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Il pensiero di Arthur Schopenhauer tedesco in polemica con il positivismo e con la corrente

dell'idealismo "accademico" trionfante del secolo XIX di Fichte, Schelling ed Hegel.


L'eredità e la trasformazione del kantismo
Il mondo come rappresentazione
La rappresentazione ha due aspetti essenziali: il soggetto rappresentante e l'oggetto
rappresentato. Entrambi esistono soltanto all'interno della rappresentazione, come due lati o
parti di essa, tanto che non può esistere soggetto senza oggetto. L'oggetto esiste perché vi è un
soggetto che lo prende in considerazione nella rappresentazione e così il soggetto prende
coscienza di sé proprio tramite il suo rapportarsi con gli oggetti.

Evidenti sono, nell'impianto gnoseologico schopenhaueriano, le influenze e i termini kantiani


anche se parzialmente reinterpretati nel significato.
Il nuovo significato della rappresentazione
La rappresentazione, infatti, non è più intesa in senso kantiano, come l'oggetto di
qualsiasi atto conoscitivo, bensì per Schopenhauer è il risultato del rapporto necessario
tra soggetto e oggetto. Rapporto in cui entrambi sono sullo stesso piano. Il soggetto non
è prioritario rispetto all'oggetto (come per l'idealismo soprattutto fichtiano, che risolve
l'oggetto nel soggetto) né l'oggetto è prioritario rispetto al soggetto (come per il realismo
in cui è la realtà materiale che informa di sé la soggettività).
In effetti la realtà del mondo esterno non è stata risolta:

·0 né dal realismo che presume sia la realtà a produrre nel soggetto la


rappresentazione

·1 né dall'idealismo che presume sia il soggetto a produrre le rappresentazioni


dell'oggetto.

Ambedue le correnti filosofiche hanno errato: la prima attribuendo la relazione causale,


