................................... 95
8.4.2. Regolazione dello strumento ed esecuzione dell’analisi................................................................................. 95
8.5. Composizione media grassi vegetali e animali ...................................................................................................... 96
8.7. La bilancia idrostatica .......................................................................................................................................... 101
8.7.1. Descrizione della bilancia............................................................................................................................. 101
8.7.2. Accensione della bilancia ............................................................................................................................. 101
8.7.3. Determinazione della densità relativa d20/20 di un liquido............................................................................. 101
8.7.4. Determinazione della massa volumica di liquido a 20°C ............................................................................. 102
8.7.5. Correzione del pescante in uso ..................................................................................................................... 102
9. Determinazione Gas-cromatografica alcoli ................................................................................................................ 103
9.1. Preparazione degli standard e del campione ........................................................................................................ 103
9.2. Esecuzione dell’analisi......................................................................................................................................... 103
9.2.1. Parametri strumentali da impostare: ............................................................................................................. 103
9.2.2. Software di acquisizione dati:....................................................................................................................... 104
9.3. Elaborazione dei dati ........................................................................................................................................... 106
9.3.1. Standardizzazione esterna............................................................................................................................. 106
9.3.2. Standardizzazione interna ............................................................................................................................. 106
10. Analisi delle acque.................................................................................................................................................... 107
10.1. Aspetti generali .................................................................................................................................................. 107
10.1.1. Il ciclo dell’acqua e le alterazioni provocate dalle attività antropiche ........................................................ 107
10.2. Parametri acque di scarico ................................................................................................................................. 109
10.2.1 B.O.D.5 ........................................................................................................................................................ 109
10.3. Parametri acque potabili .................................................................................................................................... 111
10.3.1. Determinazione degli anioni per via cromatografica .................................................................................. 111
11. Determinazione del rame nei vini ............................................................................................................................. 112
11.1. Regolazioni strumentali ..................................................................................................................................... 112
12. Analisi prodotti alimentari ........................................................................................................................................ 113
12.1. Il Vino e il mosto ............................................................................................................................................... 113
12.1.1. L’uva........................................................................................................................................................... 113
12.1.2. La vinificazione .......................................................................................................................................... 113
12.1.3. L’anidride solforosa.................................................................................................................................... 115
12.2. Gli Aceti............................................................................................................................................................. 115
12.2.1. Fasi generali della produzione dell’aceto.................................................................................................... 117
12.2.2. Fasi generali della produzione dell’aceto balsamico di Modena ................................................................ 118
12.3. Determinazioni analitiche .................................................................................................................................. 119
3
12.3.1. Densità ........................................................................................................................................................ 119
12.3.2. Determinazione acidità ............................................................................................................................... 120
12.3.3. Titolo alcolometrico volumico.................................................................................................................... 121
12.3.4. Anidride solforosa totale e libera................................................................................................................ 121
12.3.5. pH dei vini .................................................................................................................................................. 122
12.3.5. Estratto secco totale .................................................................................................................................... 122
12.3.6. Zuccheri riduttori ........................................................................................................................................ 122
13. Determinazione della caffeina in HPLC ................................................................................................................... 124
4
1. Dati per attività di laboratorio
1.1. Scheda generale per l’analisi tecnica
a) Prima di iniziare l’analisi di un campione reale bisogna conoscere le caratteristiche generali di quella matrice per
raccogliere una serie di informazioni utili al buon esito delle analisi stesse. In particolare:
a.1) Utilizzi della matrice
a.2) Eventuali classificazioni
a.3) Costituenti principali e proprietà ad essi correlate
a.4) Saggi aspecifici caratterizzanti
a.5) Saggi specifici caratterizzanti
a.6) Come puoi ottenere un campione rappresentativo
a.7) Eventuale legislatura di riferimento
b) Dopo la prima fase generale si può passare a quella specifica del nostro campione, in base agli analiti da determinare.
In particolare:
b.1) Individua gli analiti da determinare ed il loro range
b.2) Per ogni analita individua tutti i metodi analitici utilizzabili
b.3) Per ogni metodo analitico individua le seguenti informazioni:
b.3.1) Tipo di analisi
b.3.2) range applicabile
b.3.3) interferenze
b.3.4) attrezzatura richiesta
b.3.5) attacco o estrazione selettiva richiesta
c) Per individuare la migliore procedura analitica occorre incrociare le informazioni ottenute. In particolare:
c.1) In base alle informazioni raccolte ai punti [a] e [b] scarta tutti i metodi analitici non utilizzabili a causa del
range non adatto, delle interferenze presenti o dell’attrezzatura non disponibile.
c.2) In base ai metodi analitici utilizzabili ed ai possibili attacchi (o estrazioni) scegli ora il metodo e l’attacco
più adatti per ogni analita, cercando, se possibile, di eseguire il minor numero di attacchi per ogni matrice
d) Buon lavoro!
5
1.2. Fattori analitici
Note: (A) la soluzione preparata con questo sale deve essere standardizzata tramite titolazione.
(B) ha caratteristiche di standard primario o paragonabili.
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1.3. Tavola periodica
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7
1.4. Potenziali standard e potenziali formali
Semireazione E° (V) Ef (V) Ambiente
¯ ¯
F2 + 2e 2 F 2,87
IO4¯ + 2H3O+ + 2e¯ IO3¯ + H2O 2,36
S2O82- + 2e¯ 2 SO42 2,01
Co3+ + e¯ Co2+ 1,84 1,85 HNO3 4M
H2O2 + 2H3O+ + 2e¯ 4 H2O 1,77
MnO4¯ + 4H3O+ + 3e¯ MnO2 + 6H2O 1,69
1,7 HClO4 1M
4+ ¯ 3+ 1,60 HNO3 1M
Ce + 1e Ce 1,44
1,28 HCl 1M
1,44 H2SO4 1M
Au3+ + 3e¯ Au° 1,42
MnO4 + 8H3O+ + 5e¯ Mn2+ + 12H2O
¯
1,51 1,45 HClO4 1M
Mn3+ + 1e¯ Mn2+ 1,51 1,51 H2SO4 8M
PbO2 + 4H3O+ + 2e¯ Pb2+ + 6H2O 1,45
Cl2 + 2e¯ 2 Cl¯ 1,359
Cr2O7 + 14H3O+ + 6e¯ 2Cr3++ 21H2O
2-
1,33 1,00 HCl 1M
MnO2 + 4H3O+ + 2e¯ Mn2+ + 6 H2O 1,23 1,24 HClO4 1M
O2 + 4H3O+ + 4e¯ 6H2O 1,229
IO3 + 6H3O+ + 5e¯ ½I2 + 9 H2O
¯
1,19
Br2 + 2e¯ 2Br¯ 1,08 1,05 HCl 4M
HNO2 + H3O+ + 1e¯ NO + 2 H2O 1,00
NO3¯ + 4H3O+ + 3e¯ NO + 6 H2O 0,96
NO3¯ + 4H3O+ + 2e¯ HNO2 + 4 H2O 0,94 0,92 HNO3 1M
2 Hg2+ + 2e¯ Hg22+ 0,920 0,907 HClO4 1M
Cu2+ + I¯ + 1e¯ CuI(s) 0,860
Hg2+ + 2e¯ Hg° 0,854
0,77 H2SO4 1M
Ag+ + 1e¯ Ag° 0,799
1,93 HNO3 1M
0,274 HF 1M
Hg22+ + 2e¯ 2 Hg° 0,788
0,776 HClO4 1M
0,71 HCl 5M
0,46 H3PO4 2M
Fe3+ + 1e¯ Fe2+ 0,771
0,68 H2SO4 1M
0,73 HClO4 1M
O2 + 2H3O+ + 2e¯ H2O2 + 2 H2O 0,682
MnO4¯ + 1e¯ MnO42- 0,560
I3¯ + 2e¯ 3 I¯ 0,536 0,545 HCl 1M
I2 + 2e¯ 2 I¯ 0,535
Cu+ + 1e¯ Cu° 0,521
O2 + 2H3O+ + 4e¯ 4 OH¯ 0,401
Cu2+ + 2e¯ Cu° 0,34
0,244 KCl saturo
Hg2Cl2 + 2e¯ 2 Hg° + 2 Cl¯ 0,268
0,334 KCl 0,1M
AgCl + 1e¯ Ag° + Cl¯ 0,222 0,228 KCl 1M
Sn4+ + 2e¯ Sn2+ 0,154 0,14 HCl 1M
8
Semireazione E° (V) Ef (V) Ambiente
Cu2+ + 1e¯ Cu+ 0,153
S4O62- + 2e¯ 2 S2O32 0,08
AgBr + 1e¯ Ag° + Br¯ 0,073
NO3 + H3O+ + 1e¯ NO2¯ + 2 OH¯
¯
0,01
2 H3O+ + 2e¯ H2 + 2H2O 0,000 -0,05 HCl 1M
Fe3+ + 3e¯ Fe° -0,04
-0,14 HClO4 1M
Pb2+ + 2e¯ Pb° -0,126
-0,29 H2SO4 1M
Sn2+ + 2e¯ Sn° -0,136 -0,16 HClO4 1M
AgI + 1e¯ Ag° + I¯ -0,151
Ni2+ + 2e¯ Ni° -0,250
Co2+ + 2e¯ Co° -0,277
Cd2+ + 2e¯ Cd° -0,403
Cr3+ + 1e¯ Cr° -0,408 -0,40 HCl 5M
Fe2+ + 2e¯ Fe° -0,440
Cr3+ + 3e¯ Cr° -0,744
Zn2+ + 2e¯ Zn° -0,76
2 H2O + 2e¯ H2 + 2OH¯ -0,83
Mn2+ + 2e¯ Mn° -1,18
Al3+ + 3e¯ Al° -1,66
[Al(OH)4]¯ + 3e¯ Al° + 4 OH¯ -2,35
Mg2+ + 2e¯ Mg° -2,36
Na+ + 1e¯ Na° -2,71
Ca2+ + 2e¯ Ca° -2,866
Ba2+ + 2e¯ Ba° -2,90
K+ + 1e¯ K° -2,92
Li+ + 1e¯ Li° -3,045
9
1.5. Composti suggeriti per la preparazione delle soluzioni standard
Elemento Composto PF Solvente Note
Al Al metallo 26.98 HCl dil. a caldo (a)
Sb KSbOC4H4O6•½H2O 333.93 H 2O (c)
Ag AgNO3 169.87 H 2O (a)
As As2O3 197.84 HCl diluito (i) (b) (d)
Ba BaCO3 197.35 HCl diluito
Bi Bi2O3 465.96 HNO3
B H3BO3 61.83 H 2O (d) (e)
Br KBr 119.01 H 2O (a)
Cd CdO 128.40 HNO3
Ca CaCO3 100.09 HCl diluito (i)
Ce (NH4)2Ce(NO3)6 548.23 H2SO4
Co Co metallo 58.93 HNO3 (a)
Cr K2Cr2O7 294.19 H 2O (i) (d)
Fe Fe metallo 55.85 HCl a caldo (a)
F NaF 41.99 H 2O (b)
P KH2PO4 136.09 H 2O
I KIO3 214.00 H 2O (i)
La La2O3 325.82 HCl a caldo (f)
Li Li2CO3 73.89 HCl (a)
Mg MgO 40.31 HCl
Mn MnSO4•H2O 169.01 H 2O (g)
Hg HgCl2 271.50 H 2O (b)
Mo MoO3 143.94 NaOH 1 M
Ni Ni metallo 58.70 HNO3 a caldo (a)
Pb Pb(NO3)2 331.20 H 2O (a)
KCl 74.56 (a)
K KHC8H4O4 204.23 H 2O (i) (d)
K2Cr2O7 294.19 (i) (d)
Cu Cu metallo 63.55 HNO3 diluito (a)
Si metallo 28.09 NaOH concentrata
Si
SiO2 60.08 HF (j)
NaCl 58.44 H 2O (i)
Na
Na2C2O4 134.00 H 2O (i) (d)
Sn Sn metallo 118.69 HCl
Sr SrCO3 147.63 HCl (a)
Ti Ti metallo 47.90 H2SO4 1:1 (a)
W Na2WO4•2H2O 329.86 H 2O (h)
U U 3O 8 842.09 HNO3 (d)
V V 2O 5 181.88 HCl a caldo
Zn ZnO 81.37 HCl (a)
S K2SO4 174.27 H 2O
(a) ha caratteristiche simili a quelle di uno standard primario;
(b) molto tossico;
(c) perde ½H2O a 110°C. Dopo essere stato essiccato, il composto ha pf 324.92. Tolto dall’essiccatore deve essere pesato
rapidamente;
(d) disponibile come standard primario presso il National Istitute of Standards and Tecnology;
(e) H3BO3 deve essere pesato direttamente dalla bottiglia. Infatti perde 1 H2O a 100 °C ed è difficile essiccarlo sino a peso costante;
(f) assorbe CO2 e H2O. Deve essere calcinato prima dell’uso;
(g) Può essere essiccato a 110 °C senza che perda acqua;
(h) perde entrambe le molecole di H2O a 110 °C, pf = 293.82. Deve essere conservato in essiccatore;
(i) standard primario;
(j) HF è molto tossico e scioglie il vetro;
10
1.6. Riassunto condizioni analitiche AAS e ETAAS
Atomic absorption Flame emission Interference
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7
11
ETAAS
Metal Wavelength
(nm) µg/ml) for 0.2 Abs
Conc. (µ Max ash Temp. Atomiz. Temp. Signal
422.7 3
Ca 1200° 2600° 10 µl at 3 ppb 0.2 Abs
239.9 600
228.8 1.1
Cd 300° 1800° 10 µl at 1.1 ppb 0.2 Abs
326.1 400
357.9 7.5
428.9 53
Cr 1100° 2600° 10 µl at 7.5 ppb 0.2 Abs
520.8 1500
520.4 3750
324.7 15
327.4 30
Cu 217.9 120 900° 2300° 10 µl at 30 ppb 0.2 Abs
218.2 150
222.6 600
248.3 6
Fe 372.0 60 800° 2300° 10 µl at 6 ppb 0.2 Abs
386.0 90
766.5 2
K 769.4 4 800° 2100°
404.4 800
285.2 1
Mg 900° 2200°
202.6 30
279.5 3
Mn 403.1 36 800° 2400°
321.7 9000
589.0 0.25
Na 589.6 0.5 800° 2000°
330.2/3 123
232.0 24
352.4 120
Ni 900° 2400°
351.5 240
362.5 12000
217.0 14
Pb 283.3 27 600° 2100°
261.4 1120
213.9 0.75
Zn 400° 1900°
307.6 5680
12
1.7. Schema raccolta dati indispensabili
1.7.1. Titolazione
Titolante Concentrazione
Standardizzazione No Si Calcoli
Calcoli
Risultato finale
13
1.7.2. Analisi strumentale
Calcoli
Assorbanza
Equazione retta
Calcoli finali
Risultato finale
14
2. Introduzione all’analisi chimica
Le difficoltà riscontrabili nell’analisi di prodotti merceologici derivano dalla variabilità e dalla complessità della
loro composizione chimica. Raramente nell’eseguire l’analisi di un materiale complesso il campione è pronto a tale
scopo, perché molto spesso i materiali tecnici non sono solubili, o lo sono poco in acqua o in acidi diluiti, o perché si
devono preventivamente separare i componenti analiticamente interferenti con la specie chimica da analizzare. Non si
possono applicare semplicemente i metodi di determinazione che la chimica analitica quantitativa suggerisce, ma sono
necessarie operazioni preventive ed una applicazione ben ponderata delle metodiche suggerite.
Per essere in grado di delineare i passaggi che un procedimento di analisi tecnica comporta, è necessario aggiungere
la nozione di « rappresentatività » dei campioni da analizzare.
La quantità di sostanza analizzata (il campione) è sempre, necessariamente, solo una piccola porzione del materiale
disponibile. Ora, perché sia lecito estendere i risultati ottenuti analizzando il campione all'
intera massa di materiale, è
necessario che i due abbiano l' identica composizione chimica. Se questa condizione è soddisfatta, si dice che il
campione analizzato è « rappresentativo ».
La tecnica con la quale si perviene al prelievo di campioni rappresentativi si dice campionamento ed il possederne la
facoltà di praticarla esattamente è un fatto importante quanto quello di saper effettuare bene l'
analisi vera e propria. Con
campioni non rappresentativi, l' analisi più accurata ha solo valore di ottima esercitazione di laboratorio, i cui risultati
non hanno alcun valore pratico, perché non rappresentano l' effettiva composizione del materiale analizzato.
2.1. Campionamento
Se il campione è prelevato in modo errato, il lavoro fatto per
determinarne la composizione chimica è inutile, in quanto non dà la
composizione del materiale di partenza, o addirittura porta a
conclusioni errate.
Per chiarire in modo elementare questo concetto si può ricorrere ad
un esempio molto semplice: si supponga di prelevare una sola pallina
da un recipiente che contiene lo stesso numero di palline bianche e
nere, le prime costituite da BaSO4 (palline bianche) e le seconde da
PbS (palline nere) da analizzare. Se la pallina estratta è bianca, l'
analisi
farà credere che nel recipiente è contenuto solo solfato di bario,
mentre, se è nera, se ne dedurrà che il recipiente contiene solo solfuro
di piombo. Questo esempio limite dimostra chiaramente che l' errata
campionatura porta a conclusioni inattendibili anche se l' analisi chimica (cioè il riconoscimento dell' uno o dell'altro
composto) è stata eseguita correttamente.
Obiettivo di questo primo stadio è quello quindi di ottenere un “campione rappresentativo”, ovvero una piccola
frazione di campione, al massimo 1-2 chilogrammi, che abbia la stessa composizione chimica del campione e dalla
quale eseguire poi i prelievi per le varie determinazioni. Ovviamente più il campione iniziale è omogeneo più è facile
ottenere un campione rappresentativo, viceversa se il campione è eterogeneo risulterà più complesso ottenere un
15
campione rappresentativo.
Anche le dimensioni del campione da analizzare sono importanti: per piccole quantità di campione è relativamente
semplice omogeneizzarlo tutto ed ottenere il campione rappresentativo, mentre per quantità maggiori, anche dell’ordine
delle tonnellate, si devono utilizzare metodi di tipo statistico perché risulta impossibile omogeneizzare completamente il
campione.
Per chiarire questi concetti esaminiamo un altro esempio: si devono analizzare delle barbabietole da zucchero che
vengono pagate al contadino in base al loro contenuto di zucchero (grado zuccherino) presente. Il grado zuccherino può
variare a seconda del grado di maturazione della singola barbabietola da un 10% fino anche al 24% e, dato che il prezzo
è espresso in euro per grado zuccherino per quintale, questo può significare oscillazioni notevoli nel pagamento di una
specifica partita.
Supponiamo di avere una partita di 10000 quintali di barbabietole e preleviamo come campione rappresentativo una
barbabietola “acerba” con grado zuccherino ipotetico del 14% e il pagamento è di 0,50 euro per grado zuccherino e
quintale, l’incasso del contadino sarà di:
incasso = 0,50 • 10000 • 14 = 70.000 euro
Se viceversa preleviamo una barbabietola “matura” che abbia grado zuccherino del 21%, il valore della partita sarà
nettamente superiore:
incasso = 0,50 • 10000 • 21 = 105.000 euro
Come si può notare da questo esempio l’influenza del campionamento può essere notevole.
Per progettare il campionamento più adatto al nostro caso si possono seguire due percorsi diversi: il primo sfrutta
l’esperienza e la capacità del tecnico prelevatore, mentre il secondo si basa su criteri statistici. Il primo caso si basa su
informazioni soggettive e non generalizzabili, di conseguenza qui tratteremo solo il secondo. In particolare, per capire
come la statistica può aiutarci nella corretta progettazione di un campionamento dobbiamo esaminare velocemente quali
sono i parametri in grado di descrivere una serie di misure sperimentali.
i i
x (xi − xm )2
xm = media aritmetica σ= i
deviazione standard
n n −1
La deviazione standard è particolarmente importante per descrivere la dispersione di una serie di misure perchè ci
permette di ricavare quante misure sono contenute in un certo intervallo centrato sul valore medio di ampiezza definita
come un certo numero di volte la deviazione standard, come indicato nella seguente formula:
xm ± zσ
al variare di z varia la probabilità che una certa misura sia compresa nell’intervallo detto intervallo di fiducia. Nella
seguente tabella sono riportati alcuni valori di z con i rispettivi intervalli di fiducia:
16
Tabella 2.1: Percentuali di osservazione in una distribuzione gaussiana
Intervallo Z Misure comprese nell’intervallo
Xm ± 1 1 68,3 %
Xm ± 2 2 95,5 %
Xm ± 3 3 99,7 %
Xm ± 1,645 1,645 90 %
Xm ± 1,96 1,96 95 %
Xm ± 2,33 2,33 98 %
Xm ± 2,58 2,58 99 %
Per questo motivo la deviazione standard è anche usata per valutare la probabilità che una misura sia compresa in un
certo intervallo e quindi anche per valutare l’errore da associare ad una serie di misure.
Supponiamo di dover determinare il grado zuccherino delle barbabietole con un intervallo di fiducia del 95% e un
errore non superiore a 0,1 di grado zuccherino e vogliamo calcolare quante barbabietole campionare.
Dalla letteratura si ricava una = 1,146 per il grado zuccherino delle barbabietole coltivate in Italia, mentre dalla
tabella 2.1 con un intervallo di fiducia del 95% si ricava uno z = di 1,96.
Applicando quindi la formula si ricava n ovvero il numero di barbabietole da analizzare per soddisfare le condizioni
di fiducia e di errore impostate:
σ 1,146
errore = z 0 ,1 = 1, 96 n = 504 , 5
n n
Devo quindi prelevare almeno 505 barbabietole se voglio essere sicuro al 95% che il valore medio di questo
campione si scosti non più di 0,1 sul valore di grado zuccherino dell’intera partita.
Si deve determinare il grasso presente in una partita di cartoni di latte da 1 litro. Sulla confezione è riportato il valore
del 1,8 % di grassi. Si vuole avere un errore finale al massimo dell’2 % sul valore di grasso e si devono calcolare quanti
cartoni aprire per avere un intervallo di fiducia del 95% e del 99%.
Si deve innanzitutto calcolare l’errore assoluto tollerabile:
2
errore assoluto = 1,8 ⋅ = 0 , 036
100
Dalla tabella 2.1 ricaviamo z per i corrispondenti intervalli di fiducia, in particolare 95% z = 1,96 e 99% z = 2,58.
Applichiamo ora la formula per il calcolo del numero di cartoni da analizzare:
2
1, 96 ⋅ 0 , 08
Fiducia 95 % n = = 18 , 97
0 , 036
2
2 , 58 ⋅ 0 , 08
Fiducia 99 % n = = 32 ,87
0 , 036
17
Quindi se vogliamo avere un intervallo di fiducia del 95% dobbiamo aprire e prelevare aliquote da almeno 19
cartoni, se viceversa vogliamo avere un intervallo di fiducia del 99% dobbiamo aprire almeno 33 cartoni di latte.
In ognuno di questi esempi noi abbiamo calcolato l’ampiezza del campione da prelevare ma non come scegliere le
barbabietole o i cartoni da analizzare all’interno dell’intero lotto. Per fare questo si deve procedere in maniera casuale in
modo da non farsi influenzare da parametri esterni. Qui di seguito riportiamo alcune tecniche per eseguire il
campionamento in maniera casuale e si devono scegliere a seconda di come si adattano al nostro specifico campione.
18
accuratezza; ad esempio: del 20% la determinazione spettrografica, del 5% la determinazione spettrofotometrica e dell' 1
% la determinazione gravimetrica. Col primo metodo la determinazione richiede 30 minuti, accorrono circa 3 ore col
secondo e, più o meno, 8 ore col terzo. Note l’accuratezza e il tempo richiesto da ciascun metodo, la scelta del metodo
più conveniente è dettata dal tipo di risultato richiesto. Qualora interessi sapere se il contenuto del componente ricercato
è compreso fra 0,5 e 1 % (in peso), cioè quando si può tollerare nei risultati una precisione del 50%, il primo metodo è il
più adatto; dovendo stabilire se il suddetto componente è compreso fra 0,8 e 0,9%, è più adatto il secondo metodo; per
determinare se è compreso fra 0,85 e 0,88%, l' unico metodo possibile è il terzo. Sarebbe controproducente usare il
metodo gravimetrico, lungo e delicato, anche se assai preciso, per stabilire se il contenuto di nichel o di manganese
nell'acciaio è compreso fra 0,5 e 1% in peso.
• Numero di campioni da analizzare. I metodi strumentali sono più rapidi dei metodi chimici, ma i secondi
richiedono un' attrezzatura meno complicata e meno lavoro preliminare. Per una singola determinazione non c' è grande
differenza fra il tempo impiegato con un metodo chimico e quello necessario con un metodo strumentale, perché un
metodo strumentale comporta operazioni di taratura che richiedono un certo tempo e comprende un' analisi vera e
propria assai rapida, mentre i metodi chimici sono quasi estranei alle operazioni di taratura ma implicano lunghi
procedimenti di analisi vera e propria. Il numero di analisi da eseguire gioca un' influenza decisiva sulla scelta del
metodo. Per una sola determinazione, o per molte determinazioni diverse fra loro, i metodi chimici sono i più praticati,
ma per un certo numero di determinazioni simili (ad esempio, nel controllo della composizione di campioni provenienti
da un unico ciclo di produzione) il tempo impiegato per la taratura e la messa a punto degli strumenti (operazione unica)
è largamente compensato dalla maggior rapidità con cui si arriva al risultato finale nell' analisi vera e propria di ciascun
campione trattato.
• Tempo disponibile per l'analisi. Il fattore tempo è stato considerato solo dal punto di vista della convenienza
per l'operatore; spesso però la scelta va subordinata alla necessità di ottenere rapidamente i risultati. Ad esempio, nelle
acciaierie è prassi comune controllare la composizione dell' acciaio prima della colata e per tutta la durata dell’analisi la
massa da colare è mantenuta allo stato fuso, con un notevole consumo di energia, è necessario quindi fornire un risultato
in tempi rapidi.
Dopo attenta considerazione dei fattori puntualizzati il problema analitico risulta inquadrato chiaramente e bisogna
passare all'
esecuzione pratica dell’analisi. In alcuni casi il procedimento è ovvio, mentre in altri può richiedere molte
prove preliminari.
Nei casi in cui i metodi trovati in bibliografia non sono direttamente adattabili al problema considerato, è necessario
modificarli per tentativi e o controllando ogni volta sperimentalmente il nuovo procedimento o applicandolo a sostanze
complesse di composizione nota, quando queste sono disponibili, o confrontando i risultati ottenuti applicando il
metodo studiato con quelli ottenuti attraverso altro metodo già sperimentato e sicuro.
Campione
19
2.3.1. Generalità sulla solubilizzazione delle matrici organiche
Se il campione è costituito da una matrice prevalentemente organica le informazioni ricercate dall’analista possono
riguardare o la frazione inorganica o quella organica. Nel caso si sia interessati ai componenti inorganici del campione,
quasi sempre l’attacco deve passare attraverso un processo di “mineralizzazione” della matrice, ovvero la
trasformazione di tutte le sostanze organiche in CO2 e H2O e l’ottenimento di una soluzione acquosa dei componenti
inorganici. Questo passaggio è necessario dato che molte sostanze organiche funzionano da interferenze nelle
determinazioni dei componenti inorganici, ad esempio molti metalli vengono complessati da leganti organici e la loro
atomizzazione in un assorbimento atomico ne risulta fortemente influenzata.
Per ottenere la mineralizzazione completa delle matrici organiche si utilizzano spesso acidi ossidanti concentrati, da
soli od in miscela, eventualmente associati a catalizzatori o all’acqua ossigenata. Le proprietà dei singoli acidi saranno
trattate diffusamente nei paragrafi successivi.
La mineralizzazione che utilizza acidi ossidanti è associata allo sviluppo di una notevole quantità di gas (in genere
CO2 associata ad altri ossidi) e questo rappresenta un notevole inconveniente nel caso si conduca l’attacco in un
contenitore chiuso (bomba tradizionale o a microonde).
Una alternativa alla mineralizzazione con acidi è quella che prevede un incenerimento del campione in capsula o
crogiolo per allontanare la frazione organica come CO2 e H2O. Le ceneri ottenute, costituite prevalentemente dai
componenti inorganici, sono poi disgregate con acidi per ottenere una soluzione acquosa degli analiti.
Questo secondo procedimento presenta però l’inconveniente delle alte temperature raggiunte durante la fase di
incenerimento, che possono causare una perdita degli analiti più volatili (ad esempio metalli come il piombo).
Se si è interessati all’analisi della frazione organica del nostro campione, non si può certo procedere con la
mineralizzazione, perché questa comporta la loro completa eliminazione.
In questo caso si procederà ad una estrazione della frazione organica (più o meno selettiva) e successiva
determinazione sfruttando quelle tecniche analitiche che consentono il riconoscimento quali-quantitativo delle sostanze
organiche (ad esempio tecniche cromatografiche, massa o altre simili).
L’estrazione dei componenti organici può avvenire o con metodiche classiche (imbuto separatore e opportuni
solventi) oppure sfruttando l’estrazione in fase solida.
Le possibili variabili dell’attacco di matrici organiche sono riassunte nella figura 2.5.
20
(Agenzia di protezione ambientale americana). In alcune procedure di estrazione in fase solida, le impurità vengono
estratte dalla fase solida, mentre i composti di interesse non vengono trattenuti.
Oltre che con cartucce impaccate, l’estrazione in fase solida può essere eseguita usando piccole membrane o dischi
di estrazione. Questi hanno il vantaggio di ridurre la durata dell’estrazione e il volume di solvente da utilizzare. L’SPE
può essere eseguita in sistemi a flusso continuo che automatizzano il processo di pre-concentrazione.
