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LA NECROPOLI

Luisa Brecciaroli Taborelli

LA SCOPERTA, IL SITO E LE INDAGINI

Il recupero di sei lapidi recanti brevi iscrizioni in alfabeto latino, rinvenute durante lavori di aratura profonda
e di spianamento per la messa a coltura di un terreno agricolo nelle campagne di Cerrione, risale all’autunno del
1985. Tale ritrovamento e le chiazze di terriccio nerastro carbonioso affioranti nel settore del campo intaccato più
in profondità dal trattore fornivano la prova della presenza di una necropoli di cremati con tombe segnalate da stele
lapidee1.
L’ubicazione del sito in prossimità del distretto aurifero della Bessa accresceva l’interesse del ritrovamento, già
di per sé inconsueto nel quadro dell’archeologia regionale. In particolare il sito è circa 1 km a S dell’abitato di Cer-
rione, nei pressi della Cascina Vignazza, al piede del cordone di alture boscose di origine morenica fiancheggiante
sul lato SW la piana alluvionale creata dalla confluenza del torrente Olobbia nell’Elvo (fig. 38).
Il terreno interessato dai ritrovamenti, in pendio alquanto scosceso nella fascia più a monte (da 261 a 254 m
s.l.m.), degrada poi dolcemente da W verso E sino a quota 251 s.l.m. Un fossato, bonificato in tempi recenti per con-
vogliare le acque reflue provenienti da monte, ne delimita il lato N, segnando anche il confine tra le diverse proprietà
fondiarie; un viottolo sterrato consente l’accesso al terreno dalla parte più alta, costeggiando la Cascina Vignazza e
il piede del pendio boscoso (fig. 39).

Fig. 38. Veduta satellitare della piana alluvionale a SE di Cerrione e localizzazione della necropoli (cerchio bianco) (© 2011
Google - immagine ©2011 TerraMetrics).

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Fig. 39. Veduta satellitare con l’area della necropoli a S della Cascina Vignazza (© 2011 Google - immagine ©2011 TerraMetrics).

Soltanto nel 1994 si dispose del finanziamento che consentì di avviare le indagini a partire dal settore da cui
provenivano, a detta del conduttore del terreno, le lapidi precedentemente rinvenute e asportate. Se le prime fos-
se sepolcrali individuate risultarono assai danneggiate dai lavori agricoli, l’ampliamento dello scavo in direzione S
ed E faceva scoprire un settore della necropoli pressoché intatto (fig. 40). Al termine di questo primo intervento,
completato nell’estate del 19952, risultarono scavati una settantina di depositi funerari e recuperati 24 segnacoli
lapidei, 22 ancora in situ, 11 recanti un’iscrizione3. Dopo un’interruzione, nell’autunno del 1998 furono ripresi gli
scavi che interessarono prima il settore occidentale, previo disboscamento del piede dell’altura, poi il settore centro-
meridionale. Questa seconda serie di indagini, condotte con intervalli anche prolungati, fu conclusa nel 2002 con
l’esaurimento del deposito archeologico nell’area oggetto d’intervento4.
Complessivamente lo scavo archeologico ha interessato una superficie di circa 1500 mq; è stato condizionato
sul lato N dal fosso di confine con sponda alberata e su quello W dallo scosceso pendio boscoso, ciononostante ha
consentito di accertare i limiti dell’area funeraria lungo i lati S ed E (tav. 1).
Al termine dei lavori, sono risultate scavate 214 sepolture in situ, 199 delle quali fornite di un corredo anche
minimo, talune dovute a più interramenti all’interno della stessa fossa sepolcrale5; inoltre, sono stati reperiti in totale
81 segnacoli lapidei (compresi i sei recuperati nel 1985), 60 dei quali forniti di iscrizione; di questi, 39 sono stati
rinvenuti in situ, 7 sono stati attribuiti con sufficiente probabilità6.
La sequenza stratigrafica rilevata suggerisce che il terreno in antico avesse un andamento a terrazzamenti de-
gradanti da NW a SE in misura più accentuata di quella odierna, con un dislivello di oltre 4 m su una distanza di
poco più di 55-60 m. Tale conformazione è suggerita dall’individuazione di tre livelli antichi sovrapposti. Quello
superiore (US104=121), formato da un sedimento di ghiaie, si estende con particolare consistenza nella fascia me-
diana dell’area, esaurendosi progressivamente nel settore più orientale; esso ricopre le fosse sepolcrali localizzate in
questa parte della necropoli ed è interpretabile come apporto colluviale più recente, solo in parte contemporaneo al
periodo di utilizzazione dello spazio funerario. Il livello intermedio (US105=122) è un sedimento naturale molto
compatto di ghiaie; in esso è scavata la quasi totalità delle fosse sepolcrali. Il livello inferiore (US 125) è formato
da un deposito di ghiaie e sabbia molto compatto; in esso risultano scavate alcune delle fosse nel settore più orien-
tale dell’area (fig. 42). Tale stratificazione è dovuta a fenomeni di apporto colluviale per dilavamento ed erosione
del pendio, che devono essersi verificati con una certa continuità anche durante il lungo periodo di utilizzazione

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Fig. 40. Settore della necropoli con affioramento del suolo d’uso antico.

Fig. 41. Tombe di fase 1 sconvolte dal rigagnolo US 137 (a sinistra).

dell’area funeraria. Ne sono indizio i casi di sovrapposizione di sepolture, non vicine nel tempo, riscontrati special-
mente nel settore NW della necropoli e spiegabili con l’obliterazione dei depositi più antichi. Tali fenomeni debbo-
no essersi accentuati dopo l’abbandono della necropoli; non più controllati, hanno provocato l’erosione della parte
più elevata di essa, con conseguente caduta dei grandi segnacoli lapidei pertinenti alle tombe, alcuni dei quali sono
slittati verso il basso (tav. 1, settore NW). Ulteriore conseguenza dell’erosione, che ha compromesso in misura di-
versa la conservazione dei depositi funerari nel settore occidentale della necropoli, è la quasi completa perdita delle
sepolture intercettate da un rigagnolo (US137) (fig. 41), colmato a sua volta dai depositi colluviali più recenti (US
101-102). Questi stessi eventi, al contrario, sembrano aver contribuito alla migliore conservazione delle strutture
funerarie nella parte centrale dell’area, dove l’accumulo più consistente di materiali colluviali ha formato nel tempo
una spessa coltre sul deposito già interessato dagli interventi antropici, conservato pressoché intatto anche nel set-
tore nord-orientale (fig. 42).

LE TOMBE, I SEGNACOLI, I DEPOSITI DI SUPERFICIE

Per tutto il periodo di frequentazione della necropoli è documentato il rito della cremazione, sia nella forma
“indiretta”, con sepoltura dei resti in apposito sepulcrum (o loculum) diverso dal luogo della cremazione, sia “diretta”,
con sepoltura nel luogo stesso di allestimento della pira (bustum). Nell’ambito dell’area indagata non si sono rilevati
resti di ustrina, verosimilmente dislocati all’esterno del sepolcreto.

Le tombe a cremazione indiretta e diretta


Il rito della cremazione indiretta è attestato in oltre il 90% delle tombe; queste consistono in fosse di forma irre-
golarmente circolare, con dimensioni variabili da meno di 1 a 1,50 m di diametro e profondità raramente superiore a
0,50 m. Conservano in genere un deposito inferiore, di spessore variabile da pochi centimetri a 0,40 m circa, di terre
carboniose prelevate dall’ustrina. I resti cremati risultano il più delle volte raccolti entro un contenitore ceramico de-
posto sul fondo della fossa prima della parziale colmatura con le terre di rogo, l’eventuale aggiunta di oggetti di cor-

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Fig. 42. Settore NE, con tombe a cremazione diretta e lapidi in situ. Fig. 43. Struttura funeraria T. 38.

redo e l’interramento finale (infra). Sul piano di fondo


di numerose fosse è stata rilevata la presenza di piccole
buche7, distanziate tra loro in modo più o meno rego-
lare; profonde al massimo 10 cm e con diametro di 5-7
cm, esse sono colmate da terriccio organico e appaiono
atte ad accogliere paletti a sostegno di un’intelaiatura o
graticcio disposto in verticale, di forma e funzione non
determinabili in assenza di altri elementi e di confronti.
Una ventina di tombe documenta il rito della cre-
mazione diretta8, in fosse di forma rettangolare (L. 1,80-
2,00 m; l. 0,80-0,90 m; prof. massima 0,40 m, raramente
raggiunta). Quattro di queste (TT. 26, 28, 207 e 111)
sono orientate in senso N-S, tutte le altre in senso E-W.
Fig. 44. T. 38 in primo piano e segnacoli affioranti delle contigue
TT. 35, 36 e 37. Le pareti presentano solo tracce di arrossamento da ca-
lore, perlopiù limitate alla parte superiore della fossa; sul
fondo si concentrano i resti della pira e le offerte al defunto. Le analisi eseguite sui legni combusti recuperati all’inter-
no delle fosse non hanno rilevato elementi riferibili a letti o barelle (fercula)9. Inoltre, non si è riscontrata la presenza
di ossa combuste, né nel sedimento di ceneri e residui della pira estinta, né all’interno dei recipienti ceramici deposti
in tomba; ciò potrebbe documentare un particolare trattamento dei resti cremati, tuttavia non facilmente spiegabile
né interpretabile10.
Differiscono dalle tipologie descritte tre strutture di piccole dimensioni, realizzate con materiale laterizio di
reimpiego (TT. 38, 119, 144), non assegnabili a una fase determinata11; esse parrebbero documentare una diversa
tipologia di sepolcro riservato forse, viste le ridotte dimensioni, a defunti in età infantile. La sola conservata intera-
mente consiste in una cassetta a doppio spiovente, formata da tegole spezzate (T. 38: fig. 43), sul cui fondo è stato
rilevato un sottile deposito di resti di combustione; essa è inserita in una cavità profonda pochi centimetri, emergen-
te in superficie in vicinanza di tre tombe, segnalate da lapidi anepigrafi, databili tra la fine del I e la prima metà del II
secolo (TT. 35-36-37: fig. 44). Delle altre due, probabilmente anch’esse in origine emergenti sul piano di frequen-
tazione della necropoli, si conserva solo il fondo: in un caso (T. 144) esso è formato da un mattone sesquipedale
poggiato in piano; nell’altro (T. 119) da una tegola con embrice a disco dimidiato su uno dei lati brevi12, collocata in
piano a sigillare una piccola fossa poco profonda riempita con terre di rogo.

