You are on page 1of 20

L'infinito scherzo di David Foster Wallace12

Il rapporto speciale di uno scrittore con la matematica


di Roberto Natalini

Il 12 settembre 2008 si toglieva la vita David Foster Wallace, uno dei maggiori scrittori americani
degli ultimi vent'anni. Ci ha lasciato un romanzo enciclopedico,”Infinite Jest” (Lo scherzo infinito),
oltre a innumerevoli racconti, saggi, reportage giornalistici ricchi di intelligenza e cultura e
soprattutto infinitamente divertenti. Nel 2003, Wallace ha pubblicato una lunga riflessione sull'infinito
matematico di Cantor, che considerava una delle avventure intellettuali più affascinanti di tutti i tempi.
Una sensazione ben strana per un matematico, quella di scoprire uno scrittore capace di emozionarsi
per il calcolo infinitesimale e le serie di Fourier, al punto da sentire il bisogno di comunicarlo
pubblicamente. Vale allora la pena di scoprire di più sul rapporto, infinitamente stratificato e
complesso, tra uno scrittore come David Foster Wallace e la matematica.
Nel saggio/racconto vagamente
autobiografico, “Tennis, Trigonometria,
Tornado” (Derivative Sport in Tornado
Alley, 1991), Wallace inizia così: “Quando
lasciai il mio distretto squadrato in mezzo
alla campagna dell'Illinois per andare a
frequentare l'università dove si era laureato
mio padre fra i vivaci rilievi delle
Berkshires nel Massachusetts occidentale,
sviluppai un'improvvisa dipendenza dalla
matematica”. Nonostante questa
dichiarazione spavalda e tanta mitologia
diffusa tra critici e lettori, Wallace non è
mai stato un matematico, in nessuno dei
sensi accettabili del termine. Non era un
professionista di questa disciplina, e
nemmeno, per sua stessa ammissione aveva
mai ricevuto una soddisfacente formazione
di livello universitario. Era una persona
curiosa che si avvicinava alla matematica
con grande entusiasmo, qualche preciso
Figura 1: Wallace con il suo cane Jeeves (1996). bisogno, e a tratti anche qualche confusione.
In questo senso, la prima cosa da chiarire
1
Testo (espanso) della Conferenza tenuta a Genova il 3 novembre 2010, in occasione del Festival della Scienza. Questa
ricerca è parte del progetto di divulgazione della Società Italiana di Matematica Applicata e Industriale (SIMAI).
2
Questo testo non esisterebbe nella forma presente senza gli acuti commenti di Laura della lista Wallace-|.
sul rapporto di Wallace con la matematica è che si tratta sicuramente un qualcosa di “non-centrale” nel
complesso della sua opera: non è per questo che leggiamo o leggeremo Wallace. Però questa cosa-non-
centrale ha suscitato un grande interesse in tutti i lettori di Wallace e sta diventando un argomento
quasi inevitabile nell'analisi della sua opera, per varie ragioni che vedremo nel seguito, e forse in primo
luogo proprio per qualche considerazione che lo stesso Wallace ha deciso di proporre. Per cui in questa
presentazione proveremo a capire meglio questo rapporto tra Wallace e la cosa-non-centrale, cercando
di descrivere da un lato come la matematica sia evocata negli scritti di Wallace e dall'altro alcune delle
impressioni che vengono fuori quando ciò che ha scritto viene letto in chiave matematica. Nella prima
parte cercheremo di capire come e perché Wallace ritenesse la matematica una delle cose divertenti che
l'umanità avesse inventato. E non solo divertente, o ancora oggetto da sfoggiare e ostentare a simbolo
della propria intelligenza, ma anche una delle imprese maggiormente significative della cultura umana,
una delle vie principali per il raggiungimento della verità. E il fascino dell'astrazione e dell'infinito, e la
grande capacità linguistica ed espressiva della matematica. Nella seconda parte di questa presentazione,
cercherò invece di mettere in luce un livello che a me pare più profondo, in cui le strutture e i modi
scelti da Wallace per narrare possono in qualche modo essere riletti usando idee basate sulla
matematica.

