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Prof.

ssa Carla Fiori

Aritmetica e Teoria dei Gruppi


Lezioni ed esercizi

Univertisà di Modena e Reggio Emilia


Dipartimento di Scienze Fisiche Informatiche Matematiche
Anno Accademico 2017/18
Prefazione

Il corso di Algebra A, s.s.d. Mat/02, è corso fondamentale nel Corso di Laurea


MATEMATICA (D.M.270/04). E’ inserito nell’offerta didattica del 1◦ anno, primo
semestre; 9 CFU, 48 ore di lezioni e 24 ore di esercitazioni.
Per ulteriori informazioni si rinvia al sito www.esse3.unimore.it

Questa sinossi raccoglie le lezioni e le esercitazioni del corso di Algebra A te-


nute dalla Professoressa Carla Fiori presso l’Università di Modena e Reggio Emilia
durante l’anno accademico 2017/18. La presente stesura integra ed amplia la prece-
dente; è offerta quale ausilio didattico per gli studenti ed è reperibile gratuitamente
nella pagina web del docente alla voce Materiale Didattico.
http://cdm.unimo.it/home/matematica/fiori.carla/
Testi di riferimento per approfondimenti:
(1) D.Dikranjan, M.S. Lucido, Aritmetica e Algebra, Liguori Editore.
(2) G.M. Piacentini Cattaneo, ALGEBRA un approccio algoritmico, Zani-
chelli.
(3) I.N. Hernstein, ALGEBRA, Editori Riuniti.

i
PREFAZIONE ii

frasi celebri ....

Non cercare di diventare un uomo di successo,


ma piuttosto un uomo di valore.
Albert Heinstein (1879-19455 )

La matematica non conosce razze o confini geografici;


per la matematica, il mondo culturale è una singola nazione.
David Hilbert (1862-1943)

La matematica è un grandioso e vasto paesaggio aperto


a tutti gli uomini a cui il pensare arrechi gioia,
ma poco adatto a chi non ami la fatica del pensare.
Immanuel Lazarus Fuchs (1833-1902)

Dallo studio dei triangoli e delle formule algebriche


sono passato a quelle degli uomini e delle cose;
comprendo quanto quello studio mi sia stato utile per quello
che ora vado facendo degli uomini e delle cose.
Camillo Benso conte di Cavour (1810-1861)

Dio creò i numeri naturali, tutto il resto è opera dell’uomo.


Leopold Kronecker (1823-1891)

La matematica è la porta e la chiave delle scienze.


Ruggero Bacone (1214-1294)

I numeri governano il mondo.


Platone (427-347 a.C.)
Indice

Prefazione i
Capitolo 1. Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 1
1. Generalità sugli insiemi 1
2. Relazioni. Relazioni di equivalenza e di ordine. 5
3. Applicazioni fra insiemi 13
4. L’insieme N dei numeri naturali. Principio di Induzione. 17
5. I numeri interi. La divisione euclidea. MCD di due interi. 18
6. Numeri primi. Il teorema fondamentale dell’aritmetica. 25
7. Insiemi finiti e infiniti. Cardinalità. 28
8. Esercizi relativi al Capitolo 1 33
Capitolo 2. Gruppi 39
1. Strutture algebriche. Proprietà elementari dei gruppi. 39
2. Esempi di gruppi fondamentali 50
3. Sottogruppi 54
4. Generatori di un gruppo. Gruppi ciclici. 58
5. Laterali e Indice di un sottogruppo 62
6. Teorema di Lagrange. Teorema di Sylow. Teorema di Cauchy. 64
7. Esercizi relativi al Capitolo 2 68
Capitolo 3. Gruppi di Permutazioni 75
1. Permutazioni. Gruppo Simmetrico. 75
2. Gruppo Alterno 82
3. Esercizi relativi al Capitolo 3 84
Capitolo 4. Sottogruppi normali e gruppo quoziente 86
1. Sottogruppi normali. Gruppo Quoziente. 86
2. Gruppi Semplici. 89
3. Esercizi relativi al Capitolo 4 92
Capitolo 5. Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 94
1. Definizioni e Proprietà 94
2. Teorema di Cayley 99
3. Centro e centralizzante di un gruppo 99
4. Automorfismi interni e sottogruppi caratteristici di un gruppo 103
iii
INDICE iv

5. Azione di un gruppo su un insieme. Orbite. Stabilizzatori. 105


6. Esercizi relativi al Capitolo 5 114
Capitolo 6. Prodotto Diretto di gruppi 120
1. Definizioni e Proprietà 120
2. Struttura dei gruppi abeliani finiti. 124
3. Esercizi relativi al Capitolo 6 127
Capitolo 7. Gruppi Risolubili 131
1. Derivato di un gruppo 131
2. Risolubilità di un gruppo 134
3. Risolubilità di Sn e di altre famiglie di gruppi. 136
4. Esercizi relativi al Capitolo 7 138
Capitolo 8. Reticoli 140
1. Reticoli: definizioni e proprietà 140
2. Sottoreticoli 144
3. Diagramma di un reticolo finito (diagramma di Hasse) 145
4. Reticoli modulari e reticoli distributivi 149
5. Reticoli complementati e Algebra di Boole 152
6. Esercizi relativi al Capitolo 8 156
CAPITOLO 1

Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici

1. Generalità sugli insiemi

Un insieme è una collezione di oggetti detti elementi dell’insieme e, di


norma, indicato fra due parentesi graffe. Ad esempio {1, 2, 3} indica l’insieme
i cui elementi sono 1, 2, 3. E’ importante sottolineare che gli elementi di un
insieme si intendono sempre diversi fra loro.
Un insieme può essere assegnato elencando i suoi elementi o enunciando una
proprietà che ne caratterizzi gli elementi. Ad esempio l’insieme delle prime quattro
lettere dell’alfabeto italiano si può definire per elencazione scrivendo {a, b, c, d},
mentre l’insieme dei colori dell’arcobaleno può essere definito con la proprietà
caratterizzante scrivendo { x tale che x è un colore dell’arcobaleno }; la locuzione
00
tale che 00 verrà indicata con il simbolo 00 | 00 oppure con il simbolo 00 : 00 .
Useremo lettere maiuscole per indicare gli insiemi, lettere minuscole per indicare
gli elementi di un insieme. Se a è un elemento dell’insieme A diremo che
00
a appartiene ad A 00 e scriveremo 00 a ∈ A 00 . Per negare l’appartenenza
scriveremo 00 a 6∈ A 00 .
In generale per indicare la negazione di ciò che significa un determinato simbolo
matematico si usa sbarrare il simbolo.

Nota 1.1.1. Il simbolo 00 ∈ 00 fu introdotto da G. Peano (1858-1932) e sta a


ricordare la prima lettera della parola greca che in italiano significa 00 é 00 .

Definizione 1.1.2. Dato un insieme A, si definisce sottoinsieme di A un


qualunque insieme B tale che ogni elemento di B sia anche un elemento di A .
In tal caso si scrive B ⊆ A oppure B ⊂ A a seconda che B possa oppure no
coincidere con A .

Tra i sottoinsiemi di un dato insieme A vi è sempre A stesso e l’insieme vuoto


che si indica con il simbolo ∅ ed è l’insieme privo di elementi.
Sia A un insieme, con |A| si indica il numero degli elementi di A.

1
Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 2

Definizione 1.1.3. Dato un insieme A, l’insieme i cui elementi sono tutti i


sottoinsiemi di A viene indicato con P (A) ed è chiamato l’insieme delle parti
di A.

Se A ha un numero finito n di elementi allora l’insieme P (A) ha 2n elementi.


Ad esempio considerato A = {1, 2, 3} si ha
P (A) = { ∅, A, {1}, {2}, {3}, {1, 2}, {1, 3}, {2, 3}} , |A| = 3 , |P (A)| = 23 = 8 .

Definizione 1.1.4. Due insiemi A e B sono uguali se e solo se A ⊆ B e


B⊆A.

Per dimostrare che due insiemi A e B sono uguali occorre dimostrare che val-
gono le due inclusioni A ⊆ B, B ⊆ A, mentre per dimostrare che A 6= B basta
dimostrare che vi è un elemento che appartiene ad un insieme ma non all’altro
insieme.

Con le prossime due definizioni si stabiliscono modi elementari ma fondamentali


per costruire nuovi insiemi a partire da insiemi dati.

Definizione 1.1.5. Dati gli insiemi A e B si definisce prodotto cartesiano


di A e B l’insieme A × B = {(a, b) | a ∈ A, b ∈ B }.

In generale risulta A × B 6= B × A . Si ha A × B = B × A solo se A = B


oppure se uno dei due insiemi é l’insieme vuoto perchè A × ∅ = ∅ × A = ∅.

Esempio 1.1.6.
(1) Sia A = {1, 2} e sia B = {a, b}, allora A × B = {(1, a), (1, b), (2, a), (2, b)}.
(2) Sia N l’insieme dei numeri naturali e sia P = {2m | m ∈ N}, allora
N × P = {(n, 2m) | n, m ∈ N}.

Definizione 1.1.7. Siano A e B due insiemi non necessariamente diversi. Si


definiscono i seguenti insiemi:
1) Unione di A e B. E’ l’insieme A ∪ B = { x | x ∈ A oppure x ∈ B }.
2) Intersezione di A e B. E’ l’insieme A ∩ B = { x | x ∈ A e x ∈ B }.
3) Differenza di A e B. E’ l’insieme A − B = { x | x ∈ A e x 6∈ B }.
Nel caso in cui B è sottoinsieme di A, l’insieme A − B è detto complemento
(o complementare) di B in A.
4) Differenza simmetrica di A e B. E’ l’insieme A M B = (A − B) ∪ (B − A).
Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 3

Esempio 1.1.8.
(1) Dati A = {1, 2, 3, 4} e B = {2, 3, 5} si ha A ∪ B = {1, 2, 3, 4, 5},
A ∩ B = {2, 3}, A − B = {1, 4} , A M B = {1, 4, 5}.
(2) In N il complementare dei numeri pari è l’insieme dei numeri dispari.
(3) Nell’insieme dei numeri primi il complementare dei numeri dispari è {2} .

Definizione 1.1.9. Due insiemi A e B si dicono disgiunti se A ∩ B = ∅ .

Gli insiemi definiti in 1.1.7 godono delle seguenti proprietà:


(1) A ∪ B = B ∪ A ; A ∩ B = B ∩ A.
(2) (A ∪ B) ∪ C = A ∪ ( B ∪ C) ; (A ∩ B) ∩ C = A ∩ ( B ∩ C ).
(3) A ∪ A = A ; A ∩ A = A.
(4) ( A∩B ) ∪ C = ( A∪C ) ∩ ( B∪C ) ;
( A ∪ B ) ∩ C = ( A ∩ C ) ∪ ( B ∩ C ).
(5) A − ( A − B ) = A ∩ B.
(6) A M B = ( A ∪ B ) − ( A ∩ B ).

Dimostriamo ad esempio la prima di (4) .


Dimostrazione. Per la definizione 1.1.4 occorre dimostrare la doppia inclu-
sione.
(a): Iniziamo con il dimostrare che (A ∩ B) ∪ C ⊆ (A ∪ C) ∩ (B ∪ C).
Sia x ∈ (A ∩ B) ∪ C , allora si possono avere due casi x ∈ A ∩ B oppure
x ∈ C. Se x ∈ A ∩ B allora x ∈ A e x ∈ B e pertanto x ∈ A ∪ C e
x ∈ B ∪ C. Se x ∈ C allora segue x ∈ A ∪ C e x ∈ B ∪ C. In entrambi i
casi x ∈ (A ∪ C) ∩ (B ∪ C) e dunque (A ∩ B) ∪ C ⊆ (A ∪ C) ∩ (B ∪ C).
(b): Dimostriamo ora che (A ∪ C) ∩ (B ∪ C) ⊆ (A ∩ B) ∪ C .
Sia x ∈ (A ∪ C) ∩ (B ∪ C), allora x ∈ A ∪ C e x ∈ B ∪ C. Se x 6∈ C
allora da x ∈ A ∪ C si ha che x ∈ A e da x ∈ B ∪ C si ha x ∈ B e quindi
x ∈ A ∩ B. Dunque x ∈ C oppure x ∈ A ∩ B e perciò x ∈ (A ∩ B) ∪ C e
pertanto (A ∪ C) ∩ (B ∪ C) ⊆ (A ∩ B ) ∪ C.
Da (a) e (b) segue (A ∩ B) ∪ C = (A ∪ C) ∩ (B ∪ C). 

Nota 1.1.10. Verificare con uno o più esempi che una determinata proprietà è
vera non significa averla dimostrata. Per dimostrare una proprietà occorre provare
che essa vale in generale ossia qualunque siano gli insiemi considerati. Se invece si
vuole dimostrare che una proprietà non vale, è sufficiente portare un solo esempio
in cui quella proprietà non vale (detto controesempio).
Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 4

Ad esempio per dimostrare che non è vera la proprietà A ∪ (B − A) = B,


basta considerare A = {1, 2, 3, 4, 5}, B = {1, 2, 3, 4, 6} e si ha A ∪ (B − A) =
{1, 2, 3, 4, 5} ∪ {6} = {1, 2, 3, 4, 5, 6} =
6 B perchè 5 6∈ B. Questo solo esempio
assicura che per gli insiemi non vale la proprietà A ∪ (B − A) = B anche se in
certi casi può essere vera come accade nel seguente esempio: A = {1, 2, 3, 4, 5},
B = {1, 2, 3, 4, 5, 6}, A ∪ (B − A) = {1, 2, 3, 4, 5} ∪ {6} = B.

Fra le proprietà dell’insieme differenza dimostriamo le note leggi di De Morgan.


Come simbolo per indicare il complementare di un insieme consideriamo un apice
posto a destra del simbolo rappresentante l’insieme.

Teorema 1.1.11 (Leggi di De Morgan). Siano M un insieme, A e B sot-


toinsiemi di M , A0 e B 0 i complementari di A e B in M . Si ha:
( A ∩ B)0 = A0 ∪ B 0 e ( A ∪ B )0 = A0 ∩ B 0
Dimostrazione. Proviamo la prima delle due leggi. Sia x ∈ (A ∩ B)0 allora
x ∈ M , x 6∈ A ∩ B e pertanto x ∈ M e x 6∈ A oppure x ∈ M e x 6∈ B. Nel
primo caso x ∈ A0 , nel secondo caso x ∈ B 0 ; in ogni caso x ∈ A0 ∪ B 0 ossia
(A ∩ B)0 ⊆ A0 ∪ B 0 . Viceversa sia x ∈ A0 ∪ B 0 ; si ha x ∈ A0 oppure x ∈ B 0
ossia x ∈ M e x 6∈ A oppure x ∈ M e x 6∈ B, in ogni caso x ∈ M e x 6∈ A ∩ B
ossia x ∈ (A ∩ B)0 e dunque A0 ∪ B 0 ⊆ (A ∩ B)0 . Rimane pertanto provato che
( A ∩ B)0 = A0 ∪ B 0 .
In modo analogo si dimostra la seconda legge di De Morgan. 