I segnacoli
L’impiego frequente di segnacoli lapidei costituisce la peculiarità più significativa di questa necropoli13. Alle
tombe rinvenute (siano esse individuali o multiple) si riferiscono 81 segnacoli, 60 dei quali dotati di iscrizione.
È possibile, come ipotizza Cresci Marrone (infra), che anche le 21 lapidi anepigrafi, o almeno alcune di esse,

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possano aver recato in origine una qualche forma di segnalazione dell’identità del defunto14; comunque, anche
se anonime, esse dovevano svolgere la loro funzione meglio di altri tipi di segnacoli, meno evidenti nella loro
specifica funzione (ad esempio laterizi affioranti, piccoli cumuli di pietrame, ecc.) oppure realizzati con materiali
deperibili.
Le lapidi rinvenute in situ documentano la pratica di interrare il segnacolo sul margine della fossa sepolcrale,
talvolta in corrispondenza del sottostante deposito di cremazione (fig. 45), con la parte emergente pari, in genere,
alla metà circa dell’altezza del supporto (figg. 46-47). Inoltre, tutte le lapidi in situ dimostrano che il lato con iscrizio-
ne era rivolto verso la parte bassa del declivio, a E, da cui presumibilmente si accedeva all’area cimiteriale.

Fig. 46. Sezione del terreno tra le lapidi della T. 27 (a sinistra) e


T. 18 (a destra). Al centro è visibile l’urna (anfora) della deposizione
18.2.
Fig. 45. Lapide tangente all’urna della T. 222.

Fig. 47. Veduta del settore centrale della necropoli a livello del piano d’uso antico.

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I depositi di superficie
Al margine o nei pressi di alcune fosse sepolcrali si sono rinvenute olle interrate superficialmente in un pozzetto e
presumibilmente affioranti già in antico al livello del piano di calpestio15; in pochi casi esse sono coperte all’imboccatu-
ra da un frammento di tegola e non contengono traccia di resti di cremazione. La tipologia dei contenitori ne indica la
datazione tra l’età augustea e la prima metà del II secolo d.C.16. È verosimile che tali contenitori fossero utilizzati per il
deposito di offerte alimentari dedicate al defunto, dopo la cerimonia funebre o nei giorni consacrati al culto dei morti;
di questa consuetudine nella comunità locale sembrano essere la sola testimonianza materiale17. Il rapporto diretto con
il sepolcro appare indiscutibile nei casi dei depositi 127 (a margine della T. 90) e 134 (a margine della T. 2). In altri il
rapporto è più incerto, sia per la minore contiguità alla tomba, sia perché il contenitore è interrato tra due tombe vicine,
come nel caso dell’olla 118 (tra le TT. 25 e 36) o delle olle 108 e 10918, tra le TT. 2 e 3 (fig. 48).
Depositi simili sono segnalati in altri complessi funerari della Transpadana occidentale19 e alla stessa pratica
periodica di offerte potrebbero rimandare le olle isolate recuperate nella necropoli di Biella, con una distribuzione
nello spazio funerario molto simile a quella riscontrata a Oleggio20. Tuttavia la quantità di olle, in entrambi i casi ben
superiore a quella registrata a Cerrione, rende verosimile un’ipotesi interpretativa diversa dal deposito votivo con-
nesso al culto della tomba: quella che si tratti di sepolture da riferire alla componente più povera della comunità21.

Fig. 48. Depositi di su-


perficie interrati tra le
TT. 2 e 3.

IL PERIODO DI FREQUENTAZIONE E LE SUE FASI

L’inizio dell’utilizzo della necropoli da parte di una comunità stanziata nelle vicinanze va collegato agli eventi
storici che determinarono in forma peculiare la romanizzazione di questa parte della Cisalpina transpadana: nel
140 a.C. la conquista armata per opera di Appio Claudio Pulcro del territorio appartenuto ai Salassi, divenuto per-
tanto ager publicus Romanorum; nel 100 a.C. la deduzione di una colonia a Eporedia. L’attività di sfruttamento delle
risorse aurifere, che in quegli stessi decenni iniziali del I secolo a.C. - come pare confermare la documentazione
archeologica della Bessa (supra) - venne intrapresa su larga scala per conto dello stato romano da publicani, dovette
essere un motivo di attrazione per individui e nuclei famigliari, destinato a favorire lo stanziamento e la crescita
di almeno una comunità rurale22 in questa zona pedemontana non lontana da Eporedia (da cui verosimilmente
dovette dipendere per gli aspetti amministrativi) e in agevole collegamento viario e fluviale con la pianura e con
Vercellae, oppidum dei Libui23.

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Le indicazioni cronologiche fornite dai materiali rinvenuti nei corredi funerari concordano sostanzialmente
con i dati storici: la necropoli risulta, infatti, essere stata frequentata a partire dagli inizi del I secolo a.C. e sino
all’avanzato III secolo d.C., con una continuità che, in ambito transpadano, è fenomeno non comune.
Nell’ambito di questo lungo periodo, le sepolture di Cerrione24 sono state ricondotte a 7 fasi o fasce cronologi-
che, alla cui definizione si è pervenuti applicando i criteri usuali, basati sulle indicazioni fornite da manufatti a larga
diffusione, sulle associazioni all’interno dei singoli contesti e sulle analogie fra contesti. Si sono così superate non
poche difficoltà, quali: la rarità dei riferimenti forniti da monete25; la limitata presenza, sino ai primi decenni del I
secolo d.C., di ceramiche fini a larga diffusione, in associazione con manufatti di tradizione e produzione locali; la
ripetitività del corredo di ceramiche fini deposto nelle sepolture di piena età imperiale. Per quest’ultimo periodo, in
particolare, oltre una quarantina di corredi non sono stati giudicati sufficientemente caratterizzati per stabilirne con
sicurezza una datazione più puntuale tra l’età flavia e la prima età antonina (infra, fase 4-5).

Fase 1 (100-40 a.C.)


Manufatti tipici del periodo tardo La Tène padano26 connotano una quarantina di corredi, che possono essere
riferiti alla fase più antica di occupazione della necropoli (infra, Catalogo, Fase 1); in termini di cronologia assoluta,
tale fase trova riferimento nelle tappe del processo di romanizzazione del territorio, rappresentate a un estremo (100
a.C.) dalla deduzione coloniaria di Eporedia, quale atto finale della conquista, all’altro estremo (40 a.C.) dalla com-
piuta attuazione in quegli anni - dopo l’annessione all’Italia della ex provincia Galliae Cisalpinae (43-42 a.C.) - della
lex Julia (49 a.C.), con la concessione dello statuto municipale ai principali centri della regione27.
All’interno di questo periodo, riferibile a due generazioni, è possibile proporre una datazione più puntuale per
un buon numero di sepolture28. Pochi corredi presentano elementi tipici del periodo La Tène D1 e, pertanto, posso-
no appartenere al momento iniziale della necropoli29; tutti gli altri sembrano piuttosto collocarsi in una fase matura
del tardo La Tène, fissabile tra l’80 e il 40 a.C.30.

Fase 2 (40 a.C.-20 d.C.)


32 sepolture sono state ricondotte a questa fascia cronologica, che segna il periodo di transizione sino alla
completa integrazione della popolazione indigena nella dominante cultura romana31. Ai decenni 40-20 a.C. paiono
assegnabili alcuni corredi, nei quali persistono elementi tipici del tardo La Tène, con ceramiche di tradizione indige-
na associate a ceramiche di età triumvirale-protoaugustea32. In un panorama povero di manufatti a larga diffusione,
un riferimento cronologico importante è fornito da alcuni contesti: quello della T. 150 (tav. 23), che la presenza
di un asse dei magistrati monetali per Augusto (16-6 a.C.) e di un piatto in terra sigillata con bollo ARRET fanno
datare al passaggio dal I secolo a.C. al I secolo d.C.33; quelli delle TT. 98 e 108 (tavv. 19-20), dove compaiono i primi
esemplari di unguentari in vetro databili in età tardoaugustea-prototiberiana34. Questi contribuiscono a collocare in
un momento avanzato della fase 2 (circa 20 a.C.-20 d.C.) altre sepolture che, pur prive di componenti significative,
sono dotate di ceramiche comuni inquadrabili, per le peculiari caratteristiche tecniche, morfologiche e decorative,
in questi stessi decenni35. Si osserva, infine, che la fibula tipo 6 di schema tardo La Tène36, presente già in fase 1
(T. 56, supra) e ricorrente in sepolture di fase 2 (fig. 52), si conferma come uno dei possibili “fossili-guida” per i
contesti funerari regionali dal 50-40 a.C. sino all’età primo-imperiale.

Fase 3 (20-70 d.C.)


Manufatti in ceramica37 e in vetro38, di usuale diffusione nella prima metà e non oltre il terzo quarto del I secolo
d.C. in Italia settentrionale e nelle regioni transalpine confinanti, contribuiscono a collocare in età giulio-claudia 21
sepolture. Particolarmente significativi, per la presenza di più d’una di tali componenti in associazione, sono i corre-
di delle TT. 46, 47, 66, 169 (tavv. 35-36, 40, 42), che forniscono elementi di riferimento per altri meno ricchi o non
sufficientemente connotati.

Fase 4 (70-120 d.C.)