1) Dove si spiega (brevemente) di chi si sta parlando


David Wallace (Foster era il cognome da ragazza della madre e
verrà aggiunto per ragioni editoriali in seguito) è nato a Ithaca, nello
Stato di New York, il 21 febbraio 1962, ed è cresciuto nell’Illinois.
Si è laureato nel 1985 in letteratura inglese e in filosofia, con una
specializzazione in logica modale e matematica presso l'Amherst
College, e nel 1987 ha ottenuto un Master of Fine Arts in scrittura
creativa alla University of Arizona. Ha insegnato alla Illinois State
University per gran parte degli anni novanta e nell'autunno del 2002
è diventato professore di scrittura creativa e letteratura inglese al
Pomona College, in California. Il suo primo romanzo, che sviluppa
la sua tesi di laurea, è “La scopa del sistema” ed esce nel 1987,
quando Wallace aveva 25 anni. Nel 1989 pubblica la raccolta di Figura 2: Wallace durante un
racconti “La ragazza con i capelli strani”. reading.
Il secondo romanzo, “Infinite Jest”, esce nel 1996 e in poco tempo
fa diventare Wallace un autore di culto internazionale, almeno nel mondo anglosassone. La rivista Time
lo include nella lista pubblicata nel 2006 dei 100 migliori romanzi di lingua inglese dal 1923 al 2006.
Scriverà poi ancora due raccolte di racconti, e due raccolte di saggi brevi e reportage giornalistici, e un
saggio sulla matematica dell'infinito.
Il 12 settembre 2008 Wallace si impicca nel patio di casa sua a Claremont, in California. Lascia la
moglie, un romanzo incompleto, “The pale king”, che dovrebbe uscire nel corso del prossimo anno, e
una grande comunità, per il momento poco legata alla critica accademica, di lettori appassionati. A due
anni dalla morte cominciano ad essere abbastanza chiare le ragioni di questo suicidio. Wallace fin da
giovane aveva sofferto di depressione, e aveva cercato di modificare, senza successo, la terapia
farmacologica a cui era costretto, ma sarebbe francamente riduttivo leggere la sua opera solo alla luce
di questa fine. Nel seguito restringeremo, in modo sicuramente parziale, la nostra analisi ai
collegamenti tra la sua opera e la matematica, cercando solo di tanto in tanto di allargare il nostro
orizzonte. Speriamo in questo senso che, come in certi frattali, un dettaglio possa in qualche modo
essere abbastanza significativo da poterci informare, anche in modo sintetico, sulla complessità del
tutto.
2) Un alieno guarda il nostro mondo: matematica sexy e verità immutabili.
La sorella di David Wallace, Amy, ricordando il fratello durante un'intervista3, ha cercato di descriverlo
a chi non lo abbia mai incontrato, come un alieno appena sbarcato da un altro pianeta. Qualcuno con
uno sguardo pieno di curiosità e disponibilità, ma sempre abbastanza diverso dal nostro. Per cercare di
capire come questo sguardo “alieno” abbia interagito con l'idea di
matematica, partiamo dal saggio che Wallace pubblicò nel 2003 sul
concetto di infinito in Cantor, dal titolo “Everything&More” (trad.
Italiana: “Tutto e di più”, da qui in poi E&M). Una cosa forse insolita
per uno scrittore di romanzi, meno sorprendente considerando i suoi
numerosi saggi, spesso condotti con uno stile tecnico-scientifico, e la
sua laurea in filosofia con la tesi sulla logica modale. In questo
saggio appare abbastanza spesso una parola che colpisce il lettore, e
soprattutto il lettore anglosassone, usata da Wallace per riferirsi alle
notazioni e alle tecniche matematiche, e la parola è “sexy”. Per
esempio, già nelle prime pagine, dopo aver riportato un brano pieno
di termini tecnici sull'importanza dell'opera di Cantor, da un libro di
storia della matematica, commenta “the sexy math terms don’t matter
for now” (i termini matematici “sexy” non sono importanti per ora).
Parlando del paradosso di Zenone dice: “Spiegato in modo un po' più
sexy, il paradosso consiste nel dire che un pedone non si può
Figura 3: Copertina muovere dal punto A al punto B senza attraversare tutti i successivi
dell'edizione italiana della sottointervalli di AB”. In molti sono rimasti sorpresi dall'uso ripetuto
prima parte della raccolta di di questo termine per parlare di matematica 4, un termine altrimenti
saggi "A supposedly fun thing non comune negli scritti di Wallace (e ancor meno nella letteratura
I'll never do again". matematica....)5.
In un tentativo, forse estremo, di giocare sui registri alti e bassi della cultura, è invece abbastanza
chiaro che con il termine “sexy”, Wallace volesse significare quello che in italiano(/romano) tradurrei
con “fico” e che in ogni lingua o dialetto trova un suo degno equivalente (per esempio in inglese
pensavo fosse “cool”, ma no, qui Wallace dice proprio “sexy”...). Insomma, e questo è lo sguardo
alieno a cui intendo riferirmi: per Wallace la matematica era una vera “ficata” e non vedeva l'ora di
farlo sapere a tutti. Gli piaceva sfoggiare una certa erudizione, a tratti alquanto approssimativa, in
questo campo, parlare di infiniti cantoriani, dell'analisi di Fourier e post-Fourier (sic!) 6, di cicloidi e
cardioidi, di dilungarsi in descrizioni tecniche piene di nomi esotici ed esoterici, a volte improbabili.
Per esempio, sempre nel saggio “Tennis, Trigonometria e Tornado” scriveva: “Il tennis agonistico,
come il biliardo professionistico, richiede una mente geometrica, l'abilità di calcolare non soltanto le
vostre angolazioni ma anche le angolazioni di risposta alle vostre angolazioni. Poiché la crescita delle
3
L'intervista, con altri materiali sonori inediti, si trova qui: http://www.wpr.org/book/davidfosterwallace/
4
E tra i matematici, alcuni sono rimasti delusi che questo non segnalasse un drastico cambiamento sociologico nel loro
mondo...
5
Che ci sia un equivoco con questa parola, almeno nell'uso che ne fa Wallace, è testimoniato dalla traduzione italiana per
Einaudi del testo “Questa è l'acqua”, dove la frase “being able truly to care about other people and to sacrifice for them
over and over in myriad petty, unsexy ways every day" è tradotta con “la capacità di tenere davvero agli altri e di
sacrificarsi costantemente per loro, in una miriade di piccoli modi che non hanno niente a che vedere con il sesso, ogni
santo giorno." Qui “unsexy”, non ha proprio niente a che vedere con il sesso, ma sta piuttosto per “poco attraente”.
6
Che per inciso esiste veramente, nel senso dell'uso di basi di funzioni che permettano di analizzare le funzioni in modo
simile alle classiche serie di Fourier. Proprio negli anni in cui Wallace scrive i suoi romanzi, si fanno infatti strada nel
mondo matematico le wavelets, onde concentrate in spazio e in frequenza, oramai entrate nel patr imonio tecnico di
qualsiasi matematico che si occupi di trattamento dei segnali.
possibilità di risposta è quadratica, siete costretti a pensare
in anticipo ad un numero n di colpi, dove n è una funzione
iperbolica limitata dal senh della bravura dell'avversario e
dal cosh del numero di colpi scambiati fino a quel momento
(approssimativamente). Io lo sapevo fare.”
Se vi siete persi, se vi sembra che sia troppo difficile, se non
sapete cosa sia una funzione iperbolica, allora Wallace ha
raggiunto il suo scopo, che in questo brano consisteva nel
decontestualizzare il Tennis e renderlo un'attività
intellettuale completamente astratta, per poterlo poi
guardare da un punto di vista diverso7. Lo scopo era però
anche quello di stupirvi e impressionarvi con l'ultima
affermazione, piena di orgoglio un po' sbruffonesco: “Io lo
sapevo fare”. E qui c'è già una differenza tra il lettore medio
e chi sa qualche cosa di matematica e capisce che la parola Figura 4: Wallace con una camicia da
“iperbolico” nella frase è riferita alla frase stessa, nel senso carcerato.
di grande esagerazione retorica, che strettamente parlando
non vuol dire nulla, e che i termini matematici sono lì solo perché sono, appunto, “sexy”. E c'è
addirittura un personaggio in Infinite Jest, Michel Pemulis8, che non perde occasione per fare il fico
con la matematica, producendo per esempio una definizione, forse un po' fantasiosa, ma “fica”, di
derivata: “Derivatives're just trig with some imagination.” (Le derivate sono solo trigonometria con un
po' di immaginazione) (IJ, n. 321, p.1264) 9. Non so se avete mai avuto un compagno di classe bravo in
matematica, un po' arruffone, ma pieno di buona volontà e sincero entusiasmo, che cercava di spiegarvi
il perché la matematica fosse facilissima, che erano tutte cavolate e che non ci voleva nulla ad
impararla. Ecco, questo è un ruolo che piaceva tantissimo a Wallace, il ruolo di Pemulis, una specie di
Lucignolo geniale, e come lui molto sfortunato, e anche un po' il ruolo di Wallace stesso, come
vedremo, in E&M.
Se a Wallace la matematica piaceva sul livello “fico”, di semplice esibizione di una complessità
linguistico-scientifica, interessava anche, e più profondamente, come linguaggio capace di elaborare e
trasmettere idee belle e difficili, qualche cosa di solidamente “vero”, qualche cosa di utile a capire la
realtà e il complesso mondo tecnologico che ci circonda: “Coloro che hanno avuto il previlegio (o
l'obbligo) di studiarla, capiscono che la pratica della matematica superiore è, in effetti, un'arte e
dipende non meno di altre arti da ispirazione, coraggio, lavoro duro, etc..., ma con la caratteristica
supplementare che le "verità" che l'arte della matematica prova a esprimere sono deduttive,
necessarie, sono verità a priori”10. Punto di vista condiviso da Pemulis, mentre incoraggia un giovane
compagno (tennista) in preda a una crisi di panico: “Todd, devi avere fiducia nella matematica. (…). Ti
7
Punto di vista che verrà approfondito in IJ: “...il vero tennis non era più riducibile a fattori delimitati o curve di probabilità
di quanto lo fossero gli scacchi o il tennis, I due giochi di cui è un ibrido.”, IJ, p.97..
8
“M.M. Pemulis ha il quoziente intellettivo più alto di qualunque ragazzo in riserva accademica per scarso profitto nella
storia dell'ETA. (…) ha davvero un'impazienza congenita da genialoide tecnoscientifico per la nebulosità referenziale e
l'ineleganza dei sistemi verbali. (…) Il vero e inestinguibile talento di Pemulis sta nella matematica e nelle scienze pure.” IJ,
p.183.
9
E sbagliando poi clamorosamente la derivata di x n (sic!). Non saprei però dire se l'errore è di Pemulis o di chi trascrive,
all'interno del testo, le sue indicazioni (o ancora di Wallace). Le opinioni divergono. C’è scritto “Funzione x, esponente
n, la derivata sarà nx+xn-1”. Va bene, è sbagliata. Ma potrebbe leggersi “n per x con x alla n-1”, ed essere solo la
trascrizione di Hal ad essere difettosa. Spesso ci si perde nei meandri dei tanti punti di vista proposti da Wallace, alcuni
dei quali creati solo dalla nostra immaginazione.
10
David F. Wallace, Rhetoric and the Math Melodrama, Science 22 December 2000: Vol. 290. no. 5500, pp. 2263 – 2267.
puoi ritirare e riordinare le idee con la matematica, la cui verità è una verità deduttiva. Indipendente
dai sensi o dalle emozioni. Il sillogismo. (…). La strisciante inevitabilità. Caio è mortale. La
matematica non è mortale. È quello che è: ascolta: è vera.” (IJ, n. 322, p.1273). È questo punto di
vista, più profondo e maturo, che verrà ripreso ed espanso nel saggio del 2003 sull'infinito.
3) L'astrazione.
Nel 2003, in E&M, Wallace prova ad affrontare in modo sistematico il
concetto di infinito. Secondo lui, questo doveva essere “un esercizio di
scrittura tecnica”, non un saggio vero e proprio, piuttosto un tentativo
di prendere un soggetto difficile e abbastanza esoterico come l'infinito
cantoriano, e renderlo chiaro e piacevole da leggere al lettore medio.
Un tentativo di “narrare” un argomento ostico. E questo Wallace lo fa a
modo suo. Abbiamo detto dello stile Pemulis, della matematica sexy.
Potete immaginare che vi saranno tantissime note e centinaia di
acronimi e un po' di confusione. Che qualche cosa verrà sacrificato alla
narrabilità e qualche cosa al rigore. Però forse, prima di parlare di
come Wallace affronta l'infinito, mi sembra utile cercare di valutare gli
esiti questo tentativo. Se i matematici professionisti per lo più si sono
accaniti a sottolinearne i difetti, le imprecisioni, la scarsa capacità di
rendere in modo efficace le motivazioni profonde che portarono Cantor
a introdurre i numeri transfiniti, in fondo non meraviglia, il libro non
era per loro. Però ho paura che i non matematici, anche i wallaciani più
accaniti, semplicemente non siano mai arrivati in fondo a un testo che Figura 5: Copertina
in realtà in alcune parti è molto difficile, proprio per l'amore del dell'edizione italiana di
dettaglio, e anche a tratti non proprio chiaro (eh, proprio l'effetto "Everything&More"
Pemulis...). Però, dal mio punto di vista, forse non proprio imparziale,
lo trovo un tentativo interessante e a tratti anche veramente divertente di provare a scrivere di
matematica in modo non banale. Pochi anni prima, Wallace aveva recensito per Science 11 due romanzi
a sfondo matematico, uno anche famoso in Italia, “Zio Petros e la congettura di Goldbach”. Al di là
della critica dal punto di vista letterario, per la scarsa qualità narrativa dei testi e la loro povertà
linguistica, Wallace era molto negativo proprio rispetto al modo che questi due romanzi avevano di
raccontare la matematica. Evitando di definire il proprio pubblico, e rinunciando a scontrarsi
seriamente con la difficoltà tecnica della materia, con l'oggetto stesso della matematica, questi romanzi,
che secondo lui appartengono a un nuovo genere potenziale, il “melodramma matematico”, finivano a
suo parere per proporre entrambi un eroe incompreso che fa qualche cosa che non si capisce, e di cui si
raccontano in dettaglio, ma in modo sciatto e convenzionale, le peripezie psicologiche. Sotto questa
luce, la storia di Cantor sarebbe stata la storia della sua depressione bipolare, dei suoi ricoveri, delle sue
lotte contro i matematici del tempo 12. Wallace sceglie una direzione diversa, cercando di far capire,
almeno in prima approssimazione, i problemi matematici affrontati da Cantor e dai suoi predecessori,
cercando di rendere tutto questo non noioso13. Wallace trovava molto triste che le persone senza una