che è valida tra gli oggetti rappresentati, a due mondi del tutto diversi tra loro per cui il
materialista fa sorgere dalla materia lo spirito, senza accorgersi di operare
impropriamente con il principio di causalità e l'idealista fa sorgere dallo spirito la materia
utilizzando la categoria di causalità che serve solo a ordinare i fenomeni.
L'assenza di priorità dell'elemento soggettivo fa sì che le forme a priori non siano più il
dato soggettivo che, secondo il pensiero kantiano, va a sommarsi a quello empirico
"costituendo" l'oggetto, bensì che tali forme a priori siano già implicite, nella
rappresentazione, cioè in quell'atto assolutamente primo in cui concorrono parimenti
soggetto e oggetto.
Per Schopenhauer, come per Kant, forme a priori della intuizione sono lo spazio e il
tempo, che Schopenhauer considera principi di individuazione della materia; ma a
queste egli aggiunge la causalità, la sola delle dodici kantiane forme a priori
dell'intelletto (categorie) da lui preservate. In realtà, si trova in Schopenhauer una
posizione molto diversa da quella kantiana sui rapporti tra intuizione e intelletto. La
causalità è, secondo Schopenhauer, più una forma percettiva (cioè della intuizione) che
una forma puramente concettuale. Si potrebbe dire che per Schopenhauer la nostra
stessa intelligenza opera percettivamente quando individua relazioni causali
La causalità è considerata da Schopenhauer la vera e propria essenza della materia, essa
è essenzialmente attività. Siccome la materia non è altro che l'agire nello spazio e nel
tempo di oggetti su altri oggetti, la materia verrà a coincidere con la causalità.
Per Schopenhauer dunque l'intelletto non è più la facoltà kantiana che opera sulle
rappresentazioni immediate (intuizioni) per formare i concetti (rappresentazioni di
rappresentazioni) tramite le categorie, ma diviene la facoltà della causalità.
Illusione
Schopenhauer riprende da Kant i concetti di fenomeno e noumeno. Il fenomeno è il
prodotto della nostra coscienza, esso è il mondo come ci appare, mentre il noumeno è la
cosa in sé, fondamento ed essenza vera del mondo. Il fenomeno materiale è dunque per
Schopenhauer solo parvenza, illusione, sogno: tra noi e la vera realtà è come se vi fosse
uno schermo che ce la fa vedere distorta e non come essa è veramente.
Il mondo dunque è una propria rappresentazione, una propria illusione ottica.
Per poter giungere alla realtà noumenica, quella vera, non si può quindi percorrere la
strada della conoscenza razionale, visto che è relegata alla sfera della rappresentazione,
che in base al quadruplice principio di ragion sufficiente ci mostrerà sempre un mondo
totalmente determinato.
Il mondo come volontà
Se fossimo solo esseri conoscenti, rappresentanti, non potremmo mai scoprire la cosa in sé. Ma
noi siamo anche corpo, che per il soggetto conoscente non è soltanto un oggetto come gli altri
ma esso è
«anche qualcosa di immediatamente conosciuto da ciascuno e che viene designato con il nome
di volontà».
La rappresentazione esterna non è solo quella rivolta alle cose esterne ma è anche quella
interiore per cui noi cerchiamo di cogliere la coscienza di noi stessi, del nostro io che coincide
con la rappresentazione del nostro corpo. Con l'intelletto ciascuno di noi si guarda dal di fuori:
non conosce se stesso se non come una cosa tra le altre cose, come un organismo corporeo tra
gli altri corpi.
Ma se ognuno di noi non fosse che un puro soggetto sensoriale non potremo mai uscire dai
fenomeni, ma poiché siamo corpo non ci limitiamo a guardarci dal di fuori ma ci sentiamo vivere,
sentiamo che il corpo ci appartiene, che è l'oggetto con cui l'io tende a identificarsi e che tutto
questo genera dolore.
L'intuizione di Schopenhauer sta nel fatto di considerare l'uomo non solo come soggetto
conoscente ma anche come essere dotato di un corpo.
Tale corpo è sì per la nostra percezione, per il senso esterno, un oggetto tra gli oggetti ma è
anche la sede di un senso interno che ci mostra immediatamente la nostra coincidenza con una
forza, un impulso, che è la volontà.
Attraverso l'esperienza di se stessi come corpo l'uomo può giungere al noumeno, alla cosa in sé
senza ricorrere alle forme a priori della conoscenza.
La volontà di vivere
Proprio attraverso il corpo scopriamo che la realtà delle cose ci concerne, siamo nel mondo
come una sua parte; difatti vogliamo, desideriamo certe cose e certe altre le evitiamo,
rifuggiamo il dolore e ricerchiamo il piacere. Proprio questo ci permette di squarciare il velo del
fenomeno e cogliere la cosa in sé. Infatti, ripiegandoci in noi stessi, scopriamo che la radice
noumenica del nostro io è la volontà: noi siamo volontà di vivere, un impulso irrazionale che ci
spinge, malgrado noi stessi, a vivere e ad agire.
La materialità dell'io, la sua attività («l'azione del corpo non è che l'atto della volontà
oggettivato» [10]) ci mostra due facce diverse: una esteriore, quella che si offre alla rappresentazione
per cui esso appare corpo; una interiore per cui esso si svela come tendenza, sforzo, brama di vivere,
volontà di vivere, volontà che s'identifica con quella realtà extra fenomenica di cui parlava Kant che però
egli raggiungeva attraverso la volontà morale con cui l'io conosceva se stesso come libertà spirituale.

Il principio irrazionale dell'universo


Del tutto diversa da quella kantiana dunque la visione materialista determinista di Schopenhauer
della volontà inconscia o irrazionale, istinto cieco, pura vitalità, principio reale, cosa in sé
dell'universo:«l'essenza in sé di ogni cosa nel mondo e la sostanza unica di tutti i fenomeni». La
volontà esula dal fenomenico quindi essa è:

·2 inconscia, infatti è più un impulso, è un'energia piuttosto che volontà cosciente;

·3 unica, perché non essendo fenomeno ma essenza della realtà, stando al di fuori dello spazio e del
tempo si sottrae al principium individuationis;

·4 eterna, cioè senza principio né fine, perché al di là del tempo;

·5 incausata, poiché è unica quindi oltre la categoria di causa;

·6 irrazionale, poiché la ragione esiste solo nel mondo della rappresentazione. Essa infatti non
persegue nessuno scopo fenomenico se non quello di accrescere se stessa.

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