I 5 depositi funerari individuati all’interno della T. 1 (tavv. 46-49)39, che presentano diversi elementi comuni
e sono dovuti a interramenti ravvicinati nel tempo, forniscono un valido confronto per altri 20 contesti inquadrabili

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tra gli ultimi decenni del I e quelli iniziali del II secolo. La datazione del complesso della T. 1 all’età flavia è conferma-
to da una delle pochissime monete leggibili, un dupondio di Vespasiano deposto (con altre due monete illeggibili)
all’interno dell’urna della T. 1.2. In queste sepolture, come nelle altre assegnate alla stessa fase, ricorrono elementi,
quali soprattutto le coppe a pareti sottili con decorazione mista40 e gli unguentari in vetro a forma di sfera (Is. 10) e di
colomba (Is. 11), che in altri complessi funerari della Transpadana e del Canton Ticino sono peculiari della seconda
metà del I secolo e non oltrepassano l’età traianea41.

Fase 5 (120-170 d.C.)


Altri elementi concorrono a caratterizzare 20 corredi assegnabili al pieno II secolo d.C., con un esempio par-
ticolarmente significativo fornito dal corredo della T. 30 (tav. 94). Accanto alla coppa Conspectus 34 e alla scodella
Conspectus 3, le due forme che ricorrono più di frequente nei depositi funerari di Cerrione dagli ultimi decenni del
I secolo d.C.42, la comparsa di alcuni esemplari delle forme più comuni della produzione tarda di sigillata padana
contribuisce a datare i relativi corredi tra il secondo e il terzo quarto del II secolo43.

Fase 6 (170-230 d.C.)


Il vasellame in terra sigillata tardopadana si rivela determinante per la caratterizzazione e la conseguente data-
zione dei contesti relativi alla fase finale di frequentazione della necropoli (infra, Catalogo, Fase 6, tavv. 108-117).
La scodella Conspectus 3 - ancora presente a Cerrione nella prima età antonina44 - e la coppa Conspectus 34, vengono
sostituite nel corso del terzo quarto del II secolo da un “servizio” tipicamente tardoantonino-severiano (varianti
locali tarde delle coppe Dragendorff 7 e 40 e della scodella Dragendorff 37/32), che si accompagna a un repertorio
di ceramiche comuni peculiare della media e tarda età imperiale45.

Fase 7 (seconda metà III-IV secolo)


Un’unica sepoltura (T. 213, tav. 118) presenta un corredo ben inquadrabile in un momento avanzato del III
secolo e forse oltre, grazie ai confronti puntuali che le sue componenti ceramiche46 trovano in diversi contesti di
ambito regionale.

OCCUPAZIONE DELLO SPAZIO E CONSERVAZIONE DEI DEPOSITI FUNERARI

Le 39 sepolture assegnate alla fase 1 (100-40 a.C.), cui andrebbero aggiunti almeno altri tre depositi non rile-
vati in situ, ma segnalati da reperti presenti nei sedimenti di terre di rogo di tombe posteriori47, sono collocate nel
settore nord-occidentale della necropoli (planimetria tav. 1), il più elevato e soggetto a fenomeni d’erosione (supra),
causa quest’ultima del cattivo stato di conservazione della maggior parte dei depositi. Nessuna delle sepolture è sta-
ta rinvenuta intatta, ma 4 conservano il deposito di cremazione in situ (grado di conservazione 2)48; nella maggior
parte dei casi si conserva, in tutto o in parte, il sedimento di terre di rogo con frammenti ceramici e sparsi elementi
di corredo (grado 3 o 3-4); altre, infine, sono risultate completamente distrutte (grado 4)49.
Le 32 sepolture50 assegnate alla fase 2 (40 a.C.-20 d.C.), occupano il settore occidentale dell’area cimiteriale,
alla medesima quota altimetrica dei depositi più antichi; esse comportarono un ampliamento dello spazio funerario
su tutta la fascia superiore del pendio (planimetria, tav. 1) e la prima occupazione del settore centro-settentrionale.
Il grado di conservazione dei depositi è mediamente superiore a quello delle sepolture di fase 1: una quindicina
sono conservati pressoché intatti o in misura sufficiente da consentire di rilevare le modalità di trattamento dei resti
cremati e di deposizione delle offerte al defunto (gradi 1-2).
Le 21 sepolture riferite alla fase 3 (20-70 d.C.) si attestano nella quasi totalità nel settore centrale della ne-
cropoli, incrementando così l’occupazione di spazi già interessati da depositi della fase precedente. Si riscontrano
in questa fase casi palesi di interferenze tra fosse (fig. 49), dovuti a nuovi interramenti (ad esempio TT. 12, 53 e 18,
in sequenza temporale), e altri di stretta contiguità delle fosse (ad esempio TT. 5-9 e 46-66); eccezionale è il caso
di completa sovrapposizione o quasi (ad esempio la T. 19 sulla T. 58). Questo fenomeno suggerisce che vi fosse
interesse a sfruttare il più possibile lo spazio pertinente a un gruppo vincolato da legami di consanguineità o da altre

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Fig. 49. Settore della necropoli con tombe a cremazione diretta contigue e in parte intersecantisi.

forme di rapporto51. L’esistenza di spazi destinati, in qualche modo circoscritti, è documentata con evidenza dalle
due tombe contigue contenenti i resti di membri della gens Farsuleia (TT. 217-218), che paiono aver occupato per
prime il settore NE dell’area indagata, successivamente connotato da una significativa presenza di membri della
stessa famiglia. Nonostante gli episodi di interferenza, lo stato di conservazione delle tombe della fase 3 è piuttosto
elevato (grado 1-2) grazie alla consistenza dell’interro superiore.
La collocazione delle 87 sepolture riferibili al periodo compreso tra l’età flavia e quella adrianeo-antonina (fasi
4, 4-5, 5)52 pare confermare l’organizzazione dello spazio funerario in settori o spazi di pertinenza, già notati nella
collocazione di alcune tombe di fase 2 e rilevati in misura più evidente in quella di altre tombe di fase 3 (planime-
tria tav. 1). Le particolari esigenze derivanti dal nuovo rituale della cremazione diretta, introdotto a Cerrione in età
adrianea, si riflettono sulla collocazione dei primi busta a margine dei nuclei di sepulcra dislocati nel settore centrale
e nord-orientale dell’area. Sembra fare eccezione la T. 52 che, inserita tra le cremazioni indirette del nucleo occiden-
tale, è risultata quasi completamente distrutta da successivi depositi di cremazione (TT. 8, 9 e 51 di fase 4-5).
La piena affermazione del rituale di cremazione in situ, nei decenni finali del II secolo (fase 6), porta a oc-
cupare spazi ancora liberi per l’allestimento delle pire, come dimostra la dislocazione marginale dei busta sui lati
meridionale e orientale dell’area cimiteriale indagata.

PRATICHE FUNERARIE: DEPOSITI DELLE CENERI E CORREDI

Le cremazioni indirette di età tardo-repubblicana e augustea (fasi 1 e 2)


Il mediocre grado di conservazione (gradi 3-4) e le difficili condizioni di recupero della maggior parte dei
depositi più antichi della necropoli (fase 1) condizionano in misura rilevante la valutazione sia delle modalità di
trattamento e interramento dei resti cremati, sia della composizione originaria e delle procedure di deposizione dei

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corredi; il campione diventa più consistente e attendibile nella fase successiva, dal momento che quasi la metà delle
sepolture di fase 2 ha un elevato grado di conservazione (grado 2).
I depositi delle ceneri.
Le tombe del primo periodo di frequentazione della necropoli hanno restituito una quantità particolarmente
ridotta di ossa umane combuste, fenomeno che potrebbe derivare dalla mancata conservazione dei resti nel terreno,
ma anche dalla selezione dei resti da seppellire53.
Nelle sepolture di fase 1 (100-40 a.C.) la raccolta delle ceneri in un contenitore (olla con ciotola-coperchio) è
documentata con certezza soltanto nel caso della T. 6, rinvenuta in situ (fig. 50); in molti altri questa pratica è parsa
ipotizzabile, tenendo conto della presenza costante di olle e ciotole in ceramica grezza, in tutto o in parte ricostruibili
(fig. 51), tra i recipienti frammentari raccolti nei resti dei roghi, un dato che sarebbe coerente con la tradizione indi-
gena di sostrato54. Diversamente, in un caso almeno (T. 56, databile nel 50-40 a.C.: infra, Catalogo) è stata osservata
una concentrazione di ossa selezionate, deposte in una piccola nicchia ricavata a margine della fossa, priva apparen-
temente di un dispositivo di protezione; in altri casi, infine, è sembrato ragionevole supporre che venisse adottata la
pratica di disperdere nella fossa minuti resti ossei combusti55.
L’impiego di olle di medie dimensioni con funzione di ossuario è sicura nella maggior parte delle sepolture di
fase 2 (40 a.C.-20 d.C.). Il contenitore appare in qualche caso privo di un coperchio, ma negli altri viene utilizzata a
questo scopo una ciotola-coperchio oppure una tegola spezzata posta in piano; un caso particolare è documentato
nella T. 156 (fig. 52), dove un’olla di dimensioni minori è inserita all’imboccatura. L’urna è collocata quasi sempre di
lato, a ridosso della parete, protetta talvolta con ciottoli e frammenti
di tegole costipati per ragioni di stabilità. In casi particolari56 l’olla
ossuario è interrata in un pozzetto di diametro e profondità appena
maggiore, protetta all’intorno con materiale costipato e coperta con
una tegola spezzata.
I corredi: composizione.
Una quindicina di cremazioni (su un totale di 70) databili in età
tardo-repubblicana e augustea risulta contenere il solo deposito di
ceneri57; le restanti 55 sono fornite di un corredo di consistenza va-
riabile, talvolta probabilmente incompleto, talaltra di incerta indivi-
duazione a causa di interferenze derivanti da sepolture successive58.
Fig. 50. Urna della T. 6.

Fig. 51. Urne e corredi delle TT. 180 (a sinistra) e 178 (a destra).

70
LA NECROPOLI

Fig. 52. Urne e corredi delle TT. 156 (a sinistra) e 166 (a destra).

