IPSOA 3/2019

DIREZIONE SCIENTIFICA
Franco Giampietro
Consulenza e pratica per l’impresa e gli enti locali Alberto Muratori

Rivista mensile Anno XXVII - Marzo 2019 - Direzione e redazione Via dei Missaglia n. 97 Edificio B3 - 20142 Milano

Inquinamento - Rifiuti - Bonifiche - Responsabilità - 231

VIA e AIA - Certificazioni - Energia - Rinnovabili

Disciplina “salva-ILVA” Fanghi in agricoltura

Il Gip di Taranto solleva nuovi Convertito il D.L. Genova,
dubbi di costituzionalità la Cassazione “prende atto”
dell’art. 41

AIA e VIA Delitti ambientali

I limiti alla discrezionalità Attività organizzate
amministrativa per il traffico illecito di rifiuti:
nelle prospettive di modifica la competenza per territorio

Guida CONAI 2019

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 Ambiente & Sviluppo
Sommario

Rifiuti
D.L. n. 109/2018 Convertito in legge il Decreto “Genova”: alla luce dell’art. 41, la Cassazione “riaggiusta il tiro”
sull’utilizzo dei fanghi di depurazione in agricoltura
Alberto Muratori 177
Ecoreati Delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti: come si determina la competenza per
territorio? (nota a Cass. pen. n.58448/2018)
Vincenzo Paone 184

Inquinamento
Ecoreati Il GIP di Taranto solleva una nuova questione di legittimità costituzionale sulla disciplina
c.d. “salva ILVA”
Valentina Cavanna 191

Gestione ambientale
Autorizzazioni AIA: prove tecniche per un taglio drastico alla discrezionalità amministrativa?
Andrea Quaranta 197
Fiscalità Guida Conai 2019 al contributo ambientale: sistema universale, CAC diversificati, ma filosofie
ambientale differenti
Tiziana Ronchetti, Massimo Medugno 205

Rassegna
Consiglio di Stato e TAR
a cura di Chiara Prevete 213
Corte di Cassazione penale
a cura di Vincenzo Paone 218
Corte di Cassazione civile
a cura di Giulio Spina 229

Agenda
Scadenzario e Memoranda
a cura di Alberto Muratori 233
Finanziamenti ambientali
a cura di Bruno Pagamici 247
Casi e soluzioni
a cura di Eleonora Perotto e Andrea Quaranta 254

Ambiente & sviluppo 3/2019 175

 Ambiente & Sviluppo
Sommario

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Marcello Cecchetti,
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Vincenzo Paone, Luca Prati, Chiara Prevete,
Alberta Leonarda Vergine
REDAZIONE
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HANNO COLLABORATO
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Massimo Medugno, Bruno Pagamici, Vincenzo Paone,
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176 Ambiente & sviluppo 3/2019


D.L. n. 109/2018
Convertito in legge il Decreto
“Genova”: alla luce dell’art. 41,
la Cassazione “riaggiusta il tiro”
sull’utilizzo dei fanghi
di depurazione in agricoltura
Alberto Muratori
Premessa
Pur avendo già diffusamente trattato su questa
Rivista il poco (olfattivamente) piacevole argo-
mento dell’utilizzo dei fanghi di depurazione in
agricoltura (1), alla luce delle disposizioni dell’art.
41 del c.d. “Decreto Genova” (2), dapprima nella
versione iniziale, e poi secondo la sua stesura
definitiva, quale proposta dalla Legge di conver-
sione 16 novembre 2018, n. 130 (3), siamo ora
indotti a ritornare nuovamente sul tema, in pre-
senza della sentenza della Corte di cassazione, sez.
III pen., 29 gennaio 2019, n. 4238, attraverso la
quale la Suprema Corte ha dovuto prendere atto,
con grande onestà intellettuale, del nuovo quadro
di riferimento normativo, che ha tolto ogni spazio
e ogni validità alle decisioni precedentemente
assunte in via ermeneutica su questa stessa materia,
dalla giurisprudenza espressa [anche] ai massimi
livelli della giurisdizione penale e - successiva-
mente - dal giudice amministrativo, in occasione
di altri procedimenti giudiziari sui quali questi
collegi erano stati chiamati ad esprimersi.
(1) Vale qui la pena di ricordare, a ritroso, almeno in seguenti
contributi, recentemente pubblicati su questa stessa Rivista, a
firma di chi scrive:
- sul n. 2/2019: “Ancora sui fanghi di depurazione in agricoltura,
dopo la legge di conversione del D.L. ‘Genova’, e la nuova stesura
dell’art. 41”;
- sul n. 11/2018: “L’utilizzo in agricoltura dei fanghi di depura-
zione civili: il ‘restauro’ del vetusto D.Lgs. n. 99/1992 parte ‘col
piede sbagliato’, ma per motivi di forza maggiore”;
Ambiente & sviluppo 3/2019
Rifiuti
La questione dell’utilizzo dei fanghi in agricol-
tura è infatti di particolare importanza, perché su
di essa si “intrecciano” sia gli aspetti (e i quesiti)
messi in gioco dalle disposizioni del D.Lgs. n. 99/
1992, con riferimento alle caratteristiche che i
fanghi devono possedere, in vista della loro
somministrazione diretta sui suoli agrari; sia
quelle che i [medesimi] fanghi devono presen-
tare, ai fini del loro impiego per la produzione di
fertilizzanti, in questo caso, nel rispetto del
D.Lgs. n. 75/2010, che di questi ultimi rappre-
senta la “Norma quadro”; sia, infine, la nozione
di end of waste, quale venuta a configurarsi in
seguito all’evoluzione della disciplina europea e
nazionale sui rifiuti, che con crescente vigore ha
evidenziato il ruolo chiave della cessazione della
qualifica di rifiuto - attraverso idonei trattamenti
- per il decollo dell’economia circolare, quest’ul-
tima oggi al centro del dibattito politico, legi-
slativo, giuridico e tecnico tuttora in corso in
Europa, e all’interno dei diversi Stati.
- sul n. 10/2017 “Gessi di defecazione: ‘fertilizzanti-merci’, o
rifiuti? La Cassazione fissa le condizioni per una corretta scelta tra
le due alternative”.
(2) Decreto Legge rubricato “Disposizioni urgenti per la città di
Genova, la sicurezza della rete nazionale delle infrastrutture e dei
trasporti, gli eventi sismici del 2016 e 2017, il lavoro e le altre
emergenze”, pubblicato sulla G.U. n. 226 del 28 settembre 2009,
ed entrato in vigore il 29 settembre scorso.
(3) Pubblicata sul S.O. n. 55 della G.U. 19 novembre 2018,
n. 269, in vigore dal 20 novembre scorso.
177
Rifiuti
La sentenza della Corte di cassazione 29
gennaio 2019, n. 4238: si dà atto,
(seppure a malincuore) che, sui
requisiti per l’utilizzo in agricoltura dei
fanghi di depurazione, va abbandonato
l’orientamento espresso in precedenza
nella c.d. “sentenza Pagnin”
La sentenza della quale intendiamo qui occuparci è
stata originata da un ricorso, per Cassazione, contro
un’Ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria
(adottata in data 29 gennaio 2018) che aveva con-
fermato un sequestro preventivo emesso dal GIP nei
confronti di una società operante nel settore della
gestione dei rifiuti, - e, nello specifico, anche di
fanghi di depurazione, da destinare alla produzione
di compost, - imputata del delitto di cui all’art. 260,
“Attività organizzate per il traffico illecito dei rifiuti” del
D.Lgs. n. 152/2006 (4).
Mentre il Collegio stava esaminando il ricorso sul
quale avrebbe dovuto pronunciarsi, interveniva
l’emanazione del c.d. D.L. “Genova” (5), l’art. 41
del quale, rubricato “Disposizioni urgenti sulla gestione
dei fanghi di depurazione”, integrava, con l’introdu-
zione di un nuovo parametro, e relativo valore limite,
l’allegato IB del predetto D.Lgs. n. 99/2010: l’elenco
dei parametri è un fatto nuovo, che la presa di posi-
zione della Corte non avrebbe certamente potuto
ignorare, come in effetti è avvenuto, fino a segnarne
l’esito in termini determinanti: l’Ordinanza impu-
gnata da Parte ricorrente veniva infatti annullata,
“con rinvio al Tribunale di Reggio Calabria per un
nuovo esame” (6).
Tralasciando completamente, in queste note, gli
aspetti procedurali che occupano diverse pagine
delle “Considerazioni di Diritto” svolte a latere
della decisione presa dalla Suprema Corte con la
sentenza n. 4238 del 29 gennaio 2019, e svilup-
pate attraverso n. 15 paragrafi, ci occuperemo
qui solamente degli effetti sul “decisum”, dovuti
all’entrata in vigore dell’art. 41, D.L. n. 109/
2018 (7).
(4) Articolo poi abrogato dall’art. 7, D.Lgs. n. 21/2018, e da
quest’ultimo trasposto, quasi pedissequamente, all’art. 452-qua-
terdecies cod. pen. (Libro Secondo, Titolo VI-bis “Dei delitti contro
l’ambiente”).
(5) Cui ha successivamente fatto seguito la conversione in
legge, che ha determinato una seconda integrazione dei limiti di
cui all’allegato IB, D.Lgs. n. 99/1992.
(6) Ai fini del nuovo esame, il Giudice cui è stato rimesso dalla
Corte di cassazione tale adempimento, dovrà ovviamente tenere
conto della definitiva stesura dell’art. 41, D.L. n. 109/2018, come
integrato dalla Legge di conversione 16 novembre 2018, n. 130.
(7) Tale intervento normativo, compiuto col D.L. n. 109/2018,
art. 41, e successiva conversione in legge, era stato causato dalla
178
Dopo una riassunzione della normativa di riferi-
mento preposta alla qualificazione della natura dei
fanghi e all’individuazione della normativa applica-
bile (par. 7), vale la pena soffermarci sul par. 8 delle
“Considerazioni di Diritto” ove è invece riassunto il
punto di vista di Parte ricorrente, con riferimento ai
sopra richiamati aspetti, nei seguenti termini:
“Le disposizioni appena richiamate riguardano, come si
è detto, l’utilizzazione in agricoltura dei fanghi, inten-
dendosi per tale, secondo quanto stabilito dal D. Lgs 99/
1992, il recupero degli stessi mediante il loro spandi-
mento sul suolo o qualsiasi altra applicazione sul suolo e
nel suolo.
Si tratta, dunque, di un’attività diversa e susseguente
da quelle che la precedono, durante le quali, come si è
detto, i fanghi sono trattati come rifiuti alla fine del
complessivo processo di trattamento effettuato nel-
l’impianto di depurazione di cui all’articolo 127
D. Lgs. 152/2006”.
Secondo la riassunzione operata dal par. 8, tale circo-
stanza viene evidenziata dai ricorrenti per censurare
l’Ordinanza impugnata, nella parte in cui richiama le
conclusioni cui è pervenuta una sentenza di questa
Corte, sez. III, 31 gennaio 2017, n. 27958, Pagnin,
nella quale si è affermato che l’uso agronomico presup-
pone che il fango “sia ricondotto al rispetto dei limiti
previsti per le matrici ambientali a cui dovrà essere
assimilato (e quindi anche quelli previsti dalla Tab. 1,
colonna A dell’allegato 5, al Titolo V, parte IV D. Lgs
n. 152 del 2006), salvo siano espressamente previsti,
esclusivamente in forza di legge dello Stato, parametri
diversi, siano essi più o meno rigorosi, nelle tabelle
allegate alla normativa di dettaglio (decreto n. 99 del
1992) relativa allo spandimento dei fanghi o in prov-
vedimenti successivamente emanati”.
Si rimarca inoltre, al par. 8, come il principio, non
condiviso dai ricorrenti, sia stato successivamente
ripreso in una sentenza del giudice amministrativo
(TAR Milano, sez. 3, 20 luglio 2018, n. 1782) che,
accogliendo il ricorso di diverse decine di comuni, ha
avuto effetti concreti (8) nella gestione degli impianti
di depurazione.
necessità “di superare situazioni di criticità nella gestione dei
fanghi di depurazione, nelle more di una revisione organica della
normativa di settore”, tuttora in fase di rimpallo tra le competenti
Commissioni dei due rami del Parlamento.
(8) Mettendo a rischio la capacità di stoccaggio dei fanghi
formati presso gli impianti appartenenti al sistema di depurazione
pubblica delle acque reflue nel territorio della Regione Lombardia,
nel momento per effetto della sentenza del giudice amministra-
tivo, era di punto in bianco venuto meno lo “sbocco” costituito
dalla loro somministrazione diretta sui suoli agrari, una volta ese-
guiti i trattamenti preliminari prescritti dal D.Lgs. n. 99/1992.
Ambiente & sviluppo 3/2019

L’errore ravvisato dai ricorrenti nell’interpretazione
fatta propria prima dalla Corte di cassazione con la
sentenza n. 27958/2017, e poi dalla sopra richiamata
sentenza del TAR Lombardia viene così sintetizzato:
si pretende che vadano applicati ai fanghi i parametri
e i connessi valori limite che il D.Lgs. n. 152/2006
prevede per i suoli.
Al par. 9 delle medesime considerazioni di diritto si
esprime, da un lato, piena condivisione delle argo-
men-tazioni sviluppate nella sentenza Pagnin, ma, da
un altro, si dà atto che la questione deve ritenersi
superata, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. 28
settembre 2018, n. 109 “Disposizioni urgenti per la città
di Genova, la sicurezza della rete nazionale delle infra-
strutture e dei trasporti, gli eventi sismici del 2016 e 2017,
il lavoro e le altre emergenze”, alla luce della disposi-
zione di cui all’art. 41 di quest’ultimo provvedimento.
Infatti, in ciò allineandosi alle argomentazioni dei
ricorrenti, il Collegio è, alla fine, costretto ad
ammettere:
F09Fche la richiamata disposizione, dando atto
di situazioni di criticità nella gestione dei fanghi
di depurazione non meglio definite, ma eviden-
temente riferibili alla scelta ermeneutica recen-
temente adottata anche dalla giurisprudenza
amministrativa, nel richiamare espressamente i
limiti di cui all’allegato IB del D.Lgs. n. 99/1992,
precisando che gli stessi “continuano a valere”,
stabilendo, così, una inequivocabile continuità
con il passato, fissa anche limiti specifici per gli
idrocarburi;
F09Fche tenendo conto, quindi, della novità legisla-
tiva, andranno apprezzati esclusivamente i parame-
tri in essa indicati, considerando comunque che gli
stessi riguardano l’utilizzazione dei fanghi e devono
pertanto essere rispettati in tale fase ultimativa della
loro gestione.
Da ciò dunque, l’annullamento del sequestro
operato dal Tribunale di Reggio Calabria, rin-
viato dal Collegio (presumibilmente obtorto
collo) al medesimo Tribunale per un nuovo
esame, seguendo i binari tracciati dalla sentenza
n. 4238 del 29 gennaio 2019.
(9) In particolare, nel caso di specie, un’ordinanza del Tribunale
del riesame di Firenze, oggetto di impugnativa per cassazione,
proposta allo scrutinio della Suprema Corte, che ha invece riget-
tato il ricorso finalizzato all’annullamento dell’Ordinanza de qua.
(10) Cioè, sottoposto ai trattamenti, anche di tipo “soft”,
richiamati all’art. 2, comma 1 lett. b) del D. Lgs. 99/1992.
(11) Tale Tabella è rappresentativa delle concentrazioni soglia di
contaminazione CSC, il cui superamento a carico delle matrici
suolo o sottosuolo, venute a contatto con un potenziale agente
Ambiente & sviluppo 3/2019
Rifiuti
La “teoria” - tecnicamente insostenibile - che
i fanghi di depurazione, per essere utililizzati
in agricoltura, debbano rispondere ai limiti di
cui alla Col. A, Tabella 1, Allegato 5, Titolo V,
Parte Quarta, D.Lgs n. 152/2006
Con propria sentenza 6 giugno 2017, n. 27958, la
Suprema Corte di cassazione aveva avallato e fatto
propria la tesi già sostenuta da diversi giudici di prime
cure (9) oppure, altre volte in ripetute occasioni,
dalla magistratura inquirente, secondo la quale l’uti-
lizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura,
sancita dal D.Lgs. n. 99/1992, dovrebbe comunque
essere subordinata al rispetto, nel tal quale “pretrat-
tato” (10), dei valori limite esposti dalla Colonna A,
Tabella 1 (11) di cui all’Allegato 5, Parte Quarta,
Titolo V, D.Lgs. n. 152/2006.
Tale Tabella prevede, come noto, n. 97 parametri, -
distribuiti in n. 13 “categorie” (12), ciascuno dei quali
associato a una concentrazione limite, - espressa in
mg/kg s.s., che, ove superata - anche per un solo
parametro - nel suolo o nel sottosuolo, comporta la
verifica della sussistenza o meno dello status di “sito
contaminato” alla luce delle concentrazioni soglia di
rischio CSR, da individuarsi caso per caso, attraverso
l’analisi di rischio sito-specifica, da operare a valle
della caratterizzazione del sito, in “odore” di possibile
contaminazione, secondo le modalità previste dagli
altri Allegati del Titolo V, Parte Quarta, D.Lgs.
n. 152/2006.
Il fatto è che i limiti di Colonna A, di cui sopra, non
devono essere verificati nel presunto “contaminante”,
cioè nel fango di depurazione somministrato ai terreni
agrari, in termini di operazione di recupero R10 “Trat-
tamento in ambiente terrestre a beneficio dell’agricoltura o
dell’ecologia” (13), ma solo nel sottostante suolo venuto
a contatto con l’agente responsabile della supposta
contaminazione. Infatti, il superamento delle bassis-
sime concentrazioni limite espresse dalla Colonna A,
Tabella 1, Allegato 5, qualora rilevate a carico del
suolo sottostante non attesta in sé e per sé una situa-
zione di pericolo per l’ambiente, per la salute umana e
per le stesse colture agrarie, ma solo la propensione del
contaminante, rende necessaria la caratterizzazione del sito e
l’analisi di rischio sito specifica, come individuati nell’Allegato 5.
(12) Ovvero: 1. Composti inorganici; 2. Aromatici; 3. Aromatici
policiclici; 4. Alifatici clorurati cancerogeni; 5. Alifatici clorurati non
cancerogeni; 6. Alifatici alogenati cancerogeni; 7. Nitrobenzeni; 8.
Clorobenzeni; 9. Fenoli clorurati; 10. Ammine aromatiche; 11.
Fitofarmaci; 12. Diossine e furani; 13. Altre sostanze.
(13) Vedasi l’Allegato C “Operazioni di Recupero”, Parte
Quarta, D.Lgs. n. 152/2006.
179
Rifiuti
trasferimento agli strati sottostanti degli inquinanti
sottoposti ai valori soglia di cui sopra, così da attivare
successivi adempimenti ed analisi, finalizzate ad accer-
tare se sono state superate anche le ben più elevate
concentrazioni soglia di rischio. Viceversa, l’assun-
zione dei limiti di Colonna A come “metro” della
pericolosità intrinseca del fango distribuito sul suolo
agrario - senza alcun dubbio, un rifiuto, - è priva di
qualsiasi significato tecnico scientifico: sarebbe come
assumere il tasso glicemico da rilevare nel sangue di un
paziente ai fini di una diagnosi di diabete, per “decre-
tare” che i cannoli siciliani sono alimenti pericolosi
per la salute umana, in relazione al loro riscontrato
tenore di glucosio.
Pur senza avallare la tesi accusatoria, secondo la quale
la mancata indicazione di concentrazioni limite per
un gran numero di parametri in sede di “norma
speciale” relativa ai fanghi di depurazione, (leggasi:
D.Lgs. n. 99/1992), corrisponderebbe ad un (impli-
cito) divieto della presenza di tutti gli analiti omessi,
disposto fin dall’origine da parte del Legislatore, la
sentenza n. 27958/2017 si “arrocca” sull’assunto
che l’eclatante superamento, (persino in termini di
ordini di grandezza), dei valori limite della Colonna
A per alcuni analiti, come ad esempio il parametro
idrocarburi C10-C40, dimostrato dalle analisi con-
dotte sui fanghi di depurazione de quibus, sarebbe
sufficiente a classificarli ictu oculi come rifiuti peri-
colosi, sulla base dell’apodittico convincimento che
“L’uso agronomico presuppone infatti che il fango sia
ricondotto al rispetto dei limiti previsti per le matrici
ambientali a cui dovrà essere assimilato (14)… salvo
siano espressamente previsti, esclusivamente in forza
di legge dello Stato, parametri diversi, siano essi più o
meno rigorosi, nelle tabelle allegate alla normativa di
dettaglio (decreto 99/1992) relativa allo spandi-
mento dei fanghi o in provvedimenti successiva-
mente emanati”.
Inoltre, il Collegio, impegnandosi a dimostrare
(a contrariis) la validità della propria tesi, evidenzia
come presunto “paradosso” la legittimità della som-
ministrazione ai suoli agrari partite di fanghi caratte-
rizzati da concentrazioni di idrocarburi persino
superiori a quelle consentite per l’accettazione in
discarica, ai sensi del D.Lgs. n. 36/2003. Per contro,
in ciò non vi è nulla di paradossale, per tutta una serie
di motivazioni:
(14) E quindi, in particolare, quelli previsti dalla Tab. 1, Col. A,
Allegato 5, Titolo V, Parte IV, D.Lgs. n. 152/2006.
(15) Provvedimento preposto alla modifica e all’integrazione
dei parametri e relativi valori limite già determinati da pregresse
180
- lo stoccaggio definitivo in discarica dei fanghi in
depurazione, per le sue caratteristiche fisico chimiche
ostacola pesantemente il recupero ambientale del sito
dell’impianto dopo la sua dismissione;
- i rivestimenti artificiali delle sponde e del fondo
dell’impianto sono esposti a rischi di rottura in seguito
ad imprevedibili eventi accidentali;
- i medesimi rivestimenti con materiali naturali fini,
così come gli strati argillosi sottostanti, presentano
permeabilità molto bassa, ma in nessun caso pari allo
zero;
- il ricorso allo smaltimento in discarica è l’“ultima
spiaggia” per i fanghi di depurazione, perché all’ul-
timo gradino della gerarchia dei rifiuti.
Tutto ciò spiega perfettamente perché le norme di
accettazione in discarica stabilite per i fanghi, ten-
dano a scoraggiarne il conferimento, circoscrivendoli
ai casi di assenza di alternative.
Aderendo allo stesso teorema, la sentenza 20 luglio
n. 1782 del TAR Lombardia, per motivare l’annul-
lamento della Deliberazione G.R. Lombardia n. X/
7076 dell’11 settembre 1917 (15), incorrendo in un
plateale sproposito, afferma che essendo i fanghi di
depurazione “destinati ad essere mescolati ad ampie
porzioni di terreno e a divenire, quindi, un tutt’uno
con esso, appare pertanto logico che il fango rispetti i
limiti previsti per la matrice ambientale a cui dovrà
essere assimilato”, cioè “quelli previsti dalla Tab. 1,
colonna A dell’Allegato 5 al Titolo V, Parte Quarta,
del D. Lgs. n. 152 del 2006”.
Ci troviamo però di fronte ad una reiterazione del
sillogismo di don Ferrante di manzoniana memoria: è
senz’altro vero che lo strato superficiale del suolo,
dopo lo spargimento dei fanghi, attraverso le opera-
zioni di aratura, zappatura etc. diviene un mix inscin-
dibile di fanghi e terreno; ma questo significa, caso
mai, che tale miscela (per la sua estensione e il suo
spessore) assume il ruolo di preteso agente potenzial-
mente contaminante, fermo restando, tuttavia, che
la verifica del rispetto delle contrazioni limite di Col.
A andrà operata solo a carico dello strato sottostante
di suolo rimasto inalterato, mentre i fanghi, entrati a
far parte della miscela anzidetta, non sono affatto
tenuti a rispettare tali limiti.
L’errore forse tecnicamente più grave commesso da
questi pur autorevolissimi Collegi è stato comunque
quello di essersi riferiti ai limiti assunti in termini di
Linee Guida regionali in materia di gestione dei fanghi di depura-
zione, secondo quanto previsto dall’art. 6, comma 1, punto 2),
D.Lgs. n. 99/1992.
Ambiente & sviluppo 3/2019

concentrazioni soglia di contaminazione, - di cui al
Titolo V, Parte Quarta, D.Lgs. n. 152/2006, come
unico “strumento” per la distinzione dei rifiuti peri-
colosi da quelli non pericolosi: avrebbero invece
dovuto guardare all’Allegato D, D.Lgs. n. 152/
2006, rubricato “Elenco dei rifiuti istituito con Decisione
della Commissione 2000/532/Ce del 3 maggio 2000”, e
all’“Introduzione” posta in premessa all’Elenco vero
e proprio, che detta le uniche disposizioni da appli-
care ai fini della classificazione dei rifiuti.
È per contro del tutto incongrua l’argomentazione
proposta dalla Suprema Corte per giustificare la
propria opzione, dedotta in via ermeneutica,
“appigliandosi” all’art. 5, comma 2, lett. d-bis),
D.M. 5 febbraio 1998, (come modificato dal
D.M. n. 186/2006), che, recando rubrica “Recu-
pero ambientale” così recita:
“1. Le attività di recupero ambientale individuate
nell’allegato 1 consistono nella restituzione di aree
degradate ad usi produttivi o sociali attraverso rimo-
dellamenti morfologici.
2. L’utilizzo dei rifiuti nelle attività di recupero di cui
al comma 1 è sottoposto alle procedure semplificate
previste dall’articolo 33, del decreto legislativo 5
febbraio 1997 n. 22, a condizione che:
a) i rifiuti non siano pericolosi;
b) sia previsto e disciplinato da apposito progetto
approvato dall’autorità competente;
c) sia effettuato nel rispetto delle norme tecniche e
delle condizioni specifiche previste dal presente
decreto per la singola tipologia di rifiuto impiegato,
nonché nel rispetto del progetto di cui alla lettera b);
d) sia compatibile con le caratteristiche chimico-
fisiche, idrogeologiche e geomorfologiche dell’area
da recuperare.
d-bis) in ogni caso, il contenuto dei contaminanti sia
conforme a quanto previsto dalla legislazione
vigente in materia di messa in sicurezza, bonifica e
ripristino ambientale dei siti inquinati, in funzione
della specifica destinazione d’uso del sito”.
Leggendo la disposizione qui sopra riportata per esteso,
si evince chiaramente che la prescrizione riguardante
il rispetto dei valori soglia di contaminazione CSC
riguarda esclusivamente gli interventi di rimodella-
zione di aree degradate per la loro restituzione ad usi
produttivi e sociali; e, nell’ambito di questi ultimi, solo
quelli beneficiari delle procedure semplificate di cui
agli artt. 214-216, D.Lgs. n. 152/2006.
(16) In quanto tali, disciplinati, rispettivamente, dall’Allegato 2 e
dall’Allegato 3, D.Lgs. n. 75/2010.
(17) A ben vedere, il massimo Giudice di legittimità, per quanto
afferente al “merito” dei procedimenti sottoposti al suo scrutinio,
Ambiente & sviluppo 3/2019
Rifiuti
Ovviamente, l’impiego dei fanghi di depurazione per
interventi di rimodellazione di aree degradate in
regime di semplice comunicazione, che giustamente
implica il rispetto di una restrizione particolarmente
severa, nulla ha a che fare con lo spandimento dei
(medesimi) fanghi sui terreni agrari, per sfruttarne il
potere ammendante e/o correttivo. Va piuttosto qui
evidenziato - divus Homerus quoque interdum dormitat -
che il Collegio ha preteso di estendere, per analogia,
una norma speciale con campo di applicabilità rigida-
mente circoscritto, a una diversa fattispecie del tutto
inconferente, cioè l’utilizzazione dei fanghi in agricol-
tura, che non è sottoposta alla condizione erronea-
mente applicata dalla Corte.
Simili fattispecie hanno inoltre riguardato analoghi
procedimenti giudiziari, tuttora pendenti in periferia,
nei confronti di produttori di fertilizzanti (ammen-
danti o correttivi) (16) contenenti fanghi di depura-
zione, - come nel caso di alcuni tipi di compost o di
gessi e/o carbonati di defecazione -, forniti ad aziende
agricole per la loro distribuzione sui campi. Anche in
questo caso le tesi accusatorie muovono dalla conte-
stazione del mancato rispetto da parte dei fertilizzanti
prodotti e/o ceduti, dei valori limite esposti dalla Tab.
1, Col. A, Allegato 5, Parte V, Titolo V, D.Lgs.
n. 152/2006. Anche in questo caso, i preposti magi-
strati inquirenti, oppure i giudici che hanno in carico
tali procedimenti, si sono lasciati fuorviare dall’o-
rientamento espresso dalla Corte di cassazione con la
sopra richiamata sentenza n. 27958/2017.
Va dato atto che la Suprema Corte, anche quando
commette un errore (17), lo compie con autentica
eleganza motivazionale: muove infatti, inoppugnabil-
mente, da quanto statuito dall’art. 127, D.Lgs. n. 152/
2006 - Parte Terza, secondo il quale “ferma restando la
disciplina di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992,
n. 99, i fanghi derivanti dal trattamento delle acque
reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove
applicabile e alla fine del complesso processo di tratta-
mento effettuato nell’impianto di depurazione. I fanghi
devono essere riutilizzati ogni qual volta il loro reim-
piego risulti appropriato”, e “deraglia” solo quando si
appella a uno stralcio - avulso dal contesto - dell’art. 5,
comma 2, D.M. 5 febbraio 1998, per supportare la tesi
che, sempre e comunque, i fanghi di depurazione deb-
bano essere conformi ai limiti esposti dalla più volte
richiamata Colonna A, “salvo siano espressamente
previsti, esclusivamente in forza di legge dello Stato,
non sbaglia quasi mai, anche se non sempre sono condivisibili
tutte le considerazioni di diritto parallelamente espresse a pre-
messa del Suo Giudizio, come nel caso della “Sentenza Pagnin”.
181
Rifiuti

parametri diversi, siano essi più o meno rigorosi, nelle
tabelle allegate alla normativa di dettaglio (decreto 99/
1992) relativa allo spandimento dei fanghi o in prov-
vedimenti successivamente emanati”.
La circostanza esimente (18), come ben eviden-
ziato dalla sentenza della Cassazione 29 gennaio
2019, n. 4238, va individuata appunto nel disposto
dell’art. 41, D.L. n. 109/2018, che nella stesura
definitivamente assunta con la conversione nella
Legge n. 130/2018 ha così ridefinito il set dei
parametri e connessi valori limite che devono
essere positivamente verificati nei fanghi di
depurazione, ai sensi del D.Lgs. n. 99/1992 - Alle-
gato IB, per la loro “utilizzazione [diretta] in agri-
coltura”, nonché per l’impiego nella produzione di
fertilizzanti, questi ultimi disciplinati dal D.Lgs.
n. 75/2010, Allegati 2 e 3; in questo secondo
caso, è opportuno far presente che i fertilizzanti
di cui sopra, a valle dei relativi cicli produttivi,
dovranno anche rispettare i limiti di concentra-
zione indicati nella terza colonna della Tabella
riportata di seguito (19), ben più restrittivi da
quelli sanciti per i fanghi di depurazione che ne
sono tra gli elementi costitutivi.

Parametri inquinanti ex Valori limite ex Valori limite ex

D.Lgs n. 99/1992 D.Lgs. n. 99/1992 D.Lgs. n. 75/2010 - Allegati 2 e 3 (*)

Cadmio 20 mg/kg s.s. 1,5 mg/kg s.s.

Mercurio 10 mg/kg s.s. 1,5 mg/kg s.s.

Nichel 300 mg/kg s.s. 100 mg/kg s.s.

Piombo 750 mg/kg s.s. 140 mg/kg s.s.

Rame 1000 mg/kg s.s. 230 mg/kg s.s.

Zinco 2500 mg/kg s.s. 500 mg/kg s.s.

F053 IPA: F0A3 6 mg/kg s.s. -

PCDD/PCDF + PCB DL: F0A3 25 ng/kg s.s. -

PCB: F0A3 0,8 mg/kg s.s. -

Toluene: F0A3 100 mg/kg s.s. -

Selenio: F0A3 10 mg/kg s.s. -

Berillio: F0A3 2 mg/kg s.s. -

Arsenico: F0A3 20 mg/kg s.s. -

Cromo Totale: F0A3 200 mg/kg s.s. -

Cromo VI: F0A3 2 mg/kg s.s. -

Idrocarburi C10 - C40: 1000 mg/kg sul t.q. -

(*) Per gli ammendanti e i correttivi contenenti fanghi di depurazione devono essere osservati anche valori limite relativi ai parametri
microbiologici Salmonella e Escherichia coli. (Che qui non sono specificati).

Va infine evidenziato, a dimostrazione dell’assurdità
tecnica delle tesi accusatorie fondate sul presupposto
che il Legislatore avesse inteso riferirsi ai limiti della
Col. A - Tab. 1 di cui all’Allegato 5 alla Parte Quarta -
Titolo V del D.Lgs. 152/2006, quale “metro” per l’am-
missibilità (o meno) della somministrazione diretta dei
fanghi sui suoli agrari, che se così fosse stato, il Legislatore
si sarebbe (auto)imposto una “regola” atta a impedire (e
non certo a disciplinare) l’utilizzazione in agricoltura
della maggior parte dei fanghi di depurazione derivanti
dal trattamento delle acque reflue urbane. Come evi-
dente dalla pubblicazione Ispra n. 228/2015 “Uso dei
fanghi di depurazione in agricoltura: attività di controllo e
vigilanza sul territorio”, basterebbe riferirsi ai valori soglia
previsti in Col. A per i (relativamente innocui) para-
metri Rame e Zinco dosati nei fanghi di depurazione
destinati all’utilizzazione agricola (20), per renderne
inammissibile lo spandimento nella maggior parte dei

(18) Dal rispetto dei limiti di cui alla Tabella 1, Col. A, Allegato 5,
Parte Quarta, Titolo V, D.Lgs. n. 152/2006.
(19) Per una più dettagliata ed esaustiva informazione sulle
interrelazioni sui due corpi di disciplina, concernenti i fanghi di
depurazione e i fertilizzanti, si rimanda qui, di nuovo, al contributo
di chi scrive “Ancora sui fanghi di depurazione in agricoltura, dopo
la legge di conversione del D.L. ‘Genova’, e la nuova stesura
dell’art. 41”, pubblicato sul n. 2/2019 di questa stessa Rivista.
(20) Si vedano le tabelle 2.3 (pag. 22) e 2.5 (pag. 28) della
pubblicazione Ispra n. 228/2015, che propongono i valori (medi,

182 Ambiente & sviluppo 3/2019


casi concreti. E se poi si volesse approfondire la verifica,
estendendola agli idrocarburi, agli IPA, ai fenoli clo-
rurati, ecc., si dovrebbe concludere che i fanghi di
depurazione di acque reflue urbane, indipendentemente
dagli abitanti dell’agglomerato di provenienza, salvo
ben poche eccezioni, non potrebbe mai essere consen-
titi per la distribuzione sui suoli agrari, in palese con-
trasto col principio, esposto dall’art.127 del D. Lgs. 152/
2006, (21) secondo il quale “i fanghi devono essere
riutilizzati ogniqualvolta il loro reimpiego risulti
minimi e massimi) delle concentrazioni dei parametri metallici
rilevati nei fanghi di depurazione distribuiti all’uso agricolo, nelle
regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna.
(21) Tale disposizione così testualmente recita: «Ferma
restando la disciplina di cui al decreto legislativo 27 gennaio
Ambiente & sviluppo 3/2019
Rifiuti
appropriato”: l’avverbio ogniqualvolta dovrebbe essere
però modificato in mai, per dare una parvenza di
veridicità all’apodittico e mai dimostrato assunto che,
posti al vaglio della “disciplina sui rifiuti”, i fanghi di
che trattasi dovrebbero possedere un carico inquinante
non superiore a quello corrispondente alle concentra-
zioni soglia di contaminazione CSC, di cui all’art. 240,
comma 1, lett. b), D. Lgs. 152/2006 - Parte Quarta,
Titolo V, per gli analiti elencati dalla Tab. 1, Allegato 5
al medesimo provvedimento.
1992, n. 99, i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue
sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile e alla fine
del complessivo processo di trattamento effettuato nell'impianto
di depurazione. I fanghi devono essere riutilizzati ogni qualvolta il
loro reimpiego risulti appropriato».
183
Rifiuti

Ecoreati

Delitto di attività organizzate

per il traffico illecito di rifiuti: come
si determina la competenza
per territorio? (nota a Cass. pen.
n. 58448/2018)
Cassazione penale, sez. III, 28 dicembre 2018, ud. 25 ottobre 2018, n. 58448 - Pres. Ramacci -
Est. Mengoni - P.M. Gaeta (conc. conf.) - Ric. Rocca ed altri
Rifiuti - Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti - Reato abituale - Luogo di consumazione - Individuazione - È quello in
cui avviene la reiterazione delle condotte illecite

Il reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti si consuma nel luogo in cui avviene la reiterazione delle
condotte illecite e non in quello dove si verifica - come nella specie - l’interramento dei rifiuti che può essere una
frazione della condotta punibile, ma non è necessaria ai fini della rilevanza penale della fattispecie e della sua
consumazione, che è raggiunta a monte, quando la pluralità e ripetitività delle operazioni di gestione inerenti
quantitativi ingenti di rifiuti abbia raggiunto una intensità tale da mettere in pericolo il bene protetto.

Considerato in diritto n. 46705 del 3/11/2009, Caserta, Rv. 245605); ossia, lad-
dove si realizzano - con il citato carattere dell’abitualità - le
3. I ricorsi risultano manifestamente infondati per le
condotte che costituiscono l’in sé del reato, che ne inte-
argomentazioni che seguono; a muover da quelle concer-
grano gli elementi tipici, che ne evidenziano i caratteri
nenti le numerose questioni comuni, che verranno trat-
essenziali per come individuati dal legislatore. Con la signi-
tate con unica motivazione.
ficativa precisazione - correttamente sottolineata nella
4. Con riguardo, innanzitutto, alla doglianza in punto di
sentenza impugnata - per cui, ai fini della integrazione del
incompetenza per territorio - avanzata da tutti i ricorrenti -
reato qui in argomento, non sono necessari un danno
la stessa non può essere accolta, risultando corretta, ade-
ambientale né la minaccia grave di esso, atteso che la
guata e condivisibile la decisione assunta sul tema dalla
previsione di ripristino ambientale contenuta nel comma
Corte di appello, investita della medesima questione.
quarto del citato articolo si riferisce alla sola eventualità in
5. Sul punto, ritiene il Collegio che occorra ribadire un
cui il pregiudizio o il pericolo si siano effettivamente veri-
indirizzo costantemente affermato in questa sede, e soste-
ficati e, pertanto, non è idonea a mutare la natura della
nuto nella sentenza in esame, a mente del quale il delitto di
fattispecie da reato di pericolo presunto a reato di danno
attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, previsto
(Sez. 3, n. 19018 del 20/12/2012, Accarino, Rv. 255395;
dall’art. 260, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (oggi art. 452-
conforme, tra le altre, Sez. 3, n. 4503 del 16/12/2005,
quaterdecies cod. pen., giusta il d.lgs. 10 marzo 2018, n. 21) -
Sannarati, Rv. 233294).
reato abituale, che si perfeziona soltanto attraverso la rea-
6. Tanto premesso in termini generali, ritiene il Collegio
lizzazione di più comportamenti non occasionali della stessa
che la sentenza impugnata abbia fatto buon governo di
specie, finalizzati al conseguimento di un ingiusto profitto,
questi principi, evidenziando che la competenza per terri-
con la necessaria predisposizione di una, pur rudimentale,
torio doveva esser radicata proprio laddove le condotte
organizzazione professionale di mezzi e capitali, che sia in
illecite erano state reiterate, ossia presso l’impianto di
grado di gestire ingenti quantitativi di rifiuti in modo
trattamento di Biancinella-Calcinate, sito in provincia
continuativo (tra le molte, Sez. 3, n. 52838 del 14/7/
di Bergamo e nel circondario del locale Tribunale; senza
2016, Serrao, Rv. 268920) - si consuma nel luogo in cui
che assumesse decisivo rilievo, invece, il cantiere di Orzi-
avviene la reiterazione delle condotte illecite (tra le altre,
vecchi, costantemente richiamato dai ricorrenti come il
Sez. 3, n. 48350 del 29/9/2017, Perego, Rv. 271798; Sez. 3,
luogo in cui tutti i materiali in esame erano pervenuti per
n. 29619 dell’8/7/2010, Leorati, Rv. 248145; Sez. 3,
esser interrati e, quindi, smaltiti.

184 Ambiente & sviluppo 3/2019


7. In particolare, la Corte di appello - dopo aver congrua-
mente affermato che “l’interramento dei rifiuti sicura-
mente può essere una frazione della condotta punibile,
ma non è necessaria ai fini della rilevanza penale della
fattispecie e della sua consumazione, che può essere rag-
giunta a monte, quando la pluralità e ripetitività delle
operazioni di gestione inerenti quantitativi ingenti di
rifiuti abbia raggiunto una intensità tale da mettere in
pericolo il bene protetto” - ha sottolineato con ampio
argomento che l’impianto di Biancinella: a) costituiva
lo strumento attraverso il quale legittimare la fornitura
di scorie di acciaieria sotto l’asserita forma di materie
prime secondarie di cui al contratto di appalto del 18/
12/2008, aggiudicato dal raggruppamento temporaneo di
imprese costituito da "O. s.r.l.", "A. G.. L. s.r.l." e "T. s.r.l.",
contratto poi modificato con la variante proposta il 2/10/
2009 e recepita nel verbale di concordamento nuovi prezzi
del 2/12/2009; b) costituiva il luogo di ubicazione della
complessa struttura operativa ove le attività di illecita
gestione erano state compiute; c) in particolare, in questo
luogo era transitato l’ingente quantitativo di rifiuti di
acciaieria (nell’ordine di decine di migliaia di tonnellate,
come riscontrato da numerosissimi documenti di tra-
sporto), “con la principale finalità di risultare oggetto di
una lavorazione e di una trasformazione, che in realtà non
c’è stata, se non in minima parte” (a corredo, e non
smentita in alcun ricorso, la Corte di appello ha sottoli-
neato che il consulente tecnico del pubblico ministero
aveva constatato di persona la presenza di un autocarro
che aveva scaricato, nella zona del prodotto finito in
uscita, scorie invero provenienti dall’esterno, quindi
solo apparentemente risultanti oggetto di lavorazione
presso l’impianto).
Ancora presso la struttura di Biancinella, poi, erano avve-
nuti i test di cessione sul rifiuto cd. tal quale, da ritenersi
“addomesticati” in ragione di emergenze istruttorie che la
sentenza ha analiticamente richiamato e, in particolare,
due intercettazioni telefoniche del 28/12/2010 (il cui rife-
rimento - proprio di una delle due, la n. 1766 - al diverso
procedimento "B." ha costituito oggetto di una censura
generica, di tipo motivazionale, senza che risulti mai ecce-
pita l’inutilizzabilità processuale della medesima capta-
zione. E fermo restando, peraltro, che la posizione di
diversi indagati - relativamente a tale ulteriore vicenda -
era stata stralciata proprio dal presente procedimento, ad
evidenza della palese connessione tra gli stessi fatti). Sem-
pre presso il medesimo impianto in provincia di Bergamo,
poi, era avvenuta l’operazione di “sbiancatura” dei docu-
menti di trasporto, tale da far apparire “come lavorati e
provenienti dall’impianto di Biancinella materiale che,
viceversa, non era stato affatto lavorato o, addirittura,
nemmeno scaricato”; quel che la Corte di merito - in uno
con il primo Giudice - ha tratto anche dall’esame dei
numerosi documenti di trasporto in atti, evidenziando al
riguardo che alcuni autisti, congruamente ritenuti inatten-
dibili, talvolta avevano addirittura disconosciuto le sotto-
scrizioni a loro nome apposte sui documenti stessi, recanti
Ambiente & sviluppo 3/2019
Rifiuti
orari incompatibili con il trasporto lì indicato (elemento
che, peraltro, taluni odierni ricorrenti cercano di superare
con il riferimento a problemi di natura tecnico/informatica
che avrebbero inciso sulla datazione dei documenti in
oggetto, quindi con argomento di mero fatto e, dunque,
inammissibile in questa sede. Argomento, in ogni caso,
ancora adeguatamente superato dalla Corte di appello,
che ne ha evidenziato “l’incomprensibile durata” - per
diverse ore, per più giorni a settimana - tale da renderne
assai poco verosimile il contenuto).
8. In forza di tutte le considerazioni che precedono, dun-
que, la sentenza ha concluso sul punto rappresentando che
l’impianto di Biancinella-Calcinate aveva costituito il
teatro delle complesse operazioni di gestione illecita qui
contestate, 1) evidentemente finalizzate al consegui-
mento dell’ingiusto profitto che regge il profilo soggettivo
del delitto di cui all’art. 260 ex capo B), 2) precedenti e ben
più significative - nell’ottica della competenza per terri-
torio in esame - rispetto al mero interramento dei rifiuti,
quale operazione materiale conclusiva, e 3) tali da realiz-
zare - in modo duraturo, organizzato e continuativo, come
evidenziato dalle quantità di rifiuti movimentate indebi-
tamente - quel pericolo concreto al bene interesse tutelato
che il legislatore ha posto a fondamento della medesima
previsione normativa in oggetto.
9. In senso contrario, peraltro, non opera neppure il
richiamo a Sez. 3, n. 46705 del 2009, contenuto in molti
dei ricorsi (e, inizialmente, nella sentenza impugnata, con
accento critico). Con tale pronuncia, infatti, questo
Supremo Collegio ha ribadito i medesimi argomenti invero
sostenuti dalla Corte di appello di Brescia, qui interamente
condivisi e sopra richiamati (“Il reato deve considerarsi
abituale dal momento che per il suo perfezionamento è
necessaria la realizzazione di più comportamenti della stessa
specie; consegue che la competenza deve essere individuata
nel luogo in cui le varie frazioni della condotta, per la loro
reiterazione, hanno determinato il comportamento puni-
bile”), per poi concludere che “solo con l’arrivo dei vari
camion di rifiuti ed il loro interramento (...) si è avuto
l’accumulo di ingenti quantitativi che sigla il perfeziona-
mento del reato”. Ciò, tuttavia, la Corte ha nell’occasione
affermato non perché soltanto il definitivo interramento
integri il delitto di cui all’art. 260, come invece sostenuto
dai ricorrenti, ma perché “le condotte antecedenti (del caso
di specie, ovviamente, non in termini generali, n.d.e.) non
valgono a sostanziare la pluralità di operazioni atte a confi-
gurare le attività di gestione organizzata”. Diversamente,
quindi, dalla vicenda qui in esame, nella quale le condotte
anteatte - quelle tenute presso l’impianto di trattamento -
sono state, e congruamente, ritenute sufficiente ed adeguata
espressione di quegli atti reiterati di gestione che - già in sé -
integravano il delitto in rubrica.
E senza che, ancora sul punto, si possa condividere l’altra
pronuncia menzionata nei ricorsi, la Sez. 1, n. 19509 del
2014, la quale ha affermato - quanto alla predisposizione di
una struttura operativa organizzata - che “tale segmento
della condotta (di natura per così dire preparatoria) (...),
185
Rifiuti
intanto assume rilevanza e configura il comportamento
punibile ex D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ex art. 260, in
quanto allo stesso segua poi effettivamente una protratta e
consistente attività di smaltimento dei rifiuti, necessaria
per la configurabilità del delitto”. Trattasi, infatti, di un
indirizzo che non tiene conto della frequente complessità
delle operazioni che integrano la gestione abusiva di
rifiuti, molte delle quali possono invero precedere l’atti-
vità di smaltimento qui richiamata, oppure prescinderne,
ciononostante integrando tutti gli elementi costitutivi del
reato. Quel che, all’evidenza, consente anche di non
lasciare pericolose zone grigie di impunità, che ben potreb-
bero individuarsi qualora si accentrasse l’attenzione
COMMENTO
Vincenzo Paone (*)
Non sono molto frequenti le decisioni della Suprema
Corte in tema di competenza territoriale per il delitto
di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti
(art. 260, D.Lgs. n. 152/2006 e oggi art. 452-quater-
decies cod. pen.) (1).
Quella emessa in data 25 ottobre 2018 e dep. il 28
dicembre 2018, n. 58448, affronta in modo articolato
il tema e ciò ci ha indotto a ritornare sulla citata
questione, peraltro già espressamente trattata, alcuni
anni fa, da autorevole dottrina (2).
Nella fattispecie, agli imputati era stato contestato
di aver gestito abusivamente ingenti quantitativi
di rifiuti, costituiti da scorie di acciaieria, utilizzati
per la realizzazione di sottofondi e rilevati stradali.
Gli imputati avevano sollevato, già nella fase di
merito e poi anche in sede di legittimità, la que-
stione che andasse dichiarata l’incompetenza per
territorio dell’organo giudiziario che aveva pro-
nunciato la sentenza impugnata in considerazione
del luogo ove il rifiuto era stato effettivamente
smaltito.
(*) Magistrato.
(1) In argomento, da ultimo, v. Paone, “Traffico illecito di rifiuti:
che cosa cambia?”, in questa Rivista, 2018, pag. 381. Per una
panoramica in materia, v. A. Ramacci, “Il ‘nuovo’ art. 260 del
D.Lgs. n. 152/2006, vecchie e nuove questioni”, in questa Rivista,
2016, pag. 167.
(2) A.L. Vergine, “Il reato di cui all’art. 260 TUA: reato abituale,
permanente o complesso? (nota a Cass. pen. nn. 35801-33916-
29619/2010)”, in questa Rivista, 2011, pag. 621.
(3) Si evince dalla casistica che la condotta possa assumere le
forme e modalità più variegate, come, ad esempio, la miscela-
zione di più tipologie di rifiuti o la predisposizione di falsa docu-
mentazione per rendere impossibile l’individuazione della loro
provenienza.
186
dell’interprete sul solo conferimento in discarica (o sul-
l’interramento di cui ai ricorsi), così privando di ogni
rilievo i profili organizzativi e le relative condotte che
ben possono precedere questo ultimo tassello della
vicenda; tali - già essi stessi - da integrare appieno quel-
l’attività organizzata sanzionata dal legislatore (id est:
consumare il reato), senza doversi quindi attendere la
sola, ultima fase della medesima operazione illecita.
La prima censura comune, dunque, deve essere dichiarata
inammissibile, perché reiterativa di una questione già
avanzata in seconde cure, ed alla quale il Collegio di
appello ha fornito più che adeguata risposta.
(Omissis).
Per la Cassazione, invece, la competenza per territo-
rio era stata correttamente radicata in relazione al
luogo in cui le condotte illecite erano state reiterate,
ossia presso l’impianto di trattamento sito in territo-
rio del circondario del giudice adito, senza che assu-
messe decisivo rilievo il luogo di interramento/
smaltimento dei rifiuti.
Prima di valutare la decisione qui riportata, giova
ricordare i principi essenziali concernenti il reato di
attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti e
successivamente dare atto di come la Cassazione
abbia finora risolto il problema della competenza
territoriale.
La tipicità del delitto risiede nel fatto di chi, al fine di
conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e
attraverso l’allestimento di mezzi e attività continua-
tive organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta,
importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti
quantitativi di rifiuti.
Qualsiasi condotta o operazione (3), che comunque
possa rientrare nel concetto di gestione dei rifiuti (4),
(4) Ricordiamo che, secondo recente giurisprudenza - Cass. 9
ottobre 2018, n. 50143, Busisi, in questa Rivista, 2018, pag. 846 -
la definizione che l’art. 183, comma 1, lett. n), D.Lgs. n. 152/2006
fornisce della gestione dei rifiuti è ampia e sostanzialmente com-
prende ogni fase del ciclo dei rifiuti, dal momento della loro
produzione alla loro definitiva eliminazione, attraverso l’indica-
zione delle operazioni che la caratterizzano e che va letta consi-
derando l’insieme delle disposizioni riguardanti la disciplina dei
rifiuti e le modalità di svolgimento delle varie operazioni, senza
possibilità di scindere e considerare separatamente le singole
attività al fine di sottrarle all’applicazione della normativa di
settore.
Ambiente & sviluppo 3/2019