11
Math Melodrama, Ibidem.
12
Questa osservazione è di Wallace, riferendosi ad una popolare biografia di Cantor che circolava negli USA in quel
periodo, ma allo stesso modo si potrebbe applicare agli studiosi dello stesso Wallace che cercassero di leggere la sua
opera alla luce dei suoi problemi psicologici.
13
Questa era infatti la sfida principale affrontata da Wallace. E per questo era disposto a pagare il prezzo dell'imprecisione. Ad un
matematico che aveva compilato in rete una lista di errata alla prima edizione del libro, aveva inviato una cartolina in cui diceva: “I
wish to thank you for the care and generosity with which you read my booklet and suggested errata. A few egregious boners you
caught – I wince that I did not – will be corrected in any future printings. Some other issues the editor and I are still noodling over –
the point is not correctness (your list was 100% correct, I think) but simplicity, perspicuity for a non-math audience, etc. It all turns
specifica educazione matematica non possano di solito gustare la bellezza artistica della matematica
superiore, in cui le formule e i calcoli non contano più, ma entra in gioco quello che, diceva
“chiamiamo 'genio', ossia quella miscela particolare di ragione e creatività estatica che caratterizza
ciò che c'è di meglio nella mente umana.14” Purtroppo la matematica che si impara a scuola raramente
ci fa capire queste cose, e “alla fine non sapere nemmeno di non sapere è la parte più insidiosa di
molti corsi di matematica.” Wallace questa cosa almeno la faceva capire benissimo. Comunque, anche
se con qualche riserva e parecchie imprecisioni, almeno la prima metà di E&M è decisamente molto
divertente e interessante. Wallace comincia parlando della fama di pazzia dei matematici15 e citando
Chesterton, dice: “I poeti non diventano matti, i matematici invece sì. Il pericolo è nella logica, non
nell'immaginazione.” Senza entrare nel merito della sanità mentale dei matematici, spesso soltanto un
cliché cinematografico, è interessante osservare che secondo Wallace, Chesterton si sbagliava almeno
su una cosa. Secondo lui, non è infatti la logica che fa diventare matti, ma l'astrazione, qui intesa come
qualche cosa di separato dal supporto materiale, dalla pratica o da particolari esempi. E la linea di
demarcazione tra l'astratto e il concreto è quella che separa 5 arance dal numero 5, la pratica
matematica dalla Matematica vera e propria (dai greci in poi). Pensate alle equazioni in cui le lettere
sostituiscono i numeri, che permettono di stabilire verità immutabili che trascendono il caso particolare,
e non, come dice Pemulis, “a meno che un agente immobiliare di Boardman, Minnesota, con i suoi
mocassini Banfi da 400$ non cambi idea” (IJ, n.324, p. 1274). Ed è da questa astrazione che nasce il
potere della matematica di generare quella conoscenza solida e profonda che Wallace ammirava. Di
potersi applicare, con le stesse idee, in campi radicalmente diversi. Da qui nascono però anche
problemi, che Wallace chiama mal di testa, tipici dei logici e dei matematici. Perché astrazione vuol
dire paradossi. Quando i sostantivi non sono più “uomo”, “scrivania”, “penna”, “David”, ma diventano
astratti, le cose si complicano. Cominciamo a chiederci, come Alice nel Paese delle Meraviglie “Cosa
vedi per strada?”, “Niente”, “Che vista eccezionale! E com'è fatto il niente?”. Wallace immagina di
stare a letto la mattina e chiedersi, prima di alzarsi, se la materia del pavimento non abbia qualche
difetto, magari a livello molecolare, che lo faccia improvvisamente sprofondare. Non che sia
assolutamente impossibile, ma insomma si comincia a seguire questa linea di pensiero, e per la stessa
ragione ci si potrebbe chiedere se domani il sole sorgerà. E attraverso il pensiero astratto, ci si porranno
dei problemi sul perché si accettino certe regole. E non vi sarete ancora mossi dal letto. È questo modo
di pensiero astratto che genera i paradossi nella filosofia e nella matematica moderna. Wallace
introduce tutto questo per dire che non c'è niente di più astratto dell'infinito. La nostra esperienza ci
mostra proprio il contrario, che le cose finiscono, che tutto ha un limite. E solo astraendo, per
opposizione, riusciamo a definire e usare il concetto di infinito. Prendiamo per esempio i paradossi di
Zenone, la prima fonte di tutte le riflessioni sull'infinito. Voglio attraversare una strada, ma dopo aver
percorso metà del tragitto, per arrivare dall'altra parte devo prima arrivare a metà del tragitto rimanente,
ossia aggiungere un quarto, e poi metà della metà, ossia un ottavo e poi metà della metà della metà,
etc... Ossia devo attraversare un numero infinito di intervalli. La nostra esperienza ci dice che possiamo
attraversare una strada, ma la logica di Zenone sembra negarlo, facendo ribollire un infinito dove prima
tutto era tranquillo. Astrae, utilizzando concetti poco chiari come 'essere' e 'muoversi', e rimane
sostanzialmente senza risposta per secoli, nonostante i vari argomenti usati contro di lui, da Platone e
out to be quite tricky, rhetorically speaking”.
14
“Some readers of Science will probably know all too well the frustration of trying to describe the beauty and power of Gauss's
differential geometry or the Banach-Tarski Paradox to someone who remember only the drudgery of factoring quadratic equations or
the terror of a trig midterm. In fact, the weird fear and distaste that low-level math provokes in so many is part of what makes the
emergence of the Math Melodrama exciting: if the genre can find ways to vivify pure math and communicate the discipline's
extraordinary beauty and passion to the average reader, both readers and math itself stand to gain”. Math Melodrama, Ibidem.
15
“Il Matematico Mentalmente Instabile sembra oggi in un certo senso essere ciò che il Cavaliere Errante, il Santo Mortificantesi,
l'Artista Tormentato, e lo Scienziato Pazzo sono stati durante altre epoche: una sorta di Prometeo, colui che va in luoghi proibiti e ritorna
con doni che tutti noi potremo usare, ma per i quali lui sarà l'unico a pagare. Questo è probabilmente un po' esagerato, almeno in molti
casi: ma Cantor corrisponde allo stampo meglio di tanti altri.” E&M, p.6.
Aristotele in poi. È solo la matematica del XIX secolo che con Weierstrasse risolve questo paradosso,
creando un quadro concettuale (la definizione rigorosa di limite, i criteri di convergenza delle serie),
capace di gestire e spiegare le apparenti contraddizioni. Wallace è ammirato da questa costruzione che
descrive in dettaglio. Trova incredibile che vi sia un linguaggio corretto per parlare di queste cose. Che
sia possibile "considerare" questi infiniti punti e movimenti in modo finito: “La confusione centrale
della Dicotomia [nel paradosso di Zenone] è ora eliminata: muoversi dal punto A al punto B non
richiede un numero infinito di mosse, ma piuttosto una singola mossa di lunghezza [B-A], che può
essere approssimata da una serie convergente”, E&M, p. 195.

Figura 6: Un paradosso di Zenone, da un libro di Analisi matematica

4) Infinito e comunicazione. Wallace aveva l'abitudine di saturare il lettore con tantissime


informazioni, ma nonostante questo sentiva di non riuscire a dire tutto quello che avrebbe voluto.
Riempiva i suoi testi di dettagli e digressioni e note. Usava le abbreviazioni, gli acronimi, le liste e tanti
altri artifici. Ma allora, come descrivere un pensiero a parole? Come riuscire a creare una mappa dei
propri pensieri nel cervello di un altro? Certo, un libro è una mappa di un qualche cosa che esiste di per
sé (una parte della mente dell'autore, che a sua volta è una mappa parziale del mondo intero), ma a
Wallace questo non bastava, aveva bisogno di comprimere ancora di più l'informazione. E guardava
quindi alla matematica, una disciplina che da parte sua è specializzata nella compressione
dell'informazione, nelle rappresentazioni. La matematica sa sintetizzare parti della realtà. Sa
comprimerle in scatole in cui non si perde la loro complessità, perché in ogni momento possiamo
ritirarle fuori. Nel racconto Caro Vecchio Neon, scritto lo stesso anno di E&M, Wallace immagina di
far parlare un tizio che si sta suicidando, o forse si è già suicidato, e che ci racconta come sia la
comunicazione “vera” dopo la morte: “Tutte le parole sono ancora lì, ma non è più un problema di
quale viene prima. O potresti dire che non c'è più la serie delle parole, ma piuttosto qualche cosa come
un limite verso cui la serie converge. (…). La cosa che viene fuori è che il simbolismo logico sarebbe
veramente il modo migliore di esprimerlo, poiché la logica è del tutto astratta e al di fuori di quello
che pensiamo come il tempo. È la cosa più vicina a come è realmente.” (CVN, p. 199-200).
La matematica indica per Wallace la possibilità di una comunicazione immediata. Come con l'infinito,
con il paradosso di Zenone, ridotto a esercizio di calcolo elementare, si tratterebbe allora solo di trovare
i concetti giusti per mappare i nostri pensieri in modo nuovo. Comprimerli per renderli
immediatamente percepibili. Purtroppo nella vita reale e anche narrativamente non si capisce come si
possa fare. Wallace può solo indicarci questa direzione, producendo nel frattempo degli scritti
eccezionali, che ancora ci parlano: la comunicazione forse non è immediata, e nemmeno sintetica, ma
non per questo impossibile. E in pratica sviluppa una scrittura capace di evocare molto al di là di quello
che appare in modo manifesto.
5) Intermezzo: di cosa parla Infinite Jest.
IJ NON è un romanzo facile, e la lunghezza (1079 pagine in Inglese, 1281 in italiano) è solo un
elemento secondario. Richiede attenzione e partecipazione, anche solo per non perdersi tra le note e i
tempi e i personaggi. Non cerca di essere incomprensibile, anzi cerca di coinvolgere al massimo i suoi
lettori, e la difficoltà viene piuttosto dal fatto che Wallace cerca di dire veramente un sacco di cose.
Dave Eggers ha scritto che mentre la maggior parte della narrativa contemporanea può essere smontata
e capita, IJ è un'astronave aliena (sic!) che si lascia guardare e gustare, ma non si riesce bene a capire
da dove sia venuta. Da un lato c'è il piacere di lasciarsi andare a una narrazione che di per sé non è
ostica, non ci sono concetti filosofici complessi o stranezze poetiche, e la descrizione è sempre precisa
e chiara, ma a volte effettivamente non si sa bene, almeno all'inizio della prima lettura, dove ci stia
portando. Ci travolge nella sua fluvialità, ma ci delude continuamente nelle nostre aspettative di
continuità narrativa. Dall'altra, leggendo più lentamente, o meglio una seconda volta, ci si accorge di
una struttura narrativa in realtà molto compatta e ben motivata, in cui ogni frase ne richiama un'altra,
sia a scale piccole (all'interno del capitolo) che sulla scala più vasta del racconto. Faccio ora qualche
considerazione generale, senza pretesa di completezza.
a) la struttura.
In realtà la struttura del romanzo è complicata, oltre che dalle omissioni deliberatamente operate da
Wallace, da due ragioni principali. La prima è il rimescolamento temporale operato, amplificato dal
fatto che almeno all'inizio non sappiamo bene dove collocare gli anni, che si scopre sono stati
sponsorizzati. La lista viene messa a p. 266, ma è utile tenerla presente (tra parentesi l'anno vero, che è
utile per i riferimenti non sponsorizzati), eccola:
(2002) Anno del Whopper
(2003) Anno dei Cerotti Medicati Tucks
(2004) Anno della Barretta Dove in Formato Prova
(2005) Anno del Pollo Perdue Wonderchicken
(2006) Anno della Lavastoviglie Silenzionsa Maytag
(2007) Anno dell'Upgrade per Motherboard-Per-Cartuccia-Visore-A-Risoluzione-Mimetica-Facile-Da-
Installare Per Sistemi TP Infernatron/InterLace Per Casa, Ufficio, O Mobile Yushityu 2007 (sic)
(2008) Anno dei Prodotti Caseari dal Cuore dell'America
(2009) Anno del Pannolone per Adulti Depend
(2010) Anno di Glad