Le nozioni di unione, di intersezione e di prodotto cartesiano precedentemente


definite, si generalizzano al caso di più di due insiemi:
n
[
• Ai = A1 ∪ A2 ∪ ... ∪ An
i=1
(con n finito o no) è l’insieme costituito dagli elementi ciascuno dei quali
appartiene ad almeno uno degli insiemi Ai , i = 1, 2, ..., n.
n
\
• Ai = A1 ∩ A2 ∩ ... ∩ An
i=1
( con n finito o no) è l’insieme costituito dagli elementi ciascuno dei quali
appartiene ad ogni insieme Ai , i = 1, 2, ..., n.
n
Y
• Ai = A1 × A2 × ... × An
i=1
è l’insieme di tutte le n-ple ordinate (a1 , a2 , ..., an ) con a1 ∈ A1 , a2 ∈
A2 , ..., an ∈ An .
Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 5

n
Y
Se Ai = A per ogni i = 1, 2, ..., n, allora A si indica anche con An .
i=1

Esempio 1.1.12.
Siano A1 = {1}, A2 = {1, 3, 4}, A3 = {1, 5}; si ha :
3
[
Ai = A1 ∪ A2 ∪ A3 = {1, 3, 4, 5}
i=1
\3
Ai = A1 ∩ A2 ∩ A3 = {1}
i=1
3
Y
Ai = A1 × A2 × A3 = {(a, b, c) | a ∈ A1 , b ∈ A2 , c ∈ A3 } =
i=1
= {(1, 1, 1), (1, 1, 5), (1, 3, 1), (1, 3, 5), (1, 4, 1), (1, 4, 5)}.

2. Relazioni. Relazioni di equivalenza e di ordine.

Definizione 1.2.1. Siano A e B insiemi; ogni sottoinsieme R di A × B è


detto relazione fra A e B (o relazione binaria di A e B ).

Se R ⊆ A × B è una relazione fra A e B, anzichè (a, b) ∈ R si usa scrivere a R b


e si dice che 00 a è in relazione con b 00 .
Considerato un insieme A, le relazioni in A (oppure su A) sono le relazioni
R ⊆ A × A . Fra queste ve ne sono alcune particolarmente importanti, sono le
relazioni di equivalenza e le relazioni di ordine (parziale e totale).

Definizione 1.2.2. Sia A un insieme e sia R ⊆ A × A una relazione in A. Si


dice che R è una relazione di equivalenza se soddisfa le seguenti proprietà:
(1) a R a per ogni a ∈ A (proprietà riflessiva);
(2) se a R b allora b R a (proprietà simmetrica);
(3) se a R b e b R c allora a R c (proprietà transitiva).

Esempio 1.2.3.
1) Nell’insieme Z dei numeri interi la relazione binaria R definita da 00 a R b
se a − b è un intero pari 00 è di equivalenza.
Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 6

2) Sia A l’insieme delle rette del piano euclideo. In A la relazione R definita


da 00 a R b se a = b oppure a k b 00 è una relazione di equivalenza.
3) Sia A l’insieme di tutti i soldati. In A la relazione R definita da 00 a R b
se a e b hanno lo stesso grado 00 , è una relazione di equivalenza.

Esercizio 1.2.4.
Sia R una relazione in A per la quale valgano sia la proprietà simmetrica, sia
la proprietà transitiva . Dire cosa c’è di sbagliato nella seguente dimostrazione
che proverebbe che la proprietà simmetrica e la proprietà transitiva implicano la
proprietà riflessiva.
00
Se a R b , allora b R a per la proprietà simmetrica e perciò, poichè vale la
proprietà transitiva, da a R b , b R a segue a R a e pertanto vale la proprietà
riflessiva 00 .
Soluzione - L’errore sta nel fatto che a R a non è detto che valga per ogni
a ∈ A perchè vale solo quando esiste b ∈ A tale che a R b. La proprietà riflessiva
richiede invece che sia a R a per ogni a ∈ A .

Come evidenziato dall’esercizio precedente, occorre fare molta attenzione al


significato dei quantificatori.

Definizione 1.2.5. Sia A un insieme e R una relazione di equivalenza in A.


Per ogni a ∈ A si chiama classe di equivalenza di a l’insieme [a] = {x | x ∈
A, x R a}. L’insieme avente come elementi tutte le classi di equivalenza si chiama
A
insieme quoziente e si indica con R = {[a] | a ∈ A}.

Quale esempio consideriamo la relazione di equivalenza definita al punto 1) dell’e-


sempio 1.2.3. Essa determina due classi di equivalenza: una classe è formata da
tutti i numeri interi pari e l’altra classe da tutti i numeri interi dispari.

Definizione 1.2.6. Sia A un insieme non vuoto e = = {Ai , i = 1, 2, ..., n} una


famiglia di sottoinsiemi non vuoti di A. Si dice che = è una partizione di A se e
solo se
(1) ∪ni=1 Ai = A
(2) Ai ∩ Aj = ∅ per ogni i 6= j; i, j = 1, 2, ..., n.

Esempio 1.2.7.
Siano A = {2n | n ∈ N}, A1 = {2n | n = 0, 1, 2}, A2 = {2n | 3 ≤ n ≤ 104},
A3 = {2n | n ∈ N, n ≥ 105}. Allora = = {A1 , A2 , A3 } è una partizione di A
perchè A = A1 ∪ A2 ∪ A3 con A1 ∩ A2 = A1 ∩ A3 = A2 ∩ A3 = ∅.
Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 7

Teorema 1.2.8. Sia A un insieme non vuoto e R una relazione di equivalenza


in A. Le classi di equivalenza di R costituiscono una partizione di A e viceversa
se = è una partizione di A si può definire in A una relazione R di equivalenza le
cui classi sono gli elementi di =.
Dimostrazione. Sia R una relazione di equivalenza in A. Dimostriamo che
le classi di equivalenza costituiscono una partizione di A; considerata la classe di
equivalenza [a] , si ha [a] 6= ∅ perchè a ∈ [a] . Siano [a] e [b] due classi di
equivalenza, se esiste x ∈ [a] ∩ [b] si ha x R a e x R b da cui a R b cioè
[a] = [b] e pertanto se [a] 6= [b] si ha [a] ∩ [b] = ∅ . Infine per ogni a ∈ A
si ha a ∈ [a] e perciò l’unione delle classi di equivalenza coincide con l’insieme
A. Viceversa, sia = una partizione di A. Definiamo in A la relazione a R b se
esiste F ∈ = tale che a, b ∈ F . Poichè per ogni elemento x ∈ A esiste uno
ed un solo insieme F ∈ = tale che x ∈ F , ne consegue che R è una relazione di
equivalenza e che gli elementi di = sono le classi di equivalenza. 

Come mostrano i prossimi due esempi, utilizzando le relazioni di equivalenza,


a partire dall’insieme N dei numeri naturali si può definire l’insieme Z dei numeri
interi e l’insieme Q dei numeri razionali.

Esercizio 1.2.9.
Sia N l’insieme dei numeri naturali. In N × N si consideri la relazione definita da
(a, b) R (c, d) ⇔ a + d = b + c. Dimostrare che la relazione è di equivalenza e
verificare che l’insieme quoziente N×N R
è l’insieme Z dei numeri interi.
Soluzione - Poichè in N vale la proprietà commutativa della 00 +00 , è immediato
dimostrare che valgono la proprietà riflessiva e la proprietà simmetrica. Dimo-
striamo la proprietà transitiva: sia (a, b) R (c, d) e (c, d) R (e, f ), ciò signifi-
ca a + d = b + c, c + f = d + e e sommando membro a membro si ottiene
a + d + c + f = b + c + d + e, da cui a + f = b + e e quindi (a, b) R (e, f ). La
relazione R è dunque una relazione di equivalenza in N × N.
Definiamo Z = N×N R
e chiamiamo numeri interi gli elementi di Z. Per esempio,
un intero è l’insieme {(1, 0), (8, 7), (11, 10), (37, 36), ...} = {(n + 1, n) | n ∈ N}; così
sono interi l’insieme {(n, n + 2) | n ∈ N}, o l’insieme {(n, n + 7) | n ∈ N}. Questa
definizione di numeri interi, a prima vista, sembra ben lontana dall’usuale modello
di numeri interi, ma si verifica facilmente che presa una classe di equivalenza [(a, b)]
essa può essere rappresentata in uno ( ed uno solo ) dei due modi seguenti: [(n, 0)]
oppure [(0, n)] a seconda che sia a ≥ b oppure b ≥ a. Se a ≥ b allora [(a, b)] =
[(n, 0)] con n = a − b ∈ N; se b ≥ a allora [(a, b)] = [(0, n)] con n = b − a ∈ N.
Per semplicità invece di [(n, 0)] si usa scrivere +n ed al posto di [(0, n)] si usa
scrivere −n. Con questa convenzione la classe di equivalenza [(0, 0)] può essere
scritta sia come +0 sia come −0 e per semplicità si scrive solo 0; risulta allora
Z = N+ ∪ {0} ∪ N− .
Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 8

Esercizio 1.2.10.
Sia Z l’insieme dei numeri interi. In Z × Z∗ si consideri la relazione definita da
(a, b) < (c, d) ⇔ ad = bc. Dimostrare che la relazione è di equivalenza e verificare

che l’insieme quoziente Q = Z×Z <
è l’insieme dei numeri razionali.
Soluzione - Poichè in Z vale la proprietà commutativa della 00 ·00 , è immediato di-
mostrare che valgono la proprietà riflessiva e la proprietà simmetrica. Dimostriamo
la proprietà transitiva: sia (a, b) < (c, d) e (c, d) < (e, f ) . Da ad = bc, cf = de
moltiplicando la prima uguaglianza per f e la seconda uguaglianza per b (si ricordi
che f 6= 0 e b 6= 0) si ottiene adf = deb ed essendo d 6= 0 si conclude che
af = be ossia (a, b) < (e, f ).

Gli elementi dell’insieme quoziente Q = Z×Z <
sono i numeri razionali, la classe
ak
[(a, b)] è l’insieme dei numeri razionali del tipo bk con k ∈ Z.

Esercizio 1.2.11.
Nell’insieme Z degli interi si consideri la relazione 00 a R b se 3 | (a − b) 00 . Dimo-
strare che R è una relazione di equivalenza e determinare le classi di equivalenza.
Soluzione - ( Il simbolo 00 | 00 significa divide )
1. a R a per ogni a ∈ Z . Infatti 3 | (a − a) in quanto 3 | 0 . Dunque vale la
proprietà riflessiva .
2. Se a R b allora b R a . Infatti da a R b si ha 3 | (a − b) , a − b = 3q con
q ∈ Z e perciò b − a = 3(−q) , −q ∈ Z da cui segue b R a . Dunque vale la
proprietà simmetrica .
3. Se a R b e b R c allora a R c . Infatti da 3 | (a−b) e 3 | (b−c) si ha a−b = 3q ,
b − c = 3t e sommando membro a membro risulta (a − b) + (b − c) = 3q + 3t ,
(a − c) = 3(q + t) con (q + t) ∈ Z e perciò a R c . Dunque vale la proprietà
transitiva .
Rimane così provato che R è una relazione di equivalenza .
Le classi di equivalenza sono:
• [0] = {x | x ∈ Z, x R 0} = {3n | n ∈ Z} perchè x R 0 significa
3 | (x − 0) , x − 0 = 3n, x = 3n.
• [1] = {x | x ∈ Z, x R 1} = {3n + 1 | n ∈ Z} perchè x R 1 significa
3 | (x − 1), x − 1 = 3n, x = 3n + 1.
• [2] = {x | x ∈ Z, x R 2} = {3n + 2 | n ∈ Z} perchè x R 2 significa
3 | (x − 2), x − 2 = 3n, x = 3n + 2.

La relazione di congruenza
La relazione dell’esercizio precedente è un caso particolare della seguente relazione
definita in Z. Fissato n ∈ N − {0} , sia
a R b se n | (a − b)
Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 9

Questa è una relazione di equivalenza (la dimostrazione è analoga a quella dell’e-


sercizio precedente). Rimangono determinate n classi di equivalenza dette classi
resto modulo n perchè la relazione R è equivalente alla relazione < definita nel
seguente modo.

Fissato n ∈ N − {0} , definiamo in Z la relazione


a < b se a e b hanno lo stesso resto nella divisione per n.
< è una relazione di equivalenza. Infatti
1. a < a per ogni a ∈ Z . Banalmente vera.
2. Se a < b allora b < a . Banalmente vera.
3. Se a < b e b < c allora a < c . Infatti da a < b si ha a = nq1 + r ,
b = nq2 + r ; da b < c si ha b = nq2 + r , c = nq3 + r e pertanto a < c perchè
a e c hanno lo stesso resto nella divisione per n.
Osserviamo che
R e < sono la stessa relazione.

Infatti considerati a, b ∈ Z, dividendo per n, gli interi a e b possono essere


scritti come a = nq1 + r1 e b = nq2 + r2 , r1 ≥ r2 (analogamente se fosse
r2 ≥ r1 ). Si ha a − b = n(q1 − q2 ) + (r1 − r2 ) da cui a R b ⇔ n | (a − b) ⇔
r1 − r2 = 0 ⇔ r1 = r 2 ⇔ a < b .

La relazione R viene chiamata 00 relazione di congruenza modulo n 00


e indicata
con a ≡ b (mod n) :

a ≡ b (mod n) ⇔ n | (a − b) .

La relazione di congruenza modulo n determina n classi di equivalenza e l’insieme


Z Z
quoziente, di norma, è indicato con Zn oppure nZ oppure <n> .

Il simbolo 00 ≡00 è stato introdotto da Gauss (1777−1855); la scelta è stata fatta


per ricordare che molte proprietà della relazione di congruenza sono analoghe alle
proprietà di cui gode la relazione di uguaglianza tra numeri interi.

Fra le proprietà della relazione di congruenza, dimostriamo le seguenti due:

(1) Se a ≡ b (mod n) e c ≡ d (mod n) allora si ha a+c ≡ b+d (mod n)


e ac ≡ bd (mod n) .
(2) Se ab ≡ ac (mod n) e M CD(a, n) = 1 allora b ≡ c (mod n) .
Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 10

Dimostrazione. (1) - Da a ≡ b (mod n) si ha a−b = hn , da c ≡ d (mod n)


si ha c − d = kn . Sommando membro a membro le uguaglianze si ottiene
(a + c) − (b + d) = (h + k)n e pertanto (a + c) ≡ (b + d) mod n . Moltiplicando
entrambi i membri di a − b = hn per c e moltiplicando entrambi i membri
di c − d = kn per b, si ottiene ac − bc = chn , bc − bd = bkn ; sommando
membro a membro le ultime due uguaglianze si ha ac − bd = (ch + bk)n da cui
ac ≡ bd (mod n) . 