è suscettibile di diventare una componente del
delitto in questione.
La fattispecie vede come elemento particolarmente
significativo l’esistenza di una struttura organizzata
(dice il legislatore: “attraverso l’allestimento di mezzi
e attività continuative organizzate”) che giustifica la
più severa penalizzazione del fatto rispetto alle
contravvenzioni.
Ma da solo questo elemento non basta perché, come
emerge dal dettato normativo, è necessaria la plura-
lità di operazioni volte a gestire, abusivamente,
ingenti quantitativi di rifiuti.
Orbene, è tradizionale l’opinione (5) che il delitto di
cui trattasi debba inquadrarsi tra i reati abituali pro-
prio in ragione della realizzazione di una molteplicità
di comportamenti.
Alla luce di queste premesse, vediamo quale sia stata
la soluzione adottata dalla Cassazione circa la com-
petenza territoriale a conoscere del delitto di cui si
discute:
- per Cass. n. 46705 del 3 novembre 2009, Caserta,
Ced Cass., rv. 245605: il delitto di attività organizzate
per il traffico illecito di rifiuti è reato abituale in
quanto è integrato necessariamente dalla realizza-
zione di più comportamenti della stessa specie
(nella specie, la Corte, nel rigettare un’eccezione di
incompetenza territoriale, ha precisato che la com-
petenza deve essere individuata nel luogo in cui le
varie frazioni della condotta, per la loro reiterazione,
hanno determinato il comportamento punibile);
- per Cass. n. 29619 dell’8 luglio 2010, Leorati, Ced
Cass., rv. 248145: il delitto di attività organizzate per
il traffico illecito di rifiuti si consuma nel luogo in cui
avviene la reiterazione delle condotte illecite in
quanto elemento costitutivo del reato;
- per Cass. n. 48350 del 29 settembre 2017, Perego,
Ced Cass., rv. 271798: il delitto si consuma nel luogo
in cui avviene la reiterazione delle condotte illecite.
In senso diverso (6), Cass. n. 19509 del 14 aprile
2014, Confl. comp. Tribunale Trieste c/o Gup Tri-
bunale Trento (in questa Rivista, 2015, pag. 49) ha
ritenuto che la competenza spetta al giudice del luogo
dove i rifiuti sono stati smaltiti, anche quando la base
logistica dell’organizzazione illecita sia localizzata in
luogo diverso, in quanto quest’ultima si configura
come attività funzionale allo smaltimento illegale
di rifiuti ed alla quale deve poi effettivamente seguire,
ai fini della configurabilità del reato, una protratta e
consistente attività di smaltimento dei rifiuti.
(5) Anche se vivacemente criticata da Vergine, op. cit.
(6) Nel testo, si vedranno le osservazioni critiche che la sen-
tenza in epigrafe muove a tale pronuncia.
Ambiente & sviluppo 3/2019
Rifiuti
Il criterio dettato dalla Cassazione
L’indirizzo prevalente appare dunque incentrato sul-
l’individuazione del luogo (e del momento) in cui
avviene la reiterazione delle condotte abusive che
determinano il comportamento punibile nel senso
che l’illegale gestione di ingenti quantitativi di rifiuti
“sigla il perfezionamento del reato” (così testual-
mente Cass. Caserta).
La competenza viene perciò radicata nel luogo in cui
si concretizza “il minimo necessario” per integrare la
fattispecie e cioè l’esecuzione di più operazioni aventi
ad oggetto la movimentazione di quantitativi ingenti
di rifiuti.
Questa soluzione trova un riscontro in Cass. n. 52838
del 14 luglio 2016, Serrao, Ced Cass., rv. 268920,
secondo cui il delitto è reato abituale che si perfeziona
soltanto attraverso la realizzazione di più comporta-
menti non occasionali della stessa specie, finalizzati al
conseguimento di un ingiusto profitto, con la neces-
saria predisposizione di una, pur rudimentale, orga-
nizzazione professionale di mezzi e capitali, che sia in
grado di gestire ingenti quantitativi di rifiuti in modo
continuativo.
Tuttavia, la conclusione, a parte i problemi pratici cui
può dare origine, su cui torneremo in seguito, non
sembra essere del tutto conforme all’opinione di
autorevole dottrina (7) che, studiando il problema,
ha prima di tutto evidenziato che “In mancanza di un
richiamo espresso nella norma processuale che regola
tale materia, avevamo espresso - vigente il codice del
1930 - l’opinione che l’art. 39, 3° co. dovesse esten-
dersi anche al reato abituale nella parte in cui, per il
reato permanente, incardinava la competenza ratione
loci nel luogo dove era cessata la permanenza. Inter-
venuta la riforma del 1977, tale luogo fu spostato in
quello dell’inizio della consumazione. Tale criterio è
stato ribadito nell’art. 8, 3° co. del codice del 1988
anzi rafforzato col mantenerlo ‘anche se dal fatto è
derivata la morte di una o più persone’. Ciò posto non
risulta agevole stabilire se possa dirsi mutato il regime
anche per il reato abituale, specie se si considera che
la dottrina processualistica non si è per nulla occu-
pata del problema”.
L’A., dopo aver esposto altri rilievi critici sull’argo-
mento, ha concluso che “... sembrerebbe ancora
valida, per il reato abituale, la regola di incardina-
zione della competenza territoriale nel luogo di ces-
sazione della condotta abituale. Se si pone mente,
(7) Petrone, “Reato abituale”, in Digesto pen., Torino, 1996,
vol. XI, pag. 208.
187
Rifiuti
infatti, alle ragioni che spinsero il legislatore del 1977
prima - e quello del 1988, poi - a capovolgere il
criterio di individuazione del giudice territorial-
mente competente nel caso di reato permanente, ci
si avvede che quelle ragioni sono particolarmente
riferibili a tale figura (ed in particolare, al sequestro di
persona), mentre non sono necessariamente e glo-
balmente riferibili a tutte le fattispecie di durata”.
In questo senso, la Cassazione si è espressa con rife-
rimento ad alcuni tipici reati abituali:
- per Cass. n. 9956 del 11 gennaio 2018, Ced Cass.,
rv. 272374: ai fini della prescrizione del delitto di
“stalking”, che è reato abituale, il termine decorre dal
compimento dell’ultimo atto antigiuridico, coinci-
dendo il momento della consumazione delittuosa con
la cessazione dell’abitualità;
- per Cass. n. 52900 del 4 novembre 2016, Ced Cass.,
rv. 268559: il reato di maltrattamenti in famiglia,
configurando un’ipotesi di reato abituale, si consuma
nel momento e nel luogo in cui le condotte poste in
essere divengono complessivamente riconoscibili e
qualificabili come maltrattamenti; fermo restando
che, attesa la struttura persistente e continuativa
del reato, ogni successiva condotta di maltratta-
mento compiuta si riallaccia a quelle in precedenza
realizzate, saldandosi con esse e dando vita ad un
illecito strutturalmente unitario; ne deriva che il
termine di prescrizione decorre dal giorno dell’ultima
condotta tenuta;
- per Cass. n. 15894 dell’8 gennaio 2014, Ced Cass., rv.
260153: nell’esercizio abusivo della professione (art.
348 cod. pen.) - reato solo eventualmente abituale -
la reiterazione degli atti tipici dà luogo ad un unico
reato, il cui momento consumativo coincide con l’ul-
timo di essi, vale a dire con la cessazione della condotta;
- per Cass. n. 3032 del 16 dicembre 1986, Ced Cass.,
rv. 175315: il reato di maltrattamenti è reato abi-
tuale. Pertanto, poiché i fatti debbono essere molte-
plici e la reiterazione presuppone un arco di tempo
che può essere più o meno lungo, ma comunque
apprezzabile, la consumazione del reato si perfeziona
con l’ultimo di questa serie di fatti (nella specie, la
Suprema Corte ha disatteso la tesi della competenza
per territorio nel luogo ove aveva avuto inizio la
consumazione motivata dalla assimilabilità del
reato abituale a quello permanente).
Insomma, un filo comune lega le pronunce che abbiamo
appena ricordato. Peraltro, anche Cass. n. 44629 del 22
ottobre 2015, Bettelli, Ced Cass., rv. 265573, si è
(8) Petrone, “Reato abituale”, op. cit., pag. 209.
188
adeguata a questo orientamento avendo sostenuto
che il delitto di cui all’art. 260, D.Lgs. n. 152/2006 in
quanto necessariamente caratterizzato da una pluralità
di condotte, ha natura di reato abituale proprio e si
consuma, pertanto, con la cessazione dell’attività orga-
nizzata, finalizzata al traffico illecito: la sentenza però
non si è pronunciata sulla questione della competenza e
quindi non può essere indicata come espressione di un
principio diverso da quello affermato nelle decisioni
prima esaminate.
Perplessità rispetto all’impostazione
della Cassazione
Tornando all’indirizzo prevalente, come si è anti-
cipato, la ricerca del luogo ove si verifica la pluralità
delle operazioni illecite con l’ulteriore indefettibile
requisito dell’ingente quantità di rifiuti gestiti non è
esente da problemi pratici.
Uno è stato già messo in luce, sia pure, indiretta-
mente dalla dottrina già ricordata (8): ribadendo la
validità del criterio di radicare la competenza terri-
toriale nel luogo di cessazione della condotta, si è
infatti osservato che “è più difficile che l’imputato,
scegliendo il luogo dell’ultimo episodio, finisca per
determinare egli stesso il giudice competente”.
Orbene, questo rilievo non va invece affatto sotto-
valutato tenendo conto, ad esempio, della pericolo-
sità ravvisabile in capo a persone sottoposte alle
indagini strettamente collegate con radicate organiz-
zazioni criminali. A parte questa considerazione, è
comunque presente il rischio di una competenza
“pilotata” nell’ottica della tesi della Suprema Corte
di ancorare la competenza al luogo in cui si reiterano
le operazioni illecite, così perfezionando il reato.
Anche altri AA. (9) hanno espresso perplessità al
riguardo. Pur aderendo alla qualificazione come abi-
tuale del delitto in oggetto, si è osservato che tale natura
comporta importanti ricadute in ordine al locus commissi
delicti ai fini della competenza per territorio sicché “la
soluzione preferibile parrebbe quella di estendere la
regola espressamente enunciata dall’art. 8, comma 3,
c.p.p., in tema di reato permanente, anche all’ipotesi in
oggetto. In tale prospettiva dunque sarà competente il
giudice del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione
del reato, il che significa dove si è integrato il requisito
della reiterazione. Si comprende, comunque, come
l’applicazione concreta di siffatta regola si riveli estre-
mamente problematica ... in considerazione, da un lato,
(9) Bernasconi-Guerra, Articolo 260, in Giunta (a cura di), Codice
commentato dei reati e degli illeciti ambientali, 2a ed., Padova,
2007, pag. 425.
Ambiente & sviluppo 3/2019

della più volte evidenziata complessità degli elementi
costitutivi, e dall’altro lato, della molteplicità delle
forme di estrinsecazione che il reato in concreto può
assumere. Si pensi, a titolo meramente esemplificativo,
al caso, in cui l’organizzazione realizzi una pluralità di
trasporti a livello nazionale, che, nella fase iniziale,
potrebbero anche risultare leciti, ma che, con una
serie di passaggi intermedi, in località diverse, condu-
cano ad una progressiva fittizia “de-classificazione” dei
codici identificativi dei rifiuti, con conseguente illecita
gestione degli stessi; tutto ciò al fine di trasformare
documentalmente la natura dei rifiuti e la loro disci-
plina giuridica, così da renderle adatte e compatibili con
il sito finale di destinazione prescelto”.
Oppure, si pensi al caso (10) “di una spedizione di
rifiuti da uno stabilimento sito in località A, rea-
lizzato mediante l’utilizzo di più mezzi e interes-
sante un ingente quantitativo di rifiuti che, grazie a
documenti falsificati in località B e prima della loro
spedizione, siano stati successivamente smaltiti in
discariche, che non potevano riceverli situate in
località diverse C, D, E, F ... La reiterazione dei fatti
di falso determina già la competenza? Oppure, in
assenza di falsificazione dei documenti di trasporto,
trattandosi di attività totalmente clandestina, il
momento consumativo sarebbe da anticiparsi a
‘quello in cui ha avuto inizio l’attività di gestione
abusiva dei rifiuti, coincidente con la raccolta e il
caricamento degli stessi sui mezzi di trasporto,
presso il luogo di produzione’?”.
In definitiva, non sempre è agevole accertare il luogo di
perfezionamento del delitto (11), soprattutto se le
indagini sono in itinere, sicché il criterio di competenza
così individuato appare fonte di non poche incertezze.
Anche la più recente decisione non scioglie
tutti i dubbi
È giunto il momento di vedere la soluzione scelta
dalla Cassazione nella sentenza che si riporta.
Gli imputati assumevano che la Corte d’Appello, al
pari del Tribunale, avesse errato nell’indicare com-
petente l’Ufficio di Bergamo in luogo di quello di
Brescia, in ragione del fatto che il sito nel quale il
rifiuto era stato smaltito coincideva con il cantiere
stradale, sito in Orzivecchi, in provincia di Brescia.
Nessun rilievo, poteva esser assegnato all’impianto di
trattamento rifiuti di proprietà della “L.G.G. s.p.a.”,
in località Biancinella-Calcinate (Bg), come invece
(10) Ipotizzato dalla dottrina citata in nota 2.
Ambiente & sviluppo 3/2019
Rifiuti
affermato dai Giudici del merito, atteso che in esso -
ai sensi della contestazione - non era stata svolta
nessuna attività e, in alcuni casi, i rifiuti non erano
stati neppure scaricati. Di conseguenza, l’illecito
smaltimento era stato commesso nel circondario
del Tribunale di Brescia, unico luogo che “unificava”
le presunte condotte illecite, lì pervenendo tutto il
materiale che si contestava non essere stato trattato.
Il Collegio, ribadito l’indirizzo che il delitto di attività
organizzate per il traffico illecito di rifiuti è reato
abituale e come tale si consuma nel luogo in cui
avviene la reiterazione delle condotte illecite
(ossia, laddove si realizzano - con il carattere dell’a-
bitualità - le condotte che costituiscono l’in sé del
reato), ha ritenuto che la competenza per territorio
dovesse essere radicata proprio laddove le condotte
illecite erano state reiterate, ossia presso l’impianto di
trattamento di Biancinella-Calcinate, sito in provin-
cia di Bergamo e nel circondario del locale Tribunale,
senza che assumesse decisivo rilievo, invece, il can-
tiere di Orzivecchi, richiamato dai ricorrenti come il
luogo in cui tutti i materiali in esame erano pervenuti
per esser interrati e, quindi, smaltiti.
Infatti, è stata convalidata l’affermazione del giudice
d’appello secondo cui “l’interramento dei rifiuti sicu-
ramente può essere una frazione della condotta puni-
bile, ma non è necessaria ai fini della rilevanza penale
della fattispecie e della sua consumazione, che può
essere raggiunta a monte, quando la pluralità e ripe-
titività delle operazioni di gestione inerenti quanti-
tativi ingenti di rifiuti abbia raggiunto una intensità
tale da mettere in pericolo il bene protetto”.
In secondo luogo, la Corte ha confermato che l’im-
pianto di Biancinella costituisse il luogo di ubicazione
della complessa struttura operativa ove le attività di
illecita gestione erano state compiute e che in questo
luogo era transitato l’ingente quantitativo di rifiuti
sicché tale impianto aveva costituito il teatro delle
complesse operazioni di gestione illecita contestate,
precedenti e ben più significative - nell’ottica della
competenza per territorio in esame - rispetto al mero
interramento dei rifiuti, quale operazione materiale
conclusiva.
In conclusione, la Corte ha evidenziato che le
accertate operazioni di gestione illecita erano tali
da realizzare - in modo duraturo, organizzato e con-
tinuativo - quel pericolo concreto al bene interesse
tutelato che il legislatore ha posto a fondamento
della previsione normativa in oggetto.
(11) Si è già notato, ma lo ribadiamo: questa impostazione
comunque non è coerente con quanto la stessa Cassazione ha
sempre affermato in relazione ad altri reati abituali.
189
Rifiuti
La sentenza ha poi preso le distanze da due precedenti
in materia. Il primo, costituito dalla sentenza
n. 46705 del 2009 che aveva concluso che “solo
con l’arrivo dei vari camion di rifiuti ed il loro
interramento (...) si è avuto l’accumulo di ingenti
quantitativi che sigla il perfezionamento del reato”: la
sentenza in rassegna ha tuttavia notato che in quel-
l’occasione la conclusione era stata quella riportata
“non perché soltanto il definitivo interramento inte-
gri il delitto di cui all’art. 260, come invece sostenuto
dai ricorrenti, ma perché ‘le condotte antecedenti
(del caso di specie, ovviamente, non in termini
generali, n.d.e.) non valgono a sostanziare la pluralità
di operazioni atte a configurare le attività di gestione
organizzata’. Diversamente, quindi, dalla vicenda qui
in esame, nella quale le condotte anteatte - quelle
tenute presso l’impianto di trattamento - sono state, e
congruamente, ritenute sufficiente ed adeguata
espressione di quegli atti reiterati di gestione che -
già in sé - integravano il delitto in rubrica”.
Il secondo, costituito dalla sentenza n. 19509 del 2014,
la quale aveva ritenuto - quanto alla predisposizione di
una struttura operativa organizzata - che “tale segmento
della condotta (di natura per così dire preparatoria) (...),
intanto assume rilevanza e configura il comportamento
punibile ex D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ex art. 260, in
quanto allo stesso segua poi effettivamente una pro-
tratta e consistente attività di smaltimento dei rifiuti,
necessaria per la configurabilità del delitto”. A questa
tesi si è replicato che non tiene conto della frequente
complessità delle operazioni che integrano la gestione
abusiva di rifiuti, molte delle quali possono invero
precedere l’attività di smaltimento, oppure prescin-
derne, ciononostante integrando tutti gli elementi
costitutivi del reato. In tal modo, non si lasciano peri-
colose zone grigie di impunità, che ben potrebbero
individuarsi qualora si accentrasse l’attenzione dell’in-
terprete sulla sola operazione di smaltimento finale
“così privando di ogni rilievo i profili organizzativi e
le relative condotte che ben possono precedere questo
ultimo tassello della vicenda; tali - già essi stessi - da
integrare appieno quell’attività organizzata sanzionata
dal legislatore (id est: consumare il reato), senza doversi
quindi attendere la sola, ultima fase della medesima
operazione illecita”.
La pronuncia si inserisce dunque nell’alveo tradizio-
nale per cui l’accertamento del (momento e del)
(12) Anche in tema di reato associativo, la Corte suprema ha
stabilito che la determinazione della competenza territoriale è
affidata, in difetto di elementi certi in ordine alla genesi del vincolo
associativo, a criteri presuntivi che guardano al luogo in cui il
sodalizio criminoso si è manifestato per la prima volta o a quello
190
luogo di realizzazione della pluralità di operazioni
illecite, significative anche sotto il profilo del quan-
titativo gestito, permette di radicare la competenza
per territorio. Non nascondiamo che la soluzione
indicata, ancora una volta, si espone alle perplessità
illustrate in precedenza.
Una proposta di riforma
Proprio partendo da questo dato, vogliamo avanzare
una prospettiva de iure condendo che ci pare non solo
altamente ragionevole, ma anche facilmente prati-
cabile in sede operativa.
La Cassazione, infatti, ha esaltato la circostanza del
pericolo concreto cui è esposto l’interesse tutelato dal
legislatore quale conseguenza della pluralità e ripetiti-
vità delle operazioni di gestione inerenti quantitativi
ingenti di rifiuti. Tuttavia, si potrebbe anche fondata-
mente sostenere che il bene protetto è offeso già all’atto
della predisposizione dell’organizzazione di mezzi e per-
sone, funzionale alla programmata esecuzione di molte-
plici atti di gestione di quantitativi ingenti di rifiuti.
Se dunque il baricentro del disvalore del fatto tipico si
concentrasse sulla necessaria esistenza dell’organiz-
zazione, in parallelo con il delitto di cui all’art. 416
cod. pen. (12), si potrebbe identificare il luogo in cui
ha avuto inizio la consumazione del reato nel luogo in
cui si è formata la struttura illecita, superando così
quella vera probatio diabolica consistente nello stabi-
lire non solo quando si è verificata (almeno) la
seconda delle operazioni illecite, ma anche quando
si è realizzato il requisito dell’ingente quantità di
rifiuti gestiti (tali elementi, comunque, devono
essere riscontrati in concreto).
Il prospettato criterio attributivo di competenza
avrebbe l’indubbio pregio di individuare con certezza
e con immediatezza il luogo in cui si è formata la
struttura organizzativa, senza dover rincorrere le ope-
razioni abusive che, come più volte è stato detto,
possono essere compiute in luoghi diversi tra loro e
distanti dalla “casa madre”. Insomma, anche se non si
conosce il luogo in cui è avvenuto il “passaggio” dalla
contravvenzione al delitto, si conosce il luogo in cui è
stata allestita la struttura organizzativa.
Non siamo ottimisti circa il fatto che il legislatore
voglia seguire il nostro suggerimento: ma la speranza è
l’ultima a morire!
in cui si sono concretizzati i primi segni di operatività, normal-
mente coincidenti con il luogo in cui ha sede la “base” ove si
svolgono programmazione, ideazione e direzione delle attività
criminose facenti capo al sodalizio.
Ambiente & sviluppo 3/2019

Ecoreati
Il GIP di Taranto solleva
una nuova questione di legittimità
costituzionale sulla disciplina
c.d. “salva ILVA”
Valentina Cavanna (*)
La lunga e travagliata vicenda dell’ILVA di
Taranto, su cui si sono spesi fiumi di parole (1),
si è arricchita recentemente di nuovi tasselli.
Infatti, l’annosa questione è stata nuovamente
rimessa alla Corte costituzionale dal giudice per
le Indagini Preliminari (“GIP”) del Tribunale di
Taranto con l’ordinanza dell’8 febbraio 2019
(l’“Ordinanza”).
La predetta Ordinanza è stata tuttavia preceduta
da una pronuncia della Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo (“Corte EDU”) che, con la decisione
del 24 gennaio 2019 Cordella ed altri contro Italia
(la “Decisione”), ha condannato lo Stato ita-
liano per la violazione degli artt. 8 (2) e
13 (3) della Convenzione per la salvaguardia
dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamen-
tali (“CEDU”).
(*) Avvocato; cultore della materia in Istituzioni di Diritto Pub-
blico al Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di
Genova.
(1) Si segnalano in particolare, in questa Rivista: A. Muratori,
“Decreto salva Ilva: scelte difficili”, n. 1/2013, pag. 8; F. Giampie-
tro, “Introduzione al c.d. decreto legge Ilva”, n. 1/2013, pag. 5;
M. Cuniberti, “Il D.L. sull’Ilva, tra conflitti di attribuzione dubbi di
legittimità costituzionale”, n. 3/2013, pag. 205; V. Cavanna, “AIA:
riesame ed efficacia alla luce della vicenda relativa allo stabili-
mento Ilva di Taranto”, n. 3/2013, pag. 221; V. Cavanna, “Caso
Ilva e conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (nota a Corte
Cost. ordd. 13 febbraio 2013 nn. 16 e 17)”, n. 4/2013, pag. 326;
F. Giampietro, “Ilva: l’emergenza legislativa continua ...”, n. 11/
2013, pag. 911; F. Giampietro, “Ilva 2014 tra decreti-legge e crisi
finanziaria”, n. 10/2014, pag. 677; F. Giampietro, “Ilva 2015: la
sommatoria di decreti-legge, di decreti di conversione e di decreti
sull’AIA aggrava l’emergenza”, n. 11-12/2015, pag. 642; F. Giam-
pietro, “Ilva: nuovi decreti legge e nuove deroghe per dare attua-
zione a quale AIA?”, n. 11/2016, pag. 715; V. Cavanna, “Vicenda
Ilva e bilanciamento dei diritti fondamentali: nota alla sentenza
della Corte Costituzionale n. 58/2018”, n. 6/2018, pag. 385;
M. Tagliaferro, “L’Ilva e l’Idra di Taranto”, n. 1/2019, pag. 29.
Ambiente & sviluppo 3/2019
Inquinamento
Scopo del presente contributo è dunque quello di
illustrare il contenuto dell’Ordinanza, alla luce di
quello della Decisione (che sarà oggetto di ampio
commento nel prossimo numero di questa Rivista).
Premessa: la Decisione
Corre l’obbligo in questa sede di sintetizzare il con-
tenuto della Decisione, in quanto - come si vedrà
infra - la stessa è utilizzata dal GIP del Tribunale di
Taranto per rafforzare l’Ordinanza; un esame (dove-
roso, per quanto sommario) della Decisione e del suo
impianto fattuale consente infatti di meglio apprez-
zare il quadro delineato dal GIP.
Alla base della Decisione vi sono due ricorsi presentati
alla Corte EDU (4) ai sensi dell’art. 24 CEDU (5): i
ricorrenti denunciano gli effetti delle emissioni dello
stabilimento ILVA di Taranto (lo “Stabilimento”)
(2) “1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita
privata e familiare, del proprio domicilio e della propria
corrispondenza.
2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’eserci-
zio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e
costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria
alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere econo-
mico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla
protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e
delle libertà altrui”.
(3) “Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella
presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso
effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la viola-
zione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio
delle loro funzioni ufficiali”.
(4) Si tratta dei ricorsi ai nn. 54414/13 e 54264/15.
(5) L’articolo recita: “La Corte può essere investita di un ricorso
da parte di una persona fisica, un’organizzazione non governativa o
un gruppo di privati che sostenga d’essere vittima di una viola-
zione da parte di una delle Alte Parti contraenti dei diritti ricono-
sciuti nella Convenzione o nei suoi protocolli. Le Alte Parti
contraenti si impegnano a non ostacolare con alcuna misura
l’esercizio effettivo di tale diritto”.
191
Inquinamento
sulla salute e sull’ambiente, lamentando una viola-
zione del diritto alla vita, al rispetto della vita privata
ed al diritto ad un ricorso effettivo (rispettivamente,
artt. 2 (6), 8 e 13 CEDU). I ricorrenti vivono a
Taranto o in Comuni vicini.
La Corte EDU riconosce che lo Stabilimento è il più
grande complesso siderurgico in Europa, esteso su una
superficie di circa 1500 ettari e dà atto del fatto che
l’impatto delle emissioni dell’ILVA sull’ambiente e
sulla salute siano da molti anni al centro di un
importante dibattito.
Elenca poi gli studi scientifici che si sono susseguiti
nel tempo, che meritano per la loro significatività di
essere in questa sede ricordati:
1) Rapporti del 1997 e del 2002 elaborati dal Centro
europeo ambiente e salute (organismo dell’Organiz-
zazione Mondiale della Sanità): in particolare, il
rapporto del 2002 afferma che il tasso di mortalità
degli uomini per tumore nella zona di Taranto è
superiore del 10,6% al tasso osservato a livello
regionale;
2) Rapporto del 2002 dell’Agenzia Regionale per la
prevenzione e la protezione dell’Ambiente - ARPA,
che riconosce la pericolosità per la salute umana
dell’alta concentrazione di sostanze inquinanti pre-
senti nell’aria;
3) Studio epidemiologico del 2009 (7), che segnala
un aumento dei tumori al polmone, alla vescica ed
alla pleura negli uomini;
4) Rapporto “SENTIERI” del 2012 (8), che stabilisce
un nesso causale tra l’esposizione alle sostanze can-
cerogene inalabili nella zona e lo sviluppo dei tumori
ai polmoni ed alla pleura e le patologie del sistema
cardiocircolatorio;
(6) L’art. 2, comma 1 dispone in particolare: “Il diritto alla vita di
ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere inten-
zionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una
sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il
reato sia punito dalla legge con tale pena”.
(7) G. Graziano, M. Bilancia, L. Bisceglia, G. de Nichilo,
A. Pollice, G. Assennato, “Analisi statistica dell’incidenza di alcune
patologie tumorali nella provincia di Taranto 1999-2001”, in e&p
Epidemiologia & Prevenzione, Rivista dell’Associazione italiana di
epidemiologia, 33, 1-2, gennaio-aprile, 2009.
(8) P. Comba, S. Conti, I. Iavarone, G. Marsili, L. Musmeci,
R. Pirastu (a cura di), “Ambiente e salute a Taranto: evidenze dispo-
nibili e indicazioni di sanità pubblica”, consultabile all’indirizzo http://
www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_1833_allegato.pdf.
(9) R. Pirastu, P. Comba, S. Conti, I. Iavarone, L. Fazzo, R. Pasetto,
A. Zona, E. Crocetti, P. Ricci & Gruppo di lavoro SENTIERI (a cura di),
“SENTIERI - Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli
insediamenti esposti a rischio da inquinamento: mortalità, incidenza
oncologica e ricoveri ospedalieri”, consultabile all’indirizzo http://
www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2147_allegato.pdf.
192
5) Rapporto “SENTIERI” del 2014 (9), che evidenzia
come il tasso di mortalità nel Sito di Interesse Nazio-
nale (“SIN”) (10) di Taranto sia maggiore rispetto
alla media regionale;
6) “Studio di coorte sugli effetti delle esposizioni
ambientali ed occupazionali sulla morbosità e morta-
lità della popolazione residente a Taranto” (11) del
2016, che dimostra un nesso causale tra l’esposizione a
PM10 e SO2 di origine industriale, dovuta all’attività
produttiva dell’ILVA, e l’aumento della mortalità per
cause naturali, tumori, malattie renali e cardiovasco-
lari nei residenti;
7) Rapporto del registro tumori di Taranto del 2016,
relativo agli anni 2006-2011, che conferma una
maggiore incidenza di neoplasie nel Comune di
Taranto rispetto al resto della Provincia;
8) Rapporto ARPA del 2016, secondo cui il livello di
diossine nel quartiere Tamburi di Taranto è eccessivo
in rapporto a quanto autorizzato;
9) “Valutazione del danno sanitario” elaborata da
ARPA del 2017 (12), che stabilisce un nesso causale
tra le emissioni industriali e il danno sanitario nella
zona di Taranto.
Successivamente, la Corte EDU si sofferma sulle
misure amministrative e legislative adottate dalle
Autorità italiane in relazione allo Stabilimento a
partire dal 1990, menzionando innanzitutto i due
provvedimenti di Autorizzazione Integrata Ambien-
tale (“AIA”) rilasciati dal Ministero dell’Ambiente,
uno del 4 agosto 2011 ed uno del 27 ottobre
2012 (13).
La Corte EDU ricorda poi l’adozione - a partire dal
2012 - dei Decreti legge cosiddetti “Salva Ilva” (14) e
la pronuncia resa dalla Corte Costituzionale del 9
(10) In particolare, ai sensi dell’art. 252, comma 1, D.Lgs. 3 aprile
2006, n. 152: “I siti di interesse nazionale, ai fini della bonifica, sono
individuabili in relazione alle caratteristiche del sito, alle quantità e
pericolosità degli inquinanti presenti, al rilievo dell’impatto sull’am-
biente circostante in termini di rischio sanitario ed ecologico, nonché
di pregiudizio per i beni culturali ed ambientali”. Si veda in particolare il
Decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del
Mare 11 gennaio 2013.
(11) Consultabile all’indirizzo https://www.sanita.puglia.it/web/
csa/news-in-primo-piano_det/-/journal_content/56/890301/studio-
di-coorte-sugli-effetti-delle-esposizioni-ambientali-ed-occupazionali-
sulla-morbosita-e-mortalita-della-popolazione-residente-a-taranto.
(12) Consultabile all’indirizzo http://www.arpa.puglia.it/web/
guest/vds2.
(13) Si noti, inter alia, che già nell’AIA del 2012 si prescrive la
copertura dei parchi (cfr. art. 1, n. 4).
(14) In particolare: D.L. 3 dicembre 2012, n. 207; D.L. 4 giugno
2013, n. 61; D.L. 31 agosto 2013, n. 101; D.L. 10 dicembre 2013,
n. 136; D.L. 16 luglio 2014, n. 100; D.L. 5 gennaio 2015, n. 1; D.L. 4
luglio 2015, n. 92; D.L. 4 dicembre 2015, n. 191; D.L. 9 giugno
2016, n. 98.
Ambiente & sviluppo 3/2019
 Inquinamento

aprile 2013, n. 85 (15) (in seguito la “Sentenza n. 85/ Infine, la Corte EDU ha sottolineato l’urgenza del-
2013”), che consentono la prosecuzione dell’attività l’adozione di misure per il risanamento dello Stabi-
dello Stabilimento. Tale aspetto, come si vedrà, verrà limento e del territorio impattato dall’inquinamento
analizzato diffusamente dall’Ordinanza di seguito ed altresì ha specificato che il Piano Ambientale
commentata. approvato dalle autorità nazionali deve essere
Un punto chiave della Decisione, che costituisce, come messo in esecuzione il prima possibile.
si vedrà infra, per il GIP di Taranto un vulnus alla tutela
della salute dei cittadini, è il fatto che il Decreto del L’Ordinanza
Presidente del Consiglio dei Ministri (“D.P.C.M.”) del
Il GIP del Tribunale di Taranto ha sollevato que-
29 settembre 2017 (“Approvazione delle modifiche al
stione di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi
Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e
5 e 6 del D.L. 5 gennaio 2015, n. 1 e ss.mm.ii., in
sanitaria di cui al decreto del Presidente del Consiglio
seguito “D.L. n. 1/2015” (recante “Disposizioni
dei ministri 14 marzo 2014, a norma dell’articolo 1,
urgenti per l’esercizio di imprese di interesse strate-
comma 8.1., del decreto-legge 4 dicembre 2015, n. 191,
gico nazionale in crisi e per lo sviluppo della città e
convertito, con modificazioni, dalla legge 1° febbraio
dell’area di Taranto”) nella parte in cui:
2016, n. 13”) abbia posticipato al 23 agosto 2023 il
(i) prorogano alla scadenza dell’AIA (ad oggi fissata
termine ultimo per la realizzazione degli interventi
al 23 agosto 2023, a mente dell’art. 2, comma 2,
previsti dal Piano delle misure e delle attività di tutela
D.P.C.M. 29 settembre 2017) i termini per l’attua-
ambientale e sanitaria (“Piano Ambientale”) di cui al
zione del Piano Ambientale e, in ogni caso, il termine
D.L. 4 giugno 2013, n. 61, approvato con D.P.C.M. 14
originariamente previsto dall’art. 3, comma 3, D.L. 3
marzo 2014.
dicembre 2012, n. 207 per la prosecuzione “in ogni
La Corte EDU afferma tra l’altro che i summenzionati
caso” dell’attività produttiva nello Stabilimento;
studi scientifici evidenziano l’esistenza di un nesso di
(ii) prevedono che “le condotte poste in essere in
causalità tra l’attività produttiva dello Stabilimento e la
attuazione del piano di cui al periodo precedente
compromissione della salute nel territorio interessato
[N.d.R.: il Piano Ambientale] non possono dare
(tra cui i Comuni di Taranto, Crispiano e Massafra).
luogo a responsabilità penale o amministrativa del
Inoltre, l’inquinamento prodotto dallo Stabilimento ha
commissario straordinario, dell’acquirente dell’af-
senza dubbio conseguenze pregiudizievoli sul benessere
fittuario o acquirente e dei soggetti da questi fun-
dei ricorrenti.
zionalmente delegati in quanto costituiscono
Secondo la Corte, nel caso di specie l’Italia non ha
adempimento delle migliori regole preventive in
intrapreso azioni efficaci per migliorare l’impatto
materia ambientale, di tutela della salute e dell’in-
ambientale dello Stabilimento; tra l’altro, la realiz-
columità pubblica e di sicurezza sul lavoro”.
zazione del Piano Ambientale ha scadenza nel 2023.
Il giudizio nell’ambito del quale è stata emessa l’Ordi-
Il procedimento è dunque di una “lentezza estrema”,
nanza riunisce tre diversi procedimenti, due dei quali a
secondo la Corte EDU. Peraltro, il Governo è più
carico di ignoti, in relazione a condotte riferite al
volte intervenuto per far proseguire l’attività, nono-
periodo tra il 2014 ed il 2017.
stante i rischi gravi per la salute e per l’ambiente; da
L’Ordinanza contiene argomentazioni di grande
ultimo, si è anche introdotta una immunità penale ed
interesse per la comprensione della rimessione della
amministrativa a favore dell’amministrazione prov-
questione alla Corte Costituzionale, muovendo dalla
visoria e dell’acquirente della società. Tale aspetto
Sentenza n. 85/2013 della Corte Costituzionale e
costituisce peraltro uno dei motivi di doglianza del
dalla Decisione della Corte EDU sopra richiamata.
GIP di Taranto.
Vale pertanto la pena, in questa sede, riprenderne
Secondo la Corte EDU, si è pertanto realizzata una
alcuni estratti, che rendono peraltro evidente la
violazione dell’art. 8 CEDU.
tensione tra i diversi interessi costituzionalmente
Ma è stato violato anche l’art. 13 CEDU, in quanto
garantiti sottesi alla vicenda dell’ILVA di Taranto.
nel nostro Paese non esistono rimedi effettivi per
Tali estratti - in ragione della loro incisività e chia-
l’attivazione di misure che garantiscano il risana-
rezza - rendono sostanzialmente superfluo un com-
mento delle zone interessate dalle emissioni nocive
mento di dettaglio in questa sede.
dello Stabilimento.

(15) Mi si consenta di rinviare a V. Cavanna, “Ilva: criterio di

ragionevolezza e bilanciamento dei diritti (nota a Corte Cost. n. 85/
2013)”, in questa Rivista, n. 7/2013, pag. 631.

Ambiente & sviluppo 3/2019 193

Inquinamento
Le disposizioni de quibus, secondo il GIP, “presentano
evidenti profili di criticità e di incompatibilità con i
valori costituzionali”.
Come anticipato, il GIP di Taranto - come già la
Corte EDU - non manca di sottolineare l’impatto
della “immunità penale” introdotta dal Legislatore.
Infatti, in relazione alla disposizione di cui all’art. 2,
comma 6, D.L. n. 1/2015, il GIP afferma trattarsi di
una scriminante (speciale) (16); “L’interpretazione
che si può dare della predetta norma è univoca: vige
una vera e propria presunzione iuris et de iure di
conformità e di legalità circa le azioni (ed omissioni)
del Commissario p.t. e degli altri soggetti menzionati
nel testo della norma impegnati ad attuare il Piano
delle misure e delle attività di tutela ambientale e
sanitaria di cui al D.P.C.M. 14 marzo 2014, trattandosi
di condotte che, secondo l’insindacabile giudizio ex
ante dell’Esecutivo (ratificato dal legislativo), costi-
tuirebbero l’adempimento delle ‘migliori regole pre-
ventive in materia ambientale, di tutela della salute e
dell’incolumità pubblica e di sicurezza sul lavoro’; il
rischio ambientale e tecnologico legato a tali attività
viene inquadrato in via presuntiva nel cosiddetto
rischio consentito” (…) “si è, non a torto, parlato di
una vera e propria ‘immunità penale’ concessa ai
predetti soggetti, riferita alle azioni attuative previste
dall’A.I.A. per l’Ilva del 2014” (pag. 14).
Il GIP prosegue: “La copiosa produzione normativa … è
sempre stata caratterizzata dallo scopo di garantire,
attraverso una discutibile disciplina di favore, la prose-
cuzione dell’attività dello stabilimento” (…); “La
varietà degli interventi normativi e le palesi deroghe
alle norme comuni (e finanche ai principi generali
dell’ordinamento giuridico, disinvoltamente elusi al
fine di consentire all’azienda di mantenere i livelli
produttivi ed occupazionali …) … portano a doman-
darsi se non sia stato creato un sottosistema penale
connesso a questa particolare realtà industriale, confi-
nata in zone di difficile perseguibilità, se non di sostan-
ziale irrilevanza penale, dove la tutela di beni primari
(quali la salute e lo stesso diritto alla vita) deve subire
vistose deroghe per garantire la continuità di impresa e,
comunque, per ragioni economiche” (pagg. 20-21).
Secondo il GIP, la fissazione della scadenza al 2023 e
l’introduzione della scriminante di cui sopra rendano
“disinvoltamente oltrepassati” i paletti fissati dalla
Corte costituzionale nella Sentenza n. 85/2013.
Infatti, “il Giudice delle leggi del 2013 aveva un
orizzonte temporale ben limitato e definito (36
mesi), avendo cioè giudicato implicitamente congruo
(16) Tale considerazione ha sollevato qualche perplessità: si
veda S. Zirulia, “Alla Corte Costituzionale una nuova questione di
194
il tempo concesso dal legislatore all’impresa per pro-
cedere al risanamento degli impianti, in modo da
ridurre (o eliminare) i rischi per la salute e l’ambiente,
per cui la continuazione della produzione, in costanza
di sequestro era stata ritenuta lecita (e la relativa
norma costituzionalmente legittima) perché quello
spazio temporale massimo era necessario per il rag-
giungimento del duplice obiettivo, costituito dalla
salvaguardia dei processi produttivi e dei conseguenti
livelli occupazionali e della tutela degli altri diritti
(salute e ambiente) fino a quel momento compro-
messi” (pagg. 24-25).
Secondo il GIP; “per undici anni dal sequestro dello
stabilimento - 25 luglio 2012 - quell’impresa (che, lo
si ripete, è stata già ritenuta, in forza di provvedimenti
emessi da giudici del tribunale jonico, pericolosissima
per la salute della popolazione, dei lavoratori e del-
l’ambiente circostante) è stata messa nelle condizioni
di continuare a produrre, con la garanzia, per i suoi
gestori (e soggetti da essi delegati), di non dover
essere chiamati a rispondere dei reati eventualmente
commessi in violazione delle norme, di diritto
comune, poste a presidio della salute, dell’incolumità
pubblica e della sicurezza sul lavoro!” (pag. 25).
“Devono allora ritenersi clamorosamente assenti quei
criteri di proporzionalità e ragionevolezza che, in pre-
cedenza, avevano consentito il sacrificio di preminenti
valori costituzionali (la salute e l’ambiente) per con-
temperarli - senza essere ‘tiranni’ rispetto ad altri - con
altri beni e interessi costituzionalmente tutelati. Viene
anzi da chiedersi se, attualmente, sia proprio l’interesse
economico ad essere divenuto ‘tiranno’ rispetto al
diritto alla salute” (pagg. 25-26).
E il GIP si chiede dunque: “Nel caso di specie come si
può parlare di bilanciamento di diritti, allorquando
l’attuazione del Piano è stata prorogata prima al 2017,
poi al 2023 e nessuna norma sancisce la definitività di
quel termine, già di per sé eccessivo?” (pag. 30).
Secondo il GIP, sono dunque violati i seguenti
articoli:
(i) art. 3 Cost., anche in ragione del fatto che “iden-
tici fatti-reato (quali, in ipotesi, quelli contestati nel
presente procedimento), se commessi da alcune
imprese, possono determinare il blocco dell’attività
produttiva e la responsabilità dei loro massimi diri-
genti o proprietari, se commessi, invece, dai soggetti
preposti allo stabilimento ILVA di Taranto non
comportano analogo effetto, determinandosi in que-
sto modo, ad avviso dell’odierno giudicante, una
inammissibile disparità di trattamento”;
legittimità della disciplina c.d. ‘salva Ilva’”, in www.penalecon-
temporaneo.it.
Ambiente & sviluppo 3/2019

(ii) art. 35 Cost. laddove si prevede la tutela del lavoro
“in tutte le sue forme ed applicazioni”, in combinato
disposto con l’art. 32 Cost., che tutela il diritto alla
salute, posto che “le norme in questione, consentono,
di fatto, di imporre ai lavoratori dello stabilimento
ILVA di Taranto condizioni lavorative che altrove
determinerebbero l’interruzione dell’attività produt-
tiva, l’attivazione dei meccanismi di controllo della
A.G. e adeguate sanzioni penali” e dal momento che
“certamente e clamorosamente leso è anche il diritto
alla salute di coloro che abitano nei pressi dello stabi-
limento, essendo stato accertato che elevati livelli di
inquinamento aumentano il rischio di contrarre malat-
tie mortali. Anche per costoro l’assurdo prolungamento
dell’attività autorizzata compromette irrimediabil-
mente in diritto fondamentale e inviolabile”;
(iii) art. 41 Cost., giacché “non poter perseguire, per un
lasso di tempo potenzialmente indefinito, i soggetti che
espongono a pericolo la salute, l’incolumità e la vita dei
lavoratori e della popolazione che vive in prossimità
dello stabilimento confligge apertamente con il dettato
costituzionale, non potendo l’attività produttiva essere
esente da controlli giurisdizionali e dovendo essere
attenta alle esigenze basilari della persona”;
(iv) artt. 24 e 112 Cost. perché le disposizioni de
quibus “si pongono in netto contrasto con il dovere
dell’ordinamento di reprimere e prevenire reati che
pure il Giudice delle leggi ha riconosciuto come bene
oggetto di protezione costituzionale … attraverso
l’azione dei pubblici ministeri e l’eventuale solleci-
tazione del privato leso nei suoi diritti”;
(v) art. 117 Cost. perché le disposizioni “violano gli
obblighi internazionali assunti dall’Italia, con l’ade-
sione alla Convenzione europea sui diritti umani e,
segnatamente, quelli derivanti dagli artt. 2 (‘il diritto
(17) Cfr. S. Zirulia, “Alla Corte Costituzionale una nuova que-
stione di legittimità della disciplina c.d. salva Ilva”, cit. “l’impres-
sione che oggi si ricava dalla lettura della densa ed articolata
ordinanza, è che il rimettente abbia colto nel segno laddove ha
denunciato l’irragionevolezza insita nel convulso succedersi di
continue proroghe del termine per l’attuazione del piano di risa-
namento, da ultimo rilanciato addirittura al 2023.
In effetti, davanti ai dati offerti da univoci studi epidemiologici,
che descrivono un’allarmante situazione sanitaria nelle aree circo-
stanti l’acciaieria, ogni ritardo nell’attuazione del piano di risana-
mento si paga in termini di anni di vita, o di vita sana. Possiamo
certamente discutere sul significato che l’aumento della mortalità
Ambiente & sviluppo 3/2019
Inquinamento
alla vita di ogni persona è protetto dalla legge’), 8
(‘ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita
privata e familiare, nel proprio domicilio’) e 13 (‘ogni
persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella
presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a
un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale’)
della Convenzione, come da ultimo sancito dalla
Corte Europea di Strasburgo” nella Decisione
innanzi commentata.
Brevi considerazioni conclusive
Come si è visto, la vicenda ILVA deve ancora trovare
una soluzione soddisfacente.
Condivisibili sono le argomentazioni rese dall’Ordi-
nanza, anche sulla scorta di quanto affermato dalla
Corte EDU nella sua Decisione. Peraltro, vero è che
la Sentenza n. 85/2013 della Corte costituzionale si
fondava sulla temporaneità del “sacrificio” del diritto
alla salute; solo detta temporaneità consentiva
infatti, secondo la Consulta, di ritenere rispettato il
bilanciamento dei diritti fondamentali nell’assenza
di un diritto “tiranno” (17).
Orbene, anche alla luce dell’Ordinanza da ultimo
emanata e del prossimo pronunciamento della
Corte costituzionale, v’è da chiedersi dunque quale
sia il futuro dello Stabilimento, allorché si ritenga,
nell’attuale situazione, scardinato il bilanciamento
dei diritti costituzionalmente garantiti.
Se così è, infatti, occorre (come peraltro indicato
dalla Corte EDU) ripristinare la tutela del diritto
alla salute attraverso misure ben più pregnanti di
quelle poste in essere finora, senza la possibilità di
riproporre soluzioni temporanee e, per ciò stesso,
inadeguate.
riveste ai fini della prova del nesso causale nei processi penali per
reati d’evento; ma non possiamo sensatamente discutere, quanto
meno non tra giuristi, sul significato che quel dato riveste per
indicare una situazione di rischio sanitario diffuso, e che per questa
ragione chiama le competenti autorità ad adottare provvedimenti
capaci di garantire un livello di tutela adeguato al rango che il diritto
alla salute riveste nella Costituzione.
La ragionevolezza che poteva ravvisarsi in un provvedimento
come il decreto ‘salva-Ilva’ del 2012, il cui difficile obiettivo era
fronteggiare una prima emergenza (ambientale), senza provocarne
un’altra (occupazionale), viene meno quando lo stato di emergenza
si cronicizza, cessando dunque di essere realmente tale” …
195

Autorizzazioni
AIA: prove tecniche per un taglio
drastico alla discrezionalità
amministrativa?
Andrea Quaranta (*)
Un Paese (in)discreto, discrezionale
e per niente semplice
Quando si parla di U.C.A.S. - un acronimo che sta
per Ufficio Complicazioni Affari Semplici - e di Stato
italiano, tutti sappiamo a cosa ci stiamo riferendo.
Ad un Paese, il nostro, dalle potenzialità infinite ma
ridotto(si) ad essere (quando va bene) soltanto:
- discreto nei fatti;
- indiscreto sia nelle proposte politiche (cioè nelle
risposte che, in prospettiva, pensa utopisticamente
di poter dare), sia nelle risposte rabberciate che si
limita a balbettare, di fronte all’emergenza di
turno, e
- discrezionale dal punto di vista operativo (spesso
prassi fantasiose sostituiscono il dato normativo).
Sullo sfondo, una certa propensione ad elaborare un
complicato, intricato, ridondante corpus normativo
che ha come unico risultato quello di provocare un
inquinamento legislativo che finisce - “suo mal-
grado” - con il dotare la burocrazia di poteri quasi
soprannaturali.
Poteri in grado di complicare affari che, in tutta
evidenza, sarebbero molto semplici da risolvere.
Morale: troppo spesso nel nostro Paese non si capisce
se-chi-cosa-quando-perché-dove-come deve fare
qualcosa.
Un Paese discrezionale, per l’appunto; una discrezio-
nalità che, in termini giuridici, ha diverse sfaccetta-
ture: discrezionalità amministrativa, tecnica,
operativa, con tutto quello che la discrezionalità -
specie se condotta alle estreme conseguenze - può
portare di negativo con sé ...
(*) Manager ambientale - Sistemi di gestione ambientale.
andrea.quaranta@naturagiuridica.com.
(1) Nota, prot. n. 0011098 DVA del 14 maggio 2018, con la quale
il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ha
Ambiente & sviluppo 3/2019
Gestione ambientale
L’ennesima dimostrazione è data dall’ultima - in
ordine cronologico - puntata della saga che vede
come protagonista la “relazione di riferimento”
(RdR), uscita sui palinsesti legislativi nel 2014 allor-
quando il legislatore, con il D.Lgs n. 46/2014, nel
recepire la Direttiva 2010/75/UE, introdusse nel
nostro ordinamento l’obbligo della relazione di rife-
rimento per alcune tipologie di impianti.
Relazione di riferimento che, come vedremo, dopo
essere stata oggetto in sequenza:
- di un Decreto sulle modalità di redazione (e relative
linee guida interpretative, per spiegare quello che nel
Decreto era oscuro), e
- del suo annullamento, avvenuto per mano del TAR
Lazio.
Di recente è stata oggetto di un nuovo testo, analiz-
zato dal Consiglio di Stato.
Il parere del Consiglio di Stato
sul regolamento recante le modalità
per la redazione della RdR
a) le premesse
Questa nuova puntata inizia con un mistero: nono-
stante numerose ricerche, non è stato possibile con-
sultare direttamente né il documento analizzato dal
Consiglio di Stato (1) - lo “schema di regolamento
recante le modalità per la redazione della relazione di
riferimento” - né i relativi allegati.
Si è dunque tergiversato a parlarne finora, nella
speranza di trovare il “testo del mistero”.
Oggi, a mesi di distanza da quel parere, e nel silenzio
generale seguito ad una proposta di legge che:
trasmesso lo schema di regolamento in oggetto, unitamente alla
relazione illustrativa, alla relazione A.I.R. (analisi di impatto della
regolamentazione), alla relazione A.T.N. (analisi tecnico-norma-
tiva) e alla relazione tecnico-finanziaria.
197
Gestione ambientale

- riguarda un tema contiguo e parzialmente sovrap- Ministero dell’Ambiente ha voluto specificare di

ponibile alla RdR (modifiche in materia di procedure
di valutazione ambientale);
- ha lo stesso focus (forte limitazione della
discrezionalità),
si è deciso di fare il punto della situazione su quello
che potrebbe essere il futuro prossimo della disci-
plina, per quello che - stando ai “titoli” e all’angolo
visuale annunciato - potrebbe anche far pensare ad
una innovazione positiva in un’ottica di prospettiva.
Va premesso che - secondo quanto riportato dal
Consiglio di Stato nelle premesse del parere - il
aver elaborato “la proposta in oggetto previo con-
fronto con l’ISPRA e con il Coordinamento ex art.
29-quinquies, del D.Lgs. 152/2006, tenuto conto
anche dei rilievi formulati dai gestori delle installa-
zioni soggette ad autorizzazione integrata ambientale
statale, in sede di prima applicazione delle modifiche
normative introdotte dal D.Lgs. 46 del 2014”.
Dal canto suo, il Consiglio di Stato ha voluto pre-
mettere un riassunto delle puntate precedenti, al fine
di contestualizzare il nuovo testo (e, quindi, anche le
critiche allo stesso), riassunte nella tabella 1.

Tabella 1 - Sintesi delle tappe principali riguardanti la relazione di riferimento

Direttiva 2010/75/UE
L’art. 22 della Direttiva con riferimento alle installazioni soggette ad autorizzazione integrata ambientale,
prevede infatti l’introduzione di specifici obblighi di ripristino del sito, condizionati dalla presentazione di una
“relazione di riferimento” a corredo della prima istanza di autorizzazione, tale da descrivere lo stato del suolo e
delle acque sotterranee in relazione alla presenza delle c.d. “sostanze pericolose pertinenti”, ovvero delle
sostanze suscettibili di contaminare presenti in esito all’esercizio dell’installazione.

D.Lgs n. 46/2014 (i)
Al fine di dare attuazione alla normativa comunitaria, l’art. 29-sexies, comma 9-sexies, D.Lgs n. 152/2006
rimette al Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare il compito di emanare uno o più decreti
indicanti le modalità per la redazione della relazione di riferimento di cui all’art. 5, comma 1, lettera v-bis), con
particolare riguardo alle metodiche di indagine ed alle sostanze pericolose da ricercare con riguardo alle attività di
cui all’Allegato VIII alla Parte Seconda.

D.M. n. 272/2014
Nelle more dell’emanazione di tale Decreto attuativo, la norma primaria aveva messo i gestori in condizione di
operare in un quadro di incertezza, poiché i criteri con i quali la relazione doveva essere predisposta non erano
affatto chiari. In una situazione di incertezza ancora maggiore si trovavano poi le autorità competenti, le quali
dovevano scegliere se procedere alla conclusione dei relativi procedimenti senza validare la relazione di
riferimento; se validarla ma solo in via provvisoria, in attesa dell’emanazione del regolamento, ovvero se
sospendere il procedimento. Al D.M. sono seguite delle linee di indirizzo (ii)

TAR Lazio n. 11452/2017 Annullamento del D.M. n. 272/2014 (iii)

Schema di regolamento
L’Amministrazione ha, dunque, riproposto i contenuti nella forma corretta ed ha sottoposto al parere del
Consiglio di Stato il presente schema di regolamento, col quale intende recepire e dare attuazione alle Linee
Guida emanate in materia dalla Commissione dell’Unione europea (Comunicazione 6 maggio 2014, n. 2014/
C136/01, pubblicata in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea C 136 del 16 maggio 2014) in applicazione dell’art.
22 della summenzionata Direttiva comunitaria 2010/75/UE.