La seconda ragione è che abbiamo un sacco di filoni che all'inizio sembrano non interagire, ma in
realtà, sotto traccia, sono strettamente legati tra loro, sia a livello narrativo, ma ancora di più a livello
tematico, con risonanze e contrapposizioni significative. Però, almeno a livello macroscopico, è utile
sapere che i filoni importanti sono tre:
i) l'E.T.A. (la scuola di Tennis) e la famiglia Incandenza: una specie di scuola utopica di stampo
Oxfordiano, fondata dal padre di Hal, il primo protagonista, il defunto James O. Incandenza, dominata
dalla geometria, in cui i ragazzi vengono allevati a perdere la coscienza di sé, perché solo diventando
macchine potranno diventare dei campioni sportivi;
ii) la casa di recupero Ennet House e i suoi ricoverati, tra cui si trova il secondo protagonista, Don
Gately, dove si cerca di capire il proprio problema di dipendenza, stando insieme con altri che lo
condividono. È il punto d'incontro di tutti i personaggi "dipendenti" che vengono introdotti nella prima
parte.
iii) il complotto separatista quebechiano e la situazione politica onanita (sic!). Dopo la grande
riconfigurazione, i tre stati nordamericani si sono uniti in una confederazione ONAN, cedendo al
Canada una vasta regione alle spalle di Boston, la grande concavità, in cui vengono scaricate tutte le
scorie tossiche. I separatisti, divisi in un certo numero di organizzazioni più o meno terroristiche,
stanno combattendo lo stato onanita.
La storia si srotola intorno a una cartuccia contente un film, dal titolo “Infinite Jest”, girato da James O.
Incandenza, che dopo una carriera nell'ottica e una nel tennis, ha passato gli ultimi anni della sua vita
facendo film artistici, e che è così divertente che chi la guarda non può smettere di guardarla e muore,
non potendo staccarsi dalla visione. Nessuno sa se questo sia vero e dove sia questa cartuccia dopo la
morte di Incandenza, e i terroristi separatisti voglio ritrovarla per immetterla nel circuito Interlace e
così eliminare tutta la popolazione nord-americana.
Ci sono travasi da un filone all'altro (e proprio questi travasi vanno seguiti attentamente). Il ritmo di
passaggio da una scena all'altra è all'inizio frenetico (come anche i passaggi temporali), per poi
assestarsi intorno agli accadimenti del novembre APAD (il nostro 2009).
b) Lo stile
DFW parla con voce molto diversa nelle varie sezioni, e i suoi punti di vista sono molteplici. A volte è
anche difficile capire se chi narra è il narratore onnisciente o ci sono più narratori. Poche sono le voci
in prima persona (Hal, Clenette, il Vostro). Non sempre il narratore risulta affidabile, e alcune
inesattezze vengono precisate nelle note (le stesse note sembrano scritte da persone diverse). Il testo è
integrato da 388 note, che risultano essere indispensabili alla lettura del testo, tra cui spicca la nota 24,
la filmografia di James O. Incandenza. Nello stile tipico dei dizionari del cinema, DFW esibisce una
serie di invenzioni straordinarie, che a una prima lettura sembrano solo divertenti (da leggere con
attenzione e poi da rileggere), ma poi, a mano a mano che procediamo nella lettura, si rivelano in realtà
come una specie di riflesso speculare della narrazione, molte situazioni del romanzo essendo quasi
ripetizioni delle trame dei film, una specie di riflesso in miniatura dell'intera struttura. Non ultimo il
fatto stesso che il romanzo stesso si chiami come uno dei film, proprio quello che provoca un
divertimento che dà dipendenza, e da cui in definitiva non ci si riesce più a staccare (come in pratica
risulta essere anche il romanzo stesso).
Figura 7: Infographic con la struttura principale di Infinite Jest.

Comunque, nella dicotomia della letteratura (quella "impegnata", incomunicabile, moderna/post-


moderna vs. quell'altra, quella commerciale e spesso veramente divertente) DFW non vuole scegliere,
ma vuole andare oltre. Ma per farlo deve cercare di capire, di comprendere queste due dimensioni. E
quindi il divertimento è uno scopo della letteratura, ma non deve diventare lo scopo, è sempre un
mezzo per comunicare con il lettore e spingerlo ad agire (alcuni "misteri" del romanzo, sono in realtà
solo dei "mezzi" per spingerci a continuare a leggere compulsivamente le sue pagine per cercare di
chiarirli). E il virtuosismo narrativo, a volte anche parodizzato (specie nelle opere più giovanili di
DFW), qui viene piegato allo scopo di cercare un significato. Per Wallace, lo scopo della letteratura è di
aiutarci a sentirci meno soli.
c) Alcuni riferimenti (molto incompleti)
L'Amleto, richiamato fin dal titolo (citazione di un verso detto da Amleto sulla tomba di Yorick 16, e
ricordiamo che una delle produzioni di J. O. Incandenza era la Poor Yorick), con la ricerca dell'identità
del protagonista, la misteriosa scoperta della morte del padre, la presenza, inizialmente poco avvertita,
ma poi insistente, e forse più importante di quanto non sembri ad una prima lettura, del fantasma dello
stesso padre. L'Ulisse di Joyce (ma anche Dedalus). Ma anche, secondo molti critici, "Fuoco Pallido" di
Nabokov (di cui i vari livelli testuali e la dubbia credibilità in alcuni punti del narratore, nonché l'esteso
sistema di note vengono ripresi). Le Perizie di Gaddis. E poi, I fratelli Karamazov, End Zone e Ratner's
Star di DeLillo, Il bacio della donna ragno di Puig e poi Borges, ovviamente.

16
Alas, poor Yorick! I knew him, Horatio; a fellow of infinite jest, of most excellent fancy. (Ahimè, povero Yorick!...
Quest'uomo io l'ho conosciuto, Orazio, un giovanotto d'arguzia infinita e d'una fantasia impareggiabile).
5) Strutture e forme: la matematica dell'infinito in Infinite Jest.
Quando si legge IJ, la prima difficoltà che si incontra è di capire come sia organizzata la storia. Lo
scorrere del tempo non è lineare, vi sono salti, cambiamenti di punti vista, di luogo, di linguaggio,
alcune importanti omissioni. Il tutto sembra organizzato in modo non casuale (nonostante l'opinione di
alcuni critici della prima ora), ma sicuramente misterioso. Per cui è naturale chiedersi con che criterio
queste cose siano state decise dall'autore. Certo, potrebbe averlo fatto a occhio, senza regole precise.
Ma allora perché tanti, tra lettori e critici, continuano a osservare le molte simmetrie del testo ed altre
evidenti tracce di una struttura organizzata?
A questo in parte risponde lo stesso Wallace in una famosa intervista del 1996 17. L'intervistatore,
Michel Silverblatt, dice di aver osservato che il libro sembra essere organizzato come un frattale, ossia
un oggetto matematico che presenta la stessa struttura su diverse scale. Un certo argomento appare in
una prima forma, poi appaiono tanti altri argomenti e quindi il primo argomento ritorna in una seconda
forma più grande che contiene la prima e così via. Wallace a questo punto, e in modo abbastanza
sorprendente per qualsiasi lettore medio, prova a darci una prima pista: “È proprio una delle cose su
cui si basa il romanzo. È in effetti strutturato come una cosa che si chiama triangolo di Sierpinski, un
tipo primitivo di frattale piramidale18.”
Per cercare di digerire questa frase, cominciamo con il chiarire cosa sia un triangolo di Sierpinski. Si
parte con un triangolo equilatero e si elimina un triangolo centrale con i vertici posti sul punto medio di
ogni lato. Questo ci lascia con 3 triangoli pieni e 1 vuoto. Per ognuno dei triangoli pieni si ripete questa
operazione, e poi si procede ancora allo stesso modo sui nuovi triangolini. Il triangolo di Sierpinski è il
limite di questa procedura ripetuta un numero infinito di volte e viene citato esplicitamente in IJ a p.
254, sul muro della camera del protagonista Hal, dove ce n'è uno enorme disegnato a mano.