Dimostrazione. (2) - Da ab ≡ ac (mod n) si ha ab − ac = hn , a(b − c) = hn


e poichè a è primo con n deve essere a | h cioè h = ta da cui a(b − c) = tan ,
bc = tn e pertanto b ≡ c (mod n) . 

Con la relazione di congruenza modulo n si può dire che si rappresenta l’in-


sieme infinito Z con l’insieme finito Zn , essendo gli elementi di quest’ultimo
una partizione di Z.

Questo passaggio dall’infinito al finito è utile specialmente quando si vogliono


effettuare calcoli o verifiche al computer che lavora solo in termini finiti.

Applicazioni della relazione di congruenza.


La prova del nove
L’algoritmo detto prova del nove serve per controllare l’esattezza di operazioni
tra interi. Più precisamente, se questa prova non riesce (nel senso che ricorderemo
sotto con un esempio) allora il risultato è certamente sbagliato, mentre se la prova
riesce non è comunque detto che il risultato sia corretto, è solo molto probabile che
lo sia. Perchè questo? Perchè se la prova riesce, essa assicura solo che il risultato
corretto e quello ottenuto sono congrui modulo 9.
Supponiamo di voler moltiplicare fra loro due interi, per esempio 139 e 287,
e di trovare come risultato 39893. Per controllare l’esattezza utilizzando la prova
del nove, si procede nel modo seguente.
Per ognuno dei due fattori della moltiplicazione si sommano le cifre che com-
pongono il numero (fattore), tralasciando i 9 che vengono sostituiti con lo zero e
si itera questa procedura fino ad arrivare ad un numero ad una sola cifra. Si mol-
tiplicano i due numeri ad una sola cifra così ottenuti e si riduce anche il risultato
di questa operazione ad un numero x ad una sola cifra con il procedimento prece-
dente. Infine si riduce nello stesso modo ad una sola cifra anche il risultato della
moltiplicazione che si è ottenuto e che si vuole controllare; se esso non coincide
con x l’operazione certamente non è corretta.
Nel nostro esempio si ha
139 × 287 = 39893
Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 11

139 7→ 1 + 3 + 0 = 4
287 7→ 2 + 8 + 7 = 17 7→ 1 + 7 = 8
39893 7→ 3 + 0 + 8 + 0 + 3 = 14 7→ 1 + 4 = 5
Facciamo ora il prodotto e, al solito, riduciamo ad una cifra:
4 · 8 = 32 7→ 3 + 2 = 5,
esso ha come somma delle cifre 5 che coincide con la somma delle cifre del risultato
della moltiplicazione e pertanto con molta probabilità il risultato è corretto, se
invece avessimo trovato un numero diverso da 5 sicuramente la moltiplicazione era
sbagliata. In altre parole, la prova del nove è una condizione necessaria ma non
sufficiente per l’esattezza dei calcoli. Ad esempio, se, sbagliando i calcoli, come
risultato del prodotto di 139 per 287 avessimo ottenuto 39794, con la prova del
nove non avremmo potuto accorgerci di avere commesso un errore perchè i numeri
39893 e 39794 stanno nella stessa classe di Z9 ossia nella classe [5].
Cerchiamo ora di capire la relazione che c’è con il numero 9.
Quando scriviamo 139 in base 10 intendiamo il numero 1 · 102 + 3 · 10 + 9 · 100 .
Qualunque sia n > 0 si ha che

10n − 1 = |999{z
. . . 9} = 9 · 111
| {z. . . 1}, cioè 10n ≡ 1 (mod 9),
n-volte n-volte

Ma allora, utilizzando le proprietà delle congruenze, ne segue che


139 = 1 · 102 + 3 · 10 + 9 ≡ (1 + 3 + 9) mod 9, ossia il numero 139 è congruo
modulo 9 alla somma delle sue cifre.
Ogni numero intero scritto in base 10 è congruo modulo 9 alla somma
delle sue cifre, ossia considerato z ∈ Z,
z = an 10n + an−1 10n−1 + · · · + a0 100 , si ha z ≡ an + an−1 + · · · + a0 (mod 9 ).

Oltre alla prova del nove, altre interessanti applicazioni delle congruenze sono:
(1) i criteri di divisibilità per 2, 3, 4, 5, 9, 11;
(2) la compilazione del calendario ;
(3) la costruzione del tabellone di un torneo di n squadre in modo che ogni
squadra incontri ogni altra squadra esattamente una volta.
Per le dimostrazioni relative a queste tre applicazioni, si rinvia al volume Aritme-
tica, Crittografia e Codici, di Baldoni, Ciliberto, Piacentini Cattaneo, pag. 117,
129-133.

Dopo le relazioni di equivalenza, consideriamo ora un’altra famiglia importante di


relazioni binarie che riprenderemo solo alla fine del corso.
Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 12

Definizione 1.2.12. Sia A un insieme e sia R ⊆ A × A una relazione in A.


Si dice che R è una relazione di ordine o di ordine parziale se valgono le
seguenti tre proprietà:
(1) a R a per ogni a ∈ A (proprietà riflessiva);
(2) se a R b e b R a allora a = b (proprietà antisimmetrica);
(3) se a R b e b R c allora a R c (proprietà transitiva).

Una relazione di ordine parziale si denota solitamente con il simbolo 00 ≤ 00 .


Un insieme A in cui è definita una relazione di ordine parziale 00 ≤ 00 è detto
insieme parzialmente ordinato e si indica con (A, ≤); due elementi x, y ∈ A
si dicono confrontabili se x ≤ y oppure y ≤ x .

Esempio 1.2.13. - Sono insiemi parzialmente ordinati:


1) (Z, ≤) dove 00 ≤00 è la relazione definita da a ≤ b se b − a ∈ Z .
2) (N∗ , ≤) dove 00 ≤00 è la relazione definita da a ≤ b se a, b ∈ N∗ e a | b
( a 00 divide 00 b ).
3) (P (A), ≤) dove 00 ≤00 è la relazione X ≤ Y se X ⊆ Y , con X e Y
sottoinsiemi di A.

Definizione 1.2.14. Sia (A, ≤) un insieme parzialmente ordinato e sia B ⊆ A,


B 6= ∅. Si definisce
(1) sup B (o estremo superiore di B in A) ogni elemento v ∈ A tale che :
• b ≤ v per ogni b ∈ B;
• se x ∈ A e b ≤ x per ogni b ∈ B allora è v ≤ x.
• se v = sup B e si ha v ∈ B allora v si chiama massimo di B.
(2) inf B (o estremo inferiore di B in A) ogni elemento u ∈ A tale che:
• u ≤ b per ogni b ∈ B;
• se x ∈ A e x ≤ b per ogni b ∈ B allora x ≤ u.
• se u = inf B e si ha u ∈ B allora u si chiama minimo di B.
(3) L’ordine 00 ≤00 si dice denso se dati x, y ∈ A tali che x ≤ y, x 6= y, esiste
z ∈ A tale che x ≤ z ≤ y, x 6= z, z 6= y.
(4) L’ordine si dice buono (o che A è un insieme bene ordinato) se ogni
sottoinsieme non vuoto di A ha un elemento minimo.

Esempio 1.2.15.
Sia (R, ≤) l’insieme dei numeri reali e “≤” l’ordinamento naturale, sia B ⊆√R
l’insieme B = {x | x ∈ Q∗ , x2 ≤ 2}. L’insieme B ha estremo superiore sup B = 2
ma non ha massimo. L’insieme B ha estremo inferiore inf B = 0 ed ha minimo 0.
Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 13

Esempio 1.2.16.
(N, ≤) è in insieme parzialmente ordinato rispetto alla relazione così definita: “a ≤
b se b − a ∈ N”. Questa relazione è detta ordinamento naturale.

Per il principio di induzione (vedi paragrafo 4 di questo capitolo), segue che


l’ordine dell’esempio 1.2.16 è un buon ordinamento di N. Questa importante
proprietà è nota come il Principio del buon ordinamento.

Teorema 1.2.17 (Principio del buon ordinamento). Ogni insieme non vuoto
di numeri naturali possiede un elemento minimo.
Per la dimostrazione si rinvia a Dikranjan-Lucido, Aritmetica e Algebra, Liguori
editore, pag.26.
Il Principio del buon ordinamento permette, per esempio, di affermare che non
esiste alcun intero c compreso tra 0 e 1.

Se in un insieme parzialmente ordinato (A, ≤) due elementi sono sempre con-


frontabili allora la relazione si dice di ordine totale.

Definizione 1.2.18. Sia A un insieme e sia R ⊆ A × A una relazione in A.


Si dice che R è una relazione di ordine totale (o lineare) se valgono le seguenti
proprietà:
(1) a R a per ogni a ∈ A (proprietà riflessiva);
(2) se a R b e b R a allora a = b (proprietà antisimmetrica);
(3) se a R b e b R c allora a R c (proprietà transitiva);
(4) a R b oppure b R a per ogni a, b ∈ A .

3. Applicazioni fra insiemi

Definizione 1.3.1. Siano A e B due insiemi non vuoti. Si definisce applica-


zione di A in B ogni relazione R ⊆ A × B con la proprietà che per ogni a ∈ A
esiste uno ed un solo b ∈ B tale che a R b .

Un’applicazione di A in B è solitamente indicata con una lettera e con una no-


tazione del tipo f : A → B. L’insieme A si dice dominio dell’applicazione f e
l’insieme B si dice codominio dell’applicazione f . Se a ∈ A, l’unico elemento
b ∈ B tale che a è in relazione con b, viene indicato con f (a) e detto immagine
di a secondo la relazione f . L’insieme f (A) = { f (a) | a ∈ A} di tutte le
immagini degli elementi di A è detto insieme immagine dell’applicazione f .
Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 14

Sia A 6= ∅ ; l’applicazione idA : A → A definita da idA (a) = a per ogni


a ∈ A è detta applicazione identità o applicazione identica di A.

Esempio 1.3.2.
(1) Sia A 6= ∅ un insieme; allora f : A → P (A) definita da f (a) = {a} è
un’applicazione.
(2) Sono applicazioni le seguenti funzioni numeriche:
X f : R → R definita da f (x) = x2 + √1 .
X f : R+ → R+ definita da f (x) = x .
(3) Non sono applicazioni le seguenti funzioni
√numeriche:
X f : R → R+ definita da f (x) = x .
X f : R → R definita da f (x) = log x .

Si noti che per definire una applicazione occorre un dominio A, un codominio


B e una 00 legge 00 f che permette di assegnare ad ogni elemento a ∈ A un
unico elemento f (a) ∈ B. Occorre fare attenzione perchè la stessa 00 legge 00 può
determinare oppure no un’applicazione a seconda del dominio e/o codominio in
cui è considerata. Ad esempio
1. f : N → R definita da f (x) = −x2 è una applicazione;
2. f : N → N definita da f (x) = −x2 non è una applicazione.

Definizione 1.3.3. Sia X un insieme non vuoto e sia A ∈ P (X). Si definisce


funzione caratteristica di A l’applicazione χA : X → {0, 1} definita da

1 se x ∈ A
χA (x) =
0 se x 6∈ A

Definizione 1.3.4. Sia B un sottoinsieme non vuoto di A.


• L’applicazione iB : B → A definita da iB (x) = x per ogni x ∈ B si dice
immersione di B in A.
• Sia f : A → C un’applicazione. L’applicazione fB : B → C definita da
fB (y) = f (y) per ogni y ∈ B si dice restrizione di f a B .

La seguente definizione caratterizza le applicazioni a seconda delle proprietà di


cui godono. La famiglia delle applicazioni si può così suddividere in tre importanti
sottofamiglie (non disgiunte).

Definizione 1.3.5. Un’applicazione f : A → B si dice:


(1) iniettiva se da a1 6= a2 segue f (a1 ) 6= f (a2 ) ;
(2) suriettiva se f (A) = B ;
Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 15

(3) biettiva (o biunivoca) se è iniettiva e suriettiva.

Esempio 1.3.6.
(1) f : R → R+ 2
0 , f (x) = x , è suriettiva ma non iniettiva.
2
(2) f : N → Z , f (x) = x , è iniettiva ma non suriettiva.
(3) f : R → R , f (x) = 2x + 1 , è biettiva.

Definizione 1.3.7. Se f : A → B è un’applicazione biettiva, allora si può


definire un’applicazione di B → A indicata con f −1 , che ad ogni y ∈ B associa
la sua controimmagine nella f , ossia f −1 (y) = x con f (x) = y. L’applicazione
f −1 è detta l’applicazione inversa della f .

Definizione 1.3.8. Un’applicazione biettiva di un insieme A in sè stesso è


detta permutazione. Nel caso A sia un insieme finito con n elementi, si può
pensare A = {1, 2, ..., n} e una permutazione α di A si può rappresentare con la
seguente matrice
 
1 2 ··· n
.
α(1) α(2) · · · α(n)

Nota 1.3.9. Le applicazioni biettive rivestono un ruolo particolarmente im-


portante. Qui ci limitiamo ad evidenziare tre proprietà che saranno approfondite
nel seguito.
(1) Permettono di 00 confrontare00 e di 00 contare 00 gli elementi di un insieme.
Si dice che A e B hanno lo stesso numero di elementi se e solo
se fra A e B è possibile stabilire una applicazione biettiva. Ad
esempio l’insieme N = {0, 1, 2, ..., n, ...} dei numeri naturali e l’insieme
P = {0, 2, 4, ..., 2n, ...} dei numeri pari hanno lo stesso numero di elementi
perchè fra essi è possibile stabilire una applicazione biunivoca:
f : N → P ; f (n) = 2n .
(2) Ammettono l’applicazione inversa. Si osservi che
• f : A → B è invertibile (ossia ammette l’inversa) se e solo se è
biettiva. In tal caso l’inversa di f è unica.
• f −1 è biettiva.
• (f −1 )−1 = f .
• f : A → B iniettiva diventa biettiva e quindi invertibile se si
considera f : A → f (A) .
Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 16

(3) Sia X un insieme non vuoto e {0, 1}X l’insieme di tutte le applicazioni
X → {0, 1} che si denota con 2X . Fra l’insieme delle parti P (X) e
l’insieme 2X si può definire la seguente applicazione biettiva ϕ .
ϕ : P (X) → 2X , ϕ(A) = χA , per ogni A ∈ P (A)
dove χA è la funzione caratteristica di A.
La biettività di ϕ assicura che se X è un insieme non vuoto allora l’insieme
delle parti P (X) ha esattamente 2|X| elementi, dove |X| indica il numero
di elementi di X. In simboli: |P (X)| = 2|X| .

Nota 1.3.10. Nel caso di insiemi finiti si ha che:


• Il numero di tutte le applicazioni iniettive di un insieme finito A con n
elementi in un insieme B con m elementi è uguale a m · (m − 1) · ... ·
(m − n + 1).
• Se A e B sono due insiemi finiti aventi lo stesso numero n di elementi,
allora esistono esattamente n! = 1 · 2 · ... · n applicazioni biettive di A
in B.
• Sia A un insieme finito con n elementi. Allora il numero di tutte le
permutazioni di A è n!.