(i) Per un approfondimento, v. A. Quaranta, “Emissioni industriali: prime osservazioni sul D.Lgs n. 46/2014”, in questa Rivista, n. 5/2014; A.
Quaranta, “D.Lgs n. 46/2014: i nuovi controlli alla prova del nove”, in questa Rivista, n. 8-9/2014.
(ii) Per un approfondimento, v. A. Quaranta, “Modalità per la redazione della relazione di riferimento: quali sono, cosa (non) dicono”, in questa
Rivista, n. 4/2015; A. Quaranta, “Le prime linee di indirizzo AIA e la promessa ‘uniformità applicativa’”, in questa Rivista, n. 2/2015; A. Quaranta,
“Le ‘seconde’ linee di indirizzo AIA: continua lo stillicidio dei chiarimenti”, in questa Rivista, n. 8-9/2015.
(iii) Per un approfondimento, v. A. Quaranta, “AIA: il TAR annulla il D.M. n. 272/2014 sulla relazione di riferimento”, in questa Rivista, n. 3/2018.

b) le promesse (rectius: gli obiettivi) - quello secondario “è poi quello di acquisire in

Gli obiettivi del regolamento, secondo le indicazioni
ministeriali, sono addirittura tre:
- il principale “consiste nel far sì che si possa disporre
di dati sull’attuale livello di contaminazione, a guisa
di poterli confrontare con i dati rilevati a chiusura
delle attività, tanto al fine di conoscere se e in che
modo l’esercizio dell’istallazione abbia contribuito ad
incrementare il livello di inquinamento, così che i
gestori possano essere chiamati a ripristinare le con-
dizioni del sito secondo le modalità indicate nella
‘relazione di riferimento’”;
maniera standard e codificata, per le installazioni
non soggette a presentazione della relazione di rife-
rimento, le informazioni che giustificano la non
assoggettabilità a tale obbligo”; si specifica che
“tale ultimo elemento viene indicato come sia al
fine di porre dei limiti alla discrezionalità tecnica
di tale valutazione, sia per consentire all’amministra-
zione di difendersi da eventuali contestazioni in
merito all’applicazione dell’art. 22 della direttiva”;
- l’ultimo, quello complessivo, è infine “volto, dun-
que, non tanto a caratterizzare uno stato di contami-
nazione attuale quanto ad acquisire le informazioni e i

198 Ambiente & sviluppo 3/2019


dati necessari utili a fornire un riferimento per deter-
minare in futuro l’incremento della presenza di
sostanze pericolose pertinenti, così da preservare,
per un verso, lo stato attuale del suolo e delle
acque, onde conoscerne il livello eventuale di con-
taminazione e di impedirne l’incremento; e da con-
sentire, per l’altro, un efficacie e consapevole
intervento di bonifica finale del sito una volta cessato
l’esercizio dell’impianto”.
c) il misterioso regolamento
Finalmente, nel parere si fa un riassunto dei 5 articoli
e dei 3 allegati dello “schema”:
1.per quanto concerne l’oggetto, l’ambito di appli-
cazione e le esclusioni (art. 1), il regolamento pare
limitarsi a ricordare che “devono considerarsi
escluse le installazioni collocate interamente in
mare”;
2.l’art. 2 è meramente definitorio, e si limita a richia-
mare quelle dettate dal Testo Unico Ambientale;
3.in relazione all’“obbligo di presentazione della
relazione di riferimento” l’art. 3 “chiarisce quali
siano le installazioni per le quali va verificato l’ob-
bligo di presentare la relazione di riferimento, e quali,
invece, sono tenute a presentare senz’altro la rela-
zione di riferimento, per le caratteristiche tipiche
delle attività condotte” (2);
4.l’art. 4 riguarda la “verifica della sussistenza del-
l’obbligo di presentazione della relazione di
riferimento” (3);
(2) In particolare, è fatto obbligo di presentazione della relazione
di riferimento, con riguardo:
a) agli impianti elencati nell’Allegato XII alla Parte Seconda del
D.Lgs. n. 152/2006, ai punti 1, 3, 4 e 5;
b) agli impianti di cui al punto 2 dell’Allegato XII alla Parte
Seconda del D.Lgs. n. 152/2006, ove tali impianti siano alimentati,
anche solo parzialmente, da combustibili diversi dal gas naturale;
c) alle installazioni per le quali è verificata la sussistenza del-
l’obbligo di presentazione della relazione di riferimento ai sensi
dell’art. 4 del regolamento medesimo.
(3) L’art. 4, secondo il riassunto che ne fa il Consiglio di Stato,
richiama l’obbligo per legge di corredare ogni nuova istanza di AIA
con la relazione di riferimento, se dovuta, o con le motivazioni per
le quali essa non sia ritenuta dovuta. Al di fuori delle ipotesi
previste all’art. 3, comma 1, lettere a) e b), la sussistenza dell’ob-
bligo di presentazione della relazione di riferimento è verificata
applicando la procedura di cui all’Allegato 1 del presente regola-
mento. Laddove, invece, i gestori ritengano di non dover presen-
tare la relazione di riferimento, dovranno darne evidenza
all’Autorità Competente, attraverso un’apposita relazione che
dia atto dell’assenza di sostanze pericolose pertinenti.
(4) A) Art. 1, comma 2, il testo esclude dal proprio ambito di
applicazione le installazioni collocate interamente in mare.
Nella relazione si spiega che tale esclusione è determinata sia
dalle “particolarità tecniche di tali installazioni (cui non sono appli-
cabili le linee guida comunitarie e che quindi richiederebbero
ulteriori specifici approfondimenti) sia dalla scarsa rilevanza
Ambiente & sviluppo 3/2019
Gestione ambientale
5.l’ultimo articolo analizza, infine, i “contenuti
minimi della relazione di riferimento”).
In particolare:
- il primo comma richiama quanto disposto all’Al-
legato 2 con riferimento alle informazioni necessarie
da fornire al fine di effettuare un raffronto in termini
quantitativi con lo stato al momento della cessazione
definitiva delle attività;
- il secondo comma richiama, invece, l’Allegato 3,
avente ad oggetto i criteri per l’acquisizione di infor-
mazioni sullo stato di qualità del suolo e delle acque
sotterranee con riferimento alla presenza di sostanze
pericolose pertinenti.
d) le osservazioni del Consiglio di Stato
Fatta eccezione per l’art. 2, il Consiglio di Stato ha
cercato di far capire al legislatore che, nonostante
tutto il tempo passato, e nonostante abbia seguito alla
lettera le indicazioni degli operatori del settore, ci sia
ancora spazio per alcune censure, diversamente qua-
lificate, che consiglierebbero degli “aggiustamenti”.
In estrema sintesi, le osservazioni al testo del Decreto
sia di carattere formale che sostanziale sono decli-
nate in:
- “semplici” suggerimenti, come avviene in relazione
alle esclusioni per le installazioni collocate intera-
mente in mare (4) e al coordinamento delle norme (5);
- integrazioni (che sembrano collocarsi su un gradino
superiore al suggerimento, quanto a cogenza) richie-
ste per:
pratica della casistica” e che ove la casistica si rilevasse merite-
vole di interventi normativi residuerebbe il potere regolamentare
ovvero la “facoltà di stabilire con successivo, ulteriore decreto le
specifiche modalità per redigere la relazione di riferimento degli
impianti off-shore”.
Il Ministero ritiene che sia “residuale la possibilità che le attività
oggetto dell’AIA determinino una specifica contaminazione dei
suoli e delle acque sotterranee nell’area delimitata dal perimetro
dell’installazione. Ciò determina la sostanziale inutilità di emanare
il regolamento … per tali casistiche”.
Al fine di consentire una corretta delimitazione dell’ambito di
applicazione del suddetto regolamento, la Sezione suggerisce che
venga inserito nel testo del secondo comma l’ulteriore inciso per
cui ad essere escluse dall’ambito di applicazione del presente
Decreto sono: sia le installazione off-shore, le quali, a differenza di
quanto previsto dalla disciplina comunitaria, sono assoggettate in
Italia all’autorizzazione integrata ambientale (AIA), sia le installa-
zioni effettuate in prossimità del fondale. Tale precisazione si
rende opportuna anche alla luce dell’ulteriore considerazione
per cui, a norma dell’art. 29-sexies, comma 9-sexies, D.Lgs. n.
152/2006, viene riconosciuta la facoltà di stabilire con successivo
ulteriore decreto, ove se ne ravvisasse la necessità, le specifiche
modalità per redigere la relazione di riferimento degli impianti off-
shore.
(5) Al fine di un migliore coordinamento tra le due norme si
suggerisce una integrazione dell’art. 3 dello schema di Decreto,
operando un esplicito richiamato a quanto disposto all’Allegato 1).
199
Gestione ambientale
• l’obbligo di presentazione della relazione di riferi-
mento (6) così come per l’insussistenza dello
stesso (7);
• la normativa di favor a priori prevista per le micro,
piccole e medie imprese (8);
• la disciplina della procedura finalizzata all’indivi-
duazione delle sostanze pericolose pertinenti (9);
(6) C) All’art. 3, il testo fa riferimento alle ipotesi in cui “unita-
mente alla domanda di autorizzazione integrata ambientale è
presentata la relazione di riferimento”, prescrizione questa che
si ritiene debba essere integrata con la precisazione contenuta
nell’ultima parte dell’Allegato 1 che detta “Disposizioni particolari
per gli impianti di cui all’art. 3, comma 1, lettere a) e b)”.
(7) d2) L’intero testo della disposizione prende in considera-
zione i soli casi in cui vi sia l’obbligo di presentazione della relazione
di riferimento ovvero le diverse ipotesi in cui, all’esito della verifica
di cui al comma 1, emerga l’insussistenza dell’obbligo di presen-
tare la relazione suddetta. Al fine di dare piena attuazione al dato
dispositivo di rango primario e, in particolare, di tenere conto di
quanto statuito nelle Linee Guida dettate dalla Commissione
europea, la disposizione in oggetto andrebbe più opportunamente
integrata con l’ulteriore previsione in virtù della quale risulti possi-
bile che un’installazione non tenuta all’elaborazione di una rela-
zione di riferimento apporti successive modifiche alle attività
svolte sul sito tali da richiedere la predisposizione di una nuova
relazione. In questo caso, la necessità di elaborare tale ulteriore
documento dovrebbe essere oggetto di una successiva valuta-
zione effettuata al momento dell’aggiornamento
dell’autorizzazione.
(8) E) Gli artt. 3 e 4 regolano, altresì, gli obblighi di presentazione
della relazione di riferimento e la verifica di sussistenza dell’ob-
bligo medesimo, esonerando in pratica da tale obbligo le micro,
piccole e medie imprese.
Il decreto introduce a priori una normativa sostanzialmente di
favore per le suddette categorie, del tutto disancorata da una
valutazione in ordine all’impatto concreto della norma comunitaria
sulla specifica attività di esercizio dell’impresa.
La fonte normativa primaria, nazionale e comunitaria, àncora
l’obbligo della relazione di riferimento allo specifico impatto che
l’attività in concreto esercitata potrebbe avere sul suolo e sulle
acque: una valutazione, dunque, di tipo oggettivo e non sogget-
tivo. La circostanza che tali imprese siano “generalmente non
soggette agli obblighi della relazione di riferimento”, a motivo della
loro consistenza strutturale, appare poco persuasiva poiché pre-
scinde dall’aspetto funzionale dell’esercizio.
Se, dunque, è plausibile che statisticamente siffatte imprese
impattino poco sulla realtà che si intende normare, una loro
generalizzata esenzione appare tuttavia ingiustificata.
Ad avviso della Sezione, una ragionevole soluzione di compro-
messo potrebbe trovarsi nella previsione di procedure semplifi-
cate cui assoggettare tali imprese allorquando le stesse venissero
trovarsi nella situazione di impatto con la direttiva comunitaria.
(9) L’Allegato 1, nel disciplinare le tre fasi in cui è articolata la
procedura, infatti, indica alla Fase 3 quali sono gli elementi di cui si
deve tener conto al momento della valutazione circa la possibilità
di contaminazione delle sostanze che hanno superato le soglie di
cui alla tabella 1.
Tuttavia, le Linee Guida, al punto 3 della tabella 5.1, indicano
ulteriori elementi di cui è necessario tenere conto al fine di identi-
ficare la possibilità effettiva di contaminazione, tra cui le modalità
ed il luogo di stoccaggio, utilizzo e trasporto delle sostanze peri-
colose all’interno dell’installazione.
Andrebbe, pertanto, meglio coordinato l’Allegato 1) con le
Linee Guida.
(10) D) All’art. 4 viene dettata la disciplina relativa alla “verifica
della sussistenza dell’obbligo di presentazione della relazione di
200
- per finire con annotazioni anche sull’utilizzo
della lingua italiana, sia nell’esposizione (10) che
nell’utilizzo di avverbi inappropriati (e, in
quanto tali, forieri di interpretazioni errate (11))
o di locuzioni infelici (12), o di formule impro-
prie (13), per non parlare anche dell’utilizzo
della punteggiatura (14).
riferimento”: d1) Al comma 1, il secondo periodo appare
ridondante.
(11) F) All’art. 5, comma 1 la norma stabilisce che la “relazione
di riferimento … contiene almeno le informazioni di cui all’Allegato
2)”. Ad avviso della Sezione, sarebbe opportuno che venisse
chiarito il significato dell’avverbio “almeno”, perché se inteso
come sinonimo di “quanto meno” - “per lo meno”, esso mal si
coordinerebbe con i successivi commi 2 e 3 del medesimo art. 5
ove viene invece indicata la necessità di acquisire, ai fini dell’au-
torizzazione integrata ambientale, ulteriori informazioni specifiche
affinché la relazione stessa sia in grado di adempiere ai contenuti
essenziali richiesti dalle norme.
Per il resto, nulla si rileva: l’articolato richiama il disposto di cui
all’Allegato 2) e Allegato 3) per la determinazione del contenuto
minimo della relazione di riferimento con ciò garantendo unifor-
mità e certezza della disciplina. In particolare, al pari di quanto
sopra esposto in merito all’art. 2, anche la disposizione in esame si
pone correttamente in linea con le più comuni regole di drafting, in
forza delle quali non appare necessario procedere alla ripetizione
di quanto statuito dalle Linee Guida (punto 5.8) in relazione alla
stesura della relazione di riferimento, essendo sufficiente operare
un semplice richiamo come quello previsto al primo comma.
(12) G) Nell’Allegato 1, secondo periodo, andrebbe sostituita la
locuzione “è verificata…” con la seguente: “si intende con ciò
verificata”. L’ausiliare del verbo “essere” appare inappropriato; lo
stesso vale con riguardo alla successiva “Fase 3” del medesimo
Allegato, ove il secondo periodo reca la medesima locuzione.
Andrebbe, altresì, meglio articolata la consecutio temporum lad-
dove non viene usata la coniugazione del verbo al congiuntivo:
vedasi Allegato 3, punto 2. 1ultimo periodo (“… che dimo-
strino …”).
I) Sempre con riguardo all’Allegato 3, appare opportuno elimi-
nare o chiarire l’uso della locuzione “In linea generale” che com-
pare nell’incipit del terzo periodo, ciò per l’opportunità di impartire
ai gestori ed all’Autorità competente criteri chiari e precisi sulle
modalità dell’indagine sulla caratterizzazione delle acque
sotterranee.
(13) L) Allegato 3, punto 1.1.1. “Strategie a ubicazione siste-
mica”. La norma impartisce istruzioni sulla scelta della localizza-
zione dei punti in cui effettuare il campionamento del suolo
insaturo.
Stante l’utilità strategica del criterio, appare impropria la for-
mula utilizzata al secondo periodo in cui, nell’applicazione di tali
strategie “si raccomanda di applicare i seguenti criteri”. Sarebbe
opportuno l’uso di espressioni più stringenti e tassative che
escludano qualsiasi ipotesi di discrezionalità operativa nella scelta
dei criteri medesimi (ad esempio, si potrebbe usare la locuzione
“si applicano i seguenti criteri”; “sono applicati i seguenti criteri”).
(14) H) Sempre nell’Allegato 3, al punto 2.2 appare un uso
eccessivo della punteggiatura, per cui il secondo periodo
andrebbe così riformulato: “Ove tali informazioni non siano dispo-
nibili, non siano state validate (almeno a campione) dalle compe-
tenti autorità pubbliche o non siano comunque ritenute sufficienti
dall’Autorità competente a caratterizzare l’attuale stato di qualità
del suolo e delle acque sotterranee, con riferimento alla presenza
delle sostanze pericolose pertinenti, si procede applicando le
strategie di cui al punto 1.1.”; idem con riguardo al successivo
punto 2.3 secondo periodo.
Ambiente & sviluppo 3/2019

La proposta di una nuova modifica del testo
unico ambientale: trasparenza,
informazione e partecipazione dei cittadini
Poche settimane prima del parere del Consiglio di
Stato, alcuni volenterosi deputati hanno presentato
una proposta di legge per le modifiche al D.Lgs n. 152/
2006 in materia di procedure di valutazione
ambientale.
Senza volerci addentrare, in questa sede, nell’analisi
del lungo articolato della proposta di legge, basti
evidenziare che fra le novità figura anche l’introdu-
zione di un nuovo art. 9-bis (“Trasparenza e parteci-
pazione nelle procedure di approvazione di progetti
aventi potenziale impatto sulla salute e sull’am-
biente”), in base al quale:
- le autorità competenti al rilascio di pareri ed
autorizzazioni per piani, programmi e progetti che
possono avere un impatto sull’ambiente per i
quali non sono previste procedure di VIA e
VAS assicurano che il pubblico sia informato
nella fase iniziale del procedimento in modo ade-
guato, tempestivo ed efficace, mediante avvisi
pubblici facilmente consultabili anche nei siti
web istituzionali delle amministrazioni interessate
dal procedimento;
oggetto del procedimento promosso
su cui è presa la decisione
autorità competente all’adozione del
provvedimento
avviso di avvio del procedimento con-
tenente l’indicazione del responsabile
Tabella 2 - Le principali
informazioni in merito
del procedimento e dell’unità organiz-
zativa alla quale rivolgersi per ottenere
alle fasi
informazioni e documenti
procedimentali
modalità e i termini di partecipazione e
di intervento nel procedimento da
parte del pubblico
indicazione delle informazioni
ambientali e sanitarie disponibili sul-
l’attività proposta
- le informazioni in merito alle successive fasi proce-
dimentali sono comunicate, anche per via telema-
tica, nominativamente a coloro che abbiano
presentato formale richiesta di partecipazione;
- l’autorità competente rende disponibili nel proprio
sito web istituzionale le informazioni relative alle
procedure previste dalla presente parte e ne garanti-
sce l’integrità, il costante aggiornamento, la comple-
tezza, la tempestività, la semplicità di consultazione,
(15) TAR Brescia n. 1098/2018.
Ambiente & sviluppo 3/2019
Gestione ambientale
la comprensibilità, l’omogeneità e la facile
accessibilità;
- le sanzioni, in caso di omissione degli obblighi di
trasparenza e partecipazione, sono quelle di cui al
capo VI del D.Lgs. 14 marzo 2013, n.33.
La semplicità è la cosa più facile
da non capire
Oscar Wilde diceva che “Le domande non sono mai
indiscrete. Le risposte, talvolta, lo sono”.
La normativa italiana in materia ambientale (ma non
solo quella), per tornare all’incipit di questo contri-
buto, è vittima di uno stillicidio di norme, che si sono
affastellate giorno dopo giorno, in assenza di un
disegno organico e strutturato, e in balìa di proroghe,
deroghe, eccezioni, di una generale mancanza di
coordinamento, di abrogazioni “chirurgiche” che
hanno contribuito ad aumentare l’inquinamento
legislativo.
Non fa certo eccezione la normativa in materia di
“procedure di valutazione ambientale”, ampiamente
rimaneggiata nel corso degli anni, e ciò nonostante
quasi mai sincrona con quella comunitaria.
Di fronte a questa sclerosi legislativa, alle sempre più
pressanti esigenze di maggiore tutela ambientale si è
giocoforza dovuto rispondere con la previsione di
poteri discrezionali sempre più ampi dell’Autorità
competente, in grado non solo di gestire aspetti non
ancora trattati a livello normativo, ma anche di
contestualizzare - con il solo scopo di migliorare la
cura degli interessi protetti - precetti normativi esi-
stenti, ma dotati di scarsa flessibilità.
La giurisprudenza, in specie quella amministrativa,
ha più volte ribadito che - nel rendere il giudizio di
valutazione di impatto ambientale - “l’Ammini-
strazione esercita una amplissima discrezionalità
che non si esaurisce in un mero giudizio tecnico -
in quanto tale suscettibile di verificazione tout
court sulla base di oggettivi criteri di misurazione
- ma presenta, al contempo, profili particolarmente
intensi di discrezionalità amministrativa e istitu-
zionale sul piano dell’apprezzamento degli interessi
pubblici e privati coinvolti e della loro pondera-
zione rispetto all’interesse all’esecuzione dell’opera
o del progetto” (15).
Questo vale sia per la VIA sia per le altre “procedure
di valutazione ambientale”, e quindi anche per
l’AIA, per la quale il legislatore ha attribuito all’Au-
torità competente al suo rilascio poteri che si
201
Gestione ambientale
caratterizzano per la possibilità di articolare in
maniera discrezionale le prescrizioni da imporre ai
destinatari: discrezionalità che, in quanto tale, può
anche significare che siano previste prescrizioni dif-
ferenti per fattispecie (apparentemente) identiche.
Purché sia adeguatamente motivata, e rispettosa dei
principî generali: è questo il vero limite al potere
discrezionale, come spiegato dalla stessa giurispru-
denza amministrativa (16).
Perché, in sostanza, il problema non è la discrezio-
nalità, ma l’uso che se ne fa ...
Quindi: gli strumenti ci sono già, e già vengono - e
dovrebbero sempre essere - usati.
Si tratta di strumenti, peraltro, semplici da usare.
Ora, se ci si limitasse ad una distratta lettura dei
“titoli” delle leggi, o dei vari “considerando” o ancora
degli obiettivi perseguiti, si potrebbe anche pensare
che - per tornare nel vivo del tema di questo con-
tributo - sia il misterioso, nuovo, futuribile D.M., da
un lato, che la proposta di legge, dall’altro, mirino ad
una semplificazione dell’attuale assetto normativo in
materia.
L’obiettivo in sé è legittimo: non si mette in discus-
sione questo aspetto.
Ci si chiede, però, e soltanto sulla base del testo, così
come riassunto dal Consiglio di Stato:
(16) “Tale apprezzamento è sindacabile dal giudice amministra-
tivo soltanto ove ricorrano - e siano riscontrabili - emersioni inficianti
sub specie della manifesta illogicità o del travisamento dei fatti, nel
caso in cui l’istruttoria sia stata omessa, ovvero svolta in modo
inadeguato (cfr. CDS: sez. IV, 5 luglio 2010, n. 4246; sez. V, 6 luglio
2016 n. 3000, 22 marzo 2012, n. 1640 e 12 giugno 2009, n. 3770;
sez. VI, 13 giugno 2011, n. 3561; C.G.U.E., 25 luglio 2008, c-142/07;
Corte cost., 7 novembre 2007, n. 367; TAR Abruzzo, L’Aquila, 20
aprile 2016, n. 237; TAR Veneto, sez. III, 25 marzo 2016, n. 311; TAR
Piemonte, sez. II 10 ottobre 2014, n. 1552; TAR Puglia, Lecce, sez. I,
19 giugno 2015, n. 2096 e 24 luglio 2013, n. 1746).
Le posizioni soggettive dei soggetti coinvolti nella procedura
hanno sostanza di interesse legittimo e le relative controversie
non rientrano nel novero delle tassative ed eccezionali ipotesi di
giurisdizione di merito previste dall’art. 134 c.p.a.
L’intensità del sindacato giurisdizionale risente della natura
discrezionale, sia sul versante tecnico che amministrativo, della
decisione finale assunta dalla P.A. in materia di VIA.
Relativamente ai profili di discrezionalità tecnica, il sindacato è
intrinseco, ma non sostitutivo.
Pur a fronte di un sindacato intrinseco sugli apprezzamenti
tecnici opinabili compiuti dalla P.A., laddove non emergano profili
di palese erroneità o inattendibilità, ma solo margini di fisiologica
opinabilità, della valutazione tecnico-specialistica operata dalla P.
A., il Giudice non può sovrapporre alla valutazione tecnica opina-
bile dell’Amministrazione competente la propria.
Diversamente ragionando, verrebbe a determinarsi una inap-
propriata sostituzione ad un giudizio opinabile (nella specie, quello
della Commissione VIA) di un giudizio (espresso in sede di con-
trollo giurisdizionale) altrettanto incerto e opinabile, con riveniente
trasmodazione del sindacato in un precluso ambito di merito.
Quanto al controllo esercitabile dal giudice amministrativo sulle
valutazioni prettamente discrezionali (anch’esse, come detto,
202
- cosa ci sia di nuovo nell’obiettivo “principale” (e in
quello “complessivo”) dichiarato dal Ministero, se
non quello tautologico di ribadire concetti elaborati a
livello europeo. Come se già non si sapesse a cosa
serva la RdR (e Chi ce l’ha chiesta ...);
- quale sia il reale significato dell’obiettivo
“secondario”, laddove si afferma che “tale ultimo
elemento [la non assoggettabilità all’obbligo di
presentare la RdR per determinate installazioni,
sulla base di informazioni acquisite in maniera
standard e codificata, ndr] viene indicato come
sia al fine di porre dei limiti alla discrezionalità
tecnica di tale valutazione, sia per consentire
all’amministrazione di difendersi da eventuali
contestazioni in merito all’applicazione dell’art.
22 della direttiva”.
In considerazione del fatto che i limiti alla discrezio-
nalità, come s’è visto, già esistono e sono di un certo
rilievo, e di fronte all’introduzione a priori di una
normativa sostanzialmente di favore per le PMI, del
tutto disancorata da una valutazione in ordine all’im-
patto concreto della norma comunitaria sulla specifica
attività di esercizio dell’impresa, il dubbio (anch’esso
legittimo) che viene è il seguente: non è che il solo
obiettivo “secondario” sia quello di “difendersi da
eventuali contestazioni” in merito? Se così fosse, più
ravvisabili in tema di VIA alla luce dei valori primari coinvolti),
esso deve essere svolto ab estrinseco, nei limiti della rilevabilità
ictu oculi dei vizi di legittimità dedotti, essendo diretto ad accertare
la sussistenza di seri indici di invalidità e non alla sostituzione
dell’amministrazione.
Sulla scorta di consolidati principi (cfr. Cass., SS.UU., 17 feb-
braio 2012, nn. 2312 e 2313; CDS, sez. V, 22 marzo 2012, n. 1640 e
sez. VI, 9 febbraio 2011, n. 871), la sostituzione, da parte del G.A,
della propria valutazione a quella riservata alla discrezionalità
dell’Amministrazione costituisce ipotesi di sconfinamento vietato
della giurisdizione di legittimità nella sfera riservata alla P.A.,
quand’anche l’eccesso in questione sia compiuto da una pronun-
cia il cui contenuto dispositivo si mantenga nell’area dell’annul-
lamento dell’atto.
In base al principio di separazione dei poteri, sotteso al nostro
ordinamento costituzionale, solo l’Amministrazione è in grado di
apprezzare, in via immediata e diretta, l’interesse pubblico affidato
dalla legge alle sue cure.
Conseguentemente, il sindacato sulla motivazione delle valu-
tazioni discrezionali deve essere rigorosamente mantenuto sul
piano della verifica della non pretestuosità della valutazione degli
elementi di fatto acquisiti e non può avvalersi di criteri che portano
ad evidenziare la mera non condivisibilità della valutazione stessa.
Può conseguentemente affermarsi (cfr. CDS, sez. IV, 27 marzo
2017, n. 1392; sez. V, 11 luglio 2016, n. 3059), che “la valutazione
di impatto ambientale non è un mero atto (tecnico) di gestione
ovvero di amministrazione in senso stretto, trattandosi piuttosto
di un provvedimento con cui viene esercitata una vera e propria
funzione di indirizzo politico-amministrativo con particolare riferi-
mento al corretto uso del territorio (in senso ampio), attraverso la
cura ed il bilanciamento della molteplicità dei (contrapposti) inte-
ressi pubblici (urbanistici, naturalistici, paesistici, nonché di svi-
luppo economico-sociale) e privati”.
Ambiente & sviluppo 3/2019

che di un atto di semplificazione, si dovrebbe parlare
di un atto semplicistico ... (17);
- per quale motivo il legislatore si avviti su sé stesso,
alla ricerca di scuse per giustificare il proprio operato.
Mi riferisco, in particolare, alla parte introduttiva,
laddove per giustificare questo intervento “limitatore
di discrezionalità” si richiama:
a.il dovere di evitare che si applichino “due pesi e due
misure (18)”;
b.la necessità di “scartare anche l’alternativa di
rinunciare ad una compiuta disciplina della materia,
rimettendo la definizione di indirizzi comuni sulla
modalità condivise dalle autorità competenti in sede
di coordinamento ai sensi dell’art. 29-quinquies,
D.Lgs. n. 152/2006, in quanto una simile soluzione
avrebbe inciso solo indirettamente sugli operatori,
lasciando comunque spazio ad eventuali contesta-
zioni in ordine alla modalità condivise”.
Il discorso sui “due pesi e due misure” non regge, alla
luce delle considerazioni sui limiti già presenti, in
materia di discrezionalità, e se si considera che que-
st’ultima serve proprio per far fronte a casi analo-
ghi (19), ma diversamente contestualizzati e
caratterizzati, che possono, almeno in teoria, giusti-
ficare scelte parzialmente diverse.
E non ci si può barricare dietro alla volontà di non
creare contestazioni, per giustificare scelte aprioristi-
che che - queste sì, almeno potenzialmente - potreb-
bero essere lesive dell’ambiente (20).
Le risposte a queste domande, temo, potrebbero
essere indiscrete ...
Quanto all’intervento para-moralizzatore, di cui al
progetto di legge citato, basti in questa sede richia-
mare, sintetizzandola, la presentazione del testo, che
si commenta (quasi) da sola.
Dopo l’incipit che suona spiritoso (“Onorevoli Colle-
ghi!”), infatti, il testo recita in modo assertivo (21) così:
- “la necessità di modifiche alla parte seconda del D.
Lgs n. 152/06 nasce dalla considerazione che negli
ultimi decenni le procedure di valutazione
(17) “La fonte normativa primaria, nazionale e comunitaria,
àncora l’obbligo della relazione di riferimento allo specifico
impatto che l’attività in concreto esercitata potrebbe avere sul
suolo e sulle acque: una valutazione, dunque, di tipo oggettivo e
non soggettivo. La circostanza che tali imprese siano ‘general-
mente non soggette agli obblighi della relazione di riferimento’, a
motivo della loro consistenza strutturale, appare poco persuasiva
poiché prescinde dall’aspetto funzionale dell’esercizio.
Se, dunque, è plausibile che statisticamente siffatte imprese
impattino poco sulla realtà che si intende normare, una loro
generalizzata esenzione appare tuttavia ingiustificata.
Ad avviso della Sezione, una ragionevole soluzione di compro-
messo potrebbe trovarsi nella previsione di procedure semplifi-
cate cui assoggettare tali imprese allorquando le stesse venissero
trovarsi nella situazione di impatto con la direttiva comunitaria”.
Ambiente & sviluppo 3/2019
Gestione ambientale
ambientale [...] hanno subìto numerosi aggiorna-
menti da parte dell’Unione europea dettati dalla
crescente necessità di legare il sistema valutativo
ad una precisa azione territoriale, sociale, ambientale
e sanitaria nelle diverse sfere socio-geografiche”.
Peccato che la discrezionalità, pur nei limiti con i
quali deve essere utilizzata, serva - per l’appunto - a
contestualizzare o, per usare il linguaggio dei propo-
nenti, a “legare il sistema valutativo ad una precisa
azione territoriale, sociale, ambientale e sanitaria
nelle diverse sfere socio-geografiche”, anche se sul
sociale ci si domanda a cosa, esattamente, si riferi-
scano i firmatari;
- “la normativa [vigente], infatti, non risponde in modo
adeguato alle legittime istanze di trasparenza, informa-
zione e partecipazione dei cittadini nei confronti dei
procedimenti di valutazione ambientale, con il risultato
che le scelte assunte dalle autorità competenti non
sono state prioritariamente condivise dalle popolazioni
interessate e sono pertanto causa di forti tensioni sociali
e di aumento del contenzioso giudiziario”.
Fermo restando che non si comprende appieno il
significato concreto di “forti tensioni sociali”, e
quale dovrebbe essere grado di condivisione ulte-
riore, rispetto a quello già previsto dalla legge (potere
di veto?), vale la pena di rilevare sommessamente che
le tensioni e il contenzioso giudiziario, nel Paese dei
NO a tutto, non si possono eliminare per legge, con
un colpo di bacchetta magica;
- “approntare sin dalle fasi iniziali delle procedure di
valutazione ambientale strumenti adeguati per consen-
tire ai cittadini di controllare i piani, le opere e gli
impianti programmati o in via di realizzazione nel
rispettivo territorio rappresenta un’esigenza, peraltro
più volte evidenziata in numerosi documenti europei,
volta ad eliminare o ridurre significativamente i rischi
per l’ambiente o per la salute ovvero anche solo la
percezione di tale rischi, spesso generata, tra l’altro,
dalla mancata conoscenza delle modifiche in corso nel
territorio e degli impatti che da esse derivano”.
(18) L’Amministrazione - riferisce il Consiglio di Stato - “chiari-
sce di non aver seguito l’opzione di non intervento, in quanto una
simile alternativa avrebbe imposto alle autorità competenti di
fissare propri criteri e modalità di valutazione e validazione della
‘relazioni di riferimento’, con conseguente disomogeneità di appli-
cazione della norma”.
(19) Casi identici, la prassi insegna, difficilmente si verificano …
(20) I latini dicevano, in casi come questo, “excusatio non
petita, accusatio manifesta” …
(21) “La presente proposta di legge pone rimedio a tali lacune e,
inoltre, prevede […]”. Come se tanta prosopopea fosse di per sé
stessa sufficiente a garantire il risultato auspicato. Sul quale, come
s’è detto, ci sono alcune riserve …
203
Gestione ambientale
Anche in questo caso, sembra prevalere l’obiettivo
politico di rassicurare, affermando (e dando quindi
per scontato a priori) che gli strumenti sono adeguati a
controllare opere complesse, senza sapere in base a
quale conoscenza, anche soltanto sulla base della (o
di una) percezione di un rischio.
Il rischio di paralizzare tutto, senza un motivo, e senza
voler utilizzare gli strumenti che già ci sono per
limitare gli effetti negativi di una certa disinvolta
discrezionalità, non viene neanche preso in conside-
razione: è proprio vero, la semplicità è la cosa più
difficile da non capire.
Non è un Paese per aziende
Quest’ultima considerazione fa tornare alla
memoria un condivisibile discorso fatto da un
noto manager ormai quasi un quinquennio fa,
ma ancora di estrema attualità, che credo valga
la pena di riassumere (22).
Nell’intervento, partendo dall’analisi dei dati del
Global Competitiveness Report sull’efficienza del mer-
cato del lavoro in Italia e dalla constatazione che
(anche nel 2014, come prima di allora e come accade
anche oggi) “si sono sentiti e letti fiumi di parole su
politiche e modalità per far ripartire questo paese”,
Marchionne parte dal racconto di una storia, tratta da
una poesia di Charles Osgood, “un anchorman della
Cbs America, che parafrasata racconta la storia di
quattro persone, chiamate Ognuno, Qualcuno, Cia-
scuno e Nessuno”.
“C’era un lavoro importante da fare e a Ognuno fu
chiesto di farlo.
Ognuno era sicuro che Qualcuno lo avrebbe fatto.
Ciascuno poteva farlo, ma Nessuno lo fece.
Qualcuno si arrabbiò, perché era il lavoro di Ognuno.
Ognuno pensò che Ciascuno poteva farlo, ma Nes-
suno capì che Qualcuno non l’avrebbe fatto.
Finì che Ognuno incolpò Qualcuno perché Nessuno
fece ciò che Ciascuno avrebbe potuto fare”.
Dopo aver ripercorso, in modo sintetico ma analitico
nello stesso tempo, le principali tappe dell’involu-
zione normativa in Italia:
- evidenziando che il nostro continua ad essere “il
Paese dei Gattopardi (23)“;
(22) Sergio Marchionne, discorso al Forum Ambrosetti di Cer-
nobbio, settembre 2014.
(23) “Il punto è che se non cambiamo atteggiamento, tutti
quanti - collettivamente e ognuno come singolo - andremo sem-
pre più in basso. Ognuno di noi, ogni individuo, deve farsi un
esame di coscienza e decidere qual è il tipo di cambiamento
204
- sottolineando le difficoltà insite alla ricerca di una
soluzione condivisa, districandosi fra “interessi da
toccare [...] così vasti che stabilire un ordine di
priorità diventa un ‘dilemma del prigioniero’”;
- disapprovando la tendenza a discutere delle que-
stioni economiche (ma non solo) in termini
ideologici;
- mettendo in luce il paradosso di una normativa (sul
lavoro, nel caso di specie: ma questo discorso vale
anche, e soprattutto, in tema ambientale) che crea
(in continuazione) regole “che erano state pensate
per difendere il lavoro (ambiente)” ma che “ci hanno
portati a un punto in cui la cosa più difficile è creare
lavoro (difendere l’ambiente)”;
- ribadendo la necessità della certezza del diritto,
attraverso la semplificazione (ma senza un approccio
semplicistico) dell’apparato normativo esistente e lo
snellimento della burocrazia,
- il discorso si conclude con un altro dotto riferimento
culturale, evidenziando che “la soluzione non è roba
da marziani”, ma semplice: ma vallo a far capire ...
Il manager, infatti, richiama un racconto di Tolstoj,
nel quale lo scrittore russo afferma - a proposito della
ricerca della verità e del senso della vita - che:
“come sempre suole accadere in un lungo viaggio, alle
prime due o tre stazioni l’immaginazione resta ferma
nel luogo da dove sei partito, e poi d’un tratto, col
primo mattino incontrato per via, si volge verso la
meta del viaggio e ormai costruisce là i castelli
dell’avvenire”.
“L’Italia - conclude - è stata ferma in quella
seconda stazione per tanto, troppo tempo. Con
questo, auguro a me - a tutti noi - che l’Italia lasci
finalmente la stazione di Tolstoj e inizi davvero il
suo viaggio verso la modernità e la costruzione di
un paese per giovani”.
Verità, senso della vita, felicità (che, nel campo della
politica, significa molto più prosaicamente efficacia
ed efficienza).
A questo punto sorge un’ultima domanda: “che cosa
bisogna prendere per essere (efficaci, efficienti)
felici?”
“Una decisione”: una risposta semplice e forse, pro-
babilmente per questo, indiscreta.
che vuole: il proprio o quello degli altri. Nel farlo, dobbiamo essere
consapevoli che il primo richiede sacrifici, coraggio e senso di
responsabilità nel costruire l’Italia che vogliamo. L’altro, invece, ci
relega al ruolo di spettatori e condanna la società italiana e il futuro
del paese a quello di vittima”.
Ambiente & sviluppo 3/2019

Fiscalità ambientale
Guida Conai 2019 al contributo
ambientale: sistema universale,
CAC diversificati, ma filosofie
differenti
Tiziana Ronchetti, Massimo Medugno (*)
Introduzione
Da gennaio 2019, la nuova Guida CONAI per l’ade-
sione e l’applicazione del Contributo Ambien-
tale (1), recepisce le modifiche di Statuto e
Regolamento (2) del Consorzio approvate nel
corso del 2018, riguardanti la “prima cessione”
degli imballaggi, nonché le diciture da riportare in
fattura in merito al “Contributo ambientale Conai”,
dettagliate nella Circolare CONAI del 29 novembre
2018 (3).
Tra le principali novità si segnalano:
1) il commerciante di imballaggi vuoti - definito
come “l’operatore che acquista e rivende imbal-
laggi vuoti nel territorio nazionale, senza effet-
tuare alcuna trasformazione degli imballaggi
stessi” (4) - è stato equiparato all’ultimo produt-
tore di imballaggi ed è quindi tenuto agli stessi
adempimenti: applicazione in fattura con le
modalità della “prima cessione”, dichiarazione
periodica e versamento del Contributo
Ambientale;
2) la dicitura “Contributo ambientale CONAI
assolto” dovrà riferirsi esclusivamente agli imballaggi
pieni (merci confezionate);
3) diversificazione contributiva per gli imballaggi in
plastica prevedendo quattro diversi livelli contribu-
tivi per altrettante categorie di imballaggi e nuovi
valori unitari per tonnellata;
(*) Avv. Tiziana Ronchetti, Esperta in diritto dell’ambiente, con
particolare riferimento alle attività di gestione, recupero e riciclo
dei rifiuti; Avv. Massimo Medugno, Direttore Assocarta - www.
assocarta.it.
(1) V. Guida Contributo CONAI, Vol. 1.
Ambiente & sviluppo 3/2019
Gestione ambientale
4) diversificazione contributiva per gli imballaggi
in carta riferito agli imballaggi poliaccoppiati a
prevalenza carta idonei al contenimento di
liquidi;
5) variazione del Contributo: in diminuzione, per gli
imballaggi in acciaio (da 8,00 a 3,00 euro/t) e in
alluminio (da 35,00 a 15,00 euro/t); in aumento,
per gli imballaggi in carta (da 10,00 a 20,00 euro/t)
e in vetro (da 13,30 a 24,00 euro/t) e in plastica (da
208,00 a 263,00);
6) diminuzione della percentuale (dal 40% al
20%) del peso dei pallet in legno - sia nuovi
sia reimmessi al consumo - da assoggettare a
Contributo ambientale nell’ambito di circuiti pro-
duttivi controllati;
7) l’aumento della soglia di Contributo ambientale
dichiarato con le procedure semplificate per import
da 2.000 a 3.000 euro per accedere al rimborso del
Contributo sulle esportazioni di imballaggi pieni
effettuate nel 2018 con conseguente estensione
della platea dei consorziati che potranno usufruire
dell’esenzione;
8) la possibilità di utilizzare i medesimi pesi standard
degli erogatori meccanici, previsti per la specifica
procedura forfettaria, anche per le aziende che
dichiarano il Contributo ambientale CONAI con
la procedura “ordinaria”;
9) i nuovi moduli in vigore.
(2) V. www.conai.org, sezione Documenti/Governance,
recenti modifiche all’art. 14, comma 1, lett. b) e c) dello Statuto
CONAI e all’art. 4, commi 4 e 9 del Regolamento CONAI.
(3) V. www.conai.org, circolari applicative, Circolare del 29
novembre 2018.
(4) V. Guida Contributo CONAI, Vol. 1, pag. 24;
205
Gestione ambientale
La prima cessione
Il Contributo Ambientale CONAI rappresenta la
forma di finanziamento attraverso la quale il Con-
sorzio ripartisce tra produttori e utilizzatori il costo
per i maggiori oneri della raccolta differenziata, per il
riciclaggio e per il recupero dei rifiuti di
imballaggio (5).
L’art. 14, comma 1, lettera c) dello Statuto CONAI
stabilisce che il Contributo Ambientale viene
applicato “sulla base di una specifica indicazio-
ne=in fattura dell’ammontare del Contributo
Ambientale CONAI dovuto e della tipologia
del materiale di imballaggio oggetto della
cessione, dal Consorziato che effettua nel territo-
rio nazionale la prima cessione a un
utilizzatore” (6).
È quindi evidente che l’individuazione della fase
in cui si perfeziona la c.d. “prima cessione” è
determinante per garantire una corretta riparti-
zione degli oneri gravanti sugli operatori
coinvolti.
Inizialmente, la prima cessione veniva individuata
nel trasferimento nel territorio nazionale dell’imbal-
laggio finito effettuato dall’ultimo produttore o com-
merciante di imballaggi vuoti al primo utilizzatore
diverso dal commerciante di imballaggi vuoti ovvero
del materiale di imballaggio effettuato da un produt-
tore di materia prima o di semilavorati a un
autoproduttore.
Dal 2019, per effetto delle modifiche apportate allo
Statuto ed al Regolamento consortili è stato spostato
il punto di prelievo del Contributo Ambientale e,
quindi, la prima cessione comprende anche il trasfe-
rimento degli imballaggi dell’ultimo commerciante
di imballaggi vuoti al soggetto che acquista/riceve
l’imballaggio per confezionare le proprie merci
(primo effettivo utilizzatore).
Sostanzialmente, il commerciante di imballaggi
vuoti - definito come “l’operatore che acquista e
rivende imballaggi vuoti nel territorio nazionale,
(5) V. art. 224, comma 3, lett. h), D.Lgs. n. 152/2006 ripartisce “i
maggiori oneri della raccolta differenziata di cui all’art. 221, comma
10, lettera b), nonché gli oneri per il riciclaggio e per il recupero dei
rifiuti di imballaggio conferiti al servizio di raccolta differenziata in
proporzione alla quantità totale, al peso e alla tipologia del mate-
riale di imballaggio immessi sul mercato nazionale, al netto delle
quantità di imballaggi usati riutilizzati nell’anno precedente per
ciascuna tipologia di materiale”.
(6) L’art. 14, comma 1, lettera c) dello Statuto CONAI
stabilisce che “le somme dovute da tutti i Consorziati, pro-
duttori e utilizzatori, sono sempre prelevate, sulla base di una
specifica indicazione in fattura dell’ammontare del Contributo
Ambientale CONAI dovuto e della tipologia del materiale di
imballaggio oggetto della cessione, dal Consorziato che
206
senza effettuare alcuna trasformazione degli
imballaggi stessi” (7) - è stato equiparato all’ul-
timo produttore di imballaggi ed è quindi tenuto
agli stessi adempimenti: applicazione in fattura
con le modalità della “prima cessione”, dichiara-
zione periodica e versamento del Contributo
Ambientale (8).
Mentre per l’immissione al consumo di imballaggi
vuoti o pieni provenienti da fuori il territorio nazio-
nale, il Contributo Ambientale è dovuto dall’impresa
che effettua l’immissione al consumo, salvo il caso in
cui il Contributo sia già stato versato dall’impresa
estera che abbia deciso di iscriversi al Consorzio
CONAI.
Rimodulazione contributiva
Per assicurare “un maggior introito per il raggiun-
gimento degli obiettivi di riciclo/recupero dei
rifiuti di imballaggio su tutto il territorio nazio-
nale” (9), il CONAI ha, inoltre, introdotto una
rimodulazione del contributo ambientale per gli
imballaggi in acciaio, alluminio, carta, plastica,
legno e vetro.
Le variazioni del contributo ambientale, in aumento
o in diminuzione, sono state adottate in funzione
dell’andamento di mercato e dei costi di raccolta,
in particolare (v. nota 14):
- per la plastica, il forte incremento dei quantitativi di
rifiuti di imballaggio conferiti dalle regioni del sud e
la scarsa qualità degli stessi, avrebbe generato costi
aggiuntivi per le operazioni di selezione del materiale
e per la gestione degli scarti, con il conseguente
aumento della contribuzione da 208 euro/ton a 263
euro/ton;
- per la carta, la gravosa riduzione del macero a seguito
delle politiche restrittive della Cina sulle importa-
zioni, con conseguente aumento della contribuzione
da 10 euro/ton a 20 euro/ton;
- per gli imballaggi in vetro, lo straordinario aumento
della raccolta e dei corrispettivi con contemporanea
effettua nel territorio nazionale la prima cessione a un utiliz-
zatore” e che “nel caso in cui gli imballaggi siano immessi al
consumo senza che si realizzi una cessione a un utilizzatore
nel territorio nazionale, spetta al Consorziato che immette al
consumo l’imballaggio vuoto o pieno il versamento delle
somme [...]” (lettera d).
(7) V. Guida Contributo CONAI, Vol. 1, pag. 24.
(8) V. Circolare CONAI del 29 novembre 2018 dove sono
illustrati i nuovi adempimenti per i commercianti di imballaggi
vuoti e la procedura agevolata (facoltativa) per i cosiddetti “piccoli
commercianti”.
(9) V. Comunicato Stampa CONAI, “CONAI rimodula il contri-
buto ambientale per l’avvio a riciclo degli imballaggi” del 31 luglio
2018.
Ambiente & sviluppo 3/2019

caduta del valore d’asta del rottame per saturazione
degli impianti con aumento da 13,30 euro/ton a 24
euro/ton;
- per gli imballaggi in alluminio e acciaio
avrebbe influito il corso positivo delle materie
seconde sul mercato internazionale e nazionale,
tanto da determinare una riduzione del contri-
buto ambientale: da 35 euro/ton a 15 euro/ton
per l’alluminio e da 8 euro/ton a 3 euro/ton per
l’acciaio;
- per gli imballaggi di legno, al fine di agevolare il
riutilizzo del pallet in legno nell’ambito di circuiti
produttivi controllati, sia nuovi sia reimmessi al
consumo, si è scelto di diminuire la percentuale del
peso di pallet da assoggettare al contributo ambien-
tale dal 40% al 20%.
La rimodulazione del contributo ambientale è stata
accompagnata da una operazione di diversificazione
della leva contributiva per la carta e per la plastica, in
funzione di diversi criteri che di seguito andremo ad
illustrare.
Diversificazione contributiva per la plastica
A più di venti anni dalla fondazione del Consor-
zio, il Contributo Ambientale CONAI (CAC),
stabilito sin dal 1998 per ciascuna tipologia di
materiale di imballaggio, non è più unico per
materiale.
Nel 2016, il Consiglio di Amministrazione (10)
approvava per gli imballaggi in plastica un progetto
di diversificazione contributiva con la finalità di
utilizzare la leva contributiva per incentivare la ridu-
zione dell’impatto ambientale degli imballaggi.
Alla base della diversificazione sono stati posti tre
Criteri Guida:
1) la selezionabilità;
2) la riciclabilità;
FASCIA A imballaggi selezionabili e riciclabili da circuito “Commercio & Industria” (150 euro/ton)
FASCIA B1 imballaggi da circuito “Domestico” con una filiera di selezione e riciclo efficace e consolidata (208,00
euro/ton)
FASCIA B2 Altri imballaggi selezionabili e riciclabili da circuito “Domestico” (263,00 euro/ton)
FASCIA C imballaggi non selezionabili/riciclabili allo stato delle tecnologie attuali (369,00 euro/Ton)
(10) V. art. 4 Regolamento CONAI.
Ambiente & sviluppo 3/2019
Gestione ambientale
3) per gli imballaggi che soddisfano i primi due criteri,
il circuito di destinazione prevalente dell’imballaggio
quando diventa rifiuto.
I Criteri Guida sono stati definiti, secondo Corepla,
“dopo un lavoro di analisi e approfondimento che ha
visto un positivo e costruttivo dialogo con le Asso-
ciazioni dei produttori e degli utilizzatori di
imballaggi”.
Attraverso l’applicazione dei Criteri Guida sono
state definite le seguenti tre differenti fasce
contributive:
- FASCIA A: imballaggi selezionabili e riciclabili da
circuito “Commercio & Industria”;
- FASCIA B: imballaggi selezionabili e riciclabili da
circuito “Domestico”
- FASCIA C: imballaggi non selezionabili/riciclabili
allo stato delle tecnologie attuali.
Tale classificazione riconosce contributi agevo-
lati per gli imballaggi selezionabili e riciclabili
derivanti dal circuito domestico e dal
circuito commercio e industria e, quindi, colle-
gando il livello contributivo all’impatto ambien-
tale delle fasi di fine vita/nuova vita degli
imballaggi stessi.
Con la medesima ratio, nel 2019 è stata aumentata la
forbice contributiva nell’ambito della fascia B,
creando una nuova fascia dedicata agli imballaggi
del circuito domestico con filiera di riciclo consoli-
data (come bottiglie e flaconi in PET trasparente o
trasparente colorato; bottiglie, flaconi e taniche in
HDPE di colore diverso dal nero); nonché ricollo-
cando in Fascia C (non agevolata) le soluzioni di
imballaggi non selezionabili/riciclabili precedente-
mente in Fascia B (es. bottiglie e flaconi in PET
opache, bottiglie e flaconi con etichetta coprente,
preforme e bottiglie in PET multistrato con polimeri
diversi dal PET, ecc.).
Ne risulta la seguente organizzazione contributiva:
207
Gestione ambientale
La lista degli imballaggi inseriti nelle fasce contribu-
tive A, B1 e B2 (11), seppur indicato come elenco
esemplificativo e non esaustivo, costituisce di fatto
una declaratoria tassativa, laddove “le tipologie di
imballaggi non presenti nelle liste precedenti sono
considerate afferenti all’ultima categoria di riferi-
mento ovvero la FASCIA C” (v. nota 11).
Tale nuova declaratoria evidenzia l’intento di tener
conto della specificità dei materiali e di rendere
ancora più netta la distinzione tra le soluzioni di
imballaggio selezionate e riciclate e quelle che ancora
non lo sono; ma contestualmente tradisce lo scopo di
evitare che si costituiscano consorzi diversi da quelli
del sistema CONAI, come previsto dall’art. 221 del
Testo Unico ambientale.
A questo proposito, va infatti citato il caso
CORIPET - Consorzio di diritto privato senza
fini di lucro, riconosciuto con Decreto ministe-
riale del 24 aprile 2018 - che vede tra i suoi
consorziati i soli produttori di bottiglie in PET
per uso alimentare, al contrario di COREPLA che
si occupa di tutti gli imballaggi.
Con tale riferimento è più chiara l’esigenza di creare
una nuova fascia dedicata agli imballaggi del circuito
domestico con filiera di riciclo consolidata, quali ad
esempio le bottiglie e flaconi in PET trasparente o
trasparente colorato.
(11) V. Guida CONAI, Vol. I, Parte II, pagg. 106-109:
- FASCIA A (esclusi tutti gli imballaggi poliaccoppiati a preva-
lenza plastica che rientrano invece in Fascia C):
Liners, Big Bags e analoghi Sacchi tessuto per usi industriali;
Liners, Big Bags e Sacchi per usi industriali;
Boccioni per distributori d’acqua;
Cappucci per copertura pallet/Big Bag;
Cassette e Casse/Cassoni industriali/agricoli in materiale NON
espanso (escluse quelle di cui alla circolare CONAI del 2 luglio
2012);
Casse assoggettate come da Circolare CONAI del 2 luglio 2012
in materiale NON espanso;
Cestelli portabottiglie (esclusi quelli di cui alla Circolare CONAI
del 2 luglio 2012);
Cestelli assoggettati come da Circolare CONAI del 2 luglio
2012;
Film per pallettizzazione e film termoretraibile per fardellaggio;
Fusti e cisternette IBC;
Tappi, chiusure e coperchi per fusti e cisternette IBC;
Interfalde;
Pallet;
Pluribolle e altri cuscini ad aria;
Rotoli, tubi e cilindri sui quali è avvolto materiale flessibile già
assoggettati come da Circolare CONAI del 27 giugno 2013, per usi
industriali;
Taniche - capacità oltre 5 litri;
Materie prime per autoproduzione di imballaggi di FASCIA A.
- FASCIA B1: (esclusi tutti gli imballaggi poliaccoppiati a preva-
lenza plastica che rientrano invece in Fascia C):
Bottiglie e flaconi in PET non multistrato, trasparenti o traspa-
renti colorati, senza etichetta coprente/stampa diretta su di essi (in
sostituzione di etichetta) - e preforme per la produzione degli
stessi;
208
Da ultimo è necessario evidenziare che l’elenco dei
beni posti in fascia C è tra i più lunghi fra i quattro
proposti, così costringendo a porre in essere azioni di
selezione onerose dal punto di vista ambientale ed
economico, finalizzate ad isolare detti materiali da
quelli che possono essere realmente avviati a riciclo.
Diversificazione contributiva per la carta
Pur ricorrendo al medesimo strumento della “leva
contributiva”, la diversificazione del contributo
ambientale per la carta si basa su criteri differenti
rispetto a quelli adottati per la plastica.
Il Consiglio di Amministrazione CONAI ha, infatti,
introdotto un contributo “extra” per gli imballaggi
poliaccoppiati a prevalenza carta idonei al conteni-
mento di liquidi (accoppiati con plastica ed even-
tualmente alluminio (12)) con lo specifico intento di
consolidare le attività di raccolta e di selezione di
detti materiali, così da costituire un “flusso omogeneo
da avviare ad una fase di riciclo dedicata” (v.
nota 12).
Dal 2019, quindi, è dovuto un contributo aggiuntivo
di 20,00 euro/ton (da aggiungere al contributo
ambientale per gli imballaggi in carta pari a 20,00
euro/ton) quale risultato di una stima delle quantità
immesse annualmente sul territorio nazionale e dei
Bottiglie e flaconi in PET non multistrato, trasparenti o traspa-
renti colorati, con etichetta coprente ma dotata di perforazioni/
punzonature per facilitarne la rimozione e accompagnata da istru-
zioni che invitino il consumatore a procedere in tal senso - e
preforme per la produzione degli stessi;
Bottiglie, flaconi e taniche - capacità fino a 5 litri - in HDPE 8e PP
9 - di colore diverso dal nero e senza etichetta coprente;
Bottiglie, flaconi e taniche - capacità fino a 5 litri - in HDPE 8 e PP
9 -di colore diverso dal nero, con etichetta coprente ma dotata di
perforazioni/punzonature per facilitarne la rimozione e accompa-
gnata da istruzioni che invitino il consumatore a procedere in tal
senso;
Materie prime per autoproduzione di imballaggi.
- FASCIA B2 (esclusi tutti gli imballaggi poliaccoppiati a preva-
lenza plastica che rientrano invece in Fascia C):
Borse riutilizzabili, conformi alla vigente normativa (art. 226-bis
D.Lgs. n. 152/2006) Borse rispondenti ai requisiti stabiliti dalla
norma UNI EN 13432:2002;
Erogatori Meccanici (es. spray pump, trigger, ecc.);
Tappi, chiusure e coperchi diversi da quelli di FASCIA A;
Materie prime per autoproduzione di imballaggi di FASCIA B;
- FASCIA C (imballaggi non selezionabili/riciclabili allo stato
delle tecnologie attuali);
Elenco esemplificativo non esaustivo. Le tipologie non pre-
senti nelle liste precedenti sono da considerarsi afferenti a que-
st’ultima categoria di riferimento.
(12) V. Guida CONAI, pag. 35: “In questa voce sono ricompresi,
a titolo esemplificativo, i cosiddetti cartoni per bevande (latte,
succhi di frutta, ecc..) e le stesse tipologie di confezioni per altri
prodotti alimentari (sughi, passate, legumi, ecc.). Sono esclusi,
invece, gli articoli di imballaggio per il catering (piatti, bicchieri,
vaschette con relativi coperchi)”.
Ambiente & sviluppo 3/2019