La componente più significativa in tutti i corredi è rappresentata da recipienti ceramici. Olle e ciotole in cera-
mica grezza sono presenti in quasi tutte le sepolture, in stato più o meno frammentario, con un minimo di uno e un
massimo di sei-sette esemplari. Il deposito di ceramiche da mensa (vasi a trottola e piatti in comune depurata tardo-
celtica, piatti a vernice nera e bicchieri a pareti sottili) riguarda, invece, meno della metà delle sepolture59; solo in 4
depositi di fase 1 (TT. 122, 168, 176, 183: tavv. 5, 10, 12 e 14) e in 5 di fase 2 (TT. 136, 160, 163, 164, 165: tavv. 20,
25-26, 28) il corredo ceramico consiste in un “servizio” relativamente completo di ceramiche culinarie e da mensa.
Gli oggetti con possibile valenza rituale compaiono eccezionalmente: una lucerna frammentaria è presente nel
contesto T. 89 (fase 1), dubitativamente interpretabile come fossa di scarico piuttosto che come sepoltura (infra,
Catalogo); un unguentario fittile è presente nella T. 160 (tav. 25) e un altro, forse, nella T. 58 (residuale in T. 19, tav.
33); due unguentari in vetro sono, poi, deposti nelle TT. 98 e 108. Infine, in sole quattro sepolture, tutte di fase 2, è
attestata l’offerta della moneta60.
Gli elementi dell’abbigliamento sono rappresentati da fibule e quelli di ornamento da pochi semplici monili.
In 17 corredi sono deposte fibule, raramente più di un esemplare e in associazione con un monile (T. 122, fase 1;
TT. 136, 160, 166, fase 2). Perle isolate in vetro o ambra, bracciali in vetro, oltre a un pendente in pietra verde e a un
anello, ricorrono in 8 corredi, la metà dei quali identificabili come femminili per la presenza della fusaiola (TT. 122,
fase 1; TT. 160, 163, 164, fase 2).
La deposizione di utensili e di particolari accessori riguarda 11 sepolture di fase 1 e 12 di fase 2, ossia il 32%
del totale. Lo strumento più frequente è la fusaiola fittile, con 15 esemplari che consentono di identificare come
femminili 12 sepolture; seguono il coltello (8 esemplari), il rasoio-raschiatoio (4 esemplari) e le cesoie (2 esempla-
ri). Talvolta diversi utensili sono deposti nello stesso contesto: una cesoia con una fusaiola, in contesto certamente
femminile (T. 56, tav. 2); una seconda cesoia, con un coltello e un rasoio, nella T. 175 (fig. 169) che si distingue nel
panorama sin qui prospettato per essere dotata, oltre che di questo insieme di utensili, di un recipiente in legno con
gabbia metallica61. Per la loro unicità si segnalano, poi, due accessori in ferro deposti in altrettanti corredi risalenti
alla prima metà del I secolo a.C.: un mestolo (T. 168, fig. 177) e un amphoriskos (T. 178, fig. 51).
A due deposizioni della stessa fase 1, non conservate, sono infine riferibili due umboni di scudo (fig. 166),
incongrua e suggestiva presenza residuale nel contesto della T. 1, di età flavia (infra, Catalogo, Fase 4); essi atteste-
rebbero la presenza nella necropoli, durante la prima fase della sua frequentazione, di una componente maschile
dotata di parti dell’armamento di tipo celtico, ridotto alla sola componente da difesa.

71
LUISA BRECCIAROLI TABORELLI

I corredi: modalità di deposizione e collocazione.


Non è facile discernere tra i reperti rinvenuti quali appartengono al corredo primario - deposti sulla pira o nei
pressi durante la cerimonia della cremazione - e quali al corredo secondario. I recipienti ceramici da mensa (comune
depurata, vernice nera, pareti sottili), in vario grado alterati dal calore della pira e frantumati, sono stati coinvolti
nella cerimonia della cremazione: da uno a tre esemplari sono attestati nel 40% circa delle sepolture dotate di un pur
minimo corredo. Alcuni recipienti culinari, sovente documentati da frammenti e raccolti nei sedimenti dei resti del
rogo di una quindicina di sepolture, possono essere stati utilizzati anch’essi nella stessa fase della cerimonia funebre,
ma in almeno una ventina di contesti risulterebbero deposti sia come corredo primario che secondario. Anche i due
unguentari fittili delle TT. 160 e 58 (?), sebbene frammentari, potrebbero non essere stati esposti al rogo, come i due
unguentari in vetro delle TT. 98 e 108 (supra).
Per quanto è possibile dedurre dallo stato di conservazione, le modalità di deposizione degli oggetti relativi
all’abbigliamento e all’ornamento, nonché degli utensili, non paiono seguire regole precise. Le fibule erano proba-
bilmente indossate dalla salma esposta sulla pira, mentre solo una parte dei monili presenta segni evidenti di altera-
zione da calore, come l’anello della T. 136 (fase 2) o i due bracciali in vetro, frammentati e deformati, delle TT. 122
(fase 1) e 163 (fase 2).
Se la maggior parte delle fusaiole reca segni di combustione, altre sembrano deposte integre al momento della
sepoltura. La natura di deposito primario degli utensili e accessori in ferro, la cui corrosione e frammentarietà può
essere dovuta a naturale processo di degrado del metallo, è determinabile solo nei casi di accentuata deformazione
(come nel caso dei citati umboni di scudo) e di disgregazione della componente organica, come nel caso del reci-
piente ligneo con gabbia metallica della T. 175.
Il non rispetto di procedimenti tradizionali nella sequenza cerimoniale emerge anche dalla collocazione degli
oggetti nella sepoltura, osservabile nella ventina di depositi meglio conservati, appartenenti nella quasi totalità alla
fase 2. La pratica di inserire all’interno dell’urna-ossuario gli oggetti di corredo sembra poco diffusa, essendo do-
cumentata in sole 5 sepolture62. Questo ristretto numero di casi suggerisce che le modalità di giacitura dei reperti,
riscontrate in corso di scavo, riflettano in larga misura la collocazione originaria nelle terre di rogo sparse all’esterno
dell’ossuario, senza particolari dispositivi di protezione in materiale durevole (fig. 53).

Fig. 53. Ceramiche frantumate nel riempimento carbonioso della T. 72.

72
LA NECROPOLI

Le cremazioni indirette di età imperiale (fasi 3, 4 e 5)


Circa il 95% delle cremazioni indirette databili tra l’età giulio-claudia e la prima età antonina ha un buon grado
di conservazione (gradi 1-2), che ci porta a disporre di un campione di oltre 90 sepolture.
I depositi delle ceneri.
La sepoltura dei resti della cremazione in un ossuario ceramico è consuetudine per tutto il periodo impe-
riale. Oltre all’olla, recipiente tradizionale, si hanno in età giulio-claudia (fase 3) i primi esempi di reimpiego con
funzione di urna di anfore da trasporto segate all’altezza della spalla. Questo contenitore è destinato ad affermarsi
rapidamente, tanto da superare in percentuale l’olla, in un rapporto stabile del 65% rispetto al 30% circa sin da
età flavio-traianea (fase 4). I dispositivi di chiusura di entrambi i tipi di ossuario sono quelli tradizionali della
ciotola-coperchio, della tegola spezzata (fig. 54), della pietra piatta o ciottolo (fig. 56), secondo l’uso affermatosi
in loco già nel periodo precedente e in periodo imperiale documentato diffusamente anche nella vicina necropoli
di Biella63. In alcuni casi la parte superiore già asportata è stata ricollocata a chiusura dell’anfora segata (fig. 55); in

Fig. 54. Urna della T. 30. Fig. 55. Deposizione doppia all’interno della T. 32.

altri si osserva l’impiego di recipienti diversi con fun-


zione di coperchio: un piatto in terra sigillata64, oppure
un’olla (fig. 55)65, o anche un tegame66. La collocazione
dell’urna cineraria, sovente alloggiata entro una cavità
apposita all’interno della fossa, è sempre decentrata e
non rispetta un particolare orientamento (fig. 56). Fre-
quentemente alla base e attorno al contenitore sono
sistemati ciottoli e frammenti di laterizi, a formare pro-
tezione (figg. 57-58).
In rari casi sono documentate modalità diverse di
deposito delle ceneri: nella T. 62 (fase 3) una ciotola ca-
povolta è collocata in una piccola cavità a margine della
fossa, protetta su un lato da una pietra infissa in verticale,
a coprire due unguentari in vetro deposti sopra poche
ossa combuste (fig. 59); nella T. 101 (fase 4) l’olla ci-
neraria con ciotola-coperchio è collocata, assieme con
il corredo, entro una cassetta rettangolare di tegole ad
alette (fig. 60); una struttura analoga, con fondo lapideo
e pareti laterizie, assai danneggiata, è documentata nella
T. 54 (fase 4-5: infra, Catalogo).

Fig. 56. Esempio di urna collocata a margine entro cavità apposita.

73
LUISA BRECCIAROLI TABORELLI

Fig. 58. Urna della T. 37.

Fig. 57. Urna della T. 29.

Fig. 59. Resti di cremazione con unguentari sovrapposti nella T. 62. Fig. 60. Urna e corredo in cassetta laterizia (T. 101).

74
LA NECROPOLI

I corredi: composizione (figg. 61-64).