Figura 8: Costruzione del triangolo di Sierpinski.

Probabilmente bisogna prendere quanto detto da Wallace solo in modo indicativo. Infatti subito dopo
nella stessa intervista, ripondendo a Silverblatt che che gli chiedeva se c'erano degli schemi prefissati o
la struttura era cresciuta strada facendo, Wallace dice: “C'era un poster del triangolo di Sierpinski che
avevo fin da quando ero un ragazzino e che mi piace proprio perché è bello. Penso che scrivere sia una
combinazione di... c'e' un sacco di sofisticazione e un sacco di ingenuità nel farlo. E molte cose sono di
pancia e 'questo sembra vero/questo no; questo suona giusto, questo no', ed è solo quando ti trovi a
metà strada che cominci a veder emergere una qualche struttura. E allora il grande incubo è che tu sia
il solo a vederla e sia un casino per tutti gli altri.” E più in là, parlando delle prime 400 pagine del
romanzo, Wallace dice, sottolineando il carattere non programmato e misterioso (anche per lui) del
romanzo: “sembrava come un cristallo che si fosse staccato da una grande altezza”.

17
Il cui testo integrale si trova qui: http://web.archive.org/web/20040606041906/www.andbutso.com/~mark/bookworm96/
18
La frase completa finisce così: “Although what was structured as a Sierpinski Gasket was the first- was the draft that I
delivered to Michael in '94, and it went through some I think 'mercy cuts', so it's probably kind of a lopsided Sierpinski
Gasket now. But it's interesting, that's one of the structural ways that it's supposed to kind of come together.”
Insomma, sicuramente Wallace aveva un sacco di cose da dire –
sull'intrattenimento(=le cazzate che ci stordiscono, la pubblicità,
il guardare cose che ci “divertono”, ma nel senso di vertere
altrove la nostra attenzione per non farci pensare e non farci
sentire l'angoscia della nostra vita da soli), su come si passa la
vita, il tennis, la cultura accademica, le sostanze e le cose che
danno dipendenza, la depressione, la tecnologia e i rifiuti. Sulla
politica, l'arte e la comunicazione. E soprattutto sulla solitudine,
l'infelicità, la tristezza, sulla difficoltà di provare sentimenti veri e
la difficoltà di esprimerli, sulla sincerità. Sul pericolo del
"sentimentalismo" e l'uso che facciamo degli altri. Sul pericolo di
essere degli intellettuali
Figura 9: La poligrafia del vuoti, incapaci di
cavaliere, schema alla base del comunicare. E molto
romanzo "La vie mode d'emploi" aveva da mettere, in modo
di Perec. opportunamente
rielaborato, sulla propria
esperienza biografica. E aveva bisogno che tutto questo
“materiale” fosse in qualche modo organizzato,
È indubbio che il problema di come sostenere la struttura
complessiva del romanzo gli fosse molto chiaro. Aveva
assorbito in qualche modo l'esperienza dell'Oulipo 19, e in
particolare il romanzo “W ou le souvenir d'enfance” di Perec ha
alcune cose in comune con IJ (a partire dall'idea di una struttura
per giovani atleti). Anche se non ci si aspetta la struttura
Figura 10: Wallace nel periodo
rigidamente organizzata che ritroviamo nel Calvino del Castello
della scrittura di Infinite Jest, con
dei destini incrociati o nella “Vie, mode d'emploi” di Perec20, si
alle spalle un volume di opere di
vede nell'archivio Ransom di Austin, Texas, dove sono
Nabokov.
conservati una parte degli archivi di Wallace, che era un lettore
attento dell'opera di DeLillo e della relativa letteratura critica. E in primo luogo il saggio “In the loop”
di LeClair, in cui le considerazioni di struttura sulle opere di DeLillo sono articolate e ben argomentate,
tra l'altro proprio su quei romanzi, come “End Zone” e “Ratner's Star” 21, che maggiormente hanno
influenzato IJ. E inoltre la grande influenza di scrittori per cui la struttura stessa del romanzo era
19
http://www.slantmagazine.com/house/2009/04/looking-for-one-new-value-but-nothing-comes-my-way-an-interview-
with-film-critic-glenn-kenny-about-david-foster-wallace/
20
Perec viene evocato nel libro con un personaggio, Luria P---, che in realtà, si viene a sapere en passant, porta il suo
cognome. Per un lettore matematico alla ricerca di strutture complesse, ma ben organizzate della narrazione, “La vie,
mode d’emploi” di Perec offre un modello difficilmente raggiungibile. Scrive infatti lo stesso Perec, dopo la
pubblicazione del libro: « Il aurait été fastidieux de décrire l'immeuble étage par étage et appartement par appartement.
Mais la succession des chapitres ne pouvait pour autant être laissée au seul hasard. J'ai donc décidé d'appliquer un
principe dérivé d'un vieux problème bien connu des amateurs d'échecs : la polygraphie du cavalier : il s'agit de faire
parcourir à un cheval les 64 cases de l'échiquier sans jamais s'arrêter plus d'une fois sur la même case. Il existe des
milliers de solutions dont certaines, telles celle d'Euler, forment de surcroît des carrés magiques. Dans le cas particulier
de La Vie mode d'emploi, il fallait trouver une solution pour un échiquier de 10 X 10. J'y suis parvenu par tâtonnements,
d'une manière plutôt miraculeuse. La division du livre en six parties provient du même principe : chaque fois que le
cheval est passé par les quatre bords du carré, commence une nouvelle partie. On remarquera cependant que le livre n'a
pas 100 chapitres, mais 99. La petite fille de la page 295 et de la page 394 en est seule responsable. » (extrait de G.
Perec, «Quatre figures pour La Vie mode d'emploi », L'Arc n° 76, 1979).
21
Per esempio Ratner's Star ha chiaramente una struttura simmetrica speculare come di un boomerang orizzontale, che
DeLillo chiama il twilligon stellato, ed è la principale struttura geometrica inventata dal protagonista del romanzo.
fondamentale come Nabokov, che diceva di immaginare tutti i suoi romanzi prima di mettersi a scrivere
e di dover poi soltanto riempire le caselle di una specie di “cruciverba”. E poi, nella stessa intervista, a
Silverblatt che gli chiede se questa struttura è fatta per essere scoperta, risponde: “da giovane avrei
giocato all'infinito questo tipo di giochi strutturali che, mi sembra, in retrospettiva, fossero
principalmente solo per me stesso; Non mi importa molto. Cioè, IJ cerca di essere un sacco di cose
diverse allo stesso tempo, e non mi cambia molto se qualcuno – ossia mi aspetterei che qualcuno che
sia un matematico o un logico, fosse interessato in qualcuna delle strutture frattali che vi si trovano.
Per me – voglio dire, un sacco delle motivazioni riguardano il fatto che così tanto della vita americana
di fine millennio consiste in una grande quantità di cose come pezzi discreti di informazione che ci
arrivano, e che la vera avventura intellettuale è di trovare il modo di connetterli tra loro e trovare più
grandi forme e significati, che è una cosa essenzialmente narrativa, ma che strutturalmente è una cosa
abbastanza differente. (…). Insomma, per fare qualche cosa di così lungo, una buona parte della parte
strutturale è per me, sono come dei chiodi per arrampicarsi su di una parete rocciosa.. È un modo per
me di orientarmi e impegnarmi e poterci passare attraverso. Non credo di voler imporre strane
strutture al lettore come avrei fatto dieci anni fa.”
Insomma, un disegno c'è, ma non è fatto per essere visto, e soprattutto non deve nascondere quelli che
Wallace considera i veri temi espliciti del romanzo. Probabilmente questo disegno è emerso strada
facendo. Wallace ha tirato fuori tante cose che aveva dentro, interi capitoli, personaggi, un futuro
prossimo, la dipendenza, gli abusi, le storie che aveva vissuto (il ricovero che aveva subito in una casa
di recupero, l'esperienza del tennis, la mamma esperta di grammatica), ha raccolto insomma “il cristallo
caduto” e poi ha cominciato a riorganizzare il tutto, riconoscendo e a classificando all'interno di questa
materia caotica, delle forme, dei ritmi, delle simmetrie. E per farlo sembra che in parte si sia servito di
regole e strutture “matematiche”, magari poi violandole immediatamente dopo. Partiamo quindi dalla
struttura frattale, ma non rigida e ben definita, e magari un po' sbilenca. Per esempio la struttura
familiare incestuosa tipica dell'Amleto, ripetuta nella famiglia Incandenza, ma in tanti altri episodi
grandi e piccoli22. O il tema dei rifiuti, su scala ecologica, e anche sul piano più prosaicamente
scatologico. Il tema della dipendenza, declinato a tutti i possibili livelli, dalla droga, all'alcol,
all'intelligenza, alla bellezza, alla fama sportiva. E poi i tanti “buchi” nella narrazione che riflettono la
caratteristica principale del triangolo di Sierpinski, ossia la rimozione sistematica di una parte della
struttura, fino ad arrivare a un insieme di misura (bidimensionale) uguale a zero 23: alla fine della
procedura, all'infinito, abbiamo tolto quasi tutto, ma quello che rimane non è il nulla, e anzi la cornice,
diventata infinitamente sottile (e infinitamente lunga), è un oggetto complesso e potenzialmente
inesauribile da percorrere: la linea narrativa che cerca di riempire lo spazio, come fosse una curva di
Peano, ma in qualche modo rimane sempre in un'altra dimensione. E in IJ l'ambizione è proprio quella
di parlare di cose vere, cercando di dire il meno possibile 24, ma alludendo infinitamente a tutto il resto,
catturando il lettore nelle sue pieghe, e rimandandolo sempre a eventi che succedono al di fuori del
libro. In questo quadro, una cosa che colpisce un lettore matematico, è come questa struttura sia a sua
volta palesemente formata da motivi basati su svariate forme matematiche. Per esempio, come
osservato da Greg Carlisle25, il testo presenta numerose strutture “illimitate/infinite” (per esempio la
partita di Eschaton, o lo scontro tra Gately e i canadesi, ma anche su scala più piccola la stasi di Erdedy
o il finale del racconto di Jim senior) in cui alcuni eventi sono presentati in modo da aumentare la loro