costi per la loro selezione (corrispettivo di selezione)
e valorizzazione (contributo di riciclo alle cartiere),
come esplicitato nel documento di sintesi pubblicato
dal CONAI nella sezione “Approfondimenti” (13).
L’iniziativa prende le mosse dallo sviluppo di processi
industriali che, da molti anni, sono stati avviati
all’interno delle cartiere per ottenere una migliore
valorizzazione di detti materiali, ai fini del loro effet-
tivo riciclo.
È emerso, infatti, che “i migliori risultati in termini di
riciclo si ottengono quando gli imballaggi poliaccop-
piati a prevalenza carta idonei al contenimento di
liquidi sono conferiti dai cittadini nella raccolta
differenziata multimateriale leggera e quindi selezio-
nati presso impianti dedicati” (14).
Pertanto, l’applicazione di un contributo aggiuntivo
ad hoc ovvero su di una specifica tipologia di materiale
contribuisce “alla remunerazione di attività e inve-
stimenti per le operazioni di selezione e riciclo”.
La filosofia del CAC diversificato per la carta nel
favorire la valorizzazione del materiale nell’ambito di
operazioni di raccolta, selezione e riciclo dedicati,
trova origine nella “European paper industry position
on separate collection” adottata ad ottobre 2018 dalla
CEPI, Confederazione europea dell’industria carta-
ria, che di seguito ci apprestiamo ad approfondire.
a. Le ragioni di una scelta
Le attività di riciclo della carta perseguono quale
obiettivo primario quello di produrre carta riciclata
di alta qualità, rispondente alle specifiche tecniche
richieste dagli utilizzatori dei settori dell’imballaggio,
dell’igienico sanitario e del grafico.
In tale prospettiva, qualsiasi schema di raccolta
dovrebbe essere progettato in modo da fornire carta
per un riciclo di qualità e di valore, così come previsto
dalla norma UNI EN 643, direttamente o dopo la
selezione.
L’industria della carta è, quindi, contraria ad una
raccolta di carta e cartone con altri materiali (“co-
mingled”) ed è a favore di una raccolta differenziata
della sola carta e cartoni (come, peraltro, già avviene
in Italia) separati alla fonte dai rifiuti e da altri
materiali riciclabili.
Ciò contribuisce alla costituzione di un flusso omoge-
neo che favorisce la buona qualità del materiale ed un
alto valore ambientale, oltre che una positiva remune-
razione economica per gli operatori del settore.
(13) V. documento di sintesi CAC diversificato CARTA, su
http://www.conai.org/imprese/contributo-ambientale/contri-
buto-diversificato-carta.
Ambiente & sviluppo 3/2019
Gestione ambientale
Tale flusso assicura, infatti, la domanda da parte delle
cartiere che lo riciclano in maniera efficiente sotto il
profilo economico, energetico e dei materiali, otte-
nendone pasta di cellulosa riciclata e nuovi prodotti
in carta e cartone.
A tal proposito, il progetto IMPACTPapeRec Horizon
2020 che ha dimostrato la fattibilità e i benefici della
raccolta differenziata della carta quale elemento
chiave verso uno sviluppo ulteriore dell’Economia
Circolare.
b. Gli imballaggi in carta multistrato
Lo scopo principale di tutti gli imballaggi in carta è
quello di proteggere la merce imballata al suo interno.
Per alcune applicazioni, è necessario rinforzare o
aggiungere uno strato di materiale non cartaceo
all’imballaggio di carta; quindi la carta e il cartone
vengono uniti ad uno strato di alluminio e/o di
materiali plastici come il polietilene, formando il
c.d. imballaggio in carta multistrato (utilizzato, ad
esempio, per i cartoni per bevande o sacchi kraft a più
strati ecc.).
Tali imballaggi potranno essere riciclati solo in car-
tiere munite di specifici processi di lavorazione.
Emerge dunque la necessità di raccogliere detti mate-
riali separatamente da carta e cartone, insieme agli
altri materiali riciclabili, per i motivi che di seguito si
riepilogano:
a) il loro quantitativo è significativo: anche se questo
flusso rappresenta una percentuale piccola nell’in-
sieme di tutti gli imballaggi in carta, in valori assoluti,
la quantità di questi materiali è comunque significa-
tiva e dunque tale da richiedere una separazione da
altri materiali negli impianti di selezione;
b) possono disturbare il normale processo di riciclo
della carta: se questi sono raccolti nel normale flusso
di carta e cartone senza ulteriori trattamenti e conse-
gnati ad una cartiera standard, non si disintegreranno
completamente nel pulper tanto di diventare un mero
scarto;
c) sono totalmente riciclabili solo in cartiere predi-
sposte: un numero significativo di produttori di carta
ha investito in tali infrastrutture con specifici pro-
cessi, che vanno dagli adattamenti di processo a
diverse modalità di riciclo di questi materiali. È
tuttavia necessario che vengano raccolti e ordinati
separatamente, per essere poi consegnati a questi
stabilimenti con un flusso specifico;
(14) V. nota 13.
209
Gestione ambientale

d) potrebbero contenere residui: in tal caso il residuo
in tali imballaggi di carta potrebbe sporcare la carta e
cartone, mentre i materiali nel flusso “altri materiali
riciclabili” non ne risentirebbero.
Nella maggior parte dei Paesi europei, i materiali
compositi su carta a più strati sono già raccolti sepa-
ratamente dalla carta e dal cartone ordinario, soprat-
tutto insieme ad altri imballaggi riciclabili (raccolta
degli imballaggi leggeri).
Per i Paesi in cui questi imballaggi non sono ancora
raccolti separatamente, si consiglia che vengano
separati dai rifiuti, non con il normale flusso di
carta e cartone. Dovrebbero quindi essere selezionati
e formare un flusso che può essere consegnato a una
cartiera attrezzata a questo tipo di lavorazione, che
abbia dunque una tecnologia adeguata a separare i
diversi componenti e riciclarli in nuovi prodotti. In
queste cartiere è generalmente possibile riciclare
anche altri imballaggi di carta poliaccoppiati ma
anche imballaggi che siano stati in contatto con
prodotti alimentari.
Questi ultimi, in particolare, vengono utilizzati negli
imballaggi per alimenti e possono contenere sottili
strati di non carta, resistente all’umidità, per proteg-
gere il cibo che contengono.
Essi costituiscono un valore assoluto, una compo-
nente rilevante degli imballaggi utilizzati per proteg-
gere i prodotti alimentari e, per i motivi prima esposti,
necessiterebbero di essere raccolti in un flusso
separato rispetto agli altri materiali, per poi essere
smistati e riciclati in appositi impianti.
Quando questi imballaggi vengono utilizzati e con-
feriti a raccolta differenziata dalle famiglie, essi
dovrebbero invece essere raccolti insieme agli imbal-
laggi leggeri, da cui vengono successivamente sepa-
rati per essere avviati a riciclo in cartiere dedicate.
c. Il caso degli imballaggi esclusivamente in
carta e cartone, che sono stati a contatto con gli
alimenti (ad esempio, le scatole usate per
contenere la pizza).
A livello europeo la norma UNI EN 643 definisce
i materiali proibiti nelle diverse qualità di carta da
riciclare: qualsiasi materiale che possa rappresen-
tare un pericolo per la salute, la sicurezza e l’am-
biente, come i rifiuti medici; i prodotti
contaminati per l’igiene personale; i rifiuti peri-
colosi; i rifiuti organici inclusi i prodotti alimen-
tari, il bitume, le polveri tossiche e simili. Sono
indesiderate quantità visibili di cibo (ad es. pezzi
di cibo).
Tracce leggere, macchie, segni o residui dal contatto
con gli alimenti sono invece ammessi dalla norma EN
643 nella raccolta differenziata della carta.
d. Come deve essere raccolto l’imballaggio di
carta per raggiungere il suo corretto processo
di riciclo?

Categoria Carta e cartone Imballaggio Tavola Multistrato Altri pannelli

provenienti dalle di carta a contatto a strato
abitazioni

Esempio Imballaggio di Scatole pizza usata Cartoni per bevande Tazze usate caffè Scatole sandwich e
trasporto vassoi

Stimato - Volume 24 milioni ——— Sotto il milione Da 100 a 200 mila —————
scartato in Europa

Dove dovrebbe Circuito carta e Nel flusso carta se Con imballaggi leg- Nelle vie principali, Nelle vie principali,
essere raccolto? cartone pulito o leggermente geri (bottiglie e lat- fast-food, ristoranti: fast-food, ristoranti:
macchiato da residui tine per bibite) in flusso specifico di in flusso specifico di
dal contatto con peso leggero nelle imballaggio leggero
alimenti famiglie nelle famiglie (botti-
glie, lattine)

Come dovrebbe Classificato come Classificato come Classificato 5.03 Classificato 5.14 Classificato 5.02
essere classificato? 1.01,1.02 1.01,1.02
1.04,1.05,1.11 1.04,1.05,

Dove viene nelle cartiere che nelle cartiere che In cartiere dedicate In cartiere dedicate In cartiere dedicate
riciclato? usano carta da usano carta da (Gruppo 5 EN643) (EN643) (Gruppo 5 EN643)
riciclare riciclare

210 Ambiente & sviluppo 3/2019


Conclusioni
Il percorso di ragionevole diversificazione del
CAC unico all’interno di un sistema universale
può costituire una buona occasione per migliorare
il sistema di recupero/riciclo dei rifiuti e per
incentivare la produzione e l’uso di imballaggi
maggiormente selezionabili e riciclabili, colle-
gando il livello contributivo all’impatto ambien-
tale delle fasi di fine vita/nuova vita e, quindi,
premiando l’impegno delle imprese nella proget-
tazione e nell’utilizzo di imballaggi meglio conce-
piti ai fini della sostenibilità ambientale e
dell’economia circolare.
Ambiente & sviluppo 3/2019
Gestione ambientale
Va, inoltre, considerato che la diversificazione con-
tributiva laddove favorisca realmente il migliora-
mento qualitativo dei rifiuti raccolti dovrebbe, in
linea di principio, produrre un aumento delle quantità
di rifiuti selezionati avviati al riciclo e, quindi, pro-
durre dei benefici economici per lo stesso Consorzio.
Restano abbastanza evidenti le diverse filosofie alla
base della diversificazione del contributo della pla-
stica e della carta: nel primo caso la “disincentiva-
zione” degli imballaggi non riciclabili, nel secondo
caso il miglioramento del riciclo dei poliaccoppiati a
base carta, raccolti sempre più nel multimateriale
leggero ed avviati a riciclo in cartiere “dedicate”.
211

Consiglio di Stato e TAR
a cura di Chiara Prevete
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO
IMPIANTI DI TELEFONIA MOBILE E LIMITE DISTANZIALE DA SITI
SENSIBILI: LEGITTIMITÀ
TAR Lazio, sez. II-quater, 4 febbraio 2019, n. 1373 - Pres.
L. Pasanisi - Rel. F. Arzillo - Ric. Wind Telecomunicazioni
S.p.A - Res. Comune di Fiumicino
Impianti di telefonia mobile - Campi elettromagnetici -
Piano territoriale
L’imposizione di un limite c.d. “distanziale” ragionevole
rientra nel potere regolamentare previsto dall’art. 8,
comma 6, Legge n. 36/2001 “per assicurare il corretto
insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e
minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi
elettromagnetici”. Le finalità previste dalla norma com-
portano che il potere regolamentare del Comune “vada
considerato espressione dell’autonoma e fondamentale
competenza che detto ente ha nella disciplina dell’uso del
territorio. Esso può tradursi nell’introduzione sia di regole
poste a tutela di zone e beni di particolare pregio paesag-
gistico, o ambientale, o storico artistico, sia nell’indivi-
duazione di siti che, per destinazione d’uso e qualità degli
utenti, possano essere considerati ‘sensibili’ alle immis-
sioni radioelettriche, e quindi inidonei alle installazioni
degli impianti per la minimizzazione dell’esposizione
della popolazione ai campi elettromagnetici” (CDS, sez.
III, 19 marzo 2014, n. 1361; 14 febbraio 2014, n. 723). In base
all’orientamento giurisprudenziale più recente del Consi-
glio di Stato, il regolamento comunale previsto dall’art. 8,
comma 6, Legge n. 36 del 2001, nel disciplinare il corretto
insediamento nel territorio degli impianti, può contenere
regole per la protezione dall’esposizione ai campi elettro-
magnetici di zone sensibili ponendo anche divieti gene-
ralizzati alla localizzazione degli impianti nelle adiacenze
di siti sensibili come scuole ed ospedali o parchi e aree per
il gioco e per lo sport, purché non impediscano la coper-
tura di rete del territorio nazionale.
Il parametro della distanza, ancorché non sia l’unico rile-
vante sotto il profilo tecnico ai fini della valutazione dell’e-
sposizione ai campi elettromagnetici nei singoli casi, riveste
un rilievo fondamentale e comunque significativo alla stre-
gua delle leggi fisiche. Esso si rivela quindi maggiormente
idoneo a essere assunto nel contesto di una disciplina la
quale, per sua stessa natura, costituisce espressione di una
valutazione generalizzata ex ante delle situazioni di fatto:
ciò avendo riguardo alle finalità di prevenzione/protezione
rilevanti sul piano statistico, le quali si aggiungono - non
illegittimamente - a quelle che sono considerate dai limiti
fissati su base nazionale; mentre ogni altra considerazione
di misura e di opportunità dei relativi valori, anche in rela-
zione alla rilevanza del c.d. “principio di precauzione” - che
può operare anche oltre le soglie minime fissate sulla base
della normativa nazionale - rimane estranea al sindacato di
Ambiente & sviluppo 3/2019
Rassegna
Giurisprudenza
questo giudice, coinvolgendo profili misti di discrezionalità
tecnica e amministrativa.
Attraverso il piano territoriale della telefonia mobile si
realizza, a tutela dei vari interessi coinvolti, quel continuo
e costante dialogo tra le parti che deve caratterizzare,
secondo l’insegnamento della giurisprudenza, il rapporto
tra comuni e gestori del servizio di telefonia mobile. Il
piano garantisce le esigenze dei gestori di una razionale
programmazione e pianificazione del servizio di rete sul
territorio [...]. Sulla necessità di tale strumento, quindi,
non vi può essere alcun dubbio. Esso consente, nel conte-
sto di una visione dinamica della regolazione amministra-
tiva, il costante adeguamento delle norme alla situazione
di fatto nel contesto della pluralità degli interessi in gioco,
in piena conformità con i principi di cui all’art. 97 della
Costituzione. Rimane fermo che la natura pianificatoria
dell’atto, alla quale corrisponde la procedura delineata
dalla norma in vista dell’acquisizione degli interessi rile-
vanti, non si presta alla previsione di un silenzio assenso;
mentre non è esclusa ovviamente la disponibilità di altri
strumenti con i quali gli interessati possano far valere le
sopravvenute esigenze alla stregua dei principi che gover-
nano la tutela giurisdizionale; e lo stesso vale anche con
riferimento alle integrazioni e/o modifiche relative a casi
singoli che siano adeguatamente documentati.
La ricorrente Wind Telecomunicazioni s.p.a. agiva nella qualità
di titolare della “licenza individuale per il servizio radiomobile
pubblico di comunicazione numerico DCS1800 sul territorio
italiano” nonché di licenziataria del Ministero delle Comunica-
zioni per la gestione del servizio pubblico di comunicazioni
mobili e per l’installazione della relativa rete in Italia, altresì, con
il sistema di terza generazione secondo lo standard denomi-
nato UMTS (Universal Mobile Telephone System).
Essa impugnava, con il ricorso principale, il regolamento per
l’installazione e l’esercizio degli impianti di telefonia mobile
approvato dal Comune di Fiumicino con delibera di C.C. n. 16
del 5 marzo 2015, contestandone diverse prescrizioni.
La società contestava sia la procedura di approvazione del
regolamento per l’installazione e l’esercizio degli impianti di
telefonia mobile approvato dal Comune di Fiumicino con deli-
bera di C.C. n. 16 del 5 marzo 2015, sia in particolare varie
disposizioni dello stesso. Con riferimento alla carenza di istrut-
toria e di valutazione tecnica, essa veniva prospettata sulla
base di un’interpretazione della previsione dell’art. 8, comma
6, Legge n. 36/2001. Questa disposizione attribuisce ai
Comuni il potere regolamentare ai fini della minimizzazione
dell’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici.
Secondo la ricorrente ciò significa che non si sarebbe dovuta
invadere la competenza statale in materia di salute e si deve
tenere in primo piano il profilo urbanistico/territoriale, oltre a
non vietare indiscriminatamente l’installazione delle SRB su
gran parte del territorio comunale, anche introducendo limiti di
esposizione o valori di campo diversi da quelli previsti dalla
legge statale e limiti “distanziali” ulteriori.
Detti profili venivano sviluppati in parte anche col secondo
mezzo di impugnazione, col quale si contestava in particolare
213
Rassegna
Giurisprudenza
che l’art. 1 del Regolamento, con cui era vietata l’installazione
degli impianti di telefonia mobile ad una distanza inferiore a
quella minima di 150 m dai siti classificati sensibili - tra cui sono
elencati oltre agli specifici edifici adibiti a ospedali, case di cura
e di riposo, scuole e asili nido, anche le aree destinate a verde
pubblico, i parchi gioco, i parchi pubblici, le aree soggette a
tutela integrale dal Piano di Gestione della riserva naturale
statale del litorale romano - lamentandosi l’applicazione di
un indiscriminato divieto sanitario contrastante col diritto di
installare le infrastrutture per telecomunicazioni e con la nor-
mativa primaria in materia di limiti di esposizione e distanze.
Secondo il Collegio le cesure erano infondate e in particolare lo
stesso riteneva che anche un limite distanziale fissato a 150 m
non fosse manifestamente irragionevole né lesivo dei siti
sensibili.
ELETTROSMOG E DANNI ALLA SALUTE: I MINISTERI
DOVRANNO INFORMARE SULL’USO CORRETTO DEI CELLULARI
TAR Lazio, Roma, sez. III-quater, 15 gennaio 2019, n. 500 -
Pres. G. Sapone - Rel. P. Marotta - Ric. Associazione per la
prevenzione e la lotta all’elettrosmog - Res. Ministero
della Salute; Ministero dello Sviluppo Economico; Mini-
stero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca; Mini-
stero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare
Elettrosmog - Campagne informative - Associazioni
ambientaliste
Le campagne informative e di educazione ambientale di cui
all’art. 10, Legge n. 36/2001 non possano essere sussunte
nella categoria degli atti meramente materiali, ma deb-
bano essere ascritte al genus degli atti amministrativi
generali, in quanto sono rivolte ad una pluralità indefinita
di soggetti, trovano il fondamento giuridico in norme di
rango legislativo, presuppongono lo svolgimento di un’at-
tività istruttoria finalizzata alla individuazione dei rischi
connessi all’esposizione del corpo umano ai campi elet-
tromagnetici e alla individuazione delle precauzioni da
adottare (sia da parte degli utenti che dei produttori dei
predetti apparecchi) per limitarne gli effetti potenzial-
mente nocivi per la salute e hanno lo scopo di sensibilizzare
gli utenti in merito ad un uso più consapevole degli appa-
recchi di telefonia mobile, al fine di salvaguardare il diritto
alla salute che è un diritto costituzionalmente tutelato
(art. 32 della Costituzione).
L’Associazione ricorrente si doleva dell’inerzia delle Ammini-
strazioni intimate rispetto alla attuazione dell’art. 12, comma 1,
Legge n. 36/2001, a norma della quale:
“1. Con decreto del Ministro dell’ambiente, di concerto con il
Ministro della sanità, previo parere del Comitato e sentite le
competenti Commissioni parlamentari, sono stabilite, entro
centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente
legge, tenendo conto anche degli orientamenti e degli atti
dell’Unione europea in materia di inquinamento elettromagne-
tico, tutela dei consumatori e istruzioni per l’uso dei prodotti, le
informazioni che i fabbricanti di apparecchi e dispositivi, in
particolare di uso domestico, individuale o lavorativo, gene-
ranti campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sono
tenuti a fornire agli utenti, ai lavoratori e alle lavoratrici,
mediante apposite etichettature o schede informative. Le
informazioni devono riguardare, in particolare, i livelli di espo-
sizione prodotti dall’apparecchio o dal dispositivo, la distanza di
214
utilizzo consigliata per ridurre l’esposizione al campo elettrico,
magnetico ed elettromagnetico e le principali prescrizioni di
sicurezza. Con lo stesso decreto sono individuate le tipologie
di apparecchi e dispositivi per i quali non vi è emissione di
campo elettrico, magnetico ed elettromagnetico, o per i quali
tali emissioni sono da ritenersi cosi basse da non richiedere
alcuna precauzione”.
Con il ricorso in esame, dopo essersi lungamente soffermata
sui rischi per la salute e per l’ambiente derivanti da un uso
improprio degli apparecchi di telefonia mobile soprattutto per
gli utenti più giovani di età, sulla base delle ultime ricerche
scientifiche, l’Associazione ricorrente chiedeva l’annulla-
mento del silenzio-inadempimento formatosi per effetto del-
l’inerzia delle Amministrazioni intimate e l’accertamento
dell’obbligo delle Amministrazioni coinvolte di provvedere,
entro un determinato termine.
Secondo il Collegio la domanda (processuale) dell’Associa-
zione ricorrente, diretta ad ottenere l’emanazione del Decreto
ministeriale di cui all’art. 12, Legge n. 36/2001, era inammissi-
bile per difetto assoluto di giurisdizione, venendo in rilievo il
mancato esercizio di poteri di natura normativa.
Rimaneva invece da scrutinare la fondatezza della domanda
formulata dalla ricorrente con riferimento al mancato avvio da
parte dei Ministeri competenti ratione materiae di una campa-
gna informativa rivolta alla intera popolazione, avente ad
oggetto l’indicazione delle modalità d’uso e dei rischi per la
salute e per l’ambiente connessi all’uso degli apparecchi di
telefonia mobile (telefoni cellulari e cordless).
L’Associazione ricorrente aveva prodotto alcuni documenti
tratti dalla letteratura scientifica, dai quali emergeva che l’uti-
lizzazione inadeguata dei telefoni cellulari o cordless, compor-
tando l’esposizione di parti sensibili del corpo umano ai campi
elettromagnetici, può avere effetti nocivi per la salute umana,
soprattutto con riguardo ai soggetti più giovani e, quindi, più
vulnerabili, potendo incidere negativamente sul loro sviluppo
psico-fisico.
Orbene, i rischi per la salute paventati dall’Associazione ricor-
rente non erano stati efficacemente contestati dalle Ammini-
strazioni resistenti, che si erano limitate ad invocare
l’inammissibilità anche di questa seconda richiesta. In parti-
colare, il Ministero della Salute, in riscontro ad una precedente
richiesta di uno dei procuratori della Associazione ricorrente,
evidenziava: “... il tema dei possibili rischi per la salute conse-
guenti all’uso del cellulare è alla costante attenzione del Mini-
stero della Salute, in particolare a seguito della classificazione
stabilita dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro
nel 2011, di agente possibilmente cancerogeno per l’uomo
(categoria 2B) per i campi elettromagnetici in Radiofrequenza il
Ministero della Salute precisava che la campagna di informa-
zione era in fase di preparazione.
Nonostante il ragguardevole lasso di tempo intercorso, la
preannunciata campagna informativa non risultava essere
stata ancora attuata. Pertanto, il Collegio dichiarava l’ob-
bligo del Ministero dell’Ambiente, del Ministero della Salute
e del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della
Ricerca, ciascuno per il proprio ambito di competenza, di
provvedere, in attuazione di quanto disposto dall’art. 10,
Legge n. 36/2001, ad adottare una campagna informativa
entro sei mesi dalla notifica della sentenza in commento,
rivolta alla intera popolazione, avente ad oggetto la indivi-
duazione delle corrette modalità d’uso degli apparecchi di
telefonia mobile (telefoni cellulari e cordless) e l’informa-
zione dei rischi per la salute e per l’ambiente connessi ad un
uso improprio di tali apparecchi.
Ambiente & sviluppo 3/2019

BENI CULTURALI E AMBIENTALI
DIVIETO DI SANATORIA PAESAGGISTICA
TAR Campania, Napoli, sez. IV, 8 gennaio 2019, n. 92 - Pres.
A. Pappalardo - Rel. I. Raiola - Ric. Ar Immobiliare S.r.l. -
Res. Ministero per i Beni e le Attività Culturali e Soprin-
tendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le
Province di Salerno ed Avellino
Parere paesaggistico - Sanatoria - Procedimento di
autorizzazione
Il divieto di sanatoria paesaggistica concerne quegli inter-
venti edilizi che abbiano comportato non solo congiunta-
mente, ma anche alternativamente un incremento di
superficie utile e o un aumento di volume: la Legge
n. 308/2004 reca al comma 36 modifiche all’art. 181 del
Codice dell’ambiente (D.Lgs. n. 42/2004), in particolare
introducendovi il comma 1-ter, ai sensi del quale viene
ribadito che, ferma l’applicazione delle sanzioni ammini-
strative ripristinatorie o pecuniarie previste dall’art. 167,
Codice dell’ambiente, la compatibilità paesaggistica può
essere accordata solo per opere che non comportino
aumento di superficie utile o di volume o che si tratti di
lavori configurabili come interventi di manutenzione ordi-
naria o straordinaria, con ciò ribadendo il principio della
limitazione della sanabilità degli abusi edilizi solo a quelli
di non rilevante entità.
Nel caso di specie, risultavano realizzati manufatti di varia
tipologia (ad es. manufatto adibito a guardiola, lavanderia,
deposito, etc., denominato LAV sugli elaborati grafici, ubicato
nell’area ingresso: creazione di superficie utile e volume) con
un conseguente incremento di superficie utile. Altri manufatti,
invece, determinavano solo un aumento di superficie utile -
dovendo questa essere intesa, in ambito paesaggistico, “in
senso ampio e finalistico, ossia non limitata agli spazi chiusi o
agli interventi capaci di provocare un aggravio del carico urba-
nistico, quanto piuttosto considerando l’impatto dell’inter-
vento sull’originario assetto del territorio e, quindi, l’idoneità
della nuova superficie, qualunque sia la sua destinazione, a
modificare stabilmente la vincolata conformazione originaria
del territorio”.
Secondo il Collegio correttamente il Soprintendente per i Beni
Architettonici e Paesaggistici delle province di Salerno e Avel-
lino esprimeva parere in termini negativi rispetto alla compa-
tibilità paesaggistica.
Nel suddetto parere, infatti, si accertava che le opere abusive
avevano determinato la creazione di superfici utili o volumi
ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati, conside-
rato altresì che le altre opere realizzate nell’area ingresso, quali
piscina, struttura interrata a servizio della piscina, campi da
tennis e pallacanestro, etc., che nell’insieme avevano deter-
minato una eccessiva alterazione dello stato di fatto originario,
comportando una modificazione delle caratteristiche peculiari
del paesaggio, non rientravano tra i casi previsti dall’art.167,
D.Lgs. n. 42/2004 s.m.i.
Il Collegio inoltre osservava che il parere espresso nella
vicenda in esame dall’autorità tutoria dei valori paesistici era
del tutto conforme al modello legale in vigore dal primo gen-
naio 2010 (con l’entrata in vigore a regime dell’art. 146, D.Lgs.
n. 42/2000), secondo il quale nel procedimento di rilascio
dell’autorizzazione paesaggistica la Soprintendenza esercita
Ambiente & sviluppo 3/2019
Rassegna
Giurisprudenza
non più un sindacato di mera legittimità (come previsto dall’art.
159, D.Lgs. n. 42/2004, nel regime transitorio fino al 31 dicem-
bre 2009) sull’atto autorizzatorio, di base adottato dalla
Regione o dall’ente delegato, con il correlativo potere di annul-
lamento ad estrema difesa del vincolo, ma una valutazione di
merito amministrativo, espressione dei nuovi poteri di coge-
stione del vincolo paesaggistico. Nell’esercizio del relativo
potere, il parere che viene reso dalla Soprintendenza, è atto
di discrezionalità tecnica e il sindacato del giudice amministra-
tivo, lungi dal poter investire il merito della determinazione
adottata, è limitato alla sola verifica della sussistenza di vizi
sintomatici dell’eccesso di potere, quali la carenza di istruttoria
e il travisamento dei fatti, l’illogicità e l’incongruenza delle
valutazioni espresse (TAR Napoli, sez. VI, 29 giugno 2018,
n. 4324; CDS, sez. VI, 4 giugno 2015, n. 2751), la cui sussi-
stenza nel caso di specie non era stata dimostrata dalla parte
istante né era in alcun modo evincibile dal contenuto degli atti
impugnati. Il ricorso principale veniva, pertanto, respinto.
RIFIUTI
ABBANDONO RIFIUTI SU STRADA STATALE: OBBLIGHI
DELL’ANAS
TAR Campania, Napoli, sez. V, 9 gennaio 2019, n. 117 -
Pres. S. Scudeller - Rel. M.G. D’Alterio - Ric. Società Anas
s.p.a. - Res. Comune di Cellole
Ordinanza rimozione rifiuti - Responsabilità - Contradditorio
L’eventuale vizio della notificazione del provvedimento
gravato può comportare la nullità della notificazione
stessa, ma non la nullità e/o l’illegittimità del provvedi-
mento, che resta perfetto ed esistente, concernendo la
notificazione dell’atto amministrativo - secondo le regole
generali - non già la fase costitutiva, ma quella integrativa
dell’efficacia dell’atto stesso. In questo senso depone
espressamente l’art. 21-bis, Legge n. 241/1990, da cui si
ricava che la comunicazione al destinatario del provvedi-
mento, pure nelle forme dettate per la notifica agli irre-
peribili nei casi previsti dal c.p.c., è condizione di efficacia,
non di validità, del provvedimento amministrativo.
Ex multis TAR Lombardia, Milano, sez. III, 13 marzo 2009,
n. 1910.
L’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 192 del Codice dell’am-
biente, in caso di accertato abbandono o deposito incon-
trollato di rifiuti, deve essere preceduta dal necessario
contraddittorio, secondo l’art. 7, Legge 7 agosto 1990,
n. 241, dello specifico disposto dell’art. 192, comma 3,
D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, che prevede una responsabilità
solidale del proprietario ovvero del titolare di altro diritto
reale o personale di godimento sull’area interessata dall’il-
lecito sversamento di rifiuti, con l’effettivo responsabile
dell’abbandono, solo ove detta violazione possa essergli
imputata quantomeno a titolo di colpa, sulla base di un
accertamento svolto in contraddittorio, sulla base di appro-
fondita istruttoria, dai soggetti preposti al controllo prima di
imporgli l’obbligo di rimozione, smaltimento o avvio al
recupero dei rifiuti. La preventiva, formale comunicazione
dell’avvio del procedimento costituisce un adempimento
indispensabile al fine dell’effettiva instaurazione di un con-
traddittorio procedimentale con gli interessati”, (cfr. CDS,
215
Rassegna
Giurisprudenza
sez. IV, n. 1301/2016), non potendosi, peraltro, applicare il
temperamento che l’art. 21-octies, Legge n. 241/1990
apporta alla regola generale dell’art. 7 della stessa Legge.
Con il ricorso in esame si contestava la legittimità dell’ordi-
nanza sindacale n. 9 dell’8 aprile 2015, con cui il Sindaco del
Comune di Cellole ordinava, ai sensi e per gli effetti dell’art.
192, commi 1 e 3, D.Lgs. n. 152 del 3 aprile 2006, all’ANAS,
quale titolare della strada statale 7 IV al km 3+300 di provve-
dere entro trenta giorni alla messa in sicurezza, rimozione e
bonifica di tutti i rifiuti ivi abbandonati.
L’ANAS impugnava il provvedimento contestando la viola-
zione e falsa applicazione dell’art. 257, D.Lgs. 3 aprile 2006,
n. 152, difetto di istruttoria e motivazione in quanto sull’ANAS
incombeva l’onere di rimuovere solo i rifiuti presenti sull’area
di sedime che intralciavano la circolazione, non anche nelle
immediate vicinanze, incombendo in tal caso l’onere di rimo-
zione sull’autore dell’illecito abbandono.
In secondo luogo, si contestava la violazione dell’art. 192,
D.Lgs. n. 152/2006 in relazione agli artt. 7 e 8, Legge n. 241/
1990, per mancata comunicazione di avvio del procedimento
teso all’emanazione dell’ordine di rimozione oggetto di
censura.
Infine, si eccepiva un difetto di istruttoria e dei presupposti
dell’ordinanza: il provvedimento impugnato sarebbe stato
palesemente illegittimo per non aver l’Amministrazione pro-
cedente dato conto in motivazione dei presupposti di fatto e
delle ragioni giuridiche poste alla base della decisione,
avendo il Comune di Cellole imputato ad ANAS l’onere
della rimozione dei rifiuti sversati da terzi, prescindendo da
ogni tipo di accertamento di responsabilità a titolo di dolo o
colpa a suo carico.
Il Collegio accoglieva i suddetti motivi di ricorso in quanto nei
provvedimenti gravati non venivano esplicitate le ragioni su cui
il Comune aveva fondato la responsabilità della ricorrente
società nell’abbandono dei rifiuti, sotto il profilo dell’elemento
psicologico del dolo o quantomeno della colpa, che avrebbe
dovuto sorreggere la condotta omissiva dell’ANAS, in viola-
zione dell’art. 192, comma 3, D.Lgs. n. 152/2006. Peraltro, la
circostanza che l’ANAS risultava concessionaria della
gestione e della manutenzione ordinaria e straordinaria delle
strade di proprietà dello Stato e delle relative pertinenze,
comprese, le aree di sosta, rappresentava un presupposto
da solo non sufficiente per imporle ex art. 192, comma 3, cit.,
l’ordine di rimozione dei rifiuti abbandonati da ignoti su tali
aree, essendo altresì necessario appurare, come ribadito in più
occasioni dalla giurisprudenza amministrativa (ex multis, CDS.
sez. V, 17 luglio 2014, n. 3786; TAR Campania, Napoli, sez. V, 3
ottobre 2018, n. 5783; TAR Puglia, Bari, sez. I, 24 marzo 2017,
n. 287 e 30 agosto 2016, n. 1089), l’inverarsi dell’elemento
soggettivo della responsabilità, che, appunto, richiedeva un
preventivo accertamento in contraddittorio con l’interessato.
RIFIUTI SPECIALI ASSIMILATI AGLI URBANI E TARI: BARATTO
AMMINISTRATIVO PER LA RIMOZIONE
TAR Campania, Napoli, sez. I, 9 gennaio 2019, n. 125 - Pres.
S. Veneziano - Rel. M. Santise - Ric. Condominio Baiaz-
zurra - Res. Comune di Sessa Aurunca
Produttori di rifiuti speciali - TARI - Sostituzione della PA e
baratto amministrativo ex art. 190 Codice Contratti Pubblici
La Tassa rifiuti (TARI) ha sostituito, a decorrere dal gennaio
2014, i preesistenti tributi dovuti ai comuni dai cittadini, enti
216
ed imprese quale pagamento del servizio di raccolta e smal-
timento dei rifiuti (noti in precedenza con gli acronimi di
TARSU e, successivamente, di TIA e TARES), conservan-
done, peraltro, la medesima natura tributaria. L’imposta è
dovuta, ai sensi della Legge 27 dicembre 2013, n. 147, per la
disponibilità dell’area produttrice di rifiuti e, dunque, unica-
mente per il fatto di occupare o detenere locali ed aree
scoperte a qualsiasi uso adibiti, mentre le deroghe indicate
e le riduzioni delle tariffe non operano in via automatica in
base alla mera sussistenza delle previste situazioni di fatto,
dovendo il contribuente dedurre e provare i relativi presup-
posti. In relazione, ad esempio, alle ipotesi in cui è prevista
l’esclusione dalla corresponsione della TARI, l’art. 1, comma
649, Legge 27 dicembre 2013, n. 147, dispone che nella
determinazione della superficie assoggettabile alla TARI
non si tiene conto di quella parte di essa ove si formino, in
via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smalti-
mento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi
produttori, a condizione che ne dimostrino l’avvenuto trat-
tamento in conformità alla normativa vigente. Per i produt-
tori di rifiuti speciali assimilati agli urbani, nella
determinazione della TARI, il Comune con proprio regola-
mento può prevedere riduzioni della parte variabile propor-
zionali alle quantità che i produttori stessi dimostrino di
avere avviato al recupero. Da tale normativa, dunque,
emerge che, in relazione ai produttori di rifiuti speciali assi-
milati agli urbani, non è prevista l’esclusione della corre-
sponsione della TARI per il solo fatto che il contribuente
proceda autonomamente allo smaltimento dei rifiuti; è,
infatti, prevista solo la possibilità di una riduzione dell’am-
montare della stessa.
La possibilità dello smaltimento dei rifiuti alternativo a
quello comunale non può essere frutto di un’iniziativa pri-
vata, ma deve essere concordata con l’amministrazione
comunale. Tanto si desume, peraltro, anche dal c.d.
“baratto amministrativo”, previsto dall’art. 190, D.Lgs.
n. 50/2016, secondo cui “Gli enti territoriali possono definire
con apposita delibera i criteri e le condizioni per la realizza-
zione di contratti di partenariato sociale, sulla base di pro-
getti presentati da cittadini singoli o associati, purché
individuati in relazione ad un preciso ambito territoriale. I
contratti possono riguardare la pulizia, la manutenzione,
l’abbellimento di aree verdi, piazze o strade, ovvero la loro
valorizzazione mediante iniziative culturali di vario genere,
interventi di decoro urbano, di recupero e riuso con finalità
di interesse generale, di aree e beni immobili inutilizzati”. La
stessa norma dispone che “In relazione alla tipologia degli
interventi, gli enti territoriali individuano riduzioni o esen-
zioni di tributi corrispondenti al tipo di attività svolta dal
privato o dalla associazione ovvero comunque utili alla
comunità di riferimento in un’ottica di recupero del valore
sociale della partecipazione dei cittadini alla stessa”. Anche
da tale recente normativa si desume, quindi, che un privato
non possa sostituirsi all’amministrazione comunale senza il
consenso di quest’ultima.
Il ricorrente, Condominio del complesso turistico residenziale
B. - struttura composta da 450 unità abitative strutturate in
forma di villette autonome, oltre a servizi vari, impugnava la
delibera del Consiglio Comunale n. 13/E.I. del 30 marzo 2017,
con cui il Comune di Sessa Aurunca aveva proceduto all’ap-
provazione del piano finanziario relativo al servizio di gestione
dei rifiuti urbani per l’anno 2017 ed alla determinazione delle
relative tariffe TARI.
Ambiente & sviluppo 3/2019

La parte ricorrente contestava in particolare il provvedimento
per contrasto con l’art. 1, comma 659, Legge n. 147/2013,
secondo cui “il comune con regolamento di cui all’art. 52 del
decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, poteva preve-
dere riduzioni tariffarie ed esenzioni nel caso di:
a) abitazioni con unico occupante;
b) abitazioni tenute a disposizione per uso stagionale od altro
uso limitato e discontinuo;
c) locali, diversi dalle abitazioni, ed aree scoperte adibiti ad uso
stagionale o ad uso non continuativo, ma ricorrente;
d) abitazioni occupate da soggetti che risiedano o abbiano la
dimora, per più di sei mesi all’anno, all’estero;
e) fabbricati rurali ad uso abitativo;
e-bis) attività di prevenzione nella produzione di rifiuti, commi-
surando le riduzioni tariffarie alla quantità di rifiuti non
prodotti”.
Il Comune poi, secondo la ricorrente, imponeva un coeffi-
ciente unico ed indifferenziato, tassando gli immobili occupati
Ambiente & sviluppo 3/2019
Rassegna
Giurisprudenza
solo stagionalmente alla stessa maniera delle abitazioni “fisse
e stabili” dei contribuenti senza motivare le ragioni di tale
scelta.
Lo stesso condominio ricorrente, con il terzo motivo di ricorso,
aveva, però, evidenziato che il Comune, in esecuzione della
Legge n. 147/2013, approvava il predetto regolamento, con
delibera del Consiglio comunale n. 37 del 29 settembre 2014,
che, all’art. 11, disponeva: “ai sensi dell’art. 1, comma 659
della L. 147/2013 la tariffa è ridotta nelle seguenti ipotesi: 1.
Abitazioni tenute a disposizione per uso stagionale o altro uso
limitato o discontinuo: fino a 80 mq riduzione 20%; da 81 mq
fino a 130 riduzione 10% [...]”. Secondo il Collegio, il Comune,
con il predetto regolamento, aveva invece previsto riduzioni
tariffarie legate all’uso stagionale delle abitazioni e pertanto il
motivo era infondato.
Nel complesso poi, il TAR respingeva tutti i motivi di ricorso
perché il provvedimento impugnato rispettava quanto previ-
sto dalla normativa di settore.
217
Rassegna
Giurisprudenza
Corte di Cassazione penale
a cura di Vincenzo Paone
CONTRAVVENZIONI AMBIENTALI
ACCERTAMENTI TECNICI IN MATERIA DI RIFIUTI E GARANZIE
DIFENSIVE
Cassazione penale, sez. III, 29 gennaio 2019, ud. 20 novem-
bre 2018, n. 4233 - Pres. Lapalorcia - Est. Ramacci - P.M.
Fimiani (conc. conf.) - Ric. Giugno e Bolognesi
Reati ambientali - Accertamenti tecnici che prevedono
modalità operative particolarmente complesse - Adozione
di provvedimenti articolati - Contemperamento delle garan-
zie di difesa e delle esigenze investigative
Art. 360 c.p.p.
La particolarità degli accertamenti tecnici richiesti in tema
di reati ambientali, specie nei casi cui l’oggetto della veri-
fica è suscettibile di repentini mutamenti, richiede moda-
lità operative talvolta particolarmente complesse, non
soltanto sotto il profilo meramente tecnico, che giustifi-
cano l’adozione di provvedimenti articolati i quali, facendo
contemporaneo ricorso a più istituti disciplinati dal codice
di rito, assicurino comunque le garanzie di difesa, garan-
tendo, nel contempo, le esigenze investigative.
Il Tribunale del riesame confermava il sequestro preventivo
avente ad oggetto le quote azionarie e tutti gli elementi pre-
senti nel patrimonio aziendale della società I.A.M., nei con-
fronti degli indagati G., B. e F. in relazione al delitto di cui all’art.
260 perché, in concorso tra loro, al fine di conseguire un
ingiusto profitto determinato dai minori costi di gestione
rispetto a quelli richiesti da un corretto smaltimento, con più
operazioni, attraverso l’allestimento di mezzi e di attività con-
tinuative organizzate, abusivamente gestivano ingenti quanti-
tativi di rifiuti speciali non pericolosi aventi codice CER 19 08 05
(fanghi da depurazione delle acque reflue urbane) e CER 19 08
14 (fanghi prodotti da altri trattamenti delle acque reflue indu-
striali diversi da quelli di cui alla voce 19 08 13).
G. e B. adivano la Cassazione deducendo tra l’altro inosser-
vanza della legge processuale in quanto il Tribunale aveva
ritenuto non soggetti ad accertamento tecnico irripetibile di
cui all’art. 360 c.p.p. i campioni di fanghi prelevati, non consi-
derando che il decorso del tempo poteva incidere sulle carat-
teristiche delle sostanze campionate e valorizzando, invece, il
fatto che, essendo stati prelevati più campioni, fosse possibile
ripetere l’accertamento. Da tale violazione di legge conse-
guiva, secondo la difesa, l’inutilizzabilità degli accertamenti
effettuati.
La Suprema Corte ha rilevato che i ricorrenti censuravano la
decisione dei giudici del riesame che avevano escluso la
natura non ripetibile degli accertamenti tecnici, sul presuppo-
sto che i campioni, prelevati in più aliquote, fossero stati
conservati presso un laboratorio specializzato, rendendo
così possibili successivi accertamenti analitici. In ricorso si
faceva invece riferimento a ragioni di natura tecnica che,
diversamente da quanto ritenuto nell’ordinanza impugnata,
218
dimostravano la deperibilità dei campioni per l’incidenza del
tempo sulle loro originarie caratteristiche.
Ad avviso del Collegio, si era di fronte a considerazioni generi-
che e del tutto teoriche, prive di specifici riferimenti al caso
concreto seriamente indicativi della effettiva deperibilità dei
campioni e della conseguente necessità di particolari cautele
nell’espletamento delle analisi.
La Cassazione, peraltro, ha precisato che l’analisi chimica dei
rifiuti ai fini di una loro corretta classificazione non è sempre
necessaria, tanto che la giurisprudenza ha già osservato, ad
esempio, che ai fini della qualificazione di un rifiuto come
pericoloso, non è richiesta la sua preventiva analisi, essendo
sufficiente, a tal fine, che il rifiuto abbia, sul piano oggettivo, il
carattere di pericolosità.
È stato inoltre rilevato che i ricorrenti, ai fini di una corretta
valutazione della questione processuale prospettata, avevano
prodotto copia del provvedimento con il quale il Pubblico
Ministero aveva disposto l’attività di indagine che aveva por-
tato al prelievo dei campioni ed alla loro successiva analisi.
Dal contenuto di detto decreto, emergeva che, diversamente
da quanto prospettato in ricorso, l’organo inquirente aveva
predisposto un provvedimento articolato e complesso, confi-
gurato in modo tale da assicurare il rispetto delle garanzie di
difesa e favorire il contraddittorio, consentendo comunque di
eseguire l’attività di prelievo dei campioni “a sorpresa”, così
salvaguardando le esigenze investigative.
Il provvedimento, come si legge nella premessa, era finalizzato
all’espletamento di accertamenti sulla quantità e qualità dei
reflui e fanghi prodotti dall’impianto di depurazione gestito
dalla società I.A.M., nonché dei rifiuti provenienti dall’impianto
medesimo e trattati dalle società B. e B. mediante attività di
campionamento e successiva analisi.
A tal fine, il Pubblico Ministero aveva fatto ricorso agli istituti
dell’ispezione e del sequestro, ritenendoli idonei, in assenza di
altre modalità specificamente previste dal codice di rito, a
garantire le esigenze di difesa degli indagati e le esigenze di
indagine della Procura, evidenziando anche l’urgenza di prov-
vedere al compimento dell’atto in quanto un eventuale ritardo
avrebbe potuto pregiudicare la ricerca o l’assicurazione delle
fonti di prova e ritenendo in ogni caso sussistente l’esigenza di
un rapido accertamento dei fatti al fine di provvedere all’ado-
zione eventuale di provvedimenti idonei alla tutela della salute
pubblica, ovvero ad ulteriori atti di indagine.
Il provvedimento non si limitava ad una generica indicazione di
tali esigenze, ma specificava diversi possibili accadimenti che
rendevano necessaria, nel caso specifico, la speditezza delle
operazioni. Tale stato di cose, come era detto nel decreto,
consentiva di omettere l’avviso preventivo al difensore ai sensi
del comma 5, art. 364, c.p.p., ma, ad ulteriore garanzia degli
indagati, era stabilito che “... potrà comunque essere data
comunicazione allo stesso del compimento del presente atto
dagli ufficiali di PG. operanti immediatamente prima dell’ef-
fettuazione dei prelievi e comunque senza ritardo per il com-
pimento dell’atto (sempre che ciò sia comunque possibile,
tenuto conto delle condizioni di tempo e di luogo ed il difensore
sia immediatamente reperibile senza necessità di particolari
ricerche)”, specificando ulteriormente che “... la disposizione
citata consente comunque al difensore (anche nel caso in cui lo
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stesso non venga prontamente reperito) di esercitare la facoltà
di intervenire al compimento dell’atto come peraltro avver-
rebbe attraverso il ricorso ad altri strumenti processuali come
già detto non utilizzabili nella fattispecie”.
Nel provvedimento si rilevava, inoltre, che “le capacità tecni-
che dei soggetti addetti all’impianto consentiranno agli stessi
di formulare tutte le osservazioni ed i rilievi necessari (che
dovranno comunque essere riportati nel verbale redatto dagli
operanti) e garantiranno la possibilità di procedere ad una
adeguata valutazione successiva dell’attività compiuta; (...) è
in ogni caso possibile la partecipazione di consulenti tecnici,
oltre ai difensori, sin dal compimento del primo atto di
accertamento”.
L’articolata motivazione proseguiva nello specificare le finalità
dell’atto (verifica delle caratteristiche quantitative e qualitative
dello scarico e dei fanghi, nonché delle caratteristiche dello stato
dei luoghi ove lo scarico viene effettuato, al fine di valutare la
sussistenza di fenomeni di danneggiamento del corpo ricettore o
di alterazione dell’originario assetto dei luoghi) precisando, inol-
tre, “che le operazioni andranno compiute mediante avviso al
difensore, nei tempi e modi sopra indicati, del compimento
dell’atto e di quelli successivi, con avviso alle persone presenti,
ai responsabili dell’insediamento ed ai difensori - che verranno
indicati dai presenti stessi o individuati senza ritardo per il compi-
mento dell’atto e sempre che ciò sia possibile (con avvertimento
che potranno comunque avvalersi della collaborazione di consu-
lenti tecnici di parte) - della data e dell’ora dell’apertura dei
campioni e successiva analisi degli stessi con indicazione del
luogo ove la stessa avverrà, (detta data verrà fissata calcolando
un congruo termine che consenta la partecipazione dei soggetti
predetti senza pregiudizio per gli accertamenti); che, in ogni caso,
verranno invitati i soggetti presenti ad informare immediata-
mente e senza ritardo per il compimento delle operazioni ogni
soggetto (superiori gerarchici, responsabili tecnici, persone
appositamente delegate etc.) che possa avere interesse a pre-
senziare alle varie fasi del compimento dell’atto”.
All’esito di tale articolata motivazione, il Pubblico Ministero
aveva quindi disposto l’ispezione ed il sequestro, nonché “le
analisi dei campioni suddetti da effettuarsi con preventivo
avviso alle persone presenti, ai responsabili dell’insediamento
ed ai difensori in precedenza indicati ed ai soggetti che ver-
ranno eventualmente indicati dai presenti stessi o individuati
senza ritardo per il compimento dell’atto e sempre che ciò sia
possibile (con avvertimento che potranno comunque avvalersi
della collaborazione di consulenti tecnici di parte) - della data e
dell’ora dell’apertura dei campioni e successiva analisi degli
stessi con indicazione del luogo ove la stessa avverrà, (detta
data verrà fissata calcolando un congruo termine che consenta
la partecipazione dei soggetti predetti senza pregiudizio per gli
accertamenti)”.
La Suprema Corte a questo punto ha rilevato che dall’ordi-
nanza impugnata emergeva che il provvedimento di ispezione
e sequestro dei campioni era stato notificato agli indagati e che
alle operazioni aveva partecipato un consulente tecnico di
parte indicato dalle persone sottoposte ad indagini.
Il provvedimento predisposto dalla Procura della Repubblica
stabiliva che agli interessati fosse assicurata ogni più ampia
possibilità di difesa e veniva anche disposta l’effettuazione
delle analisi con modalità che, sebbene non specificamente
denominate, prevedevano comunque il rispetto delle forma-
lità indicate dall’art. 360 c.p.p. (avviso, senza ritardo, alla per-
sona sottoposta alle indagini ed ai difensori del giorno, dell’ora
e del luogo fissati per il conferimento dell’incarico e della
facoltà di nominare consulenti tecnici) stabilendo addirittura
la fissazione di un termine congruo al fine di consentire la
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Rassegna
Giurisprudenza
partecipazione degli interessati alle operazioni, senza pregiu-
dizio per gli accertamenti, che l’art. 360 c.p.p. non prevede.
Il ricorso, ha concluso la Corte, non andava oltre una generica
doglianza sulla inosservanza delle formalità di rito, senza tut-
tavia specificare quale fosse stato, in concreto, l’effettivo
pregiudizio ai diritti di difesa di ciascun indagato ed in quali
termini le precise disposizioni del Pubblico Ministero non
erano state rispettate.
D’altronde, il Tribunale motivatamente aveva ritenuto ripetibili
le analisi effettuate e, in ogni caso, aveva dato conto di moda-
lità di esecuzione del provvedimento del Pubblico Ministero
che avevano consentito la partecipazione dei soggetti interes-
sati e dei loro consulenti alle operazioni.
La Cassazione ha poi avuto cura di puntualizzare che la parti-
colarità degli accertamenti richiesti in tema di reati ambientali,
specie nei casi cui l’oggetto della verifica è suscettibile di
repentini mutamenti, richiede modalità operative talvolta par-
ticolarmente complesse, non soltanto sotto il profilo mera-
mente tecnico, che giustificano l’adozione di provvedimenti
articolati i quali, facendo contemporaneo ricorso a più istituti
disciplinati dal codice di rito, assicurino comunque le garanzie
di difesa, garantendo, nel contempo, le esigenze investigative.
EMISSIONI
EMISSIONI IN ATMOSFERA E SEQUESTRO PREVENTIVO
DELL’IMPIANTO NON AUTORIZZATO
Cassazione penale, sez. III, 29 gennaio 2019, ud. 15 gen-
naio 2019, n. 4250 - Pres. Di Nicola - Est. Ramacci - P.M.
Canevelli (conc. conf.) - Ric. Francolino
Emissioni in atmosfera - Esercizio o installazione di
impianto in assenza di autorizzazione - Natura di reato
permanente - Sequestro finalizzato ad impedire la protra-
zione della condotta illecita - Legittimità
Art. 279, D.Lgs. n. 152/2006; art. 321 c.p.p.
Avendo la contravvenzione prevista dall’art. 279, comma
1, D.Lgs. n. 152/2006 natura di reato permanente, l’eser-
cizio di uno stabilimento in assenza della prescritta auto-
rizzazione ne giustifica il sequestro finalizzato ad
impedire la protrazione della condotta illecita.
Accogliendo l’appello proposto dal Procuratore della Repub-
blica, il Tribunale del riesame ordinava il sequestro preventivo
di vari beni facenti parte dell’azienda D. La misura cautelare era
stata adottata ipotizzandosi, nei confronti di tal F., il reato di cui
all’art. 279, D.Lgs. n. 152/2006 per l’esercizio di attività di
produzione e cottura di argilla e realizzazione di manufatti in
ceramica, con l’utilizzo di due forni alimentati a metano, tre
forni elettrici ed uno a muffola, oltre che per l’esercizio di
attività di serigrafia mediante 4 macchinari a ciò destinati e
l’utilizzo di solventi, senza alcun sistema di captazione delle
esalazioni prodotte ed in assenza di autorizzazione alle emis-
sioni di fumi in atmosfera.
Avverso tale pronuncia, l’interessato proponeva ricorso per cas-
sazione deducendo la violazione di legge e l’assenza o mera
apparenza della motivazione in relazione alla sussistenza del
periculum in mora. Assume che, nell’ordinare il sequestro, il
Tribunale non aveva considerato alcuni dati emergenti dalla
documentazione prodotta dalla difesa, segnatamente:
219
Rassegna
Giurisprudenza
l’applicazione di filtri non presenti presso la ditta indicata all’atto
del controllo, l’effettuazione di analisi sui fumi in data successiva
al montaggio dei filtri con valori al di sotto della soglia massima
prevista per legge, la modifica del ciclo lavorativo di decorazione
delle ceramiche, sostituendo la serigrafia con la meno inquinante
decalcomania, nonché la presentazione di un’istanza al fine di
ottenere l’autorizzazione unica ambientale.
Il ricorso è stato rigettato. La Corte è partita dalla premessa che
il reato per cui si procedeva era quello di cui all’art. 279 che
ripropone, sostanzialmente, le sanzioni penali previste dagli
artt. 24 e 25, D.P.R. n. 203/1988: la disposizione, nel comma 1,
prevede sanzioni per chi inizia ad installare o esercisce, in
assenza della prescritta autorizzazione, uno stabilimento,
che l’art. 268, lett. h) definisce come “il complesso unitario
e stabile, che si configura come un complessivo ciclo produt-
tivo, sottoposto al potere decisionale di un unico gestore, in cui
sono presenti uno o più impianti o sono effettuate una o più
attività che producono emissioni attraverso, per esempio,
dispositivi mobili, operazioni manuali, deposizioni e movimen-
tazioni. Si considera stabilimento anche il luogo adibito in
modo stabile all’esercizio di una o più attività”.
Il ricorrente, che non contestava di non essere in possesso
dell’autorizzazione unica ambientale, più volte richiesta, ma
mai concessa dalle competenti autorità, sosteneva l’insussi-
stenza del periculum in mora.
La Cassazione ha rilevato che gli elementi valorizzati dal ricor-
rente non erano stati ritenuti determinanti dal Tribunale per il
fatto che, in ogni caso, l’attività svolta era comunque priva del
necessario titolo abilitativo: infatti, nell’ordinanza impugnata si
osservava che, pur in presenza delle iniziative poste in essere
per migliorare la situazione accertata all’atto del primo sopral-
luogo, l’azienda aveva continuato a svolgere la propria attività
senza l’autorizzazione richiesta dalla legge. Il Tribunale, inoltre,
aveva posto in rilevo la natura permanente della violazione
oggetto di provvisoria incolpazione: la sentenza riportata aveva
al riguardo confermato che è “indubbia la natura permanente
del reato di esercizio o installazione di impianto in assenza di
autorizzazione ed in più occasioni si è avuto modo di specifi-
care che la sua consumazione termina col rilascio dell’auto-
rizzazione o, in alternativa, con la cessazione dell’esercizio
dell’impianto ciò in quanto, trattandosi di norma finalizzata
alla tutela della qualità dell’aria, l’autorizzazione medesima
rappresenta il mezzo attraverso il quale la pubblica ammini-
strazione” procede alla preventiva verifica della rispondenza
dell'impianto alle prescrizioni della legge.
La natura della violazione in esame rendeva evidente che,
quando la permanenza è in atto, risultano pacificamente sus-
sistenti i necessari requisiti della concretezza ed attualità del
pericolo richiesti dalla giurisprudenza di legittimità, dal
momento che la mera utilizzazione dell’impianto, in assenza
di autorizzazione, comporta, quanto meno, la prosecuzione
della illecita condotta per cui si procedeva. È stato quindi
affermato il principio di diritto di cui alla massima.
RIFIUTI
IN TEMA DI TRASPORTO DI RIFIUTI PERICOLOSI SENZA
FORMULARIO O CON FORMULARIO RECANTE DATI
INCOMPLETI O INESATTI
Cassazione penale, sez. III, 27 dicembre 2018, ud. 25 otto-
bre 2018, n. 58312 - Pres. Ramacci - Est. Reynaud - P.M.
Gaeta (conc. diff.) - Ric. Castelli
220
Rifiuti - Trasporto di rifiuti pericolosi eseguito senza formu-
lario ovvero con formulario recante dati incompleti o ine-
satti - Sanzione applicabile
Art. 258, D.Lgs. n. 152/2006; art. 4, D.Lgs. n. 121/2011
In tema di trasporto di rifiuti pericolosi eseguito senza
formulario ovvero con formulario recante dati incom-
pleti o inesatti, la disposizione prevista dall’art. 4,
comma 2, D.Lgs. n. 121/2011, che ha differito la parziale
depenalizzazione conseguente al D.Lgs. n. 205/2010 alla
decorrenza degli obblighi di operatività del sistema di
controllo della tracciabilità dei rifiuti denominato
SISTRI, ha con efficacia innovativa reintrodotto la penale
rilevanza di quelle condotte, applicandosi tuttavia -
esclusa la sua natura meramente interpretativa - sol-
tanto ai fatti commessi successivamente alla sua entrata
in vigore (16 agosto 2011).
Nella specie, l’imputata veniva condannata per il reato di cui
agli artt. 258, comma 4, D.Lgs. n. 152/2006 e 483 cod. pen.,
per aver effettuato il trasporto e la spedizione di rifiuti speciali
non pericolosi in assenza dei prescritti formulari di identifica-
zione dei rifiuti.
Nel proposto ricorso per cassazione, l’imputata lamentava
violazione degli artt. 3, D.Lgs. n. 209/2003 e 183, comma 1,
lett. a), D.Lgs. n. 152/2006 per aver il giudicante erroneamente
ritenuto che le parti di ricambio di veicoli oggetto di trasporto
fossero qualificabili rifiuti speciali pericolosi, desumendo tale
conclusione dal fatto che, in un motore di autocarro, erano stati
trovati residui di olio idraulico, senza tener conto della testi-
monianza del funzionario ARPA, il quale aveva dichiarato che il
rinvenimento di un residuo d’olio in un motore di quelle dimen-
sioni non era prova della mancata bonifica dello stesso e che
l’olio era stato rinvenuto soltanto in quel componente, non
essendo state riscontrate anomalie sugli altri componenti
contenuti nel container.
In secondo luogo, l’imputata deduceva violazione della legge
penale per essere stato ritenuto ancora reato il trasporto di
rifiuti pericolosi senza formulario di identificazione, pur dopo la
depenalizzazione intervenuta con D.Lgs. n. 205/2010, erro-
neamente ritenendo che il D.Lgs. n. 121/2011 (in vigore dal 16
agosto 2011) avesse ripristinato la rilevanza penale della con-
dotta sino all’operatività del c.d. SISTRI, operatività ulterior-
mente prorogata dall’art. 1, comma 1134, Legge n. 205/2017.
Mentre quest’ultima disposizione era inconferente rispetto
alla soluzione del quesito, dalle disposizioni introdotte dal
D.Lgs. n. 121/2011 nel corpo dell’art. 39, D.Lgs. n. 205/2010
(vale a dire i commi 2-bis e 2-ter) non si ricavava l’espressa
reintroduzione della rilevanza penale del trasporto di rifiuti
pericolosi senza formulario, sicché il combinato disposto
degli artt. 258, comma 4, D.Lgs. n. 152/2006 e 483 cod.
pen. sanzionava oggi penalmente soltanto chi effettuava
false dichiarazioni nella predisposizione di un certificato di
analisi dei rifiuti.
Il primo motivo di ricorso è stato ritenuto infondato. La
Suprema Corte ha infatti osservato che le dichiarazioni del
teste confermavano la natura di rifiuto di componenti
diversi dal motore usato per autocarro sicché sul punto
non vi era travisamento della prova. Il teste, infatti, aveva
riferito che il motore conteneva ancora olio idraulico in
significativa quantità, tanto che nel container, in cui lo
stesso era stato riposto, insieme ad altri componenti,
c’era “uno spandimento abbastanza cospicuo” di olio
dal medesimo fuoriuscito.
Ambiente & sviluppo 3/2019