Nell’ambito del corredo ceramico, si osserva che la componente culinaria, a partire da età tiberiana e sino alla
metà circa del II secolo, scompare in oltre la metà delle tombe e, quando è presente, è ridotta di fatto alla sola olla
di dimensioni medio-piccole67 (fig. 61). Solo attorno alla metà del II secolo vengono introdotti nel “servizio culina-
rio” i primi tegami (TT. 20 e 224: tavv. 92, 106), forma tipicamente mediterranea prima d’allora assente nei corredi
funerari locali.
Per tutto il I e gli inizi del II secolo d.C. le suppellettili ceramiche da mensa, non presenti in tutti i contesti68,
sono ridotte all’essenziale, con prodotti di officine locali padane a larghissima diffusione regionale: piatto e/o coppa
in terra sigillata, coppa a pareti sottili o in ceramica comune depurata, deposti sovente in un solo esemplare, talvolta
in associazione tra loro. Rappresentano un’eccezione i tre Ringhenkelskyphoi invetriati con decorazione a rilievo
attestati in tre corredi (TT. 46, 47 e 66) di età claudio-neroniana (fase 3)69. Alla fine del I secolo la sola novità nella
composizione del “servizio” da mensa ceramico, ormai standardizzato, è l’introduzione dei primi esemplari di olla a
collo cilindrico, forma di contenitore peculiare della regione, destinata a diventare elemento ricorrente nei corredi
del II secolo70.
A partire da età giulio-claudia (fase 3), alla componente ceramica si affiancano recipienti in vetro, per libagione
(brocche e vasi potori), oppure funzionali alla conservazione e alla presentazione di particolari alimenti (bottiglie
e pissidi)71. Le presenze interessano una percentuale minoritaria di sepolture (5 in fase 3, 9 in fase 4, 3 in fase 5);
in 5 corredi databili nella seconda metà del I secolo d.C. si trovano in associazione tra loro forme vitree con diversa
funzione72, ma nei restanti è deposto un solo recipiente.
È possibile che, da età adrianeo-antonina, la brocca fittile (olpe), presente in un ristretto numero di contesti73,
venga a sostituire la brocca in vetro, ora attestata da un solo esemplare (T. 196, tav. 102)74. L’introduzione, singolar-
mente tardiva, di questo contenitore nel “servizio” da mensa deposto in tomba si accompagna a un’altra peculiarità
dei corredi ceramici di questa fase, ossia la presenza crescente in quantità (fino a otto recipienti nella T. 30, tav. 94)
e varietà formale del vasellame in terra sigillata, con l’introduzione di nuove forme proprie della tarda produzione
padana75.
Gli oggetti con possibile valenza rituale, eccezionali nei corredi del periodo tardo-repubblicano e augusteo
(supra), sono relativamente più frequenti in quelli del periodo imperiale: una ventina di monete; quattro lucerne,
tre deposte in corredi di età giulio-claudia (TT. 46, 47 e 66, tavv. 35-36, 40), la quarta in contesto di età adrianea

Fig. 61. Corredo della T. 62.

75
LUISA BRECCIAROLI TABORELLI

Fig. 62. Urna e corredo della T. 101.

Fig. 63. Urna e corredo della T. 1.2.

76
LA NECROPOLI

(T. 198); sei statuette fittili, simboliche protettrici di prerogative e attitudini da preservare nell’aldilà76. L’oggetto più
ricorrente, sebbene non attestato in tutti i corredi, è l’unguentario vitreo di tipo comune, sovente deposto da solo o
in più esemplari, in corredi di età giulio-claudia e flavio-traianea (fasi 3 e 4), ma anche in associazione con tipi parti-
colari, quali gli unguentari a sfera e a colombina, prodotti tipicamente norditalici77.
Gli elementi dell’abbigliamento sono poco frequenti: infatti, sono presenti negli oltre 90 corredi di questo
periodo solo quattro fibule e otto calzari attestati dai caratteristici chiodini da scarpa.
Gli ornamenti sono attestati nel 18% circa dei corredi (figg. 62-64). Tra questi prevalgono le perle d’ambra, ta-
lora in numero sufficiente da formare una collana; anche qui, come già documentato nella necropoli di Biella78, que-
sto peculiare ornamento femminile ha la massima diffusione tra la seconda metà del I e i primi decenni del II secolo;
in un solo caso alla collana è associato l’anello digitale (T. 169). Quest’ultimo monile, talora decorato da gemma
incisa, è rappresentato da una decina di esemplari (tre dei quali concentrati nella T. 47, di età claudia) distribuiti su
tutto l’arco cronologico in esame79; in età adrianea (fase 5) risulta essere il solo monile deposto in tomba.
Utensili e accessori, sovente in associazione tra loro, sono deposti nel 40% circa dei corredi di età giulio-claudia
(fase 3); essi arrivano al 60% circa tra l’età flavia e quella antonina (fasi 4-5).
La fusaiola resta lo strumento a connotazione femminile predominante (23 esemplari), talvolta deposta in
doppio esemplare nello stesso corredo; con l’età giulio-claudia compare l’ago (10 esemplari), in nessun caso depo-
sto in associazione con la fusaiola.
Il coltello, di uso polivalente nelle attività domestiche e non, si conferma anche nel corso dell’età imperiale
l’utensile comunemente utilizzato da entrambi i sessi: 22 coltelli di tipo B e 14 di tipo C80 sono deposti in altrettante
tombe.
Il rasoio-raschiatoio, attestato da pochi esemplari nei corredi del periodo tardo-repubblicano e augusteo (su-
pra), diventa più frequente dall’età giulio-claudia (14 esemplari). Coltello e rasoio si trovano in qualche caso asso-
ciati tra loro o, separatamente, con la fusaiola oppure con l’ago.
La presenza degli stili, strumento a connotazione maschile (forse presente già alla fine dell’età repubblicana
nella T. 60), segnala la conoscenza e la pratica della scrittura da parte del defunto; in un caso è deposto assieme
con un rasoio-raschiatoio (T. 93, tav. 60), in altri due assieme con un rasoio e un coltello (T. 13.2, tav. 69 e T. 219,

Fig. 64. Urna e corredo della T. 169.

77
LUISA BRECCIAROLI TABORELLI

tav. 65); tre degli stili appartengono ad altrettanti corredi di defunti, che hanno lasciato memoria di sé nella lapide
posta a segnacolo della tomba81.
Strumenti e accessori diversi sono documentati solo eccezionalmente: due specchi, rispettivamente in un cor-
redo d’età giulio-claudia (T. 18.2, tav. 31) e in un secondo di età adrianea (T. 195, tav. 102); un falcetto in uno di età
adrianeo-antonina, (T. 105, tav. 100); una punta di giavellotto in un altro di età tardoantonina-severiana (T. 23, tav.
109).
I corredi: modalità di deposizione e collocazione (figg. 65-67).
La componente ceramica del corredo consente di rilevare nel corso dell’età imperiale alcune variazioni nei
procedimenti di deposizione. Si osserva, infatti, che nelle sepolture di età giulio-claudia e sino ai primi decenni del
II secolo (fasi 3 e 4) i recipienti da cucina sono, con poche eccezioni, deposti come corredo secondario. Mostrano,
invece, segni inequivocabili di utilizzo al momento della cremazione quasi tutti i recipienti in terra sigillata, in misura
minore le coppe a pareti sottili e altri vasi in comune depurata. Un cambiamento nelle consuetudini cerimoniali pare
riscontrabile a partire dal secondo quarto del II secolo (fase 5); esso consiste nel più largo impiego di ceramiche da
cucina, assieme a quelle destinate al consumo individuale del pasto, durante la fase della cremazione (figg. 66-67).
Diversamente, sono deposti come corredo secondario i contenitori per mescere e presentare gli alimenti (olle a collo
cilindrico, olpi e coppe di medie dimensioni). Offerte vegetali (sparse in genere nelle terre di rogo e frequentemente
contenute nell’ossuario) sono talvolta deposte, per la presentazione al defunto, all’interno di alcuni dei recipienti82,
prevalentemente da mensa, sia dopo essere stati esposti alla pira83 sia, più di sovente, deposti come corredo secon-
dario84. Particolarmente significativo è il caso riscontrato nel deposito della T. 78, dove offerte vegetali sono state
rinvenute, oltre che nell’anfora cineraria, anche in una coppa in terra sigillata di deposito primario e in una pisside
in vetro di deposito secondario85.

Fig. 65. Urna e parte del corredo secondario deposto all’esterno.

78
LA NECROPOLI

Fig. 66. Urna, corredo secondario e corredo primario frantumato Fig. 67. Corredo primario frantumato della T. 105.
della T. 192

Al corredo secondario appartengono anche le lucerne, i contenitori per sostanze aromatiche86 e, almeno in
parte, gli utensili metallici, come suggerito dai risultati delle analisi su tessuti mineralizzati (tele di lana e, forse, lino)
e su resti organici (osso, corno, legno) di manici e custodie87.
Mostrano, invece, tracce inequivocabili di esposizione al calore della pira gli elementi di abbigliamento (fibule
e calzari) e la maggior parte degli ornamenti, indossati dalla salma o, comunque, offerti durante la cremazione. A
questa stessa fase della cerimonia funebre appartengono, a giudicare dal loro stato di conservazione, anche le statuet-
te fittili votive, rideposte nella tomba tra i resti del rogo.
Pur nella variabilità della collocazione delle diverse componenti del corredo, emerge costante l’attenzione po-
sta dai vivi per evitare che il peso della terra potesse danneggiare gli oggetti più fragili o preziosi oppure più cari al
defunto: di qui la consuetudine di collocare con cura all’interno dell’ossuario, specie allorché questo consisteva in
una capace anfora di reimpiego, gli oggetti in vetro e quelli più strettamente personali (ornamenti e utensili), oppure
quella di apprestare efficaci, anche se elementari, dispositivi di protezione esterni all’urna. Il caso più evidente è
rappresentato dalle piccole casse, sorta di ripostigli (figg. 68-69), realizzate con spezzoni di laterizi, trovate affiancate
al contenitore per le ceneri (generalmente l’olla) in alcune sepolture della seconda metà del I secolo d.C. e succes-
sive88.

Fig. 68. Urna e resti di cassetta laterizia con corredo della T. 47. Fig. 69. Brocca in vetro della T. 196.

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LUISA BRECCIAROLI TABORELLI

Fig. 70. Corredo della T. 203.

Le cremazioni dirette di età imperiale (fasi 5 e 6)


Le 20 sepolture a cremazione diretta databili tra i decenni centrali del II e quelli iniziali del III secolo89 sono
accomunate, oltre che dalle modalità del rituale crematorio - che sembra comportare la dispersione delle ceneri
dopo l’estinzione della pira (supra) - anche dalla notevole omogeneità sia nella composizione del corredo, sia nei
procedimenti di deposizione dello stesso nelle fasi della cremazione e dell’interramento (figg. 70-74).