Una tecnica correlata, chiamata microestrazione in fase solida (SPME), utilizza una fibra di silice fusa ricoperta da
un polimero non volatile che consente di estrarre gli analiti organici direttamente dalla fase acquosa o dallo spazio di
testa del campione. L’analita si distribuisce tra la fibra e la fase liquida. Gli analiti vengono quindi desorbiti
termicamente nell’iniettore riscaldato di un gas cromatografo. La fibra estraente è sistemata in un contenitore che è
molto simile ad una comune siringa. Questa tecnica unisce, in un unico stadio, il campionamento e la pre-
concentrazione del campione.
Campione
organico
solubilizzazione ceneri
con acidi
21
e bromo, mentre con forti riducenti si possono liberare AsH3,, PH3 ed SbH3. Trattando con acido fluoridrico il silicio ed
il boro volatilizzano sotto forma di fluoruri. Anche durante l' attacco per fusione si può avere la perdita per
volatilizzazione di vari metalli (principalmente: mercurio, piombo, zinco e, in misura minore, manganese e ferro), sotto
forma di ossidi o di cloruri.
Figura 2.6: Possibili attacchi su matrici inorganiche.
Campione
inorganico
22
2.3.3.4. Acido perclorico
L'acido perclorico bollente concentrato, un potente agente ossidante, attacca un gran numero di leghe di ferro e
acciai inossidabili che sono intrattabili con altri acidi minerali. Bisogna comunque fare attenzione nell'uso del reagente,
a causa della sua natura potenzialmente esplosiva. L' acido concentrato freddo non è esplosivo, e neppure le soluzioni
diluite riscaldate. Violente esplosioni si verificano, comunque, quando l' acido perclorico concentrato bollente entra in
contatto con materiali organici o sostanze inorganiche facilmente ossidabili. A motivo di questa proprietà, il reagente
concentrato andrebbe riscaldato solo sotto speciali cappe, delimitate da vetro o acciaio inossidabile, senza giunture, ed
aventi un sistema a nebbia per dilavare con acqua le pareti. Una cappa per acido perclorico dovrebbe sempre essere
fornita di un proprio sistema di ventilazione, che sia indipendente da tutti gli altri sistemi.
L'acido perclorico si trova sul mercato come acido al 60% e fino al 72%. Una miscela ad ebollizione costante
(72,4% di HC1O4) si ottiene a 203°.
Con acidi si possono sciogliere: metalli e leghe, ossidi, carbonati, solfati e fosfati, solfuri, silicati.
Metalli e leghe. L' azione solvente degli acidi sui metalli e le loro leghe si esplica tramite una ossidazione. Con i
metalli che precedono l' idrogeno nella serie dei potenziali normali di riduzione, ad esempio con lo zinco, l' agente
ossidante è lo ione idrogeno:
2 H+ + Zn H2 + Zn2+
È proprio in questo modo che si esplica l' azione solvente degli acidi alogenidrici (cloridrico, bromidrico, iodidrico) e
degli acidi perclorico e solforico diluiti e impiegati a temperatura ambiente.
I metalli che seguono l' idrogeno nella suddetta serie (ad esempio, il rame), vengono invece ossidati dall’anione
dell'acido:
3 Cu + 2 NO3¯ + 8 H+ 3 Cu2+ + 2 NO + 4 H2O
Oltre all’acido nitrico, anche gli acidi perclorico e solforico concentrati, se vengono usati a caldo, esercitano azione
ossidante nei confronti di molti metalli « più nobili » dell'idrogeno.
Nei casi in cui un solo acido non è sufficiente a solubilizzare, si usano miscele di più acidi. Per sciogliere acciai e
altre leghe metalliche particolarmente resistenti, normalmente si usano miscele di acido solforico ed acido fosforico o di
acido solforico, acido nitrico ed acido fosforico.
Probabilmente la miscela di acidi solubilizzante più nota è costituita dall'acqua regia (3 volumi di HCl + 1 volume di
HNO3), usata particolarmente per sciogliere l’oro ed in generale quando sia richiesta un' azione solvente più completa o
più rapida, grazie al fatto che esplica contemporaneamente azione acida, azione ossidante e, in misura minore, azione
23
complessante (da parte dello ione cloruro).
È opportuno evitare di aggiungere acidi troppo concentrati, si avrebbero, infatti, fenomeni di passivazione della lega
con conseguente insolubilizzazione del campione Per ridurre la violenza dell' attacco è consigliabile aggiungere
l'
ossidante gradualmente, a piccole porzioni, dopo l’aggiunta dell'
acido.
Ossidi. L'acido cloridrico e l' acido bromidrico sono i solventi più comuni degli ossidi. Con l' acido solforico si
potrebbe raggiungere una temperatura di solubilizzazione più elevata, ma molti metalli pesanti (ad esempio, il piombo)
danno, con esso, solfati poco solubili. Un eccellente solvente degli ossidi è l'
acido fosforico che, per riscaldamento, si
trasforma prima in acido pirofosforico e poi in acido metafosforico stabile ad alta temperatura, capace di solubilizzare
anche gli ossidi refrattari (Al2O3, SnO2 e Cr2O3).
Carbonati, solfati e fosfati. Tutti i carbonati sono più o meno rapidamente solubili negli acidi forti. Poco solubili
risultano invece i solfati di molti metalli pesanti. I fosfati dei metalli comuni, in genere, sono solubili negli acidi
cloridrico, perclorico e solforico; solo alcuni si sciolgono con difficoltà se sono stati calcinati ad alta temperatura.
Solfuri. I solfuri di Pb, Bi, Sn, Fe, Cd, Zn e Mn sono solubili in acido cloridrico concentrato (~12 M). Poco solubili
sono i solfuri di Ni e Co e non solubile la pirite (FeS2) che, peraltro, non è un vero solfuro.
Silicati. L'
acido cloridrico e gli altri acidi forti decompongono i silicati contenenti grandi quantità di calcio e zinco,
ma non attaccano sensibilmente quelli contenenti alluminio e ferro. Tutti i silicati vengono decomposti dall' acido
fluoridrico. Nel metodo di Berzelius, il silicato finemente polverizzato viene attaccato con una miscela di acido
solforico e acido fluoridrico: il silicio volatilizza (sotto forma di SiF4) e i metalli vengono trasformati in solfati.
24
• Il fondente è impiegato in grande eccesso e perciò la soluzione finale include una elevata carica salina che può
disturbare nelle successive operazioni;
• Impiegando forti (relativamente) quantità di fondente, cresce il pericolo dell'
introduzione di sostanze estranee,
presenti come impurezze nel fondente stesso.
In generale, quando è possibile l’attacco con acidi è preferibile a quello con fondenti; sia perché si può facilmente
allontanare l’eccesso di reagente per evaporazione e sia perché il recipiente è meno attaccato. La solubilizzazione con
fondenti è riservata ai campioni da analizzare che non sono attaccati dagli acidi o ai “residui” degli attacchi con acidi,
assolutamente resistenti all'
azione di questi.
Anidride borica. È usata per decomporre i silicati e gli ossidi. Con essa nella soluzione acquosa finale si forma
l'
acido borico, che può essere facilmente eliminato volatilizzandolo sotto forma di borato di metile.
Carbonato di sodio. Serve a trasformare i silicati, i fosfati e i tungstati dei metalli pesanti, non solubili, nei
corrispondenti sali alcalini, facilmente decomponibili con acidi. Nella fusione si usano da 4 a 10 parti di Na2CO3 per 1
parte di materiale da disgregare. Ciò comporta una elevata concentrazione di ioni sodio nella soluzione acquosa finale,
che può disturbare nelle successive operazioni.
Idrossido di sodio. È usato principalmente per la dissoluzione del carburo di silicio (carborundo). L' idrossido fuso è
estremamente pericoloso per gli occhi ed è indispensabile usare sempre occhiali protettivi. L’idrossido alcalino, che è
igroscopico, richiede una fusione preliminare al fine di eliminare l' acqua: quando cessano ebollizione e spruzzi, si può
aggiungere il materiale da disgregare, se è noto che non avviene una reazione violenta. Altrimenti si lascia solidificare
la massa fusa, si pone il materiale sulla sua superficie e si scalda di nuovo.
Carbonato di sodio + nitrato (o clorato) di potassio. Questa miscela costituisce un fondente alcalino e ossidante
adatto per disgregare solfuri naturali e minerali di arsenico o di antimonio. La fusione si esegue in crogiolo di
porcellana.
Perossido di sodio. E il fondente alcalino e ossidante più efficiente per disgregare leghe di ferro contenenti nichel,
cromo, molibdeno e silicio, inattaccabili dagli acidi. Generalmente, durante l' attacco l'
azione violenta del perossido
viene attenuata mescolandolo con carbonato di sodio. Poiché nessun materiale resiste all' attacco di un perossido
alcalino, usualmente la fusione si esegue in crogioli di ferro, che sono i più economici. Se l' ossido ferrico, ceduto in tal
caso dal recipiente, interferisce nelle operazioni successive, si usano crogioli di porcellana o di nichel.
25
(Le operazioni descritte in questo procedimento sono comuni a tutti i metodi di disgregazione per fusione,
qualunque sia il materiale attaccato o il fondente usato.)
26
chiusi per le decomposizioni con microonde sono le temperature più alte che si sviluppano m conseguenza delle più
elevate pressioni. Inoltre, poiché sono evitate le perdite per evaporazione, si richiedono quantità molto minori di
reagente, riducendo perciò l' interferenza da parte dei contaminanti del reagente. Un ulteriore vantaggio delle
decomposizioni di questo tipo è che la perdita dei componenti volatili del campione è teoricamente eliminata. Infine, le
decomposizioni con microonde in recipienti chiusi sono facili da automatizzare, riducendo cosi il tempo operativo
richiesto per preparare i campioni per l'
analisi.
27
2.3.5.3. Schede per la dissoluzione in microonde di vari campioni
Matrice: acciaio Matrice: materie prime ceramiche
Metodo n°: 138 Metodo n°:
Programma n°: 7 (6 cont) o 9 (4 cont) Programma n°: 7 (6 cont) o 9 (4 cont)
Massa campione: circa 0,5 grammi Massa campione: circa 0,25 grammi
Reattivi: 2ml HNO3 + 6ml HCl + 1ml HF + 1ml H2O Reattivi: 4ml HNO3 + 2ml HCl + 4ml HF + 2ml H2O
Matrice: Matrice:
Metodo n°: Metodo n°:
Programma n°: Programma n°:
Massa campione: Massa campione:
Reattivi: Reattivi:
28
Programma: 8 Contenitori: 6/8 Step Time Power Press. Temp.1 Temp.2
Rotor-ctrl: OFF Twist: ON 1 5’ 250 W b 120 °C --
Vent: 01.00.00 2 5’ 400 W b 160 °C --
Note: 3 5’ 650 W b 200 °C --
4 5’ 300 W b 200 °C --
29
30
3. Analisi delle leghe di rame
3.0. Scheda raccolta dati sperimentali
Matrice:
Pesata campione: Volume pallone:
Analita % Presunta Metodo d’analisi scelto Conc. presunta nel pallone
Cu
Sn
Pb
Fe
Al
Ni
Zn
Determinazioni volumetriche
Analita Prelievo Titolante – Normalità 1° V eq. 2° V eq. 3° V eq.
Determinazioni gravimetriche
Analita Prelievo Peso crogiolo vuoto Peso crogiolo pieno
31
Sono leghe non ferrose che si possono dividere in due categorie principali: bronzi e ottoni, secondo quanto riportato nel
seguente diagramma:
Figura 3.1: Classificazione leghe di Rame.
Leghe di Rame
1
Saggi qualitativi di riconoscimento dell'ANTIMONIO: Su piastra di porcellana una goccia di rodamina B (0,01 % in H2O) a cui
s'aggiunge una goccia di soluzione di Sb5+ ottenuta per ossidazione in soluzione acida per HCl con poco NaNO2 solido il cui eccesso
si elimina immergendo un filo di Ni/Cr rovente nella soluzione, assume colorazione rosso-violetta. Sensibilità 0,5 µg, conc. limite 1
ppm. Interferenze Hg, Au, Tl, MoO42-, VO43-, WO42-. L'acido fosfomolibdico H3PMo12O40 in alcol amilico (2metil 2butanolo) dà
colorazione blu con Sb3+: agitare 1-4 ml di soluzione in provetta con qualche goccia di reattivo al 5% e 2 gocce d'alcol.
2
Il PIOMBO può essere dosato anche elettrogravimetricamente come biossido all’anodo quando si deposita il rame al catodo.
3
L'ALLUMINIO si può determinare gravimetricamente come Al2O3 ottenuta calcinando Al(OH)3 che precipita assieme a Fe(OH)3.
In tal caso è indispensabile un altro attacco condotto in modo identico al precedente per separare Sn e Pb (senza dosarli) ed un
dosaggio gravimetrico di Fe2O3+Al2O3 a cui si sottrarrà il Fe determinato in altro modo.
4
A questo punto è consigliabile portare a volume e fare poi prelievi su cui operare varie singole ricerche e determinazioni.
5
Saggi qualitativi di riconoscimento del BISMUTO: La cinconina C19H22ON2 (1 g in 100 ml d'H2O calda con qualche goccia di
HNO3 a cui, dopo raffreddamento, si aggiungono 2 g di KI) in slz debolmente acida, dà ppt o colorazione rosso-arancio con Bi3+. È
preferibile fare il saggio su carta anziché in provetta. Sensibilità 0,15 µg, conc. limite 2,8 ppm. Interferiscono Pb, Cu, Hg che
reagiscono con KI; però versando una goccia di slz su carta imbevuta del reattivo si osservano 4 zone: anello bianco centrale (Hg),
anello arancio (Bi), anello giallo (PbI2), anello bruno (I2 liberato da Cu). La tiourea al 10 % in H2O con soluzioni debolmente acide
per HNO3 di Bi3+, dà colorazione gialla intensa. Fare su carta. Sensibilità 6µg, conc. limite 33 ppm. Devono essere assenti Hg+, Ag,
Sb, Fe3+, CrO42-.
32
3.2. Trattamento preliminare
Il campione deve essere sotto forma di trucioli o di limatura, se non si presenta pulito e asciutto lo si può lavare con un
po’ di etere e asciugarlo con aria calda. Il lavaggio và condotto in un becher pulito e asciutto nel quale si introduce il
campione e pochi millilitri di etere, si agita per alcuni minuti e si elimina il liquido per decantazione. Si può ripetere
l’operazione due o tre volte ma sempre con piccoli volumi di solvente. Si lascia poi evaporare all’aria o in stufa l’etere
residuo. Una volta pulito e asciutto si procede alla pesata del campione da sottoporre all’analisi. Questo valore di pesata
è importantissimo e và annotato con cura sul quaderno di laboratorio, perché ci permetterà di eseguire i calcoli finali
dell’analisi e riportare i risultati in % di metallo nella lega.
33
necessario per ritrasformare in ossidi gli altri metalli trasformati in ioduri e/o ossiioduri. Effettuata la determinazione
dello stagno, il residuo della calcinazione viene sciolto e aggiunto alla soluzione A proveniente dalla filtrazione
dell'
acido metastannico che viene sottoposta alle successive determinazioni degli altri componenti la lega.
34
interferenti.
E = 1,51 +
0,059
log
[ ][ ]
MnO4− ⋅ H +
8
5 Mn 2+ [ ]
per l'alta concentrazione dello ione manganoso il termine logaritmico diventa notevolmente negativo abbassando il
potenziale attuale al disotto di quello relativo alla coppia Cl2/Cl-.
L'acido fosforico serve per complessare il ferro trivalente (giallo) e permette di cogliere il punto finale della titolazione
nelle condizioni ottimali dato che il complesso formatosi è assolutamente incolore; il complesso che si forma sottrae poi
dalla soluzione gli ioni Fe3+ abbassando il potenziale della coppia redox Fe3+/Fe2+ e consentendo così il completamento
della reazione:
E = 0,77 +
0,059
log
[
Fe 3+ ]
1 [
Fe 2+ ]
il potenziale si mantiene basso e quindi sufficientemente lontano da quello del permanganato.
N.B. Per evitare che lo ione cloruro reagisca anche in presenza del reattivo di Zimmermann la titolazione deve essere
condotta a freddo.
35
seguenti metodi.
36
idrossilammonio prevengono questo inconveniente). Inoltre, se si deposita all' anodo PbO2, questo si riduce ossidando
Cl- a Cl2.
b) il Cu+ è stabilizzato come cloro-complesso e resta in soluzione per essere riossidato all'
anodo.
Prima dell' elettrolisi gli elettrodi devono essere lavati dapprima in una soluzione calda di HNO3 1:1, poi con acqua
distillata e infine con acetone, asciugato a 100-110 oC per 3-4 minuti, raffreddato all' aria per 5'e pesato. Toccare gli
elettrodi solo per il gambo poiché tracce di grasso possono compromettere l' aderenza dei depositi. Il recipiente di
elettrolisi è sistemato su un agitatore e gli elettrodi vicini al fondo del becher immersi nella soluzione per l' 80 % circa.
Si agita energicamente la soluzione evitando fuoriuscite di liquido e si inizia l' elettrolisi usando un voltaggio di ~ 3-4 V
e una corrente di ~ 2 A. Si continua finché il colore blu della soluzione è interamente scomparso (normalmente ~1 ora);
si riduce la corrente e si prova se la deposizione è stata completa innalzando il livello del liquido con acqua distillata di
circa 4-5 millimetri e continuando l' elettrolisi per 15-20 minuti. Se non si deposita più rame sulla superficie pulita del
catodo (ed eventualmente PbO2 sull' anodo), l' elettrolisi si può ritenere completa.
Il deposito catodico deve essere di colore rosa salmone, lucente ed aderente alla superficie dell' elettrodo. Una
colorazione bruna indica la presenza di elementi estranei o di una ossidazione. Depositi spugnosi o di cristalli
grossolani causano errori per eccesso nella massa di Cuo e derivano da una densità di corrente troppo alta, da acidità non
adatta o da assenza di ione nitrato.
A questo punto si abbassa molto lentamente il becher finché gli elettrodi pescano solo con l' orlo inferiore (il circuito
non deve essere interrotto durante l' operazione) e contemporaneamente li si lava con un getto continuo di acqua
distillata (circa 15 ml). Si interrompe ora il circuito e si staccano dall' elettrolizzatore gli elettrodi tenendoli per il gambo
poiché tracce di grasso possono compromettere l' aderenza dei depositi; si lavano immediatamente il catodo con un
piccolo volume di alcool o acetone, l' anodo invece solo con acqua. Si essicca a 100-110 oC per 3-4'il catodo, per 10-15'
l'
anodo e si pesa dopo aver raffreddato in essiccatore. Dall' aumento di peso degli elettrodi si ricavano le percentuali di
rame e di biossido di piombo sul campione iniziale. È un po'difficile eliminare completamente l' acqua dal PbO2 per cui
si usa un fattore analitico sperimentale per Pb/PbO2 = 0,8640 anziché il teorico 0,8662.
E = 0,167 +
0,059
log
[
Cu 2 + ]
1 [
Cu + ]
ed il valore viene ad essere superiore al potenziale attuale della coppia redox I2/I-.
L'ambiente deve essere moderatamente solforico perché, se è vero che in ambiente troppo poco acido la reazione è
molto lenta, in ambiente troppo acido anche l' ossigeno dell' aria ossida lo ione ioduro a iodio molecolare.
Lo iodio molecolare prodotto viene poi titolato con tiosolfato sodico a titolo noto:
S4O62- + e- 2 S4O62- E° = 0,08 V
2S2O32- + I2 S4O62- +2I¯ I 2 + 2 e- 2 I ¯ E° = 0,534 V
Procedimento: la soluzione deve contenere 0,2-0,25 g di Cu e se contiene per qualche motivo acido nitrico è necessario
eliminarlo per ebollizione prima di procedere alla determinazione iodometrica. Poi la soluzione viene posta in beuta e
addizionata con NH3 finché la colorazione azzurra diventa blu, si aggiunge H2SO4 goccia a goccia finché torna azzurra
e poi altri 10 ml di acido solforico al 10%. Il pH di questa soluzione è compatibile con la titolazione iodometrica. Si
aggiungono 3÷4 grammi di KI, si diluisce a ~300 ml. Si agita, si lascia riposare al buio, tappando la beuta, per alcuni
minuti e poi si titola con una soluzione di tiosolfato sodico a titolo noto.
L'approssimarsi della fine della titolazione viene segnalata dall' attenuarsi del colore giallo dello iodio molecolare; solo
verso la fine della titolazione si aggiunge qualche goccia di salda d' amido che con lo iodio dà un colore scuro. A
decolorazione avvenuta e che persista per qualche minuto si considera conclusa la titolazione.
37
3.7. Determinazione di Nichel e Manganese
A meno che si tratti di alpacca (la vecchia lega delle posate d' ottone) il nichel può anche non essere presente. La
presenza di Mn è invece sempre abbastanza rara. È evidente che entrambi possono essere dosati all' AA.
Ni può dosarsi subito dopo Fe (v.) gravimetricamente. In alternativa il nichel si può dosare colorimetricamente sempre
con DMG dopo ossidazione di Ni2+ a Ni4+ con acqua di bromo in ammoniaca. Questa determinazione si può fare anche
in presenza di rame se non è stato elettrodeposto.
In tal caso nulla impedisce di portare a volume la soluzione dopo aver separato il ferro e farne aliquote su una delle
quali si dosa il nichel, su un' altra il rame (ad es. iodometricamente) ed eventualmente su una terza il manganese
colorimetricamente dopo ossidazione con persolfato.
38
3.9. Diagramma riassuntivo analisi Bronzi e Ottoni
! ! ! ! !
"
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39
4. Analisi delle leghe ferrose
4.0. Scheda raccolta dati sperimentali
Matrice:
Pesata campione: Volume pallone:
Analita % Presunta Metodo d’analisi scelto Conc. presunta nel pallone
Cr
Mn
Ni
Al
Cu
P
Si
Determinazioni volumetriche
Analita Prelievo Titolante – Normalità 1° V eq. 2° V eq. 3° V eq.
Determinazioni gravimetriche
Analita Prelievo Peso crogiolo vuoto Peso crogiolo pieno
40
Le leghe ferrose sono costituite principalmente da Ferro, carbonio ed altri metalli. Pur essendo il ferro l’elemento
maggioritario, è il carbonio quello che influenza maggiormente le proprietà della lega, per questo motivo si classificano
in base al tenore di carbonio presente e si
possono dividere in tre categorie principali:
ferro dolce, acciai e ghise, ordinate per tenore
crescente di carbonio.
Il ferro dolce è costituito fondamentalmente
da ferro, con piccolissime percentuali di altri
('
!" # !" "!% # "!% ) !* #
metalli.
Le ghise sono costituite principalmente da
ferro e carbonio con piccole percentuali di
& ' altri metalli quali Si (1÷3%), Mn (0,2÷0,8%),
! $! !
P (0,05÷0,5%) e S (0,05÷0,5%). Queste si
(
differenziano essenzialmente in base alla
quantità di carbonio libero e alla sua
disposizione nella lega. Gli acciai possono
contenere altre a ferro e carbonio anche altri
elementi, quali Mn, Cr, Ni, Si, P, ed altri
ancora, in percentuali che possono
raggiungere anche il 20 %, come negli acciai
INOX. In questo caso le loro proprietà non dipendono principalmente dal tenore di C ma anche dal tipo e dalla quantità
degli altri metalli presenti.
4.3. Attacco
L'attacco degli acciai può essere fatto con vari acidi: solforico,
cloridrico, nitrico e con loro miscele binarie e anche ternarie. A volte
si usa anche il fosforico. Quando si vuole non solo solubilizzare
l'
acciaio, ma anche ottenere l' elemento da determinare in uno stato d' ossidazione elevato, l'
attacco acido deve essere
ossidante e si ricorre ad H2SO4 conc o a HNO3 conc aggiungendo eventualmente anche HClO4 conc. Da notare che
HClO4 perde le sue proprietà ossidanti in soluzione diluita, ma quando è presente in buona concentrazione, è un potente
41
ossidante e presenta il notevole vantaggio di dare perclorati che sono tutti molto solubili. L’HClO4 è comunque un
reattivo da usare con estrema cautela data la sua pericolosità; infatti in soluzione concentrata e calda può provocare
esplosioni quando venga in contatto con sostanze organiche. Quando si utilizza una soluzione concentrata di acido
perclorico è necessario operare su banchi piastrellati e non in legno e bisogna evitare di usare stracci o spugne. Il
campione deve essere sgrassato accuratamente perché non deve presentare tracce residue di oli e si deve evitare il
contatto con tappi di sughero o gomma e con parti in legno del banco di lavoro e della cappa di aspirazione; questa
dovrà, poi, assicurare una aspirazione efficace per evitare la formazione di vapori di HClO4. La scelta dell’acido per
l’attacco deve tenere conto anche del tipo di campione: per ghise, acciai comuni o a bassa lega si possono utilizzare sia
acidi riducenti che ossidanti, mentre per portare in soluzione acciai INOX si devono evitare assolutamente gli acidi
ossidanti per non passivare il campione. In questi casi si deve aver cura di solubilizzare il campione con acido cloridrico
o solforico o fosforico e poi successivamente aggiungere acido nitrico per ossidare gli elementi presenti.
Nel caso si esegua un attacco non ossidante si può formare sul fondo del becher un deposito di carbonio grafitico nero.
Per eliminarlo è sufficiente, una volta terminato la dissoluzione, aggiungere poche gocce di acido nitrico e far bollire
per trasformare il carbonio granitico in CO2 e volatilizzarla. Per gli aspetti teorici dell’attacco delle leghe metalliche si
rimanda al paragrafo 2.3.2.
42
4.4. Determinazione del carbonio totale
Il carbonio presente in un acciaio può essere determinato in due metodi: per via gas-volumetrica quando il suo tenore
nell'acciaio è < 4% e con un metodo volumetrico quando il suo tenore è > 4 %.
43
è il molibdato di ammonio che, però, non è specifico del Si ma dà lo stesso complesso colorato con molti altri elementi.
Il metodo si basa sulla formazione di un eteropoliacido silicomolibdico (NH4)3HSiO4•12MoO3 che viene ridotto ad
azzurro di molibdeno di formula imprecisata che assorbe notevolmente nell' intervallo compreso tra 650 e 820 nm; il
massimo dell' assorbimento si ha a 820 nm. Possono interferire P, As e V che formano anch' essi eteropoliacidi con lo
stesso reattivo; il fosforo interferisce notevolmente soprattutto se è presente nell' acciaio in forte quantità. Il metodo
spettrofotometrico non è utilizzabile quando la % di P nell’acciaio è 5 volte o più della % di Si.
Per eliminare l' interferenza del P si aggiunge acido ossalico che ha il compito di ridurre l' eccesso di ossidante aggiunto
dopo l' attacco e di fissare il pH della soluzione a un valore di 1,1-1,3 che rappresenta il valore ottimale per la lettura allo
spettrofotometro. È necessario eliminare l' eccesso di ossidante dalla soluzione perchè, poi, si deve aggiungere a questa
un riducente per sviluppare il colore blu.
Il sale di molibdeno che viene aggiunto ha formula (NH4)6Mo7O24.24H2O-eptamolibdato di ammonio (in alternativa si
può utilizzare il molibdato di ammonio (NH4)2MoO4). Il complesso che si forma nel rapporto Si/Mo=1/12 viene ridotto
con benzidina o con acido ascorbico e si forma un complesso, di formula non definita, di colore azzurro detto blu di
molibdeno.
Se il riducente usato è la benzidina, la sua ossidazione dà un composto anch' esso azzurro e la sensibilità del processo
viene esaltata:
H2N–C6H4–C6H4–NH2 HN=C6H4–C6H4=NH (blu di benzidina)
Reattivi:
- Acido solforico 2 N; - Acido ascorbico: 20 gr/litro. Riducente e complessante del Fe3+;
- Miscela solfonitrica (H2SO4 1,5 N e HNO3 0,5 N); - Soluzione a titolo noto in Si. Per prepararla si usa un silicato
- NaNO2 a 50 g/L; puro oppure si fonde in alcali SiO2 pura;
- H2C2O4 40 g di acido anidro per litro; - Benzidina allo 0,05% preparata sciogliendo 0,125 g di
- (NH4)6Mo7O24 . 24 H2O a 50 g/L; benzidina in 25 ml di acido acetico glaciale portando poi a 250
- Soluzione di Fe3+ per preparare gli standard a 4 g/L; ml e filtrando;
44
Procedimento:
Gli standard devono contenere Si in concentrazioni variabili tra 0 e 1,5 ppm in matracci da 100 ml; a 20 ml di slz di Fe3+ si
aggiungono 10 ml di soluzione di molibdato e, dopo 5 minuti, 5 ml di acido solforico 2N, 5 ml di soluzione di acido
ossalico, 5 ml di acido ascorbico e 5 ml di benzidina. Si porta a volume e si aspettano 30 minuti prima di leggere a 820
nm. Si costruisce quindi la curva di taratura.Il campione viene, intanto, attaccato con miscela solfonitrica o con acido
solforico 2N. Se si usa H2SO4 bisogna aggiungere NaNO2 come ossidante (per ossidare Fe2+ a Fe3+) facendo bollire
cautamente per 10 minuti per scacciare i vapori nitrosi. A un' aliquota di campione vengono aggiunti nello stesso ordine gli
stessi reattivi degli standard e quindi si porta a volume di 100 ml. Il bianco si prepara mettendo nel matraccio da 100 ml
tutti i reattivi e sostituendo il campione con acqua distillata. Le letture si fanno a 820 nm.
Reattivi:
- Molibdato d’ammonio ammoniacale: si sciolgono in 800 ml di acqua 65 grammi di eptamolibdato esammonico
tetraidrato, 225 grammi di ammonio nitrato e 15 ml di ammoniaca. Si porta a 1 litro.
- Acido nitrico esattamente 0,1 N: se ne determina il titolo esatto utilizzando la soluzione di NaOH preparata.