Il teste aveva poi dichiarato: “il motore doveva essere privo di
olio” e, pur dando atto che “c’è sempre un po’ di tolleranza” -
posto che, essendo di solito tolto per caduta, qualche traccia
può rimanere - nel caso in esame la quantità ancora presente
lasciava supporre che “o non è stata fatta la bonifica o è stata
fatta in maniera magari parziale o con un po’ di superficialità”.
A prescindere dalla fondatezza dell’una o dell’altra ipotesi, la
Corte ha concluso che il motore del veicolo fuori uso in parola
non era stato sottoposto ad una adeguata operazione di recu-
pero e messa in sicurezza, sicché non aveva perduto la sua -
oggettiva - natura di rifiuto pericoloso. A norma dell’art. 184-
ter, D.Lgs. n. 152/2006 e del D.Lgs. n. 209/2003, le operazioni
per la messa in sicurezza dei veicoli fuori uso, necessarie per
determinare il loro recupero con conseguente cessazione
della qualifica di rifiuto, prevedono la rimozione dell’olio e, se
pure può accettarsi una piccola tolleranza, vale a dire che ne
rimangano tracce, certo non può ritenersi recuperato e messo
in sicurezza un motore usato da cui fuoriescano cospicui
spandimenti di olio, come avvenuto nel caso di specie.
Per la Cassazione era del pari infondato anche il secondo
motivo di ricorso. La giurisprudenza, infatti, aveva già chiarito
che in tema di trasporto di rifiuti pericolosi eseguito senza
formulario ovvero con formulario recante dati incompleti o
inesatti, la disposizione prevista dall’art. 4, comma 2, D.Lgs.
n. 121/2011, che ha differito la parziale depenalizzazione con-
seguente al D.Lgs. n. 205/2010 alla decorrenza degli obblighi
di operatività del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti
denominato SISTRI, ha con efficacia innovativa reintrodotto la
penale rilevanza di quelle condotte, applicandosi tuttavia -
esclusa la sua natura meramente interpretativa - soltanto ai
fatti commessi successivamente alla sua entrata in vigore (16
agosto 2011), quali sono quelli di specie. Nella fase transitoria
è stato dunque mantenuto l’obbligo di predisporre il formulario
di identificazione dei rifiuti durante il loro trasporto di cui all’art.
193, D.Lgs. n. 152/2006, indicandovi dati esatti e completi, con
conseguente rilevanza penale della condotta omissiva, nel
caso di trasporto di rifiuti pericolosi, a norma dell’art. 258,
comma 4, dello stesso provvedimento nella versione vigente
prima della modifica operata con D.Lgs. n. 205/2010.
BASTA UN ACCORDO VERBALE TRA IL PROPRIETARIO DI UN
TERRENO E IL TITOLARE DI UN’AZIENDA AGRICOLA PER
CONCORRERE NELLA ILLECITA GESTIONE DEI RIFIUTI?
Cassazione penale, sez. III, 14 gennaio 2019, ud. 27 novem-
bre 2018, n. 1517 - Pres. Ramacci - Est. Di Stasi - P.M. Gaeta
(conc. diff.) - Ric. Vecchio
Rifiuti - Deposito incontrollato di rifiuti - Proprietario del
terreno sul quale l’attività è realizzata ad opera di un terzo -
Responsabilità per concorso - Condizioni
Art. 256, D.Lgs. n. 152/2006; art. 110 cod. pen.
Premesso che la responsabilità del proprietario di un
terreno nella gestione abusiva di rifiuti sussiste solo in
presenza di un obbligo giuridico di impedire la realizza-
zione o il mantenimento dell’evento lesivo, che il proprie-
tario può assumere solo ove compia atti di gestione o
movimentazione dei rifiuti, bene è ritenuto colpevole del
reato di cui all’art. 256, comma 2, D.Lgs. n. 152/2006 anche
il proprietario di un terreno sul quale un terzo (titolare di
azienda agricola) abbia realizzato un deposito incontrol-
lato di rifiuti a seguito di accordo verbale con il
Ambiente & sviluppo 3/2019
Rassegna
Giurisprudenza
proprietario che, in tal modo, ha posto in essere una
condotta commissiva di concorso nella illecita gestione
dei rifiuti.
La Corte d’Appello confermava la sentenza del Tribunale con la
quale D. e V. venivano dichiarati responsabili del reato di cui agli
artt. 110 cod. pen. e 256, comma 2, D.Lgs. n. 152/2006 perché
in concorso tra loro, il V. quale proprietario e il D. in qualità di
utilizzatore, avevano realizzato sul terreno di cui all’imputa-
zione un deposito incontrollato per rifiuti.
Avverso tale sentenza proponevano ricorso per cassazione
entrambi i prevenuti: per quanto di interesse, V. deduceva
violazione di legge argomentando che lo scarno materiale
accusatorio doveva condurre alla sua assoluzione per evidente
carenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi della norma
incriminatrice, in applicazione della regola dell’al di là di ogni
ragionevole dubbio; era, infatti, emerso che il D. svolgesse
attività di coltivazione di funghi su terreni concessi in como-
dato dal V. e che il materiale rinvenuto era materiale di scarto
relativo alla predetta attività.
Secondo la sentenza in epigrafe, la Corte territoriale, con
apprezzamento di fatto immune da censure, e dunque insin-
dacabile in sede di legittimità, aveva fondato l’affermazione
di responsabilità del V. sulla circostanza, comprovata dalle
risultanze istruttorie, che il terreno, di cui il predetto era
proprietario, era stato utilizzato per il deposito incontrollato
di rifiuti da parte del D., titolare di azienda agricola, proprio a
seguito di accordo verbale con il V., che in tal modo aveva
concorso con una condotta commissiva all’illecita gestione
dei rifiuti.
La Suprema Corte ha ritenuto che tale decisione fosse in linea
con il principio di diritto secondo il quale il proprietario di un
terreno non risponde, in quanto tale, dei reati di realizzazione e
gestione di discarica non autorizzata o di abbandono o depo-
sito incontrollato di rifiuti non autorizzata, anche nel caso in cui
non si attivi per la rimozione dei rifiuti, in quanto tale respon-
sabilità sussiste solo in presenza di un obbligo giuridico di
impedire la realizzazione o il mantenimento dell’evento lesivo,
che il proprietario può assumere solo ove compia atti di
gestione o movimentazione dei rifiuti.
GESTIONE DI RIFIUTI E OCCASIONALITÀ DELLA CONDOTTA
Cassazione penale, sez. III, 21 gennaio 2019, ud. 6 novem-
bre 2018, n. 2575 - Pres. Di Nicola - Est. Socci - P.M. Di Leo
(conc. conf.) - Ric. Margherito
Rifiuti - Trasporto di rifiuti - Esecuzione di attività destinata a
durare nel tempo e quindi non occasionale - Sussistenza del
reato
Art. 256, D.Lgs. n. 152/2006
Ai fini della configurabilità del reato di cui dell’art. 256,
comma 1, D.Lgs. n. 152/2006, è richiesto lo svolgimento di
un’attività di gestione di rifiuti in modo non assoluta-
mente occasionale e pertanto risponde del reato il sog-
getto che, al di là dei requisiti - non espressamente
richiesti dalla norma - di imprenditorialità e/o di profes-
sionalità, abbia intrapreso un’attività di trasporto di rifiuti
destinata a durare nel tempo (nella specie, risultava che
l’imputato aveva preso in prestito, per lo scopo, un moto-
carro e che traeva profitto dal conferimento dei rifiuti
presso i centri di raccolta di materiale ferroso).
221
Rassegna
Giurisprudenza
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello condannavano M. per il
reato di cui all’art. 256, comma 1, lett. a) D.Lgs. n. 152/2006 per
aver gestito batterie al piombo esausta, componenti elettrici
ed elettronici, biciclette, lamiere varie, cerchioni in ferro per
autovetture, una vasca da bagno, una carriola ed altro in
assenza delle prescritte autorizzazioni.
Nel ricorso per cassazione, l’imputato deduceva, in relazione
alla sussistenza della condotta contestata di recupero dei
rifiuti, l’occasionalità della condotta. Con il termine “attività”
la norma infatti ha voluto intendere, quale condotte costituenti
reato, solo quelle ipotesi non caratterizzate da assoluta occa-
sionalità; ovvero con un minimo di stabilità e di organizzazione;
l’art. 256 descrive un reato proprio nonostante la norma utilizzi,
impropriamente, il termine “chiunque”; il privato che abban-
dona in modo incontrollato rifiuti, o che a tal fine trasporti i rifiuti
occasionalmente, risponderà del solo illecito amministrativo.
In chiusura di ricorso, l’imputato dichiarava di non essere
imprenditore e di non svolgere alcuna attività organizzata di
trasporto di rifiuti e pertanto concludeva che aveva svolto un
trasporto occasionale non costituente reato.
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile per manifesta infonda-
tezza dei motivi.
La Suprema Corte ha prima di tutto ribadito che, ai fini della
configurabilità del reato di cui dell’art. 256, comma 1, D.Lgs.
n. 152/2006, trattandosi di illecito istantaneo, è sufficiente
anche una sola condotta integrante una delle ipotesi alterna-
tive previste dalla norma, purché costituisca un’attività di
gestione di rifiuti e non sia assolutamente occasionale. Nel
caso in giudizio, il ricorrente aveva intrapreso un’attività di
trasporto di rifiuti destinata a durare nel tempo e quindi, non
era svolta in modo occasionale, come emergeva dalle stesse
ampie ammissioni dell’imputato nel suo esame. Egli infatti
aveva preso in prestito, per lo scopo, un motocarro e traeva
profitto dal conferimento dei rifiuti presso i centri di raccolta di
materiale ferroso.
Infine, la sentenza ha osservato che il pronome indefinito
“chiunque” contenuto nella fattispecie di cui all’art. 256,
comma 1, fa riferimento a tutte le categorie indicate nella
norma definitoria generale, e quindi anche al “detentore”,
senza che al riguardo possano essere introdotte surrettizie
limitazioni interpretative fondate sui requisiti - non espressa-
mente richiesti - di imprenditorialità e/o di professionalità,
dovendo invece essere valutati indici dai quali poter desumere
un minimum di organizzazione che escluda la natura esclusiva-
mente solitaria della condotta (tra gli altri, il dato ponderale dei
rifiuti oggetto di gestione, la necessità di un veicolo adeguato e
funzionale al trasporto di rifiuti, la quantità di soggetti che hanno
posto in essere la condotta e il tipo stesso del rifiuto).
LA CAUSA DI ESCLUSIONE DELLA PUNIBILITÀ PER
PARTICOLARE TENUITÀ DEL FATTO NON SI APPLICA IN CASO DI
REITERATO CONFERIMENTO DI RIFIUTI
Cassazione penale, sez. III, 24 gennaio 2019, ud. 24 ottobre
2018, n. 3579 - Pres. Lapalorcia - Est. Gai - P.M. Tocci (conc.
conf.) - Ric. Sgambato
Rifiuti - Gestione abusiva di rifiuti - Applicazione della causa
di non punibilità del fatto di particolare tenuità - Esclusione
in caso di reiterato conferimento di rifiuti
Art. 256, D.Lgs. n. 152/2006; art. 131-bis cod. pen
La causa di esclusione della punibilità per particolare
tenuità del fatto, di cui all’art. 131-bis cod. pen., non può
222
essere applicata ai reati ambientali posti in essere
mediante reiterazione della condotta tipica (fattispecie
di reiterato conferimento di rifiuti in assenza del necessa-
rio titolo abilitativo).
Il Tribunale condannava S. perché ritenuto responsabile del
reato di cui all’art. 256, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 152/2006
per avere, senza autorizzazione, effettuato attività di raccolta e
trasporto di rifiuti speciali prodotti da terzi (per lo più rottami
ferrosi) conferendoli presso un impianto di recupero.
Tra i vari motivi di censura, l’imputato eccepiva l’assenza
dell’elemento soggettivo del reato asserendo di aver agito in
buona fede a causa della complessità della normativa di set-
tore, situazione di maggior pregnanza allorché la condotta sia
posta in essere da privati e non da imprese del settore.
Lamentava inoltre il diniego di riconoscimento della causa di
non punibilità ex art. 131-bis cod. pen. in presenza di una non
particolare gravità del fatto e di non significativa reiterazione
delle condotte.
La Suprema Corte ha dichiarato l’inammissibilità del motivo
concernente il profilo dell’errore scusabile: da tempo, infatti, è
stato affermato che in tema di elemento psicologico del reato,
l’ignoranza da parte dell’agente sulla normativa di settore e
sull’illiceità della propria condotta è idonea ad escludere la
sussistenza della colpa, se indotta da un fattore positivo
esterno ricollegabile ad un comportamento della pubblica
amministrazione, fattore neppure prospettato dal ricorrente
che si era limitato, in definitiva, ad invocare la buona fede.
Quanto al mancato riconoscimento della causa di non punibi-
lità ex art. 131-bis cod. pen., la Corte ha osservato che corret-
tamente si era argomentato in ragione dei plurimi conferimenti
e, dunque, l’art. 131-bis era stato escluso in ragione della
reiterazione della condotta di reato: infatti, è stato già più
volte sostenuto che la causa di non punibilità per particolare
tenuità del fatto non può essere applicata ai reati necessaria-
mente abituali ed a quelli eventualmente abituali che siano
stati posti in essere mediante reiterazione della condotta
tipica, traendone la conseguenza che deve essere esclusa la
ricorrenza della particolare tenuità del fatto in caso di reiterato
conferimento di rifiuti prodotti, da terzi in assenza del neces-
sario titolo abilitativo, di cui al reato eventualmente abituale
previsto dall’art. 256, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006.
IL TRASPORTO DEI RIFIUTI È PUNIBILE SE SVOLTO IN MODO
NON OCCASIONALE
Cassazione penale, sez. III, 27 dicembre 2018, ud. 25 otto-
bre 2018, n. 58315 - Pres. Ramacci - Est. Reynaud - P.M.
Gaeta (conc. diff.) - Ric. Rizzolo
Rifiuti - Attività di trasporto di rifiuti - Sussistenza del reato -
È necessaria l’effettuazione in modo non occasionale del-
l’attività di gestione di rifiuti
Art. 256, D.Lgs. n. 152/2006
Per la sussistenza del reato di trasporto di rifiuti occorre
che il soggetto agente effettui in modo non occasionale
(id est, con una certa continuità) una delle attività di
gestione di rifiuti considerate dalla norma incriminatrice.
Per aver effettuato abusivamente attività di trasporto di rifiuti
non pericolosi consistenti in materiali di risulta, tal R. veniva
condannato per il reato di cui all’art. 256, comma 1, lett. a),
D.Lgs. n. 152/2006.
Ambiente & sviluppo 3/2019
 Rassegna
Giurisprudenza

Nel proposto ricorso per cassazione, l’imputato deduceva Art. 260, D.Lgs. n. 152/2006
oltre la violazione dell’articolo sopra richiamato, la contraddit-
Il reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti
torietà e manifesta illogicità della motivazione per avere il
si consuma nel luogo in cui avviene la reiterazione delle
giudice di merito ritenuto che, pur dopo la cancellazione for-
condotte illecite e non in quello dove si verifica - come
male della ditta dalla Camera di Commercio, l’imputato avesse
nella specie - l’interramento dei rifiuti che può essere una
di fatto continuato ad esercitare l’attività di autotrasporto per
frazione della condotta punibile, ma non è necessario ai
conto terzi in concorso con il proprietario del veicolo. In realtà -
fini della rilevanza penale della fattispecie e della sua
osservava il ricorrente - egli aveva effettuato occasionalmente
consumazione, che è raggiunta a monte, quando la plu-
il trasporto di rifiuti al solo fine di abbandonarli, sicché il fatto
ralità e ripetitività delle operazioni di gestione inerenti
era semmai riconducibile all’ipotesi di reato di cui all’art. 256,
quantitativi ingenti di rifiuti abbiano raggiunto un’inten-
comma 2, D.Lgs. n. 152/2006, non ricorrente però nella specie
sità tale da mettere in pericolo il bene protetto.
per non essere titolare d’impresa.
Il Supremo Collegio ha rammentato che, ai fini della configu-
La Corte d’Appello confermava la pronuncia del Tribunale con la
rabilità del reato di cui all’art. 256, comma 1, D.Lgs. n. 152/
quale vari soggetti erano stati giudicati colpevoli del delitto di cui
2006 non rileva la qualifica soggettiva del soggetto agente,
all’art. 260, D.Lgs. n. 152/2006 contestato per aver gestito
bensì la concreta attività posta in essere in assenza dei pre-
abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti costituiti da scorie
scritti titoli abilitativi, che può essere svolta anche di fatto o in
di acciaieria, illecitamente smaltiti per la realizzazione di sotto-
modo secondario, purché non sia caratterizzata da assoluta
fondi e rilevati stradali in esecuzione di un contratto di appalto.
occasionalità.
Nel proposto ricorso per cassazione, tutti gli imputati, oltre ad
Benché, dunque, non sia necessario accertare se l’agente sia
altri motivi di censura, eccepivano l’incompetenza per territo-
o meno imprenditore, punendo la norma incriminatrice una
rio asserendo che la Corte d’Appello, al pari del Tribunale,
condotta definita quale “attività” - ciò che, proprio per la sua
aveva errato nell’indicare competente l’Ufficio di Bergamo in
natura non occasionale, giustifica l’assoggettamento alle pro-
luogo di quello di Brescia, al quale il fascicolo avrebbe dovuto
cedure di controllo connaturate alle autorizzazioni, iscrizioni e
essere assegnato in ragione del fatto che il sito nel quale il
comunicazioni di cui agli artt. 208 ss., D.Lgs. n. 152/2006 - la
rifiuto era stato smaltito, ossia interrato, coincideva con il
sussistenza del reato postula la prova che il soggetto agente
cantiere stradale, sito in Orzivecchi, in provincia di Brescia.
effettui in modo non occasionale (id est, con una certa conti-
Nessun rilievo poteva invece essere assegnato all’impianto di
nuità) una delle attività di gestione di rifiuti considerate dalla
trattamento rifiuti di proprietà della “L.G.G.”, in località Bian-
norma incriminatrice.
cinella-Calcinate, come affermato dai giudici del merito, atteso
Nel caso di specie, la sentenza impugnata, adeguandosi a tale
che in esso - ai sensi della contestazione - non era stata svolta
principio, aveva effettuato la valutazione sulla natura non
nessuna attività e, in alcuni casi, i rifiuti non erano stati neppure
occasionale dell’attività di trasporto contestata all’imputato,
scaricati. Ne conseguiva - anche in forza della giurisprudenza di
desumendola in particolare dal fatto che egli, già titolare di
legittimità che ha affermato la natura abituale della condotta
un’impresa di autotrasporti per conto terzi cancellata dal regi-
punita dall’art. 260 in esame - che l’illecito smaltimento era
stro delle imprese nel 2009, aveva di fatto continuato, anche in
stato commesso nel circondario del Tribunale di Brescia, unico
epoca successiva, ad esercitare tale attività, come accertato il
luogo che aveva “unificato” le presunte condotte illecite, lì
19 giugno 2014 allorquando fu sorpreso alla guida di un veicolo
pervenendo tutto il materiale che si contestava non esser
contenente materiali edili di risulta.
stato trattato.
Ad avviso del Collegio, la motivazione appariva tuttavia affetta
La Suprema Corte ha disatteso la doglianza ritenendo corretta,
dal dedotto vizio di manifesta illogicità. Infatti, dal tenore della
adeguata e condivisibile la decisione assunta sul tema dalla
sentenza - che ricavava le suddette conclusioni non già da
Corte d’Appello, investita della medesima questione.
elementi di prova acquisiti agli atti, bensì da deduzioni (“risulta
In via preliminare, il Collegio ha ritenuto che andasse ribadito
evidente che non si trattò di un trasporto occasionale”; tutto
un indirizzo costantemente affermato in sede di legittimità, a
“lascia supporre” che R. e P. abbiano agito in concorso) -
mente del quale il delitto di attività organizzate per il traffico
l’accertamento della non occasionalità del trasporto per aver
illecito di rifiuti, previsto dall’art. 260 (oggi art. 452-quaterde-
l’imputato proseguito di fatto l’attività di autotrasportatore per
cies, cod. pen.) è un reato abituale, che si perfeziona attraverso
conto terzi formalmente cessata nel dicembre 2009, in con-
la realizzazione di più comportamenti non occasionali della
corso con altri, appare essere una mera congettura.
stessa specie, finalizzati al conseguimento di un ingiusto
Pertanto, la sentenza impugnata è stata annullata con rinvio
profitto, con la necessaria predisposizione di una, pur rudi-
per nuovo giudizio circa la non occasionalità della attività di
mentale, organizzazione professionale di mezzi e capitali, che
trasporto rifiuti effettuata dal ricorrente e, dunque, circa la
sia in grado di gestire ingenti quantitativi di rifiuti in modo
rilevanza penale della stessa.
continuativo; tale reato si consuma perciò nel luogo in cui
avviene la reiterazione delle condotte illecite ossia, laddove
DOVE SI CONSUMA IL REATO DI ATTIVITÀ ORGANIZZATE PER IL si realizzano, con il citato carattere dell’abitualità, le condotte
TRAFFICO ILLECITO DI RIFIUTI? che costituiscono l’in sé del reato. Con la significativa preci-
sazione - correttamente sottolineata nella sentenza impu-
Cassazione penale, sez. III, 28 dicembre 2018, ud. 25 otto-
gnata - per cui, ai fini dell’integrazione del reato in
bre 2018, n. 58448 - Pres. Ramacci - Est. Mengoni - P.M.
argomento, non sono necessari un danno ambientale né la
Gaeta (conc. conf.) - Ric. Rocca ed altri minaccia grave di esso, atteso che la previsione di ripristino
ambientale contenuta nel comma 4 dell’art. 260 si riferisce alla
Rifiuti - Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti - sola eventualità in cui il pregiudizio o il pericolo si siano effetti-
Reato abituale - Luogo di consumazione - Individuazione - È vamente verificati e, pertanto, non è idonea a mutare la natura
quello in cui avviene la reiterazione delle condotte illecite della fattispecie da reato di pericolo presunto a reato di danno.

Ambiente & sviluppo 3/2019 223

Rassegna
Giurisprudenza
Tanto premesso in termini generali, il Collegio ha opinato
che la sentenza impugnata avesse fatto buon governo di
questi principi, evidenziando che la competenza per terri-
torio dovesse esser radicata proprio laddove le condotte
illecite erano state reiterate, ossia presso l’impianto di
trattamento di Biancinella-Calcinate, sito in provincia di
Bergamo e nel circondario del locale Tribunale, senza che
assumesse decisivo rilievo, invece, il cantiere di Orzivec-
chi, richiamato dai ricorrenti come il luogo in cui tutti i
materiali erano pervenuti per essere interrati e, quindi,
smaltiti.
In particolare, la Corte d’Appello - dopo aver congrua-
mente affermato che “l’interramento dei rifiuti sicura-
mente può essere una frazione della condotta punibile,
ma non è necessario ai fini della rilevanza penale della
fattispecie e della sua consumazione, che può essere
raggiunta a monte, quando la pluralità e ripetitività delle
operazioni di gestione inerenti quantitativi ingenti di rifiuti
abbiano raggiunto una intensità tale da mettere in peri-
colo il bene protetto” - ha sottolineato con ampio argo-
mento che l’impianto di Biancinella: a) costituiva lo
strumento attraverso il quale legittimare la fornitura di
scorie di acciaieria sotto l’asserita forma di materie
prime secondarie di cui al contratto di appalto del 18
dicembre 2008, aggiudicato dal raggruppamento tempo-
raneo di imprese costituito da “O.”, “A.G.L.” e “T.”,
contratto poi modificato con la variante proposta il 2
ottobre 2009 e recepita nel verbale di concordamento
nuovi prezzi del 2 dicembre 2009; b) costituiva il luogo
di ubicazione della complessa struttura operativa ove le
attività di illecita gestione erano state compiute; c) in
particolare, in questo luogo era transitato l’ingente quan-
titativo di rifiuti di acciaieria (nell’ordine di decine di
migliaia di tonnellate, come riscontrato da numerosissimi
documenti di trasporto) “con la principale finalità di risul-
tare oggetto di una lavorazione e di una trasformazione,
che in realtà non c’è stata, se non in minima parte”.
Presso la struttura di Biancinella, poi, erano avvenuti i test di
cessione sul rifiuto c.d. tal quale, da ritenersi “addomesticati”
in ragione di emergenze istruttorie che la sentenza aveva
analiticamente richiamato. Sempre presso il medesimo
impianto in provincia di Bergamo, era avvenuta l’operazione
di “sbiancatura” dei documenti di trasporto, tale da far appa-
rire “come lavorati e provenienti dall’impianto di Biancinella
materiale che, viceversa, non era stato affatto lavorato o,
addirittura, nemmeno scaricato”.
In forza delle considerazioni esposte, la Cassazione ha con-
cluso rappresentando che l’impianto di Biancinella-Calcinate
aveva costituito il teatro delle complesse operazioni di
gestione illecita contestate,
1) evidentemente finalizzate al conseguimento dell’ingiu-
sto profitto che regge il profilo soggettivo del delitto di cui
all’art. 260, 2) precedenti e ben più significative - nell’ot-
tica della competenza per territorio in esame - rispetto al
mero interramento dei rifiuti, quale operazione materiale
conclusiva e,
3) tali da realizzare - in modo duraturo, organizzato e continua-
tivo, come evidenziato dalle quantità di rifiuti movimentate
indebitamente - quel pericolo concreto al bene interesse tute-
lato che il legislatore ha posto a fondamento della medesima
previsione normativa in oggetto. (*)
(*) Si i rinvia, in questa stessa Rivista, pag. 184, all’ approfondi-
mento di V.Paone.
224
LA GESTIONE ABUSIVA DI RIFIUTI INTEGRA UN REATO DI
PERICOLO PRESUNTO
Cassazione penale, sez. III, 1° febbraio 2019, ud. 18 ottobre
2018, n. 4973 - Pres. Cervadoro - Est. Di Nicola - P.M. Di
Nardo (conc. conf.) - Ric. Mastroianni
Rifiuti - Effettuazione di attività di gestione di rifiuti non
autorizzata - Natura - Reato di pericolo - Irrilevanza dell’as-
senza in concreto, successivamente riscontrata, di qualsi-
voglia lesione
Art. 256, D.Lgs. n. 152/2006
Il reato di effettuazione di attività di gestione di rifiuti non
autorizzata (art. 256, D.Lgs. n. 152/2006) è un reato di
pericolo, sicché la valutazione in ordine all’offesa al
bene giuridico protetto va retrocessa al momento della
condotta secondo un giudizio prognostico ex ante,
essendo irrilevante l’assenza in concreto, successiva-
mente riscontrata, di qualsivoglia lesione.
L’amministratore della S., tal M., ricorreva per cassazione
impugnando la sentenza che lo aveva condannato per il
reato di cui all’art. 256, comma 1, lettera a), commi 2 e 4,
D.Lgs. n. 152/2006 perché effettuava un’attività di gestione di
rifiuti non autorizzata ed in particolare:
- nell’anno 2014 illecitamente commercializzava come mate-
rie prime seconde “macerie” e “terre e rocce” che, per la
sistematica inosservanza delle procedure di analisi previste
per la procedura di conformità “end of waste”, dovevano
essere qualificati come rifiuti;
- depositava in maniera incontrollata, peraltro fuori dai locali
dell’impresa, 800 tonnellate di “macerie” che, per la sistema-
tica inosservanza delle procedure di analisi previste per la
procedura di conformità “end of waste”, dovevano essere
qualificati come rifiuti, come constatato durante il sopralluogo
ispettivo del 23 gennaio 2015;
- violava le prescrizioni inerenti all’autorizzazione e segnata-
mente organizzava l’impianto in difformità alla planimetria, non
provvedeva alla copertura dei mucchi di rifiuti con teloni per il
contenimento delle polveri diffuse, l’impianto era privo di
idoneo sistema di canalizzazione di acque meteoriche, gestiva
quantitativi di rifiuti superiori a quelli autorizzati, come consta-
tato durante il sopralluogo ispettivo del 23 gennaio 2015.
L’imputato ricorreva per cassazione deducendo l’erronea
applicazione della legge penale nella parte in cui il Tribunale
aveva attribuito natura di rifiuto alle macerie e terre e rocce di
scavo commercializzate nell’anno 2014 sul rilievo che alcun
concreto accertamento era stato svolto da ARPAT e/o da altri
organi relativamente alle attività di trattamento poste in essere
da S. sui materiali prima della loro commercializzazione, risul-
tando una mera presunzione del teste escusso, fatta propria
dal Tribunale, quella secondo cui “non sempre questi rifiuti
venivano sottoposti a questa analisi con la periodicità appunto
prevista ...” anche perché lo stesso teste, contraddicendo se
stesso, aveva asserito che l’impresa dell’imputato trattava
rifiuti, ragione per cui non poteva escludersi che fosse stata
eseguita un’attività di recupero ex art. 183, comma 1, lettera t),
D.Lgs. n. 152/2006 che fa cessare, ex art. 184-ter, la natura di
rifiuto del materiale.
Ambiente & sviluppo 3/2019

In secondo luogo, il ricorrente lamentava che il Tribunale avesse
ritenuto provata la penale responsabilità per gli ultimi tre punti
contestati nel capo di imputazione, senza fornire in sentenza
una motivazione logica e coerente. In particolare, con riguardo al
secondo punto del capo di imputazione, rilevava il ricorrente
che, in ogni caso, la responsabilità era stata affermata in
maniera del tutto dubitativa, ossia in difetto di riscontri probatori
ed accertamenti sull’attività eseguita dalla società del ricor-
rente, cosicché lo stesso Tribunale non aveva escluso che i
materiali venduti dalla S. fossero stati precedentemente sotto-
posti ad un’attività di recupero che avrebbe reso lecita la loro
vendita a terzi. Identico discorso il ricorrente svolgeva con
riferimento agli ultimi tre punti contestati nel capo di imputa-
zione non avendo il Tribunale considerato adeguatamente la
deposizione del consulente tecnico della difesa e le relative
produzioni documentali.
Il ricorso è stato ritenuto infondato.
In linea di fatto, la Suprema Corte ha rilevato che risultava che i
tecnici ARPA avevano verificato che, relativamente alle mace-
rie e terre e rocce da scavo commercializzate dall’azienda nel
2014 come materie prime seconde, non erano state osservate
sistematicamente le procedure necessarie perché detti mate-
riali potessero non essere più considerati rifiuti: più precisa-
mente le analisi effettuate dalla S. prima della cessione a terzi
dei materiali non rispettavano la periodicità prevista dalla nor-
mativa secondaria; inoltre, non vi era una chiara tracciabilità dei
vari materiali posto che la società non aveva provveduto alla
registrazione dei singoli lotti e delle singole partite, sicché i
controlli degli operanti in ordine alle analisi non erano in defi-
nitiva possibili.
Sulla base di queste considerazioni, il Tribunale era giunto a
ritenere che i citati materiali dovessero considerarsi ancora
rifiuti, sicché la relativa commercializzazione costituiva una
gestione illecita ai sensi dell’art. 256, comma 1, lettera a),
D.Lgs. n. 152/2006.
La Corte ha poi osservato che il Tribunale avesse corretta-
mente ritenuto integrato la fattispecie del deposito incontrol-
lato di rifiuti e non del deposito temporaneo.
Infine, risultava il mancato rispetto di plurime prescrizioni:
tanto le macerie da demolizione quanto le terre e rocce da
scavo (ancora da sottoporre al trattamento) erano collocate in
aree diverse da quelle previste nelle planimetrie allegate alle
comunicazioni; i cumuli di tutti e tre i tipi di rifiuti stoccati,
contrariamente a quanto previsto dal D.M. 5 febbraio 1998,
non erano dotati di teli di copertura contro il rischio di disper-
sione delle polveri; non erano stati approntati i pozzetti e le
griglie (previsti sempre dal citato D.M.) per la raccolta delle
acque meteoriche; a fronte di una autorizzazione per lo stoc-
caggio di 300 t di terre e rocce da scavo, erano state rinvenute
700 t di tale tipo di rifiuti.
A questo punto, la Cassazione ha ricordato che il reato di
attività di gestione di rifiuti non autorizzata è un reato di
pericolo, sicché la valutazione in ordine all’offesa al bene
giuridico protetto va retrocessa al momento della condotta
secondo un giudizio prognostico ex ante, essendo irrilevante
l’assenza in concreto, successivamente riscontrata, di qualsi-
voglia lesione. Infatti, il pericolo di offesa al bene giuridico
sorge, potendo perciò ritenersi integrata la categoria penali-
stica del “pericolo”, quando, secondo un giudizio ex ante e
secondo le evidenze disponibili certificate dalla migliore
scienza ed esperienza, appare probabile che, secondo l’id
quod plerumque accidit, dalla condotta consegua l’evento
lesivo che il legislatore, anticipando il momento della tutela,
intende scongiurare. Questa è la ragione per la quale, in
conformità alla funzione preventiva dei reati di pericolo e nel
Ambiente & sviluppo 3/2019
Rassegna
Giurisprudenza
rispetto assoluto del principio della personalità della respon-
sabilità penale, è essenziale che la valutazione circa l’esistenza
e la consistenza dell’offesa sia retrocessa al momento della
condotta, dovendo il giudice fare ricorso ad un giudizio pro-
gnostico ex ante.
Alla stregua di tali principi, la Suprema Corte ha concluso che,
nella specie, il reato non era stato ritenuto integrato nei suoi
elementi costitutivi sulla base di una condotta formalmente
inosservante, ma totalmente inoffensiva, in quanto nelle con-
dotte riscontrate doveva ritenersi contenuto un disvalore tale
da concretizzare la messa in pericolo dell’ambiente (oltre che
della gestione in mano pubblica della risorsa ambientale) quale
bene finale tutelato dalle norme incriminatrici poste a presidio
del diritto dell’ambiente.
Per la Cassazione non poteva parlarsi, infatti, di infrazioni
aventi natura esclusivamente formale, poiché sicuramente
l’inosservanza delle prescrizioni e la mancanza di autorizza-
zione, quantunque in astratto concedibile, e dunque la carenza
del prescritto controllo amministrativo preventivo sullo svolgi-
mento dell’attività, determinano situazioni intrinseche di
rischio, essendo suscettibili di mettere in pericolo la salubrità
dell’ambiente.
Pertanto, la Corte ha concluso che le argomentazioni svolte dal
ricorrente, da un lato, evocavano, un giudizio ex post, che priva
il reato di pericolo della sua funzione di tutela anticipata,
facendo dipendere la presenza o l’assenza del pericolo stesso
dalla presenza o dall’assenza della lesione in un momento
successivo al compimento della condotta (pericolosa) e, dal-
l’altro, si risolvevano in censure di merito dirette a porre in
discussione, su basi meramente fattuali e sollecitando un’al-
ternativa e non consentita rilettura delle prove, l’attività di
accertamento del fatto eseguita, con congrua e logica moti-
vazione, dal giudice del merito, censure che pertanto esulano
dall’orizzonte cognitivo del sindacato di legittimità.
REFLUI DA ALLEVAMENTO: SCARICHI IDRICI O RIFIUTI ALLO
STATO LIQUIDO?
Cassazione penale, sez. III, 6 febbraio 2019, ud. 7 dicembre
2018, n. 5813 - Pres. Sarno - Est. Noviello - P.M. Filippi
(conc. conf.) - Ric. De Sensi
Rifiuti - Acque reflue derivanti da allevamento - Scarico sul
suolo - Disciplina applicabile - Normativa sui rifiuti
Artt. 183, 256, D.Lgs. n. 152/2006; art. 2, D.Lgs. n. 4/2008
La disciplina in materia di acque reflue trova applicazione
solo se il collegamento fra ciclo di produzione e recapito
finale sia diretto ed attuato, senza soluzione di continuità,
mediante una condotta o altro sistema stabile di colletta-
mento e pertanto, in assenza di tali requisiti, i reflui sono
da considerarsi rifiuti allo stato liquido, soggetti alla disci-
plina di cui all’art. 256, D.Lgs. n. 152/2006.
Il titolare di un allevamento di suini veniva ritenuto responsa-
bile del reato di abusivo smaltimento sul suolo di effluenti
provenienti dal proprio allevamento e condannato ai sensi
dell’art. 256, D.Lgs. n. 152/2006.
Il prevenuto proponeva ricorso per cassazione rappresen-
tando che la condotta a lui ascritta, riguardando lo scarico di
reflui provenienti da imprese dedite all’allevamento di
bestiame, non era prevista dalla legge come reato, integrando
un illecito amministrativo in ragione dell’art. 101, D.Lgs.
n. 152/2006 che, al comma 7, come modificato con novella
225
Rassegna
Giurisprudenza
di cui all’art. 2, comma 8, D.Lgs. n. 4/2008, aveva equiparato
alle acque reflue domestiche le acque reflue provenienti dal-
l’attività di allevamento di bestiame.
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile osser-
vando che la disciplina sui reflui trova applicazione solo se il
collegamento fra ciclo di produzione e recapito finale sia
diretto ed attuato, senza soluzione di continuità, mediante
una condotta o altro sistema stabile di collettamento atteso
che l’art. 183, lett. h), D.Lgs. n. 152/2006 definisce quale
scarico, che rimanda alla normativa sui reflui, solo l’immis-
sione effettuata tramite un sistema stabile e diretto di
collettamento.
Consegue che, in assenza di diretta immissione nel suolo, nel
sottosuolo o nella rete fognaria mediante una condotta o un
sistema stabile di collettamento, i reflui sono da considerarsi
rifiuti allo stato liquido, soggetti alla distinta disciplina dell’art.
256, D.Lgs. n. 152/2006.
Era dunque incongruo il richiamo operato dal ricorrente alla
disciplina dei reflui e quindi alla novella di cui all’art. 2, comma
8, D.Lgs. n. 4/2008, laddove, nel modificare l’art. 101, comma
7, lett. b), D.Lgs. n. 152/2006, ha stabilito che non costituisce
più reato la condotta di scarico senza autorizzazione dei reflui
provenienti da imprese dedite all’allevamento di bestiame,
attesa la loro assimilabilità incondizionata alle acque reflue
domestiche.
Infatti, nel provvedimento impugnato, così ha osservato la
Suprema Corte, veniva in contestazione lo “smaltimento ed
abbandono sul suolo” di effluenti provenienti da un alleva-
mento di suini, ovvero condotte di sversamento su suolo
descritte, in virtù del richiamo alla nozione di smaltimento di
cui al citato art. 256, come realizzate senza immissione diretta
ovvero in assenza di una condotta o altro sistema stabile di
collettamento. Inoltre, laddove si descriveva acqua prove-
niente “dall’impianto di condizionamento sito nelle stalle dei
maiali la quale, cadendo in terra, defluiva mischiandosi al
materiale organico che si trovava sul pavimento interno della
stalla per poi convogliare all’esterno tramite un buco posto in
basso all’estremità di una parete”, si faceva riferimento pro-
prio ad effluenti da allevamento che, mescolandosi ad acqua,
defluivano fuori della stalla spargendosi sul suolo per la spinta
autoprodotta dei liquidi e senza un sistema di diretto colletta-
mento, così da integrare lo smaltimento contestato nel capo di
imputazione.
INOSSERVANZA DI PRESCRIZIONI E DIFFERENZE TRA L’IPOTESI
DEL PRIMO E DEL QUARTO COMMA DELL’ART.256, D.LGS.
N. 152/2006
Cassazione penale, sez. III, 6 febbraio 2019, ud. 15 gennaio
2019, n. 5817 - Pres. Di Nicola - Est. Ramacci - P.M. Cane-
velli (conc. conf.) - Ric. Burrini
Rifiuti - Recupero rifiuti in forma semplificata - Prescrizioni
contenute nella attestazione di iscrizione al registro provin-
ciale - Inosservanza - Ipotesi criminosa attenuata - Ricor-
renza - Differenza con l’ipotesi generale
Art. 256, D.Lgs. n. 152/2006
Nell’ipotesi di carenza dei requisiti e delle condizioni
richiesti per le iscrizioni o comunicazioni, il reato di cui
all’art. 256, comma 4, D.Lgs. n. 152/2006 è configurabile
nei soli casi in cui tale carenza sia attinente alle modalità di
esercizio dell’attività, mentre, nella diversa ipotesi in cui
226
essa si risolva nella sostanziale inesistenza del titolo abi-
litativo, si configura una illecita gestione che certamente
sussiste quando oggetto dell’attività sono rifiuti diversi
da quelli indicati nelle comunicazioni ed iscrizioni.
Il Tribunale affermava la responsabilità di B. per il reato di cui
all’art. 256, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 152/2006 perché, quale
legale rappresentante della società F., non osservava le pre-
scrizioni contenute nella attestazione di iscrizione al registro
provinciale delle imprese che effettuano recupero rifiuti in
forma semplificata. In particolare, nell’anno 2014, effettuava
un’attività di raccolta e di stoccaggio di rifiuti metallici non
pericolosi, provenienti per la maggior parte da privati cittadini,
raccogliendoli e trasportandoli presso il centro di recupero con
il codice CER 20 01 40, proprio dei rifiuti urbani (rifiuti domestici
e assimilabili, derivanti da attività commerciali e industriali
nonché da istituzioni, inclusi i rifiuti della raccolta differenziata).
Nel proposto ricorso per cassazione, il B. osservava che le
indagini avevano consentito di verificare che allegata ai formu-
lari dei rifiuti vi era una scrittura privata con la quale i conferitori
dichiaravano che i rifiuti provenivano dallo smantellamento
delle proprie pertinenze o case di abitazione e che il presuppo-
sto della contestazione era errato, perché non rispettoso del
dettato normativo, in quanto il codice 20 01 40 è attribuibile
genericamente ai rifiuti urbani (rifiuti domestici e assimilabili
prodotti da attività commerciali nonché dalle istituzioni), ivi
compresi i rifiuti della raccolta differenziata, senza specificare
se tali rifiuti debbano derivare da uso domestico o da attività
commerciali, diversamente, quindi, da quanto dedotto nel
capo di imputazione.
Il ricorrente sosteneva inoltre che il fatto contestato non
comportava alcuna responsabilità penale o, al più, era ricon-
ducibile all’illecito amministrativo di cui all’art. 258, D.Lgs.
n. 152/2006, essendo la società del ricorrente autorizzata
alla messa in riserva dei rifiuti indicati in imputazione. Inoltre,
asseriva che il fatto rientrasse applicare nell’ipotesi di cui
all’art. 256, comma 4, D.Lgs. n. 152/2006.
Il ricorso è stato respinto in quanto inammissibile.
Preliminarmente, la sentenza che si riporta ha individuato la
tipologia del rifiuto di cui al processo classificato con il codice
CER 20 01 40. La Corte ha rilevato che, nel caso di specie, il
codice 20 individuava, quale classe del rifiuto, quella dei
“Rifiuti urbani (rifiuti domestici e assimilabili prodotti da attività
commerciali e industriali nonché dalle istituzioni) inclusi i rifiuti
della raccolta differenziata”, il codice 01 determinava la sotto-
classe in quella delle “frazioni oggetto di raccolta differenziata
(tranne 15 01)” mentre la tipologia specifica del rifiuto indicata
dalle ultime due cifre (40) era quella dei metalli.
Il Collegio ha quindi osservato che per i rifiuti classificati con il
codice 20 01 40 è consentito il recupero ed il D.M. 5 febbraio
1998 considera il codice suddetto in diversi punti dell’Allegato
1 (3.1, 3.2, 3.4, 3.5, 3.6, 3.12, 5.6). Negli allegati al D.M. del
1998 sono definite le norme tecniche generali che, ai fini del
comma 1, individuano i tipi di rifiuti non pericolosi e fissano, per
ciascun tipo di rifiuto e per ogni attività e metodo di recupero
degli stessi, le condizioni specifiche in base alle quali l’eserci-
zio di tali attività è sottoposto alle procedure semplificate.
Il punto 3.1 dell’Allegato 1 individua, relativamente al codice 20
01 40, che qui interessa, i rifiuti della tipologia “rifiuti di ferro,
acciaio e ghisa”, con provenienza “attività industriali, artigia-
nali agricole, commerciali e di servizi; lavorazione di ferro,
ghisa e acciaio, raccolta differenziata; impianti di selezione o
di incenerimento di rifiuti; attività di demolizione” ed aventi le
seguenti caratteristiche: “rifiuti ferrosi, di acciaio, ghisa e loro
leghe anche costituiti da cadute di officina, rottame alla
Ambiente & sviluppo 3/2019

rinfusa, rottame zincato, lamierino, cascami della lavorazione
dell’acciaio, e della ghisa, imballaggi, fusti, latte, vuoti e lattine
di metalli ferrosi e non ferrosi e acciaio anche stagnato; PCB,
PCT < 25 ppb, ed eventualmente contenenti inerti metalli non
ferrosi, plastiche, etc., < 5% in peso, oli < 10% in peso; non
radioattivo ai sensi del decreto legislativo 17 marzo 1995,
n. 230”.
Le operazioni di recupero consentite sono, oltre al recupero
diretto in impianti metallurgici o in industria chimica [R4],
anche la messa in riserva [R13] per la produzione di materia
prima secondaria per l’industria metallurgica mediante sele-
zione, eventuale trattamento a secco o a umido per l’elimina-
zione di materiali e/o sostanze estranee in conformità a
caratteristiche [R4] specificamente indicate. La medesima
disposizione precisa che l’Allegato C alla Parte IV riporta un
elenco non esaustivo di operazioni di recupero, tra le quali può
individuarsi, alla voce R13, la “messa in riserva di rifiuti per
sottoporli a una delle operazioni indicate nei punti da R1 a R12
(escluso il deposito temporaneo, prima della raccolta, nel
luogo in cui sono prodotti)”.
Secondo quanto accertato in fatto dal giudice del merito, nella
scheda riassuntiva dell’attività iscritta al registro provinciale di
cui all’art. 216, la società del ricorrente era abilitata, quanto alla
messa in riserva, soltanto per i rifiuti con codice 20 01 40 di cui
alla tipologia definita dal punto 3.1. del D.M. 5 febbraio 1998,
mentre tale codice non figura tra quelli che identificano, nella
medesima scheda, i rifiuti della tipologia di cui al punto 3.2 del
medesimo Decreto ministeriale.
La sentenza impugnata aggiungeva ancora che l’attività ha
riguardato, indistintamente, non soltanto rifiuti di ferro acciaio
e ghisa riconducibili alla tipologia 3.1 di cui all’Allegato 1 del
D.M. del 1998, ma anche rifiuti di metalli non ferrosi o loro
leghe di cui al punto 3.2 del medesimo allegato. Inoltre, tali
rifiuti, per quantità e numero dei conferimenti, non potevano
ritenersi corrispondenti alla provenienza domestica dichiarata.
Alla luce di tale premessa, la Suprema Corte ha ritenuto
infondato l’assunto contenuto nel ricorso, perché, secondo
tipologia, classificazione e provenienza del rifiuto, come accer-
tata nel giudizio di merito, doveva ritenersi non consentita la
messa in riserva, con la conseguenza che il capo di imputa-
zione non era affatto basato su un errato presupposto.
Passando alle altre censure, secondo la sentenza in rassegna,
la condotta penalmente rilevante era stata correttamente
qualificata. Premesso che la società del ricorrente operava
in regime di procedura semplificata, ai sensi dell’art. 216,
D.Lgs. n. 152/2006, la Corte ha ribadito il principio secondo il
quale lo svolgimento di attività di gestione in forma semplifi-
cata, al di fuori delle condizioni prescritte all’atto della richiesta
iniziale o nella richiesta di rinnovo, fa insorgere il pericolo, che il
legislatore ha voluto prevenire, richiedendo l’assoggetta-
mento dell’attività ad un controllo della Pubblica Amministra-
zione, divenendo conseguentemente illegale ai sensi dell’art.
256, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 152/2006, la prosecuzione in
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Rassegna
Giurisprudenza
difformità dal titolo o dalle condizioni indicate nella richiesta, di
rinnovo o di rilascio iniziale.
Tale circostanza escludeva la possibilità di collocare la condotta
posta in essere nel diverso ambito di uno degli illeciti ammini-
strativi contemplati dall’art. 258, D.Lgs. n. 152/2006, che, peral-
tro, non era neppure specificamente individuato in ricorso.
Parimenti non è stata condivisa la tesi del ricorrente che
ipotizzava la configurabilità della meno grave violazione di cui
all’art. 256, comma 4, D.Lgs. n. 152/2006. Si tratta, come è
noto, di reato autonomo, integrante un’ipotesi attenuata
rispetto alle fattispecie di cui ai primi tre commi dell’art. 256
e non anche di circostanza.
Per la Suprema Corte, la differenza tra le diverse disposizioni
è, peraltro, evidente, in quanto i reati di cui ai primi tre commi
dell’art. 256 riguardano attività svolte in assenza di titolo
abilitativo, mentre la fattispecie attenuata di cui al quarto
comma del medesimo articolo di tale titolo presuppongono
l’esistenza.
Richiamando la giurisprudenza in materia, la Corte ha perciò
sostenuto che le ipotesi di carenza dei requisiti e delle condi-
zioni richiesti per le iscrizioni o comunicazioni rendono proble-
matica la distinzione tra le diverse ipotesi di reato, potendosi
tale situazione risolvere nella sostanziale inesistenza del titolo
abilitante, dal momento che vi deve essere coincidenza tra il
possesso dei requisiti specifici e l’esercizio della corrispon-
dente attività di gestione, con la conseguenza che l’assenza
dei requisiti e/o delle condizioni richiesti per una determinata
attività di gestione dei rifiuti potrebbe comportare l’impossi-
bilità di ricorrere alla procedura semplificata, prospettandosi
così la sussistenza di connotati offensivi identici a quelli deri-
vanti dall’esercizio dell’attività di gestione dei rifiuti senza
autorizzazione.
La Cassazione ha condiviso la decisione impugnata che aveva
evidenziato come la soluzione del problema sia stata indivi-
duata operando una distinzione tra requisiti e condizioni inci-
denti sulla medesima sussistenza del titolo abilitativo e quelli
che, invece, riguardano unicamente le modalità di esercizio
della medesima attività: a titolo esemplificativo, il trasporto di
rifiuti diversi rispetto a quelli per i quali si era chiesta l’iscrizione
nell’albo dei trasportatori, è stato qualificato come illecita
gestione di cui al comma 1 dell’art. 256, mentre il trasporto
di rifiuti con mezzi diversi da quelli comunicati, incidendo solo
sulle modalità di esercizio dell’attività, si è ritenuto configurare
l’ipotesi attenuata.
È stato dunque ribadito che, nell’ipotesi di carenza dei requisiti
e delle condizioni richiesti per le iscrizioni o comunicazioni, il
reato di cui all’art. 256, comma 4, D.Lgs. n. 152/2006 è confi-
gurabile nei soli casi in cui tale carenza sia attinente alle
modalità di esercizio dell’attività, mentre, nella diversa ipotesi
in cui essa si risolva nella sostanziale inesistenza del titolo
abilitativo, si configura una illecita gestione che certamente
sussiste quando oggetto dell’attività sono rifiuti diversi da
quelli indicati nelle comunicazioni ed iscrizioni.
227

