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Leggete l’articolo de Il Sole 24 ORE intitolato «La disuguaglianza dall’antica Roma ai tempi nostri».

Si tratta di una recensione da Piero Fornara del libro Chi ha e chi non ha – Storie di disugualianze
scritto da Branko Milanovic, economista i cui lavori accademici si concentrano sugli effetti sociali della
crescita economica e sulla disuguaglianza globale. Più pertinentemente a noi, la recensione paragona la
disuguaglianza nell’antica Roma e quella odierna. Riflettete su questi contesti di disuguaglianza e
scrivete un breve saggio di circa 300 parole mettendo a confronto le disuguaglianze nell’antica
Roma, nel mondo contemporaneo e nella società in cui vivete o da cui provenite. Utilizzate uno dei
seguenti argomenti come punto di partenza:
 Che pensate della disuguaglianza, sia finanziaria sia sociale, attorno a voi?
 Come, secondo voi, si trasformerebbe in realtà un mondo ideale per quanto riguarda la
disuguaglianza?
 Che cosa si può fare come primo passo verso un mondo più equo?

14 giugno 2013

La disuguaglianza dall'antica Roma ai tempi nostri


di Piero Fornara
© Copyright Il Sole 24 Ore - Tutti i diritti riservati
https://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2013-06-14/disuguaglianza-antica-roma-tempi-
140709_PRN.shtml

Avete già sentito parlare dell'esclusivo resort di Lough Erne, vicino a Enniskillen in Irlanda del Nord
(un paio d'ore d'auto da Belfast)? Lunedì 17 e martedì 18 ospiterà il vertice G-8 di quest'anno. La Gran
Bretagna ha la presidenza di turno e il premier conservatore David Cameron ha fatto questa scelta
(nonostante qualche critica), perché «sarà una pubblicità fantastica per l'Irlanda del Nord»,
ironizzando sull'eventuale problema di riuscire a tenere «il presidente Obama lontano dal campo di
golf».

Nell'agenda della presidenza britannica ci sono soprattutto le tre "T" di Tax, Trade e Transparency: un
trinomio che passa per la liberalizzazione del commercio internazionale, il miglioramento dei sistemi
di riscossione delle tasse e una maggiore trasparenza, per rafforzare le economie del G-8, facendo da
stimolo e apripista anche per interventi di più ampio respiro a beneficio di tutti i paesi del mondo.

Per la prima volta dal dopoguerra in Occidente la generazione dei giovani in età da lavoro non ha più
le aspettative crescenti dei loro genitori. John Maynard Keynes, grande economista britannico della
prima metà del Novecento, non è stato un buon profeta nel prevedere che, entro i primi decenni del
nostro secolo, grazie al progresso tecnico, avremmo lavorato tutti non più di quindici ore a settimana
(così scriveva nel 1930, nel saggio Prospettive per i nostri nipoti). La sua utopia della libertà dal lavoro si
è paradossalmente realizzata a rovescio: quanti disoccupati – italiani e non solo – che hanno venti o
trent'anni vorrebbero poter lavorare "almeno" quindici ore a settimana…
Per un insieme di fattori economici, politici e sociali, «il periodo maggiormente egualitario della storia
d'Italia fu tra gli anni sessanta e ottanta, così come il ritorno, a partire dai primi anni novanta, a una
maggiore concentrazione del reddito nelle tasche del 5% più fortunato della popolazione». Con questo
paragrafo dedicato al nostro paese, Gianni Toniolo introduce l'edizione italiana del libro di Branko
Milanovic Chi ha e chi non ha – Storie di disuguaglianze pubblicato di recente da Il Mulino (pagg. 255, €
16,00). Economista alla Banca Mondiale e docente nell'Università del Maryland, Milanovic ha dedicato
la propria vita professionale agli studi sulla distribuzione dei frutti della crescita economica e sulla
disuguaglianza globale. Su questo tema ha scritto un libro rigoroso, ma anche accattivante nella
divulgazione scientifica, raccontando una serie di casi esemplari desunti dalla storia e anche dalla
letteratura, per spiegare come mai reddito e ricchezza si sono distribuiti nel mondo in maniera tanto
disuguale nel tempo e nello spazio.

Crasso, Rockefeller o Bill Gates: chi è il più ricco?

Dalla Roma antica agli Stati Uniti di oggi: chi è l'uomo più ricco di tutti i tempi? Il triumviro Marco
Crasso, la cui fortuna attorno all'anno 50 a.C. era stimata in 200 milioni di sesterzi, il petroliere
americano John D. Rockefeller, considerando il suo patrimonio al picco di 1,4 miliardi di dollari del
1937 oppure Bill Gates, che nelle ultime stime ha un patrimonio di quasi 80 miliardi in dollari
correnti? «Paragonare i redditi del passato con quelli presenti non è facile – scrive Milanovic – non
abbiamo un tasso di cambio che ci permetta di convertire i sesterzi romani con i dollari di oggi a parità
di potere d'acquisto. Non solo, i panieri sono cambiati: non c'erano i dvd in epoca romana. I servizi
allora erano relativamente economici perché i salari erano bassi, il contrario sarebbe vero per il prezzo
del pane e dell'olio d'oliva». Tuttavia l'autore del libro trova un buon sistema per fare il confronto.
Ecco le sue conclusioni: il reddito annuo di Crasso era uguale a quello di circa 32mila persone, una
folla che poteva riempire metà del Colosseo; il reddito di Rockfeller nel 1937 corrispondeva al reddito
di circa 116mila americani, che avrebbero riempito con facilità il Pasadena Rose Bowl (uno degli stadi
di football americano più grandi degli Stati Uniti) e in diversi sarebbero dovuti rimanere fuori dai
cancelli; Bill Gates potrebbe disporre di quasi 100mila lavoratori, resterebbe dunque un po' al di sotto
di Rockefeller.