- Permanganato di potassio: soluzione al 2,5 % - Nitrato di potassio: soluzione all'
1%
- NaOH 0,1 N esattamente normalizzata. - Acido nitrico conc. (per l'attacco del campione)
- Acido ossalico: soluzione satura. - Fenolftaleina: soluzione alcolica al 2 %.
Procedimento:
Il campione di lega viene attaccato o seguendo le indicazioni del paragrafo 4.3.1 o con HNO3 1:3 a freddo o con blando
riscaldamento. Si porta a consistenza sciropposa e si riprende con qualche ml di acido nitrico e con 50 ml di acqua; se si è
formato un precipitato (silice o C grafitico) si filtra. Si aggiungono 15 ml della soluzione di KMnO4 e si fa bollire per 3-5
minuti: tende a formarsi un precipitato di H2MnO3.
45
La soluzione deve rimanere di colore rosa; a questo punto si aggiunge, goccia a goccia, l’acido ossalico per distruggere
l'
eccesso di permanganato e l' H2MnO3 e si fa bollire per qualche minuto. Si concentra fino ad ottenere un volume di circa
50-60 ml e a 50°C si aggiungono 50 ml di soluzione di molibdato; dopo avere agitato si lascia per 1-2 ore a temperatura
ambiente. Si procede quindi alla filtrazione del precipitato su filtro a fascia azzurra avendo cura di portare la minor
quantità possibile del precipitato sul filtro lavando poi accuratamente per decantazione prima con HNO3 diluitissimo e
poi con soluzione di KNO3 all' 1% fino ad eliminare ogni traccia d’acidità dalla beuta e dal filtro oltre che dal precipitato.
Si porta quindi in beuta il filtro che contiene parte del precipitato, si aggiunge un eccesso calcolato di NaOH e si agita
fino a dissoluzione completa. Si diluisce con acqua fino ad un volume di 100 ml e si titola con HNO3 a titolo noto con
fenolftaleina come indicatore. Si eseguono quindi i calcoli ricordando che per il fosforo è PE=PM / 23=1,347 u
Il fosforo viene determinato mediante formazione di un eteropoliacido fosfomolibdico (NH4)3PO4•12MoO3 che viene
successivamente ridotto ad un complesso blu di composizione non nota (azzurro di molibdeno) che assorbe in un vasto
onda tra 650 e 820 nm. La λ viene scelta in questo intervallo tenendo conto, di volta in volta, della
intervallo di lunghezze d'
interferenza dovuta allo ione Fe3+ si elimina riducendolo a Fe2+ con Na2S2O5
necessità di eliminare possibili interferenze. L'
(metabisolfito sodico) che in soluzione acquosa si trasforma in bisolfito:
Na2S2O5 + H2O 2 NaHSO3
L'interferenza possibile del Si viene eliminata per precipitazione della silice; le possibili interferenze di As, Cr, W, Ni
vengono eliminate scegliendo, volta per volta, la lunghezza d' onda adatta. Se il tenore di As è notevole si può, terminato
l'
attacco del campione, aggiungere HBr e qualche ml di H2SO4 conc. scaldando poi fino a fumi bianchi per allontanare
l'
AsBr3 volatile.
Se si prevede che le interferenze siano notevoli e si dispone di un acciaio a titolo noto di fosforo è conveniente eseguire una
doppia determinazione, sul campione incognito e sul campione "noto": il rapporto tra gli assorbimenti, letti allo strumento, è
uguale al rapporto tra le concentrazioni dei due campioni: Ax = a b Cx Ac = a b Cc
Ax / Ac = Cx / Cc
Operando così si evita di costruire la curva di taratura, ma si tratta in pratica di un' analisi comparativa con tutti i
possibili errori che ciò comporta.
Reattivi:
-Eptamolibdato di ammonio (NH4)6Mo7O24•24 H2O: 10 g sciolti in acqua acidulata con H2SO4 e portati a 500 ml; (in
alternativa si può utilizzare il molibdato di ammonio (NH4)2MoO4)
-Acido ascorbico: soluzione all' 1% preparata di fresco, o, in alternativa, una soluzione di benzidina in acido acetico (la
stessa vista nella determinazione del silicio);
-Soluzione standard di P: si sciolgono in acqua 4,583 g di NaH2PO4, si aggiungono 20 ml di H2SO4 conc. e si porta a 1
litro. La soluzione contiene 1 g/L di fosforo;
-Acqua regia: 3:1 in volumi tra HCl e HNO3; -Sodio metabisolfito-Na2S2O5: soluzione satura preparata di fresco;
-H2SO4 1:4 in acqua;
Procedimento:
La legge di Lambert-Beer è seguita linearmente per concentrazioni comprese tra 0 e 0,5 ppm. Dalla soluzione madre si
fanno gli opportuni prelievi utilizzando 4 becker piccoli; si aggiungono 10 ml di metabisolfito sodico e si riscalda
all'ebollizione per 5 minuti. Si aggiungono, subito dopo,10 ml di soluzione di molibdato e 5 ml di acido ascorbico o di
soluzione acetica di benzidina. Si agita e si fa raffreddare. Si porta quindi il contenuto dei becker in altrettanti matracci da
100 ml e si porta a volume lavando accuratamente i becker. Nel frattempo ca.1 g di campione viene attaccato con acqua
regia; cessato lo sviluppo di gas, si aggiungono 50 ml di H2SO4 1:4 e si svapora a fumi bianchi. Si lascia raffreddare e si
aggiunge acqua per sciogliere i sali precipitati, si filtra per eliminare la SiO2 e si lava il precipitato con acqua calda. Il
filtrato e le acque di lavaggio si portano a volume. Si fa un prelievo di 10 ml in becker piccolo, si aggiunge metabisolfito
sodico, si bolle per 5 minuti e si procede come per gli standard. Preparato il bianco aggiungendo tutti i reattivi ad acqua
assorbanza alla λ prescelta.
distillata, si legge l'
46
4.7.1. Metodo gravimetrico
È particolarmente adatto per l' analisi di acciai il cui tenore di Ni supera lo 0,5%. Si basa sulla formazione di un
complesso chelato insolubile (Ni-Dimetilgliossima) che viene fatto precipitare in ambiente ammoniacale (pH = 9-10).
Poiché la precipitazione del complesso del Ni si effettua a pH=9, è necessario complessare il Fe3+ con acido tartarico per
evitarne la precipitazione come idrossido. Il pH ottimale per la precipitazione del complesso è 9, ma per evitare la
formazione istantanea di una grande quantità di precipitato, che ingloberebbe notevoli quantità di impurezze, si inizia la
precipitazione a pH leggermente acido aumentando, poi, il pH con piccole aggiunte di NH3 fino ad arrivare a pH=9.
H3CC = N–OH
+ Ni++ + 2 NH3 (C4H7N2O2)2Ni + 2 NH4+
H3CC = N–OH
In sostituzione della dimetilgliossima solubile in alcol, si può utilizzare la dietilgliossima che è solubile in acqua.
Il campione d' acciaio pesato dovrebbe contenere circa 20 mg di Ni; se si pesa una quantità maggiore, dopo avere
effettuato la dissoluzione, si procede con l' analisi su un'
aliquota della soluzione portata a volume. L’attacco si compie in
beuta seguendo le indicazioni del paragrafo 4.3.1. e successivamente si aggiunge qualche millilitro di HNO3 conc per
ossidare il Fe2+a Fe3+ e si eliminano per ebollizione gli ossidi di azoto. Si aggiunge acqua fino ad ottenere un volume di
circa 200 ml e si complessa il Fe3+ con acido tartarico cristallino aggiunto in ragione di circa 4 grammi per ogni
grammo di campione pesato. Si porta il pH a 9 con ammoniaca 1:3 e, se la soluzione non è perfettamente limpida, si
filtra e si lava il precipitato con acqua acidulata.
Il filtrato e le acque di lavaggio vengono acidificati con HCl e portati a 70°C; si aggiungono 20 ml di soluzione alcolica
1% di DMG e si aggiusta il pH con aggiunte progressive di NH3 fino a sentirne l' odore nella soluzione (pH=9-10). Il
precipitato formatosi viene fatto digerire per 30 minuti a caldo su bagnomaria. Si filtra su setto poroso tarato operando
sotto vuoto e lavando a lungo il precipitato con acqua calda fino ad eliminazione dello ione Cl- particolarmente
trattenuto dal complesso Ni-DMG. Si essicca in stufa a 110 °C e si pesa fino a peso costante. Il fattore di trasformazione
Ni/Ni-DMG è 0,2032.
47
volume e contemporaneamente si prepara il bianco prelevando un' altra aliquota e aggiungendo tutto meno la soluzione
di DMG. Si fanno le letture delle assorbanze a λ=540 nm. Il range di linearità è 0,2 e 6,0 ppm di Ni.
La curva di taratura si costruisce utilizzando un sale puro di nichel e, naturalmente, gli standard si preparano osservando
le stesse modalità seguite per la preparazione del campione e del bianco.
presenti in soluzione:
MnO4-+8H++5e- Mn2++4 H2O E°= 1,51 V
2 MnO4- + 10 Cl- + 16 H+ 2 Mn2+ + 5 Cl2 + 8 H2O
Cl2 + 2 e- 2 Cl- E° = 1,36 V
Cl2 + 2 e- 2 Cl- E° = 1,36 V
S2O82- + 2 Cl - 2 SO42- + Cl2
S2O82- + 2 e- 2 SO42- E° = 2,05 V
Quest'ultima reazione sarà però molto lenta per l'
assenza del catalizzatore.
Poiché, dopo l'aggiunta di NaCl si porta all'ebollizione per 30 minuti circa, avvengono anche le seguenti reazioni che
48
distruggono gli eccessi di persolfato e di permanganato:
O2 + 4 H+ + 4 e- 2 H2O E° = 1,23 V
2 S2O82- + 2 H2O 4 SO42- + O2 + 4 H+
S2O82- + 2 e- 2 SO42- E° = 2,05 V
MnO4-+8H++5e- Mn2++4 H2O E°= 1,51 V
4 MnO4- + 12 H+ 4 Mn2+ + 6 H2O + 5 O2
O2 + 4 H+ + 4 e- 2 H2O E° = 1,23 V
Volendo scrivere un'
unica reazione:
5 S2O82- + 2 MnO4- + 2 H2O 10 SO42- + 2 Mn2+ + 5 O2 + 4 H+
Dopo avere distrutto l' eccesso di persolfato e permanganato si aggiunge un eccesso calcolato di sale di Mohr che riduce
Cr2O72- a Cr3+ (la soluzione cambia il proprio colore da giallo a verde); si titola poi l'
eccesso di sale di Mohr con KMnO4
a titolo noto.
MnO4-+8H++5e- Mn2++4 H2O E°= 1,51 V
MnO4- + 5 Fe2+ + 8 H+ Mn2+ + 5 Fe3+ + 4 H2O
Fe3+ + e- Fe2+ E° = 0,77 V
Reattivi:
- Miscela solfofosforica: si sciolgono con cautela 16 ml di acido solforico conc. e 8 ml di acido fosforico conc. in acqua e
si porta a 100 ml.
- AgNO3: soluzione all' 1% - Sale di Mohr (NH4)2Fe(SO4)2 6 H2O: 40 g/L (Circa 0,1 M);
- HNO3 :soluzione 1:1 - KMnO4: soluzione circa 0,1 N a titolo noto
- NaCl cristalli puri - K2S2O8: soluzione al 25% preparata di fresco
Procedimento:
L’attacco viene compiuto secondo le modalità viste nei paragrafi 4.3.1 o 4.3.2. Si esegue un opportuno prelievo di
soluzione dell’attacco, in base alla % di Cr presunta in becher da 600 ml. Si riprende con acqua fino a circa 300 ml, si
aggiungono 5 ml di AgNO3 e 15 ml di persolfato di potassio. Nel caso si sia utilizzato un attacco a microonde con un
metodo che prevede l’utilizzo di HCl, aggiungere la soluzione di argento fino a che non si nota più la comparsa del
precipitato di AgCl per assicurare la presenza di ioni Ag+ in soluzione. Si porta all’ebollizione per qualche minuto fino a
sviluppare il colore violetto del permanganato. (Se l’acciaio non contiene Mn si aggiunge qualche cristallino di MnSO4).
Si aggiunge una punta di spatola di NaCl e si fa bollire fino a scomparsa del colore violetto del permanganato; se
necessario si aggiunge ancora un pò di NaCl e si protrae l’ebollizione per altri 15 minuti facendo attenzione che il volume
non si riduca a meno di 300 ml. Si raffredda sotto acqua corrente e si aggiunge sale di Mohr in eccesso calcolato (la
soluzione diventa verde). Si titola, poi, con la soluzione di KMnO4 fino a rosa persistente e si esegue una prova in bianco
introducendo in una beuta 200 ml di acqua, 60 ml di miscela solfofosforica e aggiungendo lo stesso volume di sale di
Mohr. Si titola quindi con la stessa soluzione di permanganato e nelle stesse condizioni del campione. In questo modo
non è necessario conoscere l’esatto titolo del sale di Mohr. È ovvio che se ciò è noto, non si fa la prova in bianco.
In ambiente solforico tra Cr2O72- e difenilcarbazide si forma un complesso stabile di colore rosso - violetto (λ=540 nm,
intervallo linearità 0÷1 mg/l Cr6+). L' attacco del campione deve essere, quindi, eseguito in ambiente acido e
successivamente ossidante perché occorre ottenere il Cr6+ nello stato di massima valenza; l' acidità minerale da acido
solforico assicura che lo ione presente sia Cr2O72-.
Le interferenze sono praticamente inesistenti perché, data la grande sensibilità della reazione, specifica per il solo Cr,
(0,1÷0,2 ppm) si fanno diluizioni tanto spinte da rendere non più apprezzabile la presenza degli elementi che potrebbero
interferire (Fe, Co, ecc).
L'attacco può effettuarsi con HClO4 che è acido forte ed energico ossidante; se si vuole evitare l'
uso di questo acido che
richiede molte precauzioni per la sua pericolosità, si può fare l'attacco con H2SO4 aggiungendo poi persolfato e Ag+
come catalizzatore. In ogni caso, per ebollizione si deve distruggere l' eccesso d’ossidante che rende meno stabile il
complesso colorato. La curva di taratura si costruisce con uno standard primario o un acciaio a contenuto noto di Cr.
Reattivi:
- Difenilcarbazide: soluzione allo 0,2% in alcool etilico al 95%;
- Soluzione solforica 12% v/v: 12 ml di H2SO4 conc diluiti a 100 ml;
- Acido perclorico: soluzione al 70%;
in alternativa all'
acido perclorico: - Persolfato di potassio solido; - Argento nitrato: soluzione 0,1 N; - H2SO4 conc;
Procedimento:
Si pesano circa 0,5 grammi di campione e si attaccano in becker secondo le modalità viste nei paragrafi 4.3.1 o 4.3.2. Si
esegue un opportuno prelievo di soluzione dell’attacco, in base alla % di Cr presunta e si aggiunge poi persolfato di
potassio e argento nitrato per ossidare il Cr a bicromato; l’ossidazione viene iniziata a freddo e proseguito all'
ebollizione
49
fino ad ottenere un piccolo volume ed eliminazione completa dell' eccesso di ossidante (per solfato). Si raffredda, si
diluisce con acqua fino a circa 50 ml, si aggiungono 10 ml di soluzione solforica e 2 ml di soluzione di difenilcarbazide.
Si porta a volume e si lascia riposare per 10 minuti. Si effettua la lettura allo strumento e si risale, mediante la curva di
taratura, al contenuto di Cr nell'
acciaio. Essendo assenti le interferenze, il bianco si prepara con acqua distillata.
50
Si riprende con 60 ml di acqua e si fa bollire ancora per 5’, poi si filtra la silice e l'
eventuale C grafitico raccogliendo il
filtrato e le acque di lavaggio in un matraccio da 100 ml che si porta a volume. Si prelevano poi 2 aliquote (da 5 a 20 ml
a seconda del tenore di Mn nell' acciaio). La prima aliquota viene posta in una beuta, vi si aggiungono 5 ml di H2SO4
concentrato e, dopo aver portato all' ebollizione, 0,5 grammi di KIO4 cristallino, continuando a bollire per altri 5’.
Completata l' ossidazione di Mn2+ a MnO4- si raffredda e si porta a volume in un matraccio da 100 ml. La seconda
aliquota viene posta direttamente in un matraccio da 100 ml e addizionata di 5 ml di H2SO4 prima di essere portata a
volume [bianco].
MnO4-+8H++5e- Mn2++4 H2O E°= 1,51 V
5 IO4- 2+
+ 2 Mn + 3 H2O 5 IO3- +2 MnO4- +
+6H IO4- + 2 H+ + 2 e- IO3- + H2O E° = 2,36 V
+ -
O2 + 4 H + 4 e 2 H2O E° = 1,23 V
Le letture di assorbanza del campione e del bianco vengono eseguite alla λ = 550 nm. La curva di taratura viene
preparata utilizzando un acciaio a titolo noto e prossimo a quello del campione in esame. Risultati altrettanto
soddisfacenti si ottengono quando si prepara la curva di taratura utilizzando una soluzione di KMnO4 esattamente 0,1 N.
Procedimento:
Il campione (0,5÷1 g) viene attaccato secondo le modalità viste nei paragrafi 4.3.1 o 4.3.2. concentrando poi fino a
consistenza sciropposa. Si riprende con 5 ml di HCl e 50 ml di acqua e si porta all'ebollizione per sciogliere i sali solubili.
Si filtra, per eliminare l'
eventuale SiO2 e il C grafitico e si lava il precipitato con HCl 1:100; il filtrato e le acque di
lavaggio si raccolgono e si portano a volume in un matraccio la cui capacità viene scelta in funzione del tenore di Mn
nell'acciaio. La soluzione da analizzare deve contenere da 0 a 10 ppm di Mn. La curva di taratura può essere preparata
usando un acciaio di composizione nota e simile a quella del campione analizzato. In alternativa si può preparare la curva
di taratura utilizzando MnSO4•1H2O (2,03 grammi di sale in 500 ml corrispondono a 1000 ppm di Mn) e aggiungendo ad
ogni standard una quantità di Fe3+ che, come ordine di grandezza, realizzi una concentrazione pari a quella del campione
da analizzare.
Reattivi:
- Miscela acida nitrosolfofosforica: 10 ml di H2SO4 conc., 12,5 ml di H3PO4 conc e 25 ml di HNO3 conc portati a 100 ml;
- Arsenito di sodio: si prepara una soluzione circa 0,1 N di NaAsO2 e se ne determina il titolo con un acciaio a titolo noto
e di composizione analoga a quella dell' acciaio in esame;
- Nitrato di argento: soluzione all'
1%; - Persolfato di ammonio:soluzione al 25% preparata di fresco;
51
- NaCl: soluzione 0,1 N;
Procedimento:
Il campione (0,5÷1g) viene attaccato in beuta con 30 ml di miscela acida; quindi si fa bollire per scacciare i vapori nitrosi.
Si riprende con acqua fino a 100 ml e, se la soluzione è torbida per la presenza si SiO2 o di grafite, si filtra raccogliendo
in un becker il filtrato e le acque di lavaggio. Si aggiungono 10 ml di AgNO3 0,1 N e 10 ml di persolfato. Si fa bollire per
un paio di minuti e, dopo aver aggiunto 10 ml di soluzione di NaCl 0,1 N e aver raffreddato sotto acqua corrente a 20°C o
meno, si titola con la soluzione di arsenito normalizzata come visto sopra.
La soluzione di NaCl viene aggiunta per precipitare lo ione argento ed eliminare quindi il catalizzatore che permette allo
ione S2O8= di ossidare con velocità apprezzabile; bisogna cioè evitare che lo ione persolfato reagisca con l' arsenito e
bisogna evitare, altresì, che possa riossidare lo ione Mn++ a ione MnO4-. Il NaCl viene aggiunto nella quantità
stechiometricamente equivalente all' AgNO3 per ottenere la precipitazione completa dello ione Ag+ e nello stesso tempo
per evitare che in soluzione rimangano ioni Cl- che potrebbero ridurre MnO4- insieme all' arsenito.
52
5. I prodotti ceramici e i loro cicli di produzione
5.1. Definizione di prodotto ceramico
La tecnologia ceramica è l' insieme delle conoscenze riguardanti i materiali, i mezzi e le tecniche utilizzate per produrre
oggetti di ceramica. Fino a qualche tempo fa si definiva ceramica un prodotto a base di materia plastico-terrosa che
avesse subito un conveniente trattamento termico; tale trattamento procurava, oltre alla perdita della plasticità, coesione,
durezza e resistenza meccanica, per cui il manufatto poteva così conservare la forma data nella modellatura.
Per far fronte a nuove esigenze tecniche sorte nell' attività industriale e nella ricerca di materiali con speciali
caratteristiche, si sono messi a punto nuovi prodotti a base di polveri inorganiche non metalliche senza utilizzare
materiali plastico-terrosi. La coesione e il consolidamento di tali prodotti sono dovuti ad un opportuno trattamento
termico dopo una foggiatura più o meno definitiva.
Poiché per tutte queste specie di prodotti, sia per quelli tradizionali a base argillosa, sia per quelli moderni, esiste un
ciclo di lavorazione comune basato sulla foggiatura a crudo e sul successivo consolidamento termico, si può ritenere
valida la definizione di prodotto ceramico data da Korach:
“Si intende per ceramica qualsiasi oggetto, prodotto artificialmente dall'uomo, composto con materie inorganiche, non
metalliche, foggiate a temperatura ambiente e consolidate a caldo”.
Il trattamento termico (cottura) è la fase che modifica in modo sostanziale la struttura del materiale crudo, ed impartisce
alla ceramica le tipiche caratteristiche di durezza, resistenza meccanica, inerzia chimica e fisica. In base a questa
definizione non sono da considerarsi ceramiche oggetti a base di vetro (formatura a caldo e consolidamento a freddo),
anche se in alcuni casi la ceramica ha un aspetto simile al vetro, a base di cemento (foggiatura e consolidamento a
temperatura ambiente), a base di polveri metalliche.
Questo tipo di classificazione male si adatta ai nuovi materiali ceramici e spesso distribuisce in gruppi differenti (per
esempio a causa del colore dell’impasto) materiali che invece hanno proprietà comuni.
L'unica normativa esistente a livello internazionale riguarda la qualità dei prodotti sulla base di specifiche proprietà
(normalizzazioni), ma è limitata per ora solo al campo delle ceramiche refrattarie (ISO 836, ISO 1109, ISO 1927), delle
ceramiche da impiegare come piastrelle (UNI-EN 14411) e dei sanitari (UNI 4543) e verrà illustrata nei successivi
paragrafi.
53
La porosità chiusa è costituita da vuoti che non comunicano con la superficie esterna; essa si misura tramite la densità
del materiale ed è presente soprattutto in ceramiche con struttura molto vetrificata. E'dovuta al fuso che, ad alta
temperatura, riempie parzialmente la porosità aperta, o alla volatilizzazione di alcuni componenti o alla presenza di gas
rimasti inglobati nelle masse fuse a causa della avvenuta vetrificazione superficiale della ceramica.
Tabella 5.1. Porosità di alcuni prodotti.
PIASTRELLE ALTRE
Terracotta 19-24 % Terrecotte laterizi 20-25 %
Terraglia 15-20 % Terraglia tenera 18-25 %
Grès <3% Terraglia forte 12-15 %
Grès porcellanato < 0,5 % Porcellana < 0,5 %
Grès rosso 3-6 %
Tra i principali prodotti ceramici ad alta porosità ricordiamo le terrecotte, le faenze, i refrattari e le terraglie.
Le TERRECOTTE sono ceramiche con colorazione variabile dal giallo al rosso mattone, con alta porosità; sono
ottenute per cottura in ambiente ossidante ad una temperatura compresa tra 880 e 980 °C. In base all' uso cui sono
destinate hanno una tessitura variabile da grossolana eterogenea a fine quasi omogenea. Queste ceramiche sono
sprovviste di rivestimento e sono impiegate come ceramiche strutturali nell'
edilizia o ad uso ornamentale.
Le FAENZE sono ceramiche con colorazione variabile dal giallo al bruno nocciola, porosità di tipo aperto (intorno al
18% di acqua assorbita), struttura prevalentemente cristallina. Sia per la cottura cui sono sottoposte (900-950 °C), sia
per la composizione mineralogica dell' impasto, somigliano alle terrecotte da cui si distinguono per la granulometria
molto più fine.
I REFRATTARI hanno l' impasto a struttura cristallina e grossolana; la porosità è variabile e dipende dall'
uso cui sono
destinati. Si preparano a partire da materie prime che rammolliscono e fondono solo a temperature superiori a 1500 °C.
Le TERRAGLIE sono ceramiche a pasta quasi bianca ottenuta per scelta accurata delle materie prime con cui si
compone l' impasto (contenuto di Fe2O3 inferiore all 1%). La loro porosità è variabile (dal 18-20% al 8-12%) a seconda
della formulazione dell'
impasto e della temperatura di cottura.
Le più comuni ceramiche poco porose sono: i grés, la porcellana ed il vitreous. Tutte queste ceramiche hanno in comune
una massa vetrificata molto compatta, densa, quari priva di porosità. La presenza di vetro deriva da una modificazione
di stato durante la cottura (greificazione), per la quale alcuni componenti rammolliscono gradualmente e il liquido
altamente viscoso che si forma riempie i pori e salda, in fase di raffreddamento, tutto il corpo ceramico. Presentano
un'alta resistenza alla flessione, all’abrasione, all'
attacco chimico. Si possono distinguere tra loro per la struttura, la
natura mineralogica dei cristalli che le costituiscono, il grado di traslucidità.
I GRÉS derivano da alcune mescolanze argillose naturali che producono ceramiche greificate a temperature tra i 1050-
1100 °C o, più spesso, tra i 1200-1250 °C. Tali ceramiche risultano più o meno colorate per la presenza di composti
ferrosi. Per ottenere grès bianchi si utilizzano impasti artificiali a base d’argille cuocenti bianco e rocce quarzoso-
feldspatiche che provocano la greificazione della massa. La porosità di tipo aperto è molto bassa, mentre è significativa
la presenza di porosità chiusa. A fini decorativi possono essere rivestiti da smalti o essere colorati già nell'
impasto.
I VITREOUS e le PORCELLANE costituiscono le ceramiche più vetrificate, quindi con porosità aperta inferiore allo
0,5%. Questa vetrificazione può essere conseguita cuocendo impasti simili a quelli di grès bianco con un più alto tenore
di rocce feldspatiche o con un fondente più energico (impasti per vitreous), oppure cuocendo miscele di caolino, quarzo
e feldspato a temperature comprese tra 1350 e 1400 °C (impasti per porcellane dure).
54
Tabella 5.2. Classificazione dei materiali ceramici speciali.
Settori di Applicazioni Proprietà Materiali ceramici
applicazione
Refrattarietà Al2O3, ZrO2, SiC, TiC,
Rivestimenti forni
Isolamento termico BaS, CeS
Materiali per elettrodi Conducibilità termica BeO
TERMICO Capacità termica
Scambiatori per parti elettroniche Al2O3
Conducibilità termica
Resistenza shock
Parti di turbine e motori Si3N4, ZrB2, TiB2
Resistenza scorrimento
Combustibile nucleare Sorgente di radiazioni UO2, UC, US, ThS
Refrattarietà
Materiale per rivestimento BeO, Al2O3
NUCLEARE Resistenza alle radiazioni
Resistenza meccanica ad alta
Materiale per schermatura C, SiC, B4C
temperatura
Elementi riscaldanti per alte
Conducibilità elettrica SiC, TiC, B4C
temperature
Memorie magnetiche Proprietà magnetiche Ferriti
ELETTRICO Supporti per semiconduttori Isolamento elettrico Al2O3
Semiconduttori, sensori di gas Semiconduttività SnO2, ZnO
Piezoelettricità
Trasduttori e oscillatori BaTiO3, CaTiO3, SrTiO3
Dielettricità
Assorbanti Assorbimento SiO2, zeoliti
Catalizzatori Catalisi Fe2O3, Al2O3
CHIMICO
Reattori ad alta temp. BaS, CeS
BIOLOGICO Resistenza alla corrosione
Sensori di gas e vapori ZnO, SnO2, ZrO2
Protesi e implantologia ossea Compatibiltà biologica Apatite
resistenza shock termici
Parti di motori e turbine Si3N4, TiB2, ZrB2
resistenza scorrimento
Parti di strumenti di precisione Durezza SiC, ZrO2
MECCANICO
Utensili Resistenza meccanica TiN, B4C, TiC
Abrasivi Resist. all’abrasione Al2O3, SiC
Lubrificanti solidi Lubrificazione C, BN
Lenti per alte temperature Trasparenza Al2O3, MgO
Fibre ottiche e rivelatori ottici Trasmissione ottica SiO2, ZrO2
OTTICO
Diodi laser, diodi luminescenti,
Fluorescenza Y2O3-ThO2, ZnS, CdS
fosfori
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Tabella 5.3. Classificazione tecnico commerciale delle piastrelle ceramiche.
Metodo Destinazione Peso Gruppo UNI
Tipo Superficie Struttura AA (%)
formatura prevalente (Kg/m2) EN 14411
Terraglia
smaltata porosa 10÷20 Pressatura riv/int 10-12 BIII
pasta bianca
Monocottura pav/int
smaltata greificata 2÷7 Pressatura 18-20 BIb÷BII
rossa - chiara est(BIb)
Monoporosa
smaltata porosa > 10 Pressatura riv/int 16-23 BIII
rossa - chiara
smaltata pav/int-est
Clinker greificata 0÷6 Estrusione 20-25 AI÷AIIa
non smalt. riv/int
non smalt.