Fig. 71. Corredo della T. 204.

80
LA NECROPOLI

Fig. 72. Corredo della T. 26.

La consistenza della componente ceramica costituisce la principale peculiarità di tutti i corredi deposti nei
busta. Altra peculiarità consiste nel fatto che la connotazione individuale è fornita al corredo esclusivamente dagli
utensili; scompaiono gli elementi di abbigliamento e ornamento, con la sola eccezione dell’anello digitale deposto
nella T. 44 (tav. 113).
Se in due delle prime cremazioni dirette (TT. 25 e 26, tav. 93 e fig. 72), databili nei decenni centrali del II secolo
(fase 5), il corredo ceramico non si discosta da quello delle contemporanee cremazioni indirette, l’insieme di sup-
pellettili deposte nella tomba di Secunda Farsuleia (fase 5, T. 81, tavv. 98-99 e fig. 132) esemplifica, per composizione
e per quantità, il corredo ricorrente nelle cremazioni dirette dei decenni successivi, pur con variazioni che riguar-
dano la morfologia più che la funzione dei singoli recipienti. Il corredo ricorrente comprende, ora, olle da fuoco di
diverse dimensioni e tegami, contenitori per la dispensa e la presentazione, coppe e piatti per il consumo del pasto,
rappresentati da un minimo di 4 recipienti (TT. 207, 209, 211) a un massimo di 13 (TT. 41, 225), con una media di
8-10 esemplari.
Al corredo ceramico si accompagnano uno o più utensili rappresentati quasi esclusivamente dalla fusaiola (7
esemplari) e dal coltello (9 esemplari), oltre che da un ago.
Le tombe a cremazione diretta consentono osservazioni di maggior dettaglio circa i procedimenti seguiti dalla
comunità nella deposizione dei corredi. La quasi totalità (oltre il 95%) dei recipienti ceramici risulta essere stata
esposta, più o meno direttamente, al calore della pira. Anche considerando che lo stato di conservazione dei singoli
pezzi può dipendere dal diverso grado di resistenza al calore dei diversi manufatti, le modalità di giacitura nel sedi-
mento di colmatura della fossa forniscono qualche indicazione circa la sequenza di deposizione prima dell’interra-
mento, pur con variazioni di dettaglio caso per caso (figg. 75-80).
Nel sedimento di residui carbonizzati depositato sul fondo della fossa sono contenuti i recipienti da mensa
in ceramica depurata e terra sigillata, frantumati e sovente non ricomponibili per intero, che si deve supporre siano
precipitati con il disfacimento della pira estinta.

81
LUISA BRECCIAROLI TABORELLI

Fig. 73. Corredo della T. 22.

Fig. 74. Corredo della T. 208.

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LA NECROPOLI

Fig. 75. T. 208 a cremazione di-


retta.

Fig. 76. T. 225 a cremazione di-


retta.

Sulla superficie del deposito di resti del rogo sono collocati recipienti prevalentemente da cucina, anneriti e
talvolta deformati o fessurati oppure frammentati, ma ricomponibili; questi sono disposti in qualche caso lungo il
margine della fossa, oppure sono raggruppati, in modo tale da far ritenere che, al termine della cerimonia della cre-
mazione, siano stati prelevati dai bordi della catasta e ricollocati nella fossa90.
Infine, in una decina di sepolture è documentata la deposizione secondaria di uno o due (eccezionalmente
quattro) recipienti integri, contenitori per la dispensa e per la presentazione sulla mensa, specialmente olle a collo
cilindrico e biansate, ma anche coppe di medie dimensioni, che sono risultate contenere talvolta offerte vegetali91.

La tomba 213 (fase 7)


Il contesto della T. 213, l’unica sepoltura databile in periodo tardo-romano (seconda metà III o IV secolo),
collocata con i busta dislocati al limite sud-orientale dell’area indagata, presenta caratteristiche diverse rispetto alle
tipologie sinora esaminate, tali da renderne dubbia l’identificazione come cremazione diretta. Sul fondo della fossa,
di forma rettangolare analoga a quella dei busta, ma di dimensioni leggermente inferiori (cm 67 x 165, P. cm 20), è
stato rilevato un deposito organico di consistenza minima; il corredo, che presenta una composizione tipica di altri
contesti regionali dello stesso periodo92, è deposto accuratamente a un’estremità della fossa (fig. 81). Le ceramiche
non mostrano segni di esposizione alla pira, come anche, per quanto si può giudicare dal solo aspetto esterno, i due
utensili in metallo (coltello e pinzetta) deposti nel corredo (fig. 82). Soltanto la gemma in pasta vitrea dell’anello
digitale risulterebbe alle analisi alterato da forte calore93; dato che porterebbe a escludere l’ipotesi, pur ragionevole

83
LUISA BRECCIAROLI TABORELLI

Fig. 77. Corredo e resti del rogo


della T. 207.

Fig. 78. Fondo del bustum T. 207.

Fig. 79. Corredo secondario nella T. 41 Fig. 80. Corredo secondario e resti del rogo nella T. 204.

84
LA NECROPOLI

Fig. 81. Fossa con corredo secondario della T. 213.

anche in assenza di resti scheletrici conservati, che la T. 213 possa documentare l’unico caso di inumazione riscon-
trato nella necropoli94.

LE PRATICHE FUNERARIE E LA MEMORIA: DEDUZIONI SULLA COMUNITÀ LOCALE

La necropoli di Cerrione sarebbe indistinguibile nel panorama di quelle coeve dell’area transpadana se non
vi si verificasse un fenomeno straordinario, davvero peculiare e connotante: la presenza delle epigrafi sulle tombe.
Queste documentano, come mai altrove, il passaggio linguistico e culturale, economico e dei consumi, dal mondo
indigeno preromano (dotato di una tradizione di cui a lungo la comunità conserverà memoria) consapevole dell’in-
combente e incipiente romanizzazione, sino alla piena affermazione di quest’ultima.
La deposizione del corredo e delle offerte era il momento istitutivo di una comunicazione tra il defunto e i
sopravvissuti, che poteva essere reiterata in occasioni periodiche con nuove offerte collocate sulla tomba, talvolta
infiltrate in essa. La lapide - somma di supporto e messaggio scritto - rappresenta una sorta di catalizzatore di ciò che
si era voluto comunicare attraverso la deposizione del corredo, qualcosa che facilitava la trasmissione e arricchiva
il significato del messaggio. A questo, nelle intenzioni di chi aveva voluto e poi collocato la lapide, veniva conferita
ulteriore efficacia dal fatto di emergere, con essa, dal terreno per perpetuare la memoria del defunto. Alla fine, la

Fig. 82. Corredo della T. 213.

85
LUISA BRECCIAROLI TABORELLI

lapide era l’unica opportunità, e anche l’ultima, per il defunto


di comunicare con coloro che gli erano sopravvissuti. Que-
sto tentativo di comunicazione, perseguito con fiducia, pietà
e amore, è qualcosa di più di un semplice dato, qualcosa che,
dal momento del primo rinvenimento a oggi, ancora ci emo-
ziona.
Sullo sfondo, ugualmente importante, stava la parte su-
bliminale del messaggio. Essa era indirizzata alla cerchia più
ampia della comunità: il defunto sapeva leggere e scrivere.
Grazie a questa capacità era più libero, in grado di tutelare
meglio sé stesso e i suoi interessi, di vantare l’appartenenza
a una classe privilegiata, di condurre un’esistenza più consa-
pevole di sé e di quello che lo circondava. Questa capacità of-
friva l’opportunità al defunto e alla sua famiglia - persino alle
donne della famiglia95 - di tutelarsi meglio anche dopo la vita,
con la sepoltura in spazi riconoscibili, pertinenti la famiglia,
nell’ambito della necropoli accessibile a tutti i membri della
comunità.
L’apposizione della lapide iscritta rappresenta nella co-
munità locale il solo e autentico segno di distinzione dell’indi-
viduo e della famiglia dalla maggioranza anonima dei fruitori
della necropoli: non il corredo di offerte deposte nella tomba
(non connotate diversamente per qualità e quantità da quel-
le delle coeve tombe anonime), né un particolare fasto della Fig. 83. Tomba a cremazione diretta (T. 81) con lapide di Se-
cerimonia funebre, desumibile da tracce percepibili. Tale ce- cunda Farsuleia.
rimonia, al contrario, pare conformarsi tradizionalmente nel
tempo alle consuetudini locali96.
In misura forse più incisiva di quanto avrebbero potuto documentare persino i resti materiali di abitato, qualora
se ne fosse rinvenuta traccia, i semplici nomi trasmessi dal corpus delle epigrafi funerarie di Cerrione forniscono infor-
mazioni sull’origine e la struttura sociale, sulle modalità d’insediamento e sulla possibile consistenza demografica della
comunità che fruì della necropoli dagli inizi del I secolo a.C. sino all’inoltrato III secolo d.C. Una comunità formata da
nuclei famigliari, taluni di origine autoctona, altri di origine forse allogena, ma presto profondamente radicati. Soltanto
alcuni di essi sono da noi identificabili grazie ai nomi menzionati nelle iscrizioni; pochi sono quelli emergenti, su tutti la
gens Farsuleia, presente nel luogo per almeno due secoli, durante tutta l’età imperiale, di cui ci sono noti almeno quattor-
dici membri, undici maschi e tre femmine. Altri ricorrono meno frequentemente e per un lasso di tempo più ristretto;
di altri, infine, si ha conoscenza attraverso una sola menzione, almeno in quattro casi relative a donne sepolte in spazi
specifici della necropoli, probabilmente entrate a far parte, per via di matrimonio, di famiglie locali.
Tradizionalismo di sostrato, conservatorismo e autoreferenzialità, caratteri peculiari delle comunità rurali, si
colgono per lungo tempo tanto nelle manifestazioni delle pratiche funerarie e nella connotazione dei beni di consu-
mo (supra), quanto nelle espressioni della scrittura97.
In un quadro di comportamenti e attitudini comuni sostanzialmente immutato per oltre due secoli, un cam-
biamento si coglie nei decenni centrali del II secolo. In coincidenza con il rapido affermarsi del nuovo rituale della
cremazione diretta, che pare essere stato introdotto in quel momento, si osservano modalità diverse nello svolgi-
mento della cerimonia funebre, nella composizione e nei procedimenti di deposizione dei corredi e, aspetto ancor
più rilevante, nella quasi totale scomparsa dei segnacoli iscritti (fig. 83)98, ossia dell’uso della scrittura quale mezzo
privilegiato di trasmissione della memoria e di distinzione nell’ambito della comunità.
Prossima alla fine della sua esistenza, la comunità di Cerrione appare depauperata del bagaglio di tradizioni e
conoscenze, di quella sorta di “orgoglio di appartenenza” che, sin dalla sua origine, con la sua peculiarità ne aveva
esaltato la differenza rispetto ad altre comunità della regione, pure affini per struttura sociale e talvolta più evolute
per disponibilità economiche e consumi.

