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1. Premessa
Nella Lettera apostolica Porta Fidei il Santo Padre, Benedetto XVI, afferma
che la fede «introduce alla vita di comunione con Dio» (n. 1). In questo contri-
buto è mio intento elaborare quest’idea alla luce di due testi giovannei, uno del
vangelo e l’altro della prima lettera, rispettivamente Gv 3,4-8 e 1Gv 5, 9-12.
Nel Quarto Vangelo la fede occupa un posto tale che è stato definito il “van-
gelo della fede”1. In 20,31 si legge che è stato scritto «affinché crediate che Gesù
è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome».
Il verbo pisteÚw, con differenti sintagmi, vi ricorre più che in qualsiasi altro
libro del NT. Per Giovanni “credere” equivale ad accogliere la testimonianza
che Gesù fa di se stesso, condizione necessaria perché si stabilisca quella comu-
nione di vita che è la salvezza.
Anche nell’epistolario si parla più volte della fede, sebbene da un punto di
vista più pastorale e sotto un aspetto più ecclesiale. L’attenzione è concentrata
sulla fedeltà alla parola udita fin “dall’inizio”, ovvero sulla «retta credenza in
merito all’incarnazione del Figlio di Dio, negata o svilita dalla nascente eresia
docetista e gnostica»2. In particolare, la prima lettera ne parla in 2,12-18 (fede/
conoscenza e amore); 4,1-6 (essere da Dio e conoscerlo) e 5,1-12.
1
D. MOLLAT, Saint Jean Maître spirituel, Paris 1976.
2
S.A. PANIMOLLE, «La fede e l’incredulità negli scritti giovannei», in Dizionario di Spiritualità Biblico-
Patristica, n. 21, Borla, Roma 1998, 244; G. GHIBERTI, «Giovanni», in Dizionario Teologico Interdisciplinare,
Marietti, Torino 1977, II, 231-232.
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2. Gv 3,4-8
3
S.A. PANIMOLLE, L’evangelista Giovanni, Borla, Roma 1985, 23.
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del Figlio, si entra nel Regno di Dio inaugurato da Cristo stesso che è «venuto
nel mondo per essere re, rendendo testimonianza alla verità ossia rivelando au-
torevolmente la vita di Dio»4.
Il protagonista di questa rinascita è lo Spirito. L’affermazione completa è
«da acqua e dallo Spirito» (v. 5). Tale binomio, acqua e Spirito, nel corso della
storia dell’esegesi, è stato spiegato in vario modo5. Considerando insieme i due
termini, alcuni vi hanno visto un riferimento al battesimo, il sacramento della
fede, il quale si presenta come lavacro e opera una rinascita per mezzo dello
Spirito.
Molto probabilmente Giovanni allude all’episodio del cap. 1 sulla testimo-
nianza del Battista, il quale, di fronte ai Giudei provenienti da Gerusalemme,
aveva affermato che egli «battezzava con acqua», ma che sarebbe venuto dopo
di lui uno che avrebbe battezzato «in Spirito Santo» (1,26.33). In entrambi
i casi, in quello del Battista e in quello di Nicodemo, il coinvolgimento dello
Spirito nella dinamica della fede mostra come il credente, pur supportato dalle
categorie mentali proprie del suo retroterra culturale e religioso, con l’avven-
to di Cristo, sia chiamato a una completa trasformazione interiore. Giovanni
«vuole mostrare a quali condizioni si passi da una fede molto umana ed esterio-
re qual è quella degli Ebrei, ad una vita postasi completamente sotto la guida
dello Spirito»6.
Qui, come del resto altrove, soprattutto nei Discorsi di addio, riferendosi
all’opera dello Spirito, l’evangelista attualizza il messaggio della nuova alleanza
proclamato da Geremia e da Ezechiele. Quest’ultimo, in particolare, aveva an-
nunciato, per gli ultimi tempi, un nuovo intervento di Dio nel cuore dell’uomo,
in cui avrebbe avuto un ruolo decisivo lo Spirito. Allo Spirito, come agente
dinamico e interiore, si deve dunque la trasformazione dell’uomo e la rinascita
a una vita soprannaturale.
Se la vita nuova del credente è frutto di un’azione dall’alto, la fede, che
esprime il suo essere intimamente legato a Cristo, non può che essere grazia, sia
nel senso che introduce alla comunione con Dio, sia nel senso che è “dono” o
favore divino. L’evangelista insiste molto su questo secondo aspetto. Tra i testi,
è noto il discorso di Cafarnao dove Gesù afferma che nessuno può andare a lui
se non chi è attirato dal Padre; anzi, nessuno può credere nel Figlio se non ha
4
PANIMOLLE, L’evangelista Giovanni, 22.
5
Per le diverse interpretazioni, cfr. I. DE LA POTTERIE, «Nascere dall’acqua e nascere dallo Spirito. Il testo
battesimale di Giovanni 3,5», in I. DE LA POTTERIE-S. LYONNET (edd.), La vita secondo lo Spirito condizione
del cristiano, Editrice AVE, Roma 1967, 36-47.
6
DE LA POTTERIE, «Nascere dall’acqua», 69-70.
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7
S.A. PANIMOLLE, «La fede e la vita nel Vangelo di Giovanni», in G. GHIBERTI e COLL. (edd.), Opera
Giovannea, (Logos 7), EllediCi, Leumann-Torino 2003, 466.
8
Cfr. PANIMOLLE, L’evangelista Giovanni, 286-290.
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9
Cfr. S. ZEDDA, «Le realtà escatologiche presenti: la vita eterna», in ID., L’escatologia biblica, Paideia,
Brescia 1975, II, 303-367.