Cotto porosa 3÷15 Estrusione pav/int-est 20-25 AII÷AIII
(smaltata)
Grès rosso non smalt. greificata 1÷3 Pressatura pav/int-est 18-22 BIb
smaltata pav/int-est
Grès porcellanato greificata 0÷0,5 Pressatura 18-22 BIa
non smalt. riv/int-est
Fra questi tipi di prodotto, la cui denominazione tecnico-commerciale fa espressamente riferimento alla tecnologia di
fabbricazione, conviene ricordare particolarmente la monocottura porosa: (detta anche monoporosa): è una tecnologia di
fabbricazione di piastrelle ceramiche smaltate con una sola cottura (una monocottura, quindi), con assorbimento d' acqua
in genere superiore al 10%, prevalentemente in pasta rossa, anche se vi sono significative esperienze in pasta chiara o
bianca. Per questi prodotti, dopo la formatura si procede all’essiccamento ed all’applicazione dello smalto sul supporto
crudo che viene successivamente cotto in forno.
BIa BIb
B pressatura BIIa BIIb BIII
AA≤0,5% 0,5≤AA≤3%
Si noti che, come emerge chiaramente dalla Tab. 5.3, ad uno stesso gruppo della classificazione EN possono
appartenere piastrelle di diverso tipo (ad esempio, una monocottura rossa con assorbimento d' acqua del 4% ed una
monocottura chiara con assorbimento d' acqua del 3,5% appartengono entrambe al gruppo BIIa), e che ad uno stesso tipo
di piastrelle, secondo la denominazione tecnico-commerciale, possono essere ricondotte piastrelle appartenenti a gruppi
diversi della classificazione EN (ad esempio, la tipologia "monocottura rossa" può comprendere prodotti dei gruppi BIb,
BIIa, BIIb o BIII, a seconda del rispettivo assorbimento d' acqua).
Per quanto concerne le caratteristiche delle piastrelle ceramiche e le norme che riportano i metodi di prova di ciascuna
caratteristica ed i corrispondenti requisiti stabiliti per ognuno dei gruppi della classificazione EN, si rimanda alla
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bibliografia specifica in merito, riassunta brevemente nella tabella sottostante.
Tabella 5.5. Specifiche tecniche di valutazione dei vari prodotti.
Classificazione UNI EN 14411
Prodotto Colore supporto Ciclo tecnologico Specifica tecnica
Gruppo
per la valutazione
Maiolica Bicottura con processo a secco di
Giallo rosa BIII appendice L
cottoforte preparazione impasto
Terraglia Bicottura con processo a umido di
Bianco BIII appendice L
pasta bianca preparazione impasto
Monocottura con processo a umido
Monocottura Chiaro o colorato BIb-BIIa-BIIb appendice H-J-K
di preparazione impasto
Monocottura con processo a umido
Monoporosa Chiaro o colorato BIII appendice L
di preparazione impasto
Grès Monocottura con processo a umido
Vario BIa Appendice G
porcellanato di preparazione impasto
Monocottura con processo a secco
Grès rosso Rosso bruno BIb Appendice H
o umido di preparazione impasto
Monocottura con processo a secco
Cotto Rosso AIIa-AIIb-AIII appendice C-E-F
di preparazione impasto
Monocottura con processo a umido
Clinker Vario appendice A-B-D
di preparazione impasto
In prima approssimazione possiamo individuare tre cicli fondamentali (figura 5.1), cui è sostanzialmente riconducibile
tutta la gamma di tipologie produttive di piastrelle ceramiche, quali sono state identificate e classificate nel paragrafo
precedente.
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Materie prime supporto
Materie prime
Formatura Formatura Formatura
smalti
Essiccamento Essiccamento Essiccamento
Cotto
Maiolica Monocottura rossa
Grès rosso
Cottoforte Monocottura chiara
Grès porcellanato
Terraglia Clinker
Clinker
Piastrelle smaltate
Figura 5.1. Cicli tecnologici di fabbricazione delle piastrelle ceramiche per le differenti tipologie produttive.
b. Piastrelle smaltate
Gli altri due cicli sono invece impiegati per la produzione di piastrelle smaltate. In questo caso si ricopre la superficie
della piastrella con uno o più strati di rivestimento (smalto) allo scopo di realizzare, durante la fase di cottura, una
superficie vetrosa. Questo strato vetroso ha lo scopo di migliorare sia le caratteristiche tecniche, creando uno strato
impermeabile sulla superficie del pezzo che assorbirà meno lo sporco, che quelle estetiche, permettendo la creazione di
effetti cromatici e decori estremamente vari.
Gli smalti rappresentano in senso figurato gli abiti con i quali vestire i supporti ceramici (piastrelle, vasellame, stoviglie,
ecc.) e permettono, partendo dallo stesso supporto, di ottenere piastrelle esteticamente differenti.
Inoltre in questo modo le proprietà superficiali della piastrella diventano quelle dello strato smaltato e non più quelle del
supporto. Lo strato vetroso può essere trasparente, per far vedere il supporto, oppure opaco per mascherarlo
completamente.
Le tecniche di preparazione ed applicazione degli smalti sono varie e saranno esaminate in capitoli successivi.
I cicli tecnologici di fabbricazione di queste tipologie sono illustrati in figura 5.1, suddivisi nelle due principali
categorie (bicottura e monocottura).
Il primo ciclo si sviluppa secondo la tecnologia di bicottura, così denominata in quanto prevede due distinti trattamenti
termici, rispettivamente per consolidare il supporto e per stabilizzare gli smalti ed i decori, i quali, come emerge
chiaramente dallo schema, vengono applicati sul supporto cotto. Il secondo ciclo fa invece riferimento alla tecnologia di
monocottura, nella quale gli smalti ed i decori vengono applicati sul supporto solo essiccato, per cui è previsto, al
termine, un solo trattamento termico, una “monocottura” appunto, nel corso del quale il consolidamento del supporto e
la stabilizzazione degli smalti si verificano contemporaneamente. Al ciclo tecnologico di bicottura sono riconducibili
tipi di prodotti quali la maiolica, il cottoforte e la terraglia-pasta bianca, mentre al ciclo di monocottura fanno
riferimento appunto le monocotture (chiara e rossa) ed il clinker smaltato.
La cottura rappresenta l’ultima e fondamentale fase produttiva propriamente detta, dalla quale si ottiene il prodotto
finito. In realtà tale prodotto, prima della collocazione a magazzino, viene sottoposto ad operazioni di scelta allo scopo
di eliminare i pezzi difettosi e di selezionare le piastrelle in lotti omogenei per tonalità cromatica (il cosiddetto “tono”) e
per dimensioni di fabbricazione (il cosiddetto “calibro”) e di confezionamento. Per alcuni materiali possono essere
previsti ulteriori trattamenti sul prodotto finito: ad esempio, operazioni di taglio e smussatura, per ottenere particolari
pezzi di raccordo, oppure di levigatura, come nel caso del grès porcellanato.
Per quanto concerne comunque i cicli fondamentali va rilevato che all' interno di ciascuno di essi, ed anche di ciascuna
fase produttiva, sono poi possibili ulteriori differenziazioni tecnologiche.
58
c. Piastrelle levigate
Questo trattamento, che si applica sia alle piastrelle non smaltate che a quelle smaltate (ma con scopi ed obiettivi
diversi), consiste nell’abrasione della superficie eseguita con dischi e tamponi abrasivi.
Sulle piastrelle non smaltate (analogamente a quello che si esegue sulle pietre naturali) viene eseguito dopo la cottura ed
ha lo scopo di migliorarne la lucentezza superficiale e la pulibilità, in qualche caso per creare figure e disegni in rilievo.
Sulle piastrelle smaltate, viene eseguito prima della cottura in fase di smaltatura, allo scopo di produrre particolari
effetti estetici.
In ogni caso questo è un trattamento puramente meccanico che influisce solo sulle proprietà superficiali di riflessione
della luce ma non su quelle meccaniche e chimiche dei prodotti ceramici.
In figura 5.2 è diagrammato il ciclo tecnologico di fabbricazione di fritte e smalti6, quale viene applicato nelle
corrispondenti aziende (colorifici).
Materie prime Materie prime
Altri costituenti
per fritte per coloranti
Preparazione e dosaggio
Preparazione e dosaggio
Calcinazione
Macinazione ossidi
Fusione in forno fusorio
Essiccamento a spruzzo (atomizzazione)
Fritte Coloranti
6
Per fritte e smalti si intendono tutti quei prodotti che si applicano sulla superficie della piastrella allo scopo di
conferirle particolari caratteristiche estetiche o di resistenza (vedi cap. 12).
59
Le argille destinate alla produzione di prodotti ceramici, prima di essere trasferite allo stabilimento per essere impiegate
nel ciclo produttivo, subiscono trattamenti preliminari di frantumazione, omogeneizzazione e stagionatura in cumuli e
in taluni casi anche di essiccamento. Tali trattamenti hanno lo scopo di conferire ad esse caratteristiche chimiche e
fisiche il più possibile costanti. La stagionatura consiste nell’esposizione dell’argilla estratta ed accumulata, all’azione
degli agenti atmosferici. La pioggia, il gelo e disgelo, disgregano le zolle del materiale aumentandone la plasticità e
producendo anche su di esso una depurazione chimica (es. si decompone la pirite FeS2 che altrimenti in cottura
svilupperebbe SO2, responsabile di difetti interni e superficiali, ed Fe2O3 con effetti fondenti).
I trattamenti delle argille per i prodotti ordinari (terrecotte, faenze, gres, refrattari) vengono eseguiti, a livello
industriale, immediatamente prima della preparazione dell’impasto, presso la stessa azienda che produce il manufatto
ceramico. Invece la argille bianche , i caolini, le materie non plastiche che servono alla composizione degli impasti per
ceramiche fini, sono generalmente sottoposti a trattamenti di purificazione, di frantumazione-macinazione e di
omogeneizzazione presso la cava, ad opera della stessa ditta che provvede all’estrazione e poi venduti alle aziende
ceramiche allo stato di masse secche raffinate, di graniglie o di polveri ventilate.
7
Sospensione di argilla ad altre materie prime costituenti il supporto ceramico in acqua che si ottiene dalla macinazione
a umido
60
generale, una turbina a gas), che produce energia elettrica, coprendo parte del fabbisogno dello stabilimento, ed i cui gas
di scarico vengono utilizzati come aria di essiccamento nell' atomizzatore.
5.6.3. La formatura
Cotto e clinker vengono formati prevalentemente per estrusione, a partire da una pasta con un contenuto di umidità che
può variare, a seconda del tipo di prodotto, fra il 15 ed il 20%. Dall’estrusore, nel quale è prevista una camera sotto
vuoto, per facilitare la disaerazione della massa, esce un nastro continuo, che viene poi opportunamente tagliato.
Tutti gli altri prodotti vengono formati per pressatura. La pressatura consiste nella compattazione di polveri, aventi
umidità del 4÷7% a seconda del tipo di impasto e di prodotto. La pressione applicata, normalmente variabile 20÷50
MPa (200÷500 kg/cm2), deforma, riassetta e pone in intimo contatto i granuli di impasto, con il risultato di ottenere un
prodotto compattato crudo dotato di caratteristiche meccaniche sufficienti a resistere alle sollecitazioni che il pezzo
dovrà subire nella successiva lavorazione, fino alla cottura (movimentazioni, applicazione dello smalto, etc.). Le presse
oggi maggiormente diffuse sono di tipo oleodinamico (presse idrauliche).
Le caratteristiche della polvere (in particolare la granulometria, la distribuzione granulometrica, la morfologia e
l'
umidità) esercitano, a parità delle altre condizioni, una notevole influenza sulla qualità e sulle caratteristiche del
prodotto pressato, nonché sul suo comportamento nelle fasi tecnologiche successive. Si è già detto in precedenza come
le polveri atomizzate abbiano il miglior comportamento in pressatura.
5.6.4. L'essiccamento
La fase di essiccamento ha l' importante funzione di eliminare dal prodotto formato l' acqua necessaria per la formatura.
Le condizioni di allontanamento di questa acqua di impasto sono in generale relativamente critiche, nei confronti
dell'integrità del prodotto, e debbono pertanto essere rigorosamente controllate, per prevenire distorsioni, fessurazioni o
altri fenomeni ugualmente dannosi.
Gli essiccatoi oggi più diffusamente impiegati nel settore delle piastrelle ceramiche sono essiccatoi rapidi ad aria calda.
Questa viene utilizzata in modo da realizzare sia il riscaldamento del materiale, così da favorire la diffusione dell'
acqua
dall'interno all'esterno, sia l'
evaporazione ed il trasporto dell' acqua stessa dalla superficie dei pezzi. La rapidità del
processo è da mettere in relazione con le buone condizioni di scambio termico, con l' efficace ventilazione e con la
relativamente elevata temperatura dell' aria di essiccamento. La durata del ciclo di essiccamento oscilla mediamente fra
30÷70’, in funzione del tipo di prodotto e del formato. Si segnalano comunque nuove tecnologie basate sull' impiego dei
raggi infrarossi, che consentono di ridurre i cicli a meno di 10’.
5.6.6. La cottura
Mediante la cottura le piastrelle, così come tutti i materiali ceramici, acquistano caratteristiche meccaniche adeguate alle
diverse specifiche utilizzazioni e corrispondenti proprietà di inerzia chimica. Il conseguimento di queste caratteristiche è
il risultato di reazioni chimiche e trasformazioni fisiche relative sia al supporto, sia, nel caso dei prodotti smaltati, allo
smalto. Ancora per quanto concerne le piastrelle smaltate, come più sopra ricordato, si può far ricorso a due tecnologie,
la bicottura (che comporta due diversi trattamenti termici in due forni distinti, e diversi quanto a sistema di caricamento
del materiale, condizioni operative, etc.) e la monocottura (che prevede un unico trattamento termico e, di conseguenza,
un unico forno). É stata mostrata in precedenza l' importanza che la monocottura è venuta acquistando negli ultimi anni:
61
un'importanza che trae origine dalle caratteristiche tecniche del prodotto e dalla sensibile riduzione dei costi di
produzione. La qualità sia tecnica che estetica dei prodotti è anzi venuta incrementandosi nel tempo, e ciò ha spinto la
ricerca e la sperimentazione nella direzione di un' ulteriore espansione della monocottura anche nel campo dei prodotti
ad alta porosità (la cosiddetta "monoporosa").
La cottura viene realizzata in forni continui, consistenti in una galleria, che le piastrelle percorrono, in controcorrente
rispetto ai prodotti della combustione, su appositi sistemi di trasporto, venendo dapprima preriscaldate (a spese del
calore sensibile appunto dei prodotti della combustione), quindi portate alla temperatura di cottura (che varia a seconda
del tipo di prodotto, fra circa 950°C ed oltre 1200°C. I prodotti porosi si collocano in generale verso l' estremo inferiore
di questo intervallo, mentre i prodotti a struttura compatta, quali i grès, richiedono temperature di cottura decisamente
più elevate, comunque variabili in funzione della composizione dell' impasto).
Dopo un certo tempo di permanenza alla temperatura di cottura, le piastrelle, sempre nel loro percorso all' interno del
forno, vengono progressivamente raffreddate, fino ad una temperatura che ne consente l' estrazione dal forno in
condizioni di sicurezza.
Nel corso della cottura si verificano diverse reazioni e trasformazioni, dal cui decorso dipendono, in definitiva, le
caratteristiche del prodotto.
In sintesi, a seconda del tipo di materie prime utilizzate e della temperatura di cottura si giunge alla formazione di una
fase fusa più o meno abbondante, la quale ingloba e salda tenacemente insieme tutte le particelle, portando alla
creazione, dopo raffreddamento, di una struttura meccanicamente resistente. Queste trasformazioni strutturali,
importanti in relazione alla microstruttura ed alle caratteristiche prestazionali delle piastrelle, sono accompagnate anche
da un riassetto delle particelle, con ritiri dimensionali in generale tanto più sensibili quanto più bassa è la porosità del
prodotto che si vuole ottenere.
Nella seguente tabella è riporta una selezione di analisi chimiche di materie prime ceramiche (da “Materie prime
ceramiche” Soc. Cer. It., 1999).
Tabella 5.6. Analisi di alcune materie prime ceramiche in commercio.
SiO2 Al2O3 TiO2 Fe2O3 CaO MgO K 2O Na2O P.F.
Caolino K1 49.1 35.2 0.33 0.36 0.07 0.16 1.45 0.13 12.1
Caolino Eurec 47.3 35.4 0.8 1.10 0.46 0.36 0.98 0.29 12.8
Caolini Caolino C1641 48.6 35.5 1.06 0.97 0.11 0.04 0.31 0.01 13
Caolino AKW 52.5 33.8 0.15 0.38 0.17 0.18 0.20 0.03 12.5
Caolino WBB 62.2 35.2 0.3 0.8 0.2 0.3 0.9 0.1 11.8
Lavio 100 57.14 21.41 0.28 3.53 1.84 4.73 0.21 3.35 7.40
bentoniti Lavioplast K 70.08 15.17 0.12 1.28 1.70 2.48 0.20 2.22 6.73
Lavioplast R 72.63 12.62 0.24 1.90 1.11 2.45 0.27 2.64 6.10
Beston 1405 69.08 24.13 1.39 1.69 0.42 0.48 2.59 0.22 6.44
Panciera A93 57 28 1.37 1.1 0.35 0.67 2.5 0.82 8.3
Illiti Hy White 50 32 0.9 1.3 0.2 0.3 1.3 0.2 -
SSKG 0747 70 23 1.5 1.2 0.2 0.2 2.5 0.3 6.6
Donbas DBM3 56 29 1.4 1.5 0.4 0.6 2.9 0.5 7.6
Argille S.Leo 55.40 19.06 0.81 7.54 1.01 6.54 2.09 1.49 7.5
Cloriti
IGMA Coacer 58 27 1.0 1.4 0.2 0.7 3.0 0.2 7.5
Ortoclasio 64.7 18.4 - - - - 16.9 - -
Albite 68.8 19.4 - - - - - 11.8 -
Anortite 43.3 36.6 - - 20.1 - - - -
Feldspati e Nefelina 41.5 35.2 - - - - 5.8 17.5 -
feldspatoidi US 101 68.36 19.62 0.04 0.02 0.32 0.01 0.22 11.20 0.2
Kalemaden 635 73.27 16.30 0.12 0.06 0.79 0.34 0.32 8.25 0.55
Rio Piron 70.7 15.8 tr. 0.13 0.51 0.05 9.60 2.21 0.64
North Cape 57.0 23.8 0.1 0.1 1.3 0.1 9.0 7.9 1.2
62
6. Il laboratorio nell’industria ceramica
6.0. Scheda raccolta dati sperimentali
Matrice:
Fusione alcalina pesata campione: Volume pallone:
Attacco multiacido pesata campione: Volume pallone:
Analita % Presunta Metodo d’analisi scelto Conc. presunta nel pallone
SiO2
Al2O3
Fe2O3
TiO2
CaO
MgO
Na2O
K2O
Determinazioni volumetriche
Analita Prelievo Titolante – Normalità 1° V eq. 2° V eq. 3° V eq.
Determinazioni gravimetriche
Analita Prelievo Peso crogiolo vuoto Peso crogiolo pieno
63
All’interno dell’industria ceramica l’attività di laboratorio si può suddividere in due distinti filoni:
(a) analisi materie prime e controllo qualità;
(b) laboratorio ricerca e sviluppo.
Nel primo si eseguono le analisi di caratterizzazione e controllo delle materie in entrata per verificarne le
corrispondenze alle specifiche dei fornitori. Inoltre si eseguono tutte quelle prove, chimiche e tecnologiche, sui prodotti
intermedi per controllare l’andamento d’ogni lavorazione. L’attrezzatura e le tecniche utilizzate sono quelle di un
comune laboratorio d’analisi chimica se non per quelle prove specialistiche del settore ceramico.
Il laboratorio ricerca e sviluppo viceversa è quello più specifico e creativo perché al suo interno si mettono a punto i
nuovi prodotti, a partire dalla formulazione dell’impasto, all’individuazione dei parametri tecnologici ottimali fino allo
studio degli aspetti estetici. In questo reparto il chimico deve riunire in sé le conoscenze mineralogiche per la
formulazione dell’impasto, tecnologiche per la messa a punto delle lavorazioni e artistiche per quanto riguarda l’estetica
del prodotto finito. L’attrezzatura qui utilizzata è specifica ed in molti casi si riproduce in laboratorio l’intero ciclo di
lavorazione, allo scopo di produrre provini in scala ridotta per individuare le variabili tecnologiche ottimali in vista
della produzione industriale vera e propria.
Questa seconda attività sembrerebbe più importante del laboratorio analisi materie prime, mentre in realtà solo un
costante controllo dei materiali in entrata ed un attento monitoraggio delle variabili di processo consente l’ottenimento
di prodotti con un elevato standard di qualità e riproducibilità.
Nel seguente capitolo tratteremo quindi in maniera separata i due aspetti anche se in molti casi gli stessi tecnici possono
operare in entrambi i settori.
64
e ripesati per valutarne la % di assorbimento dell’acqua.
e) Densità apparente, in genere viene valutata su barbottine attraverso la pesata di un volume costante di campione
(picnometro da 100 cm3).
Tabella 6.1. Controlli eseguiti sulle materie prime e semilavorati.
Controllo Materiale Strumentazione specifica Paragrafo
Materie prime
6.6
Analisi chimica Atomizzato Via classica o fluorescenza
6.7
Fritte e smalti
Materie prime
Analisi mineralogica Difrattometro RX 6.5
Atomizzato
Materie prime
Umidità Bilancia termica 6.8
Atomizzato
Materie prime
Perdita al fuoco Muffola 6.9
Atomizzato
Materie prime
Calcare (%CaCO3) argillose Calcimetro gasvolumetrico 6.10
Atomizzato
Materie prime
Tenore di C e S totale Analizzatore a infrarossi 6.11
Atomizzato
Materie prime
Ritiro e/o espansione Calibro 6.12
Atomizzato
Materie prime
Assorbimento d’acqua Deprimometro 6.13
Atomizzato
Argille
Plasticità App. di Pfefferkorn 6.14
Atomizzato
Barbottina
Densità apparente Picnometro 6.15
Smalti
Barbottina
Viscosità dinamica Viscosimetro rotazionale 6.16
Smalti
Barbottina
Residuo Setacci a luce prefissata 6.17
Smalti
Barbottina
Tempo di scorrimento (viscosità cinetica) Coppa Ford 6.18
Smalti
Materie prime
Granulometria Vibrosetaccio a colonna 6.2
Atomizzato
Modulo di rottura
Provini essiccati e
Analisi meccaniche e fisiche Colorimetro 6.3
cotti
Abrasimetro
Bilancia termogravimetrica
Materie prime
Analisi termica Analisi termica differenziale 6.4
Fritte e smalti
Dilatometro
65
6.5. Analisi mineralogica
L’analisi mineralogica dei materiali argillosi viene di norma effettuata con una tecnica leggermente diversa, ma sempre
collegata alla interazione di un fascio di raggi X con un campione solido: la diffrattometria. L’incidenza di un fascio
monocromatico di raggi X su un cristallo od un aggregato di polveri cristalline consente di studiare, raccogliendo i raggi
X diffratti, le distanze tra i piani reticolari del cristallo, riconoscendone la struttura cristallina. In particolare, la
diffrattometria di polveri policristalline permette di studiare la composizione mineralogica della polvere stessa. Perció,
nel caso di campioni argillosi, é possibile definirne una composizione mineralogica, cosa altrimenti piuttosto ardua. La
composizione quantitativa di aggregati argillosi è stata resa possibile ultimamente attraverso la disamina statistica e
matematica di un’analisi diffrattometrica del campione (analisi Rietveld).
Un’ultima tecnica analitica è quella della microscopia ottica ed elettronica. In genere, la microscopia permette di
osservare direttamente le fasi mineralogiche presenti in un campione roccioso debitamente trattato. Tuttavia, mentre
questa tecnica (microscopia ottica a luce trasmessa e/o riflessa) consente di fare valutazioni mineralogiche e
petrografiche su rocce consolidate, molto più complicato è fare osservazioni su rocce sciolte come sono in genere le
argille aventi costituenti mineralogici finissimi. In qualche caso, per stabilire la tessitura dei minerali argillosi di
un’argilla si fa riferimento a tecniche di microscopia elettronica ad elevatissimo potere di ingrandimento come il TEM
(Transmission Electron Microscopy), o addirittura, ma raramente, si effettuano analisi con l’ausilio del SEM (Scanning
Electron Microscopy).
66
In genere, infatti, gli standard utilizzati per questa metodologia sono altri materiali terrigeni (argille, sabbie, rocce a
composizione varia), che vengono analizzati assieme al campione: la correlazione incrociata dei dati standard, consente
la costruzione di una retta di calibrazione assai accurata. Affinché vi siano risultati riproducibili tra campione e
campione, debbono essere rispettati criteri di omogeneità delle superfici interessate dall’incisione dei raggi X; per cui il
campione deve essere necessariamente macinato (nel caso dei solidi) fino a dimensioni “argillose (< 4µm).
67
Interferenze:
Utilizzando sodio e potassio carbonato come miscela fondente non si può determinare, sulla soluzione ottenuta, il tenore
di sodio e potassio. Alcuni materiali quali zircone (ZrSiO4),e titanite (CaTiSiO5), minerali in tracce, ma comuni in tutte
le materie prime possono presentare particolare difficoltà alla dissoluzione.
Procedura manuale:
0,1÷0,2 g di campione sono pesati direttamente in crogiolo di Pt pulito. Se si suppongono elevati tenori di materia
organica e solfuri nel campione è bene precedere la fusione con una calcinazione del campione a 700-800°C per alcuni
minuti. S’aggiunge 1 g della miscela fondente (Na2CO3 e K2CO3) e si esegue la fusione, per mezzo di un becco Meker
(soffieria). La fusione dovrebbe durare una trentina di minuti, almeno fino a che la massa fusa non si presenta limpida
(a caldo). Se questo non si verificasse, può essere utile aggiungere altra miscela fondente nel crogiolo. Per rendere il
riscaldamento del crogiolo più omogeneo, dopo i primi 20 minuti sulla soffieria lo si può trasferire in mufola a 900°C
per circa 10 minuti. Prima di spegnere la fiamma, girare il crogiolo in modo da riportare la massa fusa in strato sottile su
tutta la superficie interna: questo ne faciliterà il successivo distacco. Quando la miscela è solidificata, ma ancora calda,
immergere il crogiolo in circa 10 ml di acqua distillata, contenuti in una capsula di porcellana; coprire con un vetro da
orologio e, lungo il becco della capsula, versare lentamente circa 10 ml di HCl 1:1, facendo in modo che l’acido entri
nel crogiolo per staccarne completamente la massa fusa.
Quando è cessato lo sviluppo di CO2, si inserisce un’ancoretta magnetica nel crogiolo e si agita per almeno 10 minuti,
su agitatore riscaldante tiepido fino a disgregazione completa della miscela. Togliere il crogiolo e l’ancoretta e lavarle
più volte, con piccole quantità d’acqua distillata. Si evapora fino a secchezza il contenuto della capsula, su bagnomaria
e si insiste fino a completa eliminazione dell’acido cloridrico; si bagna il residuo con 4 ml di HCl concentrato e si tira a
secco. Si riprende infine con 10 ml di HCl 1:1, poco alla volta, e si filtra attraverso un filtro a fascia nera, raccogliendo
il filtrato in un palloncino tarato da 100 ml. Si lava la capsula con acqua distillata calda, cercando di staccare la silice il
più possibile, sino a portare il filtrato a 100 ml di volume. Quest’ultimo costituisce la soluzione dei cloruri che va
trasferita in un recipiente di politene ed in cui s’andranno a dosare i vari metalli.
68
KF + AlF3 + 4 HCl → KCl + AlCl3 + 4 HF trasformazione fluoruri-cloruri
Su caolino
Al2(Si2O5)(OH)4 + 18 HF→ 2 H2[SiF6] + 9 H2O + 2 AlF3 attacco con HF
H2[SiF6] → 2 HF + SiF4 eliminazione silice
HF + [H2SO4] → HF o in alternativa HF + [HCl] → HF eliminazione acido fluoridrico
2AlF3 + 3 H2SO4 → Al2(SO4)3 + 6 HF trasformazione fluoruri-solfati
AlF3 + 3 HCl → AlCl3 + 3 HF trasformazione fluoruri-cloruri
4 HF + H3BO3 → H[BF4] + 3 H2O complessazione con acido borico
Interferenze:
Il campione deve essere macinato finemente per ottenere la massima rapidità di dissoluzione. In genere i minerali che
hanno maggiori difficoltà nella dissoluzione con queste due miscele acide sono zircone, cianite e tormalina, che però, in
genere, sono presenti in quantità minime nei campioni d’interesse ceramico. Dato che questo attacco è utilizzato per la
determinazione del sodio e del potassio e che i loro due ioni sono sempre presenti nell’acqua deionizzata, occorre
lavorare con acqua bidistillata al fine di non inficiare la loro determinazione.
Interferenze:
Lavorando in un sistema chiuso non è possibile eliminare direttamente l’eccesso di HF, come nel metodo precedente.
Quindi si può procedere in due modi: (a) terminato l’attacco si apre la bomba e si elimina l’HF come nel metodo
precedente, (b) terminato l’attacco si tratta la soluzione ottenuta con H3BO3 che complessa l’HF e gli impedisce di
attaccare il vetro dei recipienti che utilizziamo. Questo trattamento si esegue in becher di plastica. Dato che questo
attacco è utilizzato per la determinazione del sodio e del potassio e che i loro due ioni sono sempre presenti nell’acqua
deionizzata, occorre lavorare con acqua bidistillata al fine di non inficiare la loro determinazione.