Sopravviverà la Cina fino al 2048?

Riprendendo il titolo di un pamphlet del dissidente russo Andrej Amalrik, "Sopravviverà l'Unione
Sovietica fino al 1984?", scritto nel 1970 quando l'Urss era all'apice della potenza militare e politica,
Milanovic si è posto la stessa domanda sull'odierna Cina: «La principale e più seria minaccia all'unità
cinese è la crescente disuguaglianza». Anche in epoca maoista il reddito delle città era più alto di
quello delle campagne, ma dal 1978 in avanti il coefficiente Gini – che misura il tasso di uguaglianza
(valore "0") o disuguaglianza (valore 1) – da 0,16 è aumentato fin verso quota 0,50, causando tensioni
prima ignote in una società quasi egualitaria.

Negli Stati Uniti ricchi e poveri sono più o meno equamente distribuiti in tutto il paese, anche se
vivono in quartieri diversi. Lo sviluppo della Cina a partire dai primi anni novanta ha invece prodotto
una disuguaglianza fra le cinque province costiere in forte crescita e le province povere. Nelle quattro
principali città cinesi – Pechino, Tientsin, Shanghai e Chongqing – e nelle zone speciali di Hong Kong
e Macao, il divario è ancora più alto. Il rapporto del Pil pro capite tra le province più ricche e le più
povere – almeno di 10 a 1 – «è significativamente maggiore del rapporto che esisteva in Urss nei suoi
ultimi anni». La situazione non è la stessa: l'Unione sovietica era una federazione su base etnica, gli
Han cinesi rappresentano una singola popolazione, ma la stessa Cina Han ha una storia di
disgregazioni interne, e ci sono aree periferiche di diversa etnia, come la Mongolia interna e il Tibet.

Ma la nuova leadership cinese guidata dal presidente Xi Jinping, ospite lo scorso weekend di Barack
Obama per un "bilaterale" in California, prima dei vertici annuali del G-8 (che non comprende la Cina)
e del G-20, vuole far sentire il suo ritrovato prestigio nel mondo. Il settimanale Time, con una cover
story illustrata in copertina dal designer e attivista cinese dei diritti umani Ai Weiwei, si è chiesto come
oggi la Cina vede il mondo. Ecco la risposta, in sintesi: in passato una grande civiltà fu messa in
ginocchio dalle cannoniere delle potenze occidentali, dall'oppio britannico e dall'oppressione bellica
giapponese, adesso Pechino rivendica il suo posto nel mondo, non soltanto sul piano economico, ma
anche in campo politico e culturale.

Il mondo ha una classe media?

«Gli alti ritmi di crescita di Cina e India, le dimensioni della loro popolazione e l'alto numero di
persone il cui reddito le colloca nella classe media dei rispettivi paesi, a prima vista portano a pensare
che qualcosa di simile a una classe media globale già esista. In realtà – fa notare Milanovic – nella
migliore delle ipotesi, questa classe media sta nascendo solo ora».

Nei paesi sviluppati rientra nella classe media circa il 40% della popolazione. Ma a livello globale
questa valutazione è chiaramente inappropriata. Caso mai potremmo parlare di una "classe mediana"
e ricordare che comprende individui il cui reddito pro capite va da 2,5 a 4 dollari al giorno (a parità
del potere d'acquisto). In altre parole la "classe mediana" globale è una classe molto povera per gli
standard degli Usa o dell'Europa occidentale. In cifre assolute, questa classe mediana globale è
formata da circa 850 milioni di persone. Ma il reddito medio è un decimo – se parliamo di Cina – o un
diciassettesimo – se parliamo di India di quello Usa.

Negli ultimi vent'anni nel mondo 1 miliardo di persone (più della metà in Cina) sono uscite
dall'estrema povertà, come ha spiegato The Economist nel servizio di copertina dell'altra settimana
Towards the end of poverty. Ma sui 7 miliardi di abitanti del pianeta Terra, 1 miliardo e 100 milioni
vivono ancora al di sotto della linea internazionalmente accettata di 1,25 dollari al giorno. Nei paesi
sviluppati nessuno può pensare di vivere con questa misera cifra. Negli Stati Uniti la "linea della
povertà" è tracciata a 63 dollari al giorno per una famiglia di 4 persone, mentre nelle economie
emergenti del Terzo mondo l'asticella viene posta a 4 dollari.

Molti osservatori sono impressionati dalla disponibilità di beni di consumo durevoli quali televisori e
telefoni cellulari nei paesi poveri. «Ma se uno vive in una baracca, con un reddito incerto e appena al
di sopra della sussistenza, non è in grado di mandare i figli a scuola – chiosa Milanovic – non ha
proprio senso considerarlo parte di una immaginaria "classe media globale" solo perché può comporre
un numero su un cellulare».

Branko Milanovic
Chi ha e chi non ha – Storie di disuguaglianze
Il Mulino, Bologna, pagg. 255, € 16,00

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