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3. 1 Gv 5, 9-12
10
A. DALBESIO, Alle sorgenti dell’esperienza cristiana. Il messaggio spirituale della Prima Lettera di Giovanni,
EDB, Bologna 1993, 109; per il commento del brano, pp. 110-115.
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11
Ivi, 65-66.
12
Cfr. P. GRECH, «Fede e sacramenti in Giov 19,34 e 1Gv 5,6-12», in Fede e sacramenti negli scritti giovan-
nei…. (Studia Anselmiana, 90), Anselmiana, Roma 1985, 149-163.
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cedente a quella dello Spirito, e che avviene nel cuore del credente. Su come
occorra interpretare questa testimonianza di Dio gli esegeti non si trovano d’ac-
cordo. Per alcuni è difficile distinguerla da quella dello stesso Spirito. Secondo
Brown per l’interpretazione dell’unità è cruciale il v. 5,11bc: la testimonianza di
Dio consiste nella vita eterna che il Padre elargisce ai credenti e che si trova nel
Figlio stesso13. I credenti a loro volta possono, partendo dalla vita divina, giun-
gere alla fede in Gesù come Figlio di Dio. Per l’autore della lettera, dunque,
«credere nel Figlio è equivalente a possedere (avere) il Figlio. Analogamente,
possedere la testimonianza di Dio dentro se stesso è lo stesso che possedere la
vita»14.
Come abbiamo visto, il tema della vita divina (eterna) è ampliamente svilup-
pato nel Quarto Vangelo. Il nostro testo, più di qualsiasi altro dell’Epistolario,
illustra il rapporto tra fede e vita divina. Ne esce una visione della fede molto
diversa da quella che di solito si ha quando la si considera solo legata a una
visione della vita o ai modi in cui il cristiano si pone di fronte al mondo e ai
valori terreni. In questo testo essa consiste piuttosto nell’accogliere la persona
del Figlio di Dio e nel fare esperienza degli effetti salvifici che ciò comporta a
livello interiore, primo tra tutti la comunione di vita con il Padre mediante il
Figlio. Secondo San Giovanni la fede è più che un semplice assenso a Dio che
si rivela; essa coinvolge il credente in modo tale che, come direbbe Paolo, egli
formi una cosa sola con Cristo. Tale concezione si spiega anche per l’influsso
del messaggio della nuova alleanza di Geremia e di Ezechiele, sotteso a questo
testo, come anche a tanti altri testi del Vangelo e della prima Lettera15.
Geremia ed Ezechiele pongono le basi all’interpretazione del rapporto tra
l’uomo e Dio secondo cui Dio interviene all’interno dell’uomo e lo trasforma
così che questi possa conoscerlo e sperimentarlo per connaturalità. In fondo
Geremia è stato il primo a leggere la fede in termini di grazia divina.
4. Conclusione
13
R.E. BROWN, Le Lettere di Giovanni, Cittadella Editrice, Assisi 2000, 818.
14
Ivi, 819.
15
M.É. BOISMARD, «La connaissance de Dieu dans l’Alliance Nouvelle d’après la Première Lettre de St
Jean», RB 56(1949) 365-391; «“Je fairai avec vous une alliance nouvelle”. Introduction à la Première Épître
de Saint Jean», Lumière et Vie 3 (1953) 94-109; E. MALATESTA, Interiority and Covenant. A Study of einai and
mènein en the First Letter of Saint John, (AB, 69), BIP, Rome 1978.
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ti, del modo di rapportaci alla rivelazione divina e di vivere l’essere in Cristo.
Innanzitutto è da notare come si diano diversi gradi o livelli di fede, e come
il credente sia invitato a passare da una concezione incipiente o superficiale di
essa a una visione più alta, che fa a meno dei segni e dell’attività storica di Gesù.
Giovanni lega la fede alla persona di Gesù, come Rivelatore del Padre. Per lui il
credente non è soltanto chi accoglie il messaggio di Cristo ma chi è oggetto della
trasformazione interiore determinata dallo Spirito Santo, per mezzo del quale si
rinasce alla fede. L’ azione dello Spirito non si limita alla manifestazione esterna
delle opere, ma incide nella realtà interiore.
La fede apre al cristiano la porta della partecipazione della vita divina, in-
nanzitutto perché per mezzo di essa egli è liberato dalle opere morte della car-
ne. La vita nuova del credente consiste nella partecipazione alla vita del Figlio.
Illustrativo l’esempio della vite e dei tralci, i quali vivono e portano frutto solo
se sono uniti alla vite16.
Per Giovanni la vita eterna inizia fin dal primo momento in cui il credente è
inserito in Cristo, mediante lo Spirito Santo, cioè fin dal battesimo, e continua
oltre la morte. In questo “oltre”, il credente vivrà per sempre ciò che ha già
posseduto durante l’esistenza terrena, cioè Cristo, a cui ha aderito mediante
la fede. Dopo la morte, quando la sua conoscenza non è più legata ai sensi,
egli sperimenterà in modo differente la comunione con Cristo, di cui godrà il
possesso perfetto nella risurrezione dell’ultimo giorno (1Gv 3,1)17. La vita del
credente, dunque, alimentata dalla fede, è una continua rinascita con la quale
egli si scopre continuamente coinvolto nella novità della vita dello Spirito.
16
S.A. PANIMOLLE, «Grazia divina e divinizzazione dell’uomo negli scritti giovannei», in Dizionario di
Spiritualità Biblico-Patristica, n. 30, Borla, Roma, 2002, 171-172.
17
PANIMOLLE, «La fede e la vita nel Vangelo di Giovanni», 477.
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