Reattivi occorrenti: Materiali occorrenti:
• Acido fluoridrico HF al 50 % circa; • Bomba per disgregatore;
• Acido nitrico concentrato al 60 % circa; • Disgregatore a microonde;
• Acido cloridrico concentrato al 36 % circa; • Becher di plastica;
• Acido borico solido;
• Acqua bidistillata;
Procedura manuale:
Si pesano circa 0,2÷0,4 g di campione nel liner di teflon della bomba, si aggiunge la miscela di acidi: 2 ml di HCl
concentrato, 4 ml di HNO3 concentrato, 4 ml di HF 50 % e 2 ml di acqua bidistillata. Si chiude la bomba con l’apposita
chiave dinamometrica e s’introduce nel disgregatore. La temperatura raggiunta durante il riscaldamento è funzione della
potenza d’emissione delle MW ma anche del numero di campioni contenuti nel carosello. Per un numero di campioni
69
diverso da quello previsto dalla metodica si deve procedere ad una modifica della stessa. S’imposta la rampa di
riscaldamento e si procede alla disgregazione. Terminato il ciclo, si estraggono le bombe e si fanno raffreddare, fino a
temperatura ambiente, all’aria o immergendole in acqua fredda. Si procede poi alla loro apertura sotto cappa, svitando
lentamente il tappo di tenuta, per evitare perdite di campione dovute a sfiati violenti. Si trasferisce il contenuto in un
becher di plastica lavando il tappo ed il liner con acqua bidistillata. Si aggiungono circa 2 grammi d’acido borico (0,5 g
ogni ml di HF) e si agita con ancoretta magnetica fino a completa dissoluzione. Si porta a volume con H2O bidistillata.
Programma di riscaldamento:
Matrice: materie prime ceramiche Programma
Metodo n°: Step Tempo Potenza T (°C)
N° contenitori: 6 1 5’ 250 w 180
Massa campione: circa 0,25 grammi 2 5’ 400 w 180
Miscela solvente: 4ml HNO3 + 2ml HCl + 4ml HF + 2ml H2O 3 5’ 550 w 210
Note: programma n° 4 4 5’ 250 w 180
5 5’ VENT
Note:
Se non si vuole utilizzare l’acido borico per complessare l’HF, lo si puo scacciare portando a secco e riprendendo con
acido solforico, come nel metodo tradizionale.
6.7.2. Silice
Procedura manuale:
Il filtro rimasto dopo la separazione della soluzione dei cloruri viene dapprima essiccato per circa 15 minuti in stufa a
110°C, per eliminare la maggior parte dell’acqua, quindi viene piegato e posto in un crogiolo di Pt, in precedenza
portato a peso costante. Il filtro, viene incenerito sulla fiamma del bunsen facendo attenzione a che non s’incendi,
quindi viene calcinato in muffola a 1050°C, fino a peso costante.
In genere, la percentuale di ossidi rimasti come impurità nella silice è molto bassa, perché i metalli vengono sciolti in
grandissima quantità da HCl e quindi vengono determinati sulla soluzione dei cloruri. Di questa percentuale di ossidi se
ne può comunque tener conto nella somma finale delle percentuali dei vari elementi, per far quadrare la somma al 100
%. Operando sotto cappa, si versa nel crogiolo freddo un po’ di miscela fluo-solforica, lo si scalda a bagnomaria, poi su
piccola fiamma fino ad evaporazione completa di HF, evitando però che il liquido vada in ebollizione. Si aumenta
quindi la temperatura, regolando la fiamma per volatilizzare l’H2SO4, quindi portare il crogiolo in muffola a
1050÷1100°C e pesare fino a peso costante. Dalla differenza di peso si risale alla percentuale di silice pura.
70
6.7.2.2. Metodo colorimetrico
Principi teorici:
Durante la preparazione della soluzione dei cloruri, la maggior parte dell’acido silicico (H4SiO4) viene trasformato in
SiO2 insolubile e determinato, come visto sopra, per via ponderale. Una piccola parte dell’acido silicico passa, tuttavia,
nella soluzione dei cloruri ed è rilevata colorimetricamente facendola reagire con una soluzione d’ammonio molibdato,
in ambiente mediamente acido, secondo il seguente probabile schema:
12 (NH4)2MoO4 + H4SiO4 + 24 HCl H4[SiMo12O40] + 24 NH4Cl + 12 H2O
L’acido complesso silicico - molibdico, che si può scrivere anche sotto forma di ossidi SiO2 12MoO3 2H2O, ha
un’intensa colorazione gialla, suscettibile di misurazione colorimetrica a λ = 380÷400 nm. Solitamente, peró, si usa
ridurre con un riducente adatto l’acido complesso, a blu di molibdeno, la cui composizione è incerta,; si ottiene appunto,
un composto colorato in blu, la cui intensità di colore viene misurata a λ = 650 nm.
Interferenze:
Fe e Ti danno interferenze, per cui occorre eliminarli sotto forma di complessi con la N-benzoil fenil idrossil ammina,
solubili in cloroformio. Anche i fosfati interferiscono in quanto producono medesime colorazioni, ma possono essere
resi innocui mediante addizione con ammonio citrato perché i fosfati vanno ad esterificare la funzione alcoolica
terziaria presente nell’acido citrico.
Reattivi occorrenti:
• Soluzione acquosa di ammonio citrato 10 %;
• Soluzione di ammonio molibdato (sciogliere 8 g di ammonio molibdato in acqua distillata, addizionare 9 ml di acido
solforico conc. e diluire a 100 ml);
• Soluzione acquosa di acido ossalico 5 %;
• Soluzione riducente (0,15 g di acido 1-ammino 2-naftolo 4-solfonico, 9 g di sodio metabisolfito anidro e 0.7 g di
sodio solfito anidro, sciolti in acqua e portati a 100 ml);
• Soluzione alcolica di N-benzoil fenil idrossil ammina 5 %;
• Cloroformio.
• Soluzione standard madre di Si4+ a circa ______ ppm (in base alla pesata effettiva) ottenuta sciogliendo
un’opportuna quantità di _________________Da questa preparare una soluzione figlia esattamente a ______ ppm.
Procedura manuale:
Ad ogni prelievo, compreso il bianco, si addizionano 5 ml di soluzione di Range curva di taratura
ammonio citrato e 2 ml di soluzione di ammonio molibdato; dopo 10 minuti
ppm ml Soluz.
s’aggiungono 1 ml di soluzione riducente e 5 ml di soluzione di acido ossalico. Si
Si4+ Figlia
porta a volume, si trasferisce ogni soluzione in recipienti di politene e s’esegue la
0.75 5
lettura del campione dopo 20 minuti a λ = 650 nm. Per il campione si preleva un
1.5 10
opportuno volume, in base alla sua concentrazione presunta, e si tratta come i
2.25 15
punti della retta di taratura. In presenza di Fe o Ti, si tratta il prelievo del
campione in imbuto separatore con 2 ml di soluzione di N-benzoil fenil idrossil 3.0 20
ammina e di 10 ml di cloroformio. Si agita e s’elimina lo strato inferiore di cloroformio. Si ripete l’aggiunta di 0,1
ml di reattivo e s’estrae di nuovo con 10 ml di cloroformio. S’esegue infine, un’ultima estrazione con solo 10 ml di
cloroformio. La soluzione rimasta nell’imbuto separatore, dopo l’eliminazione dello strato di cloroformio è
trasferita in pallone tarato da 100 ml ed addizionato della stessa quantità di reattivi usati per le soluzioni standard.
6.7.3. Alluminio
Vi sono vari metodi (gravimetrici, volumetrici e strumentali) per dosare l’alluminio: nessuno è veramente
soddisfacente. Viene proposto un metodo per ogni tipo di determinazione. Una valida alternativa è la determinazione in
assorbimento atomico che si può eseguire in fiamma N2O/C2H2 con range da 50 a 200 ppm, o con microforno di grafite
per il quale è però necessario lavorare su basse concentrazioni (decine di ppb).
71
Reattivi occorrenti:
• soluzione alcolica al 5 % di N-benzoil fenil idrossilammina; • cloroformio;
• soluzione di ditizone in CHCl3 (25 mg di ditizone in 100 ml di CHCl3); • alcool etilico
• soluzione di EDTA 0,01 N a f.c. noto; • soluzione tampone pH 4,5;
• soluzione di Zn 0,01 N a f.c. noto;
Procedura manuale:
Si preleva esattamente un’aliquota della soluzione dei cloruri, in base alla % presunta di Al2O3 e si trasferisce in imbuto
separatore. In esso vengono aggiunti 2 ml di soluzione alcolica di N-benzoil fenil idrossilammina e si esegue
l’estrazione a pH 1÷1,5 con 10 ml di cloroformio. Si operano, quindi, altre estrazioni per ulteriori aggiunte di reattivo e
di cloroformio, finché quest’ultimo non risulta incolore. Infine, s’esegue un’ultima estrazione utilizzando la soluzione
cloroformica di ditizone; questo per eliminare eventuali tracce di Cu o Zn presenti. Si trasferisce la fase acquosa
superiore in matraccio tarato da 50 ml, portando a volume con acqua distillata: si dispone cosí d’una soluzione esente da
Fe e Ti. La determinazione dell’alluminio si esegue su 10 ml di tale soluzione, ai quali si addizionano (con pipetta
tarata) 5 ml di EDTA 0,01 N e 5 ml di tampone a pH 4,5, riscaldando poi all’ebollizione per 2 minuti. Si raffredda
energicamente e, dopo aver aggiunto circa 0,2 ml di soluzione di ditizone come indicatore, si addiziona etanolo in
quantitá sufficienti da sciogliere il cloroformio presente. Si titola, infine, per ritorno con ZnO 0,01 N, fino a viraggio del
viola-verdastro al rosso netto stabile. Il risultato finale viene espresso come % di Al2O3.
6.7.4. Titanio
Principi teorici:
La determinazione del Ti si esegue colorimetricamente su un’aliquota della soluzione dei cloruri (proveniente dalla
fusione) oppure dalla soluzione dei solfati, sfruttando la colorazione gialla che il Ti4+ assume complessandosi con H2O2.
La lettura allo spettrofotometro viene effettuata a 410 - 420 nm.
Quando il Ti è presente in piccole quantità (0,5 mg/ml di TiO2), l’intensità del colore è proporzionale alla quantità
dell’elemento in esame. Alla specie colorata che si forma non è attribuibile una formula chiara: si pensa sia lo ione
perossidico [TiO2(SO4)2]2- o [Ti(H2O2)]4+. La soluzione di H2O2 deve essere al 3 % (10 volumi) e le soluzioni finali
devono contenere H2SO4 o HCl in modo da prevenire l’idrolisi a solfato basico e la precipitazione dell’acido
metatitanico. Se il ferro è presente in apprezzabili quantità nella soluzione da analizzare, occorre complessarlo con
H3PO4. L’intensità della colorazione aumenta leggermente con l’aumentare della temperatura, per questo motivo gli
standard ed il campione devono possibilmente avere la stessa temperatura (20÷25°C). La retta è lineare da 1,5 a 30 ppm
di Ti4+.
Interferenze:
Il titanio tende ad idrolizzare in ambiente basico o neutro e a precipitare come acido metatitanico, per questo motivo le
soluzioni finali devono contenere H2SO4 in modo da prevenire tale inconveniente. Per acidificare l’ambiente si può
utilizzare indifferentemente anche HCl.
Se il Fe è presente in apprezzabili quantità nella soluzione da analizzare, occorre addizionare H3PO4 per complessarlo.
In tal caso, ovviamente, la stessa quantità d’acido aggiunta deve essere addizionata anche alle soluzioni standard.
Reattivi occorrenti:
• Acido ortofosforico diluito: H3PO4 in miscela 1:1;
• Acido solforico diluito 1:1 o acido cloridrico concentrato;
72
• Acqua ossigenata: H2O2 al 3 % (10 volumi);
• Soluzione standard madre di Ti4+ a circa _____ ppm (in base alla pesata effettiva) ottenuta sciogliendo un’opportuna
quantità di TiO2 in ___ ml di H2SO4 concentrato caldo miscelato a ___ grammi di (NH4)2SO4 senza l’aggiunta di
acqua. (La corretta proporzione tra reattivi corrisponde a 20 ml di H2SO4 e 8 g di (NH4)2SO4 ogni 0,5 g di TiO2).
Una volta ottenuta una soluzione limpida si diluisce cautamente con acqua e si travasa in matraccio tarato. In
alternativa si può sciogliere del Ti metallico in H2SO4 diluito 1:1. Da questa si prepara una soluzione figlia
esattamente a _____ ppm di Ti4+.
Procedura manuale:
Si preleva un opportuno volume della soluzione del campione, in base alla % Range curva di taratura
presunta di TiO2, e si tratta direttamente in pallone tarato da 100 ml con: 5 ml di ppm ml Soluz.
H3PO4 1:1, 5 ml di H2SO4 1:1 (o in alternativa 1 ml di HCl conc.), 10 ml di H2O2 Ti4+ Figlia
al 3 %. Si porta a volume con acqua distillata e si legge allo spettrofotometro 5 5
dopo 60 minuti a 410 nm. La curva di taratura si prepara con soluzioni standard 10 10
la cui concentrazione è riportata in tabella, ottenute prelevando opportuni volumi 15 15
della soluzione figlia di Ti4+ a ___ ppm. Ad ognuno ed al bianco si aggiungono 20 20
gli stessi reattivi utilizzati per il campione.
6.7.5. Ferro
Il ferro si può determinare colorimetricamente in diversi modi: con tiocianato, con o-
fenantrolina, con α-α‘ dipiridile. Le metodiche analitiche sono le stesse riportate sulla
dispensa di laboratorio di quarta e per questo motivo non le riportiamo qui in maniera estesa.
N N
In alternativa si può utilizzare anche l’assorbimento atomico in fiamma aria/acetilene. Si
ricorda però che tali metodi colorimetrici si intendono per campioni , ’ dipiridile
contenenti meno dell'1% di FeO; nel caso in cui sia presente una quantità maggiore si può
procedere con una titolazione diretta (ad esempio con permanganato), su una aliquota della
soluzione acida. Qui a fianco sono riportati i reattivi che si usano per complessare il ferro nei
due metodi colorimetrici utilizzabili.
N
N
ortofenantrolina
Interferenze:
Fe, Al e Ti interferiscono, in quanto vengono anch’essi titolati dall’EDTA in presenza di N.E.T. ed è quindi necessario
eliminarli dall’ambiente di reazione facendoli precipitare con 8-idrossichinolina in ambiente tamponato a pH 4,5. Il
precipitato che si è formato si separa sciogliendolo in cloroformio, che è insolubile in soluzione acquosa. Il Mg non dà
legami con l’idrossichinolina, perché la seguente reazione avviene solamente a pH = 12.5:
2 + Mg2+ + 2 H+
N
N O
OH
Mg 2
73
Reattivi occorrenti:
• Soluzione tampone pH 4,5 (34 g d’ammonio acetato + 30 g di acido acetico glaciale + acqua dist. fino a 500 ml);
• Soluzione tampone pH 10 (versare 175 ml di ammoniaca concentrata in un pallone tarato da 500 ml e diluire con circa
100 ml di acqua distillata. A parte, sciogliere 27 g di NH4Cl con 100 ml di H2O. Versare quindi quest’ultima
soluzione nel pallone da 500 ml, poi portare a volume con acqua distillata);
• Soluzione di 8-ossichinolina (10 g in 50 ml di acetone);
• Soluzione di Mg 0,01 M, a f.c. noto; • EDTA 0,01 M a f.c. noto;
• Indicatore nero eriocromo T, in polvere; • Acido Calconcarbonico (o calcone);
• Soluzione di KOH circa 8 M; • Cloroformio;
Trattamento preliminare:
Un’aliquota della soluzione dei cloruri, in base alle concentrazioni presunte, viene trasferita in imbuto separatore,
aggiungendovi poi 2 ml di soluzione di 8-ossichinolina, quindi si porta il tutto a pH 4,5 con la soluzione tampone
(almeno 15 ml). Si estrae ripetutamente con 10 ml cloroformio, finché le due fasi non si presentano incolori (la
colorazione è chiaramente dovuta ai sali degli elementi interferenti). La soluzione acquosa contenuta nell’imbuto
separatore, esente da Fe, Ti e Al, viene trasferita in palloncino tarato da 100 ml e si porta a volume.
6.7.8. Zirconio
La quasi totalità dei composti di Zr è insolubile e, a seguito della fusione con carbonati alcalini e successiva
disgregazione cloridrica, rimane assieme alla silice come ZrO2 o ZrSiO4. Fortunatamente lo zirconio è difficilmente
presente nelle materie prime naturali e comunque in piccole quantità; più facile è trovarne quantità cospicue in
semilavorati come le fritte. Se lo si vuole dosare, dopo il trattamento della silice impura con HF, il residuo contenente
anche piccole quantità di ossidi di Al, Fe e Ti, viene fuso con pirosolfato (Na2S2O7) in crogiolo di platino, sciolto ed
unito alla soluzione dei cloruri. Qualora si fosse già provveduto a portare questa a volume, si potrà analizzare a parte
questa soluzione e sommare i risultati.
74
6.7.8.1. Metodo gravimetrico
Il metodo gravimetrico che si effettua più comunemente per lo Zr è quello che porta alla precipitazione dello stesso
come fosfato. La procedura prevede la disgregazione del campione con pirosolfato sodico e successiva dissoluzione
della loppa con acqua e HCl concentrato. La soluzione, od una sua aliquota, viene trattata con acido solforico e
idrogeno perossido (acqua ossigenata, al fine di complessare il Ti che coprecipita e disturba il risultato finale). Il
reattivo precipitante è ammonio fosfato. Dopo congruo periodo di digestione il precipitato viene filtrato, ed il filtro
viene bruciato, calcinato e pesato in crogiolo portato precedentemente a peso costante. La calcinazione del precipitato (a
1000-1100°C) porta alla formazione di zirconio pirofosfato ZrP2O7).
6.8. Umidità
Questo parametro indica il contenuto d’acqua libera presente nel campione. Data la loro particolare struttura
mineralogica, le argille sono in grado di assorbire ingenti quantità d’acqua e per questo motivo è indispensabile
conoscere sempre l’umidità delle materie prime ceramiche. Si può determinare in vari modi:
Metodo classico: 1÷10 g di campione vengono pesati poi fatti asciugare all’aria, poi inseriti entro una capsula di
porcellana (o di platino), preventivamente portata a massa costante a 105°-110°C. Il tutto viene portato a 105°-110°C
per circa due ore, trasferito in un essiccatore per il raffreddamento e, dopo circa 30’, si fa la pesata. La perdita di peso
diviso il peso del materiale umido moltiplicata per 100 esprime il valore di umidità percentuale del campione.
Termobilancia: si utilizza una bilancia (solitamente a sensibilità 0,01 g) che ha il piattello di pesata inserito in un
fornetto riscaldante la cui temperatura può essere impostata. Si pesano sul piattello 10 g di argilla umida e si accende il
riscaldamento a circa 110°C. sul display si legge direttamente il calo di peso del campione e si interrompe il
riscaldamento quando la temperatura non varia più. Normalmente queste bilance sono già dotate di una scala che in
base al calo di peso fornisce direttamente il % di umidità
Metodo speedy (o monometrico): si sfrutta la reazione tra l’acqua e il carburo di calcio che produce acetilene gassosa.
CaC2(s) + H2O(l) C2H2(g) + CaO(s)
Questa reazione si fa avvenire in un contenitore sigillato dotato di manometro già tarato in umidità % e fornisce un
risultato certamente approssimato ma può essere applicato direttamente in cava e in maniera molto rapida..
6.10. Calcare
Viene valutata la quantità di carbonati presenti nella materia prima argillosa , misurando il volume di CO2 liberata dal
campione (previamente essiccato a 105°C) mettendolo a contatto con HCl diluito 1:2.
CaCO3 + 2 HCl CO2 + CaCl2 + H2O
75
Dal volume di CO2 si risale alla % di carbonato presente come CaCO3. Si usa il
calcimetro (apparecchio gasvolumetrico di cui in commercio si trovano diversi modelli,
quello qui spiegato è il DIETRICH-FRÜLING), costituito da una beuta [C] contenente
l'
argilla seccata e pesata (0.2÷2 g) e l’acido diluito in una provetta; il vaso è collegato con
un tubo graduato [S] pieno di liquido colorato (in genere si usa acqua deionizzata colorata
con blu di metilene). Questo tubo è collegato dal basso con un tubo ad un vaso aperto
[A], parimenti riempito di liquido colorato, il quale può essere spostato verticalmente.
Quando tutto è collegato ed il liquido è posto in concomitanza dello zero nella scala del
tubo graduato, la beuta, contenente il terreno e la provetta, viene agitata in modo che,
dalla provetta, possa fuoriuscire l’acido e porsi a contatto con il campione. Il gas
sviluppato spingerà il liquido colorato dal tubo graduato a quello non graduato e
spostando quest’ultimo verticalmente si farà in modo da ripristinare lo stesso livello nei
due tubi. Questa operazione viene effettuata al fine di eguagliare la pressione interna
dello strumento con quella esterna. Alla fine della prova vengono letti i ml di CO2 svolti
sul tubo graduato ed i dati di T e P ambientali.
Se V è il volume di CO2 svolto durante l’analisi, il numero di moli di CO2 è dato da:
P1 ⋅ V
n=
R ⋅ T1
dove T1 è la temperatura assoluta in Kelvin alla quale si effettua l’analisi e P1 è la pressione atmosferica sottratta della
tensione di vapore dell’acqua alla temperatura T1. Il valore finale di CO2 presente viene espresso come % di CaCO3.
È da tener presente che questo tipo d’analisi funziona solo se nel campione v’è calcite pura (CaCO3), mentre se sono
presenti tracce di Mg l’attacco dell’acido è più difficile, essendo la dolomite [CaMg(CO3)2] meno reattiva in presenza di
HCl diluito.
76
P2 − P1
Wa % = • 100
P1
6.14. Plasticità
La plasticità di una argilla può essere constatata direttamente osservando la irreversibilità di una deformazione su un
impasto acquoso. Può essere misurata come un limite (in sostanza, la % di acqua massima e/o minima con la quale un
corpo argilloso può essere definito plastico) oppure con un indice derivato dalla misurazione della sopportabilità di un
corpo argilloso ad uno sforzo a diversi contenuti di acqua.
Esistono diversi modi di misurare la plasticità. Uno dei più usati in ceramica è la misurazione dell’indice di plasticità
con l’apparecchio di Pfefferkorn. Esso consiste di un piano di battuta sul quale vengono messi diversi cilindretti di
argilla plasmati con quantità differenti di acqua e di dimensioni standard. Vengono stabilite le deformazioni lineari
dovute alla caduta su di ognuno di loro di un peso standard da un’altezza costante di alcuni cm. Si ottengono delle rette
decrescenti in funzione del contenuto di acqua crescente,la cui inclinazione dipende dalla plasticità dell’argilla stessa:
una maggiore inclinazione è indice di una minore plasticità (o meglio, di un minor intervallo plastico).
6.15. Densità
Questo parametro si determina su barbottine preparate con materie prime, fritte o su paste serigrafiche. Viene misurata
pesando un recipiente a volume noto (V) e si esprime in grammi su litro. Si usano di solito picnometri in acciaio di
capacità di 100 ml. Si pesa vuoto (P1) poi lo si riempie con la barbottina fino a tracimazione, per evitare la presenza di
aria all’interno, e lo si ripesa (P2). La densità si calcola con la formula:
P2 − P1
D =
V
6.17. Residuo
In genere consiste nel determinare il grado di finezza granulometrica che si verifica al termine di una macinazione.
L’analisi si effettua prelevando un volume od un peso noto del campione e pesando la frazione che rimane su un
setaccio di luce adeguata (ad esempio 63 o 200 µm).
In alternativa si potrebbe determinare la curva granulometrica misurando la distribuzione ponderale del solido in setacci
di luce decrescente. Nonostante questo metodo richieda un’analisi più complessa è viceversa in grado di dare
indicazioni più approfondite sul processo di macinazione.
77
6.19. Il laboratorio ricerca e sviluppo
Si tratta di riprodurre in laboratorio il ciclo ceramico, con le necessarie approssimazioni, per arrivare a preparare provini
il più possibile simili a quelli reali. In questo modo si possono eseguire ricerche ed ottimizzazioni riguardanti il
supporto e/o lo smalto e ricavare informazioni sia sulle materie prime da utilizzare che sulle variabili operative del
processo industriale.
Nella tabella 5.1 sono riportate le fasi principali dei cicli tecnologici per la produzione di piastrelle ceramiche, che
dovremo riprodurre in laboratorio.
Data la grande varietà di esperimenti che si possono compiere in questo laboratorio prenderemo in considerazione solo
il caso più semplice, ovvero la produzione di provini non smaltati.
In particolare qui di seguito tratteremo il problema della formulazione dell’impasto, dato che questo ha un ruolo
importantissimo nelle successive operazioni. Per quanto riguarda l’influenza delle singole operazioni tecnologiche
(macinazione, atomizzazione, formatura, essiccamento e cottura) sul prodotto finale, sono già state trattate nei loro
capitoli specifici.
Per quanto riguarda gli aspetti pratici rimandiamo la trattazione al capitolo 19, contenente le schede di laboratorio.
78
prove:
• Provino con un componente singolo: si utilizza quando si vuole studiare il comportamento tecnologico di una
materia prima per classificarla oppure per sostituirla in un impasto già preparato;
• Provino con miscela di più componenti: permette di formulare impasti nuovi, individuare i comportamenti
tecnologici o provare sostituzioni di una materia prima con un' altra.
Nel secondo caso si possono formulare impasti cercando di bilanciare gli effetti dei singoli costituenti secondo quanto
già visto.
In ogni caso, lavorando con prodotti naturali estratti in cave anche a cielo aperto, in grado di assorbire notevoli quantità
d’acqua, per non introdurre errori nella formulazione dell’impasto, si fa sempre riferimento alla % dei componenti
secchi. Per questo o si seccano completamente le materie prime in stufa prima di dosarle (procedura che si segue nelle
prove di laboratorio) oppure si determina l’umidità di ogni singola materia prima e si calcola la quantità di materia
secca introdotta.
In entrambi i casi, una volta individuate le materie prime da utilizzare si devono calcolare le pesate da eseguire in base
alle loro percentuali ed alla carica totale della giara. Se si vogliono produrre almeno sei provini la carica totale della
giara deve essere di circa 300 grammi di sostanza secca. Dalla massa di sostanza secca totale e dalla % di ogni materia
prima si calcola prima la massa di sostanza secca da pesare e poi, in base all’umidità effettiva, la massa di sostanza
umida. I dati vanno raccolti nella tabella seguente.
% Carica giara
Proprietà Materie prime Umidità %
nell’impasto 300 ml 1000 ml
Plastico
Fondente
Inerte
Colorante
79
La temperatura ottimale di cottura risulta AA% Ritiro%
quindi quella corrispondente ai due tratti
orizzontali delle due curve (zona
tratteggiata del grafico) perché è quella
che altre a fornire il minimo di AA%
(prodotto con massima sinterizzazione),
ha un valore di ritiro circa costante. Se il
ritiro è costante, non risente delle piccole
oscillazioni della temperatura di cottura
dovute al funzionamento del forno ed
avremo di conseguenza pezzi con lo
stesso “calibro”, ovvero più facili da
posare. Temperatura di cottura
80
riproducibili industrialmente dati ottenuti con acqua deionizzata. Per migliorare la loro efficacia si usano come corpi
macinanti biglie di diametro diverso, in proporzione una grande ogni due piccole. Per un funzionamento ottimale, il
volume complessivo della carica non deve mai superare i 6/10 del volume della giara. Infine si completa la carica
aggiungendo, in particolare per i materiali argillosi, lo 0,3 % di sospensivante (o deflocculante) che può essere
tripolifosfato di sodio oppure silicato + carbonato di sodio, calcolato sul peso totale del solido secco. Se si deve
macinare un feldspato o una materia non plastica, il sospensivante può non essere necessario. Il tempo di macinazione è
variabile in funzione della materia prima e della sua pezzatura media. Per ottenere risultati riproducibili sarebbe
importante lavorare con tempi di macinazione standardizzati, anche perché questi influenzano la granulometria della
barbottina (sospensione di solidi ceramici in acqua) e questa è un parametro tecnologico molto importante all’interno
del ciclo ceramico.
♦ Giara da 300 ml: 120 g di materiale secco, 80 g d' acqua (d'acquedotto), 200 g circa di biglie macinanti (12 grandi
[∅ 10 mm] e 24 piccole [∅ 3-5 mm]), 0.6 g di sospensivante o deflocculante;
♦ Giara da 1000 ml: 390 g di materiale secco, 260 g d' acqua (d' acquedotto), 400 g circa di biglie macinanti (24
grandi [∅ 10 mm] e 48 piccole [∅ 3-5 mm]), 1.6 g di sospensivante o deflocculante;
Le giare, così preparate, vengono delicatamente agitate con moto rotatorio a mano, poi collocate nell’apposito
alloggiamento del mulino, serrate energicamente. Il tempo di macinazione-tipo può essere considerato di 10 minuti per
un materiale argilloso e di 15-20 minuti per un materiale “duro”.
6.19.8. Reidratazione
Il materiale essiccato che si presenta sotto forma di crostoni e frammenti di varia dimensione, deve essere macinato in
mortaio e passato al setaccio (0,250÷0,500 mm), aiutando il passaggio dei frammenti più minuti con un pennello.
Disponendo di un mulino a martelli da laboratorio l’operazione risulta più veloce perché basta ridurre il secco in
mortaio fino a grana “riso” (dimensioni di chicchi di riso) e poi introdurlo nel mulino a martelli. In questo caso
particolare attenzione va data alla pulizia del mulino per evitare contaminazioni con altri impasti.
La riumidificazione va effettuata al fine di conferire al materiale una certa plasticità, responsabile della coesione del
provino dopo pressatura. Tuttavia, mentre per le argille è sufficiente bagnarle con il 5÷6 % di acqua, i materiali non
plastici (feldspati e sabbie) hanno bisogno di un collante vero e proprio (ad esempio Vinavil® diluito, amido o altre
colle organiche, che durante la cottura vengono bruciate). La riumidificazione è un processo relativamente semplice, ma
che nasconde l’insidia della formazione di grumi, che rendono il preparato disomogeneo e quindi di difficile pressatura.