Sotto particolari condizioni, due applicazioni si possono comporre ossia possono


definire una terza applicazione.

Definizione 1.3.11. Siano f : A → B e g : B → C due applicazioni. Si


definisce prodotto operatorio o composizione di f e g l’applicazione g ◦ f :
A → C definita da (g ◦ f )(x) = g(f (x)) per ogni x ∈ A.

Esempio 1.3.12.
1) Sia f : N → N, f (n) = 3n + 1, g : N → N, g(n) = 2n − 1. Si ha g ◦ f (n) =
g(f (n)) = g(3n + 1) = 2(3n + 1) − 1 = 6n + 1.
2) Sia f : R∗ → R∗ , f (x) = x2 , g : R∗ → R, g(x) = log(|x|). Si ha g ◦ f (x) =
g(f (x)) = log(x2 ).

Dalla definizione di composizione di applicazioni segue che se A è un insieme


non vuoto allora esiste la composizione di due qualunque applicazioni f , g di A in
se stesso.
La composizione di applicazioni permette anche di definire l’applicazione inversa di
f come quell’applicazione, indicata con f −1 , tale che f ◦ f −1 = f −1 ◦ f = identità.
Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 17

4. L’insieme N dei numeri naturali. Principio di Induzione.

00
Dio creò i numeri naturali, tutto il resto è opera dell’uomo00
Leopold Kronecher (1823-1891).

L’insieme N dei numeri naturali


L’insieme N = {0, 1, 2, ..., n, ...} dei numeri naturali è uno dei concetti primitivi la
cui esistenza non può essere provata. G. Peano (1858-1932) assunse come primitivi
i concetti di numero naturale, di zero, di successivo di un numero naturale e propose
la seguente descrizione assiomatica.
Assiomi di Peano.
(1) I numeri naturali formano un insieme N.
(2) Zero è un numero naturale.
(3) Il successivo di un numero naturale è un numero naturale.
(4) Numeri naturali che hanno lo stesso successivo sono uguali.
(5) Zero non è il successivo di alcun numero naturale.
(6) Se l’insieme A contiene lo zero ed ha la proprietà che se un numero naturale
n sta in A anche il successivo di n sta in A, allora N ⊆ A.
L’assioma (6) è noto anche come principio di induzione matematica ed è la
più importante proprietà dei numeri naturali. Esso dà luogo ad una tecnica molto
usata in matematica, la cosiddetta 00 dimostrazione per induzione 00 . Tenuto conto
della sua importanza, riformuliamo separatamente questo assioma.
Principio di induzione matematica.
Per ogni numero naturale n ∈ N sia data un’asserzione P (n) e supponiamo che:
(1) P (0) sia vera.
(2) Se P (k) è vera per k ∈ N, allora P (k + 1) è vera.
Allora l’asserzione P (n) è vera per ogni n ∈ N.
Vediamo un esempio di dimostrazione per induzione.

Esercizio 1.4.1.
Dimostrare per induzione su n che per ogni n ≥ 8, n ∈ N, esistono h, k ∈ N tali
che n = 3h + 5k .
Soluzione - Se n = 8 allora 8 = 3 · 1 + 5 · 1. Supponiamo sia n = 3h + 5k e
verifichiamo che n + 1 = 3t + 5q per qualche t, q ∈ N. Distinguiamo due casi:
1◦ caso - Sia k = 0. Allora n = 3h, h ∈ N, h ≥ 3; n + 1 = 3h + 1 = 3(h − 3)+
3 · 3 + 1 = 3(h − 3) + 5 · 2.

2 caso - Sia k 6= 0. Allora n + 1 = 3h + 5k + 1 = 3h + 5(k − 1) + 5 · 1 + 1 =
3h + 3 · 2 + 5(k − 1) = 3(h + 2) + 5(k − 1).
5. I NUMERI INTERI. LA DIVISIONE EUCLIDEA. MCD DI DUE INTERI. 18

5. I numeri interi. La divisione euclidea. MCD di due interi.

Dato l’insieme dei numeri naturali N si costruisce l’insieme dei numeri interi
come insieme quoziente Z = N×N R
dove R è la relazione di equivalenza definita da
(a, b) R (c, d) ⇔ a + d = b + c, vedi esercizio 1.2.9. Per comodità si sceglie come
rappresentante di una classe di equivalenza il numero naturale più piccolo in valore
assoluto e si scrive semplicemente Z = {0, ±1, ±2, ±3, ..., ±n, ...}.
In questa trattazione non si affronta in modo approfondito lo studio dell’aritmetica
degli interi, certi che, da un punto di vista operativo, le principali nozioni sono
ben note perchè incontrate nel corso degli studi precedenti. Inoltre i fondamentali
concetti di massimo comune divisore, MCD, e di minimo comune multiplo, mcm,
saranno ripresi e studiati in modo rigoroso 00 da un punto di vista superiore 00 quando
si affronterà lo studio degli anelli euclidei. Tuttavia, per la loro importanza e per
l’uso che ne faremo, ricordiamo e dimostriamo alcune proprietà fondamentali di Z.

Teorema 1.5.1. Sia a ∈ Z, a 6= ±1. Se a | b allora a - (b + 1).


Dimostrazione. Supponiamo per assurdo a | b e a | (b + 1). Allora b = ha
1
e b + 1 = ka da cui ha + 1 = ka, 1 = (k − h)a e poichè a = k−h ∈ Z deve essere
k − h = ±1. Distinguiamo due casi.
1◦ caso: k−h = 1. Allora k = 1+h e quindi risulta b+1 = (1+h)a = a+ha = a+b
da cui a = 1, assurdo.
2◦ caso: k − h = −1. Allora k = −1 + h e quindi risulta b + 1 = (−1 + h)a =
−a + ha = −a + b da cui a = −1, assurdo. 

La divisione euclidea
Non è sempre vero che un intero divida un altro intero, tuttavia, come dimostra il
seguente teorema, in Z si può sempre eseguire la divisione con resto detta anche
divisione euclidea. Questa proprietà così importante per gli interi, non lo è per i
numeri razionali, reali , complessi, perchè in questi ambienti numerici la divisibilità
b|a ( b divide a) c’è sempre ogniqualvolta b 6= 0. Qualunque siano a, b ∈ Z non
entrambi nulli, la divisione euclidea assicura due fondamentali proprietà: esiste
il massimo comune divisore M CD(a, b) dei due interi e fornisce un importante
algoritmo per calcolare il M CD(a, b).

Teorema 1.5.2. Se a, b ∈ Z e b 6= 0 allora esistono e sono unici q, r ∈ Z tali


che a = bq + r e 0 ≤ r < |b|.

Di questo teorema daremo due dimostrazioni, la prima basata sul principio di


induzione, la seconda più intuitiva.
5. I NUMERI INTERI. LA DIVISIONE EUCLIDEA. MCD DI DUE INTERI. 19

Dimostrazione. 1 - Supponiamo dapprima a ≥ 0 e b > 0 e proviamo


Pa : 00 esistono q, r ∈ N tali che a = bq + r con 0 ≤ r < b 00 .
Per ogni 0 ≤ a < b la proposizione Pa è vera perchè basta prendere q = 0 e r = a.
Se a = b la Pa è vera per q = 1 e r = 0. In particolare sono dunque vere P0 e P1 .
Supponiamo ora a > b e procediamo per induzione su a.
Supponiamo vera Pa e dimostriamo che vale Pa+1 . Si ha a = bq + r con 0 ≤ r < b.
Se è r = b − 1 risulta a + 1 = bq + r + 1 = bq + b = b(q + 1) + 0 e la Pa+1 è vera.
Se è r < b − 1 otteniamo a + 1 = bq + r + 1 con 0 < r + 1 < b e la Pa+1 è vera.
Dimostriamo ora che comunque presi a, b ∈ Z, b 6= 0, esistono q, r ∈ Z tali che
a = bq + r con 0 ≤ r < |b|. Si è già dimostrato sopra che il teorema vale quando
è a ≥ 0 e b > 0. Se è a = 0 e b < 0, basta prendere q = r = 0. Proviamo ora il
teorema negli altri casi.
1) Sia a < 0, b > 0 .
Esistono q, r ∈ N tali che −a = qb + r con 0 ≤ r < b.
Se è r = 0 si ha a = (−q)b + 0 ed il risultato è provato.
Se è r > 0 si ha a = (−q − 1)b + (b − r) con 0 < b − r < b ed il risultato è
provato.
2) Sia a < 0, b < 0.
Si ha −a = q(−b) + r con q, r ∈ N e 0 ≤ r < |b|.
Se è r = 0 si ha a = qb + 0 ed il risultato è provato.
Se è r > 0 si ha a = (q + 1)b − b − r = (q + 1)b + |b| − r ed essendo
0 < |b| − r < |b| il risultato è provato.
3) Sia a > 0, b < 0.
Si ha a = q(−b) + r con q, r ∈ N e 0 ≤ r < |b| e quindi
a = (−q)b + r ed il risultato è provato.
Dimostriamo infine l’unicità di q ed r. Supponiamo esistano anche q 0 ed r0 interi
tali che a = q 0 b + r0 con 0 ≤ r0 < |b| e con r0 ≥ r (analogamente se fosse r0 ≤ r).
Si ottiene (q − q 0 )b = r0 − r con 0 ≤ r0 − r < |b| da cui segue q = q 0 ed r = r0 . 

Dimostrazione. 2 - Esistenza di q ed r. Sia T = {bk | k ∈ Z, bk ≤ a}


l’insieme dei multipli di b minori od uguali ad a. Poniamo m = maxT . Essendo
m multiplo di b, esiste q ∈ Z tale che m = bq, definiamo r = a − bq. Poichè
m = bq = maxT ∈ T si ha m = bq ≤ a, ossia r = a − bq ≥ 0 e a = bq + r. Se
per assurdo fosse r ≥ |b|, si avrebbe r = a − bq ≥ |b|, a ≥ bq + |b| = m + |b| e
dunque bq + |b| sarebbe un multiplo di b minore o uguale ad a, e pertanto sarebbe
un elemento di T maggiore di m e ciò è assurdo perchè m = maxT.
Unicità di q ed r. Supponiamo esistano anche q 0 ed r0 interi tali che a = q 0 b + r0
con r0 ≥ r (analogamente se fosse r0 ≤ r). Si ha: a = q 0 b + r0 = qb + r da cui
(q − q 0 )b = r0 − r con 0 ≤ r0 − r < |b|. Da r − r0 < |b| segue q − q 0 = 0, q = q 0 . Da
a = qb + r0 = qb + r segue r = r0 . 
5. I NUMERI INTERI. LA DIVISIONE EUCLIDEA. MCD DI DUE INTERI. 20

MCD di due interi

Definizione 1.5.3. Dati a, b ∈ Z non entrambi nulli, un intero d ∈ Z si dice


massimo comune divisore di a e b se:
(1) d | a e d | b;
(2) se d0 | a e d0 | b allora d0 | d.

Si osservi che se d è massimo comune divisore di a e b anche −d lo è. In pratica


in Z il massimo comune divisore è definito a meno del segno; per convenzione, in
Z si sceglie sempre come massimo comune divisore di due interi a, b non entrambi
nulli quello positivo. Di conseguenza in Z il massimo comune divisore è davvero il
massimo (nel senso dell’ordinamento naturale di Z) dei divisori comuni di a, b. Il
massimo comune divisore di a e b si indica con M CD(a, b).

Definizione 1.5.4. Due interi a, b tali che M CD(a, b) = 1 si dicono coprimi,


o relativamente primi fra loro.

Il seguente teorema prova l’esistenza del massimo comune divisore tra due interi
non entrambi nulli e ne fornisce una scrittura come identità di Bézout.

Teorema 1.5.5. Siano a, b ∈ Z non entrambi nulli, allora in Z esiste il


massimo comune divisore di a e b. Se d = M CD(a, b) allora d = ha + kb con
h, k ∈ Z.
Dimostrazione. Consideriamo l’insieme S = {s | s = ax + by con x, y ∈ Z}.
Poichè (a, b) 6= (0, 0), l’insieme S contiene qualche elemento non nullo e se s =
ax + by sta in S, allora anche −s = a(−x) + b(−y) sta in S. Ciò significa che S
contiene sempre qualche intero positivo ed è un sottoinsieme non vuoto dell’insieme
dei numeri naturali e perciò in S esiste un intero positivo minimo, questo elemento
minimo sia d = ah + bk. Dimostriamo che d è il M CD(a, b); infatti per la divisione
euclidea si ha a = dq + r con 0 ≤ r < d e perciò r = a − dq = a − (ah + bk)q =
a(1 − hq) + b(−kq). Se r 6= 0 allora r ∈ S con 0 < r < d contro l’ipotesi di
minimalità fatta su d e pertanto, per non avere un assurdo, r = 0 ossia d divide
a. Procedendo in modo analogo si ha anche che d divide b ossia d è un divisore
comune di a e b. Se anche z è un divisore comune di a e b si ha z|d perchè posto
a = mz e b = nz risulta d = ah + bk = mzh + nzk = (mh + nk)z. Rimane pertanto
dimostrato che d è il massimo comune divisore di a e b. 

La scrittura del massimo comune divisore d di due interi a e b nella forma


d = ha + kb, ossia come combinazione lineare di a e b, è nota come identità di
Bézout.
Si osservi che tale scrittura non è unica.
5. I NUMERI INTERI. LA DIVISIONE EUCLIDEA. MCD DI DUE INTERI. 21

Ad esempio, M CD(5, 7) = 1, 1 = 3 · 7 + (−4) · 5 = (−2) · 7 + 3 · 5.

Il prossimo corollario fornisce un algoritmo per il calcolo effettivo del M CD(a, b),
inoltre permette di determinare una sua scrittura come identità di Bézout.

Corollario 1.5.6 (ALGORITMO Euclideo).


Siano dati a, b ∈ Z, a ≥ b > 0. Operiamo le seguenti divisioni:

a = bq1 +r1 0 < r1 < b


b = r 1 q2 +r2 0 < r2 < r1
r1 = r 2 q3 +r3 0 < r3 < r2
··· ··· ··· ···
rn−3 = rn−2 qn−1 +rn−1 0 < rn−1 < rn−2
rn−2 = rn−1 qn +rn 0 < rn < rn−1
rn−1 = rn qn+1 +0
Allora M CD(a, b) = rn (ultimo resto non nullo).

Il procedimento deve certamente avere termine (in meno di b passi) perchè b >
r1 > r2 > . . . è una successione strettamente decrescente di interi positivi. Ora,
dall’ultima divisione si ha che rn | rn−1 per cui M CD(rn , rn−1 ) = rn . Andando dal
basso verso l’alto, si ha rn | rn−2 , inoltre c | rn , c | rn−1 se e solo se c | rn−1 , c | rn−2 .
Quindi M CD(rn−1 , rn−2 ) = M CD(rn , rn−1 ) = rn . Proseguendo verso l’alto si ha
rn = M CD(a, b).