22
da Clenette, alla famiglia Pemulis, alla storia della maschera di Raquel Welch, e infine adombrata nella famiglia di
Joelle.
23
In realtà il triangolo di Sierpinski è un insieme di dimensione frattale uguale a ln(3)/ln(2), circa 1,584, ossia un'area nulla
come superficie e una lunghezza infinita come curva.
24
Che può sembrare un paradosso per un romanzo che, note comprese, in italiano fa 1281 pagine...
25
G. Carlisle, Wallace's Infinite fiction, Sonora review 55, 2009, p.33-37.
intensità in modo potenzialmente infinito, ma
non risolti nel testo, creando cosi una
condizione che Wallace stesso chiama di “stasi
caotica” (IJ, n. 61). All'avvicinarsi del momento
di climax, sempre più dettagli vengono presi in
considerazione, e la narrazione deve
interrompersi, come se fossimo in presenza di
un'asintoto verticale di una funzione illimitata,
per permettere al racconto di procedere.
Abbiamo già incontrato una descrizione di
questo tipo di intensità nel brano sul tennis
infinito in “Tornado...”. In IJ, Wallace riprende la
stessa idea, sempre parlando di tennis, ma questa
volta in modo più vasto e meno parodistico,
quasi ad enunciare una poetica dell'espansione Figura 11: La struttura a forma di cardioide
intensiva: “Gli sembrava intuitivamente di dell'E.T.A., tratta dal libro "The Elegant
sentire che non era per niente un problema di Complexity"
riduzione, ma – perversamente – di espansione, il fremito aleatorio della crescita incontrollata e
metastatica – ogni palla colpita bene ammette n possibili risposte, n 2 risposte possibili a queste
risposte, e così via in quello che Incandenza avrebbe definito per chi avesse condiviso entrambe le sue
aree di competenza, come un continuo cantoriano di infinità di possibili mosse e risposte, cantoriano e
bello perché stratificato, contenuto, questa infinità bigenerata di infinità di scelta ed esecuzione,
matematicamente incontrollata, ma umanamente contenuta, delimitata dal talento e
dall'immaginazione di se stessi e dell'avversario, ripiegata su se stessa dalle frontiere date dall'abilità
e dall'immaginazione che alla fine fanno perdere uno dei giocatori, e impediscono a entrambi di
vincere, che creano, alla fine, un gioco, queste frontiere del sé” (IJ, p.97). Trasposto nella scrittura,
l'avversario siamo noi, i lettore, che reagiamo e interagiamo con il testo che viene proposto. Da questa
dialettica, dalle frontiere del testo, nasce il gioco, il romanzo che vive in ognuno di noi. Ma non finisce
qui. Oltre alle strutture infinite, il matematico (e non solo lui) non riesce a non vedere che ci sono tante
parole chiave di carattere matematico che ritornano e sembrano alludere a altre e anche più consistenti
scelte strutturali, sempre nello stesso stile frattale. La nota 3, richiamata a p. 60, ci informa quasi
subito della grande importanza che sembrano rivestire le curve algebriche, parlando del fatto che la
scuola di tennis era strutturata in forma di cardioide (come un “cuoricino di San Valentino”) ed era stata
progettata dal“topologo Übermensch-delle-applicazioni-sulle-curve-chiuse di fama mondiale A.Y.
('Campo-Vettoriale') Rickey della Brandeis Univ., ora deceduto...” (IJ, n. 3). Più avanti nel romanzo
incontriamo uno scritto autobiografico del padre di Hal, il defunto James O. Incandenza. Ancora
adolescente, Incandenza padre aveva rotto per sbaglio il pomello della porta di camera sua che aveva
cominciato a roteare in modo strano, seguendo una curva che somigliava ad una cicloide (anche se in
realtà quella descritta nel testo è un'ipocicloide...). Il ricordo finisce con questa frase: “Così avvenne
che mi interessai per la prima volta nelle possibilità dell'anulazione”. L'anulazione è un processo
circolare (anulare) in cui i rifiuti permettono di creare nuova energia in modo inesauribile, ed è alla
base della società di IJ, e Incandenza ha contribuito ad inventarla. Non è molto chiaro cosa c'entri la
cicloide, che in particolare non è una curva chiusa, anche se è generata dalla rotazione di un cerchio. La
cosa diventa più chiara se si considera che uno dei romanzi a cui maggiormente si ispira IJ, è “Ratner's
star” di Don DeLillo. In questo libro, di cui si conserva nell'archivio Wallace una copia fittamente
annotata26, e che è pieno zeppo di matematica, anzi è scritto esplorando a fondo le possibilità narrative
del linguaggio matematico, un ragazzo di 14 anni, Billy, matematico prodigio, viene condotto in un
26
In una lettera a DeLillo del giugno del 1992, Wallace scrive di essere “very attached (often literally) to End Zone and
parts of Ratners's Star”.
Istituto di ricerca isolato a forma di cicloide per risolvere problemi di importanza mondiale. La frase di
Incandenza può quindi essere letta come una riflessione autobiografica di Wallace che, leggendo il
romanzo di DeLillo, per la prima volta si rende conto della possibilità di scrivere un romanzo dove le
forme siano legate al contenuto, basato questa volta sulla circolarità e la ripetizione autorefereziale.
Ellissi, cicloidi, cardiodi e anche curve che si chiudono all'infinito. Di questo si accorse
immediatamente uno studente di letteratura, Chris Hager, che lesse IJ praticamente al momento della
sua pubblicazione all'inizio del 1996, e lo scelse come soggetto della sua tesi di Laurea 27, avendo la
fortuna di poter corrispondere in modo diretto con Wallace. Hager si accorse subito che Infinite Jest
presenta una struttura abbastanza simmetrica. Per esempio, a pagina 300 un personaggio, Tony Krause,
ha un crisi di astinenza mentre è in metropolitana, e a 300 pagine dalla fine lo ritroviamo che scappa
dopo aver scippato una borsa. In una delle prime pagine Hal ricorda di aver scavato con Gately nella
tomba di suo padre, e in una delle ultime pagine, l'altro protagonista, Gately, sogna la stessa scena, ma
leggermente cambiata. Supportato da altre parti del testo28, Hager azzarda una prima congettura: IJ è un
romanzo strutturato come una parabola, il cui culmine è dato dalla scena centrale del romanzo, in cui
un personaggio muto, Lucien Antitoi(=l'opposto di me), muore e improvvisamente parla tutte le lingue
del mondo. All'opposto, ossia tra l'inizio e la fine del romanzo, il protagonista Hal, la prinicipale
incarnazione di Wallace, perde la parola e non riesce più a farsi capire. Questa parabola focalizza tutta
l'energia delle varie situazioni verso l'infinito da cui noi lo osserviamo. Wallace, scrivendo ad Hager,
dice che IJ era basata su quattro progetti e che Hager ne ha scoperti almeno uno e mezzo. Ma non dice
se la storia della parabola sia giusta o meno. Certo, di materiale per fare congetture sulla struttura di IJ
ce ne sarebbe tanto, a partire dal tema delle cose circolari, anulari, la anulazione, i cerchi, le ellissi29. E
c'è anche la circolarità di parti di romanzo, come la filmografia di Incandenza padre di cui si è detto
sopra, che descrivono brevemente intere scene che avvengono in altri parti.
Per cui, proprio come in una ricerca matematica, e senza la pretesa di leggere nel pensiero di Wallace,
possiamo cominciare a provare a fare qualche nuova congettura, per vedere se si tiene in piedi oppure
no, e soprattutto se aggiunge qualche cosa alla lettura stessa del romanzo. D'altra parte, proprio questa
struttura aperta e mutilata, ci spinge a cercare di riempire i vuoti, elaborando, anche nostro malgrado,
delle spiegazioni personali. Proprio il lavoro che Wallace esigeva dai suoi lettori.
Per cominciare, si potrebbe mettere in evidenza un'altra curva, l'iperbole, la conica finora mancante,
che sembra invece avere qualche connessione non banale con l'infinito e la struttura complessiva di IJ.
In fondo abbiamo già visto in “Tennis, trigonometria e tornado”, che Wallace era un amante delle
funzioni iperboliche. Anche in questo caso l'iperbole è strettamente connessa con la figura retorica
legata all'esagerazione. In IJ questo termine appare una sola volta in una conversazione tra gli studenti
dell'ETA dopo un allenamento particolarmente duro a p.119.
“Sono finito. Spompato a sangue”.
“Fottutamente spompato, piuttosto”.
“Prosciugato. Stroncato. Stremato. Più morto che vivo”.
“Non ci vanno nemmeno vicino, le parole”.
“Inflazione di parole,” dice Stice “Più grande e migliore. Molto più grande, il più grande, il più
totalmente eccellente. Iperbolico e ancora più iperbolico. Come un'inflazione di livelli”. (…).
Hal guarda Stice alzando le sopracciglie e sorride. “Più iperbolico?”
27
Chris Hager's Thesis. On Speculation: Infinite Jest and American Fiction After Postmodernism.
http://www.thehowlingfantods.com/thesisb.htm
28
“Le spettacolari catapulte lunghe come un isolato che fanno un rumore come di un gigantesco piede che sbatte a
terra quando fanno volare i grandi veicoli dei rifiuti legati insieme nella regione subanulare della Grande Concavità ad
un'altezza parabolica di oltre 5 Km”. IJ, p 288. “Una grande chiesa del colore del cemento fresco, con abbondanza di
vetro (…), una forma parabolica di cemento che si gonfiava e si alzava come un'onda”. IJ, p. 1144.
29
“Due aerei privati volano in ellissi pigre proprio sotto la cappa di nuvole” IJ, p. 745.
“Mio padre da ragazzo avrebbe detto che “stremato” andava bene”.
“Mentre noi siamo seduti qui e abbiamo bisogno di nuove parole e nuovi termini”.
Wallace affronta ancora una volta, direttamente, il
problema della comunicazione tra umani nel nostro
tempo e anche del bisogno di nuove modalità per
esprimere i soliti vecchi sentimenti. E per fare questo
ritiene non si possano usare le vecchie forme, oramai
svuotate dall'uso. È invece necessario usare tutto
l'armamentario sperimentale, esagerare oltre ogni limite,
fare in poche parole delle iperboli ancora più
iperboliche. E queste iperboli non sono soltanto delle
iperboli retoriche, ma potrebbero essere prese alla lettera
per capire la composizione strutturale di IJ. Ricordiamo
intanto com'è fatta un'iperbole. Abbiamo due rami
separati che vanno verso l'infinito. Questi rami si
avvicinano verso l'origine e c'è una doppia simmetria
verticale e orizzontale. Queste ragioni candidano
l'iperbole ad essere un'ottima rappresentazione della
Figura 12: L'iperbole equilatera. struttura globale di IJ. Abbiamo due protagonisti Hal e
Gately, che sono le due proiezioni estreme di Wallace:
Hal è il giovane intellettuale supersofisticato, con una memoria prodigiosa, dedito alla grammatica e al
tennis, che si interessa all'erotismo bizantino e al vocabolario; D. W. Gately (notare che le vere iniziali
di Wallace erano D.W., la F fu aggiunta per motivi editoriali) è grosso come Wallace e come lui si trova
verso i 30 anni in una casa di recupero. Insomma sono Wallace prima e dopo la crisi. Abitano vicino, a
poche centinaia di metri di distanza, ma nel testo le loro strade non si incontrano mai. La doppia
simmetria è sia nella struttura del libro (la prima parte rispecchia la seconda, a volte in modo puntuale,
come già osservato da Hager) che nelle loro vite (l'ascesa e caduta di Hal, e la caduta e la successiva
ascesa di Gately). I fuochi di questa iperbole sono rispettivamente la partita di Eschaton per Hal, situato
a circa un terzo del romanzo, che è il primo momento di crisi, e lo scontro con i canadesi, che vede
protagonista Gately, a due terzi circa, che è il secondo momento di crisi. I due rami di iperbole, come i
due protagonisti, da qualche parte al di fuori del nostro orizzonte finiscono per incontrarsi. Hal e Gately
si incontrano in un tempo indeterminato, forse onirico, che viene indicato nel testo da alcuni passaggi
un po' misteriosi. Questa interpretazione potrebbe sembrare fantasiosa (e forse lo è). Ma leggiamo cosa
risponde a un intervistatore che gli chiede come finisce IJ (Live Online with David Foster Wallace,
May 17, 1996):
Herb: Non c'è “finale” in un “Libro Infinito” perché non ci può essere? O era solamente stanco di
scriverlo?
DFW: Per quanto mi riguarda un finale c'è. Si può ritenere che un certo tipo di linee parallele cominci
a convergere in modo tale che una “fine” possa essere proiettata dal lettore da qualche parte al di là
della struttura data. Se non vi capita di provare questa convergenza o proiezione, allora il libro non
avrà funzionato per voi.
Però la cosa non finisce qui e c'è un'altra congettura che viene
fuori ad una più attenta lettura. Per prima cosa dobbiamo partire
dal presupposto che Wallace volesse dire delle cose abbastanza
precise, ma per dirle meglio pensava fosse necessario mischiare
le carte proprio per catturare l'attenzione del lettore, che una
volta preso dal meccanismo del libro sarà costretto ad attivarsi, a
giocare insomma la sua partita, riconnettendo le diverse parti
della narrazione che sono state separate in modo non casuale. Il Figura 13: Il simbolo dell'infinito,
testo è seminato di indizi e rimandi, che oltre ad avere un la lemniscata di Bernoulli.
significato proprio, spesso agiscono come mezzi narrativi per
spingere il lettore ad andare avanti. In questo libro, dove l'infinito è onnipresente a partire dal titolo,
quello che sembra mancare è proprio il simbolo dell'infinito, quell'8 rovesciato che abbiamo imparato a
conoscere a scuola. Utilizzato per la prima volta da John Wallis nel 1655, è descritto da una curva di
incerta paternità30 chiamata Lemniscata. A questa curva Wallace dedica abbastanza spazio nel suo libro
sull'infinito, enunciandone proprietà geometriche e analitiche. Nel racconto “Il giardino dei sentieri che
si biforcano” del 1941, Borges scrive: “In un indovinello sulla 'scacchiera', qual è l'unica parola
proibita?" Riflettei un momento e risposi: “La parola scacchiera.” (…). Omettere sempre una parola,
ricorrere a metafore maldestre e a perifrasi evidenti, è questo il modo più enfatico di indicarla.” Ora,
come nell'indovinello di cui parla Borges31, il simbolo dell’infinito non è mai citato nel testo vero e
proprio32, anche se non è difficile trovare le maldestre metafore e perifrasi della citazione. La prima è a
p. 55 dove, parlando di una delle tante donne di Orin, leggiamo:“Non era proprio un genio – pensava
che la figura che lui tracciava sul suo fianco nudo dopo il sesso fosse il numerale 8, per dare un'idea.”
Di nuovo, a p. 346, abbiamo un riferimento sempre vagamente mascherato:“Orin Incandenza, che (…)
aveva dei problemi di dipendenza dalla sessualità, ha già tracciato pigramente dei piccoli 8 di traverso
sui fianchi postcoitali di una dozzina di studentesse”. Più esplicitamente la n. 307 (una delle ultime, per
chi vi fosse arrivato!) riporta: "... questa è una delle uniche due volta in cui Orin si è percepito come
rimorchiato, l'altra volta essendo quella con la modella svizzera di manicure, sul cui fianco nudo ha
tracciato furiosamente i segni dell'infinito33”. Insomma, è come se Wallace volesse attirare l'attenzione
su questo simbolo, per cui in E&M mostrerà di avere una vera passione (lo userà quasi sempre al posto
della parola 'infinito')34. La lemniscata è infatti legata strettamente al concetto di “loop”, di passaggio
infinito nello stesso punto, essendo una sorta di proiezione monodimensionale del nastro di Moebius. E
tutti quelli che leggono IJ fino in fondo sanno che la prima cosa che si fa quando si è finito è quella di