Per una omogenea miscelazione dell’acqua nel materiale da pressare si può agire in due modi:
(a) inserendo la polvere secca setacciata in un sacchetto di plastica, aggiungendo, poi, a poco a poco l’acqua necessaria
con un nebulizzatore e, di volta in volta, mescolando bene con le mani, dall’esterno, (scuotendo cioè il sacchetto); è
buona norma, in questa procedura, avere pazienza e, talvolta , togliere l’aria dal sacchetto (in modo che l’argilla possa
letteralmente “succhiare” l’acqua presente).
(b) Inserendo solido ed acqua in un frullatore, non esagerando però con la miscelazione per non surriscaldare il
materiale e non perdere l’acqua per surriscaldamento.
Se è elevata la percentuale dei minerali argillosi presenti e quindi il potere adsorbente del materiale, bisognerebbe
attendere un periodo di tempo di 12 ore per la maturazione, in modo da consentire a tutta l’acqua di penetrare nei
reticoli di interstrato, laddove esplica meglio la capacità aggregante e plastificante, necessaria a tenere insieme le
81
particelle dopo la pressatura.
6.19.9. Pressatura
La pressatura del materiale macinato e reidratato consente di foggiare il materiale in una forma voluta. In questo caso
vengono inseriti circa 25-40 g di materiale nella sede dello stampo, in funzione dell’altezza del provino che si vuole
ottenere. Lo spessore del provino è programmabile in maniera indiretta, tramite lo spessore del soffice (il materiale non
pressato) ed il rapporto è di circa 3:1 tra soffice e pressato. Se si vuole quindi produrre un provino di spessore 7÷8 mm,
si devono caricare 21÷22 mm di polvere. Dato che il materiale si presenta composto da granuli di dimensioni
estremamente fini, vi è una certa difficoltà ad espellere l’aria presente al suo interno. Perciò la pressatura va fatta in più
stadi, inizialmente in maniera moderata pressando a circa 30-40 bar, poi, dopo aver risollevato il punzone pressatore,
aumentando negli stadi successivi fino a raggiungere la pressione desiderata. Questa procedura è molto importante al
fine di evitare il verificarsi del difetto di laminazione, denominato “scatolone”, dovuto alla presenza di bolle d’aria
all’interno del provino pressato che una volta estratto dallo stampo tende a sfaldarsi sulla faccia opposta al punzone. La
pressione di pressatura è funzione del prodotto che si vuole ottenere e rappresenta una variabile molto importante
all’interno del ciclo ceramico, indicativamente si aggira intorno a 130 bar per le argille e 180 bar per i feldspati.
Attenzione particolare va tenuta per la pulizia dello stampo e del punzone: dopo la pressatura possono verificarsi delle
cementificazioni di materiale soprattutto sui bordi che possono inficiare la forma e la tenuta del provino stesso. Dopo la
pressatura il provino può essere manipolato facilmente e si possono eseguire le prime misurazioni di peso e dimensioni
(spessore e diametro) che serviranno per determinare i ritiri. Successivamente si deve essiccare il provino in stufa a 110
°C per fargli perdere la maggior parte d' acqua ed evitare che scoppi una volta introdotto nel forno. Dopo essiccamento
si rieseguono le misurazioni per determinare un primo ritiro da “verde” a secco. In questo caso non è possibile utilizzare
il forno a microonde perché il provino può scoppiare facilmente.
6.19.11. Cottura
La cottura dei prodotti ceramici avviene usualmente in forni riscaldati tramite bruciatori a metano che rendono
l'
atmosfera al suo interno ossidante. Nella cottura dei provini di laboratorio viceversa si utilizzano forni elettrici che
producono al loro interno delle atmosfere riducenti, a causa dello scarso ricambio d' aria. Questo può influire
sull'andamento delle reazioni d' ossidoriduzione che avvengono durante la cottura e causare discrepanze con i risultati
ottenibili in un forno industriale. In generale, per la cottura di provini di laboratorio si utilizzano due tipi di forni
elettrici: muffole o forni a gradiente. La differenza fondamentale sta nella possibilità di cuocere, con il forno a
gradiente, sei provini contemporaneamente a sei temperature massime diverse, quindi poter acquisire in una volta sola i
dati per realizzare il grafico T vs ritiro e porosità. In entrambi i tipi di forno è possibile impostare una curva di
82
riscaldamento nella quale variare la velocità di riscaldamento in funzione delle trasformazioni che devono avvenire. In
generale, per cercare di riprodurre i cicli industriali, la fase di riscaldamento fino alla massima temperatura deve durare
circa 30-40 minuti, prestando attenzione a non impostare velocità di riscaldamento superiori ai 40°C/minuto per
preservare le resistenze del forno. Una delle fasi più critiche della cottura è rappresentata dal raffreddamento che può
essere veloce fino a 600-630 °C, poi più lento fino ai 350 °C per superare gradualmente il punto di trasformazione del
quarzo dalla forma β a quella α senza causare rotture. Normalmente nei forni da laboratorio il raffreddamento avviene
per inerzia (quindi molto lentamente) e per non rompere i pezzi è sufficiente aspettare che questi raggiungano i 300 °C
prima di estrarli. Una possibile curva di cottura può essere la seguente: da T ambiente a 850°C in 25 minuti, poi a
950°C in 5 minuti, infine a 1200°C in 8 minuti con permanenza di 5 minuti. Campo di temperature studiate da 1140 a
1200 °C.
83
6.19.14. Dati finali
84
7. I Fertilizzanti
7.0. Scheda raccolta dati sperimentali
Matrice:
Analita % Presunta Pesata da eseguire
Nammon.
Nnitrico
Norganico
Analita % Presunta Pesata da eseguire Pallone Conc. presunta nel pallone
P2O5idro
P2O5citro
K2O
Determinazioni volumetriche
1° titolazione 2° titolazione 3° titolazione %
Titolante trovata
Analita pesata volume pesata volume pesata volume
NNH3
NNO3
Norg
Determinazioni strumentali (allegare i calcoli per madre e figlia e grafico retta)
Analita Range retta Diluizione eseguita: prelievo pallone (conc. presunta)
P2O5idro
P2O5citro
K2O
Si definisce fertilizzante qualsiasi materiale, organico od inorganico naturale o di sintesi, che, in virtù del suo contenuto
in elementi nutritivi o delle sue caratteristiche chimiche fisiche e biologiche è in grado di aumentare la fertilità,
contribuendo al sostentamento delle culture o migliorando le proprietà chimico-fisiche o fisico-meccaniche di un
terreno.
Esistono definizioni più specifiche, atte a definire un fertilizzante in virtù della sua azione sul terreno cui viene
somministrato. Una stessa matrice però, può assolvere molteplici funzioni rientrando quindi all' interno di più classi. La
divisione dei fertilizzanti in sottoclassi prevede pertanto:
Ammendanti: materiali capaci di migliorare le proprietà chimico-fisiche di un terreno ( ad es. porosità e permeabilità ).
Gli ammendanti risultano efficaci solo se applicati in quantità elevate. A questa categoria appartengono tutte le matrici
organiche di origine biologica (tanto vegetale quanto animale).
Condizionatori: composti organici o di inorganici capaci di flocculare i colloidi argillosi migliorando lo stato di
aggregazione dei componenti della fase solida del suolo. Si migliorano le proprietà fisiche del suolo quali porosità e
permeabilità nei confronti dell'
acqua, ottimizzando quindi l'
andamento dei processi all' interfaccia tra le fasi solida e
liquida.
Correttivi: materiali utilizzati per regolare le proprietà chimico-fisiche di un suolo, quali l'
acidità,l'
alcalinità e la salinità.
Rientrano tra i correttivi sostanze come CaCO3, MgCO3, CaO, e MgO.
Concimi: materiali che contengono almeno uno degli elementi nutritivi principali in forma assimilabile per le piante ed
in quantità nota. I concimi possono essere di origine naturale o essere frutto di processi di sintesi, e si distinguono in
organici, minerali ed organo-minerali a seconda della natura dei loro costituenti. Determinante, sia sotto il profilo della
correttezza merceologica che per effettiva resa sul campo è il titolo attribuito il concime, che rappresenta la percentuale
85
in peso dei tre elementi nutritivi principali riferita al fertilizzante tal quale ed espressa come N, P2O5 e K2O.
I concimi minerali vengono definiti semplici quando sono costituiti singolarmente da composti di azoto, fosforo o
potassio, quando costituiti da più elementi sono detti composti.
I concimi organici possono essere azotati e azoto-fosfatici. Esistono anche concimi organo-minerali.
Oggi si riconosce che gli elementi chimici necessari ad una crescita vegetale normale sono i seguenti:
• macronutritivi (C, H, O ottenibili da aria e acqua);
• principali (N, P, K);
• secondari o mesoelementi (Ca, Mg, S e Na);
• oligo o microelementi (B, Co, Cu, Fe, Mn, Mo, Zn).
Oltre a questi ne esistono altri, quali Si e Cl, che hanno dimostrato di essere utili per aumentare le rese o migliorare il
valore dei prodotti.
86
esamineremo nel dettaglio solo il metodo che sfrutta l'
Assorbimento Atomico con il metodo delle aggiunte standard.
87
Possono essere usati parecchi riducenti in varie condizioni; la riduzione deve avvenire con soluzioni aventi una
acidità finale 1 N in acido solforico o perclorico e devono essere mantenute a circa 100oC per 10 minuti. Il sistema che
si forma segue la Legge Lambert Beer a 650-830 nm, l' intervallo di concentrazione più indicato è tra 0,1 e 1,2 ppm di
fosforo. Le reazioni sono le stesse del metodo usato per gli acciai (par. 4.6.2).
I seguenti ioni non interferiscono: Al3+, NH4+, Cd2+, Cr3+, Cu2+, Co2+, Ca2+, Fe2+, Mg2+, Mn2+, Ni2/4+, Zn2+, Cl-, Br-,
CH3COO-, citrato, silicato, fluoruro, vanadato e borato.
Devono essere assenti: Sn2+, NO3-, arsenati; Il ferro ferrico non deve superare la concentrazione di 200 ppm.
Solamente 10 ppm di tugstati possono essere tollerati. Il Pb2+, Bi3+, bario, Sb3+ interferiscono, poiché in presenza di
acido solforico si formano precipitati o intorbidamenti.
Analisi dei campioni: Se si deve determinare la frazione assimilabile (cioè sia citrosolubile che idrosolubile), si
prelevano uguali volumi di estratto acquoso e di estratto citrico (in base alla % presunta di P2O5), si riuniscono e si
portano a volume con acqua in un matraccio da 250 ml. Se interessa determinare la sola P2O5 acquosa o citrica si
prelevano soltanto un volume ml di estratto corrispondente(sempre in base alla percentuale presunta). Dopo
omogeneizzazione si prelevano 10 ml di soluzione e s’introducono in una beuta da 250 ml, procedendo alle aggiunte di
acqua, soluzione molibdica e soluzione riducente e al riscaldamento esattamente come visto nella preparazione della
curva di taratura. Si effettua quindi la lettura al colorimetro, utilizzando sempre per l’azzeramento la soluzione
preparata in precedenza. Dai valori di assorbanza letti si ricavano i grammi di P2O5 presenti nel campione che si
esprimono, tenendo conto della pesata di fertilizzante, in % di P2O5 sul campione iniziale.
88
Procedura: pesare un’aliquota di concime (in base alla percentuale presunta), ed introdurla nel provettone da
distillazione. Si collega poi il pallone all’apparecchiatura e si distilla in presenza di NaOH con le modalità indicate in
precedenza. Se a causa dell’elevata percentuale di azoto ammoniacale, la pesata iniziale risultasse troppo bassa, si può
procedere all’estrazione su un quantitativo più grande di sostanza, portando a volume l’estratto in un pallone tarato da
250 ml e prelevando da questo un’aliquota da introdurre nel pallone da distillazione. Dal risultato della titolazione si
risale al solo azoto ammoniacale.
89
idrolisi. Si può partire dall' estratto acquoso utilizzato per la determinazione della P2O5 idrosolubile, eventualmente
diluito in base alla percentuale di K2O, oppure solubilizzando una nuova aliquota di campione.
In questo caso 0,3 grammi circa (pesati in modo esatto) di fertilizzante polverizzato e omogeneizzato, vengono
spappolati in mortaio con poca acqua (20-30 ml). Si lascia depositare per alcuni minuti e poi si decanta in pallone da
250 ml. Si ripete l' operazione di estrazione con acqua per altre 3-4 volte (sempre sul solido che rimane nel mortaio),
regolando il procedimento in modo che la digestione duri qualche minuto e la decantazione si faccia sul filtro vuoto.
Infine si travasa il tutto nel matraccio aggiungendo, se eventualmente la soluzione non risulta limpida, alcuni ml di HCl
prima di portare a volume.
Procedura: Si prelevano dalla soluzione acquosa del fertilizzante aliquote di 5 ml (o un volume diverso a seconda della
percentuale di K2O nel campione) e si introducono in 4 palloncini tarati da 100 ml. Il volume prelevato deve contenere
circa 0,1 mg di K, in modo da essere in linea con il valore delle aggiunte. A 3 di questi aggiungiamo rispettivamente 10
- 20 - 30 ml di soluzione standard di K a 10 ppm. In ogni palloncino si aggiungono inoltre 10 ml di soluzione di
soppressore di ionizzazione e si porta a volume. Si prepara inoltre un palloncino con solo il soppressore di ionizzazione,
da utilizzare come bianco. Si leggono ora all’A.A. seguendo il metodo delle aggiunte e dal grafico si ricava la
concentrazione di K presente nel nostro campione. Il risultato, tenendo conto del peso iniziale e delle diluizioni, si
esprime in % di K2O.
Palloni
Reattivo
Bianco Aggiunta 0 Aggiunta 1 Aggiunta 2 Aggiunta 3
Campione incognito (ml) 0 A(*) A(*) A(*) A(*)
Standard K ( a 10 ppm) (ml) 0 0 10 20 30
Soppressore di ioniz. CsCl (ml) 10 10 10 10 10
A(*) quantità variabile a seconda della concentrazione di K2O del campione, che deve contenere circa 0,1 mg di K.
90
8. Analisi dei grassi alimentari
8.0. Scheda raccolta dati sperimentali
Parametro Da eseguire Valore
Densità
Punto di fusione
Indice di rifrazione
Grado di acidità
Numero di acidità
Numero di saponificazione
Numero di Iodio
Numero di perossidi
Numero di esteri
Saggio di Kreiss
Spettrofotometria UV ( K)
Insaponificabile
Gascromatografia Esteri Metilici
Gascromatografia degli steroli
Per quanto riguarda la composizione, la struttura e l’introduzione all’analisi delle sostanze grasse si rimanda al libro di
testo (Analisi Chimica Strumentale e Tecnica, Amandola Terreni, pagine 616 e seguenti) e in alternativa al paragrafo
8.5 alla fine di questo capitolo; vogliamo qui trattare solo alcuni aspetti pratici di questo tipo di analisi e riportare i
parametri strumentali da impostare in alcune analisi particolari.
91
8.1. Aspetti generali
Sui grassi vengono eseguite svariate analisi chimiche, la maggior parte delle quali porta alla determinazione di
parametri aspecifici, mentre solo in alcuni casi si determinano parametri specifici (vedi analisi degli esteri metilici e
degli steroli). Questo è probabilmente dovuto alla complessità della matrice ed alla difficoltà a determinare una singola
specie chimica miscelata ad altre molto simili. Un aiuto in tal senso ci viene dalle tecniche cromatografiche che
consentono di eseguire un analisi quali-quantitativa di miscele complesse e con componenti molto simili tra loro.
Per quanto riguarda i parametri aspecifici, dato che il loro valore dipende dalla quantità di diverse specie chimiche,
hanno un contenuto informativo relativamente basso e nella loro determinazione si possono accettare anche elevati
margini di incertezza. Anche per questo motivo si devono determinare un gran numero di parametri aspecifici per avere
un quadro chiaro del campione in esame.
Nell’analisi dei grassi particolare attenzione deve essere data alla loro manipolazione: per il prelievo dei campioni
liquidi (oli) è fortemente sconsigliato l’uso di pipette tarate a causa della loro elevata viscosità che impedisce una
corretta misura del prelievo. Risulta più comodo pesare il campione su bilancia tecnica direttamente nel becher nel
quale si esegue la determinazione o in un piccolo contenitore (sotto tappo in plastica) che verrà introdotto nel becher o
nella beuta. Per questo motivo molti parametri sono riferiti all’unità di massa di campione e non al volume di campione
analizzato. Nel caso si debbano rapportare i risultati all’unità di volume si può procedere alla determinazione della
densità dell’olio e poi con questa passare dal peso di campione al suo volume.
Di seguito riportiamo un elenco dei parametri più comuni determinati sui grassi alimentari:
92
deve avere una bassa acidità (inferiore al 4% come ac. oleico). Sotto questo punto di vista gli oli vergini erano suddivisi
ulteriormente in varie categorie (oli extravergini, sopraffini vergini, fini vergini e vergini) in base all' acidità. Questa
classificazione è superata; l' importante è l' aggettivo vergine che indica oli estratti per semplice spremitura; resta l' olio
& extravergine d’oliva che deve avere acidità
minore dell’1%.
[2] Olio lampante. Se l' olio di pressione non
possiede i requisiti sopracitati, viene
classificato come lampante e non può essere
utilizzato tal quale per scopi alimentari, ma
deve essere sottoposto ad un preventivo
&' +&'
processo di rettifica, termine in genere
sostituito dal falso sinonimo raffinazione sul
"
& ( quale la pubblicità ha buon gioco.
"* # " # [3] Olio d'oliva rettificato. Si ha dagli oli
lampanti mediante processi di
# $ deacidificazione, decolorazione,
"& #
deodorazione, ecc. che hanno la funzione di
ridurre l' acidità sotto ai valori di legge e di
# $
' $
eliminare quelle sostanze che conferiscono
") # all'
olio proprietà organolettiche sgradevoli.
Purtroppo questi processi non sono selettivi e
$ l'
olio ottenuto viene privato anche di quelle
"% # " # piccole quantità di sostanze che ne
rappresentavano il pregio dal punto vista
organolettico e alimentare. Ne risulta un olio
&
" #
"( #
pressoché incolore, inodore e insapore. Per
questo, è difficilmente immesso sul mercato
% &
come tale, ma viene opportunamente
"$ # miscelato con olio vergine ottenendo così
quello che è chiamato:
[4] Olio d’oliva, appunto costituito da una miscela di olio rettificato [3] con, in genere piccole quantità, di olio vergine
[1], allo scopo di ripristinare parzialmente le caratteristiche organolettiche dell' olio d'oliva, perdute con la rettifica.
[5] Olio di sansa. La sansa è ciò che resta delle olive dopo l' estrazione per pressione. Sottoponendo le sanse,
parzialmente esauste ma ancora ricche in olio, ad un' estrazione con solventi che però, oltre all' olio residuo, estraggono
anche altre sostanze che generalmente peggiorano le caratteristiche organolettiche, si ha l' olio di sansa che, così come il
lampante, deve essere sottoposto a rettifica per poter essere destinato all' alimentazione.
[6] Olio di sansa rettificato. È ottenuto dagli oli di sansa mediante processi di rettifica sostanzialmente analoghi a
quelli usati per i lampanti. Anche questo olio, analogamente al rettificato, non può essere utilizzato direttamente, ma
deve essere miscelato con olio vergine.
[7] Olio di sansa e oliva. È costituito da una miscela di olio vergine [1] e di olio di sansa rettificato [6], allo scopo di
ripristinare in quest' ultimo le caratteristiche organolettiche dell'olio d'
oliva, perdute con la rettifica.
93
prodotti di ossidazione.
L'esame spettrofotometrico UV per gli oli d'oliva consiste dunque nel costruire uno spettro d'
assorbimento del campione
in esame tra 210 e 300 nm, misurare i picchi in corrispondenza di 232 e 268 nm e da questi calcolare il valore del ∆K.
Si pesa 1 grammo di olio limpido (eventualmente si provvede a filtrarlo) e lo si scioglie in isoottano ppa. Si eseguono
letture di estinzione a 232, 262, 268 e 274 nm; tutte le letture vanno eseguite "contro" un bianco costituito da isoottano
puro.
Si calcolano quindi i coefficienti di estinzione con la formula seguente:
E dove: E = estinzione alle varie λ;
K= c = conc. dell'
olio in g/100 ml;
c ⋅b b = spessore della cella in cm.
I valori K232 e K268 sono caratteristici dei vari tipi di olio; più sono elevati e più
scadente è la qualità. Il ∆K si calcola utilizzando la seguente equazione:
K 262 + K 274
∆K = K 268 −
2
che si ricava da considerazioni effettuate sulla curva di estinzione costruita per
l'
olio in esame.
Il valore di ∆K è legato alla quantità di "sistemi" trienici presenti nell’olio; infatti l'
equazione utilizzata per il calcolo
contiene coefficienti di estinzione ricavati nell'
intorno del picco relativo all'
assorbimento dei sistemi trienici.
Apparecchiatura: Reattivi:
spettrofotometro doppio raggio; isoottano per spettrofotometria
cuvette di quarzo da 1 cm o in plastica trasparente agli UV;
matracci tarati da 50 mL;
Procedimento:
L’olio di oliva deve essere limpido e anidro; in caso contrario, filtrare con carta da filtro su Na2SO4 anidro.
Pesare accuratamente circa 0,5 g di olio direttamente in un matraccio da 50 mL e portare a volume con isoottano. La
soluzione ottenuta deve essere limpida; se risultasse opalescente, filtrare rapidamente su carta.
Azzerare lo strumento in tutto il campo spettrale (da 300 a 200 nm) usando il solvente come bianco. Registrare lo
spettro di assorbimento e individuare la posizione di eventuali picchi che compaiono intorno a 270 nm.
Leggere l’assorbanza a 232 nm, in corrispondenza del punto di massimo intorno a 268 nm e anche 6 nm prima e
dopo tale massimo. Tutti i valori di assorbanza devono presentare un’assorbanza compresa fra 0,1 e 0,8; se non è
così, preparare soluzioni più concentrate o più diluite, secondo il caso.
Come viene evidenziato dalla tabella, per gli oli vergini si determinano valori di ∆K almeno 10 volte inferiori a quelli relativi
agli oli degli altri gruppi merceologici.
94
8.3. Saggio di Kreiss per la rancidità
Gli oli od i grassi che si trovano in una fase iniziale dell’irrancidimento assumono di fronte alla fluoroglucina, una
colorazione variabile dal rosa al rosso a seconda dello stato di alterazione.
Reattivi:
- Acido cloridrico d = 1,19 g/ml - soluzione eterea di fluoroglucina 1% (preparata di fresco).
Procedimento:
10 ml di olio o 10 grammi di grasso vengono posti in cilindro di vetro a tappo smerigliato da 50 ml e addizionati con
10 ml di HCL. Si agita energicamente per 30" e dopo si aggiungono 10 ml di fluoroglucina, agitando il tutto per altri
20". Dopo riposo, lo strato acido inferiore, in presenza di grassi irranciditi si colora in rosa o in rosso.
Reattivi:
- KOH alcolica: soluzione 2 N in metanolo anidro (112 g/L); I reattivi devono essere anidri (trattati per una notte
- n-Eptano; con sodio solfato anidro e conservati in essiccatore)
Procedimento:
Il campione di olio deve essere precedentemente anidrificato per trattamento con sodio solfato anidro per una notte. In
una provetta con tappo a vite si introduce 0,5 g di olio anidrificato con 5 ml di n-eptano e 0,5 ml di KOH alcolica. Si
agita energicamente per 1 minuto e si attende che la provetta diventi limpida.
95
Classe 5C 5D 5E
Operatore 5C 5D
Group 5°C_GRASSI 5D GRASSI
Directory C:\GC\5C\5C_GRASSI C:\GC\5D\5D_GRASSI
Per quanto riguarda le istruzioni per l’utilizzo del software, si rimanda al paragrafo 9.2.2.
96
olio di germe di olio di pula di burro di burro di burro di olio di burro di
n° C
MAIS RISO BABASSU' CACAO COCCO MANDORLA PALMA
BUTIRRICO C4
CAPRONICO C6 0,2 - 0,5 0,3 - 0,8
CAPRILICO C8 4 - 7,5 4,5 - 9,5 tr
CAPRINICO C10 4-8 4,5 - 9,7 tr
LAURINICO C12 44 - 47 44 - 52 tr - 0,1
MIRISTICO C14 tr - 1,7 0,1 - 0,6 15 - 20 13 - 19 tr - 1,3 0,5 - 2,5
MIRISTOLEICO C14:1
PALMITICO C16 8 - 15 12 - 18 6-9 24 - 25 7,5 - 13,4 5,5 - 6,5 32 - 48
PALMITOLEICO C16:1 0,2 - 2 0,3 - 0,5 0,1 - 0,2 0,4 - 0,6 0 - 1,2
STEARICO C18 2 - 4,5 1-3 3-6 34 - 36 1-6 2-3 1-9
OLEICO C18:1 20 - 50 38 - 52 12 - 18 30 - 40 5-8 70 - 77 36 - 53
LINOLEICO C18:2 34 - 62 26 - 42 0,3 - 3 1,5 - 4 tr - 2,5 17 - 20 2 - 11
LINOLENICO C18:3 0-3 0 - 1,5 tr 0,2 - 0,3
RICINOLEICO C18:1
LICANICO C18:3
ARACHICO C20 0,3 - 0,5 0,4 - 1 0 - 0,4 tr 0,3 - 0,4
GADOLEICO C20:1 0,1 - 0,2 0,4 - 0,5 tr
ARACHIDONICO C20:2
BEHENICO C22 tr 0,3 - 0,5
ERUCICO C22:1
CLUPANODONICO C22:2
LIGNOCERICO C24 0,2
AC. Saturi 12-18 16/22 85-87 40-63 90-94 4-5 45-50
Ac. Insaturi 84-88 74/84 13-15 60-37 6-10 95-96 50-55
Peso specifico 15° 0,916 - 0,926 0,918 - 0,928 0,990-0,998 0,912-0,921
Peso specifico 40° 0,907 - 0,909 0,907-0,912 0,897-0,905
Punto fusione grassi -18/-10 21/26 30/35 20/28 38/50
Punto fusione acidi grassi 14/23 27/29 22/24 48/59 20/24 9/14 40/50
Punto solidificazione grassi -10/-15 2 21,5/23 27/29,5 14/23,5 10/21,5 25/40
IND. DI RIFRAZ. 15° 1,469 - 1,474 1,469-1,470
IND. DI RIFRAZ. 40° 1,465 - 1,473 1,449 - 1,451 1,452-1,458 1,448-1,450 1,451-1,459
N° DI SAPONIFICAZ. 187 - 197 179 - 194 247 - 255 188 - 200 250 - 266 185 - 200 195 - 207
N° DI IODIO 103 - 133 92 - 109 10 - 18 35 - 40 6 - 10,5 93 - 108 35 - 88
Acidi grassi liberi 4 5-50 2-8 0,5-1,5 1-10 0,1-3 2-15
INSAPONIFICABILE 0,8 - 3 3-5 0,6 0,8 - 2 0,15 - 0,6 0,4 - 1 0,2 - 1
N° D' ACIDITA' 1,37 - 2,02 1,1 - 1,9 2,5 - 10 0,5 - 3,5 10
97
burro di olio di semi di olio di semi di olio di semi di olio di semi di olio di semi di
Acidi grassi n° C
PALMISTI COLZA COTONE RAVIZZONE SESAMO LINO
BUTIRRICO C4
CAPRONICO C6
CAPRILICO C8 tr - 0,4
CAPRINICO C10 3-7 tr
LAURINICO C12 46 - 52 1,5 tr
MIRISTICO C14 14 - 18 0,1 - 0,6 0,3 - 3,3 tr - 0,1 tr
MIRISTOLEICO C14:1 0,1 tr - 0,1
PALMITICO C16 6-9 1-4 20 - 26 2 - 4,8 7 - 14 6-7
PALMITOLEICO C16:1 tr 0,1 - 0,4 0 - 2,1 0,2 - 0,6 0,1 - 0,3
STEARICO C18 1-3 1-2 1-3 1,6 2-7 4,5 - 6,5
OLEICO C18:1 10 -19 11 - 31 18 - 35 17 - 20 36 - 50 17 - 26
LINOLEICO C18:2 0,5 - 2,5 11 - 24 44 - 55 13 - 25 35 - 47 13 - 16
LINOLENICO C18:3 1 - 13 0,1 2 - 11 0,2 - 9 45 - 58
RICINOLEICO C18:1
LICANICO C18:3
ARACHICO C20 0,5 - 0,7 tr - 1,3 8,8 0,5 - 0,8
GADOLEICO C20:1 7 - 11 0,1 - 0,2 tr
ARACHIDONICO C20:2
BEHENICO C22 0,3 - 1,5 0,1 - 0,2 tr
ERUCICO C22:1 25 - 55 48
CLUPANODONICO C22:2
LIGNOCERICO C24 0,1 - 1 tr - 0,3 tr
AC. Saturi 75-83 2-7 21-29 45 13-15
Ac. Insaturi 17-25 93-98 71-79 48 85-87
Peso specifico 15° 0,908-0,918 0,921-0,930 0,918 - 0,922 0,920 - 0,928 0,930 - 0,932
Peso specifico 40° 0,900-0,913
Punto fusione grassi 25/30 -9 -2/2 -4/0
Punto fusione acidi grassi 20/28,5 11/22 30/37 -8/30
Punto solidificazione grassi 24/26,5 -1/-10 -5/5 -8 -3/-4
IND. DI RIFRAZ. 15° 1,470-1,474 1,468-1,472 1,464 - 1,473 1,470 - 1,476 1,478 - 1,485
IND. DI RIFRAZ. 40° 1,449-1,452
N° DI SAPONIFICAZ. 242 - 255 167 - 180 192 - 200 175 - 181 187 - 195 188 - 196
N° DI IODIO 12 - 23 94 - 108 99 - 115 105 - 122 102 - 116 170 - 204
Acidi grassi liberi 0,5-10 2 1-5 5 1-3
INSAPONIFICABILE 0,2 - 1 1-2 0,8 - 1,8 1,5 - 1,75 1-2 1-2
N° D' ACIDITA' 0,33 - 0,55 0,36 - 1 0,6 - 0,9 2 9,8 1 - 3,5
98
olio di semi di olio di olio di olio di sevo di burro di
Acidi grassi n° C
RICINO ARINGHE SARDINE BALENA BUE LATTE
BUTIRRICO C4 3-4
CAPRONICO C6 1 - 1,5
CAPRILICO C8 1 - 1,5
CAPRINICO C10 2 - 3,5
LAURINICO C12 0,1 1,6 0,2 0,1 3,5 - 4,5
MIRISTICO C14 6-8 3,5 - 7 4 - 9,3 2,5 - 4,5 11 - 13
MIRISTOLEICO C14:1 0,5 - 0,8 2,3 - 1,9 1,4 - 3,7 1-2 1,5 - 2,5
PALMITICO C16 1,5 - 2 12 - 16 10 - 17 8 - 19,6 24 - 32 25 - 30
PALMITOLEICO C16:1 6 - 12 7 - 13 11,6 - 18,3 3-7 4-5
STEARICO C18 1-2 0,1 - 0,5 1,4 - 2 1,4 - 3,5 15 - 25 9 - 12
OLEICO C18:1 5-7 2-8 31 - 38 32 - 50 20 - 30
LINOLEICO C18:2 6-7 16 - 30 16 - 20 33 - 34 2-5 0,3 - 3,4
LINOLENICO C18:3 0,2 - 0,4 1,6 - 5 0,5 0,5 - 3,6
RICINOLEICO C18:1 82 - 88 (*) 0,4 - 0,6 tracce 0,8 0,5 - 1,5
LICANICO C18:3 22 - 30 26 - 27 12 - 19 tracce 1
ARACHICO C20 0,1 - 0,3 2 - 2,5 0,1
GADOLEICO C20:1 0,4 - 0,6 tracce
ARACHIDONICO C20:2
BEHENICO C22 19 - 27 10 - 19 6 - 16
ERUCICO C22:1 tracce
CLUPANODONICO C22:2 0-1 4,1 - 7,5
LIGNOCERICO C24 18-24 20 - 27 16-26,5 39 - 47 33 - 37
AC. Saturi 76-82 80 - 83 49-83
Ac. Insaturi 0,920-0,939 0,926-0,934 0,917 - 0,924
Peso specifico 15° 0,958 - 0,970 0,943 - 0,952 0,916-0,922
Peso specifico 40° 15/54
Punto fusione grassi 23/27 27/28 22/27 40/50 20/43
Punto fusione acidi grassi -2 27/38 36/42
Punto solidificazione grassi
IND. DI RIFRAZ. 15° 1,475 - 1,479 1,455-1,458 1,453-1,456
IND. DI RIFRAZ. 40° 179-194 190 - 195 160 - 202 190 - 200 210 - 240
N° DI SAPONIFICAZ. 176 - 187 105-155 160-183 80-144 33 - 55 25 - 45
N° DI IODIO 81 - 90 4-7 2-5 0,3
Acidi grassi liberi 1,4-2,3 <2 1,2-2,2 0,31 0,4 - 0,5
INSAPONIFICABILE 0,5 - 1 1,8 - 44 ca. 1,9 0,2 - 0,25 0,45 - 35,4
N° D' ACIDITA' 0,12 - 0,8
99
lardo di strutto di olio di fegato di
Acidi grassi n° C
MAIALE MAIALE MERLUZZO
BUTIRRICO C4
CAPRONICO C6
CAPRILICO C8
CAPRINICO C10
LAURINICO C12 tracce
MIRISTICO C14 1-3 0,7 - 3 1,4
MIRISTOLEICO C14:1 tr - 0,4 0,2 - 1,7
PALMITICO C16 23 - 28 20 - 30 6,5 - 12
PALMITOLEICO C16:1 0,5 - 4 8 - 20
STEARICO C18 7 - 18 8 - 18,8 0,5 - 2
OLEICO C18:1 41 - 58 40 - 58
LINOLEICO C18:2 3 - 14 3 - 14 25 - 31
LINOLENICO C18:3 0,7 tr - 1
RICINOLEICO C18:1 tr - 0,5
LICANICO C18:3 tracce tracce 26 - 31
ARACHICO C20 0,1 - 2 tr - 0,4
GADOLEICO C20:1
ARACHIDONICO C20:2
BEHENICO C22 10 - 22
ERUCICO C22:1
CLUPANODONICO C22:2
LIGNOCERICO C24 28 - 35 10 - 22
AC. Saturi 78 - 88
Ac. Insaturi 0,923-0,930 0,922 - 0,931
Peso specifico 15° 0,931-0,938
Peso specifico 40° 33/48
Punto fusione grassi 32/47
Punto fusione acidi grassi 26/36
Punto solidificazione grassi 1,471-1,474
IND. DI RIFRAZ. 15°
IND. DI RIFRAZ. 40° 195 - 203 190 - 194 205 - 212
N° DI SAPONIFICAZ. 32 - 77 111 - 146 155-175
N° DI IODIO 1
Acidi grassi liberi 0,9 2-5 0,54 - 2,68
INSAPONIFICABILE 0,5 - 0,8 5,6
N° D' ACIDITA'
100
8.7. La bilancia idrostatica
Questa bilancia idrostatica ha una sensibilità alla quinta cifra decimale e consente di determinare direttamente:
• la densità relativa d20/20 di un liquido;
• la massa volumica di un liquido a 20°C mediante un semplice calcolo.