Nota 1.5.7. Le relazioni dell’algoritmo euclideo offrono un modo per determi-


nare α e β e scrivere il M CD(a, b) nella forma αa + βb, ossia danno una identità
di Bézout. Poichè M CD(a, b) = rn , basta far vedere che tutti i resti delle divisioni
si possono scrivere come combinazioni di a e b. Per il corollario 1.5.6. si ha

r1 = a − bq1
r2 = b − r 1 q2
··· ···
ri+2 = ri − ri+1 qi+2
··· ···
Risulta r2 = b−r1 q2 = b−(a−bq1 )q2 = (−q2 )a+(1+q1 q2 )b ossia r1 e r2 si scrivono
come combinazione di a e b. Supposto allora che ri e ri+1 si possano scrivere come
combinazione di a e b, si ha che ri+2 si può scrivere come combinazione di a e b.
Ma allora ogni resto si può scrivere nel modo richiesto, e in particolare rn che è il
massimo comune divisore.
Esempio. Si determini una identità di Bézout per il M CD(3522, 321). Si ha
5. I NUMERI INTERI. LA DIVISIONE EUCLIDEA. MCD DI DUE INTERI. 22

3522 = 321 · 10 + 312


321 = 312 · 1 + 9
312 = 9 · 34 + 6
9 = 6·1 + 3
6 = 3·2 + 0
Risulta M CD(3522, 321) = 3. Rappresentiamo una combinazione lineare di 3522
e 321 scrivendo solo la coppia dei coefficienti, ossia
α · 3522 + β · 321 → (α, β)
e definiamo nell’insieme di tali coppie le seguenti operazioni:

(α, β) + (α0 , β 0 ) = (α + α0 , β + β 0 ),
γ(α, β) = (γ · α, γ · β)
per ogni α, β, γ, α0 , β 0 ∈ Z. In questo modo i passaggi che portano alla identità di
Bézout sono i seguenti:

a = 3522 = 1 · 3522 + 0 · 321 → (1, 0) = (1, 0)


b = 321 = 0 · 3522 + 1 · 321 → (0, 1) = (0, 1)
r1 = 312 = 3522 + 321 · (−10) → (1, 0) + (0, 1)(−10) = (1, −10)
r2 = 9 = b + 312 · (−1) → (0, 1) + (1, −10)(−1) = (−1, 11)
r3 = 6 = 312 + 9 · (−34) → (1, −10) + (−1, 11)(−34) = (35, −384)
r4 = 3 = 9 + 6 · (−1) → (−1, 11) + (35, −384)(−1) = (−36, 395).
Quindi
3 = (−36) · 3522 + (395) · 321.

Considerati a, b, c ∈ Z, l’identità di Bézout permette di dimostrare una con-


dizione necessaria e sufficiente perchè l’equazione ax + by = c, detta equazione
diofantea, ammetta soluzioni intere.

Teorema 1.5.8. L’equazione ax + by = c con a, b, c ∈ Z, possiede una


soluzione intera (x, y) se e solo se M CD(a, b) = d divide c.
Dimostrazione. Sia (x̄, ȳ) una soluzione intera dell’equazione. Allora, poichè
il M CD(a, b) divide sia a che b, esso dividerà anche ax + by e quindi anche c.
Viceversa, supponiamo che d divida c. Scriviamo d nella forma d = αa + βb.
Allora, essendo c = d · h, sarà
c = (αa + βb)h = αha + βhb
cioè (x̄ = αh, ȳ = βh) rappresenta una soluzione intera dell’equazione. 
5. I NUMERI INTERI. LA DIVISIONE EUCLIDEA. MCD DI DUE INTERI. 23

Ad esempio
2x + 5y = 3
è risolubile in Z perchè M CD(2, 5) = 1 divide 3. Poichè 1 = (−2) · 2 + (1) · 5, si ha
3 = (−2 · 3) · 2 + (1 · 3) · 5. Una soluzione intera dell’equazione considerata è quindi
(−6, 3). Si osservi che tale soluzione non è unica. Ad esempio un’altra soluzione
intera dell’equazione è (9, −3).

Dimostriamo infine un altro teorema fondamentale per la divisibilità in Z.

Teorema 1.5.9. Dati due interi a, b ∈ Z, se a è relativamente primo con b


e a | bc allora a | c.
Dimostrazione. Poichè MCD(a,b)=1 esistono due interi m, n tali che ma +
nb = 1 e pertanto mac + nbc = c. Da a | bc si ha bc = ha e pertanto mac + nbc =
mac + nha = a(mc + nh) ossia a | mac + nbc. Ricordando che mac + nbc = c
rimane dimostrato che a | c. 

Ovviamente il teorema precedente si generalizza nel senso che se un numero


primo divide un prodotto di interi allora divide almeno uno dei fattori.

Teorema 1.5.10. Comunque presi a, b ∈ Z non entrambi nulli risulta


M CD(a, b) · mcm(a, b) = a · b
dove mcm(a, b) indica il minimo comune multiplo di a e b.
Dimostrazione. Per la dimostrazione è sufficiente considerare gli interi posi-
tivi. Siano a, b ∈ N non entrambi nulli; sia d = M CD(a, b) e sia M = m.c.m.(a, b).
Dalle definizioni di M CD e di m.c.m. segue, rispettivamente, che
a = dx , b = dy con M CD(x, y) = 1;
M = az = bw con M CD(z, w) = 1.
Da az = bw segue (dx)z = (dy)w da cui xz = yw e poichè x è primo con y si ha
che x divide w e anche che w divide x perchè w è primo con z e pertanto x = w
da cui segue anche z = y. Da a = dx e M = bw = bx si ottiene
M CD(a, b) · m.c.m.(a, b) = dM = dbx = dxb = ab.


Nota 1.5.11. La proprietà dimostrata nel teorema precedente


(1) permette di calcolare il minimo comune multiplo noto il massimo comune
divisore che, come visto, anche per grandi numeri si calcola facilmente con
l’algoritmo euclideo;
5. I NUMERI INTERI. LA DIVISIONE EUCLIDEA. MCD DI DUE INTERI. 24

(2) non vale se si considerano tre interi a, b, c ∈ Z∗ . Infatti, in generale, si ha


M CD(a, b, c) · mcm(a, b, c) 6= a · b · c.
Ad esempio se a = 6, b = 10, c = 42 si ha M CD(6, 10, 42) = 2,
m.c.m.(6, 10, 42) = 210 e risulta 2 · 210 6= 6 · 10 · 42.

L’identità di Bézout (dimostrata nel teorema 1.5.5) fornisce anche un metodo


per risolvere i sistemi di congruenze.

Teorema 1.5.12 (Teorema cinese del resto).


Siano a, b, c, d ∈ Z con M CD(a, b) = 1. La coppia di congruenze


x ≡ c mod a
x ≡ d mod b
ha una soluzione intera che è unica mod ab.
Dimostrazione. Poichè MCD(a, b) = 1, esistono due interi r ed s tali che
1 = ra + sb (identità di Bézout)
c − d = (c − d) · 1 = (c − d)ra + (c − d)sb.
Posto λ = (c − d)r e µ = (c − d)s, si ha c − d = λa + µb da cui c − λa = d + µb.
Posto x = c − λa = d + µb ∈ Z, risulta x ≡ c (mod a) e x ≡ d (mod b).
L’intero x è quindi una soluzione del sistema dato. Verifichiamo ora che x è
definito a meno di multipli di ab. Infatti se x̄ è un’altra soluzione, si ha
x − x̄ ≡ 0 (mod a) da cui x − x̄ = na
x − x̄ ≡ 0 (mod b) da cui x − x̄ = mb
per qualche m, n ∈ Z, e perciò na = mb. Poichè b è primo con a, l’intero b deve
dividere n ossia esiste k ∈ Z tale che n = kb e pertanto x − x̄ = na = kab. 

Esempio 1.5.13. Discutere e risolvere il sistema


x ≡ 3 mod 11
x ≡ 2 mod 6
Poichè M CD(11, 6) = 1, il sistema ha soluzione. Da 1 = (−1) · 11 + 2 · 6
ragionando come nella dimostrazione del teorema cinese del resto, si ha:
(3 − 2) = (3 − 2) · 1 = (3 − 2) · (−11) + (3 − 2) · 12, 3 − 2 = −11 + 12, 3 + 11 =
12 + 2 = 14.
Allora x = 14 è la soluzione del sistema dato, definita a meno di multipli di 66.
6. NUMERI PRIMI. IL TEOREMA FONDAMENTALE DELL’ARITMETICA. 25

Il teorema cinese può essere generalizzato al caso di n congruenze nel senso


seguente.

Corollario 1.5.14. Se m1 , m2 , ..., mn sono numeri interi a due a due primi


fra loro e se a1 , a2 , ..., an sono interi qualsiasi, allora il sistema di congruenze

 x ≡ a1 mod m1
···
x ≡ an mod mn

ammette soluzione. Inoltre se x e x̄ sono due soluzioni, allora x ≡ x̄ mod M con


M = m1 · m2 · ... · mn .

Nota Storica. Il precedente teorema è noto come Teorema cinese del resto
perchè nel I ◦ (o III ◦ ?) sec. d. C. lo scrittore-matematico cinese Sun-Tse pose il
seguente quesito che fu in seguito ripubblicato in un libro del 1247 scritto da Qin
Jiushao.
Quale numero diviso per 3, per 5, per 7 dà come resti 2, 3, 2?
Il problema, in termini moderni, si può così riformulare :
Quale numero x (se esiste) soddisfa le relazioni

 x ≡ 2 mod 3
x ≡ 3 mod 5
x ≡ 2 mod 7

Nel testo cinese compaiono le soluzioni 23 e 758. Il Teorema e il corollario prece-


dente ci assicurano che le soluzioni sono infinite perchè sono tutti i numeri congrui
a 23 modulo 105, ad esempio 23, 128, 233, 338, 443, 548, 653, 758, . . . .

6. Numeri primi. Il teorema fondamentale dell’aritmetica.

Definizione 1.6.1. Un numero p ∈ Z∗ si dice primo se p 6= ±1 e p non ha


divisori propri.

Poichè in una scomposizione in fattori il segno meno 00 - 00 non influisce, per


convenzione quando si parla di numeri primi si intende numeri maggiori di 1.

I numeri primi hanno da sempre esercitato un grande 00 fascino 00 e fin dall’an-


tichità i matematici si sono interrogati sulla loro esistenza e come determinarli.
6. NUMERI PRIMI. IL TEOREMA FONDAMENTALE DELL’ARITMETICA. 26

Tuttora, pur con l’aiuto dei calcolatori, i problemi relativi ai numeri primi riman-
gono fra i più difficili da affrontare. Già nel libro IX degli Elementi di Euclide
viene riportato che i numeri primi sono infiniti.

Teorema 1.6.2 (Teorema di Euclide). Esistono infiniti numeri primi.


Dimostrazione. Se i numeri primi fossero in numero finito, siano p1 , p2 , ..., pn .
Consideriamo allora il numero P = p1 p2 ...pn + 1 . Per il teorema 1.5.1. gli interi
p1 , p2 , ..., pn non dividono P e pertanto il numero P deve essere un numero primo
e quindi dovrebbe coincidere con uno dei p1 , p2 , ..., pn e ciò è assurdo. 

Il teorema di Euclide assicura che i numeri primi sono infiniti; la loro distribu-
zione è però molto irregolare : lunghi intervalli senza numeri primi si alternano a
coppie di primi gemelli ossia del tipo p, p+2. Non si sa se esistono infinite coppie
di numeri gemelli, ma è noto che per ogni n ∈ N, n > 1 c’è almeno un numero
primo nell’intervallo [n, 2n−2] mentre Chebishev ha dimostrato che nell’intervallo
[n, 2n] esistono almeno due numeri primi.
Rimane tuttora aperta la Congettura di Goldbach secondo la quale in N∗
ogni numero pari maggiore di 3 è somma di due numeri primi mentre è stato
dimostrato che ogni numero dispari maggiore di 5 è somma di tre numeri primi.

Ancora dopo millenni, lo studio dei numeri primi è importante non solo per
il suo intrinseco valore teorico-matematico, ma per il ruolo fondamentale che i
numeri primi giocano in crittografia e, in particolare, per la loro applicazione nei
sistemi crittografici asimmetrici.

Il prossimo teorema assicura che ogni intero si può esprimere, e in modo unico,
come prodotto di numeri primi nel senso seguente. Per ogni intero a 6= 0, ±1
esistono numeri primi p1 , ..., pk tali che a = p1 · ... · pk e se p1 · ... · pk = q1 · ... · qs
con q1 , ..., qs numeri primi, allora s = k e dopo una opportuna permutazione dei
numeri primi si ha p1 = ±q1 , ..., pk = ±qk .

Teorema 1.6.3 (Teorema Fondamentale dell’aritmetica). Tutti i numeri in-


teri a ∈ Z − {0, −1, 1} hanno una fattorizzazione unica in prodotto di numeri
primi.
Dimostrazione. Esistenza: è sufficiente dimostrare il caso di a > 0; sia
dunque a 6= 0 e a ∈ Z+ − {1}. Procediamo per induzione su a. Se a = 2 il
teorema è vero perchè 2 è un numero primo. Supponiamo a > 2 . Se a è primo il
teorema è ovviamente vero. Se a non è primo esistono b, c ∈ Z tali che a = bc e
1 < b < a, 1 < c < a. Per l’ipotesi nduttiva, sia b che c sono prodotti di numeri
primi essendo entrambi maggiori di 1 e minori di a. Rimane pertanto dimostrato
6. NUMERI PRIMI. IL TEOREMA FONDAMENTALE DELL’ARITMETICA. 27

l’esistenza della fattorizzazione di a in prodotto di numeri primi. Analogamente


se a ∈ Z− − {−1}.
Unicità: supponiamo che a = p1 · ... · pn = q1 · ... · qs siano due fattorizzazioni
di a in prodotto di numeri primi. Procediamo per induzione su n. Se n = 1, si
ha p1 = q1 · ... · qs che implica s = 1 perchè p1 è primo. Supponiamo ora n > 1.
Allora p1 divide il prodotto q1 · ... · qs e quindi divide uno dei fattori, supponiamo
divida q1 . Poichè q1 è primo, si conclude che q1 = ±p1 . Semplificando si ottiene
0
p2 · ... · pn = ±q2 · ... · qs . Poichè l’elemento a = p2 · ... · pn è prodotto di un numero
di primi inferiore ad n, per l’ipotesi di induzione si ha che la sua fattorizzazione è
unica a meno di permutazione dei fattori, ossia s = n e q2 = ±p2 , ..., qs = ±pn . 