86
LA NECROPOLI

1
Si tratta delle iscrizioni edite in Brecciaroli Taborelli 1988b; né traccia di dispositivi particolari per profusiones, ben documentati
infra, Catalogo, tavv. 123-124, nrr. 13-18. altrove in Cisalpina (Parmeggiani 1984; Passi Pitcher 1987; Or-
2
Brecciaroli Taborelli 1995a; 1996b. Negli anni 1994-1995 i talli 1998), nella Gallia settentrionale (Metzler et alii 1999) come
lavori furono eseguiti dalla Ditta ARKAIA, responsabili E. Masetti anche in quella meridionale (Bel 2002; Martin-Kilcher 2006).
e M. Subbrizio. 18
Questi due depositi sono documentati ma i contenitori non sono
3
Delle lapidi iscritte, una (rinvenuta presso la T. 3) recava un’iscri- stati riscontrati tra i materiali della necropoli.
zione in alfabeto leponzio (Lukios Sipionios) chiaro indizio di fre- 19
Numerose olle prive di resti di cremazione, non associate a corredi,
quentazione della necropoli dal periodo della romanizzazione. sono state rinvenute nella necropoli di Oleggio-Loreto: riferibili alla fase
4
Brecciaroli Taborelli 2000e; 2002. Negli anni 1998-2000 i la- di piena età imperiale (fase 6, II-III secolo d.C.), sono particolarmente
vori furono eseguiti dalla Ditta KYRENIA, responsabili F. Chiocchi, frequenti in un settore specifico della necropoli, per lo più senza apparen-
F. Ghidotti e V. Parodi. Nel 2002 i lavori furono eseguiti dalla Ditta te connessione con le sepolture adiacenti: Spagnolo Garzoli 1999a,
Lo Studio, responsabili A. Deodato e S. Ratto. A quest’ultimo lotto p. 49, con segnalazione di altri complessi coevi analoghi del Novarese.
dei lavori con la scrivente collaborò A. Betori in veste di curatore del- 20
Alle origini di Biella, planimetria alla tav. 1.
la registrazione dei reperti lapidei nella prospettiva della loro edizio- 21
Cfr. nota 19. L’assenza di resti cremati andrebbe attribuita al natu-
ne epigrafica (Cresci Marrone, Solinas, infra). rale degrado delle poche ossa selezionate o alla loro dispersione.
5
Delle 227 macchie nerastre numerate in corso di scavo, 23 si sono rive- 22
Diverso il caso degli insediamenti temporanei dipendenti dalle
late semplici chiazze superficiali e sono state, pertanto, annullate. Nel to- aurifodine della Bessa, trattandosi in quel caso di un innesto imposto
tale di 214 sepolture sono conteggiate anche le 15 strutture che, pur non dall’esterno, episodico, di una comunità temporanea, anche meno
avendo restituito reperti, sono parse identificabili come tali, sebbene con connotata dalla realtà locale e dalle sue tradizioni e che non pare con-
qualche caso dubbio (infra, Catalogo, Tombe non databili). Si sono di- dizionare significativamente la pur adiacente comunità di Cerrione.
stinti con numero progressivo le deposizioni rinvenuto all’interno di una 23
Sulla storia urbana di Vercellae nel I secolo a.C.: Brecciaroli Ta-
stessa fossa riaperta per diversi interramenti (tombe multiple, es. T. 1.1, borelli 1996a; Spagnolo Garzoli et alii 2007.
1.2, 1.2 ecc.); diversamente, si sono distinte con lettere maiuscolo (es. 24
Salvo una quindicina prive di elementi indicativi ai fini di una pre-
15A e 15B) le tombe individuate in corso di scavo al di sotto di un’unica cisa cronologia: infra, Catalogo, Tombe non databili.
chiazza superficiale nerastra. Infine, sono state raggruppate le tombe (T. 25
Pochissime durante tutto il periodo di frequentazione dell’area e
126/129, T. 134/137/138) che a causa di parziale sovrapposizione, non nella quasi totalità illeggibili: Barello, infra, Tabella.
è stato possibile distinguere con precisione. 26
Per i caratteri culturali e la definizione in termini di cronologia
6
Si tratta precisamente delle TT. 3, 17, 43, 49, 69, 160, 169. assoluta delle sue fasi: De Marinis 1986.
7
Esempi: infra, Catalogo, Fase 3, T. 45; Fase 4-5, TT. 27, 28, 84, 94 ecc. 27
Vercellae e Novaria, già “colonie fittizie” dell’89 a.C., come anche la
8
Bustumgräber in: van Doorselaer 1967, pp. 106 ss.; incinération
colonia Eporedia del 100 a.C., conoscono in questi anni significativi
en place in: Bel 2002, pp. 89-92. È parsa identificabile come bustum
interventi di rinnovamento urbano: cfr. nota 23 e, inoltre, Breccia-
anche la T. 52, che non ha però restituito reperti (infra, Catalogo,
roli Taborelli 1986a; 2007.
Tombe non databili). Tagliata dalla cremazione diretta T. 51, conser- 28
Basata su singoli elementi e su associazioni di contesto, in qualche
va parte del bordo concotto e il deposito carbonioso sul fondo.
9 caso sul rapporto stratigrafico reciproco (es. T. 3 “tagliata” da T. 6):
Castiglioni, Cottini, Rottoli, infra. Diversamente da quanto
cfr. infra, Catalogo, Fase 1.
si è osservato, ad esempio, nella necropoli di Angera, dove il rito della 29
cremazione in posto prevale nettamente su quello della cremazione In particolare TT. 137/138, 178, 180: infra, Catalogo.
30
indiretta sino all’età di Adriano, allorché al rito crematorio inizia a Periodo che corrisponde sostanzialmente alle fasi 2b-2c di Orna-
sostituirsi quello inumatorio: Harari 1985, specie p. 38. Crema- vasso: Martin-Kilcher 1998.
31
zioni dirette sono attestate in età giulio-claudia, ma in percentuale Corrispondente all’incirca alla fase 3a e 3b iniziale di Ornavasso-
molto minore rispetto alle cremazioni indirette (6 su 54 tombe in Persona: Ead., ibid.
32
totale) a Nave nel Bresciano: Passi Pitcher 1987, p. 18. Esempi di Esempi: deposito inferiore della T. 2 e TT. 136, 160-164, 177 (in-
busta sono registrati a Oleggio-loc. Loreto con datazione non meglio fra, Catalogo, Fase 2).
33
precisabile tra I e II secolo: Spagnolo Garzoli 1999a, p. 52 s. Di probabile produzione eporediese: Deodato, infra, Vernice nera
10
Castiglioni, Cottini, Rottoli, infra. Diversamente, in Cispadana e terra sigillata, fig. 110.
34
è segnalato l’impiego dell’urna anche nei busta: Ortalli 1998, p. 66. Unguentari forma Is. 6: Brecciaroli Taborelli, infra, Vasella-
L’esiguità quantitativa dei resti di cremazione deposti in tomba è stata os- me e contenitori in vetro, tipo 21.
35
servata anche in complessi funerari transalpini e non sembra trovare una Brecciaroli Taborelli, Deodato, infra, Ceramiche comuni,
spiegazione persuasiva tra quelle avanzate: ad esempio la loro consun- olle di tipo B1.2 e B2.3, con distribuzione in fase 2.
36
zione durante il prolungato interro o nel corso della cremazione, oppure Deodato, infra, Abbigliamento e ornamento, fig. 158.
37
la dispersione delle ceneri, intenzionale o meno, dopo la cremazione: Skyphoi invetriati decorati a rilievo da matrice (Brecciaroli Ta-
Bel 2002, p. 93, dove si richiama anche l’ipotesi dell’esistenza di “fos- borelli, infra) e lucerne (Ead., infra), tipi specifici di vasi potori a
ses à cendres” (o “Aschengruber”), depositi per ceneri annessi al bustum pareti sottili (Ead., infra, in particolare i tipi 5, 10 e 13).
38
(per cui anche Martin-Kilcher 2006, p. 210). Di tali strutture non è Skyphos Is. 39, brocca Is. 13, zarte Rippenschale Is. 17, unguentari
stata però rilevata traccia nei pressi dei busta di Cerrione. Is. 6 e 8: Brecciaroli Taborelli, infra, Vasellame e contenitori in
11
Infra, Catalogo, Tombe non databili. vetro, rispettivamente tipi 5, 7, 11, 15, 18, 21 e 22 (variante a).
39
12
Del tipo usualmente impiegato in edilizia per la realizzazione di Infra, Catalogo, Fase 4, Tomba 1, Deposizioni 1.1-1.5.
40
colonne laterizie. Brecciaroli Taborelli, infra, Ceramica a pareti sottili, specie
13
Cfr. Cresci Marrone, Solinas, infra. tipo 10, ma anche 13.
41
14
Cresci Marrone, infra. Brecciaroli Taborelli, infra, Vasellame e contenitori in vetro,
15
Infra, Catalogo, Depositi di superficie. tipi 19-20.
42
16
Brecciaroli Taborelli, Deodato infra, Ceramiche comuni, Deodato, infra, Vernice nera e terra sigillata.
43
tipi B1.2b e B1.3. Scodella Dragendorff 37/32 e coppa Dragendorff 40, piatti e cop-
17
In nessun settore della necropoli sono stati rinvenuti nel livello su- pe Conspectus 41, 43 e 45: Ead., ibid.
perficiale reperti riferibili a pasti rituali consumati sulla tomba dai vivi, 44
Vedi T. 195, con moneta di Faustina I Diva: infra, Catalogo, Fase 5.