Utilizzando apposite tabelle è inoltre possibile determinare:
• il grado Baumé, il grado Babo, il grado Brix ed il grado Oechsle di un mosto;
• il TAV (tilolo alcolometrico volumico) di un vino o di una bevanda spiritosa;
• l’estratto secco totale di un mosto o di un vino.
-000 o +000 Indica che si trova nei pressi dello zero ma và azzerato manualmente;
Dopo 10 minuti di riposo lo strumento avvia automaticamente la calibrazione, durante la quale non è possibile usarlo.
Analogamente, nei primi 10 minuti dall’accensione lo strumento effettua una calibrazione ogni minuto e non è
conveniente usarlo.
Attenzione:
(a) Durante la calibrazione non attaccare il pescante al pomello (1).
(b) effettuare le misure solo in condizioni di zero dello strumento.
101
1. Degasare i campioni ricchi di CO2, mediante agitazione, filtrazione sotto vuoto o in bagno ad ultrasuoni;
2. Riempire il cilindro (2) con il liquido fino al livello indicato (70 ml);
3. Immergere la termosonda (10) nel liquido;
4. Immergere il pescante (pulito e asciutto) nel liquido;
5. agitare per qualche secondo il pescante nel liquido lentamente con
movimento circolare per uniformare la temperatura, prestando attenzione a
non creare bolle d’aria che falserebbero la misura;
6. raggiunti i 20°C effettuare la misura nel seguente modo:
a) spingere il cilindro contro l’apposito centra cilindri (8);
b) attendere che lo strumento si porti sullo zero da solo (indicando 000 sul
display), se ciò non si verificasse effettuare l’operazione manualmente
con il tasto [-];
c) appendere il pescante alla sospensione (1) e regolare i pomelli centra
cilindri (7 e 8) in modo che non tocchi le pareti del cilindro o la
termosonda;
d) leggere sul display la densità relativa del liquido in esame;
7. Al termine della misura riporre il pescante pulito e asciutto nell’apposito gancio (2);
102
9. Determinazione Gas-cromatografica alcoli
Questa esperienza consiste nell’analizzare una miscela di alcoli tramite gascromatografia ed eseguire la
determinazione quantitativa dei componenti con due modalità diverse: secondo il metodo dello standard esterno e con
quello dello standard interno. In questo modo sarà possibile confrontare fra loro i dati ottenuti nei due metodi.
In particolare si analizzeranno metanolo ed etanolo e si utilizzerà il propanolo come standard interno. Per semplicità
si preparano gli standard in modo che possano essere usati contemporaneamente per entrambi i metodi per risparmiare
sul numero di iniezioni allo strumento.
Il campione si prepara in maniera simile: si pesano in un matraccio da 100 ml, in maniera esatta, circa 0,5 g di
propanolo, si introduce il nostro campione e si porta a volume con acqua bidistillata. In questo modo il propanolo si
utilizza come standard interno.
All’accensione si attiva automaticamente la pagina 0 che presenta temperature molto basse per salvaguardare
eventuali incidenti. Per eseguire le analisi utilizzare le altre pagine:
Classe 5C 5D 5E
Operatore 5C 5D
Group 5°C_ALCOOLI 5D ALCOLI
Directory C:\GC\5C\5C_ALCOOLI C:\GC\5D\5D_ALCOLI
103
9.2.2. Software di acquisizione dati:
(a) Aprire il programma “Hercule Supervisor” che comanda l’interfaccia di acquisizione del segnale;
(b) Aprire il programma “Jasco Borwin” che consente di acquisire il cromatogramma;
(c) Inserire operatore e group. Questo consente di salvare tutti i dati nella stessa directory;
(d) Si apre ora il programma con menu a tendine che
consente di acquisire ed elaborare i cromatogrammi.
In particolare si deve inizialmente controllare la
“costanza” della linea di base prima di iniziare la
nostra analisi. Si seleziona il menu:
104
105
9.3. Elaborazione dei dati
Dai dati ricavati dai cromatogrammi, da riportare nella seguente tabella, si possono costruire due differenti rette di
taratura a seconda del tipo di metodo che si utilizza: standardizzazione esterna o standardizzazione interna.
Metanolo Etanolo Propanolo
Soluzione
Area Concentrazione Area Concentrazione Area Concentrazione
1° standard
2° standard
3° standard
campione
Am Ae
Cm
Ce
Am/Ap Ae/Ap
Cm/Cp Ce/Cp
Campione Amx Cmx Amx/Apc Cmx/Cpc Aex Cex Aex/Apc Cex/Cpc Apc Cpc
106
10. Analisi delle acque
Per quanto riguarda la classificazione e l’introduzione all’analisi delle acque si rimanda al libro di testo (Analisi
Chimica Strumentale e Tecnica, Amandola Terreni, le pagine ve le cercate così fate qualcosa anche voi!); vogliamo qui
trattare solo alcuni aspetti pratici di questo tipo di analisi e riportare i parametri da eseguire suggerendo le tecniche più
adatte.
107
A contatto col terreno, l’acqua ne scioglie dei costituenti arricchendosi così di componenti che vengono invece persi
durante l’evaporazione.
L’analisi delle acque si divide in due filoni distinti, per tipologia di analiti cercati e obiettivi perseguiti: acque potabili e
di scarico. Questa suddivisione è sostenuta anche dalla legislazione che prevede norme distinte per le due categorie.
Data la grande importanza per la vita l’analisi delle acque è rigidamente vincolata dalla legislazione; l’analista, che
debba quindi trattare un campione di acqua non può prescindere dalla conoscenza della normativa che prevede non solo
i metodi di campionamento, i parametri da determinare e le metodiche da utilizzare, ma anche la frequenza delle
determinazioni. Una raccolta dei metodi analitici previsti dalla norma, è curata dall’I.R.S.A. (Istituto di Ricerca sulle
Acque).
Particolare attenzione deve essere data al campionamento: dato che l’acqua è un sistema estremamente dinamico, nel
quale gli “equilibri chimici” non sono bloccati come ad esempio nelle leghe, una scorretta conservazione del campione
può provocare una sua significativa alterazione che ne cambia la composizione chimica. A questo proposito riportiamo
una tabella ricavata dalle norme I.R.S.A. che riporta il contenitore da usare e il tempo massimo entro cui eseguire
l’analisi per i parametri più comuni.
Contenitore Intervallo massimo
Parametro Procedimento di stabilizzazione
consigliato tra prelievo e analisi
Alcalinità e acidità Polietilene o vetro Refrigerazione a 4 °C 24 ore
Polietilene, 40 mg di HgCl2 per litro di campione e
Azoto ammoniacale 24 ore
polipropilene o vetro refrigerazione a 4 °C
Polietilene, 40 mg di HgCl2 per litro di campione e
Azoto nitroso e nitrico 24 ore
polipropilene o vetro refrigerazione a 4 °C
40 mg di HgCl2 per litro di campione e
Azoto organico Vetro 24 ore
refrigerazione a 4 °C
BOD Vetro Refrigerazione a 4 °C 24 ore
Boro Polietilene 5 ml di HNO3 1:1 per litro di campione 1 settimana
Calcio Polietilene o vetro Non necessario 1 settimana
Portare a pH 11 con NaOH 10 % e
Cianuri Polietilene 24 ore
refrigerazione a 4 °C
Cloro Vetro scuro Refrigerazione a 4 °C 12 ore
Portare a pH 11 con NaOH 10 % e
Cloruri Polietilene 1 settimana
refrigerazione a 4 °C
Refrigerazione a 4 °C, acidificare a pH 1- 6-24 ore (acidificare
COD Vetro
2 con H2SO4 conc. dopo le 6 ore)
Conducibilità Polietilene o vetro Non necessario 1 settimana
Durezza Polietilene o vetro Non necessario 1 settimana
Floruri Polietilene Portare a pH 11 con NaOH 10 % 1 settimana
Filtrare sul posto, portare a pH 1-2 con
Fosfati Vetro o polietilene 24 ore
HCl conc e refrigerare 4 °C
5 ml di KMnO4 5% + 10 ml di HNO3
Mercurio Vetro pirex conc. per litro di campione e 1 settimana
refrigerazione a 4 °C
Addizionare 5 ml di HNO3 conc. per litro
Metalli totali Polietilene 6 mesi
di campione
Fissare l’O2 sul posto e completare
Ossigeno disciolto Vetro 24 ore
l’analisi in laboratorio
pH Polietilene o vetro Refrigerazione a 4 °C 24 ore
Potassio Polietilene Non necessario 1 settimana
Sodio Polietilene Non necessario 1 settimana
5 ml di CH3COOH + 5 ml di formaldeide
Solfati Polietilene o vetro 1 settimana
al 40 % per litro di campione
Tensioattivi Vetro 20 mg di HgCl2 per litro di campione 24 ore
108
10.2. Parametri acque di scarico
L’analisi delle acque di scarico ha come obiettivo la quantificazione del carico inquinante dell’acqua stessa e la
valutazione del lavoro necessario per la sua “stabilizzazione” (da parte di un depuratore o di un corpo idrico che la
riceverà). Per questo motivo vengono determinati alcuni parametri comuni a tutti i campioni ed altri specifici, scelti in
base alla provenienza del campione: ad esempio sarà inutile cercare il cromo nelle acque di scarico di un macello
mentre sarà obbligatorio cercarlo nello scarico di un industria galvanica.
Risulta quindi difficile fare un elenco generale di parametri determinati sulle acque di scarico. Di seguito riportiamo un
elenco dei parametri più comuni determinati su questi campioni:
Parametro Tipo Tipo di determinazione Da eseguire
pH Potenziometrica
Temperatura Termometro
Conducibilità Conduttometrica
BOD5 Generali Titolazione red-ox o monometrico
COD Titolazione red-ox
Solidi Sedimentabili Cono Imhof
Solidi Sospesi Gravimetrica
Azoto ammoniacale Colorimetrica (con distillazione)
Azoto nitroso Colorimetrico
Azoto organico Kjeldhal
Cloruri Potenziometrica o argentometrica
Specifici
Fenoli Colorimetrica
Metalli pesanti (da scegliere) Spettrofotometrica (AAS)
Ossigeno disciolto Titolazione red-ox
Sostanze organiche (da scegliere) Tecniche cromatografiche
10.2.1 B.O.D.5
La quantità di ossigeno richiesta dall’acqua per depurarsi attraverso un attacco biologico a carico delle materie
organiche presenti è un metodo per stabilire il grado di inquinamento dell’acqua. La misura di questa quantità di
ossigeno richiesta è il B.O.D. (Biochemical Oxygen Demand) e si registra su cinque giorni di ossidazione.
Esistono diversi metodi per determinare il B.O.D.5 riconducibili a due filoni principali:
1. determinazione estemporanea dell’ossigeno nella condizione iniziale e dopo cinque giorni di ossidazione biologica.
La differenza fra i due valori corrisponde all’ossigeno consumato nel processo di depurazione. La quantità di
ossigeno può essere determinata con il metodo di Winkler o misurata con elettrodi specifici. Gli aspetti teorici legati
a questa determinazione sono illustrati sul libro di testo (Analisi Tecniche – Amandola Terreni) a pag XXX e
seguenti.
Di seguito riportiamo solo la metodica della preparazione delle soluzioni necessarie, mentre rimandiamo al testo per le
spiegazioni teoriche.
Soluzione di Mn2+ (A): 60 g di MnSO4*H2O in 100 ml di acqua distillata (attenzione, si decompone per riscaldamento,
la dissoluzione è lenta).
Soluzione alcalina (B): 33g di NaOH, 53 g di NaI e 0,5 g di NaN3 in 1 litro di soluzione (prepararne 500ml)
Preparazione dell’acqua di diluizione per il BOD5: per preparare 1 litro di acqua di diluizione prendere 1 ml di ognuna
delle seguenti soluzioni e portare ad 1 litro con acqua distillata.
Soluzione tampone a pH 7,2: 8,5 g di KH2PO4, 21,7 g di K2HPO4, 33,4 g di Na2HPO4*7H2O, 1,7 g di NH4Cl per 1 litro
di soluzione (prepararne 500ml)
Soluzione di Mg2+: 22,5 g di MgSO4*5H2O per 1 litro di soluzione (prepararne 100 ml)
Soluzione di Ca2+: 27,5 g di CaCl2 per 1 litro di soluzione (prepararne 100 ml)
Soluzione di Fe3+: 0,25 g di FeCl3 per 1 litro di soluzione (prepararne 500 ml)
2. monitoraggio continuo con metodo manometrico e registrazione del valore finale dopo cinque giorni.
109
10.2.1.1. Determinazione manometrica
Quando, in una bottiglia, si introduce una certa aliquota di campione di
acqua da analizzare con la propria carica batterica (o un apposito inoculo)
si crea un sistema costituito da acqua, flora batterica ed aria in cui si
innesca una reazione del tipo:
Procedura
110
10.3. Parametri acque potabili
L’analisi delle acque potabili ha come obiettivo principale la quantificazione della “qualità” dell’acqua destinata al
consumo umano e l’eventuale ricerca di sostanze dannose per l’uomo. Questo comporterebbe la ricerca di un gran
numero di sostanze che, nella maggior parte dei casi risulterebbero assenti (per quanto riguarda quelle dannose
all’uomo). Quindi in realtà si ricercano usualmente i componenti più comuni e ogni tanto si controllano anche quelli più
pericolosi che di solito sono assenti come arsenico, cianuri, mercurio, ecc.
Di seguito riportiamo un elenco dei parametri più comuni determinati sulle acque potabili:
Parametro Tipo Tipo di determinazione Da eseguire
Acidità e basicità Titolazione acido-base
Alcalinità Titolazione acido-base
pH Potenziometrica
Generali
Temperatura Termometro
Conducibilità Conduttometrica
Durezza Titolazione complessometrica
Azoto ammoniacale Colorimetrico
Azoto nitroso Colorimetrico
Azoto nitrico Colorimetrico
Calcio Titolazione complessometrica
Cloruri Potenziometrica o argentometrica
Fenoli Colorimetrica
Ferro Colorimetrica o AAS
Fosfati Colorimetrica
Specifici
Magnesio Titolazione complessometrica
Metalli pesanti (da scegliere) Spettrofotometrica (AAS)
Ossigeno disciolto Titolazione red-ox
Anioni Cromatografo ionico
Sodio AAS
Solfati Turbidimetrici
Tensioattivi Colorimetrico
Sostanze organiche (da scegliere) Tecniche cromatografiche
Soppressore: soluzione di H2SO4 72 mN. Preparare una soluzione di H2SO4 7,2 N in acqua distillata da diluire 100
volte prima dell’uso (20 ml direttamente nella bottiglia da 2 litri dello strumento)
111
11. Determinazione del rame nei vini
Il rame può essere determinato in una matrice complessa quale quella dei vini tramite spettroscopia di assorbimento
atomico con fornetto di grafite.
Questo è necessario sia a causa della bassa concentrazione di rame nel campione che per la presenza di sostanze
organiche presenti nella matrice in grado di influenzare l’atomizzazione e quindi l’assorbanza del campione. Per
eseguire quindi l’analisi in maniera corretta o si procede con un attacco del campione per eliminare le sostanze
organiche e lettura in AAS in fiamma, oppure sfruttando la possibilità offerta dal fornetto di grafite di modulare la fase
di atomizzazione sempre allo scopo di eliminare le sostanze interferenti.
A causa dell’elevata sensibilità dello strumento per questa analisi è indispensabile LAVARE molto bene la vetreria e
utilizzare acqua bidistillata per la preparazione delle soluzioni e la diluizione del campione.
Preparare una soluzione standard di rame a circa 40 ppb da utilizzare per la retta di taratura;
Volume di iniezione da 20 a 30 l;
Calcolare 3 punti della retta con concentrazione max. 40 ppb, scelti in base ai prelievi dell’autocampionatore;
Diluire il campione da una concentrazione presunta iniziale compresa fra 1 e 2 ppm a 20/30 ppb;
Regolazione fornetto
Step T/°C Time Flow Gas Misura
1 85 5 0,3 N
2 95 40 0,3 N
3 120 10 0,3 N
4 800 9 0,3 N
5 800 1 0,3 N
6 800 2 0 N S
7 2300 0,8 0 N R S
8 2300 2,0 0 N R S
9 2300 2,0 0,3 N S
Regolazione autocampionatore
Concentrazione Standard: 10 / 20 / 40 ppb Volume iniezione 20 µl
Soluzione Concentrazione Blank Bulk
Cal zero 0 20 0
Std 1 10 15 5
Std 2 20 10 10
Std 3 40 0 20
112
12. Analisi prodotti alimentari
L’analisi dei prodotti alimentari è certamente una delle più complesse che un chimico deve affrontare, sia per la
complessità della matrice (contenente sia composti organici che inorganici in rapporti diversi a seconda dell’alimento)
che per la grande varietà di componenti da determinare. Per questo motivo qui presenteremo solo una raccolta di
metodiche semplici che permettano una carrellata su alcuni alimenti scelti. Per gli aspetti generali relativi all’attacco
rimandiamo al capitolo 2 della seguente dispensa.
12.1.1. L’uva
La materia prima principale per la produzione del vino è l’uva, ovvero il frutto della Vite, i
cui grappoli sono costituiti dagli acini legati al graspo (parte legnosa).
Nell’acino possiamo individuare tre zone:
(a) pericarpo (buccia): la parte più esterna che contiene polifenoli (tannini e coloranti) e
sostanze aromatiche (terpèni); è ricoperto da una sostanza cerosa, la
pruìna, che contiene alcuni lieviti detti starter utili alla
fermentazione;
(b) mesocarpo (polpa): la zona intermedia che è costituita da acqua zuccheri e acidi
distribuiti in maniera non omogenea;
(c) endocarpo (semi): la zona interna che contiene i vinaccioli (semi) carichi di olio e tannini.
Figura 12.1: Acino d’uva.
La composizione dell’acino (in particolare della polpa) varia durante il suo ciclo di vita ed in particolare durante la
maturazione si ha un aumento degli zuccheri e una diminuzione degli acidi organici (responsabili del tipico sapore della
frutta acerba).
Il momento in cui procedere con la vendemmia (la raccolta dei grappoli) è determinato appunto in base al tenore di
zuccheri e di acidi residui che si vuole ottenere nell’uva e che influenzerà notevolmente la successiva fermentazione.
Maggiore sarà il tenore di zuccheri presenti nell’uva, e quindi nel mosto, maggiore sarà la possibilità di produrre
durante la fermentazione alcool etilico, quindi aumentare il grado alcolico. Bisogna
però evitare una eccessiva maturazione dei grappoli perché questo rende l’uva più
soggetta all’attacco dei parassiti con conseguente scadimento delle sue
caratteristiche qualitative.
Una volta raccolti i grappoli d’uva si procede direttamente alla vinificazione,
ovvero a quella serie di operazioni che ci permettono di ottenere prima il mosto (il
succo d’uva) e poi il vino vero e proprio. A seconda di come eseguo la
vinificazione posso impartire al vino caratteristiche differenti, in particolare
possiamo avere la vinificazione in rosso, in bianco, in rosato, per spumanti e per
vini aromatici. Qui di seguito riportiamo solo le fasi principali della vinificazione
in rosso ed in bianco che si differenziano principalmente per la durata del contatto
tra le bucce (ricche di sostanze coloranti) ed il mosto. Maggiore sarà il loro
contatto e maggiore sarà la colorazione del vino stesso. Figura 12.2: Andamento acidi e
zuccheri nell’uva.
12.1.2. La vinificazione
Nella vinificazione in bianco si separano immediatamente le vinacce e i raspi dal mosto ottenuto per pigiatura e
pressatura delicata dei grappoli.
113
Questa tecnica, applicata sia alle uve bianche che alle uve rosse per ottenere vini bianchi, evita ogni forma di
macerazione e fermentazione del mosto con le vinacce, impedendo a queste di cedere, oltre al colore, anche altre
sostanze che possono conferire al vino caratteristiche aromatiche poco gradite.
Il mosto così ottenuto si lascia riposare per due o tre giorni alla temperatura di 10° C in contenitori adeguati,
permettendogli così di depositare sul fondo le numerose particelle solide ancora presenti (fecce). E’ questa la fase di
chiarificazione o illimpidimento del mosto . Separate le fecce dal mosto inizia la vera e propria fermentazione ovvero la
trasformazione del succo d’uva in alcool e anidride carbonica per opera dei microrganismi chiamati lieviti. Nelle
moderne aziende enologiche si utilizzano lieviti selezionati che “guidano” la fermentazione verso il risultato voluto,
facendo in modo che si sviluppino maggiormente alcuni aromi graditi a discapito di altri meno desiderabili. A questo
punto il vino è pronto per essere conservato per un tempo variabile dai quattro agli otto mesi sino a maturazione.
Seguirà quindi la fase dell’imbottigliamento e del consumo.
Figura 12.3: Vinificazione in bianco.
Nella vinificazione in rosso le parti solide dell’acino, ovvero bucce e vinaccioli, restano in contatto con il mosto per un
tempo variabile. Questa fase, detta di macerazione, permette alle bucce e ai vinaccioli di trasferire al mosto i pigmenti, i
tannini e le sostanze aromatiche in loro presenti in quantità proporzionale al tempo stesso di macerazione che varia a
seconda del tipo di vino che si vuole ottenere: dai sette ai quindici giorni se si desidera un vino corposo e colorato, da
uno a quattro giorni se si desidera un vino più leggero. La fermentazione viene aiutata dall’aggiunta di lieviti
selezionati. Inizialmente le parti solide presenti (vinacce), a causa della produzione di anidride carbonica, tendono a
salire verso l’alto del tino, formando il cosiddetto cappello che dovrà essere disperso varie volte al giorno, per
permettere alle parti solide di rientrare a contatto con il mosto.
Questa operazione chiamata follatura o rottura del cappello, viene eseguita o manualmente con uno strumento
particolare, o con il metodo del rimontaggio che consiste nel disperdere le vinacce prelevando con pompe un terzo del
mosto dal basso del contenitore facendolo ricadere a pioggia dall’alto sul cappello. I moderni recipienti di
fermentazione sono invece dotati di agitatori meccanici. Oltre ai vantaggi già descritti, la follatura permette una
dispersione rapida del calore originato dalla fermentazione che non deve mai superare i 30° C e un altrettanto rapido
allontanamento dell’anidride carbonica con immissione di ossigeno che favorisce la moltiplicazione dei lieviti.
Impedisce inoltre l’acetificazione del vino.
Quando gli zuccheri sono stati già trasformati in alcool, la produzione di anidride carbonica cessa e il cappello scende
nel fondo della vasca. A questo punto si procede al travaso del vino purificato dalle vinacce in altro contenitore, oppure
si può prolungare di qualche giorno la macerazione se si vogliono ottenere vini più robusti.
Dopo il travaso inizia la fermentazione malolattica che consiste nella trasformazione dell’acido malico, responsabile del
gusto acido del vino, in acido lattico, che donerà al futuro vino un gusto meno aspro e più gradevole.
Se il vino ottenuto con la vinificazione in rosso è ben strutturato e particolarmente importante può essere ulteriormente
arricchito dalla sosta per diversi mesi all’interno delle barriques, piccole botti in rovere francese della capacità di 225
litri ciascuna, seguita dall’affinamento in bottiglia che può durare da un minimo di sei mesi fino a diversi anni.
114
12.1.3. L’anidride solforosa
Particolare importanza nella produzione dei vini riveste l’anidride solforosa che è certamente uno degli “strumenti” più
utilizzati in enologia per controllare la fermentazione dato che è in grado di svolgere un’azione antisettica selettiva.
A bassa concentrazione (5-30 g/hl) non elimina i saccaromiceti ma altri microrganismi indesiderati, quindi viene
utilizzata come disinfettante. Ad alta concentrazione (130-180 g/hl) blocca la fermentazione e consente di produrre
quello che viene chiamato mosto muto. In questo caso, per riprendere a fermentazione basta aggiungere i lieviti
desiderati. Inoltre svolge un’azione solubilizzante nei confronti delle sostanze coloranti e dei polifenoli (stabilizza il
colore), acidificante, defecante (chiarifica il vino) e antiossidante (ne facilita la conservazione).