Teorema 1.6.4. Sia p un numero primo; per ogni x, y ∈ Z si ha


(x + y)p ≡ xp + y p (mod p)
Dimostrazione. Osserviamo che per ogni 0 < k < p, il numero p divide il
coefficiente binomiale  
p p!
= .
k k! (p − k)!
Pp−1 p p−k k
Poichè (x + y)p = xp + k=1 ( k x y ) + y p , il teorema vale perchè
dall’osservazione precedente segue che la sommatoria è un multiplo di p. 

Corollario 1.6.5. Sia p un numero primo; per ogni x, y ∈ Z e per ogni s ∈ N


si ha
s s s
(x + y)p ≡ xp + y p (mod p)
Dimostrazione. Ricordando che da a ≡ b (mod n) e c ≡ d (mod n) segue
s s−1
ac ≡ bd (mod n), poichè (x + y)p = ((x + y)p )p , dal teorema precedente, per
induzione su s segue la tesi. 

Teorema 1.6.6 (Piccolo Teorema di Fermat (1601-1665)). Sia p un numero


primo. Allora
ap ≡ a (mod p) per ogni numero intero a.
Dimostrazione. Per dimostrare il teorema supponiamo dapprima a ≥ 0 e
usiamo l’induzione. Se a = 0 è ovvio. Supponiamo l’asserto vero per a > 0 e
dimostriamo che vale per a + 1 ossia dimostriamo che (a + 1)p ≡ (a + 1) (mod p).
Per il teorema precedente è (a + 1)p ≡ ap + 1 (mod p), e poichè, per l’ipotesi
induttiva, è ap ≡ a (mod p), si conclude (a + 1)p ≡ (a + 1) (mod p).
Supponiamo ora a < 0. Per il teorema precedente si ha 0 ≡ 0p ≡ (a+(−a))p ≡
a + (−a)p (mod p), ma per quanto dimostrato sopra per gli interi positivi, essendo
p

−a > 0 si ha (−a)p ≡ −a (mod p) e pertanto 0 ≡ ap + (−a)p ≡ ap + (−a) ≡


ap − a (mod p); dunque rimane dimostrato l’asserto anche per a < 0. 
Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 28

Si osservi che già in questa breve esposizione, più volte si sono considerati
numeri interi coprimi fra loro. E’ quindi evidente l’importanza della funzione di
seguito definita.

Definizione 1.6.7. Sia φ la funzione in N∗ definita da φ(1) = 1 e, per ogni


n > 1, da φ(n) uguale al numero dei numeri naturali k coprimi con n e tali che
1 ≤ k < n. Questa funzione è nota come funzione di Eulero.

Il piccolo teorema di Fermat è un caso particolare del seguente teorema dovuto


ad Eulero (1707 − 1783).
Teorema 1.6.8 (Teorema di Eulero-Fermat). Siano a ed m due interi primi
fra loro e tali che a > 1, m > 1. Indicata con φ la funzione di Eulero, si ha che
aφ(m) ≡ 1 mod m.
Dimostrazione. Per la dimostrazione si rinvia al testo Aritmetica e Algebra
di D. Dikranjan e M. S. Lucido, pag. 77. 

7. Insiemi finiti e infiniti. Cardinalità.

Sono gli studi compiuti alla fine del XIX secolo che portano a formalizzare le
nozioni di insieme finito e di insieme infinito. Come prevedibile è la definizione di
insieme infinito quella che crea più difficoltà e che apre nuovi scenari nell’ambito
degli insiemi. Fra i matematici che più di altri si sono dedicati a questi studi,
figurano Cantor (1845-1918) e Dedekind (1831-1916).

Definizione 1.7.1. Un insieme A è finito se A è vuoto oppure esistono un


numero naturale n > 0 e una biezione f : {1, 2, ..., n} → A. In quest’ultimo caso
si dice che A ha cardinalità n e si scrive |A| = n; se A = ∅ si pone |∅| = 0.

Definizione 1.7.2. Un insieme A è


(1) infinito se A non è finito.
(2) infinito nel senso di Dedekind se esiste un’applicazione iniettiva
f : N → A.
(3) infinito nel senso di Cantor se esiste un’applicazione iniettiva ma
non suriettiva f : A → A (ossia una biezione di A in un suo sottoinsieme
proprio).
Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 29

In realtà, come mostra il seguente teorema, la definizione è una sola. La


diversità è solo nell’approccio e nel linguaggio con cui viene affrontato l’argomento.

Teorema 1.7.3. Per un insieme A le seguenti tre affermazioni sono equivalenti.


1. A è infinito.
2. A è infinito nel senso di Dedekind.
3. A è infinito nel senso di Cantor.

Dimostrazione. Per la dimostrazione si rinvia al testo Aritmetica e Algebra


di D. Dikranjan e M. S. Lucido, Liguori Editore, pag. 19. 

Nota 1.7.4. E’ importante sottolineare il fatto che il concetto di insieme in-


finito nel senso di Dedekind presume l’esistenza di N, mentre quello proposto da
Cantor non fa ricorso all’insieme dei numeri naturali.

Nella presente trattazione non entreremo nel dettaglio di una definizione rigo-
rosa del concetto di numero cardinale. Porremo attenzione a come si confrontano
i numeri cardinali |A| e |B| di due insiemi.

Definizione 1.7.5. Si dice che gli insiemi A e B sono equipotenti, ossia hanno
lo stesso numero di elementi e scriveremo |A| = |B|, se esiste una biezione A → B.
In generale: |A| ≤ |B| se esiste un’applicazione iniettiva A → B. Scriveremo
|A| < |B| se vale |A| ≤ |B| ma non vale |B| ≤ |A|.

Teorema 1.7.6 (Principio di Dirichelet (1805-1859)). Se A e B sono insiemi


finiti con |A| > |B|, allora non esiste nessuna applicazione iniettiva di A → B.
Dimostrazione. Siano n = |A|, m = |B|, m < n. Senza ledere in generalità
possiamo supporre A = {1, 2, ..., n} e B = {1, 2, ..., m}. Inoltre da m < n
segue m + 1 ≤ n. Essendo la restrizione di un’applicazione iniettiva ancora
un’applicazione iniettiva, possiamo supporre A = {1, 2, ..., m+1} e pertanto basta
dimostrare per induzione su m che non esiste un’applicazione iniettiva di A =
{1, 2, ..., m + 1} in B = {1, 2, ..., m}. Per m = 1 l’asserto è vero. Supponiamo che
sia vero per qualche m ∈ N e supponiamo per assurdo che esista un’applicazione
iniettiva f di A = {1, 2, ..., m + 2} in B = {1, 2, ..., m + 1}. Se m + 1 6∈ f (A),
esiste un’applicazione iniettiva {1, 2, ..., m + 2} → {1, 2, ..., m} che ristretta ad
{1, 2, ..., m + 1} contraddice l’ipotesi induttiva, pertanto esiste k ∈ A tale che
f (k) = m + 1. Sia g : A → A l’applicazione definita da
Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 30


 x se x ∈ A e x 6= k, m + 2
g(x) = m + 2 se x = k
 k se x = m + 2

Allora g è biettiva e h = f ◦ g : A → B è un’applicazione iniettiva con


h(m + 2) = m + 1. Pertanto la restrizione di h all’insieme {1, 2, ..., m + 1} è
un’applicazione iniettiva di {1, 2, ..., m + 1} in {1, 2, ..., m} e ciò è assurdo. 

Il seguente teorema di Cantor dimostra che |A| < |P (A)| qualunque sia l’insie-
me A 6= ∅. Grazie a questo teorema si dimostrò che il numero degli elementi
dell’insieme dei numeri naturali è strettamente inferiore del numero degli ele-
menti dell’insieme dei numeri reali. Infatti, come dimostra il teorema 1.7.14, si ha
R = |P (N)| e dunque risulta |N| < |R|.

Teorema 1.7.7 (Teorema di Cantor). Sia A un insieme non vuoto; non


esiste un’applicazione suriettiva f : A → P (A).
Dimostrazione. Supponiamo che esista un’applicazione f : A → P (A) su-
riettiva . Sia X = {x ∈ A | x 6∈ f (x)}. Allora, poichè X ∈ P (A), per la
suriettività di f esiste x0 ∈ A con f (x0 ) = X. Dimostriamo che per x0 non val-
gono nè x0 ∈ X , nè x0 6∈ X . Infatti se x0 ∈ X , allora x0 6∈ f (x0 ) = X per
la definizione di X e ciò è assurdo. Se x0 6∈ X allora x0 ∈ f (x0 ) = X e ciò è
assurdo. 

Anche i prossimi due teoremi sono fondamentali nella teoria della cardinalità,
in questa trattazione riportiamo solo gli enunciati rinviando al testo Aritmetica e
Algebra di D. Dikranjan e M. S. Lucido (pagg. 33-34) per la loro dimostrazione.

Teorema 1.7.8 ( Teorema di Cantor-Bernstein ). Siano S e T due insiemi


non vuoti. Se esistono S → T e T → S applicazioni iniettive, allora esiste anche
un’applicazione biettiva S → T .
La prima dimostrazione rigorosa di questo teorema fu data da Bernstein nel
1897.

Teorema 1.7.9 ( Teorema di Hartogs (1874-1943)). Siano S e T due insiemi


non vuoti. Allora esiste un’applicazione iniettiva S → T oppure un’applicazione
iniettiva T → S.
Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 31

Il Teorema di Hartogs assicura che per due insiemi S e T si ha |S| ≤ |T | oppure


|T | ≤ |S|. In altre parole, i numeri cardinali sono sempre confrontabili.
Il Teorema di Cantor- Bernstein assicura inoltre che, se si ha contemporanea-
mente |S| ≤ |T | e |T | ≤ |S| allora |S| = |T |.
Abbiamo dimostrato (Teorema di Cantor 1.7.7) che |A| < |P (A)|, questo
permette di trovare degli insiemi di cardinalità sempre più grandi.

Definizione 1.7.10. Un insieme A si dice numerabile se |A| = |N|, con N


insieme dei numeri naturali. Il numero cardinale infinito |N| si denota con ℵ0 e si
legge alef con zero.

Teorema 1.7.11. L’insieme N × N è numerabile.


Dimostrazione. Consideriamo l’applicazione f : N × N → N definita da
f (m, n) = 2m (2n + 1) − 1.
L’applicazione f è iniettiva; infatti supposto f (m, n) = f (r, s) si ha che se f (m, n)
è pari allora m = 0 = r e n = f (m, n)/2 = f (r, s)/2 = s; se f (m, n) è dispari
allora m ed n sono univocamente determinati da f (m, n) + 1. Inoltre f è suriettiva
perchè se a ∈ N è pari, allora a = f (0, a/2). Se a è dispari allora a + 1 = 2r q con
q−1 q−1 q−1
r ≥ 1, q ≥ 1, q dispari; sia n = e m = r. Si ha f (r, ) = 2r (2 · +
2 2 2
1) − 1 = 2r q − 1 = a. Dunque f è biettiva e |N × N| = |N| = ℵ0 . 

Teorema 1.7.12 (Teorema fondamentale di Cantor sul numerabile). L’u-


nione di un numero finito oppure di una infinità numerabile di insiemi finiti o
numerabili è un insieme di cardinalità non superiore al numerabile.
Dimostrazione. Poichè un insieme finito ha cardinalità minore di quella del
numerabile, basta dimostrare che l’unione H di una infinità numerabile di insiemi
numerabili H1 , H2 , ..., Hi , ... a due a due disgiunti ha la cardinalità del numerabile.
Supponiamo pertanto |Hi | = ℵ0 per ogni i ∈ N. Elenchiamo gli elementi di
ciascun Hi con una successione; per ogni i ∈ N poniamo Hi = ai1 , ai2 , ai3 , ..., aik , ....
Disponiamo gli elementi degli insiemi Hi incolonnandoli in base al secondo pedice
e ponendo nella riga r-esima gli elementi dell’insieme Hr . Chiamiamo diagonale
di indice j la successione formata da j elementi aj1 , a(j−1)2 , a(j−2)3 , ..., a1j (ossia
l’insieme dei j elementi axy tali che x + y = j + 1 ordinati secondo i valori crescenti
del secondo pedice).
H1 : a11 a12 a13 a14 ...a1k ...
H2 : a21 a22 a23 a24 ...a2k ...
H3 : a31 a32 a33 a34 ...a3k ...
H4 : a41 a42 a43 a44 ...a4k ...
Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 32

···
Hi : ai1 ai2 ai3 ai4 ...aik ...
··· S
Un qualunque elemento axy dell’insieme H = i∈N Hi appartiene ad una ed
una sola diagonale (quella di indice j = x + y − 1). Consideriamo l’applicazione
f : H → N definita da f (axy ) = 1 + 2 + ... + (j − 1) + y ( ossia all’elemento axy
facciamo corrispondere il numero naturale che si ottiene aggiungendo y al numero
complessivo degli elementi posti sulle diagonali di indice minore di j). Dimostriamo
che l’applicazione f è biunivoca. Poichè |Hi | = ℵ0 , certamente |H| ≥ ℵ0 e pertanto
per dimostrare che |H| = ℵ0 , basta dimostrare che f è iniettiva. Sia axy 6= azw ;
distinguiamo due casi.
1◦ caso: axy e azw appartengono alla stessa diagonale j.
Allora x + y = z + w = j + 1 e f (axy ) = 1 + 2 + ... + (j − 1) + y e f (azw ) =
1 + 2 + ... + (j − 1) + w. Se f (axy ) = f (azw ) allora y = w da cui segue anche x = z
(perchè x + y = z + w = j + 1) ossia axy = azw contro l’ipotesi.
2◦ caso: axy e azw appartengono a diagonali diverse.
Sia x + y = j + 1 e z + w = j1 + 1 con j 6= j1 . Supponiamo j1 > j; sia j1 = j + k
con k ∈ N∗ . Allora f (axy ) = 1+2+...+(j −1)+y e f (azw ) = 1+2+...+(j1 −1)+w.
Poichè x + y = j + 1 e x ≥ 1, si ha y ≤ j e pertanto f (axy ) ≤ 1 + 2 + ... + (j − 1) + j
mentre f (azw ) = 1 + 2 + ... + (j1 − 1) + w = 1 + 2 + ... + j + ... + (j + k − 1) + w >
1 + 2 + ... + j. Risulta dunque f (axy ) < f (azw ) da cui f (axy ) 6= f (azw ) e pertanto
f è iniettiva. 

Nota 1.7.13.
• Georg Cantor, fondatore della teoria degli insiemi, il 7 dicembre 1873
dimostrò che l’insieme dei numeri reali non è numerabile.
• La cardinalità dell’insieme R dei numeri reali è detta cardinalità del
continuo e si denota con C e come dimostrato nel teorema seguente, essa
coincide con la cardinalità dell’insieme P (N) delle parti di N.
• In generale si pone 2|A| = |2A | = |P (A)| con P (A) insieme delle parti di
A; per il teorema di Cantor (teorema 1.7.7) si ha sempre 2|A| > |A|.