87
LUISA BRECCIAROLI TABORELLI

45 69
Brecciaroli Taborelli, Deodato, infra, Ceramiche comuni, Brecciaroli Taborelli, infra, Skyphoi invetriati.
70
olle tipi B1.4, B2.4 e B2.5; tegami tipi B5.1 e B. 5.2. Brecciaroli Taborelli, Deodato, infra, Ceramiche comuni,
46
Ibid., coppa tipo A5.5, brocca tipo A2.4, olla tipo B1.4b e tegame forma A3.
71
tipo B5.2e. Brecciaroli Taborelli, infra, Vasellame e contenitori in vetro.
47 72
In particolare la T. 2, di fase 2 e la T. 1 di fase 4: infra, Catalogo. Brocca e pisside (fase 3: TT. 66, 217), brocca con acetabulum e
48
Infra, Catalogo, Fase 1: TT. 3, 6, 132, 182, 183. bicchiere (fase 4: T. 10), due brocche in vetro blu di forma diversa
49
Infra, Catalogo, Fase 1: TT. 121, 123, 126/129, 146, 185. (fase 4: T. 1.5).
50 73
O più precisamente 33, considerando la doppia deposizione rile- Brecciaroli Taborelli, Deodato, infra, Ceramiche comuni,
vata nella T. 2: infra, Catalogo, Fase 2. forma A2.
51 74
Fenomeno rilevato anche in altre aree funerarie, come ad esempio Brecciaroli Taborelli, infra, Vasellame e contenitori in vetro,
nella necropoli di Porta Pali a Verona: Bolla 1998, p. 120. brocca tipo 13.
52 75
L’alto numero di sepolture (oltre 40) non assegnabili con sicurez- Deodato, infra, Vernice nera e terra sigillata, scodelle e coppe
za alla fase 4 o alla fase 5 deforma il quadro distributivo nello spazio forme Conspectus 41, 43 e 45.
76
funerario durante questo periodo che, per tale ragione, viene consi- A fronte dei circa 40 esemplari provenienti dalla necropoli di Biel-
derato globalmente. la: Brecciaroli Taborelli, infra, Terrecotte figurate.
53 77
Ravedoni, infra e, inoltre: Catalogo: Fase 1 e Fase 2. Un fenome- Brecciaroli Taborelli, infra, Vasellame e contenitori vitrei,
no analogo è stato riscontrato in diverse necropoli della Gallia tra tar- tipi 19 e 20.
78
da età del ferro e primo Impero: Bel 2002, p. 77 (con bibl.); inoltre, Brecciaroli Taborelli 2000b, p. 47 s.
79
per Dormelletto nel Novarese: Ratto 2009b, p. 36. Deodato, infra, Abbigliamento e ornamento.
54 80
Infra, Catalogo, Fase 1, passim. Per la tradizione del deposito di Deodato, infra, Armi e utensili.
81
cremazione in urna con ciotola-coperchio negli areali ligure e gola- T. 49 (Vipios Secundinus), T. 93 (Surus Cocci), T. 219 (Valerius
secchiano: Vannacci Lunazzi 1985, p. 69; Arslan 2004, p. 147. Farsuleius).
82
Per la collocazione dell’attuale Biellese in posizione intermedia tra i Pratica forse più diffusa di quanto suggeriscano i campioni rac-
due areali e per i problemi relativi: Gambari 1997. colti e analizzati, nonché i risultati delle analisi eseguite su alcuni dei
55
Si tratta della forma più semplice di deposito di cremazione in Gallia campioni disponibili (Castiglioni, Cottini, Rottoli, infra).
83
meridionale (Bel 2002, p. 83); documentato anche in Transpadana, con T. 53 (fase 3): piatto in t.s. nr. 2; T. 59 (fase 4): olletta grezza nr. 4,
ceneri disperse (come a Oleggio: Spagnolo Garzoli 1999, p. 51) o con superfici interne annerite; T. 193 (fase 4): coppa a p.s. nr. 2.
84
raccolte in pozzetto (come in Lomellina: Arslan 2004, p. 147). T 1.5=125 (fase 4): coppa a p.s. nr. 1; T. 54 (fase 4-5): olla a collo
56
TT. 143, 155 e 156: infra, Catalogo. cilindrico nr. 3; T. 83 (fase 4-5): olla a collo cilindrico nr. 6; T. 198
57
Se tra i recipienti frammentari in ceramica grezza presenti in molti (fase 5): ollula nr. 2.
85
dei depositi funerari è da riconoscere l’urna-ossuario (come è parso Infra, Catalogo, Fase 4, Tomba 78: coppa nr. 3 e pisside nr. 6.
86
proponibile per molte di esse, supra). Si tratta precisamente delle TT. Pochi frammenti fusi di unguentari vitrei sono stati raccolti nelle
3, 6, 132, 133, 135, 179, 186, 187, 188 in fase 1; delle TT. 139, 141, terre di rogo di sole tre sepolture, segno che la pratica di aspergere
145, 151, 153, 174 in fase 2: infra, Catalogo. aromi liquidi durante la cremazione doveva essere inconsueta per la
58
Com’è il caso del deposito residuo sul fondo della T. 1, oppure comunità locale.
87
della T. 2, con commistione di due depositi, sparsi, o della T. 50B Castiglioni, Rottoli, infra.
88
(tagliata da 50A, parte residua in questa) oppure, infine, della T. 58 e Infra, Catalogo, Fase 3, TT. 46, 47, 194; Fase 4, TT. 1.5, 10, 93;
della successiva T. 19, cui è stato attribuito in corso di scavo il deposi- Fase 5, T. 20.
89
to di rogo relativo con ogni evidenza alla sepoltura precedente. Si esclude dal computo, per assenza di dati, la T. 52 (cfr. infra, Ca-
59
Più nel dettaglio, si osserva: che il vaso a trottola è attestato in 10 talogo, Tombe non databili).
90
corredi, sino a età protoaugustea; che forme aperte in ceramica de- Un procedimento analogo è documentato nella Gallia Belgica e,
purata tardoceltica sono esclusive di corredi di fase 1 (Brecciaroli talvolta, in Renania: riferimenti in Martin-Kilcher 2006, p. 210.
91
Taborelli, Deodato, infra, Ceramiche comuni, tipi A4.1, A4.2, T. 26 (fase 5): grande coppa nr. 4; T. 22 (fase 6): olla biansata nr.
A10.1); che piatti a vernice nera (13 esemplari) e in terra sigillata 7; T. 111 (fase 6): coppa nr. 1.
92
(2 esemplari) sono distribuiti in 13 corredi databili tra la metà del I Vedi nota 46.
93
secolo a.C. e gli inizi del successivo (Deodato, infra, Vernice nera e Deodato, infra, Abbigliamento e ornamento, Appendice con ta-
terra sigillata); che in soli 5 corredi si registra la presenza di bicchieri bella. Questo deposito suggerisce, dunque, che tra la seconda metà
a pareti sottili (Brecciaroli Taborelli, infra, Ceramica a pareti del III o IV secolo possa essere stata adottata localmente una diversa
sottili, tipi 1-3), la cui funzione di vaso potorio è assolta in pochi altri procedura nell’espletamento del rito crematorio e nelle pratiche di
casi da recipienti in ceramica comune (Brecciaroli Taborelli, seppellimento.
94
Deodato, infra, Ceramiche comuni, ad esempio tipi A6.1 e A6.2). Ipotesi verosimile per questo periodo, anche in assenza di resti
60
TT. 150, 160, 167, 177: Barello, infra, La moneta, Tabella. scheletrici conservati. Cfr. ad esempio: Deodato 2006, p. 47, Tom-
61
Deodato, infra, Armi, utensili e recipienti diversi. ba 11.
62 95
Precisamente: olletta in ceramica grezza nella T. 155; fusaiole Più di una dozzina di donne sono gratificate da questo privilegio:
nella T. 58; fibula frammentaria nella T. 92; ciotolina e unguentario il primo caso si riscontra in età augustea (T. 165); gli altri tra il 70 e
nella T. 98, ancora unguentario con il coltello nella T. 108. il 170 d.C.
63 96
Brecciaroli Taborelli 2000b, fig. 14. Per osservazioni tratte dalle analisi delle offerte carpologiche e dei
64
Su olla nelle TT. 91 (fase 4) e 35 (fase 4-5); su anfora segata nella legni combusti: Castiglioni, Cottini, Rottoli, infra.
97
T. 5 (fase 4-5). Come l’impiego del leponzio in fase di avanzata romanizzazione
65
Su olla: T. 205 (fase 5); su anfora: T. 32.2 (fase 4). (Solinas infra), oppure la formula appellativa tradizionale anche in
66
Su olla: T. 224 (fase 5). fase di piena romanizzazione e la compresenza di nomi epicorici e
67
Brecciaroli Taborelli, Deodato, infra, Ceramiche comuni, nor- nomi latini anche in piena età imperiale (Cresci Marrone, infra).
98
malmente corrispondente al tipo B2.4, eccezionalmente al tipo B3.1. Dalle 7 o 8 lapidi riferibili con sicurezza ad altrettante delle 20
68
Undici corredi ne risultano privi: TT. 18.1, 24, 43, 61, 129B (fase tombe di fase 5 (tra cui una delle prime cremazioni dirette, la T. 81 di
3); TT. 37, 67 (fase 4); TT. 11, 35, 57, 104 (fase 4-5). Secunda Farsuleia), si passa a 1 su 19 tombe di fase 6.

88

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