Corte di Cassazione civile
a cura di Giulio Spina
BONIFICHE
BONIFICA SPONTANEA, PROPRIETARIO NON RESPONSABILE
DELL’INQUINAMENTO
Cassazione civile, sez. III, 21 gennaio 2019, n. 1573 -
Travaglino (rel.) - omissis s.r.l. (ric. in cass.) c. omissis
s.p.a. (int.)
Inquinamento - Proprietario non responsabile - Bonifica
spontanea - Spese sostenute - Diritto di rivalsa - Sì - Respon-
sabilità solidale col responsabile dell’inquinamento - No
D.Lgs. n. 152/2006, artt. 245 e 253, comma 4
l proprietario non responsabile dell’inquinamento che abbia
spontaneamente provveduto alla bonifica del sito inqui-
nato, ha diritto di rivalersi nei confronti del responsabile
dell’inquinamento per le spese sostenute a condizione che
sia stata rispettata per la bonifica la procedura amministra-
tiva prevista dalla legge ed indipendentemente dall’identi-
ficazione del responsabile dell’inquinamento da parte della
competente autorità amministrativa; non trova applica-
zione la regola della responsabilità solidale di cui all’art.
2055 cod. civ. nel caso dell’obbligazione del responsabile
dell’inquinamento avente ad oggetto il rimborso delle
spese sostenute dal proprietario per la bonifica spontanea
del sito inquinato poiché trattasi di obbligazione ex lege, di
contenuto non risarcitorio ma indennitario, derivante non
da fatto illecito ma dal fatto obiettivo dell’inquinamento.
Una Società agì in giudizio esponendo di aver acquistato un
complesso immobiliare (terreni e edifici) e, riscontrato l’inqui-
namento del sottosuolo, di aver provveduto alla bonifica spon-
taneamente a seguito dell’approvazione del progetto di
bonifica. Chiese pertanto la rifusione dei costi sostenuti per
la detta bonifica (ai sensi del D.Lgs. n. 152/2006, art. 253,
comma 4, ed in subordine ai sensi dell’art. 2043 cod. civ.), oltre
il risarcimento degli ulteriori danni subiti.
All’esito del giudizio di merito, la Corte d’Appello osservò, tra
l’altro, che:
– il provvedimento avente ad oggetto l’approvazione del pro-
getto di bonifica, in quanto non impugnato, faceva stato nel
giudizio;
– in base al combinato disposto del D.Lgs. n. 152/2006, art.
245 e art. 253, comma 4, l’esercizio del diritto di rivalsa del
proprietario, per avere spontaneamente eseguito la bonifica,
non era subordinato all’avvio del procedimento di identifica-
zione del responsabile dell’inquinamento, ben potendo il
responsabile essere accertato giudizialmente;
– vi era la prova che la Società convenuta aveva contaminato il
sito;
– non trovando applicazione il principio di solidarietà di cui
all’art. 2055 cod. civ. in materia di inquinamento;
– l’apporto causale della convenuta all’inquinamento doveva
essere determinato nella misura di due terzi (mentre il terzo
residuo era imputabile ad una terza Società).
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Rassegna
Giurisprudenza
La Cassazione rigetta il ricorso avverso detta pronuncia, osser-
vando quanto segue.
Secondo la disciplina prevista dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152
(c.d. Codice dell’ambiente) il proprietario del sito non respon-
sabile dell’inquinamento ha facoltà, e non l’obbligo, di interve-
nire in tema di bonifica e ripristino ambientale dei siti
contaminati (cfr. CDS, ad. plen. 25 settembre 2013, n. 21;
sez. 6, 5 ottobre 2016, n. 4099); ciò a differenza del responsa-
bile dell’inquinamento, oppure dalla competente pubblica
amministrazione, nel caso in cui il responsabile non sia indivi-
duabile o non provveda e non provveda il proprietario del sito
né altro soggetto interessato (artt. 239 ss.).
In particolare - posto che questi, se rileva il superamento o il
pericolo concreto e attuale del superamento della concentra-
zione soglia di contaminazione (CSC) deve darne comunica-
zione alla regione, alla provincia ed al comune territorialmente
competenti e attuare le misure di prevenzione (art. 245,
comma 2) - va precisato che:
– gli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino
ambientale seguono le procedure previste dalla legge,
dovendo il progetto di bonifica essere assentito dalla compe-
tente autorità amministrativa all’esito di un’articolata
procedura;
– il positivo assolvimento della detta procedura costituisce
anche il presupposto di legittimità dell’esercizio del diritto di
rivalsa del proprietario del sito nei confronti del soggetto
responsabile dell’inquinamento per le spese sostenute nel
caso che egli abbia spontaneamente provveduto alla bonifica
del sito inquinato (art. 253, comma 4);
– è quindi riconosciuta al proprietario o ad altro soggetto
interessato la facoltà di intervenire in qualunque momento
volontariamente per la realizzazione degli interventi di bonifica
necessari nell’ambito del sito in proprietà o disponibilità
(art. 245, comma 2);
– l’inciso “in qualunque momento” chiarisce che, fermo l’ob-
bligo di comunicazione all’autorità amministrativa non appena
rilevi il superamento o il pericolo del superamento della con-
centrazione soglia di contaminazione, il proprietario non deve
attendere l’identificazione del soggetto responsabile da parte
della competente amministrazione ma può “in qualunque
momento” procedere agli interventi di bonifica ed esercitare
successivamente il diritto di rivalsa;
– condizione, necessaria e sufficiente, di legittimità, sia della
condotta sul piano amministrativo che dell’esercizio del diritto
sul piano privatistico, è dunque la sottoposizione dell’inter-
vento del proprietario alla procedura prevista dalla legge.
In definitiva, sul punto:
1. va confermato una volta che la bonifica sia stata eseguita dal
proprietario a proprie spese in base alle forme previste dalla
legge può essere promossa l’azione per la rivalsa, indipenden-
temente dalla circostanza se l’amministrazione abbia identifi-
cato o meno il responsabile dell’inquinamento;
2. va precisato che rientra nella cognizione dell’autorità giudi-
ziaria ordinaria l’accertamento della qualità di responsabile
dell’inquinamento, oltre che della congruità dell’importo per
il quale sia esercitata la rivalsa.
Quanto al primo punto, va quindi ribadito che elemento costi-
tutivo della fattispecie della rivalsa, fissato dalla pubblica
229
Rassegna
Giurisprudenza
amministrazione, è quindi solo quello dell’intervento di boni-
fica nelle forme assentite dalla competente autorità.
Quanto al secondo punto, la pronuncia in commento spiega
che soggetto passivo dell’obbligazione prevista dalla legge è il
“responsabile dell’inquinamento”.
Trattasi di qualifica che non attiene al giudizio di valore della
condotta sotto il profilo soggettivo del requisito psicologico
(dolo o colpa), ma al giudizio eziologico relativo al profilo
oggettivo dell’avere meramente dato causa all’inquinamento.
In particolare:
– il ripristino ambientale è eseguito sulla base dell’evento di
inquinamento;
– la ripetizione delle spese, pertanto, viene esercitata sul
presupposto del mero evento, senza connotazioni soggettive
di valore quanto alla condotta del responsabile;
– trattasi, quindi, di responsabilità per pura causalità non
riconducibile neanche alla responsabilità civile di tipo ogget-
tivo (la quale contempla pur sempre una forma di imputazione
soggettiva dell’evento dannoso di natura “posizionale”,
dipendente cioè dalla particolare collocazione del soggetto
reso responsabile rispetto alla causa del danno, tale da ren-
derlo come il soggetto che meglio di chiunque altro può
prevenire tale pregiudizio: ne è un esempio, proprio nel
D.Lgs. n. 152 del 2006, la responsabilità per danno ambien-
tale prevista dall’art. 311, comma 2, in relazione al tipo di
attività svolta dall’operatore);
– la responsabilità dell’inquinamento non corrisponde quindi a
responsabilità per danno ma a responsabilità dell’evento, cui la
legge collega un complesso di effetti giuridici.
Alla luce di tale percorso argomentativo, la Suprema Corte
afferma che la ripetizione delle spese in questione (diritto di
rivalersi nei confronti del responsabile dell’inquinamento per
le spese sostenute e per l’eventuale maggior danno subito da
parte del proprietario non responsabile) è conseguenza così di
un’obbligazione di fonte legislativa i cui presupposti di fatto,
per ciò che concerne il proprietario del sito, sono:
– l’esecuzione della bonifica nel rispetto delle procedure ope-
rative e amministrative;
– la spontaneità o volontarietà dell’intervento di bonifica.
Trattasi - prosegue la Cassazione - di obbligazione ex lege, di
contenuto indennitario e non risarcitorio (soggetta quindi
all’ordinario termine di prescrizione decennale ed alle regole
dell’onere probatorio in materia di obbligazioni non derivanti da
fatto illecito): va quindi escluso che la rivalsa possa acquistare il
contenuto della reintegrazione di una perdita patrimoniale
determinata da un illecito.
Da ciò consegue che non vige la responsabilità solidale (con il
responsabile dell’inquinamento) perché la norma contempla
un’obbligazione di carattere non risarcitorio, derivante per-
tanto non da fatto illecito, ma - come esposto - da un altro
fatto idoneo a produrla secondo l’ordinamento giuridico
(cfr. art. 1173 cod. civ.).
ACQUE
SOSTANZE TOSSICHE: RISARCIMENTO DANNI
Cassazione civile, SS.UU., 19 dicembre 2018, n. 32780 -
Mammone (Primo Pres.) - omissis (ric. in cass.) c. Regione
Lazio e T. s.p.a. (controric.) e Autorità d’ambito omis-
sis (int.)
230
Fornitura di acqua in violazione dei limiti ai contenuti di
sostanze tossiche - Azione contro il gestore del servizio
idrico integrato - Risarcimento del danno - Giurisdizione del
giudice ordinario
Art. 133, D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104; art. 9, Direttiva Cee 3
novembre 1998, n. 83; D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 31, art. 13
In ipotesi di azione risarcitoria proposta nei confronti del
gestore del servizio idrico integrato, sussiste la giurisdi-
zione del giudice ordinario se si controverte soltanto del
risarcimento del danno cagionato all’utente dalla forni-
tura di acqua in violazione dei limiti ai contenuti di
sostanze tossiche imposti da disposizioni anche di
rango Eurounitario, ovvero del diritto alla riduzione del
corrispettivo della fornitura stessa per i vizi del bene
somministrato.
Relativamente all’asserita fornitura di acqua potabile da parte
del gestore del servizio idrico integrato priva dei requisiti di
legge (nella specie, relativamente alla presenza di arsenico e
fluoruri), veniva - per quanto qui rileva - proposte domanda di
condanna al risarcimento dei danni del gestore unico del
servizio idrico fondata sull’inadempimento contrattuale consi-
stente nella detta fornitura di acqua potabile priva dei requisiti
di legge, unitamente alla domanda di declaratoria di spettanza
del canone in misura dimezzata per tutto il periodo di tale
fornitura.
Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione si occu-
pano quindi della questione relativa all’identificazione della
giurisdizione (amministrativa o ordinaria) relativamente alla
detta controversia, pronunciandosi per la giurisdizione del
giudice ordinario.
I giudici di legittimità ricordano innanzitutto che (cfr. Cass.,
SS.UU. 21 marzo 2013, n. 7043):
– la giurisdizione appartiene al giudice amministrativo in
ipotesi di azione risarcitoria proposta nei confronti dell’ente
gestore del servizio energetico e/o proprietario della rete, se il
danno lamentato dall’utente è il riflesso dell’organizzazione
del servizio stesso (ai sensi del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104,
art. 133, comma 1, lett. “c” ed “o”);
– sussiste la giurisdizione del giudice ordinario se non si
controverte dell’esercizio o del mancato esercizio del potere
amministrativo o, comunque, di comportamenti anche media-
tamente riconducibili all’esercizio di tale potere, posti in essere
da pubbliche amministrazioni o da soggetti ad essi equiparati,
e l’utente proponga l’azione risarcitoria con riferimento ai
danni derivanti dal cattivo funzionamento dell’erogazione e
chieda la condanna del convenuto a provvedere alla soluzione
tecnica dell’inconveniente.
Ciò posto, la pronuncia in commento osserva che nella specie:
– l’erogazione di acqua non conforme ai livelli minimi di pota-
bilità o di qualità è prospettata come un inadempimento con-
trattuale del rapporto di utenza;
– in quanto tale, la serie di condotte della p.a. a tutela degli
interessi pubblici coinvolti integra solo il presupposto o la
causa mediata dell’evento lesivo;
– l’evento lesivo, invece, consiste nella fornitura in violazione
di obblighi che trovano la loro fonte nel contratto di utenza e,
comunque, nella disciplina, anche di rango Eurounitario o
immediatamente da questa derivata, in materia (art. 9 della
Direttiva del Consiglio Cee 3 novembre 1998, n. 83; D.Lgs. 2
febbraio 2001, n. 31, art. 13);
Ambiente & sviluppo 3/2019

– ne consegue che è il singolo rapporto di utenza a venire in
considerazione e, con esso, il diritto del singolo utente a
vedersi risarcito il danno arrecatogli dal contrattuale inadem-
pimento della controparte immediata (cioè il gestore unico del
servizio idrico integrato e fornitore del bene acqua) come pure
a vedersi ridotto il corrispettivo dell’acqua fornita, siccome
priva delle qualità pattuite (cioè la conformità alle disposizioni
di legge e regolamentari in materia di limiti massimi di arsenico
e/o fluoruri).
La Cassazione spiega quindi che, nonostante il carattere emer-
genziale della situazione venutasi a creare nei contesti territo-
riali per cui è causa ed il complesso sistema di riparti di
competenze e di funzioni ai fini dell’erogazione dell’acqua
potabile, rientra pur sempre nelle ordinarie obbligazioni del-
l’ente gestore del servizio idrico integrato e, comunque, di
quello che in concreto eroga, in virtù di rapporti privatistici
ordinari di utenza individuale, l’acqua ai privati con l’obbligo di
somministrarla in condizioni tali da renderla conforme alle
prescrizioni, di vario rango normativo, sui suoi contenuti mas-
simi consentiti di sostanze tossiche.
Alla luce di tali considerazioni, la Suprema Corte dichiara la
giurisdizione del giudice ordinario, accogliendo quindi il ricorso
proposto, sulla base del seguente principio di diritto: “in ipo-
tesi di azione risarcitoria proposta nei confronti del gestore del
servizio idrico integrato, sussiste la giurisdizione del giudice
ordinario se si controverte soltanto del risarcimento del danno
cagionato all’utente dalla fornitura di acqua in violazione dei
limiti ai contenuti di sostanze tossiche - nella specie, come
l’arsenico ed i fluoruri - imposti da disposizioni anche di rango
Eurounitario, ovvero del diritto alla riduzione del corrispettivo
della fornitura stessa per i vizi del bene somministrato: infatti,
l’attività di programmazione o di organizzazione del servizio
complessivo di fornitura di acqua posta in essere dalla pubblica
amministrazione incaricata della gestione di quello costituisce
soltanto il presupposto dell’erogazione di acqua non conforme
e, quindi, del non esatto adempimento delle obbligazioni in
capo al gestore in forza del rapporto individuale di utenza”.
SOTTRAZIONE DI ACQUE DAI FIUMI
Cassazione civile, SS.UU., 25 maggio 2018, n. 13195 -
Rordorf (Pres.) - Consorzi di bonifica omissis (ric. in
cass.) C. s.r.l. (controric.)
Sottrazione di acqua a monte di una centrale idroelettrica -
Presunzione semplice di danno - Prova idonea a vincere
detta presunzione - Necessità
Artt. 2043, 2056,1223,1226, 2697 e 2909 cod. civ.
La sottrazione di acqua a monte di una centrale idroelet-
trica comporta una diminuzione di quella che arriva a valle
per l’alimentazione degli impianti, sì da integrare una
presunzione semplice di danno. Qualora non si fornisca
in giudizio idonea prova a vincere la detta presunzione, i
danni da perdita di introiti, con riferimento al quantum
risarcibile, non possono tenere in considerazione la stima
del coefficiente di ritorno in alveo delle acque e vanno
calcolati in base alla portata utilizzata dall’impianto idro-
elettrico e al mancato valore dell’energia non prodotta.
Un Consorzio di bonifica veniva condannato dal Tribunale
Superiore per le Acque Pubbliche al risarcimento dei danni
cagionati in conseguenza dell’illecita sottensione di acqua dai
fiumi per alcune Centrali idroelettriche dalla stessa gestite.
Ambiente & sviluppo 3/2019
Rassegna
Giurisprudenza
Il Consorzio si rivolgeva di conseguenza alla Cassazione
denunciando, per quanto qui rileva, il quantum del risarci-
mento. In particolare, denunciava alla Suprema Corte che, in
realtà, i prelievi consortili avevano inciso solo nella misura del
70% rispetto al totale prelevato, dovendosi tener conto del
coefficiente di ritorno in alveo (per restituzioni - stante la
relazione del CTU - presumibilmente pari al 30%).
La Cassazione rigetta il ricorso affermando che il giudice del
merito è correttamente pervenuto a concludere che:
– il Consorzio deve interamente risarcire la Società attrice;
– essendo possibile, da quanto prodotto in giudizio, risalire alle
portate utilizzate da un impianto idroelettrico, come dal consumo
di energia degli impianti di sollevamento è possibile determinare
l’acqua prelevata, il danno è pari al mancato valore dell’energia
non prodotta dalla detta Società, calcolabile secondo in prezzi
dell’energia elettrica prodotta con fonti rinnovabili.
Ciò sulla base del seguente percorso argomentativo:
– va innanzitutto confermato il principio secondo cui la sottra-
zione di acqua a monte di una centrale idroelettrica comporta
una diminuzione di quella che arriva a valle per l’alimentazione
degli impianti, sì da integrare una presunzione semplice di
danno (cfr. Cass., SS.UU., n. 6073/2013);
– la necessità della prova idonea a vincere la suindicata pre-
sunzione di danno è nel caso da riferirsi non solo all’an ma
anche al quantum del danno;
– il Consorzio non ha fornito in giudizio prova idonea a vincere
la detta presunzione, non avendo lo stesso provato, in parti-
colare, ove sono ubicati i terreni irrigui;
– ne consegue l’esclusione della possibilità di determinare in
giudizio se la restituzione delle acque dei fiumi interessati da
parte del Consorzio avvenne a monte o a valle delle centrali in
questione;
– ne discende ulteriormente l’impossibilità di potersi fare
applicazione, con la finalità di decurtare i danni per perdita di
introiti, del coefficiente di ritorno in alveo ipotizzato dal C.T.U.
nella misura del 30%;
– ne discende la correttezza della pronuncia di condanna
impugnata.
RIFIUTI
TARSU ESCLUSIONE O RIDUZIONE
Cassazione civile, sez. trib., 2 marzo 2018, n. 4961 - Chin-
demi (Pres.) - Comune di Catania (ric. in cass.) c. omis-
sis (int.)
Smaltimento dei rifiuti ordinari solidi urbani - Riduzione della
superficie tassabile o esenzione - Indicazione delle obiet-
tive condizioni di inutilizzabilità - Onere del contribuente
D.Lgs. n. 507/1993, ex art. 62
In tema di smaltimento dei rifiuti ordinari solidi urbani, va
confermato che, costituendo il diritto ad ottenere una
riduzione della superficie tassabile o l’esenzione, un’ec-
cezione alla regola generale del pagamento del tributo da
parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili
nelle zone del territorio comunale, è onere del contri-
buente indicare (nella denuncia originaria o di variazione)
le obiettive condizioni di inutilizzabilità (impossibilità dei
locali o delle aree a produrre rifiuti per loro natura o per il
particolare uso).
231
Rassegna
Giurisprudenza
Con la pronuncia in commento la Suprema Corte torna ad
occuparsi dell’impugnazione degli avvisi di accertamento
comunali per il pagamento della TARSU.
Con ricorso proposto alla competente Commissione Tributaria
Provinciale, un contribuente si opponeva ad un avviso di
accertamento TARSU deducendo l’inidoneità degli immobili
interessati a produrre rifiuti.
La Commissione Tributaria Provinciale rigettava il ricorso,
detta pronuncia veniva impugnata dal contribuente dinanzi
alla Commissione Tributaria Regionale, che accoglieva
l’appello.
Avvero detta pronuncia, il Comune ricorreva per cassazione
deducendo, per quanto qui rileva, con riferimento alla disci-
plina TARSU di cui al D.Lgs. n. 507/1993, artt. 62 e 63 e artt.
71, che:
– sussiste una presunzione iuris tantum di produttività dei
rifiuti;
– detta presunzione è superabile solo con la prova contraria del
detentore dell’area, qualora dette circostanze escludenti siano
state dedotte nella denuncia originaria o di variazione;
– nella specie, il contribuente non si era attivato in tal senso.
La Suprema Corte accoglie il ricorso del comune e, decidendo
nel merito, rigetta l’originario ricorso proposto dal contri-
buente avverso un’ingiunzione TARSU.
La Cassazione ricorda innanzitutto che, alla luce del disposto di
cui all’art. 62 cit.:
– il presupposto della tassa di smaltimento dei rifiuti ordinari
solidi urbani è l’occupazione o la detenzione di locali ed aree
scoperte a qualsiasi uso adibiti;
– l’esenzione dalla tassazione di una parte delle aree utilizzate
perché ivi si producono rifiuti speciali (come pure l’esclusione
di parti di aree perché inidonee alla produzione di rifiuti) sono
subordinate all’adeguata delimitazione di tali spazi ed alla
presentazione di documentazione idonea a dimostrare le con-
dizioni dell’esclusione o dell’esenzione;
– il relativo onere della prova incombe al contribuente.
Pertanto, è posta a carico dei possessori di immobili una
presunzione legale relativa di produzione di rifiuti. Ne conse-
gue che (Cass. n. 1135/2012; n. 16858/2014; n. 9731/2015;
n. 1722/2016; n. 8581/2017):
– l’impossibilità dei locali o delle aree a produrre rifiuti per loro
natura o per il particolare uso, prevista dall’art. 62, comma 2,
232
non può essere ritenuta in modo presunto dal giudice
tributario;
– è onere del contribuente indicare nella denuncia originaria o
di variazione le obiettive condizioni di inutilizzabilità, le quali
devono essere debitamente riscontrate in base ad elementi
obiettivi direttamente rilevabili o a idonea documentazione.
Difatti il contribuente è tenuto, in base all’art. 70 del medesimo
Decreto, a presentare al comune, entro il 20 gennaio dell’anno
successivo all’inizio dell’occupazione dei locali e delle aree
scoperte tassabili, denuncia unica con l’indicazione dei dati
prescritti, avente effetto anche per gli anni successivi, qualora
le condizioni dì tassabilità siano rimaste invariate”, dovendo, in
caso contrario, denunciare, nelle medesime forme, ogni varia-
zione rilevante (Cass. n. 775/2011; Cass. n. 3772/2013; Cass.
n. 16858/2014; Cass. n. 14469/2014).
In conclusione, la Cassazione conferma che il principio
secondo il quale è l’Amministrazione a dover fornire la prova
della fonte dell’obbligazione tributaria o non può operare con
riferimento al diritto ad ottenere una riduzione della superficie
tassabile, costituendo l’esenzione, anche parziale, un’ecce-
zione alla regola generale del pagamento del tributo da parte di
tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del
territorio comunale (Cass. nn. 17703/2004, 13086/2006,
17599/2009, 775/2011).
Ciò premesso, con riferimento al caso di specie, la Cassazione
osserva che:
– le autorimesse scoperte esterne costituiscono pertinenza
dell’abitazione e, quindi, sono automaticamente escluse dal
tributo (anche dalla TARI, a mente della Legge n. 147/2013, art.
1, comma 641);
– ai garage siti all’interno di locali è applicabile la tassa sui rifiuti,
siano essi autonomamente accatastati come unità immobiliari
o siano essi semplici posti auto assegnati in via esclusiva ad un
occupante dell’immobile (cfr. Cass., n. 11351 del 6 luglio 2012
in relazione al disposto di cui al D.Lgs. 15 novembre 1993,
n. 507, art. 65, comma 1, come sostituito dalla Legge 28
dicembre 1995, n. 549, art. 3, comma 68, il quale stabilendo
che la tassa può essere commisurata a determinati parametri -
quantità e qualità dei rifiuti prodotti, costi di smaltimento,
teorici o effettivi a seconda della popolazione comunale -
consente di conformare la tariffa anche ad altri parametri,
reperibili entro i limiti della logica e dell’equità contributiva).
Ambiente & sviluppo 3/2019

Scadenzario e Memoranda
a cura di Alberto Muratori
ADEMPIMENTI IN SCADENZA: MARZO 2019
1° MARZO 2019
Soggetti
Soggetti che “immettono sul mercato” le pitture, le ver-
nici e i prodotti per carrozzeria elencati nell’Allegato I al
D.Lgs. n. 161/2006
Adempimento
Invio al Ministero dell’Ambiente - tramite le Camere di Com-
mercio industria e agricoltura territorialmente competenti,
ovvero esclusivamente tramite la Stazione Sperimentale per
le industrie degli oli e dei grassi, nel caso dei soggetti tenuti al
versamento dei contributi di cui all’art. 8, comma 1, lett. b),
D.Lgs., 29 ottobre 1999, n. 540 - della comunicazione annuale,
relativa all’anno solare 2018, dei dati e delle informazioni
riportati all’Allegato III-bis, punto 2, D.Lgs. n. 161/2006,
come modificato dal D.Lgs. n. 33/2008, ovvero:
- lo status di produttore, importatore o altro soggetto apparte-
nente alla filiera di distribuzione che ha immesso sul mercato i
prodotti elencati nell’Allegato I, D.Lgs. n. 161/2006 medesimo;
- i quantitativi di prodotti elencati nell’Allegato I immessi sul
mercato, distinguendo quelli rispettivamente immessi sul
mercato come produttore, importatore e altro soggetto.
Riferimenti
- D.Lgs. 27 marzo 2006, n. 161, art. 5 (come sostituito dal
D.Lgs. 14 febbraio 2008, n. 33);
- D.Lgs. 27 marzo 2006, n. 161, Allegati I e III-bis.
N.B. Per “Soggetti che immettono sul mercato i prodotti di cui
all’Allegato I al D.Lgs. n. 161/2006” devono intendersi i pro-
duttori, gli importatori, e tutti i titolari delle attività appartenenti
alla filiera della distribuzione, fino ai rivenditori al dettaglio, dei
prodotti in questione.
Soggetti
Soggetti preposti ai controlli dell’ottemperanza ai requi-
siti prescritti per le pitture, le vernici e i prodotti per
carrozzeria elencati nell’Allegato I, D.Lgs. n. 161/2006
(compresa la Stazione Sperimentale per le industrie
degli oli e dei grassi, nei casi previsti)
Adempimento
Invio al Ministero dell’Ambiente della comunicazione annuale,
relativa all’anno solare 2018, dei dati e delle informazioni
riportati all’Allegato III-bis, punto 1, D.Lgs. n. 161/2006,
come modificato dal D.Lgs. n. 33/2008, ovvero:
1. Il numero dei controlli, indicando, per ciascun controllo:
- il destinatario dell’attività di controllo (produttore, importatore
o altri soggetti);
- il tipo di attività (sopralluogo, campionamento e analisi, veri-
fica delle giacenze e dei dati sulle vendite, controllo dell’eti-
chettatura, ecc.).
2. La distribuzione dei controlli rispetto ai mesi dell’anno ed alle
singole regioni.
3. I casi, espressi come percentuale sulla somma dei controlli,
di accertata violazione dei valori limite previsti dall’art. 3, in
Ambiente & sviluppo 3/2019
Agenda
Scadenzario e Memoranda
riferimento a ciascun prodotto di cui all’Allegato I, indicando
inoltre, per ciascun prodotto, il quantitativo complessivo risul-
tato non conforme.
4. I casi, espressi come percentuale sulla somma dei controlli,
di accertata violazione degli obblighi di etichettatura di cui
all’art. 4, indicando se vi sia stata contestuale violazione dei
valori limite di cui all’art. 3.
5. Il costo complessivo stimato dei controlli ed il numero e la
qualifica dei soggetti impiegati nell’attività di controllo.
Riferimenti
- D.Lgs. 27 marzo 2006, n. 161, art. 5 (come sostituito dal
D.Lgs. 14 febbraio 2008, n. 33);
- D.Lgs. 27 marzo 2006, n. 161, Allegati I e III-bis.
Soggetti
Regioni
Adempimento
Invio al Ministero della Salute con cadenza annuale delle
informazioni di cui all’art. 4, comma 1, lett. a), b), c), e) ed f),
D.Lgs. n. 116/2008, sulla gestione e valutazione delle acque di
balneazione, ovvero:
a) individuazione delle acque di balneazione e dei punti di
monitoraggio;
b) aggiornamento del profilo delle acque di balneazione,
secondo le indicazioni fornite nell’Allegato III;
c) istituzione di un programma di monitoraggio prima dell’inizio
di ogni stagione balneare;
e) l’eventualmente intervenuto esercizio della facoltà di
ampliare o ridurre la stagione balneare;
f) eventuale aggiornamento dell’elenco delle acque di
balneazione.
Riferimenti
- D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116, art. 4, comma 2.
N.B. Le informazioni di cui alle lett. a) e c) devono essere
trasmesse, entro la medesima data, anche al Ministero del-
l’Ambiente, già destinatario dell’informativa prevista dall’art.
83, comma 2, D.Lgs. n. 152/2006.
Soggetti
Gestori di medi impianti di combustione esistenti e
nuovi, autorizzati ad usufruire dell’esenzione dal
rispetto dei valori limite di emissione di cui all’Alle-
gato I, Parte Quinta, D.Lgs. n. 152/2006, cui avrebbero
dovuto allinearsi successivamente, a fronte dell’impe-
gno all’esercizio dell’impianto con “orario ridotto”,
cioè non superiore a 500 ore operative annue come
media mobile su tre anni
Adempimento
Presentazione all’Autorità competente della registrazione
delle ore operative utilizzate nell’anno precedente, ai fini del
calcolo della media mobile.
Riferimenti
- D.Lgs. n. 152/2006, come modificato dal D.Lgs. n. 183/2017,
art. 273-bis, commi 15 e 16.
233
Agenda
Scadenzario e Memoranda
Soggetti
Gestori di medi impianti di combustione con potenza
termica nominale > 5 MW esistenti e nuovi, autorizzati a
posticipare la data dell’allineamento ai valori limite di
emissione di cui all’Allegato I, Parte Quinta, D.Lgs.
n. 152/2006, a fronte dell’impegno a fornire almeno il
50% del calore prodotto, calcolato come media mobile
su cinque anni, a una rete pubblica di teleriscaldamento,
sotto forma di calore o acqua calda
Adempimento
Presentazione all’Autorità competente di un documento atte-
stante la percentuale di produzione di calore utile dell’im-
pianto, destinata a tale fornitura nell’anno precedente, ai fini
del calcolo della media mobile.
Riferimenti
- D.Lgs. n.152/2006, come modificato dal D.Lgs. n. 183/2017,
art. 273-bis, comma 17.
20 MARZO 2019
Soggetti
Produttori, importatori e utilizzatori di imballaggi iscritti
al CONAI tenuti alla dichiarazione mensile
Adempimento
Presentazione al CONAI, in forma telematica, della dichiara-
zione mensile relativa ai quantitativi d’imballaggi gestiti assog-
gettati al contributo ambientale, e all’entità del contributo
ambientale conseguentemente da versare, relativamente al
mese di febbraio 2019.
Riferimenti
- D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, artt. 221, 223 e 224;
- Guida CONAI 2019.
30 MARZO 2019
Soggetti
Produttori e importatori di sostanze controllate diverse
dagli HCFC titolari di licenze [di produzione o importa-
zione] per usi essenziali di laboratorio o a fini di analisi
Adempimento
Invio alla Commissione europea - ed, in copia, al Ministero
dell’Ambiente - di comunicazione annuale, per ogni sostanza
controllata per la quale abbia ottenuto l’autorizzazione, relativa
al tipo di uso, alle quantità utilizzate l’anno precedente (2018), a
quelle detenute in stock, a quelle riciclate o distrutte e alle
quantità dei prodotti ed apparecchiature contenenti tali
sostanze o da esse dipendenti, immesse sul mercato comu-
nitario e/o esportate, secondo le indicazioni dell’art. 27, par 3,
Regolamento (Ce) n. 1005/2009.
Riferimenti
- Regolamento Ce n. 1005/2009 del 16 settembre 2009, art.
27, par. 7.
31 MARZO 2019 (La scadenza di tutti gli adempi-
menti di seguito elencati slitta a lunedì, 1°aprile)
Soggetti
Produttori di sostanze controllate e “nuove” di cui agli
Allegati I e II, Regolamento Ce n. 1005/2009 sulle sostanze
che riducono lo strato di ozono
234
Adempimento
Invio alla Commissione europea - e, in copia, al Ministero
dell’Ambiente - di comunicazione annuale, riferita al 2018,
relativa ai seguenti dati:
a) la produzione totale di ciascuna sostanza di cui agli
Allegati I e II;
b) per ciascuna sostanza, la produzione immessa sul mercato
o usata dal produttore per proprio conto nella Comunità,
distinguendo la produzione usata come materia prima, come
agente di fabbricazione e per altri usi;
c) per ciascuna sostanza, la produzione per soddisfare usi
essenziali di laboratorio e a fini di analisi nella Comunità, per
la quale è stata ottenuta licenza ai sensi dell’art. 10, par. 6 del
cit. Regolamento n. 2009/1005/Ce;
d) per ciascuna sostanza, la produzione autorizzata ai sensi
dell’art. 10, par. 8 del medesimo Regolamento, per soddisfare
usi essenziali di laboratorio e a fini di analisi delle Parti;
e) per ciascuna sostanza, l’aumento della produzione auto-
rizzata ai sensi dell’art. 14, parr. 2, 3 e 4 del medesimo Rego-
lamento, per ragioni di razionalizzazione industriale;
f) per ciascuna sostanza, le quantità riciclate, rigenerate o
distrutte e la tecnologia impiegata per la distruzione, compresi
i quantitativi prodotti e distrutti di sottoprodotti di cui all’art. 3,
punto 14 del medesimo Regolamento;
g) per ciascuna sostanza, gli stock;
h) per ciascuna sostanza, le operazioni di acquisto e di vendita
ad altri produttori della Comunità.
Riferimenti
- Regolamento Ce n. 1005/2010 del 16 settembre 2009, art.
27, par. 2.
Soggetti
Importatori di sostanze controllate e “nuove” di cui agli
Allegati I e II, Regolamento Ce n. 1005/2009 sulle sostanze
che riducono lo strato di ozono
Adempimento
Invio alla Commissione europea - e, in copia, al Ministero
dell’Ambiente - di comunicazione annuale, riferita al 2018,
relativa, per ciascuna sostanza, ai seguenti dati:
a) le quantità immesse in libera pratica nella Comunità, distin-
guendo le importazioni per uso come materia prima e come
agente di fabbricazione, quelle per usi essenziali di laboratorio
e a fini di analisi per i quali è stata ottenuta licenza ex art. 10, par.
6, quelle per applicazioni di quarantena o per trattamento
anteriore al trasporto e quelle destinate alla distruzione;
b) le quantità importate in base ad altri regimi doganali, con
indicazione separata del pertinente regime doganale e degli
usi designati;
c) le quantità di sostanze controllate e nuove usate, importate
per essere riciclate o rigenerate;
d) gli stock;
e) ogni operazione di acquisto e di vendita ad altre imprese
della Comunità;
f) il Paese esportatore.
Riferimenti
- Regolamento Ce n. 1005/2010 del 16 settembre 2009, art.
27, par. 3.
N.B. Gli importatori che hanno importato le sostanze control-
late a fini di distruzione sono tenuti a comunicare anche la
destinazione o le destinazioni finali effettive per ciascuna delle
sostanze in questione, indicando separatamente per ciascuna
Ambiente & sviluppo 3/2019

destinazione la quantità di ciascuna sostanza e il nome e
l’indirizzo dell’impianto di distruzione cui la sostanza è stata
consegnata.
Soggetti
Esportatori di sostanze controllate e “nuove” di cui agli
Allegati I e II, Regolamento Ce n. 1005/2009 sulle sostanze
che riducono lo strato di ozono
Adempimento
Invio alla Commissione europea - e, in copia, al Ministero
dell’Ambiente - di comunicazione annuale, riferita al 2018,
relativa, per ciascuna sostanza, ai seguenti dati:
a) le quantità di tali sostanze esportate, distinguendo, per
ciascun Paese di destinazione, i quantitativi di ogni sostanza
esportati per essere utilizzati come materia prima, come
agente di fabbricazione, per usi essenziali di laboratorio e a
fini di analisi, per usi critici e per applicazioni di quarantena o per
trattamento anteriore al trasporto;
b) gli stock;
c) ogni operazione di acquisto e di vendita ad altre imprese
della Comunità;
d) il Paese di destinazione.
Riferimenti
- Regolamento Ce n. 1005/2009 del 16 settembre 2009, art.
27, par. 4.
Soggetti
Imprese non produttrici che distruggono sostanze con-
trollate di cui all’Allegato I, Regolamento Ce n. 1005/2009
sulle sostanze che riducono lo strato di ozono
Adempimento
Invio alla Commissione europea - e, in copia, al Ministero
dell’Ambiente - di comunicazione annuale, riferita al 2018,
relativa, per ciascuna sostanza, ai seguenti dati:
a) le quantità di sostanze distrutte, comprese le quantità
contenute in prodotti o apparecchiature;
b) gli stock di sostanze in attesa di essere distrutte, comprese
le quantità contenute in prodotti o apparecchiature;
c) la tecnologia impiegata per la distruzione.
Riferimenti
- Regolamento Ce n. 1005/2010 del 16 settembre 2009, art.
27, par. 5.
Soggetti
Imprese che utilizzano sostanze controllate come materia
prima o come agente di fabbricazione
Adempimento
Invio alla Commissione europea - e, in copia, al Ministero
dell’Ambiente - di comunicazione annuale, riferita al 2018,
relativa, per ciascuna sostanza, ai seguenti dati:
a) le quantità di tali sostanze usate come materia prima o
agente di fabbricazione;
b) gli stock di tali sostanze;
c) i conseguenti processi ed emissioni.
Riferimenti
- Regolamento Ce n. 1005/2009 del 16 settembre 2009, art.
27, par. 6.
Soggetti
Detentori di apparecchiature di refrigerazione di condizio-
namento d’aria o pompe di calore o sistemi di protezione
Ambiente & sviluppo 3/2019
Agenda
Scadenzario e Memoranda
antincendio con una carica di fluido pari o superiore a 300 kg
di sostanze controllate
Adempimento
Esecuzione dei controlli obbligatori trimestrali per l’accerta-
mento di eventuali perdite nel circuito di refrigerazione.
La data sopra riportata rappresenta un termine ultimo, fermo
restando l’obbligo del rispetto della cadenza trimestrale tra un
controllo e l’altro.
Riferimenti
- Regolamento Ce n. 1005/2010 del 16 settembre 2009, art.
23, par. 2, lett. c).
N.B. Con la messa in applicazione del Regolamento n. 2010/
1005/Ce (e perciò fin dal 1° gennaio 2010) deve intendersi
superato il sistema di verifiche a suo tempo statuito dal
D.P.R. 15 febbraio 2007, n. 147 tuttora formalmente in vigore,
che prevedeva però due soli step di verifica, con frequenza
annuale o semestrale, (e con scadenze riferite alla data d’en-
trata in vigore di quel provvedimento), a seconda che la carica di
fluido fosse compresa fra i 3 e i 100 kg, o superiore a 100 kg.
La nuova disciplina prescrive invece:
- per carica di fluido > 3 kg e fino a 30 kg: controllo fughe
annuale;
- per carica di fluido > 30 kg ma < 300 kg: controllo fughe
semestrale;
- per carica di fluido ≥ 300 kg: controllo fughe trimestrale;
e quanto sopra a partire dalla data di messa in applicazione del
regolamento, e cioè, dal 1° gennaio 2010.
Nel dare applicazione concreta al nuovo Regolamento, tanto
per i dispositivi con carica di fluido inferiore a 300 kg ma
superiori a 100 kg relativamente ai quali è confermata la già
vigente periodicità semestrale, quanto per quelli con carica di
fluido > 30 kg, per i quali deve ora trascorrersi dalla frequenza
delle verifiche annuale a quella semestrale, si dovrà aver cura di
rispettare comunque la periodicità semestrale, rispetto all’ul-
timo controllo eseguito sulla base del cit. D.P.R. n. 147/2007.
Analogo discorso vale per i dispositivi per i quali è mantenuto il
regime di verifica annuale, ora circoscritto alle apparecchiature
con carica di fluido compresa fra i 3 e 30 kg.
Soggetti
Operatori delle apparecchiature contenenti gas fluorurati
a effetto serra in quantità pari o superiori a 500 tonnellate
di CO2 equivalente
Adempimento
Esecuzione dei controlli obbligatori trimestrali previsti dall’art.
4, parr. 1 e 3, lett. c), Regolamento Ue n. 517/2014 del 16
settembre 2014 per l’accertamento di eventuali perdite.
Se l’apparecchiatura è etichettata come sigillata, la cadenza
del controllo diviene semestrale, con cadenze che, in relazione
alla messa in applicazione del Regolamento a partire dal 1°
gennaio 2015, si verificano al 30 giugno e al 31 dicembre di
ogni anno.
Riferimenti
- Regolamento Ue n. 517/2014 del 16 settembre 214, art. 4,
parr. 1 e 3, lett. c).
N.B. Con la messa in applicazione, a partire dal 1° gennaio
2015, del Regolamento n. 2014/517/Ue, abrogativo del previ-
gente Regolamento n. 2006/842/Ce, si modifica radicalmente
il regime di controllo delle perdite dalle apparecchiature/appli-
cazioni contenenti gas fluorurati ad effetto serra. Ferme
restando le frequenze delle verifiche, - trimestrali, semestrali
o annuali, il nuovo Regolamento cambia infatti il parametro di
235
Agenda
Scadenzario e Memoranda
riferimento, ora individuato nelle ton di CO2 equivalenti conte-
nute nell’apparecchiatura - al fine di tener conto del potenziale
di riscaldamento globale di ciascuna sostanza, estremamente
variabile a seconda del gas impiegato nell’apparecchiatura - in
sostituzione del quantitativo di gas caricato, espresso in kg,
che veniva adottato in precedenza.
La nuova disciplina prescrive invece:
- per un contenuto di gas nel range 5÷50 ton CO2 eq.: controllo
fughe annuale;
- per un contenuto di gas nel range 50÷500 ton CO2 eq.:
controllo fughe semestrale;
- per un contenuto di gas > 500 ton CO2 eq.: controllo fughe
trimestrale.
Nel caso di apparecchiature sigillate, etichettate come tali, la
cadenza dei controlli diventa rispettivamente, biennale,
annuale e semestrale.
Soggetti
Produttori, importatori, esportatori di gas fluorurati di cui
agli Allegati I e II, Regolamento Ue n. 517/2014, per quan-
titativi pari ad almeno una tonnellata metrica o a 1000
tonnellate di CO2 equivalente
Adempimento
Invio alla Commissione europea di comunicazione annuale
concernente le informazioni relative all’anno civile precedente
(2018) specificate all’Allegato VII del Regolamento Ue n. 517/
2014, ovvero:
a) Produttori:
- la quantità totale di ciascuna sostanza elencata negli Allegati I
e II prodotta nell’Unione, indicando le principali categorie di
applicazioni in cui la sostanza è utilizzata;
- le quantità di ogni sostanza di cui all’Allegato I, e ove del caso,
di cui all’Allegato II, immesse sul mercato dell’Unione, speci-
ficando separatamente le quantità destinate:
• ad essere impiegate come materia prima;
• all’esportazione diretta;
• ai fini della produzione di aerosol dosatori per la sommini-
strazione di ingredienti farmaceutici;
• ad essere utilizzate in materiale militare;
• all’incisione di materiale semiconduttore o alla pulizia di
camere adibite alla deposizione chimica da fase vapore, nel
settore della fabbricazione dei semiconduttori;
- le quantità di ciascuna sostanza elencata negli Allegati I e II
riciclate, rigenerate o distrutte;
- eventuali scorte detenute all’inizio e alla fine del periodo di
dichiarazione;
- eventuali autorizzazioni a utilizzare quote, specificando le
relative quantità, ai fini dell’art. 14 del Regolamento.
b) Importatori:
- le quantità di ogni sostanza di cui all’Allegato I, e ove del caso,
di cui all’Allegato II, importata nell’Unione, specificando sepa-
ratamente le quantità destinate:
• ad essere impiegate come materia prima;
• all’esportazione diretta;
• ai fini della produzione di aerosol dosatori per la sommini-
strazione di ingredienti farmaceutici;
• ad essere utilizzate in materiale militare;
• all’incisione di materiale semiconduttore o alla pulizia di
camere adibite alla deposizione chimica da fase vapore, nel
settore della fabbricazione dei semiconduttori;
- le quantità di ciascuna sostanza elencata negli Allegati I e II
riciclate, rigenerate o distrutte;
- eventuali scorte detenute all’inizio e alla fine del periodo di
dichiarazione;
236
- eventuali autorizzazioni a utilizzare quote, specificando le
relative quantità, ai fini dell’art. 14 del Regolamento;
- le quantità di ciascun gas fluorurato ad effetto serra usato che
ha importato per essere riciclato, rigenerato o distrutto.
c) Esportatori:
- le quantità di ciascuna sostanza elencata negli Allegati I e II
esportate dall’Unione, escluse quelle riciclate, rigenerate o
distrutte;
- le quantità di ciascuna sostanza elencata negli Allegati I e II
esportate per conto dell’Unione per essere riciclate, rigene-
rate o distrutte.
Riferimenti
- Regolamento Ue n. 517/2014 del 16 aprile 2014, art. 19, par. 1;
- Regolamento Ue n. 517/2014 del 16 aprile 2014, Allegato VII.
Soggetti
Imprese che abbiano distrutto almeno una tonnellata
metrica o 1000 tonnellate di CO2 equivalente di gas
di cui agli Allegati I e II, Regolamento Ue n. 517/2014
Adempimento
Invio alla Commissione europea di comunicazione annuale
concernente le informazioni relative all’anno civile precedente
(2018) specificate all’Allegato VII, Regolamento Ue n. 517/
2014, ovvero:
a) le quantità di ogni sostanza elencata negli allegati I e II
distrutte, ivi comprese le quantità di tali sostanze contenute
in prodotti o apparecchiature;
b) eventuali stock di ogni sostanza elencata negli Allegati I e II
in attesa di essere distrutta, ivi comprese le quantità di tali
sostanze contenute in prodotti o apparecchiature;
c) la tecnologia impiegata per la distruzione delle sostanze
elencate negli Allegati I e II.
Riferimenti
- Regolamento Ue n. 517/2014 del 16 aprile 2014, art. 19,
par. 2;
- Regolamento Ue n. 517/2014 del 16 aprile 2014, Allegato VII.
Soggetti
Imprese che abbiano utilizzato come materia prima
almeno 1.000 tonnellate di CO2 equivalente di gas fluoru-
rati a effetto serra di cui al Regolamento Ue n. 517/2014
Adempimento
Invio alla Commissione europea di comunicazione annuale
concernente le informazioni relative all’anno civile precedente
(2018) specificate all’Allegato VII del Regolamento Ue n. 517/
2014, ovvero:
a) le quantità di ogni sostanza usata come materia prima
elencata nell’Allegato I.
Riferimenti
- Regolamento Ue n. 517/2014 del 16 aprile 2014, art. 19,
par. 3;
- Regolamento Ue n. 517/2014 del 16 aprile 2014, Allegato VII.
Soggetti
Imprese che abbiano immesso sul mercato prodotti e appa-
recchiature contenenti almeno 500 tonnellate di CO2 equi-
valente di gas fluorurati a effetto serra e di altri gas di cui
all’Allegato II, Regolamento Ue n. 517/2014
Adempimento
Invio alla Commissione europea di comunicazione annuale
concernente le informazioni relative all’anno civile precedente
Ambiente & sviluppo 3/2019