30
C'è chi dice Cassini nel 1680, chi Bernoulli qualche anno dopo.
31
Più ci penso e più mi sembra inevitabile che la lettura di Borges abbia influenzato Wallace. IJ somiglia in molti modi al
romanzo del cinese Ts'ui Pên descritto nel racconto “Il giardino dei sentieri che si biforcano”. Wallace era tra l'altro un
grande ammiratore di Borges. Vedi D.F. Wallace, Borges on the couch, The New York Times, 7 November, 2004,
http://www.nytimes.com/2004/11/07/books/review/07WALLACE.html (da cui si apprende che Wallace ha letto dei
labirinti di Borges quando aveva 12 anni, sic!).
32
In realtà questa affermazione è dovuta a Julian Sanchez nel suo articolo “The Garden of Looping Paths"
http://asupposedlyfunblog.wordpress.com/2009/07/15/the-garden-of-looping-paths/.
33
Orin, un'ennesima proiezione di Wallace, è un personaggio triste e angosciato. Vive la sessualità in modo disperato e
“riesce solo a dare piacere, mai a riceverne”. Solo dopo l'atto ha un attimo di sollievo e traccia inconsciamente questo
simbolo, forse per vezzo, forse a significare la ripetitività di questo incrocio di corpi. Forse solo per indicare a noi cosa
guardare.
34
Senza contare i nastri di Moebius della n. 24: “Möbius Strips. Year of the Whopper. Lactrodectus Mactans Productions.
'Hugh G. Rection,' Pam Heath, 'Bunny Day,' 'Taffy Appel'; 35 mm.; 109 minutes; black and white; sound. Pornography-
parody, possible parodic homage to Fosse's All That Jazz, in which a theoretical physicist ('Rection'), who can only
achieve creative mathematical insight during coitus, conceives of Death as a lethally beautiful woman (Heath).
INTERLACE TELENT FEATURE CARTRIDGE #357-65-32 (Y.W.)”
ricominciarlo. L’inizio e la fine sono strettamente collegati, anche se nella seconda lettura tutto assume
un significato diverso, come se fossimo sull’altra faccia del nastro di Moebius. Allora, forse questo
romanzo ha la forma “infinita” di un nastro di Moebius (ma dove sarebbe l'intersezione?).
Ecco allora un'altro elemento. Stephen Burn, a p.47 della sua guida alla lettura di IJ35, fa notare che la
prima delle due crisi che avvengono in IJ, quella che si svolge durante la partita di Eschaton e sta nel
primo “fuoco” dell'iperbole, avviene l'8 novembre, e questa data è l'anniversario della scoperta dei
raggi X da parte di Rontgen. E i raggi X sono ricordati esplicitamente in ben due situazioni che
avvengono in quella data: se ne parla durante la partita di Eschaton e poi compaiono in riferimento dei
fraudolenti occhiali a raggi X venduti dai fratelli Antitoi. Secondo Burn, la data in cui abbiamo potuto
cominciare a guardare al nostro interno è richiamata nel testo, nel momento in cui cominciamo a
guardare all'interno dei personaggi. La cosa interessante è che, partendo da questa osservazione e
cercando meglio, di X nel testo ce ne sono veramente tante. Xmas per indicare il Natale, X per
l'Ecstasy, l'incognita matematica X, il curioso neologismo “Xing” (Xare) per indicare i rapporti
sessuali. E ce ne sono almeno un'altra ventina che non si spiegano se non con la volontà di lasciare una
traccia. Per esempio a p.3, prima pagina del romanzo, troviamo: “Le mie dita sono intrecciate e mi
appaiono come la lettera X vista in una serie di specchi”. Oppure a pagina 21: “Egli sedeva e pensava
e aspettava nella X irregolare formata dalla luce che passava attraverso due diverse finestre”. E anche
verso la fine: “Una delle ragazze della colazione aveva detto che c'erano state delle scope sul muro, in
una X di scope, spuntate dal nulla, sul muro.”
La lettera X ha un significato molteplice. Da un parte è l'incognita, la cosa da trovare, la crocetta sulla
mappa del tesoro che indica dove scavare. Però, come dice Burn, è anche la lettera che indica i raggi
che creano, alla fine dell'800, una rivoluzione medica, ma anche artistica e filosofica. Scrive L.D.
Henderson36, i raggi X “stabiliscono chiaramente l'inadeguatezza della percezione sensoriale umana e
pongono alcuni problemi fondamentali sulla sostanza delle cose e la realtà che erano metafisici prima
che scientifici. (…). Questo relativismo della percezione ispirò tra l'altro artisti come Duchamps e
Picasso che cercarono di rappresentare una realtà invisibile e immateriale nelle loro opere; di vedere il
non-visto.” Inoltre la X è il simbolo del chiasmo, quella figura retorica basata sull'incrocio di due
diversi temi, largamente usata in tutta la storia della poesia e anche recentemente da Joyce. E anche qui
abbiamo l'incrociarsi, o meglio il contrapporsi, di due storie diverse, quella di Hal e di Gately, che
vengono alternate in modo abbastanza regolare nel corso della narrazione. Questa congettura non
sarebbe necessariamente in contrasto con le precedenti, le simmetrie restano, l'incrocio richiama la
parte centrale della lemniscata, e inoltre si aggiunge l'elemento di visione dell'interno che è chiaramente
intenzionale (c'è anche una scena di un ragazzo, il povero Fenton, che subisce una P.E.T. Scan piuttosto
terrorizzante, e dall'olografia agli specchi, passando per il mito di Medusa, la visione ha un posto
importante nel romanzo).
Facciamo un altro passaggio. Come osservato da Stefano Bartezzaghi37, una delle parole chiave di IJ è
la parola “map”, mappa, ma anche rappresentazione cartografica, funzione, applicazione. Wallace la
usa spesso al posto di “vita”, in frasi tipo: “sradicare la propria mappa”, “cancellare la mappa”, per
suicidarsi o uccidere. L'individuo come una mappa del mondo, un riflesso di quel territorio esterno che
ci viene trasmesso. I problemi cominciano quando la mappa e il territorio, la rappresentazione e la
realtà si confondono. Per un anedonico come Hal, il depresso che non prova piacere, il mondo diventa
allora una mappa del mondo. A un personaggio che ingerisce una sostanza particolarmente tossica, per