Teorema 1.7.14. La cardinalità del continuo coincide con la cardinalità di


P (N).
Dimostrazione. Consideriamo la definizione dei numeri reali secondo Dede-
kind. Ogni numero reale r corrisponde ad una partizione Q = R1 ∪ R2 con la
proprietà x < y per ogni x ∈ R1 ed ogni y ∈ R2 (la coppia (R1 , R2 )) di insiemi di
numeri razionali è detta sezione di Dedekind. Poichè la partizione è completamente
determinata dall’insieme R1 , la corrispondenza r → R1 definisce un’applicazione
Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 33

iniettiva di R in P (Q). Poichè P (Q) è equipotente a P (N), rimane provato che


|R| ≤ |P (N)|. D’altra parte P (N) è equipotente all’insieme 2N delle applicazioni
N → {0, 1} ossia all’insieme delle successioni (an ) ad elementi in {0, 1}. Defi-
niamo un’applicazione f : 2N → R che ad (an ) fà corrispondere il numero reale
Σ∞n=1 an 2
−n
. Sia C il sottoinsieme di 2N delle successioni che sono definitivamente
costanti, ossia delle successioni per le quali esiste n0 tale che an è costante per tutti
gli n ≥ n0 . L’applicazione f ristretta al complemento C 0 di C in 2N è iniettiva e
quindi |C 0 | ≤ |R|. Poichè |2N | > |N| = |C|, si ha |C 0 | = |2N |. Poichè |C 0 | = |P (N)|
si ha |P (N)| ≤ |R|. Per Teorema di Cantor-Bernstein si conclude |R| = |P (N)|. 

8. Esercizi relativi al Capitolo 1

Esercizio 1.8.1.
Nell’insieme N dei numeri naturali si considerino i sottoinsiemi A e B sottoindi-
cati e si determinino A ∩ B, A ∪ B, A − B, B − A.
(1) A = {x ∈ N | x divide 12}, B = {y ∈ N | y divide 18}.
(2) A = {x ∈ N | 6 divide x}, B = {y ∈ N | y divide 50}.
(3) A = {x ∈ N | 6 divide x}, B = {y ∈ N | 8 divide y}.
Soluzione
(1) A ∩ B = {1, 2, 3, 6}, A ∪ B = {1, 2, 3, 4, 6, 9, 12, 18}, A − B = {4, 12},
B − A = {9, 18}.
(2) A ∩ B = ∅, A ∪ B = {x ∈ N | x divide 50 oppure x = 6h, h ∈ N},
A − B = A, B − A = B.
(3) A ∩ B = {x ∈ N | x = 24h, h ∈ N}, A ∪ B = {x ∈ N | x = 6h oppure x =
8h, h ∈ N}, A − B = {x ∈ N | x = 6h, h ∈ N, h 6= 2r , r ≥ 2}, B − A =
{x ∈ N | x = 8h, h 6= 3k, k ∈ N}.
Esercizio 1.8.2.
Siano A, B, C sottoinsiemi di un insieme S. Si dimostri che
(1) A = B se e solo se A ∩ B = A ∪ B.
(2) A ⊆ B ⊆ C se e solo se A ∪ B = B ∩ C.
Soluzione
(1) Se A = B è ovvio che A∩B = A∪B = A = B. Viceversa se A∩B = A∪B
allora per ogni x ∈ A si ha x ∈ A ∪ B e dunque x ∈ A ∩ B e pertanto
x ∈ B ossia A ⊆ B. Analogamente per ogni x ∈ B risulta x ∈ A e
pertanto B ⊆ A. Si conclude A = B.
(2) Si procede come per (1) esaminando i vari casi.
Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 34

Esercizio 1.8.3.
Si considerino due insiemi S e T e sia f un’applicazione di S in T . In ciascuno
dei casi seguenti, si stabilisca se f è un’applicazione iniettiva, suriettiva o biettiva.
Si indichi l’insieme delle controimmagini di ogni elemento t ∈ T . Nel caso in cui
f sia biettiva trovare l’applicazione inversa.
(1) S = R, T = {t ∈ R | t ≥ 0}, f (s) = s2 per ogni s ∈ S.
(2) S = T = {s ∈ R | s ≥ 0}, f (s) = s2 per ogni s ∈ S.
(3) S = T = Z, f (s) = s2 per ogni s ∈ S.
(4) S = T = Z, f (s) = 2s per ogni s ∈ S.
(5) S = T = R∗ , f (s) = 2s + 1 per ogni s ∈ S.
1
(6) S = T = R∗ , f (s) = per ogni s ∈ S.
s
1
(7) S = R∗ , T = R, f (s) = per ogni s ∈ S.
s
(8) S = R∗ , T = R∗+ , f (s) = |s| per ogni s ∈ S.
Soluzione

(1) f è suriettiva, f non è √ iniettiva, la controimmagine di t è f −1 (t) = ± t.
(2) f è biettiva, f −1 (s) = s. √
(3) f non è iniettiva, f non è suriettiva, se z ∈ f (Z) allora f −1 (z) = ± z.
(4) f è iniettiva, f non è suriettiva, se z ∈ f (Z) allora f −1 (z) = z2 .
(5) f è iniettiva, f non è suriettiva, se r ∈ f (R∗ ) allora f −1 (r) = r−12
.
−1 1
(6) f è biettiva, f (r) = r .
(7) f è iniettiva, f non è suriettiva, se r ∈ f (R∗ ) allora f −1 (r) = 1r .
(8) f è suriettiva, f non è iniettiva, la controimmagine di r è f −1 (r) = ±r.

Esercizio 1.8.4.
Si considerino le applicazioni f e g di Q in Q definite da f (x) = x2 − 1 per ogni
1
x ∈ Q, g(y) = per ogni y ∈ Q, y 6= 0 e g(0) = 0. Si descrivano le applicazioni
y
f, g, f ◦ g, g ◦ f precisando se sono iniettive, suriettive o biettive.
Soluzione
• f non è iniettiva, non è suriettiva.
• g è biettiva e g −1 = g.
• f ◦ g(x) = f (g(x)) = f ( x1 ) = x12 − 1 per x 6= 0 e f ◦ g(0) = f (g(0)) =
f (0) = −1. L’applicazione non è iniettiva, non è suriettiva.
• g ◦ f (x) = g(f (x)) = g(x2 − 1) = x21−1 per x 6= ±1 e g ◦ f (1) = g(f (−1)) =
g(0) = 0. L’applicazione non è iniettiva, non è suriettiva.

Esercizio 1.8.5.
Sia < una relazione definita nell’insieme S. In ciascuno dei casi sottoindicati
si stabilisca se < è di equivalenza e, qualora lo sia, si determinino le classi di
equivalenza.
Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 35

(1) S = N, a < b se e solo se a divide b.


(2) S = R+ , a < b se e solo se esiste n ∈ N tale che a = bn .
(3) S = N × N; (a, b) < (c, d) se e solo se a + d = c + b.
Soluzione
(1) < non è di equivalenza.
(2) < non è di equivalenza.
(3) < è di equivalenza. Le classi di equivalenza sono
[(0, n)] = {(x, n + x) | x ∈ N} e [(n, 0)] = {(x + n, x) | x ∈ N} al variare
di n in N.

Esercizio 1.8.6.
Dimostrare che le seguenti relazioni non sono di equivalenza. Verificare di quali
proprietà godono fra le proprietà riflessiva, simmetrica, transitiva, antisimmetrica.
(1) In Q si studi la relazione x < y se x + 3y = 12.
(2) In R+ si studi la relazione x < y se esiste un intero positivo n tale che
x = yn.
Soluzione
(1) Valgono la proprietà transitiva e la proprietà antisimmetrica. Non valgono
la proprietà riflessiva e la proprietà simmetrica.
(2) Valgono la proprietà riflessiva, la proprietà transitiva e la proprietà anti-
simmetrica. Non vale la proprietà simmetrica.

Esercizio 1.8.7.
Dimostrare che < è una relazione di equivalenza in A se e solo se valgono le
seguenti due proprietà:
1. a < a per ogni a ∈ A.
2. Se a < b, b < c allora c < a.
Soluzione - Se a < b allora, poichè per 1. si ha b < b, per 2. si ha che da a < b e
b < b segue b < a ossia vale la proprietà simmetrica. Dimostriamo che vale anche
la proprietà transitiva: sia a < b e b < c, allora per 2. si ha c < a e infine per la
proprietà simmetrica si ha a < c.

Esercizio 1.8.8.
Dimostrare che in N∗ la relazione n < m ⇔ n è divisibile per m, è una relazione
di ordine parziale.
Soluzione - Vale la proprietà riflessiva, infatti n < n per ogni n ∈ N essendo n
divisibile per se stesso. Vale la proprietà antisimmetrica, infatti se a < b e b < a
allora a = hb e b = ka con h, k ∈ N∗ e pertanto da a = hka segue h = k = 1 e
dunque a = b. Vale la proprietà transitiva, infatti se a < b e b < c si ha a = hb,
b = kc con h, k ∈ N∗ , da cui segue a = hkc e pertanto a < c.
Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 36

Esercizio 1.8.9.
Dimostrare che l’insieme Np dei numeri primi è numerabile.
Soluzione - Poichè Np ⊂ N si ha |Np | ≤ |N| = ℵ0 inoltre, come dimostrato nel
teorema 1.6.2., i numeri primi sono infiniti e pertanto si può costruire la biezione
f : Np → N definita ponendo 2 → 0, 3 → 1, 5 → 2, 7 → 3, 11 → 4, ...; f è iniettiva
per costruzione ed è anche suriettiva perchè comunque preso n ∈ N, essendo Np
infinito esiste p ∈ Np tale che f (p) = n.

Esercizio 1.8.10.
Dimostrare per induzione su n che la somma dei primi n numeri interi positivi è
n(n+1)
2
.
Soluzione - Per n = 2 la proprietà è verificata perchè 1+2 = 3 ed anche 2(2+1) 2
= 3.
n(n+1)
Supponiamo che sia 1 + 2 + ... + n = 2 e dimostriamo che la proprietà vale
per (n + 1).
Si ha 1 + 2 + ... + n + (n + 1) = n(n+1)
2
+ (n + 1) = n(n+1)+2(n+1)
2
= (n+1)(n+2)
2
=
(n+1)[(n+1)+1]
2
.

Esercizio 1.8.11.
n+1
Dimostrare per induzione su n che 1 + x + x2 + ... + xn = 1−x 1−x
.
(1+x)(1−x) 2
Soluzione - Per n = 1 la proprietà è verificata perchè 1 + x = 1−x
= 1−x1−x
.
Supponiamo che la proprietà sia vera per n e dimostriamo che vale per n + 1. Si
ha
n+1 n+1 n+1 −xn+2 n+2
1 + x + x2 + ... + xn + xn+1 = 1−x
1−x
+ xn+1 = 1−x +x 1−x
= 1−x
1−x
.

Esercizio 1.8.12.
L’insieme Z dei numeri interi relativi è numerabile.
Soluzione - Da |N+ | = |N− | = ℵ0 , poichè Z = N+ ∪ N− ∪ {0}, per il teorema
fondamentale sul numerabile (teorema 1.7.12) risulta |Z| = ℵ0 .

Esercizio 1.8.13.
L’insieme Z2 = Z × Z è numerabile.
Soluzione - Ad ogni coppia (a, b) associamo il numero naturale h = |a| + |b|
detto altezza della coppia. Indichiamo con Hh l’insieme delle coppie aventi altezza
h. Ogni elemento di Z × ZSappartiene ad esattamente un insieme Hh . Per come
definito Hh , risulta Z×Z = h∈N Hh ossia Z×Z è unione di una infinità numerabile
di insiemi finiti e pertanto per il teorema fondamentale sul numerabile (teorema
1.7.12) si ha |Z × Z| = ℵ0 .

Esercizio 1.8.14.
L’insieme Zn è numerabile.
Soluzione - Procediamo per induzione su n. Per n = 2 si ha Z2 numerabile come
Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 37

dimostrato nell’esercizio 1.8.15. Sia Zn−1 numerabile, allora le (n−1)-uple possono


essere messe in corrispondenza biunivoca con N : A1 , A2 , ..., Aj , ... . Se Aj =
(a1 , a2 , ..., an−1 ) definiamo l’applicazione f : Zn → Z2 che fa corrispondere alla
n-upla (a1 , a2 , ..., an−1 , s) la coppia (j, s). L’applicazione f è banalmente biettiva
e pertanto |Zn | = |Z2 | = ℵ0 .

Esercizio 1.8.15.
L’insieme Q dei numeri razionali è numerabile.
Soluzione 1 - L’insieme Q+ è in corrispondenza biunivoca con il sottoinsieme
Z2 formato dalle coppie (p, q) con p, q interi positivi. Q+ è pertanto numerabile
perchè è non finito ed è contenuto in un insieme numerabile. Ovviamente risulta
anche |Q− | = ℵ0 . Poichè Q = Q+ ∪ Q− ∪ {0}, per il teorema fondamentale sul
numerabile (teorema 1.7.12) risulta |Q| = ℵ0 .
Soluzione 2 - Si può portare una dimostrazione più diretta associando ad ogni
a
b
∈ Q il numero naturale h = |a| + |b| detto altezza di ab . Sia Hh l’insieme (finito)

degli elementi di Q aventi altezza h. Per S ogni h ∈ N è Hh un insieme finito e
Hh ∩ Hk = ∅ per h 6= k e pertanto Q = h∈N∗ Hh è numerabile perchè unione di
una infinità numerabile di insiemi finiti.

Esercizio 1.8.16.
Sia Z[x] l’insieme dei polinomi a coefficienti interi in una indeterminata x. Di-
mostrare che Z[x] è numerabile.
Soluzione - Per ogni n ∈ N sia Pn = {an xn + ... + a1 x + a0 | ai ∈ Z, an 6= 0}
l’insieme dei polinomi di Z[x] di grado n. Ad ogni polinomio di grado n facciamo
corrispondere la (n + 1)-upla (an , ...a1 , a0 ) dei suoi coefficienti. La corrisponden-
za così definita assicura che Pn è un sottoinsieme infinito di Zn+1 e quindi Pn è
numerabile perchè |Pn | ≤ |Zn+1 | = ℵ0 ( vedi esercizio 1.8.17). L’insieme Z[x] ri-
sulta pertanto l’unione di una infinità numerabile di insiemi numerabili a due a
due disgiunti e pertanto è numerabile per il teorema fondamentale sul numerabile
(teorema 1.7.12) : Z[x] = P0 ∪ P1 ∪ P2 ∪ ... ∪ Pn ∪ ....

Esercizio 1.8.17.
Provare che l’insieme di tutti i numeri reali è equipotente all’insieme dei numeri
reali positivi.
Soluzione - Basta verificare che esiste una biezione fra R ed R+ . Eccone alcune:
f1 : x → ex , f2 : x → 2ex , f3 : x → 2x , f4 : x → 3x .