(2018) specificate all’Allegato VII del Regolamento Ue n. 517/
2014, ovvero:
a) le categorie di prodotti o apparecchiature contenenti
sostanze elencate negli Allegati I e II;
b) il numero di unità;
c) per ogni sostanza elencata negli Allegati I e II, le quantità
contenute nei prodotti o nelle apparecchiature.
Riferimenti
- Regolamento Ue n. 517/2014 del 16 aprile 2014, art. 19,
par. 4;
- Regolamento Ue n. 517/2014 del 16 aprile 2014, Allegato VII.
Soggetti
Produttori/utilizzatori di imballaggi aderenti al CONAI che
intendono avvalersi della forfetizzazione per le etichette
Adempimento
Presentazione al CONAI di autodichiarazione finalizzata alla
forfetizzazione del contributo ambientale sulle etichette per
l’anno 2018, utilizzando il mod. 6.14 della Guida CONAI 2019.
Riferimenti
- Regolamento del CONAI;
- Guida CONAI 2019.
Soggetti
Produttori/utilizzatori di imballaggi in sughero aderenti
al CONAI che intendono avvalersi della forfetizzazione
Adempimento
Presentazione al CONAI di autodichiarazione finalizzata alla
forfetizzazione del contributo ambientale sugli imballaggi in
sughero per l’anno 2019, utilizzando il mod. 6.17 della Guida
CONAI 2019.
Riferimenti
- Regolamento del CONAI;
- Guida CONAI 2019.
Soggetti
Imprese esercenti attività di vendita di energia elettrica
Adempimento
Invio al GSE di comunicazione annuale relativa ai seguenti dati
e informazioni, riferiti all’anno precedente (2018):
a) la quantità totale di energia elettrica venduta;
b) a quantità di energia elettrica Cip-6 di cui il venditore sia
risultato titolare;
c) la quantità di energia elettrica acquistata in Italia tramite
contrattazione bilaterale da produttori, al netto dell’energia
certificata come rinnovabile ai sensi dell’art. 5, comma 6 del
D.M. 31 luglio 2009, indicando l’energia elettrica acquistata da
ciascun produttore;
d) la quantità totale di energia elettrica importata indicando:
- l’energia elettrica totale acquistata all’estero tramite contrat-
tazione bilaterale da produttori esteri indicando, per ciascun
produttore, il mix di fonti primarie utilizzate o, laddove non si
dispone di informazioni di pubblico dominio in merito al pre-
detto mix, il Paese in cui ha sede il produttore medesimo;
- l’energia elettrica totale acquistata all’estero tramite mercati
organizzati indicando il Paese sede di detto mercato;
e) l’ammontare di energia elettrica corrispondente alle Garan-
zie di origine di elettricità prodotta da fonti rinnovabili rilasciate
in Paesi esteri, riconosciute dal GSE come corrispondenti
all’energia elettrica da fonti rinnovabili effettivamente impor-
tata, di cui il venditore è in possesso;
Ambiente & sviluppo 3/2019
Agenda
Scadenzario e Memoranda
f) l’ammontare di energia elettrica corrispondente alle certifi-
cazioni di origine nella titolarità del medesimo venditore come
risultante dal sistema di certificazione di cui al comma 6 del cit.
art. 5 del D.M. 31 luglio 2009;
g) la quantità di energia elettrica venduta ai clienti finali come
prodotta da fonti rinnovabili, specificando le quantità vendute
nell’ambito di eventuali differenti offerte contrattuali.
Riferimenti
- D.M. 31 luglio 2009, art. 5, comma 2.
Soggetti
Produttori e importatori di energia elettrica tenuti all’im-
missione nella rete nazionale di energia elettrica da fonti
rinnovabili, ex D.Lgs. n. 79/1999
Adempimento
Trasmissione con cadenza annuale al GSE Gestore della Rete
di Trasmissione Nazionale, (GRTN) di:
- autocertificazione, riferita all’anno precedente, attestante le
proprie produzioni, importazioni ed esportazioni di energia da
fonti non rinnovabili, evidenziando separatamente la quota
importata e quella prodotta da ciascun impianto, nonché
l’energia elettrica prodotta da sistemi di cogenerazione nel
rispetto dei criteri fissati dal D.Lgs. 8 febbraio 2007, n. 20;
- certificati verdi relativi all’anno precedente, equivalenti all’ob-
bligo di immissione che compete loro ai sensi dell’art. 11,
commi 1 e 2 del D.Lgs. n. 79/1999, e dell’art. 4, comma 1 del
D.Lgs. n. 387/2003.
Riferimenti
- D.M., 18 dicembre 2008, artt. 8, comma 1, e 13, comma 1.
Soggetti
Produttori e importatori di energia elettrica tenuti all’im-
missione nella rete nazionale di energia elettrica da fonti
rinnovabili interessati all’esenzione dall’obbligo per
l’energia da fonti rinnovabili importata
Adempimento
Relativamente alla quota di energia importata derivante da
fonti rinnovabili, presentazione al Gestore della Rete di Tra-
smissione Nazionale di eventuale domanda di esenzione dagli
obblighi di cui all’art. 11, commi 1, 2 e 3, D.Lgs. n. 79/1999,
previa integrazione dell’autocertificazione con la dichiarazione
dell’operatore estero dalla quale risultino, per ciascun mese, la
quantità di elettricità venduta e importata in Italia e i dati
identificativi degli impianti di produzione.
Riferimenti
- D.M. 18 dicembre 2008, art. 8, comma 2.
Soggetti
Esercenti di elettrodotti con tensione di esercizio > 132 KV
Adempimento
Comunicazione trimestrale all’Autorità di controllo compe-
tente (in funzione della tensione di esercizio) dei 12 valori
medi delle correnti registrati ogni due ore, nelle normali con-
dizioni di esercizio, relativi a ciascun giorno del trimestre.
Riferimenti
- D.P.C.M. 8 luglio 2003, art. 5, comma 3.
Soggetti
Società ed Enti gestori dei servizi pubblici di trasporto
e delle relative infrastrutture
237
Agenda
Scadenzario e Memoranda
Adempimento
Invio al Ministero dell’Ambiente, nonché alle Regioni e ai
Comuni competenti della comunicazione annuale relativa:
a) all’entità dei fondi accantonati annualmente e complessiva-
mente per il finanziamento del proprio piano di contenimento e
abbattimento delle emissioni sonore, a partire dalla data di
entrata in vigore della Legge n. 447/1995;
b) allo stato di avanzamento fisico e finanziario dei singoli
interventi [di risanamento acustico] previsti, comprensivo
anche degli interventi conclusi in corso d’anno.
Riferimenti
- D.M. 29 novembre 2000, art. 6, comma 1;
- Legge 26 ottobre 1995, n. 447, art. 10, comma 5.
Soggetti
Gestori di impianti di produzione di oli combustibili
pesanti, gasoli e combustibili per uso marittimo
Adempimento
Invio all’ISPRA e al Ministero dell’Ambiente della comunica-
zione annuale relativa ai quantitativi di oli combustibili pesanti,
gasoli, e combustibili per uso marittimo prodotti l’anno prece-
dente - esclusi quelli destinati all’esportazione - utilizzando il
formato indicato nelle Tabelle II e III di cui alla Sezione III
dell’Allegato X alla Parte V, D.Lgs. n. 152/2006, come sosti-
tuita dal D.Lgs. n. 205/2007.
Riferimenti
- D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, (come modificato dal D.Lgs. 9
novembre 2007, n. 205 e dal D.Lgs., 30 giugno 2010, n. 128);
art. 298, comma 3.
Soggetti
Gestori di depositi fiscali di combustibili d’importazione
Adempimento
Invio all’ISPRA e al Ministero dell’Ambiente della comunica-
zione annuale relativa ai quantitativi di oli combustibili pesanti,
gasoli, e combustibili per uso marittimo, importati l’anno pre-
cedente - esclusi quelli destinati alla riesportazione - utiliz-
zando il formato indicato nelle Tabelle II e III di cui alla
Sezione III, Allegato X, Parte V, D.Lgs. n. 152/2006, come
sostituita dal D.Lgs. n. 205/2007.
Riferimenti
- D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, (come modificato dal D. Lgs. 9
novembre 2007, n. 205 e dal D.Lgs. 30 giugno 2010, n. 128);
art. 298, comma 3.
Soggetti
Gestori di Grandi impianti di combustione che importano
olio combustibile pesante
Adempimento
Invio all’ISPRA e al Ministero dell’Ambiente, con cadenza
annuale, tramite le proprie associazioni di categoria, dei dati
relativi ai quantitativi di olio pesante importati l’anno prece-
dente, utilizzando il formato indicato nella Tabella IV, Sezione
III, Allegato X, Parte V, D.Lgs. n. 152/2006, come modificato
dal D.Lgs. n. 205/2007.
Riferimenti
- D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, (come modificato dal D.Lgs. 9
novembre 2007, n. 205 e dal D.Lgs. 30 giugno 2010, n. 128);
art. 298, comma 3.
238
Soggetti
Gestori Grandi impianti di combustione
Adempimento
Versamento della prima rata trimestrale di acconto e del con-
guaglio relativo all’anno 2016 della tassa sulle emissioni di SO2
e NOx istituita dall’art. 17, comma 29 della Legge n. 449/1997.
Riferimenti
- D.P.R. 26 ottobre 2001, n. 416, art. 4, comma 1.
Soggetti
Gestori degli impianti fissi autorizzati all’emissione di gas
serra nel periodo 2013-2020 e operatori aerei amministrati
dall’Italia, di cui al D.Lgs. 13 marzo 2013, n. 30
Adempimento
Invio al Comitato nazionale di gestione e attuazione della Diret-
tiva n. 2003/87/Ce, di cui all’art. 4, D.Lgs. n. 30/2013, della
comunicazione annuale relativa all’attività di monitoraggio e
alle emissioni di CO2 rilasciate nell’anno solare precedente,
(cioè nel 2016), allegando l’attestato di verifica di cui all’art. 35
del medesimo decreto, rilasciato da verificatore accreditato.
Riferimenti
- D.Lgs. 23 marzo 2013, n. 30, artt. 34 e 35.
N.B. Il D.Lgs. n. 30/2013 ha sostituito e abrogato il D.Lgs.
n. 216/2006, dettando le disposizioni concernenti l’emission
trading per il periodo 2013-2020.
Soggetti
Produttori di pile e accumulatori soggetti all’obbligo
di iscrizione al Registro di cui all’art. 14, D.Lgs. n. 188/2008
Adempimento
Invio alle Camere di Commercio della comunicazione annuale
relativa ai dati sulle pile e accumulatori immessi sul mercato
nazionale nell’anno precedente, suddivisi per tipologia, con-
formemente a quanto specificato nella Tabella 1, Allegato III,
D.Lgs. n. 188/2008.
Riferimenti
- D.Lgs. 20 novembre 2008, n. 188, art. 14, comma 2, e
Allegato III, Tab. 1.
Soggetti
Gestori di impianti di riciclaggio di rifiuti di pile
e accumulatori
Adempimento
Invio al Centro di Coordinamento di cui all’art. 16, D.Lgs. n. 188/
2008, con cadenza annuale delle informazioni relative ai quanti-
tativi di rifiuti trattati, nel corso dell’anno precedente, suddivisi
per singole tipologie di pile e accumulatori, e alle percentuali di
riciclaggio conseguite, con riferimento alle tre categorie di pile e
accumulatori di cui all’Allegato III, punto 3, lett. b).
Riferimenti
- D.Lgs. 20 novembre 2008, n. 188, art. 10, comma 8.
Soggetti
Gestori degli stabilimenti che producono biossido
di titanio
Adempimento
Trasmissione, con cadenza annuale, alle Regioni e alle Pro-
vince autonome, di una relazione contenente i dati necessari
Ambiente & sviluppo 3/2019

per l’elaborazione del rapporto che le Regioni devono a propria
volta inoltrare al Ministero dell’Ambiente entro il 30 aprile di
ogni anno, con riferimento alle emissioni, agli stoccaggi e alle
lavorazioni effettuate, indicandone anche la tipologia, nonché
ai quantitativi di rifiuti prodotti e/o scaricati o stoccati nell’anno
civile precedente.
Riferimenti
- D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, come modificato dal D.Lgs.
n. 46/2014, art. 298-bis, comma 6.
Soggetti
Capitanerie di porto e Guardia costiera
Adempimento
Invio all’ISPRA e al Ministero dell’Ambiente della comunicazione
annuale relativa ai dati inerenti i rilevamenti del tenore di zolfo nei
combustibili per uso marittimo effettuati nel corso del 2087 (anno
civile precedente) nell’ambito dei controlli di cui all’art. 296,
comma 9, D.Lgs. n. 152/2006, utilizzando il formato di cui alla
Tabella I Allegato X, Parte V del medesimo Decreto, come
modificato dal D.Lgs. n. 205/2007 e dal D.Lgs. n. 128/2010.
Riferimenti
- D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (come modificato dal D.Lgs. 9
novembre 2007, n. 205, e dal D.Lgs. n. 128/2010) Allegato X,
Parte I, Sez. III, punto 3; art. 298, comma 3.
Soggetti
Uffici e/o laboratori chimici delle Dogane
Adempimento
Invio all’ISPRA e al Ministero dell’Ambiente della comunica-
zione annuale dei dati inerenti ai rilevamenti effettuati nel
corso del 2018 (anno civile precedente), sul tenore di zolfo
negli oli combustibili pesanti, nei gasoli, e nei combustibili per
uso marittimo prodotti o importati, e destinati alla commercia-
lizzazione sul mercato nazionale.
Riferimenti normativi
- D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (come modificato dal D.Lgs. 9
novembre 2007, n. 205 e dal D.Lgs. n. 128/2010) Allegato X,
Parte I, Sez. III, punto 3; art. 298, comma 3.
Soggetti
Regioni e Province autonome
Adempimento
Trasmissione all’ISPRA e al Ministero dell’Ambiente con
cadenza annuale, ai sensi del D.M. 18 settembre 2002 “Moda-
lità di informazione sullo stato di qualità delle acque” - tuttora
vigente in forza delle norme transitorie di cui all’art. 170, D.Lgs.
n. 152/2006 e smi - dei dati e delle informazioni di cui alle Schede
3 e 3.1 - Settore 1-B “Acque a specifica destinazione - Acque di
balneazione”, dell’Allegato al predetto Decreto ministeriale,
concernenti, rispettivamente, i Programmi di miglioramento
adottati e la Relazione di sintesi ed elenco siti non idonei.
Riferimenti
- D.M., 18 settembre 2002, Allegato - Settore 1, Parte B.
Soggetti
Regioni e Province autonome
Adempimento
Invio al Ministero dell’Ambiente, ai fini della successiva tra-
smissione alla Commissione europea, della Relazione sinte-
tica annuale, riferita all’anno precedente, sui Programmi di
Ambiente & sviluppo 3/2019
Agenda
Scadenzario e Memoranda
monitoraggio messi in atto ai fini della verifica dello stato
qualitativo e quantitativo delle acque superficiali e sotterranee
all’interno di ciascun bacino idrografico, ai sensi dell’art. 120,
comma 1, D.Lgs. n. 152/2006.
Riferimenti
- D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152, artt. 123, comma 2, lett. b) e 120.
Soggetti
Regioni, Province autonome ed Amministrazioni e/o Enti
territoriali
Adempimento
Trasmissione al Ministero dell’Ambiente e all’ISPRA di un’in-
formativa trimestrale riguardante le attività di propria compe-
tenza in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione,
di tutela delle acque dall’inquinamento, di gestione delle
risorse idriche e prevenzione del dissesto idrogeologico.
Riferimenti
- Legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Legge finanziaria 2007), art.
1, comma 1132.
Soggetti
Regioni e Province autonome
Adempimento
Trasmissione al Ministero dell’Ambiente della relazione men-
sile sul monitoraggio del rumore aeroportuale notturno previ-
sta dal D.P.R. 9 novembre 1999, n. 476, con la finalità di
verificare la conformità ai requisiti stabiliti ai sensi della Con-
venzione di Chicago da parte degli aeromobili adibiti ai voli
notturni.
Riferimenti
- D.P.R. 9 novembre 1999, n. 476, art. 1, comma 7.
Soggetti
Autorità competenti ai controlli sugli impianti di cui al Titolo
I, Parte V, D.Lgs. n. 152/2006
Adempimento
Invio all’ISPRA e al Ministero dell’Ambiente della comunica-
zione annuale dei dati inerenti ai rilevamenti del tenore di zolfo
sugli oli combustibili pesanti e sui gasoli, effettuati nel corso
del 2018 (anno civile precedente) nell’ambito dell’attività isti-
tuzionale di controllo sugli impianti di cui al Titolo I della Parte V,
D.Lgs. n. 152/2006, avvalendosi del formato di cui alla Tabella I
della Sezione III dell’Allegato X alla medesima Parte V, come
modificato dal D.Lgs. n. 205/2007.
Riferimenti
- D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (come modificato dal D.Lgs.
n. 205/2007 e dal D.Lgs. n. 128/2010) Allegato X, Parte I, Sez.
III, punto 3; art. 298, comma 3.
Soggetti
Comuni o diverse Autorità designate dalle Regioni, quali
Autorità competenti ai controlli sugli impianti di cui al Titolo
II, Parte Quinta, D.Lgs. n. 152/2006
Adempimento
Invio all’ISPRA e al Ministero dell’Ambiente della comunica-
zione annuale dei dati inerenti ai rilevamenti del tenore di zolfo
sugli oli combustibili pesanti e sui gasoli, effettuati nel corso
del 2018 (anno civile precedente) nell’ambito dell’attività isti-
tuzionale di controllo sugli impianti di cui al Titolo II, Parte V,
D.Lgs. n. 152/2006, avvalendosi del formato di cui alla Tabella
239
Agenda
Scadenzario e Memoranda
I, Sezione III, Allegato X alla medesima Parte V, come modi-
ficato dal D.Lgs. n. 205/2007.
Riferimenti
- D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (come modificato dal D.Lgs.
n. 205/2007 e dal D.Lgs. n. 128/2010), Allegato X, Parte I - Sez.
3, punto 3; art. 298, comma 3.
ADEMPIMENTI IN ANTEPRIMA: APRILE 2019
17 APRILE 2019
Soggetti
Uffici territoriali dell’Agenzia delle dogane
Adempimento
Comunicazione trimestrale all’ISPRA degli accertamenti effet-
tuati nei tre mesi precedenti ai sensi della normativa sulle
caratteristiche dei combustibili, con l’indicazione degli impianti
sottoposti ad accertamento, delle infrazioni accertate, nonché
del tipo e dell’entità delle difformità rilevate.
Riferimenti
- D.M. 3 febbraio 2005, art. 3, comma 1.
20 APRILE 2019
Soggetti
Produttori, importatori e utilizzatori di imballaggi iscritti
al CONAI tenuti alla dichiarazione mensile
Adempimento
Presentazione al CONAI, in forma telematica, della dichiara-
zione mensile relativa ai quantitativi d’imballaggi gestiti assog-
gettati al contributo ambientale, e all’entità del contributo
ambientale conseguentemente da versare, relativamente al
mese di marzo 2019.
Riferimenti
- D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, artt. 221, 223 e 224;
- Guida CONAI 2019.
Soggetti
Produttori, importatori e utilizzatori di imballaggi iscritti
al CONAI tenuti alla dichiarazione trimestrale
Adempimento
Presentazione al CONAI, in forma telematica, della dichiara-
zione trimestrale per il periodo di riferimento gennaio-marzo
2018, relativa ai quantitativi d’imballaggi gestiti assoggettati al
contributo ambientale, e all’entità del contributo ambientale
conseguentemente da versare per il medesimo periodo.
Riferimenti
- D.Lgs. 3 aprile 2006, artt. 221, 223 e 224;
- Regolamento CONAI - Guida CONAI 2019;
- D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 29-sexies, comma 9-sexies.
29 APRILE 2019
Soggetti
Regioni (e Province autonome)
Adempimento
Invio al Ministero dell’Ambiente, con cadenza annuale, di una
relazione sui programmi di monitoraggio per la conoscenza e la
verifica dello stato qualitativo e quantitativo delle acque
240
superficiali e sotterranee all’interno di ciascun bacino idro-
grafico, messi in atto ai sensi dell’art. 120, D.Lgs. n. 152/2006.
Riferimenti
- D.Lgs. 3 aprile 2006, 152, art. 123, comma 2, lett. b).
30 APRILE 2019
Soggetti
Gestori di attività industriali assoggettate al Regolamento
Ce n. 166/2006 tenuti alla “Comunicazione PRTR” (Com-
plessi nei quali cioè sia presente almeno un’attività di cui
all’Allegato I del Regolamento stesso)
Adempimento
Invio telematico all’ISPRA e all’autorità competente di cui
all’art. 3, D.P.R. n. 157/2011 della comunicazione annuale
PRTR, ai sensi del Regolamento Ce n. 166/2006, e del citato
D.P.R. n. 157/2011, concernente le disposizioni d’esecuzione,
in sede nazionale, del predetto Regolamento europeo, della
comunicazione annuale PRTR, relativa ai seguenti dati e infor-
mazioni, per l’anno 2018:
• informazioni per l’identificazione del complesso, in confor-
mità a quanto stabilito dall’Allegato III del Regolamento Ce
n. 166/2006;
• emissioni in aria, acqua e suolo - comprese, tra queste ultime
quelle di cui all’art. 6 del citato Regolamento, (cioè i rifiuti
sottoposti a smaltimento mediante “trattamento in ambiente
terrestre” o “iniezione in profondità”) - di ciascuna sostanza
inquinante di cui all’Allegato II del predetto Regolamento, qua-
lora risultino superati i relativi quantitativi soglia ivi indicati;
• trasferimenti fuori sito di rifiuti pericolosi per oltre 2 ton/a e di
rifiuti non pericolosi per oltre 2000 ton/a, con indicazione della
destinazione finale, (sigla “R” in caso di recupero e “D” in caso
di smaltimento), e, per movimenti transfrontalieri di rifiuti
pericolosi, gli estremi identificativi del sito effettivo di smalti-
mento o recupero;
• trasferimenti fuori sito, in acque reflue destinate al tratta-
mento, di qualsiasi sostanza inquinante indicata nell’Allegato
II, in caso di quantitativi superiori al valore-soglia riportato nella
col. 1b del medesimo Allegato.
Riferimenti
- Regolamento Ce n. 166/2006 del 18 gennaio 2006;
- D.Lgs. 3 aprile 2006 - come modificato dal D.Lgs. 29 giugno
2010, n. 128 - art. 29-undecies, comma 1;
- D.P.R. 11 luglio 2011, n. 157.
N.B. Le “Unità dichiaranti” sono rappresentate dai complessi
PRTR - ovvero i complessi IPPC più altre 65 attività, specificati
nell’Allegato I del Regolamento europeo, le cui emissioni e/o i
cui trasferimenti di rifiuti o di scarichi idrici fuori sito superino le
soglie specificate. Un elemento di novità è rappresentato,
indubbiamente, dall’introduzione della possibilità, per gli ope-
ratori interessati, di correggere e/o integrare i dati comunicati
entro il 30 giugno successivo.
Per la trasmissione dei dati i soggetti interessati devono col-
legarsi per via telematica al sito www.eprtr.it.
Soggetti
Imprese ed enti produttori iniziali di rifiuti pericolosi, com-
prese le imprese agricole con volume d’affari > 8.000 euro, e,
se con più di 10 addetti, di rifiuti non pericolosi di cui all’art.
184, comma 3, lett. c), d) e g), D.Lgs. n. 152/2006
Adempimento
Presentazione alla CCIA competente per territorio Comunica-
zione rifiuti (speciali) relativa al 2018, riguardante i seguenti
Ambiente & sviluppo 3/2019

dati concernenti i rifiuti prodotti nel 2018, anche al di fuori
dell’unità locale:
• il quantitativo totale di rifiuti annotati in carico sul registro di
carico e scarico, suddiviso per codice Cer;
• per ciascun codice Cer, il quantitativo totale annotato in
scarico sul registro, con le relative destinazioni (ovvero: attività
di trasporto, e successiva forma di gestione, specificando per
ciascuna tipologia il quantitativo conferito a ciascun trasporta-
tore e quello destinato a ciascun gestore);
• per ciascun codice Cer, il quantitativo totale che risulta in
giacenza.
Riferimenti
- Legge 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, commi 1134 e 1135,
(Legge di bilancio 2018), che dispone la proroga di un anno del
c.d. regime binario per i soggetti tenuti all’adesione al SISTRI,
e cioè fino al 31 dicembre 2018, fermo restando che il “D.L.
Semplificazioni” (D.L. 14 dicembre 2018, n. 135), ai sensi
dell’art. 6 di tale provvedimento ha definitivamente abro-
gato il SISTRI, a far tempo dal 1° gennaio 2019;
- D.P.C.M. 28 dicembre 2017, recante “Approvazione del
modello unico di dichiarazione ambientale per l’anno 2018”,
modificativo delle conformi disposizioni precedentemente in
vigore per le analoghe dichiarazioni relative agli anni 2016 e
2015.
Conseguentemente, la presentazione della Comunicazione
rifiuti speciali relativa al 2017 deve avvenire obbligatoriamente
in via telematica, (tramite il sito www.mudtelematico.it),
oppure, qualora sussistano i requisiti per l’effettuazione
della Comunicazione Rifiuti speciali semplificata, accedendo
all’apposita applicazione messa a disposizione dal portale Web
sella Sezione Nazionale del Catasto Rifiuti.
Il ricorso alla Comunicazione rifiuti speciali semplificata resta
riservato ai produttori per i quali siano contestualmente veri-
ficate tutte le seguenti condizioni:
• i rifiuti speciali prodotti, oggetto della comunicazione, appar-
tengano a non più di sette codici Cer;
• i rifiuti speciali di che trattasi vengano conferiti a non più di
tre diversi trasportatori;
• i rifiuti speciali di che trattasi vengano destinati a non più di
tre gestori.
Soggetti
Commercianti ed intermediari di rifiuti senza detenzione
Adempimento
Presentazione alla CCIA competente per territorio Comunica-
zione rifiuti relativa al 2017, riguardante i seguenti dati concer-
nenti i rifiuti commercializzati/intermediati nel 2018:
• quantità complessiva di rifiuti urbani e speciali intermediati/
commercializzati [senza detenzione] nell’anno di riferimento,
suddivisi per codice Cer;
• unità locali di origine del rifiuto intermediato o commercia-
lizzato e quantità di rifiuto acquisito, con specificazione dei
singoli codici;
• unità locali di destinazione del rifiuto intermediato o com-
mercializzato e quantità di rifiuto ceduto, con specificazione
dei singoli codici.
Riferimenti
- Legge 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, commi 1134 e 1135,
(Legge di bilancio 2018), che dispone la proroga di un anno del
c.d. regime binario per i soggetti tenuti all’adesione al SISTRI, e
cioè fino al 31 dicembre 2018, fermo restando che il “D.L.
Semplificazioni” (D.L. 14 dicembre 2018, n. 135), ai sensi
Ambiente & sviluppo 3/2019
Agenda
Scadenzario e Memoranda
dell’art. 6 di tale provvedimento ha definitivamente abro-
gato il SISTRI, a far tempo dal 1° gennaio 2019;
- D.P.C.M. 28 dicembre 2017, recante “Approvazione del
modello unico di dichiarazione ambientale per l’anno
2018”, modificativo delle conformi disposizioni preceden-
temente in vigore per le analoghe dichiarazioni relative agli
anni 2016 e 2015.
Conseguentemente, la presentazione della Comunicazione
rifiuti speciali relativa al 2017 deve avvenire obbligatoriamente
in via telematica, (tramite il sito www.mudtelematico.it).
Soggetti
Soggetti che esercitano a titolo professionale attività
di raccolta e/o di trasporto rifiuti per conto di terzi
Adempimento
Presentazione alla CCIA competente per territorio Comunica-
zione rifiuti speciali relativa al 2017, riguardante i seguenti dati
relativi ai rifiuti trasportati nel 2018:
• tipologia e quantità di rifiuti ricevuti/raccolti complessiva-
mente nell’anno di riferimento, suddivisi per codice Cer;
• unità locali di origine del rifiuto ricevuto/raccolto e quantità di
rifiuto acquisito, con specificazione dei singoli codici, per
ciascuna unità locale;
• unità locali di destinazione (per operazioni di trattamento o
recupero) del rifiuto raccolto/trasportato e quantità di rifiuto
conferito a ciascun destinatario, con specificazione dei singoli
codici.
Riferimenti
- Legge 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, commi 1134 e 1135,
(Legge di bilancio 2018), che aveva disposto di un anno la
proroga di un anno del c.d. regime binario per i soggetti tenuti
all’adesione al SISTRI, e cioè fino al 31 dicembre 2018, fermo
restando che il “D.L. Semplificazioni” (D.L. 14 dicembre
2018, n. 135), ai sensi dell’art. 6 di tale provvedimento ha
definitivamente abrogato il SISTRI, a far tempo dal 1°
gennaio 2019
- D.P.C.M. 28 dicembre 2017, recante “Approvazione del
modello unico di dichiarazione ambientale per l’anno 2018”,
modificativo delle conformi disposizioni precedentemente in
vigore per le analoghe dichiarazioni relative agli anni 2016 e
2015.
Conseguentemente, la presentazione della Comunicazione
rifiuti speciali relativa al 2017 deve avvenire obbligatoriamente
in via telematica, (tramite il sito www.mudtelematico.it).
Soggetti
Imprese ed enti che effettuano operazioni di recupero e di
smaltimento di rifiuti
Adempimento
Presentazione alla CCIA competente per territorio Comunica-
zione rifiuti speciali relativa al 2017, riguardante i seguenti dati
relativi ai rifiuti trattati nel 2017:
• tipologia e quantità di rifiuti sui quali sono state effettuate
operazioni di gestione nell’anno di riferimento, con articola-
zione dei dati complessivi per tipo di operazione e per codice
rifiuto;
• unità locali di origine dei rifiuti ricevuti per operazioni di
gestione, con specificazione dei quantitativi ricevuti da cia-
scun produttore/detentore;
• unità locali di destinazione per [ulteriori] attività di smalti-
mento o recupero dei rifiuti trattati e/o generati attraverso le
operazioni effettuate, con specificazione dei quantitativi con-
ferito a ciascun destinatario, e relativi codici.
241
Agenda
Scadenzario e Memoranda
Ove ne ricorrano i presupposti, tali soggetti sono tenuti anche
alla presentazione della “Comunicazione Veicoli fuori uso” e/o
della “Comunicazione Raee”.
Riferimenti
- Legge 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, commi 1134 e 1135,
(Legge di bilancio 2018), che dispone la proroga di un anno del
c.d. regime binario per i soggetti tenuti all’adesione al SISTRI, e
cioè fino al 31 dicembre 2018, fermo restando che il “D.L.
Semplificazioni” (D.L. 14 dicembre 2018, n. 135), ai sensi
dell’art. 6 di tale provvedimento ha definitivamente abrogato
il SISTRI, a far tempo dal 1° gennaio 2019;
- D.P.C.M. 28 dicembre 2017, recante “Approvazione del
modello unico di dichiarazione ambientale per l’anno 2018”,
modificativo delle conformi disposizioni precedentemente in
vigore per le analoghe dichiarazioni relative agli anni 2016 e
2015.
Conseguentemente, la presentazione della Comunicazione
rifiuti speciali relativa al 2017 deve avvenire obbligatoriamente
in via telematica, (tramite il sito www.mudtelematico.it).
Soggetti
Soggetti che effettuano il trattamento di veicoli fuori uso
e relativi componenti e/o materiali; responsabili di
impianti di trattamento di veicoli fuori uso; esportatori
di veicoli fuori uso e relativi componenti
Adempimento
Presentazione alla CCIA competente per territorio della Comu-
nicazione Veicoli fuori uso relativa al 2017, concernente i dati
relativi ai veicoli fuori uso e i pertinenti materiali e componenti
sottoposti a trattamento, nonché i dati relativi ai materiali, ai
prodotti ed ai componenti ottenuti ed avviati al reimpiego, al
riciclaggio e al recupero.
Nell’ambito della Comunicazione Veicoli fuori uso specifiche
schede sono riservate alle attività di autodemolitore, di rotta-
matore e di frantumatore.
Riferimenti
- Legge 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, commi 1134 e 1135,
(Legge di bilancio 2018), che dispone la proroga di un anno del
c.d. regime binario per i soggetti tenuti all’adesione al SISTRI, e
cioè fino al 31 dicembre 2018, fermo restando che il “D.L.
Semplificazioni” (D.L. 14 dicembre 2018, n. 135), ai sensi
dell’art. 6 di tale provvedimento ha definitivamente abro-
gato il SISTRI, a far tempo dal 1° gennaio 2019;
- D.P.C.M. 28 dicembre 2017, recante “Approvazione del
modello unico di dichiarazione ambientale per l’anno 2018”,
modificativo delle conformi disposizioni precedentemente in
vigore per le analoghe dichiarazioni relative agli anni 2016 e
2015.
Conseguentemente, la presentazione della Comunicazione
rifiuti speciali relativa al 2017 deve avvenire obbligatoriamente
in via telematica, (tramite il sito www.mudtelematico.it).
N.B.: - I soggetti che effettuano attività di raccolta e trasporto
dei veicoli fuori uso e dei relativi componenti e materiali sono
tenuti alla presentazione della Comunicazione Rifiuti speciali e
non della Comunicazione Veicoli fuori uso.
- La presentazione da parte degli operatori sopra richiamati
deve avvenire obbligatoriamente in via telematica, tramite il
sito www.mudtelematico.it.
Soggetti
Consorzio nazionale imballaggi, e sistemi collettivi rico-
nosciuti, di cui all’art. 221, comma 3, lett. a), b) e c), D.Lgs.
n. 152/2006
242
Adempimento
Presentazione alla Sezione Nazionale del Catasto Rifiuti della
Comunicazione Imballaggi per il 2018, concernente i dati
relativi al quantitativo di imballaggi per ciascun materiale e
per tipo di imballaggio immesso sul mercato, nonché, per
ciascun materiale, la quantità degli imballaggi riutilizzati e dei
rifiuti di imballaggio riciclati e recuperati provenienti dal mer-
cato nazionale.
Riferimenti
- D.P.C.M. 28 dicembre 2017, recante “Approvazione del
modello unico di dichiarazione ambientale per l’anno 2018”,
modificativo delle conformi disposizioni precedentemente in
vigore per le analoghe dichiarazioni relative agli anni 2016 e 2015.
Conseguentemente, la presentazione della Comunicazione
rifiuti speciali relativa al 2018 deve avvenire obbligatoriamente
in via telematica, (tramite il sito www.mudtelematico.it).
Soggetti
Soggetti che effettuano operazioni di trattamento di Raee
e Centri di raccolta istituiti dai produttori o terzi che
agiscono in loro nome
Adempimento
Presentazione alla CCIA competente per territorio della Comu-
nicazione Raee relativa al 2018, concernente i dati relativi ai
rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche raccolti
(Centri di sola raccolta), trattati e/o esportati, ed ai materiali
derivanti da essi ed avviati al recupero, specificandone la
categoria di appartenenza ai sensi dell’Allegato 1-A, D.Lgs.
n. 151/2005, ed il peso; ovvero, indicandone il numero di pezzi,
qualora il peso non sia rilevabile.
Riferimenti
- Legge 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, commi 1134 e 1135,
(Legge di bilancio 2018), che dispone la proroga di un anno del
c.d. regime binario per i soggetti tenuti all’adesione al SISTRI, e
cioè fino al 31 dicembre 2018, fermo restando che il “D.L.
Semplificazioni” (D.L. 14 dicembre 2018, n. 135), ai sensi
dell’art. 6 di tale provvedimento ha definitivamente abro-
gato il SISTRI, a far tempo dal 1° gennaio 2019;
- D.P.C.M. 28 dicembre 2017, recante “Approvazione del
modello unico di dichiarazione ambientale per l’anno 2018”,
modificativo delle conformi disposizioni precedentemente in
vigore per le analoghe dichiarazioni relative agli anni 2016 e
2015.
Conseguentemente, la presentazione della Comunicazione
rifiuti speciali relativa al 2017 deve avvenire obbligatoriamente
in via telematica, (tramite il sito www.mudtelematico.it).
Soggetti
Produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche di
cui all’art. 3, comma 1, lett. m), D.Lgs. n. 151/2005
Adempimento
Presentazione al Comitato di vigilanza e controllo di cui all’art.
15, D.Lgs. n. 151/2005, con le modalità previste dalla Legge
n. 70/1994 della Comunicazione AEE relativa al 2018, concer-
nente, per ciascuna categoria di apparecchiature di cui agli
Allegati 1A e 1B del medesimo Decreto legislativo, i seguenti
dati e informazioni:
a. il numero e il peso effettivo o il solo peso effettivo delle
apparecchiature elettriche ed elettroniche immesse sul mer-
cato nell’anno solare precedente (2018), suddivise - salvo che
per le apparecchiature di illuminazione - tra apparecchiature
domestiche e professionali;
Ambiente & sviluppo 3/2019

b. il peso delle apparecchiature elettriche ed elettroniche
raccolte attraverso tutti i canali, reimpiegate, riciclate e recu-
perate nell’anno solare precedente (2018).
Riferimenti
- D.Lgs. 30 maggio 2005, n. 151, art. 13, commi 6 e 7;
- D.M. 25 settembre 2007, n. 185, art. 6, comma 1;
- D.P.C.M. 28 dicembre 2017, art. 1.
N.B. Sono produttori di AEE i seguenti soggetti:
- chiunque fabbrica e vende AEE col proprio marchio;
- chiunque rivende con proprio marchio AEE prodotte da altri;
- chiunque importa o immette per primo sul mercato AEE;
- chiunque produce AEE destinate esclusivamente
all’esportazione.
La presentazione della Comunicazione AEE relativa al 2018
da parte degli operatori sopra richiamati deve avvenire
obbligatoriamente in via telematica, attraverso il portale
www.impresa.gov.it oppure tramite il sito www.regi-
stroaee.it.
Soggetti
Gestori di impianti di discarica e di incenerimento rifiuti
senza recupero d’energia nonché di impianti di inceneri-
mento con recupero di energia, che non abbiano potuto
conseguire lo status di impianti di recupero energetico, di
cui all’operazione R1
Adempimento
Versamento alla Regione in cui è ubicato l’impianto, nel
rispetto della prescritta cadenza trimestrale, del tributo
speciale per il deposito in discarica dei rifiuti o in impianti
di incenerimento senza recupero di energia, riferito al
trimestre 1° gennaio 2019-31 marzo 2019, istituito dalla
Legge n. 549/1995, come da ultimo modificata dagli artt.
34 e 35 della Legge n. 221/2015, che, nel confermare
l’applicazione del predetto tributo in misura ridotta, in
caso di rifiuti costituiti da scarti e sovvalli di impianti di
selezione automatica, riciclaggio e compostaggio, nonché
fanghi anche palabili, conferiti ad impianti d’inceneri-
mento senza recupero di energia, estendono l’assogget-
tamento al tributo di che trattasi, con la medesima
riduzione, a questi ultimi rifiuti speciali, anche se conferiti
ad impianti di incenerimento dotati di dispositivi di
recupero d’energia, che non abbiano però conseguito
lo “status” di impianti di recupero energetico di cui
all’”operazione R1”.
Riferimenti
- Legge 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, commi 24, 25 e 40;
- Legge 28 dicembre 2015, n. 221, commi 34 e 35.
Soggetti
Imprese iscritte all’Albo nazionale delle imprese che effet-
tuano la gestione dei rifiuti
Adempimento
Versamento alla Sezione regionale dell’Albo delle imprese che
effettuano la gestione dei rifiuti del diritto annuale d’iscrizione
all’Albo medesimo.
Riferimenti
- D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 212, comma 16;
- D.M. 28 aprile 1998, n. 406.
Soggetti
Imprese che svolgono attività di recupero di rifiuti in
regime semplificato (o di auto-smaltimento)
Ambiente & sviluppo 3/2019
Agenda
Scadenzario e Memoranda
Adempimento
Versamento alla Provincia territorialmente competente del
diritto annuale d’iscrizione all’apposito Albo tenuto dalla Pro-
vincia medesima ai sensi dell’art. 216, comma 3 (o dell’art.
215, comma 3), D.Lgs. n. 152/2006.
Riferimenti
- D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 214, comma 6;
- D.M. 21 luglio 1998, n. 350, art. 3.
Soggetti
Imprese esercenti attività di vendita di energia elettrica
Adempimento
Messa in disponibilità ai propri utenti finali, con cadenza
almeno quadrimestrale, delle informazioni relative al mix ener-
getico dell’energia elettrica venduta nel biennio precedente
con riferimento a ciascuno dei due anni in questione, riportan-
doli nei documenti di fatturazione inviati ai clienti.
N.B. Le informazioni di cui sopra vanno riportate secondo il
formato proposto dallo schema riportato all’Allegato I, punto
c), D.M. 31 luglio 2009.
Riferimenti
- D.M. 31 luglio 2009, art. 2, comma 2.
Soggetti
Soggetti che nel corso dell’anno solare precedente
abbiano avuto un consumo di energia > 10.000 Tep, se
operanti nel settore industriale, ovvero > 1000 Tep, se
operanti nei settori civile, terziario e dei trasporti
Adempimento
Invio al Ministero dell’Industria della comunicazione annuale
col nominativo del tecnico designato dall’ente o impresa per
l’esercizio delle funzioni di Responsabile per la conservazione
e l’uso razionale dell’energia (Energy manager) per l’anno
2019.
Riferimenti
- Legge 9 gennaio 1991, n. 10, art. 19.
Soggetti
Gestori dei depositi fiscali che importano benzina e com-
bustibile diesel nonché degli impianti di produzione sog-
getti al monitoraggio di cui al D.M. 3 febbraio 2005
Adempimento
Invio all’ISPRA di comunicazione annuale, per l’anno solare
precedente, riguardante i dati di cui all’art. 1, comma 2, D.M. 3
febbraio 2005, relativi a ciascun tipo e grado di combustibile
prodotto o importato, e destinato alla commercializzazione,
con l’indicazione dei volumi di combustibile cui i predetti dati
sono riferiti, nonché la certificazione o la perizia giurata di cui
all’art. 1, comma 4 del medesimo provvedimento.
Riferimenti
- D.M. 3 febbraio 2005, art. 3, comma 2.
Soggetti
Gestori di impianti di incenerimento e coincenerimento
di rifiuti
Adempimento
Effettuazione con cadenza [almeno] quadrimestrale del con-
trollo delle emissioni relative agli inquinanti di cui all’Allegato 1,
paragrafo A, punti 3 e 4, del Titolo III-bis del D.Lgs. n. 152/2006,
come modificato dal D.Lgs. n. 46/2014, nonché gli altri
243
Agenda
Scadenzario e Memoranda
inquinanti, per i quali l’autorità competente abbia prescritto
misurazioni periodiche.
Riferimenti
- D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 237-quaterdecies, comma 7;
- Allegato 1, Titolo III-bis, Parte IV, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152,
come modificato dal D.Lgs. n. 46/2014, par. A, punti 3 e 4.
Soggetti
Gestori di impianti di incenerimento e coincenerimento
di rifiuti con potenzialità ≥ 2 ton/h
Adempimento
Predisposizione e invio all’autorità competente di una rela-
zione annuale relativa al funzionamento ed alla sorveglianza
dell’impianto, comprensiva di informazioni sull’andamento del
processo, e dell’entità delle emissioni in atmosfera e nelle
acque, rispetto alle prescrizioni normative.
Riferimenti
D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 237-septiesdecies, comma 5.
Soggetti
Gestori di impianti assoggettati al regime di emission
trading di cui al D.Lgs. n. 30/2013
Adempimento
Assolvimento dell’obbligazione annuale relativa alla resti-
tuzione di quote di emissione di CO2 annotate sul Registro
Nazionale delle emissioni, in numero pari alle emissioni
totali di tale impianto nel corso dell’anno civile precedente,
come verificate conformemente alle disposizioni sulle
verifiche.
Riferimenti
- D.Lgs. 13 marzo 2013, n. 30, art. 32, comma 3.
Soggetti
Soggetti concessionari e/o Enti Locali che hanno gestito
il vigente prelievo per il servizio relativo alla gestione
del ciclo dei rifiuti urbani
Adempimento
Comunicazione, per via telematica, all’Agenzia delle entrate,
dei dati relativi agli utenti, acquisiti nell’attività di gestione il
servizio di gestione dei rifiuti urbani, con particolare riferi-
mento ai seguenti aspetti:
- dati identificativi del soggetto che gestisce il servizio di
smaltimento rifiuti (denominazione, codice fiscale);
- dati identificativi (denominazione, codice fiscale) dell’occu-
pante-detentore dell’immobile;
- dati relativi all’immobile occupato o detenuto.
Riferimenti
- Disposizione del Direttore dell’Agenzia delle entrate 14
dicembre 2007 e smi.
Soggetti
Comuni, Consorzi di Comuni e Comunità Montane
Adempimento
Presentazione alla CCIA competente per territorio della Comu-
nicazione Rifiuti urbani e assimilati, relativa ai seguenti dati e
informazioni, riferiti all’anno solare 2018:
a) la quantità dei rifiuti urbani raccolti nel proprio territorio;
b) la quantità dei rifiuti speciali raccolti nel proprio territorio a
seguito di apposita convenzione con soggetti pubblici o privati;
244
c) i soggetti che hanno provveduto alla gestione dei rifiuti,
specificando le operazioni svolte, le tipologie e la quantità dei
rifiuti gestiti da ciascuno;
d) i costi di gestione e di ammortamento tecnico e finanziario
degli investimenti per le attività di gestione dei rifiuti, nonché i
proventi della tariffa di cui all’art. 238 ed i proventi provenienti
dai Consorzi finalizzati al recupero dei rifiuti;
e) i dati relativi alla raccolta differenziata;
f) le quantità raccolte, suddivise per materiali, in attuazione
degli accordi con i Consorzi finalizzati al recupero dei rifiuti.
Riferimenti
- D.P.C.M. 28 dicembre 2017, recante “Approvazione del
modello unico di dichiarazione ambientale per l’anno 2018”,
modificativo delle conformi disposizioni precedentemente in
vigore per le analoghe dichiarazioni relative agli anni 2016 e 2015.
Soggetti
Regioni e Province autonome
Adempimento
Trasmissione all’ISPRA e al Ministero dell’Ambiente, ai sensi
del D.M. 18 settembre 2002 “Modalità di informazione sullo
stato di qualità delle acque”, tuttora vigente in forza delle
norme transitorie di cui all’art. 170, D.Lgs. n. 152/2006, del-
l’aggiornamento annuale dei seguenti dati e informazioni pre-
visti dall’Allegato al predetto Decreto ministeriale:
• Settore 1 - Acque a specifica destinazione - Parte C - Acque
dolci idonee alla vita dei pesci, Scheda n. 4 “Individuazione del
corpo idrico, monitoraggio e programmi di miglioramento -
FIUMI”; n. 4.1 “Individuazione del corpo idrico, monitoraggio
e programmi di miglioramento - LAGHI”;
• Settore 1 - Acque a specifica destinazione - Parte D - Acque
destinate alla vita dei molluschi, Scheda n. 5 “Individuazione del
corpo idrico, monitoraggio e programmi di miglioramento”.
Riferimenti
- D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 118, comma 2 e art. 120;
- Allegato al D.M. 18 settembre 2002.
Soggetti
Regioni e Province autonome
Adempimento
Trasmissione al Ministero dell’Ambiente, ai sensi dell’art. 298-
bis, comma 4, D.Lgs. n.152/2006 (Parte Quinta-bis), del Rap-
porto annuale riferito ai controlli di cui al comma 3 del mede-
simo art. 298-bis, sulle emissioni nelle acque e in atmosfera,
nonché sugli stoccaggi e sulle lavorazioni, eseguiti nel 2017
presso le installazioni e gli stabilimenti che producono biossido
di titanio.
Tale Rapporto, elaborato sulla base dell’attività di controllo di cui
sopra, integrato dai dati di cui alle Comunicazioni effettuate nei
confronti delle Regioni e Province autonome ai sensi dell’art.
298-bis, comma 6, dai gestori degli stabilimenti interessati al 31
marzo precedente, deve contenere, per ciascuna risorsa
ambientale interferita e ogni attività controllata, - secondo quanto
disposto dall’art. 298-bis, comma 5, almeno i seguenti elementi
e informazioni:
a) una descrizione del luogo di campionamento e delle sue
caratteristiche permanenti, unitamente ad altre notizie di tipo
amministrativo e geografico;
b) l’indicazione dei metodi di campionamento e analisi usati;
c) i risultati delle analisi;
d) le modifiche apportate alla frequenza di campionamento e di
analisi ed al luogo di campionamento.
Ambiente & sviluppo 3/2019

Riferimenti
- D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 298-bis, comma 4;
- D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 298-bis, commi 3 e 5.
Soggetti
Regioni e Province autonome
Adempimento
Trasmissione al Ministero dell’Ambiente della relazione men-
sile sul monitoraggio del rumore aeroportuale notturno previ-
sta dal D.P.R. 9 novembre 1999, n. 476, con la finalità di
verificare la conformità ai requisiti stabiliti ai sensi della Con-
venzione di Chicago da parte degli aeromobili adibiti ai voli
notturni.
Riferimenti
- D.P.R. 9 novembre 1999, n. 476, art. 1, comma 7.
Soggetti
Regioni e Province autonome (o, per delega, Agenzie
Regionali Protezione Ambiente)
Adempimento
Trasmissione con cadenza annuale all’ISPRA dei dati e delle
informazioni necessari ai fini dell’applicazione del sistema di
scambio reciproco previsto dalla decisione della Commissione
europea n. 97/101/Ce del 27 gennaio 1997.
Riferimenti
- D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 155, art. 19, comma 17.
N.B. Tale trasmissione ha ad oggetto i dati rilevati dalle stazioni
di misurazione previste nei relativi programmi di valutazione,
nonché le correlate informazioni.
Soggetti
Regioni
Adempimento
Definizione, per ogni “acqua di balneazione” individuata ai
sensi del D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116, del programma
annuale di monitoraggio dei parametri indicati nell’Allegato I,
colonna A del medesimo provvedimento.
Riferimenti
- D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116, art. 6, commi 2 e 4.
Soggetti
Regioni
Adempimento
Invio al Ministero dell’Ambiente con cadenza annuale delle
informazioni relative alle cause di non balneabilità di eventuali
acque dichiarate non balenabili nel territorio di propria compe-
tenza, nonché alle misure che s’intendono adottare.
Ambiente & sviluppo 3/2019
Agenda
Scadenzario e Memoranda
Riferimenti
- D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 83, comma 2;
- D.P.R. 9 novembre 1999, n. 476, art. 1, comma 7.
MEMORANDA: MARZO - APRILE 2019
INCENTIVAZIONE DELLA MOBILITÀ SOSTENIBILE - INFRASTRUTTURE
DI RICARICA PER I VEICOLI ALIMENTATI A ENERGIA ELETTRICA
1° MARZO 2019
Riconoscimento di una detrazione fiscale per
l’acquisto e la posa in opera di colonnine di rica-
rica per veicoli elettrici
Oggetto
A far tempo dalla data sopra indicata, e fino al 31 dicembre
2021, ai sensi dell’art.1, comma 1039, Legge n. 145/2018
(Legge finanziaria per il 2019), in forza dell’inserimento dell’art.
16-ter nell’articolato del D.L. n. 63/2013, convertito nella
Legge n. 90/2013, a fronte delle spese sostenute dai contri-
buenti in tale arco temporale per l’acquisto e l’installazione di
colonnine di ricarica per veicoli elettrici, viene riconosciuta una
detrazione fiscale, fino alla concorrenza dell’intero importo,
secondo modalità da definire con successivo decreto
ministeriale.
INCENTIVAZIONE DELLA MOBILITÀ SOSTENIBILE - PENALIZZAZIONE
FISCALE A DANNO DELLE AUTOMOBILI NUOVE CHE DIANO LUOGO
A OLTRE 160 G/KM DI CO2
Istituzione dell’imposta sulle autovetture nuove
acquistate, anche in locazione finanziaria, ad
elevate emissioni di anidride carbonica
Oggetto
A far tempo dalla data sopra indicata, e fino al 31 dicembre
2021, ai sensi dell’art.1, comma 1042, Legge n. 145/2018
(Legge finanziaria per il 2019), gli acquirenti di autoveicoli
nuovi (Cat. M1) che diano luogo ad emissioni di CO2 eccedenti
i 160 g/km, sono assoggettati a un’imposta parametrata all’en-
tità delle emissioni di anidride carbonica, espresse in g/km
di CO2.
N.B.: Stanti le polemiche suscitate, anche in relazione alle
ricadute negative sul mercato automobilistico e persino sul
PIL, sebbene definitivamente entrata in vigore il 1° gennaio
2019 la disposizione di cui all’art. 1, comma 1042, Legge
n. 145/2018 sarà presumibilmente abrogata prima della sua
messa in applicazione.
245