Risulta però tossica per l’uomo quindi vi sono, per i vini pronti al consumo, delle concentrazioni limiti da rispettare che
sono maggiori per quelli bianchi rispetto ai rossi.
L’anidride solforosa può essere presente nei vini sia in forma libera che legata, quella libera (la frazione attiva) è
presente sotto diverse forme in equilibrio tra loro secondo le seguenti reazioni:
SO2(gas) SO2(acq) libera
SO2(acq) + H2O HSO¯ 3 + H+ Bisolfito
2 HSO¯ 3 S2O52- + H2O Metabisolfito o pirosolfito
HSO¯ 3 H+ + SO32- Solfito
Quella legata è invece il frutto delle sue reazioni con composti organici presenti nei vini, di seguito, ad esempio,
riportiamo le reazioni con aldeidi e chetoni:
RCHO + HSO¯ 3 RCHOHSO¯ 3
Aldeide bisolfito acido idrossisolfonico
R’COR” + HSO¯ 3 R’R”COHSO¯ 3
Chetone bisolfito acido idrossisolfonico
Al diminuire della concentrazione della frazione attiva (SO2(acq)) si ha un suo progressivo ripristino da parte della
solforosa legata secondo il seguente schema:
SO2 combinata stabile SO2 combinata instabile HSO¯ 3 SO2 attiva
(aldeidi e chetoni) (zuccheri e acidi) Bisolfito
Aceto di siero
Il siero residuo delle trasformazioni lattiero-casearie è destinato a diversi usi, uno di questi è la produzione di aceto. Il
prodotto ottenuto è gradevole e con una riconoscibile impronta della matrice originale. La tecnologia di produzione è
molto semplice e prevede una fermentazione alcolica, seguita da un’ossidazione acetica. Il siero dolce viene prima
filtrato e fermentato ad opera di lieviti lattosio-positivi, appartenenti al genere Kluyveromyces. Successivamente il
fermentato alcolico viene nuovamente filtrato e quindi acidificato ad opera dei batteri acetici.
Aceto di miele
L’aceto di miele, pur essendo prodotto in piccole quantità è diffuso in diverse parti del mondo. È di color paglierino,
trasparente, il sapore è dolce e con molti aromi del miele ancora percettibili. Il processo di produzione è semplice, in
quanto prevede la diluizione del miele con acqua e la successiva fermentazione spontanea. Le produzioni industriali
115
prevedono l’aggiunta iniziale di solfiti, per abbassare la carica microbica nativa, ed il successivo inoculo di lievito
Saccharomyces cerevisiae. La fermentazione alcolica viene interrotta prima dell’esaurimento totale degli zuccheri.
Infine, il liquido che si ottiene, ricco in alcool e zuccheri residui, viene inoculato con batteri acetici che convertono
l’etanolo in acido acetico con rese superiori al 90%.
Tabella 12.2: Raccolta di aceti prodotti nel mondo
Origine Materia prima Intermedio Prodotto finale
Animale Siero Aceto di siero
Miele Aceto di miele
Riso Aceti di riso
Orzo Malto / Birra Aceto di malto
Cereali Frumento Aceti di frumento asiatici
Miglio Aceti di miglio asiatici
Sorgo Aceti di sorgo asiatici
Mele Sidro Aceto di sidro / di mele
Vino Aceto di vino
Sherry Aceto di Sherry
Uva Champagne Aceto di Champagne
Vegetale
Uva passa Aceto di uva passa turco
Frutta Mosto Aceto Balsamico
Estratti di noce di cocco Aceto di noce di cocco
Noce di cocco
Vino di palma Aceto di vino di palma
Cachi Aceto di cachi
Kiwi Vino di kiwi Aceto di kiwi
Agrumi Succo di arancia ed altri agrumi Aceto di agrumi
Ortaggi Cipolla Aceto di cipolla
Altri Canna da zucchero Aceto di canna - Kibizu
Alcool distillato
Aceto bianco
acido acetico in acqua
Altri
Aceto di Erbe Aceti aromatici alle erbe
Aceto di Frutta Aceti aromatici alla frutta
Aceti di riso
Non è un caso che questa categoria di aceti venga indicata al plurale, dal momento che ne esistono varie tipologie,
differenti per grado di raffinazione della materia prima e per tecnologia di produzione. Altrettanto ampia è l’area di
produzione che coinvolge numerosi paesi asiatici, dal Giappone all’India, dalla Cina all’Indonesia. Recentemente la
classificazione degli aceti di riso è stata ulteriormente complicata dalla proliferazione di numerose sigle commerciali.
Tradizionalmente se ne possono distinguere due tipi: un aceto di colore chiaro per usi culinari giornalieri ed uno di
colore scuro usato come integratore alimentare o medicamento. Alla stessa categoria appartengono inoltre un numero
consistente di tipologie diverse, ovvero prodotti intermedi a cui è stato attribuito il nome generico di aceto di riso.
In Giappone gli aceti di riso prendono il nome di kurosu ed il komesu, la cui differenza principale è legata al riso di
partenza: per il kurosu si utilizza riso pulito e sbiancato, mentre per il komesu è usato risone o chicchi con glumella. Il
processo di produzione consiste di tre fasi principali: la saccarificazione del riso, la fermentazione alcolica e
l’ossidazione acetica. Quest’ultima può essere effettuata secondo il metodo tradizionale, mediante l’uso di culture di
superficie statiche, oppure mediante colture sommerse. L’aceto ottenuto, chiamato moromi, viene successivamente
trasferito in cisterne o barili di legno, dove nel corso di un mese i batteri acetici completano l’ossidazione. Il kurosu, di
un colore chiaro e con un’acidità contenuta, viene utilizzato come condimento abbinato a pesce e verdure, mentre il
komesu, più scuro e molto più ricco di aminoacidi e vitamine, è apprezzato come bevanda diluito in acqua.
Aceto di malto
Questo aceto è diffuso nei paesi anglosassoni, dove viene preparato dall’orzo secondo una lavorazione che nelle sue
prime fasi ricalca la produzione della birra. Il mosto di malto viene sottoposto a fermentazione alcolica e, dopo la
rimozione dei lieviti, ossidato ad opera dei batteri acetici. Una volta distillato, l’aceto viene maturato in cisterne di
metallo e poi affinato o stagionato all’interno di botti di legno.
Fino al secolo scorso, negli Stati Uniti ed anche in alcuni altri paesi, per aceto si intendeva quello di sidro o di mele,
analogamente a quanto avviene ancora oggi nel nostro paese per l’aceto di vino. La tecnologia di produzione ha molti
passaggi in comune con la produzione del sidro il quale, senza le opportune precauzioni, acetifica molto facilmente.
Infatti, grazie all’alto contenuto zuccherino della polpa, la conversione degli zuccheri in etanolo e la successiva
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acetificazione sono estremamente rapide.
Aceto di vino
L’aceto di vino è quello più diffuso nei paesi europei. Secondo la legislazione italiana, il nome di “aceto” o “aceto di
vino” è riservato unicamente al prodotto della fermentazione acetica dei vini. Tutti gli altri tipi di aceto devono essere
seguiti dalla specificazione della materia prima impiegata (aceto di sidro, aceto di malto, aceto di birra ecc...), mentre un
capitolo a parte è riservato agli aceti speciali.
La materia prima più idonea alla produzione di aceti è costituita da vini sani o acescenti, esenti da odori o sapori
anomali e non addizionati con anidride solforosa. Il vino viene generalmente diluito con acqua prima dell’utilizzo, in
modo da abbassarne la quantità di alcool fino a valori tollerati dai batteri acetici.
Attualmente la fermentazione sommersa è la più diffusa e viene condotta in speciali apparecchi acetificatori, di diverse
dimensioni e capacità, che vanno da 2,2 a 4 metri di diametro, per 4,8–8,7 metri di altezza. Essi sono costituiti da un
tino di acciaio inossidabile, dotato nella parte inferiore di una turbina per permettere l’aerazione forzata della massa.
Inoltre sono muniti di impianti di raffreddamento, che consentono di mantenere la temperatura del prodotto intorno i
27-33 °C, anche quando le reazioni fortemente esoergoniche di ossidazione che avvengono al loro interno tenderebbero
a farla aumentare notevolmente.
L’inoculo di un fermentatore avviene impiegando una massa in piena acetificazione in quantità pari al 20 – 30% del
volume totale. Si provvede poi ad aggiungere vino fino al 50% della capienza, sottoponendo il tutto ad aerazione. Una
volta che il grado alcolico si è dimezzato, si aggiunge altro vino, mai in quantità superiore al 75 % della capienza totale.
Il processo si ritiene completo quando l’aceto presenta una percentuale in alcool non superiore al 1,5%. Il prodotto
viene poi scaricato mediante apposite tubazioni, avendo cura di lasciare il 40% del prodotto per l’acetificazione
successiva. L’aceto così ottenuto si può poi filtrare o pastorizzare.
Un commento a parte merita l’aceto di Sherry. Si tratta di una tipologia particolarmente pregiata, prodotta con il metodo
tradizionale chiamato “criaderas y solera” a partire da Sherry, opportunamente maturato in barili di legno di quercia
disposti a cascata secondo l’età, dai più giovani, criaderas, ai più vecchi, soleras. L’aceto viene prelevato dalle botti più
vecchie, che vengono poi rabboccate con il contenuto delle più nuove. Mediante questo processo di invecchiamento,
l’aceto sviluppa ricchi aromi, una grande complessità di gusto e un suo caratteristico colore scuro. Come l’aceto
balsamico tradizionale, anche l’aceto di Sherry occupa una posizione particolare nella categoria degli aceti.
Aceto di Palma
L’aceto di palma viene ottenuto dal succo zuccherino che si libera dalle infiorescenze o dalle fruttificazioni, sia maschili
che femminili, delle palme. Le specie di palma comunemente usate a questo scopo sono Elacis guineensis, Raphia
vinifera, Cocos nucifera e Arenga pinnata in Africa, Sud America e in Estremo Oriente, mentre in Papua Nuova Guinea
si estrae il succo da Nypa fruticans. La raccolta del succo avviene praticando un buco alla base del germoglio del fiore
maschile, dal quale fluisce all’esterno. Un solo albero ne può produrre parecchi litri al giorno. Il liquido spillato è molto
ricco in saccarosio e, in particolare, nella specie Nypa fruticans può superare il 16% in peso.
Nelle prime 8-12 ore dopo la raccolta, il succo tende a fermentare spontaneamente ad opera di lieviti e di batteri
appartenenti al genere Zymomonas, mentre l’attività dei batteri acetici è evidente dopo qualche giorno. In genere, una
temperatura attorno ai 30° C consente un rapido sviluppo delle popolazioni di batteri acetici e una conseguente rapida
acidificazione del mezzo. L’aceto di vino di palma è consumato come condimento in piccole quantità.
Aceto di cachi
È un aceto tradizionalmente diffuso in Giappone e Corea, ottenuto per fermentazione del frutto del cachi. Il processo di
invecchiamento dura circa tre anni ed il prodotto presenta un’acidità del 3-4%. Oggi viene prodotto industrialmente ed
il suo consumo è consigliato nella prevenzione dell’arteriosclerosi, dell'
obesità e per scopi estetici.
Aceto di cipolla
L’aceto di cipolla è diffuso in Giappone, dove la coltivazione annua di questo ortaggio è di circa 1.200.000 tonnellate.
La produzione di aceto è nata dall’esigenza di recuperare il prodotto scartato dal consumo della cipolla fresca, pari circa
al 10% della produzione totale.
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prodotto dai primi due che prende il nome di aceto bianco. Oltre che come condimento, l’aceto risulta utilizzato anche
in salse o conserve alimentari grazie alle proprietà antisettiche dell’acido acetico.
La trasformazione in ceto del vino non è una vera e propeia fermentazione ma una ossidazione svolta dai batteri acetici
tra cui segnaliamo l’Acetobacter aceti, pasteurianus, suboxydans ed altri. La reazione si può così schematizzare in due
stadi successivi:
1° stadio: CH3CH2OH + ½ O2 H2O + CH3CHO da alcool etilico a aldeide acetica
2° stadio CH3CHO + ½ O2 CH3COOH da aldeide acetica a acido acetico
Assieme a tale ossidazione avvengono anche altre trasformazioni che concorrono a conferire all’aceto il sapore e
l’aroma tipico, anche se molti componenti presenti nel vino si possono trovare inalterati nel prodotto finale.
I metodi attualmente utilizzati per produrre industrialmente l’aceto sono due: in superfice su trucioli di legno o a
fermentazione sommersa.
Nel primo gli Acetobacter sono localizzati sulla superfice di trucioli di legno o raspi d’uva disposti nella parte centrale
di un tino dalla cui sommità viene spruzzato il vino. Nel secondo la fermentazione avviene all’interno della massa del
vino, che è continuamente arieggiato, e si compie in tempi ridotti (dell’ordine delle 24 ore).
Questo secondo metodo risulta più rapido del precedente ma produce un aceto di caratteristiche organolettiche inferiori
rispetto a quello ottenuto per acetificazione su trucioli. Una tecnica produttiva completamente diversa caratterizza
invece l’aceto balsamico che verrà illustrata nel capitolo successivo.
L’aceto balsamico tradizionale di Modena DOP è prodotto a partire da mosto d’uva ottenuto da sette vitigni tipici
(indicati dal disciplinare di produzione) che viene prima “cotto” a vaso aperto e fiamma diretta per 10÷20 ore circa.
Durante la cottura si verifica un aumento della concentrazione degli zuccheri presenti ed una loro parziale degradazione
(caramellizzazione) che porta alla formazione di sostanze coloranti e di aromi caratteristici. Il mosto cotto subisce poi
una prima fermentazione alcolica per trasformare parte degli zuccheri in alcool e poi una successiva fermentazione
acetica che trasforma l’alcol prodotto in acido acetico e forma la frazione acida del prodotto. Tutte queste
trasformazioni avvengono prima di introdurre il mosto nella serie di botti, in quella viene spesso chiamata botte madre
oppure in damigiane. Una volta preparato il mosto cotto “acetificato” si passa poi alla fase di invecchiamento che sfrutta
la particolare tecnica dei rincalzi e si svolge nella “batteria”: una serie di botti (solitamente da 5 a 9 barili, di legni
diversi e di volumi decrescenti) nella quale il prodotto deve rimanere almeno 12 anni.
Ogni partita di ABTM, per poter essere commercializzata, deve raggiungere un determinato punteggio nell’esame
organolettico eseguito da assaggiatori specializzati. In base al punteggio ottenuto (massimo 400 punti), l’ABTM viene
classificato in extravecchio (punteggio compreso tra 255 e 400) e affinato (punteggio compreso tra 229 e 254). Nel caso
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non raggiunga il punteggio minimo non può essere venduto come ABTM DOP.
12.3.1. Densità
La determinazione della densità è un parametro molto importante perché fornisce indicazioni sul grado di
concentrazione dell’aceto balsamico che è legato al processo di invecchiamento del prodotto stesso. Inoltre fornisce una
indicazione di massima sul contenuto totale di zuccheri presenti, spesso espresso in gradi Brix (%m/m di saccarosio).
Si può eseguire con tecniche diverse: tramite bilancia idrostatica (metodo molto preciso ma che richiede gran quantità di
prodotto), tramite densimetro a capillare oscillante (metodo molto preciso ma che richiede apparecchiatura costosa)
oppure molto semplicemente per via rifrattometrica. In prima approssimazione infatti la matrice in esame può essere
assimilata ad una miscela ternaria acqua, zuccheri e acido acetico. Di questi tre componenti gli zuccheri sono quelli che
influenzano maggiormente la densità ed anche l’indice di rifrazione. Misurando l’indice di rifrazione e tramite apposite
tabelle è possibile quindi risalire alla densità dell’aceto. Questa metodica è applicabile anche ai mosti cotti e concentrati,
mentre non si può utilizzare per i vini a causa della presenza di alcool che influenza notevolmente l’indice di rifrazione.
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12.3.2. Determinazione acidità
Nel vino l’acidità è data principalmente dall’acido tartarico, mentre nell’aceto la quasi totalità dell’acidità è data
dall’acido acetico. Viceversa nell’ABTM, accanto all’acido acetico, troviamo la presenza di altri acidi organici che
derivano in parte da fermentazioni ed in parte dal mosto di partenza. Risulta quindi importante sapere sia l’acidità
totale, espressa come % m/m di acido acetico (tartarico per il vino) che andare a determinare i vari acidi organici
presenti (acetico, tartarico, malico, citrico, succinico, glutarico, malonico, acido maleico, lattico, ecc.). Per l’acidità
totale si può sfruttare una semplice titolazione acido base o con indicatore o potenziometrica (nel caso di campioni
molto colorati), mentre per la speciazione dei vari acidi si deve operare tramite tecnica HPLC previa dagli zuccheri.
Tecnica: Titolazione classica: neutralizzazione mediante NaOH di un determinato peso di aceto in presenza di
fenolftaleina come indicatore.
Reattivi: Sodio idrossido 0,1 N, Fenolftaleina 1 % in alcol
Strumenti: Buretta portata 50 ml e sensibilità ± 0,05 ml, Bilancia sensibilità ± 0,001 g o inferiore
Metodica Si pesa in maniera esatta circa 1 g di aceto (di più per i campioni con minor acidità) direttamente nel
classica: becher. Si diluisce fino a circa 200 ml con acqua e si titola con NaOH 0,1 N usando fenolftaleina come
indicatore. Il risultato si esprime in grammi di acido acetico per 100 grammi di aceto, calcolati con la
formula:
V ⋅ N ⋅ 6,01 V ⋅ N ⋅ d ⋅ 6,01
Ac. Totale (%m / m) = Ac. Totale (%m / v) =
p p
Dove: V ml di sodio idrossido utilizzati; N normalità sodio idrossido; p peso campione; d densità campione
Strumenti: Titolatore automatico con buretta di portata 10 ml o potenziometro con elettrodo a vetro
Bilancia sensibilità ± 0,001 g o inferiore
Metodica Si pesano in maniera esatta da 0,5 a 1 g di aceto (in funzione dell’acidità presunta) direttamente nel becher
strumentale: (quello piccolo di plastica per titolatore automatico). Si diluisce fino a circa 200 ml con acqua (metà per tit.
autom.) e si titola con NaOH 0,1 N. Per il titolatore automatico si utilizza il programma ACETOPEC
Il risultato si esprime in grammi di acido acetico per 100 grammi di aceto, calcolati con la formula:
V ⋅ N ⋅ 6,01 V ⋅ N ⋅ d ⋅ 6,01
Ac. Totale (%m / m) = Ac. Totale (%m / v) =
p p
Dove: V ml di sodio idrossido utilizzati; N normalità sodio idrossido; p peso campione; d densità campione
Tecnica: Separazione delle sostanze interferenti con SPE e determinazione HPLC con rivelatore UV
Reattivi: Acqua per HPLC
Acido Solforico ultrapuro
Standard per taratura acidi (Acido Acetico, Acido Citrico, Acido Tartarico, Acido Succinico Acido
Glutarico, Acido formico, Acido malonico, Acido Malico, Acido fumarico, acido maleico, Acido Lattico,
acido gluconico)
Ammoniaca ultrapura al 1.5% come eluente per SPE
Colonnine C18 e NH2 per SPE con 500 mg di fase attiva.
Metanolo per HPLC.
Strumenti: Palloni tarati da 25 ml e da 10 ml
HPLC con rivelatore UV
Sistema per SPE
Metodica: Estrazione in fase solida: prelevare 6 g di campione e diluirlo in una provetta con tappo a 20 g con acqua
bidistillata omogeneizzando con cura la soluzione ottenuta. Per i calcoli finali approssimare la densità di
questa soluzione a quella dell’acqua. Prelevarne 5 ml con una pipetta e per eliminare le sostanze fenoliche
passarli in colonna C18 precedentemente attivata con 2 mL of una miscela 9:1 acqua/metanolo
(H2O/CH3OH), avendo cura di non far andare a secco la colonna.
Lavare la colonna con 2 ml di acqua e portare l’eluato a 25 mL di volume finale. Questa soluzione sarebbe
utilizzabile per la determinazione degli zuccheri. Volendoli separare dagli acidi prelevare 10 mL di questa
soluzione e passarla in una colonnina (NH2) precedentemente attivata con 5 mL of CH3OH. La colonna va
poi lavata con 2 ml di acqua per separare gli zuccheri mentre gli acidi si eluiscono con 2 ml di ammoniaca
all’1,5% . L’eluato va portato a 25 mL ed è pronto per l’analisi all’HPLC.
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Ne caso si utilizzi una pompa per aspirare la fase mobile dalle cartucce SPE regolare la pressione al minimo
per consentire il loro regolare funzionamento (Circa 1 goccia ogni 1-3 secondi).
Campione
6g 5 ml
2 ml H2O
A B
NH2 NH2
Zuccheri + acidi
Dil.: 16,67 volte 25 ml
Zuccheri Acidi
25 ml 25 ml
Dil: 41,67 v. Dil: 41,67 volte
Regolazioni Si lavora in regime isocratico con fase mobile H2SO4 0,005 M preparato di fresco. Si iniettano 20µL di
strumentali campione. Rivelatore UV-Vis e si lavora a 210 nm. La colonna è termostatata a 50 °C, e il flusso è a 1 ml
min-1. (Per migliorare la separazione si può diminuire il flusso fino a 0,6 ml/min).
acidi:
Regolazioni Si lavora in regime isocratico con fase mobile H2SO4 0,005 M preparato di fresco. Si iniettano 20µL di
strumentali campione. Rivelatore IR. La colonna è termostatata a 50 °C, e il flusso è a 1 ml min-1. (Per migliorare la
separazione si può diminuire il flusso fino a 0,6 ml/min).
zuccheri:
Tecnica: L’anidride solforosa è utilizzata in enologia per le sue proprietà antisettiche e antiossidanti per controllare
la fermentazione alcolica. Una parte rimane libera e la restante si combina con alcune componenti del vino.
Per questo di determina, tramite titolazione iodometrica, la solforosa totale data dalla libera più la
combinata. Particolarmente importante è la solforosa libera, determinata in fase di imbottigliamento del
vino, perché questa frazione è quella efficace contro l’ossidazione quindi per la conservazione del prodotto
finito. Si esprime in mg/l di SO2.
Reattivi: Sodio idrossido 4N: 160 g/L Acido solforico 1:4
Salda d’amido 1% Soluzione standard di I2 0,1 N (da standardizzare ogni giorno)
Strumenti: Buretta da 25 ml Pipetta tarata da 50 ml
Beuta con tappo smeriglio da 250 ml Pipette graduate da 5 ml e 2 ml
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Metodica Nella beuta si versano 5 ml di NaOH 4 N e 2 ml di salda d’amido all’1%. Si introducono 50 ml di vino in
Solforosa esame avendo cura di immergere la punta della pipetta nella soluzione, tappare ed agitare.
Dopo 5 minuti aggiungere 5 ml di acido solforico 1:4 e titolare con lo iodio fino a viraggio della salda a blu
totale: persistente. Dai ml di I2 si calcola il contenuto di solforosa totale.
Metodica Nella beuta si versano 2 ml di salda d’amido all’1%, 50 ml di vino in esame prelevato da un abottiglia
Solforosa appena stappata e 5 ml di acido solforico 1:4. Si titola immediatamente con lo iodio fino a viraggio della
salda a blu persistente. Dai ml di I2 si calcola il contenuto di solforosa libera.
libera:
Note: La legislazione comunitaria prevede i seguenti limiti per l’anidride solforosa nei vini
Vini rossi 160 mg/L SO2 (se zuccheri > 5 g/L) 210 mg/L SO2
Vini bianchi 210 mg/L SO2 (se zuccheri > 5 g/L) 260 mg/L SO2
Reazioni: SO2 + NaOH Na+ + HSO3− blocca la solforosa libera
HSO3− + NaOH Na+ + SO32− trasforma la solforosa combinata
SO32− + I2 + H2O 2 I− + SO42− + 2 H+ titolazione
Calcoli: N ⋅ Veq 1000 64
SO2 (mg / l ) = ⋅ ⋅ ⋅1000
1000 V p 2
Significato: Rappresenta l’insieme di tutte le sostanze che, in condizioni fisiche determinate, non volatilizzano. Queste
condizioni fisiche devono essere fissate in modo tale che le sostanze componenti tale estratto subiscano il
minimo di alterazione possibile
Tecnica: Calcolo indiretto in base al valore della densità del distillato dell’alcool e della densità del tal quale. Viene
espresso come la quantità in grammi di saccarosio che disciolta in acqua e portata ad 1 litro, fornisce la
stessa densità del residuo senza alcool.
Strumenti: Bilancia idrostatica
Apparecchio per la distillazione
Metodica: Si determina la densità dell’aceto tal quale (P1), la densità del distillato ottenuto nella determinazione
dell’alcool (P2) e il contenuto di acido acetico tramite l’acidità totale.
Quindi si calcola P, densità dell’estratto secco totale:
P = (P1 + 2) – (P2 + P3)
Dove p3 è la densità di una soluzione acquosa, contenente una percentuale di acido acetico uguale a quella
ricavata dall’acidità totale (si ricava da una tabella)
Dal valore di densità dell’estratto, tramite le tabelle, si risale al valore dell’estratto secco totale.
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Tecnica: Titolazione iodometrica dopo defecazione
Reattivi: Piombo acetato neutro soluzione satura (20 g di acetato di piombo neutro sciolto in H2O molto calda e
portato a 50 ml)
soluzione cupro alcalina (25g di CuSO4•5H2O, 50g di acido citrico, 388g di Na2CO3 e acqua fino a
1000ml),
Na2SO4 al 10 %
KI al 30%,
H2SO4 al 25%,
sodio tiosolfato 0,1 N
salda d’amido come indicatore
Strumenti: Beuta 300 ml con collo a smeriglio Buretta Pallone tarato
Refrigerante a bolle Pipette tarate
Metodica: Prelievo: Si differenzia il prelievo iniziale in base al contenuto di zuccheri riduttori che deve essere
compreso tra 0,5 e 1 % e per avere un idea della diluizione si usa il valore di zuccheri ricavato per via
rifrattometrica. Indicativamente, immaginando di usare un pallone da 100 ml, per i vini si diluisce da 2,5 a
10 volte (prelievo da 10 a 40 ml) mentre per i mosti da 25 a 50 volte (prelievo da 4 a 2 ml).
Defecazione: In un pallone da 100 ml si introducono 10-20 ml (a ml) di campione, si aggiungono poi 0,5 g
di acetato di piombo ogni 10 ml di campione prelevato. Si agita e si lascia riposare per 10 minuti, agitando
di tanto in tanto. Si aggiungono poi 1 ml di sodio solfato ogni 0,5 ml di piombo aggiunto poi si agita e si
porta a volume e si filtra su vetreria asciutta almeno 25 ml di campione. 1 ml di filtrato corrisponde a a/100
ml di campione.
Titolazione: in un pallone da distillazione da 250 ml si introducono 25 ml di soluzione cupro alcalina e 25
ml di soluzione di liquido defecato (questo volume di soluzione non deve contenere più di 60 mg di
zucchero invertito). Si porta all’ebollizione, che va raggiunta in 2 minuti max. Si applica un refrigerante a
ricadere e si mantiene all’ebollizione per 10 minuti esatti. Si raffredda rapidamente in acqua fredda , si
aggiungono 10 ml di soluzione di KI, 25 ml di H2SO4 al 25% e 2 ml di salda d’amido. Si titola con
tiosolfato 0,1 N e sia Vcamp il numero di ml utilizzati. Si effettua una prova in bianco con 25 ml di H2O al
posto della soluzione defecata e siano Vb i ml di tiosolfato usati.
(Vb − Vcamp ) ⋅ N tio ⋅ 37,15 10
Zuccheri riduttori % m / v = ⋅
25 a
123
13. Determinazione della caffeina in HPLC
Principi teorici:
La caffeina è una sostanza stimolante presente naturalmente nel caffè ma anche in molti farmaci o integratori. Il
presente metodo si può applicare alla determinazione sul caffè ma anche su altri prodotti previa opportuna purificazione
dell’estratto. La caffeina estratta è determinata mediante HPLC in fase inversa e rivelatore UV.
Reattivi occorrenti:
• Caffeina pura per analisi;
• Metanolo;
• Etanolo;
• Ossido di magnesio
• Fase mobile: miscela acqua/metanolo (70/30) solventi per HPLC;
Apparecchiatura:
Bilancia analitica HPLC
Macinino da laboratorio Colonna per HPLC C18
Piastra riscaldante con agitatore magnetico Rivelatore UV
Filtro a membrana da 0,45 m Sistema d’integrazione del segnale
Bagno ad ultrasuoni
Procedura manuale:
• Preparazione del campione ed estrazione: mantenere il caffe in grani nel congelatore per 1ora e 30 minuti prima di
effettuare la macinazione e setacciare il prodotto ottenuto su setaccio con luci maglie da 0,63 mm. Introdurre in una
beuta da 250 ml 1 g di campione, 4 g di ossido di magnesio pesante e 100 ml di acqua per HPLC; mantenere in
agitazione a 90°C per 1 ora. Registrare il peso della beuta prima e dopo l’estrazione per corregger le eventuali
perdite di acqua. Filtrare l’estratto attraverso una membrana da 0,45 m. Il filtrato è pronto per l’analisi in HPLC;
• Preparazione delle soluzioni standard: preparare una soluzione concentrata di caffeina (0,5 mg/ml) in acqua/etanolo
4:1. La soluzione conservata in frigorifero può essere utilizzata per un mese. Preparare per diluizione con acqua gli
standard relativi alla curva di calibrazione 5;10 e 15 g/ml;
• Determinazione cromatografica: predisporre la pompa dell’HPLC ad un flusso di 1,0 ml/minuto, usando la fase
mobile acqua/metanolo (70/30). Selezionare la lunghezza d’onda di 272 nm al rivelatore UV. Costruire la retta di
taratura con le soluzioni precedentemente preparate e successivamente iniettare una opportuna aliquota del
campione ottenuto;
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