35
Stephen J. Burn, David Foster Wallace's Infinite Jest, Continuum Contemporaries, 2003.
36
Linda Dalrymple Henderson. "X-rays and the Quest for Invisible Reality in the Art of Kupka, Duchamp, and the
Cubists." Art-Journal 47 (1988): 323-40.
37
Stefano Bartezzaghi, Scrittori giocatori, Einaudi 2010.
molte settimane il cielo appare una piatta e fredda griglia squadrata euclidea con gli assi neri e una rete
sottile come un filo che crea una griglia di coordinate. E lo scatenamento della crisi di Eschaton
avviene a causa della confusione che si crea tra mappa e territorio nel momento in cui comincia a
nevicare: “It's snowing on the goddamn map, not the territory, you dick!” urla esasperato Pemulis,
quando durante la partita di Eschaton qualcuno pensa che la neve che sta cadendo sul campo da gioco
possa in qualche modo influenzare lo svolgimento del gioco stesso.
Ma se noi siamo rappresentazioni del mondo, cosa succede quando la mappa e il mondo si scambiano
di posto? E se invece il mondo di IJ non fosse altro che il prodotto di questo scambio tra la mente e il
mondo? Il mondo, inteso come sostanze psicotrope, alcol, abusi, ma anche disciplina, educazione,
tragedie, entra dentro molti dei personaggi del libro e diventa la loro mente e il loro corpo, insomma
diventa la loro mappa. Quando le cose vanno male infatti il mondo diventa una mappa, in questo senso
solo un simulacro della cosa vera.
Ma il dentro, quella che era la mappa, in IJ
è diventato il mondo. La scuola è a forma
di cuore/cardioide, il pallone per giocare
d'inverno è chiamato “polmone”; il palazzo
dell'unione degli studenti, progettato dallo
stesso architetto topologo che ha disegnato
la scuola, è un'enorme cortecca cerebrale.
E durante la giornata avvengono alcune
evacuazioni di rifiuti, che vengono lanciati
nella vicina concavità. È come se Wallace
avvesse messo fuori tutto se stesso, a
Figura 14: una scacchiera e la sua inversione. cominciare dal suo corpo, avesse insomma
tirato fuori la sua propria mappa. E infatti ogni personaggio a ben guardare, è in qualche modo una
proiezione esterna del mondo dei suoi ricordi. Hal e Gately, abbiamo detto, ma anche la mamma di Hal,
i fratelli Orin e Mario, l'amico Marlon Bain. E questo scambio tra interno ed esterno avviene anche per
Hal. Nel corso del romanzo sappiamo che Hal, nonostante sia uno studente geniale e un ottimo tennista
di livello continentale, sa di essere vuoto al suo interno e di non provare nessun vero sentimento. Nella
fine cronologica della storia, che viene descritta nel primo capitolo, Hal si ritrova tutto completamente
dentro se stesso: “I'm in here” dice Hal nel terzo paragrafo del libro. Nel dialogare con noi è
completamente lucido, ma incapace di comunicare e di avere qualsiasi interazione con l'esterno. Il suo
corpo ha mantenuto l'abilità, oramai automatizzata, di giocare a tennis. Anzi, grazie alla sconnessione
con la parte pensante, Hal è immune dalle debolezze che prima lo caratterizzavano. Ma è come se il
mondo esterno, e noi con lui, fosse entrato dentro di lui diventando di fatto il suo mondo e la sua mappa
e isolandolo così per sempre.
IJ sarebbe dunque il romanzo in cui l'interno diventa l'esterno e viene esibito in pubblico, il mondo
diventa il mondo di Wallace insomma. Wallace ci presenta la mappa della sua mente. E viceversa,
l'esterno, che comprende in primo luogo la società americana degli anni '90 e la sua ricerca estrema e
letale del divertimento, entra dentro le menti dei personaggi, nelle nostre menti, nella mente dello
stesso Wallace, e ci si mostra per quello che è, solo un'altra forma di dipendenza.
Questo scambi tra interno e interno hanno un loro corrispondente matematico, che si chiama
“inversione”, ed è una delle quattro trasformazioni conformi (ossia quelle che lasciano invariati gli
angoli) del piano introdotte proprio da Moebius nell'800. Geometricamente si definisce l'inversione
come la trasformazione del piano che manda ogni cerchio di raggio R in un cerchio di raggio 1/R,
lasciando quindi fermo il cerchio di raggio 1. Quello che sta dentro va fuori e viceversa. Il centro del
piano, il punto 0, si scambia con l'infinito. Analiticamente si può scrivere sia in variabile complessa,
come la trasformazione che manda z in 1/z, o anche in termini di variabili reali, introducendo delle
nuove variabili (x', y'), definite da x'=x/(x2+y2), y'=y/(x2+y2). .
La cosa potrebbe sembrare casuale e abbastanza scollegata dalle osservazioni precedenti, fino al
momento in cui non osserviamo alcune delle conseguenze di questa inversione.
La prima è che se facciamo l'inversione di una parabola, questa
diventa una cardioide. La seconda è ancora più sorprendente.
Facendo l’inversione di un’iperbole, la curva che troviamo è
proprio la lemniscata, ossia il simbolo dell'infinito! In altri termini
le varie strutture che sembrano agire come motori per la
disposizione del romanzo, sono in realtà la stessa cosa. IJ sarebbe
costruito proprio sul
simbolo dell'infinito, che noi
però vediamo stando al di
fuori del modo di Wallace,
come se fosse un'iperbole,
una cosa che si espande
verso l'infinito in tutte le
Figura 15: la cardioide e la direzioni, in un mondo in
parabola, l'una l'inversa dell'altra. cui Hal e Gately non si
incontrano mai. Insomma, lo scherzo (=jest) infinito di Wallace è
stato allora quello di fare un romanzo a forma di ∞, e poi tirarlo
fuori, invertirlo, proiettando di fatto all'∞ la parte mancante
dell'intreccio, e lasciando poi a noi il compito, non facile, ma
appassionante, di immaginare e ricostruire.
Figura 16: la lemniscata e
l'iperbole, l'una l'inversa
dell'altra.

You might also like