Finanziamenti ambientali
a cura di Bruno Pagamici
FINANZIAMENTI NAZIONALI
ITALIA
Sabatini ter
Scadenza a sportello
Oggetto
Dal 7 febbraio 2019 ha riaperto lo sportello agevolativo della
Sabatini ter, il meccanismo agevolativo che prevede la con-
cessione di contributi da parte del Ministero dello Sviluppo
Economico su finanziamenti destinati all’acquisto di nuovi
macchinari, impianti e attrezzature.
Destinatari
Potranno accedere alle agevolazioni le micro, piccole e medie
imprese (PMI), anche dei settori agricoltura e pesca, che, alla
data di presentazione della domanda, sono in possesso dei
seguenti requisiti:
• essere regolarmente costituite ed iscritte nel Registro delle
imprese, ovvero nel registro delle imprese di pesca;
• essere nel pieno e libero esercizio dei propri diritti, non sono
in liquidazione volontaria o sottoposte a procedure concorsuali;
• non rientrare tra i soggetti che hanno ricevuto e, successi-
vamente, non rimborsato o depositato in un conto bloccato gli
aiuti individuati quali illegali o incompatibili dalla Commissione
europea;
• non essere in condizioni tali da risultare “imprese in diffi-
coltà, ai sensi dei Regolamenti comunitari n. 651/2014, n. 702/
2014 e n. 1338/2014.
Saranno ammesse anche le imprese estere, con sede in uno
Stato membro e che alla data di presentazione della domanda
non hanno una sede operativa in Italia. In tal caso, le imprese
proponenti, pena la revoca delle agevolazioni concesse,
dovranno provvedere all’apertura della predetta sede opera-
tiva entro il termine massimo consentito per l’ultimazione
dell’investimento.
Obiettivi
Saranno agevolate le seguenti tipologie di investimenti (anche
in leasing finanziario):
• investimenti ordinari: investimenti riguardanti l’acquisto, o
l’acquisizione nel caso di operazioni di leasing finanziario, di
macchinari, impianti, beni strumentali di impresa, attrezzature
nuovi di fabbrica ad uso produttivo, classificabili, nell’attivo
dello stato patrimoniale, alle voci B.II.2, B.II.3 e B.II.4, dell’art.
2424 cod.civ.;
• investimenti Industria 4.0. In tale ambito rientrano i seguenti
beni:
- componenti, sistemi e soluzioni intelligenti per la gestione,
l’utilizzo efficiente e il monitoraggio dei consumi energetici e
idrici e per la riduzione delle emissioni;
- filtri e sistemi di trattamento e recupero di acqua, aria, olio,
sostanze chimiche e organiche, polveri con sistemi di segna-
lazione dell’efficienza filtrante e della presenza di anomalie o
sostanze aliene al processo o pericolose, integrate con il
sistema di fabbrica e in grado di avvisare gli operatori e/o di
fermare le attività di macchine e impianti;
Ambiente & sviluppo 3/2019
Agenda
Finanziamenti ambientali
- macchine utensili di de-produzione e riconfezionamento per
recuperare materiali e funzioni da scarti industriali e prodotti di
ritorno a fine vita (ad esempio macchine per il disassemblag-
gio, la separazione, la frantumazione, il recupero chimico);
- dispositivi intelligenti per il test delle polveri metalliche e
sistemi di monitoraggio in continuo che consentono di qualifi-
care i processi di produzione mediante tecnologie additive.
Sarà ritenuto ammissibile l’acquisto, ovvero l’acquisizione in
leasing, di beni strumentali che, presi singolarmente ovvero
nel loro insieme, presentano un’autonomia funzionale, non
essendo ammesso il finanziamento di componenti o parti di
macchinari che non soddisfano il suddetto requisito, fatti
salvi gli investimenti in beni strumentali che integrano con
nuovi moduli l’impianto o il macchinario preesistente, intro-
ducendo una nuova funzionalità nell’ambito del ciclo produt-
tivo dell’impresa.
Gli investimenti dovranno:
• essere destinati a strutture produttive, già esistenti o da
impiantare, ovunque localizzate nel territorio nazionale;
• essere destinati ad uso produttivo, correlati all’attività svolta
dall’impresa;
• essere ubicati presso l’unità locale dell’impresa in cui è
realizzato l’investimento;
• essere avviati successivamente alla data di trasmissione, a
mezzo PEC, della domanda di accesso alle agevolazioni. Per
avvio degli investimenti s’intende, a seconda di quale condi-
zione si verifichi prima, la data di inizio dei lavori di costruzione
relativi agli investimenti oppure la data del primo impegno
giuridicamente vincolante ad ordinare attrezzature o di qual-
siasi altro impegno che renda irreversibili gli investimenti;
• essere conclusi entro il periodo massimo di 12 mesi dalla
data di stipula del contratto di finanziamento, pena la revoca
dell’agevolazione. A tale fine è presa in considerazione la data
dell’ultimo titolo di spesa riferito all’investimento o, nel caso di
operazione di leasing finanziario, la data dell’ultimo verbale di
consegna dei beni.
Agevolazioni
Il contributo ministeriale copre parte degli interessi su finanzia-
menti bancari o in leasing finanziario, erogati da una banca/
società di leasing aderente alla misura (l’elenco è pubblicato
sul sito del Ministero dello Sviluppo Economico, www.mise.
gov.it), aventi le seguenti caratteristiche:
• essere deliberati a copertura degli investimenti e fino al
100% degli stessi;
• avere durata massima, comprensiva di un periodo di pream-
mortamento o di prelocazione non superiore a 12 mesi, di 5
anni decorrenti dalla data di stipula del contratto di finanzia-
mento ovvero, nel caso di leasing finanziario, decorrenti dalla
data di consegna del bene o alla data di collaudo se successiva.
Qualora la fornitura in leasing finanziario riguardi una pluralità di
beni, la durata massima decorre dalla data di consegna del-
l’ultimo bene, ovvero alla data di collaudo, se successiva;
• essere deliberati per un valore non inferiore a 20.000 euro e
non superiore a 2 milioni di euro, anche se frazionato in più
iniziative di acquisto, per ciascuna impresa beneficiaria;
• essere erogati in un’unica soluzione, entro 30 giorni dalla
stipula del contratto di finanziamento ovvero, nel caso di
247
Agenda
Finanziamenti ambientali
leasing finanziario, essere erogato al fornitore entro 30 giorni
dalla data di consegna del bene ovvero alla data di collaudo se
successiva. Qualora la fornitura in leasing finanziario riguardi
una pluralità di beni, l’erogazione avviene in più soluzioni, entro
30 giorni dalla data di consegna di ciascun bene;
• in caso di leasing finanziario, l’impresa locataria dovrà eser-
citare anticipatamente, al momento della stipula del contratto,
l’opzione di acquisto prevista dal contratto medesimo, i cui
effetti decorrono dal termine di locazione finanziaria, fermo
restando l’adempimento di tutte le obbligazioni contrattuali.
La concessione dei finanziamenti potrà essere assistita, fino
all’80% del loro ammontare, dal Fondo di garanzia per le PMI.
Il contributo concesso dal Ministero dello Sviluppo Economico
sarà pari al valore degli interessi calcolati, in via convenzionale,
su un finanziamento della durata di 5 anni e di importo uguale
all’investimento, ad un tasso d’interesse annuo pari al:
• 2,75% per gli investimenti ordinari;
• 3,575% per gli investimenti Industria 4.0.
Presentazione domande
La domanda di contributo dovrà essere presentata, unica-
mente attraverso la PEC dell’impresa o di un suo procuratore
speciale, alla banca/società di leasing scelta tra quelle aderenti
alla misura (la scelta effettuata non potrà essere modificata
successivamente), unitamente alla richiesta di finanziamento.
L’istanza dovrà essere compilata dall’impresa in formato elet-
tronico utilizzando l’ultima versione del modulo resa disponi-
bile nella sezione del Ministero dello Sviluppo Economico
“Beni strumentali (Nuova Sabatini)” (www.mise.gov.it).
La domanda dovrà essere corredata:
• nel caso in cui l’impresa sia associata/collegata: prospetto
recante i dati per il calcolo della dimensione d’impresa, secondo
quanto previsto nel Decreto ministeriale 18 aprile 2005, pub-
blicato nella Gazzetta Ufficiale n. 238 del 12 ottobre 2005,
redatto utilizzando il “Prospetto per il calcolo dei parametri
dimensionali” disponibile nella sezione “Beni strumentali
(Nuova Sabatini)” del sito www.mise.gov.it;
• nel caso in cui il contributo sia superiore a 150.000 euro:
dalla/e dichiarazione/i in merito ai dati necessari per la richiesta
delle informazioni antimafia per i soggetti sottoposti alla veri-
fica di cui all’art. 85, D.Lgs. n. 159/2011 e ss.mm.ii., nei casi
previsti dallo stesso Decreto legislativo, resa/e utilizzando i
modelli disponibili nella sezione “Beni Strumentali (Nuova
Sabatini)” del sito www.mise.gov.it.
A seguito della semplificazione apportata dalla circ. 3 agosto
2018, n. 269210, nel caso in cui il modulo di domanda sia
sottoscritto dal procuratore dell’impresa, non è più necessario
allegare copia dell’atto di procura e del documento di identità
del soggetto che rilascia la procura.
Gli investimenti previsti nella domanda di agevolazione
dovranno fare riferimento ad una sola unità produttiva. Qualora
la PMI voglia effettuare investimenti riferiti a più unità produt-
tive dovrà presentare per ogni unità produttiva una diversa
domanda di agevolazione.
Le imprese hanno diritto alle agevolazioni esclusivamente nei
limiti delle disponibilità finanziarie. Il Ministero dello Sviluppo
Economico comunicherà, mediante avviso pubblicato nel pro-
prio sito internet (www.mise.gov.it) nonché nella Gazzetta
Ufficiale, l’avvenuto esaurimento delle risorse disponibili e la
chiusura dello sportello per la presentazione delle domande.
Riferimenti
- Decreto Legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modi-
ficazioni, dalla Legge 9 agosto 2013, n. 98, art.2;
248
- Decreto Legge 24 gennaio 2015, n. 3, convertito, con modi-
ficazioni, dalla Legge 24 marzo 2015, n. 33, art.8, commi 1 e 2;
- Legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Legge di Bilancio 2017), art.
1, commi 52-57;
- Legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Legge di Bilancio 2018),
art.1, commi 40 ss.;
- Decreto del Ministro dello Sviluppo Economico, di concerto
con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, 25 gennaio 2016,
Gazzetta Ufficiale 10 marzo 2016, n. 58: approvazione moda-
lità di attuazione;
- Circolari del Ministero dello Sviluppo Economico 15 febbraio
2017, n. 14036, 24 febbraio 2017, n.17677, 9 marzo 2017,
n. 22504, 31 luglio 2017, n. 95925, 3 agosto 2018, n. 269210:
termini e modalità di presentazione delle domande per la
concessione e l’erogazione del contributo;
- Legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Legge di Bilancio 2019),
art.1, comma 200;
- Decreto direttoriale 28 gennaio 2019, n. 1338, Gazzetta
Ufficiale 7 febbraio 2019, n. 32: riapertura sportello presenta-
zione domande.
FINANZIAMENTI REGIONALI
ABRUZZO
Contributi per la produzione di energia da fonti
rinnovabili e l’efficientamento energetico
8 aprile 2019
Oggetto
Dalla Regione Abruzzo 10 milioni di euro per la realizzazione ed
installazione di impianti per la produzione di energia da fonti
rinnovabili e per l’efficientamento energetico di edifici e sedi di
attività produttive.
Le risorse sono messe a disposizione dal bando relativo alla
Linea di azione 4.2.1 del POR FESR 2014-2020, varato con
Determinazione n. 49/DPG015 dell’8 febbraio 2019.
Destinatari
Il bando è aperto alle imprese del settore privato, in possesso,
tra gli altri, dei seguenti requisiti:
• avere la sede operativa nel territorio della regione Abruzzo
entro la data della prima erogazione dell'agevolazione;
• essere regolarmente costituite e risultare iscritte nel Regi-
stro delle imprese come attive da almeno il 1° gennaio 2017; le
imprese non residenti nel territorio italiano dovranno essere
costituite secondo le norme del diritto civile e commerciale
vigenti nello Stato di residenza dell’Unione europea e iscritte
nel relativo Registro delle imprese;
• esercitare un’attività economica rientrante in una delle
seguenti sezioni della classificazione delle attività economiche
(ATECO 2007): B, C, D, E, F, G, H, I, S (per il dettaglio di codici
ammessi si rimanda all’Allegato V del bando). Al fine di verifi-
care l’appartenenza a uno dei codici ISTAT ATECO 2007
ammissibili, si dovrà fare riferimento esclusivamente al codice
dell’unità operativa in cui si realizza l’intervento (la Regione
Abruzzo provvede direttamente all’acquisizione della visura
camerale aggiornata dell’impresa, per la verifica dell’attività
svolta e di quanto dichiarato/autocertificato dalla stessa);
• non trovarsi in stato di fallimento, liquidazione coatta, di
concordato preventivo, o nei cui confronti non sia in corso un
procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni.
Con riguardo alla dimensione delle imprese:
Ambiente & sviluppo 3/2019

• per interventi di efficientamento energetico (Linea 1) e di
produzione di energia da fonti rinnovabili (Linea 3), saranno
ammesse le PMI;
• per interventi di co/trigenerazione (Linea 2), saranno
ammesse le grandi imprese.
Obiettivi
Saranno agevolati progetti afferenti ad una delle seguenti
Linee di intervento:
• Linea 1: Efficientamento dei sistemi produttivi e delle strut-
ture delle PMI:
- rifasamento elettrico;
- introduzione/sostituzione di motori, pompe, inverter, com-
pressori o gruppi frigoriferi secondo le migliori tecnologie
disponibili sul mercato;
- coibentazioni compatibili con i processi produttivi;
- recupero calore di processo da forni, trasformatori, motori o
da altre apparecchiature;
- sistemi di ottimizzazione del ciclo vapore;
- isolamento dell’involucro opaco dell’edificio: pareti laterali
esterne/interne (es. rivestimento a cappotto) o di quelle a
contatto con zone non riscaldate, comprese le coperture,
ovvero di tutte le superfici opache disperdenti;
- sostituzione di serramenti ed infissi e/o delle superfici
vetrate;
- sostituzione di impianti di riscaldamento/raffrescamento
con impianti alimentati da caldaie a gas a condensazione
o con impianti alimentati da pompe di calore ad alta
efficienza;
- sostituzione di scaldacqua tradizionali con scaldacqua a
pompa di calore o a collettore solare per la produzione di
acqua calda sanitaria, integrati o meno nel sistema di riscalda-
mento dell’immobile;
- sistemi di building automation e sistemi di controllo per
l’illuminazione e la climatizzazione interna mediante timer,
sensori di luminosità, presenza, movimento, concentrazione
di umidità, CO2 o inquinanti;
- sistemi di climatizzazione passiva (sistemi di ombreggiatura,
filtraggio dell’irradiazione solare, sistemi di accumulo, serre
solari, sistemi trasporto luce naturale, ecc.)
• Linea 2 - Impianti di co/trigenerazione da parte delle grandi
imprese: sarà agevolata la realizzazione di impianti di co/trige-
nerazione anche alimentate da fonti energetiche rinnova-
bili (FER);
• Linea 3 - Impianti di produzione di energia da fonti energeti-
che rinnovabili delle PMI:
- impianti fotovoltaici integrati nell’involucro edilizio;
- impianti mini-eolici ubicati all'interno dell'unità produttiva;
- impianti idroelettrici;
- generatori alimentati da biomassa non derivante da colture
alimentari (i biocarburanti da residui, anche residui di derrate
alimentari, sono considerati biocarburanti di seconda
generazione);
- impianti geotermoelettrici;
- solare termodinamico.
Saranno finanziabili esclusivamente impianti destinati all'au-
toconsumo nell'unità operativa. A tal fine, il dimensionamento
degli impianti finanziabili (efficientamento, co/trigenerazione e
FER) dovrà essere correlato al fabbisogno annuale della sede
oggetto dell’intervento, calcolato come media del triennio
precedente (2015-2017), con un incremento massimo della
potenza pari al 20% (nel caso di eccedenza, l’intero impianto
non sarà ritenuto ammissibile).
Saranno ammesse le spese sostenute (e pagate) successiva-
mente alla data di presentazione della domanda ed entro la data di
Ambiente & sviluppo 3/2019
Agenda
Finanziamenti ambientali
conclusione del progetto. Il progetto finanziato dovrà essere
terminato entro 18 mesi dalla data di pubblicazione della gradua-
toria sul Bollettino Ufficiale della Regione Abruzzo, salvo even-
tuali proroghe, autorizzate dalla Regione previa richiesta
adeguatamente motivata, di durata complessiva non superiore
a 6 mesi.
L’ammontare complessivo di ciascun progetto presentato
non dovrà essere inferiore a 25.000 euro di spesa ammissibile
(tale livello minimo di spesa dovrà essere comunque rispettato
anche nel caso di eventuale riduzione dell’investimento in
sede di rendicontazione).
Agevolazioni
Il contributo regionale massimo concedibile in favore di cia-
scuna impresa sarà pari a:
• 300.000 euro per interventi di efficientamento energetico
(Linea 1) e di produzione di energia da fonti rinnovabili (Linea 3);
• 1.500.000 euro per interventi di co/trigenerazione (Linea 2).
L’intensità dell’aiuto varia a seconda dell’intervento attuato e
della dimensione dell’impresa.
Presentazione domande
Le domande dovranno essere presentate entro l’8 aprile 2019
(ore 12.00), esclusivamente attraverso la piattaforma telema-
tica presente all'indirizzo http://app.regione.abruzzo.it/avvisi-
pubblici/.
Le imprese che intendono attuare investimenti su più unità
operative dovranno presentare distinte domande, una per ogni
unità operativa.
Riferimenti
- POR FESR Abruzzo 2014-2020, Linea di azione 4.2.1;
- Determinazione 8 febbraio 2019 n. 49/DPG015, BUR Spe-
ciale 22 febbraio 2019 n. 29: approvazione bando.
LOMBARDIA
Aiuti alle imprese agricole per la tutela
ambientale
8 aprile 2019
Oggetto
La regione Lombardia, attraverso il bando relativo all’Opera-
zione 4.1.01 del Programma di Sviluppo Rurale 2014-2020,
concede contributi alle imprese agricole per investimenti a fini
ambientali e di risparmio energetico.
Destinatari
Saranno ammessi i seguenti soggetti, che alla data di presen-
tazione della domanda siano in possesso dell’attestato della
qualifica di IAP (imprenditore agricolo professionale), anche
sotto condizione, rilasciato dall’ente competente:
• imprenditori individuali;
• società agricole di persone, di capitali e cooperative.
Obiettivi
Verranno incentivati investimenti finalizzati al miglioramento
ambientale, quali:
• ristrutturazione, restauro o risanamento conservativo di
edifici rurali e manufatti esistenti a fini produttivi dell’azienda
agricola, che ottengono la certificazione energetica di classe
A1, A2, A3, A4 (di cui al Decreto della Direzione Generale
Ambiente, energia e sviluppo sostenibile, del 30 luglio 2015,
n. 6480 e s.m.i.), destinati: all’allevamento e condizionati; alla
conservazione e condizionati; alla trasformazione; alla vendita
diretta dei prodotti aziendali;
249
Agenda
Finanziamenti ambientali
• acquisto di macchine e attrezzature che favoriscono la
riduzione delle quantità di fertilizzanti e/o prodotti fitosanitari
applicate;
• costruzione di nuovi edifici rurali e manufatti a fini produttivi
dell’azienda agricola, che ottengono la certificazione energe-
tica almeno di classe A1, A2, A3, A4 (di cui al Decreto della
Direzione Generale Ambiente, energia e sviluppo sostenibile,
del 30 luglio 2015, n. 6480 e s.m.i.), destinati: all’allevamento e
condizionati; alla conservazione e condizionati; alla trasforma-
zione; alla vendita diretta dei prodotti aziendali;
• introduzione di “scrubber”, biofiltri e/o apparecchiature
analoghe, che riducono l’emissione ammoniacale dalle strut-
ture di allevamento esistenti;
• realizzazione di interventi di recupero dell’acqua piovana da
superfici captanti (tetti e serre) per il successivo riutilizzo
nell’ambito dei processi aziendali;
• realizzazione di sistemi di protezione delle colture dai paras-
siti con l’impiego di reti anti insetto;
• acquisto di macchine e attrezzature aziendali per l’introdu-
zione in azienda e/o il miglioramento delle tecniche colturali di
minima lavorazione e/o semina su sodo;
• acquisto di impianti di essiccazione per cereali dotati di
dispositivi finalizzati alla riduzione delle emissioni in atmosfera
di inquinanti e gas serra (dispositivi per evitare il contatto tra i
gas di combustione e il prodotto in essiccazione; dispositivi per
il recupero dell’energia termica proveniente da altri impianti
presenti in azienda; dispositivi per il funzionamento in depres-
sione, serrande di intercettazione che bloccano il flusso del-
l’aria durante la fase di scarico);
• costruzione di nuove serre con caratteristiche tecnologiche
innovative finalizzate al risparmio energetico aziendale: vetri
con intercapedine e filtri per radiazione solare;
• realizzazione di impianti finalizzati al recupero del calore nei
processi aziendali;
• realizzazione di coperture delle strutture di stoccaggio esi-
stenti degli effluenti zootecnici;
• realizzazione di impianti di riduzione dell’azoto degli
effluenti zootecnici;
• realizzazione di impianti e/o acquisto di attrezzature che
consentono una migliore gestione dell’azoto presente negli
effluenti di allevamento, ad esempio: distribuzione rasoterra o
interrata, anche con subirrigazione;
• realizzazione di impianti e/o acquisto di attrezzature che
consentono una migliore gestione dell'azoto presente negli
effluenti di allevamento, ad esempio: distribuzione rasoterra o
interrata, anche con subirrigazione; tecniche di separazione
solido-liquido;
• realizzazione di investimenti innovativi che migliorano i pro-
dotti e/o i processi aziendali, compresa la trasformazione e la
commercializzazione, che riducono le emissioni in atmosfera
e/o l’impiego di risorse naturali;
• introduzione di sistemi di guida assistita o di posiziona-
mento per l’applicazione di tecnologie di agricoltura di preci-
sione, mediante GPS con successiva registrazione delle
operazioni colturali nell’ambito di interventi relativi alle lavora-
zioni del terreno (aratura, erpicatura, ecc.), alla semina, alla
distribuzione dei fertilizzanti, degli effluenti di allevamento, dei
prodotti fitosanitari, alla raccolta o all’utilizzo di tecniche di
minima lavorazione o semina su sodo;
• acquisto di capannine meteo aziendali per la razionalizza-
zione della gestione agronomica e fitosanitaria delle colture;
• installazione di sistemi finalizzati a ridurre l’inquinamento
puntiforme derivante dal lavaggio delle attrezzature per la
distribuzione dei prodotti fitosanitari (biobed);
250
• installazione su essiccatoi per cereali esistenti di dispositivi
per la riduzione delle emissioni in atmosfera di inquinanti e gas
serra: dispositivi per evitare il contatto tra i gas di combustione
e il prodotto in essiccazione, dispositivi per il recupero dell’e-
nergia termica proveniente da altri impianti presenti in azienda;
dispositivi per il funzionamento in depressione, serrande di
intercettazione che bloccano il flusso dell’aria durante la fase di
scarico.
La spesa minima ammissibile per domanda di contributo è
pari a:
• 25.000 euro per le aziende di montagna;
• 50.000 euro per le aziende zone non di montagna.
Agevolazioni
Il contributo regionale sarà pari al:
• nel caso di giovani agricoltori che non beneficiano del soste-
gno di cui all’Operazione 6.1.01 “Incentivi per la costituzione di
nuove aziende agricole da parte di giovani agricoltori” del PSR
2014-2020:
- 45% della spesa ammessa, nel caso l’impresa o la società
richiedente sia ubicata in zone svantaggiate di montagna;
- 35% della spesa ammessa, nel caso l’impresa o la società
richiedente sia ubicata nelle restanti zone;
• nel caso di giovani agricoltori che beneficiano del sostegno
di cui all’Operazione 6.1.01 “Incentivi per la costituzione di
nuove aziende agricole da parte di giovani agricoltori” del PSR
2014-2020:
- 55% della spesa ammessa, nel caso l’impresa o la società
richiedente sia ubicata in zone svantaggiate di montagna;
- 45% della spesa ammessa, nel caso l’impresa o la società
richiedente sia ubicata nelle restanti zone;
• per tutte le altre tipologie di richiedente, indipendente-
mente dall’ubicazione dell’impresa o della società, per inve-
stimenti relativi alla trasformazione e/o commercializzazione
dei prodotti aziendali: 35% della spesa ammessa.
Presentazione domande
Le domande dovranno essere trasmesse entro l’8 aprile 2019
(ore 12,00) per via telematica tramite la compilazione della
domanda informatizzata presente nel Sistema Informatico
delle Conoscenze della Regione Lombardia (https://agricol-
tura.servizirl.it/PortaleSisco/).
Riferimenti
- Programma di Sviluppo Rurale (PSR) Lombardia 2014-2020,
Operazione 4.1.01;
- Decreto 27 novembre 2018 n. 17519, BUR 1° dicembre 2018
n. 48: approvazione bando.
PIEMONTE
Sostegno agli investimenti ambientali
Scadenza a sportello
Oggetto
Agevolazioni alle imprese piemontesi che realizzano progetti
di investimento diretti alla riduzione dell’impatto ambientale
del processo produttivo.
Gli incentivi sono previsti dal nuovo bando “Fondo PMI”,
adottato con Determinazione n. 18 del 21 gennaio 2019.
Destinatari
Potranno presentare domanda le micro, piccole e medie
imprese, non identificabili come “imprese in difficoltà”,
comprese:
Ambiente & sviluppo 3/2019

• le micro, piccole e medie imprese neocostituite, purché
dimostrino di avere un processo produttivo attivo oppure siano
costituite tramite conferimento di ramo d’azienda o i cui soci
siano imprese con processi produttivi attivi e consolidati;
• le cooperative di produzione e lavoro aventi dimensione di
micro, piccola e media impresa (ad esclusione delle coopera-
tive sociali di servizi alla persona di cui alla tipologia A della
Legge n. 381/1991);
• i consorzi di produzione, società consortili (aventi dimen-
sione di micro, piccola e media impresa e in quanto beneficiari
diretti ed esclusivi dell’agevolazione), ad esclusione dei con-
sorzi di tutela e dei consorzi di servizi.
Ai fini dell’ammissibilità, i soggetti richiedenti, al momento
della presentazione della domanda (ad esclusione del punto 2
che dovrà risultare soddisfatto entro la data della prima ero-
gazione) dovranno essere in possesso dei seguenti requisiti:
1) risultare iscritti al registro delle imprese della Camera di
Commercio da almeno 2 anni e possedere almeno 2 bilanci
chiusi ed approvati; per le neocostituite verrà verificata la sola
iscrizione al registro della Camera di Commercio;
2) (alla data della prima erogazione dell’agevolazione, nel caso
in cui tale requisito non sia soddisfatto e verificato al momento
della presentazione della domanda) avere la sede destinataria
dell’investimento sita e operativa sul territorio piemontese e
provvista di carattere attivo e produttivo;
3) la sede destinataria dell’investimento deve avere un codice
ATECO 2007 primario compreso tra i seguenti (nel caso in cui
in visura non sia presente il codice ATECO primario, il controllo
puntuale verrà effettuato sul codice ATECO prevalente del-
l’impresa proponente):
- sezione B, limitatamente ai codici 6.10, 6.20, 7.21, 8.11, 8.91,
8.93, 8.99, 9.10, 9.90;
- sezione C, esclusi i codici: 10.1, 10.2, 10.3, 10.4, 10.51, 10.6,
10.7, 10.81, 10.84, 10.9, 11.02, 11.03, 11.06. Il codice
10.83.02 è ammesso solo per quanto riguarda la lavorazione
del tè. Per i codici 10.85.0 e 10.89.0 è esclusa la fabbricazione
di aceto, lievito, uova in polvere o ricostituite;
- sezione D, esclusi i codici 35.14, 35.23;
- sezione E;
- sezione F;
- sezione H, limitatamente ai codici 52.21.4e 52.29.2;
- sezione J, limitatamente ai codici 58.1, 58.2, 59.11, 59.12,
59.2, 60, 61, 62, 63.11;
- sezione M, limitatamente ai codici 71.2, 72, 74.1, 74.20.2;
- Sezione N, unicamente il codice 82.92;
- Sezione S, unicamente il codice 96.01.
In deroga alla regola generale, il codice ATECO primario
ammissibile potrà essere anche attivato a conclusione dell’in-
tervento nel caso in cui l’investimento sia finalizzato ad avviare
una nuova attività primaria nella sede destinataria dell’investi-
mento. L’attivazione del codice ATECO ammissibile dovrà
essere dimostrata in occasione della rendicontazione finale
dell’investimento.
Obiettivi
Il Fondo si articola in due linee di intervento:
• Linea A, riservata alle micro e piccole imprese, per la quale
sono ammissibili gli investimenti di importo minimo pari a
50.000 euro;
• Linea B, rivolta alle micro, piccole e medie imprese, con
investimenti di importo minimo pari a 250.000 euro.
L’investimento dovrà riguardare l’acquisizione di attivi mate-
riali e/o immateriali finalizzata alla diversificazione della produ-
zione di uno stabilimento mediante prodotti nuovi aggiuntivi o
Ambiente & sviluppo 3/2019
Agenda
Finanziamenti ambientali
la trasformazione radicale del processo produttivo comples-
sivo di uno stabilimento esistente.
Risultano ammissibili i programmi di investimento finalizzati
all’innovazione del processo produttivo o di prodotto e che
contemporaneamente comportino (opzione alternative):
1) il miglioramento delle prestazioni ambientali del ciclo pro-
duttivo, attraverso:
• diminuzione delle emissioni in atmosfera, con particolare
riferimento ai seguenti inquinanti: ossidi di azoto; particolato
fine; ammoniaca; composti organici volatili; inquinanti organici
persistenti (come da Convenzione di Stoccolma - Decisione
del consiglio d’Europa 2006/507/CE e aggiornamenti). Gli
interventi proposti dovranno garantire livelli emissivi più
restrittivi rispetto a quanto previsto dalla normativa vigente e
dell’eventuale provvedimento autorizzativo, nonché consen-
tire una riduzione delle emissioni pari ad almeno il 50% rispetto
alla situazione ante investimento;
• diminuzione delle emissioni nei corpi idrici, con particolare
riferimento ai seguenti inquinanti: azoto; fosforo; “sostanze
prioritarie”, come definite dall’Allegato X della Direttiva 2000/
60 CE e sostanze di cui alla tabella 5 dell’allegato 5 alla parte III del
D.Lgs. n. 153/2006. Gli interventi proposti dovranno garantire
livelli emissivi più restrittivi rispetto a quanto previsto dalla nor-
mativa vigente e dall’eventuale provvedimento autorizzativi e
dovranno consentire una significativa riduzione delle emissioni,
da dimostrare attraverso un analitico bilancio complessivo di
massa riferito alla situazione ante e post intervento;
• miglioramento del ciclo dei rifiuti, attraverso almeno una
delle seguenti azioni:
- riduzione della produzione dei rifiuti pericolosi e non peri-
colosi con particolare riferimento ai rifiuti codici CER 07-08-
11-12-13-15-16-19;
- riduzione dei rifiuti avviati a smaltimento, attraverso azioni
innovative finalizzate al loro riciclaggio o al recupero
energetico;
- riduzione dell’uso di imballaggi per il confezionamento del
proprio prodotto; utilizzo preferenziale di imballaggi riutilizza-
bili, riciclati e riciclabili;
- miglioramento della qualità dei materiali derivanti dalle ope-
razioni di trattamento rifiuti;
• razionalizzazione dei consumi idrici, attraverso interventi
quali quelli di seguito riportati a titolo esemplificativo:
- realizzazione di reti idriche differenziate all’interno degli
insediamenti;
- installazione di sistemi di riciclo delle acque usate;
- installazione di sistemi di produzione alternativi (non idro
esigenti, a minore uso o scarico d’acqua o con utilizzo di risorsa
non idonea al consumo umano);
- sistemi di trattamento delle acque di approvvigionamento;
- sistemi innovativi che determinano un significativo migliora-
mento nella qualità degli scarichi anche mediante il loro totale o
parziale riutilizzo o quando tale investimento comporti anche
l’installazione di sistemi di produzione alternativi (non idrico
esigenti oppure a minore uso o scarico d’acqua o con consumo
di risorsa idrica non idonea al consumo umano);
• sostituzione e/o eliminazione, sia nei prodotti che nei pro-
cessi produttivi, delle sostanze pericolose, con particolare
riferimento alle attività di innovazione finalizzate alla sostitu-
zione dai prodotti o dai processi delle “sostanze estrema-
mente preoccupanti” secondo la definizione fornita dal
Regolamento (CE) n. 1907/2006 (REACH), attraverso l’im-
piego di idonee sostanze o tecnologie alternative;
• impiego di “materie prime seconde” in sostituzione delle
materie prime;
251
Agenda
Finanziamenti ambientali
2) il miglioramento dell’efficienza energetica nel ciclo produt-
tivo, quantificabile - in termini di energia primaria risparmiata -
in un valore uguale o superiore a 0,7 kWh per ogni euro
investito e parametrato alla capacità produttiva preesistente.
I programmi di investimento dovranno essere avviati dopo la
presentazione della domanda di ammissione al finanziamento
e terminati entro 12 mesi dalla data di concessione del prestito
agevolato, salvo proroga della durata massima di 6 mesi.
Agevolazioni
L’agevolazione si articola in:
• un prestito agevolato, di importo pari al 100% dei costi
ammissibili e della durata di 60 mesi, di cui 6 mesi di pream-
mortamento facoltativo, salvo il caso di investimenti con
importo pari o superiore a 1.000.000 di euro, per i quali la
durata potrà essere di 72 mesi, di cui 12 mesi di preammorta-
mento facoltativo. Per gli investimenti ambientali di cui sopra,
il prestito sarà concesso per il:
- 75% con fondi regionali a tasso zero (con il limite massimo di
1.000.000 euro);
- 25% con fondi bancari alle condizioni previste da apposite
convenzioni stipulate dagli istituti bancari con Finpiemonte
(soggetto gestore).
• contributo in forma di abbuoni di interessi. Per gli investimenti
ambientali di cui sopra, l’importo del contributo sarà pari al
montante degli interessi maturandi sulla quota bancaria risul-
tante da un piano di ammortamento di durata pari a quello
deliberato dalla banca co-finanziatrice, sviluppato ad un tasso
fisso convenzionale pari al 2,75% e comunque per un importo
non superiore al 90% degli interessi effettivamente dovuti alla
banca co-finanziatrice, nel limite massimo di 50.000 euro (tale
contributo non potrà essere concesso alle imprese la cui sede
destinataria dell’investimento sia collocata in un Comune com-
preso nelle cosiddette “aree 107.3.c”, che potranno presentare
domanda ai sensi dell’art. 14, Regolamento (UE) n. 651/2014).
Presentazione domande
La domanda, corredata della documentazione richiesta, dovrà
essere presentata dopo la conferma della delibera bancaria
compilando il modulo telematico reperibile sul sito http://
www.sistemapiemonte.it/cms/privati/attivita-economico-
produttive/servizi/861- bandi-2014-2020-finanziamenti-
domande.
La procedura di presentazione delle domande è a sportello e le
stesse saranno esaminate nel rispetto dell’ordine cronologico
di arrivo delle stesse.
Riferimenti
- POR FESR Piemonte 2014-2020, Azione III.3c.1.1;
- Determinazione 21 gennaio 2019, n. 18, Supplemento Ordi-
nario n. 1 al BUR 24 gennaio 2019, n. 4: approvazione nuovo
bando per l’accesso al Fondo PMI.
VENETO
Fondi per migliorare la sostenibilità ambientale
delle imprese agricole
12 aprile 2019
Oggetto
Contributi dalla Regione Veneto alle aziende agricole per
ridurre l’impatto ambientale. Gli aiuti sono previsti dai seguenti
bandi relativi al Tipo intervento 4.1.1 “Investimenti per miglio-
rare le prestazioni e la sostenibilità globali dell’azienda agri-
cola” del Programma di Sviluppo Rurale 2014-2020:
252
• Tipo intervento 4.1.1 - Focus area: 2A redditività in zone
montane;
• Tipo intervento 4.1.1 - Focus area: 5A risparmio irriguo.
Destinatari
Per entrambi i bandi, l’accesso alle agevolazioni sarà
consentito:
• agli agricoltori;
• alle cooperative agricole di produzione che svolgono come
attività principale la coltivazione del terreno e/o allevamento di
animali.
Con riferimento al bando relativo al Focus area 2A, al momento
della presentazione della domanda, l’impresa dovrà avere una
dimensione economica aziendale pari ad almeno 12.000 euro
di Produzione Standard totale in zona montana e ad almeno
15.000 euro di Produzione Standard totale nelle altre zone.
Obiettivi
Nell’ambito del bando relativo al Focus area 2A, verranno
agevolati i seguenti investimenti, effettuati nelle zone
montane:
• ristrutturazione di fabbricati per la produzione, lavorazione,
trasformazione, immagazzinamento e commercializzazione
diretta in azienda dei prodotti aziendali con utilizzo di materiale
da costruzione che migliori l'efficienza energetica;
• investimenti per l’eliminazione e sostituzione dell’amianto;
• investimenti strutturali ed impianti per lo stoccaggio, il
trattamento e la gestione dei residui agricoli e dei reflui azien-
dali comprese le strutture realizzate con tecnologie volte alla
riduzione delle emissioni di gas a effetto serra;
• acquisto di macchine e attrezzature per la riduzione dell’im-
patto ambientale e la conservazione del suolo;
• investimenti per la produzione di energia, a esclusivo uso
aziendale, a partire da:
- fonti agro-forestali;
- fonti rinnovabili (solare termico, fotovoltaico, eolico,
geotermico);
- reflui provenienti dall’attività aziendale;
• investimenti volti alla depurazione delle acque reflue deri-
vanti dall’attività di trasformazione dei prodotti.
Attraverso il bando relativo al Focus area 5A, del valore di 26,5
milioni di euro, saranno finanziati investimenti finalizzati:
• all’adozione di sistemi, impianti e tecnologie irrigue finaliz-
zati al risparmio idrico;
• alla realizzazione di invasi aziendali per l’accumulo delle
acque meteoriche a fini irrigui.
Nello specifico, saranno ammissibili le operazioni che preve-
dono la realizzazione di interventi:
• di riconversione degli impianti di irrigazione esistenti con
passaggio da una classe di efficienza a una superiore (esempio:
passaggio da rotolone con irrigatore a lunga gittata senza cen-
tralina elettronica a pivot o rainger con calata e dotati di sistema di
controllo dei volumi e della velocità di avanzamento);
• di ammodernamento degli impianti nell’ambito dei sistemi
afferenti alla medesima classe di efficienza (esempio: passag-
gio da rotolone con irrigatore a lunga gittata senza centralina
elettronica a pivot o rainger con calata e senza sistema di
controllo dei volumi e della velocità di avanzamento);
• per la realizzazione di invasi impermeabilizzati di capacità
utile massima di 25.000 mc per azienda, per la raccolta delle
acque meteoriche e relativi impianti di distribuzione di carat-
tere esclusivamente aziendale;
• per la programmazione, la gestione, la misurazione, il
controllo, il telecontrollo e l’automatizzazione, compresi i
contatori.
Ambiente & sviluppo 3/2019

Agevolazioni
Il contributo concesso dal bando relativo al Focus area 2A sarà
pari:
• per “Investimenti per la trasformazione/commercializza-
zione”: al 40% della spesa ammessa. Per trasformazione si
intende qualsiasi trattamento di un prodotto agricolo in cui il
prodotto ottenuto resta pur sempre un prodotto agricolo (non
vengono considerate trasformazione le attività svolte nell’a-
zienda agricola necessarie per preparare un prodotto animale
o vegetale alla prima vendita). Per commercializzazione si
intende la detenzione o l’esposizione di un prodotto agricolo
allo scopo di vendere, mettere in vendita, consegnare o immet-
tere sul mercato in qualsiasi altro modo detto prodotto, ad
eccezione della prima vendita da parte di un produttore primario
a rivenditori o a imprese di trasformazione e qualsiasi attività che
prepara il prodotto per tale prima vendita; la vendita da parte di un
produttore primario a consumatori finali è considerata commer-
cializzazione di un prodotto agricolo se avviene in locali separati,
adibiti a tale scopo;
• per gli altri investimenti: al 60% della spesa ammessa per le
imprese condotte da giovani agricoltori insediati da meno di 5
anni e al 50% della spesa ammessa per le altre imprese
agricole.
Il bando relativo al Focus area 5A prevede un contributo pari al
50% della spesa ritenuta ammissibile per le imprese condotte
da giovani agricoltori insediati da meno di 5 anni, ridotto al 40%
per le altre imprese agricole.
Presentazione domande
Per entrambi i bandi, le domande di contributo dovranno essere
presentate entro il 12 aprile 2019, per via telematica attraverso
l’applicativo disponibile sul sito di AVEPA (www.avepa.it).
Riferimenti
- Programma di Sviluppo Rurale (PSR) Veneto 2014 - 2020,
Intervento 4.1.1, Focus area: 2A redditività in zone montane e
5A risparmio irriguo;
- Deliberazione della Giunta Regionale 21 dicembre 2018 n.
1940, BUR 28 dicembre 2018 n. 133: apertura dei termini di
presentazione delle domande di aiuto.
FINANZIAMENTI CAMERALI
CCIAA PISA
Contributi per la certificazione ambientale
19 aprile 2019, salvo chiusura anticipata per esau-
rimento fondi
Oggetto
La CCIAA di Pisa ha pubblicato un bando con contributi a favore
delle imprese provinciali per la certificazione del sistema di
gestione ambientale.
Destinatari
Potranno fruire del sostegno camerale tutte le imprese, loro
cooperative e consorzi che, al momento della presentazione
della domanda di contributo, risultino:
• iscritte al Registro delle Imprese della Camera di Commer-
cio di Pisa ed aventi la sede o unità locale oggetto dell’inve-
stimento nella Provincia di Pisa;
• attive ed in regola con la denuncia di inizio attività al
REA della Camera di Commercio di Pisa. Per le nuove
Ambiente & sviluppo 3/2019
Agenda
Finanziamenti ambientali
imprese questi requisiti saranno verificati al momento
della liquidazione del contributo (si considerano nuove
le imprese che alla data di presentazione della domanda
risultino iscritte al Registro Imprese inattive, oppure
attive da meno di 6 mesi);
• in regola con il pagamento del diritto annuale camerale;
• non avere debiti scaduti verso la Camera di Commercio o la
Fondazione di Partecipazione per l’Innovazione e lo Sviluppo
Imprenditoriale - ISI;
• non soggette ad amministrazione controllata, ad ammini-
strazione straordinaria senza continuazione dell’esercizio, a
concordato preventivo, a fallimento o liquidazione;
• operanti in qualsiasi settore economico con le eccezioni e
nei limiti espressamente previsti dall’applicazione dei regola-
menti “de minimis” n. 1407/2013 (per agricoltura primaria e
pesca nn. 1408/2013 e 875/2007);
• iscritte al Registro Nazionale per l’Alternanza Scuola Lavoro
realizzato dalle Camere di Commercio (www.scuolalavoro.
registroimprese.it). La registrazione dovrà essere effettuata
almeno il giorno antecedente la presentazione della domanda
contributo.
Obiettivi
Verranno agevolate le domande relative ad interventi, avviati
successivamente al 1° gennaio 2019, volti ad acquisire per la
prima volta una o più delle seguenti certificazioni:
• Sistema di gestione ambientale secondo la norma UNI EN
ISO 14001;
• Sistema di gestione dell’energia secondo la norma ISO
50001;
• Sistema di gestione ambientale secondo le norme UNI ISO
14064:2006 e UNI ISO/TS 14067;
• Certificazione di conformità con riferimento alla norma
Regolamenti (CE) n. 303/2008, n. 304/2008, n. 305/2008 e
n. 306/2008 e D.P.R. n. 43/2012;
• Certificazione UNI CEI 11352:2014.
Per avvio dell’investimento si intende la data di fatturazione dei
servizi (nel caso di acconti vale la data del primo acconto) o di
sottoscrizione del contratto, se antecedente.
Saranno ritenute ammissibili le seguenti spese:
• spese di consulenza, comprese le spese di formazione del
personale sostenute nell’ambito della realizzazione dei sud-
detti interventi;
• rilascio delle certificazioni.
Agevolazioni
Sarà riconosciuto un voucher di importo non superiore a 3.500
euro e di intensità pari al 50% delle spese riconosciute come
ammissibili e regolarmente documentate.
Nel caso di “certificazione integrata”, l’importo massimo del
contributo sarà elevato a 5.000 euro.
Presentazione domande
Le domande di contributo dovranno essere presentate entro il
19 aprile 2019, salvo chiusura anticipata del bando per esauri-
mento risorse, all’indirizzo di PEC (Posta Elettronica Certificata)
fondazione.innovazionesviluppo@legalmail.it esclusivamente
tramite la PEC dell’impresa richiedente.
Riferimenti
- Delibera della Giunta Camerale 5 febbraio 2019 n. 7: bando
per la concessione di voucher alle imprese per l’adozione di
sistemi di gestione certificati e sistemi di sicurezza e video-
sorveglianza - 2019.
253
Agenda
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Casi e soluzioni
a cura di Eleonora Perotto (*) e Andrea Quaranta (**)
EMISSIONI
INQUINAMENTO ATMOSFERICO E DANNO AMBIENTALE
La legge dice che la lolla di riso è un
sottoprodotto.
Nella mia azienda viene utilizzata come
combustibile: una pratica virtuosa, che
contribuisce a non consumare materie prime non
rinnovabili.
Ciò nonostante sono stato rinviato a giudizio,
in quanto legale rappresentante pro tempore,
per gestione illecita di rifiuti, e mi è anche stato
contestato il danno ambientale.
Vorrei fare ricorso, ma prima ancora conoscere il
vostro punto di vista.
Innanzitutto, occorre precisare che la legge non elenca da
nessuna parte sostanze che sono considerate, sempre, tout
court come sottoprodotti, ma specifica le condizioni che una
determinata sostanza deve avere per poter essere classifi-
cata, se del caso, come sottoprodotto, ed essere utilizzata di
conseguenza.
È vero che con il D.M. 2 maggio 2006 è stata prevista la
cancellazione della lolla di riso dal D.M. 5 febbraio 1998, per
cui la stessa non è più classificata come rifiuto; tuttavia, questa
circostanza non significa che la lolla di riso non possa in
assoluto essere più qualificata come rifiuto, posto che l’elimi-
nazione dal D.M. è connessa all’attività di recupero ivi origina-
riamente indicata (produzione di lettiere per allevamenti
zootecnici), il che non esclude la necessità di riconsiderare la
qualificazione della lolla di riso, ove la stessa sia destinata a una
diversa attività, quale appunto può essere l’utilizzo come
combustibile in impianti di coincenerimento, come quello
gestito dalla sua società (Cass. pen. n. 51475/2018).
Per quanto riguarda la configurazione del danno ambientale,
occorre ricordare che la fonte dell’obbligo risarcitorio consiste
nella prolungata immissione nell’ambiente di sostanze inqui-
nanti, con conseguente pregiudizio alla salubrità dell’am-
biente, derivante dalla illecita combustione di rifiuti con
caratteristiche non conformi a quelle autorizzate.
L’art. 300, comma 1, D.Lgs n. 152/2006 qualifica come danno
ambientale “qualsiasi deterioramento significativo e misura-
bile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità
assicurata da quest’ultima”: basta questa definizione per
superare l’affermazione secondo cui l’inquinamento dell’aria
non costituisce danno ambientale, “non essendovi dubbio sul
(*) Dott.ssa Eleonora Perotto, Professore a contratto e Dottore
di ricerca in Ingegneria sanitaria ambientale presso il Politecnico di
Milano.
254
fatto che l’aria costituisce una risorsa naturale, essendone anzi
una delle più importanti, se non la più importante, per ogni
essere animale e vegetale”.
Inoltre, occorre considerare che il D.Lgs n. 152/2006 contiene
disposizioni volte a prevenire e reprimere l’inquinamento
atmosferico, definito dall’art. 268, comma 1, lett. a) come
“ogni modificazione dell’aria atmosferica, dovuta all’introdu-
zione nella stessa di una o più sostanze in quantità e con
caratteristiche tali da ledere o da costituire un pericolo per la
salute umana o per le qualità dell’ambiente, oppure tali da
ledere i beni materiali o compromettere gli usi legittimi
dell’ambiente”.
Si tratta, con tutta evidenza, di una definizione che conferma
ulteriormente l’immanenza e l’evidenza del legame esistente
tra aria e ambiente.
Andrea Quaranta
BONIFICHE
IMPUTABILITÀ DELLA CONTAMINAZIONE E RESPONSABILITÀ
Nell’ambito di un procedimento di bonifica su un
terreno passato negli anni di proprietà in
proprietà, la società di cui sono l’AD è stata
considerata responsabile della contaminazione.
In realtà abbiamo rilevato la società, e con essa i
capannoni e il terreno sottostante, soltanto tre anni
fa, quando sicuramente il danno era già stato fatto.
L’analisi di rischio e l’eventuale bonifica non
dovrebbero essere a carico del responsabile
dell’inquinamento, e non del mero proprietario
incolpevole?
La provincia non deve attivarsi per la ricerca di chi
ha causato, con il suo comportamento, la
contaminazione?
Di recente, un’importante sentenza del TAR di Brescia (n. 766/
2018), ha avuto modo di riprendere, specificandoli, i concetti
da lei sintetizzati nella sua domanda.
Per quanto riguarda l’addebito dell’inquinamento, infatti, il
TAR ha richiamato la consolidata in giurisprudenza quella
per la quale non sussiste (in via automatica, come respon-
sabilità oggettiva o per fatto altrui) una responsabilità in
capo al proprietario dell’area inquinata e da bonificare per il
(**) Dott. Andrea Quaranta, Environmental Risk and crisis
manager, andrea.quaranta@naturagiuridica.com.
Ambiente & sviluppo 3/2019

solo fatto di essere proprietario, ove non si dimostri che
questi abbia provocato o contribuito a provocare il danno
ambientale.
È necessario, infatti, che l’autorità competente accerti il nesso
causale tra l’azione d’uno o più agenti individuabili ed il danno
ambientale concreto e quantificabile, onde sia possibile imporre
loro misure di riparazione, a prescindere dal tipo d’inquinamento
di cui trattasi (CDS, n. 1260/2017): naturalmente, dagli accerta-
menti potrebbe risultare anche la sua responsabilità.
Il TAR ne ha approfittato per richiamare le principali sentenze
che, da diverse visuali, hanno affrontato il tema, e ha preci-
sato che:
• l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (n. 21/2013) ha
chiarito che l’amministrazione non può imporre al proprietario
di un’area contaminata, il quale non sia l’autore dell’inquina-
mento, l’obbligo di porre in essere le misure di messa in
sicurezza di emergenza e di bonifica, in quanto gli effetti a
carico del proprietario incolpevole restano limitati a quanto
espressamente previsto dall’art. 253, D.Lgs. n. 152/2006 in
tema di oneri reali e privilegi speciali immobiliari (TAR Lecce,
n. 325/2017);
• tale sistema di ripartizione dei compiti e delle responsabilità
è stato ritenuto compatibile con le regole comunitarie in mate-
ria, e al più il proprietario non responsabile dell’inquinamento
“potrà essere chiamato, nel caso, a rispondere sul piano
patrimoniale e a tale titolo potrà essere tenuto al rimborso
delle spese relative agli interventi effettuati dall’autorità com-
petente nel limite del valore di mercato del sito determinato
dopo l’esecuzione di tali interventi, secondo quanto desumi-
bile dal contenuto dell’art. 253 del codice dell’ambiente”
(CDS, n. 4100/2016);
• il proprietario non responsabile dell’inquinamento è tenuto
soltanto ad adottare le misure di prevenzione (“le iniziative per
contrastare un evento, un atto o un’omissione che ha creato
una minaccia imminente per la salute o per l’ambiente intesa
come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un
danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro pros-
simo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale
minaccia” (TAR Piemonte, n. 1142/2016).
Sulla questione della “responsabilità ambientale” fondata
sul principio del “chi inquina paga”, vale la pena ricordare
che la giurisprudenza amministrativa ha altresì evidenziato
l’esigenza - ai fini dell’imputabilità di un evento a un
soggetto - che vi sia un nesso di causalità tra azione (od
omissione) dell’autore della contaminazione e supera-
mento - o il pericolo di superamento - dei limiti di conta-
minazione: si è così sostenuto che è applicabile il canone -
elaborato in ambito civilistico - del “più probabile che non”,
secondo il quale per affermare il legame causale non è
necessario raggiungere un livello di probabilità (logica)
prossimo a uno (cioè la certezza), bensì è sufficiente
dimostrare un grado di probabilità maggiore della metà,
cioè del 50% (CDS, n. 5668/2017).
Andrea Quaranta
RESIDUI VEGETALI
ABBRUCIAMENTO DI MATERIALI AGRICOLI E FORESTALI
La combustione di residui vegetali costituisce
sempre un’attività illecita di gestione dei rifiuti?
Ambiente & sviluppo 3/2019
Agenda
Servizio Esperto Ipsoa
Le attività di raggruppamento e abbruciamento in piccoli
cumuli dei materiali vegetali agricoli e forestali (art. 185,
comma 1, lettera f) del TUA), se effettuate con le modalità
ed alle condizioni indicate dalla legge (art. 182, comma 6-bis,
TUA), non rientrano tra le attività di gestione dei rifiuti (smalti-
mento illecito).
Tuttavia, la stessa legge pone una serie di condizioni che
riguardano, nell’ordine:
1) la tipologia dell’attività (raggruppamento e abbruciamento);
2) la quantità di materiale (piccoli cumuli e in quantità giorna-
liere non superiori a tre metri steri per ettaro);
3) la tipologia dei materiali (materiali vegetali di cui all’art. 185,
comma 1, lettera f);
4) il luogo in cui l’attività descritta deve svolgersi (luogo di
produzione).
Se ricorrono tutte le condizioni, sopra elencate, le attività
descritte non rientrano nell’ampia nozione di gestione e si
ritiene costituiscano “normali pratiche agricole”, consentite,
tuttavia, soltanto per “il reimpiego dei materiali come sostanze
concimanti o ammendanti” (questa costituisce pertanto una
quinta condizione per l’operatività della deroga).
La legge specifica ulteriormente che, nei periodi di massimo
rischio per gli incendi boschivi, dichiarati dalle regioni, la
combustione di residui vegetali agricoli e forestali è sempre
vietata.
I comuni e le altre amministrazioni competenti in materia
ambientale hanno la facoltà di sospendere, differire o
vietare la combustione del materiale all’aperto in tutti i
casi in cui sussistono condizioni meteorologiche, climati-
che o ambientali sfavorevoli e in tutti i casi in cui da tale
attività possano derivare rischi per la pubblica e privata
incolumità e per la salute umana, con particolare riferi-
mento al rispetto dei livelli annuali delle polveri sottili
(PM10) (Cass. pen. n. 48397/2018).
Andrea Quaranta
RIFIUTI SPECIALI: COSTRUZIONE E DEMOLIZIONE
LUOGO DI PRODUZIONE DEL RIFIUTO
Esiste una disciplina differenziata per le attività
di manutenzione edilizia ordinaria e quella
delle infrastrutture di rilevanza pubblica,
con particolare riferimento alla gestione
ordinaria e particolare di categorie di rifiuti?
Sì, ovviamente.
Nell’ambito delle speciali categorie di rifiuti (di cui agli
artt. 227 ss., n. 152/2006), l’art. 230, D.Lgs n. 152 del
2006 disciplina quelli derivanti dalla manutenzione delle
infrastrutture, non potendosi ritenere tali i rifiuti derivanti
dallo svolgimento della ordinaria attività di manutenzione
edilizia ma solo quelli derivante dalla manutenzione delle
infrastrutture di rilevanza pubblica.
Di conseguenza, la disciplina applicabile ai rifiuti derivanti dallo
svolgimento della normale attività di manutenzione edilizia:
- è quella ordinaria (artt. 181, 183, 184, 184-bis e 256, comma 1,
lettera a), D.Lgs n. 152 del 2006), e
- non quella particolare contenuta negli artt. 227 ss., né quella
di cui all’art. 266, comma 4, del medesimo Decreto.
In caso contrario, si giungerebbe all’inaccettabile conse-
guenza che il produttore di rifiuti potrebbe:
255
Agenda
Servizio Esperto Ipsoa
- lasciarli sul luogo di produzione indefinitamente, in tal modo
impedendo ai medesimi di acquisire la qualifica normativa-
mente significativa di rifiuti, e
- addirittura, trasferirli, senza che gli stessi acquistino la qua-
lifica di rifiuti, dal luogo di loro produzione verso un luogo
diverso dalla sua sede o domicilio (in questi termini, da ultimo,
v. Cass. pen. n. 50129/2018).
A tale ultimo proposito, occorre ricordare che, in tema di rifiuti,
per luogo di produzione del rifiuto va inteso:
- non solo quello ove lo stesso è stato materialmente
prodotto;
256
- ma anche quello nella disponibilità del produttore che sia
funzionalmente collegato al precedente (Cass. pen. n. 17333/
2016; n. 8061/2013), incombendo sulla parte privata l’onere
di dimostrare l’esistenza di tale collegamento (Cass. pen.
n. 35494/2016).
Va ricordato, infine, che fra le condizioni necessarie per
l’individuazione del deposito temporaneo vi è il divieto
incondizionato di permanenza dei rifiuti nel sito di depo-
sito per un periodo superiore all’anno ovvero, nel caso in
cui gli stessi superino il volume dei 30 mc, al trimestre.
Andrea Quaranta
Ambiente & sviluppo 3/2019
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