Esercizio 1.8.18.
Dimostrare che ogni intervallo reale (a, b) è equipotente all’intervallo (0, 1).
Soluzione - Sia f : (0, 1) → (a, b) l’applicazione definita da f (x) = (b−a)x+a per
ogni x ∈ (0, 1). L’applicazione è iniettiva, infatti se f (x1 ) = f (x2 ) allora x1 = x2
Capitolo 1 Insiemi. Relazioni. Insiemi numerici 38

perchè da (b − a)x1 + a = (b − a)x2 + a segue x1 = x2 . L’applicazione è suriettiva,


infatti per ogni y ∈ (a, b) esiste x = y−a
b−a
∈ (0, 1) tale che f (x) = y.
Si noti che dal punto di vista geometrico, quanto dimostrato significa che gli
insiemi che hanno per elementi i punti di due qualsiasi segmenti sono equipotenti.
Ad esempio l’insieme dei punti del segmento AB è equipotente all’insieme dei punti
del segmento AM = AB 2
.
CAPITOLO 2

Gruppi

Con questo capitolo inizia lo studio delle strutture algebriche. Lo studio del-
le strutture algebriche permette di 00 vedere 00 da un punto di vista superiore e
generale gli ambienti matematici che si incontrano ma che il più delle volte sono
trattati solo in casi particolari ed è per questo che le strutture algebriche nascono
dall’osservazione di analogie tra oggetti matematici apparentemente molto diversi
fra loro.
La struttura algebrica che verrà studiata è quella di gruppo che è parte costi-
tutiva fondamentale dell’algebra. Quella di gruppo è una struttura con una sola
operazione, si descrive formalmente in modo semplice e il suo studio permette di
affrontare in modo chiaro i concetti algebrici fondamentali per tutte le strutture
algebriche, quali quelli di omomorfismo, automorfismo e quoziente.

1. Strutture algebriche. Proprietà elementari dei gruppi.

Per lo studio delle strutture algebriche è fondamentale il concetto di operazione.

Definizione 2.1.1. Dato un insieme A 6= ∅, un’applicazione ~ : A × A → A


è detta operazione (binaria) su A.

Se a e b sono elementi di A, l’immagine tramite ~ della coppia (a, b) si indica


con a ~ b. Per indicare le operazioni useremo di solito i simboli 00 ·00 e 00 +00 e usere-
mo l’usuale notazione moltiplicativa nel primo caso e l’usuale notazione additiva
nel secondo caso. D’ora in poi, se non specificato diversamente, useremo 00 ·00 e
scriveremo semplicemente ab al posto di a · b.

Nota 2.1.2. Delle tradizionali quattro 00 operazioni 00 dell’aritmetica dei numeri


naturali solo due, l’addizione e la moltiplicazione, sono delle operazioni secondo
la definizione 2.1.1, mentre non risultano operazioni la sottrazione e la divisione.
L’elevamento a potenza (x, y) → xy non è una operazione in N mentre lo è in N ∗
(si ricordi che 00 è forma indeterminata).
39
Capitolo 2 Gruppi 40

Si osservi che la definizione di operazione prescinde dalla natura degli elemen-


ti di A che pertanto vengono considerati simboli suscettibili di assumere i più
svariati significati concreti e prescinde anche dal significato concreto della opera-
zione; inoltre la definizione evidenzia che nello stesso insieme si possono definire
più operazioni.
Perchè è così importante prescindere dalla natura degli elementi dell’insieme e
dal significato concreto dell’operazione?
Per rispondere consideriamo l’insieme Z dei numeri interi e in esso l’usuale opera-
zione 00 +00 di addizione. Consideriamo ora le rotazioni di un quadrato, intorno al
suo centro, di ampiezza 90◦ , 180◦ , 270◦ , 360◦ (in senso orario) e indichiamo queste,
rispettivamente, con α, β, γ, δ. Nell’insieme T = {α, β, γ, δ} definiamo l’ope-
razione 00 ⊗00 ponendo x ⊗ y = z se z è la rotazione che si ottiene eseguendo
successivamente le due rotazioni x e y . Così, ad esempio, α ⊗ α = β perchè
ruotando il quadrato di 90◦ e poi ancora di 90◦ si ottiene una rotazione di 180◦ .
E’ immediato verificare che le operazioni 00 +00 e 00 ⊗00 considerate rispettivamente
in Z e T verificano le seguenti proprietà:

(Z, +) (T, ⊗)

1. a + (b + c) = (a + b) + c 1. x ⊗ (y ⊗ z) = (x ⊗ y) ⊗ z
per ogni a, b, c ∈ Z per ogni x, y, z ∈ T

2. a + 0 = 0 + a = a 2. x ⊗ δ = δ ⊗ x = x
per ogni a ∈ Z per ogni x ∈ T

3. per ogni a ∈ Z 3. per ogni x ∈ T


esiste −a ∈ Z tale che esiste −x ∈ T tale che
a + (−a) = (−a) + a = 0 x ⊗ (−x) = (−x) ⊗ x = δ

I due esempi considerati mostrano che:


(1) lo studio di (Z, +) presenta notevoli analogie con lo studio di (T, ⊗) ;
(2) se si ha l’esigenza di operare in un ambiente in cui è sufficiente che vi
sia una operazione con le proprietà 1., 2., 3., allora è del tutto ininfluente
considerare (Z, +) o (T, ⊗).

A prescindere dalla loro natura, tra gli elementi di un insieme esistono delle
relazioni definite a partire solo da proprietà formali.
Nella matematica moderna, considerare un insieme unitamente ad una o più
operazioni in esso definite, significa considerare una struttura algebrica.
Capitolo 2 Gruppi 41

Lo studio delle strutture algebriche formali è ciò che differenzia l’algebra 00 elementare00
studiata alle scuole superiori dall’algebra astratta studiata all’università. Con ri-
ferimento ai due esempi precedenti, si può dire che l’algebra elementare studia
separatamente le proprietà della addizione in Z e le proprietà delle rotazioni di un
quadrato; l’algebra astratta studia una unica struttura algebrica di cui (Z, +) e
(T, ⊗) sono esempi particolari.

Definizione 2.1.3. Sia G 6= ∅ e sia data in G una operazione binaria:


G × G −→ G
(a, b) 7−→ a · b
Si dice che (G, ·) è un gruppo se valgono le seguenti proprietà:
(1) a · (b · c) = (a · b) · c per ogni a, b, c ∈ G (proprietà associativa);
(2) esiste u ∈ G tale che a · u = u · a = a per ogni a ∈ G (u è detto elemento
unità e di norma verrà indicato con 1);
(3) esiste ed è unico a−1 ∈ G tale che a · a−1 = a−1 · a = u per ogni a ∈ G
(a−1 è detto l’inverso dell’elemento a).

Definizione 2.1.4. Se l’operazione del gruppo è indicata con la notazione “+”


additiva, allora
• l’elemento neutro si usa indicarlo con lo zero: a + 0 = 0 + a = a per ogni
a ∈ G;
• l’elemento inverso di a si chiama opposto di a e si indica con 00 − a 00 :
a + (−a) = (−a) + a = 0 per ogni a ∈ G;
• per indicare la somma x + (−y) si usa anche scrivere x − y.

Definizione 2.1.5.
• Se nel gruppo (G, ·) l’operazione gode della proprietà commutativa, ossia
a · b = b · a per ogni a, b ∈ G, allora (G, ·) è detto gruppo abeliano o
commutativo.
• Un gruppo (G, ·) con un numero finito n di elementi si dice di ordine n.

Esempio 2.1.6.
(1) Dato l’insieme G = N \ {0}, e l’operazione a · b = ab , (G, ·) non è un
c
gruppo perché non vale la proprietà associativa: a(bc) = a(bc ) = ab
mentre (ab)c = ab c = (ab )c = abc .
(2) (R∗ , ·) è un gruppo.
(3) (Z, +) è un gruppo additivo abeliano.
(4) (N, +) non è un gruppo.
Capitolo 2 Gruppi 42

(5) (Q, +), (Q∗ , ·) sono gruppi.


(6) (Q, ·) non è un gruppo.

Nota 2.1.7. (Z, ·) non è un gruppo perché valgono le proprietà (1) e (2) della
definizione di gruppo ma non vale la proprietà (3). Questo assicura che l’assioma
(3) della definizione di gruppo non dipende da (1) e (2).

Nota 2.1.8. Esistono gruppi di ogni ordine. Nel proseguo della trattazione
verranno portati esempi sia di gruppi infiniti sia di gruppi con un numero finito n
di elementi per ogni n ∈ N∗ .

Nota 2.1.9.
• Non condradditorietà degli assiomi. Quando si definisce una strut-
tura algebrica, è importante verificare che gli assiomi presenti nella defini-
zione siano fra loro compatibili ossia non contradditori. La non contraddi-
torietà di una assiomatica si prova dimostrando l’esistenza di un modello
che verifica tutti gli assiomi.

• Indipendenza degli assiomi.


E’ meno importante della non contradditorietà ma non trascurabile: nelle
definizioni si deve cercare di mettere solo gli assiomi che sono indipendenti
tra loro.

Teorema 2.1.10. Sia (G, ·) un gruppo con elemento neutro u. Si ha che:


(1) l’elemento neutro è unico;
(2) l’elemento inverso è unico;
(3) (a−1 )−1 = a per ogni a ∈ G.
Dimostrazione. (1) - Supponiamo che, oltre all’elemento u, esista anche v ∈
G tale che va = av = a, per ogni a ∈ G; dimostriamo che allora v = u.
v · u = v per (2) della definizione di gruppo;
v · u = u per l’ipotesi su v.
Dal confronto delle ugualianze segue v = u. 
Dimostrazione. (2) - Sia a ∈ G, supponiamo che oltre ad a−1 esista anche
ā ∈ G tale che aā = āa = u. Allora:

¯ a−1 = ā aa−1 = āu = ā



(aa)

¯ a−1 = ua−1 = a−1


(aa)
da cui ā = a−1 . 
Capitolo 2 Gruppi 43

Dimostrazione. (3) - Risulta


a−1 · (a−1 )−1 = u ma anche a−1 · a = u
dal confronto delle ugualianze si deduce che (a−1 )−1 = a 

Teorema 2.1.11. Sia (G, ·) un gruppo con elemento neutro u. Per ogni
a, b ∈ G si ha (ab)−1 = b−1 a−1 .
Dimostrazione. Risulta
(ab)−1 (ab)b−1 = ub−1 = b−1
(ab)−1 (ab)b−1 = (ab)−1 a(bb−1 ) = (ab)−1 au = (ab)−1 a
dal confronto delle ugualianze si ha b−1 = (ab)−1 a e pertanto b−1 a−1 = (ab)−1 . 

Il teorema ora dimostrato si generalizza al seguente.

Teorema 2.1.12. Sia (G, ·) un gruppo. Comunque presi a1 , a2 , . . . , an ∈ G


si ha:
(a1 a2 . . . an )−1 = a−1 −1 −1 −1
n an−1 . . . a2 a1 .

Dimostrazione. La dimostrazione si effettua per induzione su n. Per n =


2 l’assero è vero per il teorema precedente. Supponiamo sia verificato per n e
dimostriamo che vale per n + 1.

(a1 a2 . . . an an+1 )−1 = [(a1 a2 . . . an )an+1 ]−1 = a−1


n+1 · (a1 a2 . . . an )
−1
=
= a−1 −1 −1 −1
n+1 an . . . a2 a1 .

Corollario 2.1.13. Se (G, ·) è un gruppo abeliano allora:

(ab)−1 = a−1 b−1 e (a1 a2 . . . an )−1 = a−1 −1 −1


1 a2 . . . an .

Tabella di moltiplicazione di un gruppo finito G.


Se (G, ·) è un gruppo finito allora è possibile rappresentare l’operazione che lo
definisce mediante una matrice-tabella nel modo sottoriportato. Questa matrice
viene detta tabella di moltiplicazione del gruppo. Se G = {g1 , g2 , g3 , ..., gn }, la ta-
bella si costruisce ponendo gij = gj · gi (applico prima gi poi gj ).
Capitolo 2 Gruppi 44

· g1 g2 g3 ··· gn
g1 g11 g12 g13 ··· g1n
g2 g21 g22 g23 ··· g2n
g3 g31 g32 g33 ··· g3n
.. .. .. .. .. ..
. . . . . .
.. .. .. .. .. ..
. . . . . .
gn gn1 gn2 gn3 ··· gnn

Nota 2.1.14. Nel caso finito la tabella di un’operazione binaria su G è uno


strumento molto efficace per 00 vedere 00 immediatamente se l’operazione definisce
oppure no un gruppo e anche se valgono alcune proprietà.
• Se l’operazione definisce un gruppo allora necessariamente su ogni riga e
ogni colonna figurano una ed una sola volta tutti gli elementi di G.
• Si desume facilmente l’esistenza oppure no dell’elemento neutro.
• L’operazione gode della proprietà commutativa se e solo se la tabella è
simmetrica rispetto alla diagonale principale.
• Dalla tabella non si può dedurre immediatamente se vale oppure no la
proprietà associativa, per questa proprietà occorre fare i calcoli o dimo-
strarla.

Esercizio 2.1.15.
Scrivere la tabella moltiplicativa del gruppo S3 di tutte le permutazioni su tre ele-
menti rispetto all’operazione di prodotto operatorio.
Soluzione - Sia N = {1, 2, 3}; gli elementi di S3 sono:
     
1 2 3 1 2 3 1 2 3
a1 = , a2 = , a3 =
1 2 3 1 3 2 3 2 1
     
1 2 3 1 2 3 1 2 3
a4 = , a5 = , a6 = .
2 1 3 2 3 1 3 1 2

Posto aij = aj (ai (x)),


◦ a1 a2 a3 a4 a5 a6
a1 a1 a2 a3 a4 a5 a6
a2 a2 a1 a6 a5 a4 a3
la tabella di moltiplicazione é: a3 a3 a5 a1 a6 a2 a4
a4 a4 a6 a5 a1 a3 a2
a5 a5 a3 a4 a2 a6 a1
a6 a6 a4 a2 a3 a1 a5
Capitolo 2 Gruppi 45

Nota 2.1.16. Il prossimo teorema assicura che nella definizione di gruppo


• l’assioma (2) può essere sostituito da 00 esiste u ∈ G tale che a · u = a per
ogni a ∈ G 00 ;
• l’assioma (3) può essere sostituito da 00 esiste a−1 ∈ G tale che a · a−1 = u
per ogni a ∈ G 00 .
Occorre però fare molta attenzione all’ordine con cui si scrivono gli elementi perchè
• (G, ·) non è un gruppo se:
(1) a · (b · c) = (a · b) · c, per ogni a, b, c ∈ G;
(2) a · u = a, per ogni a ∈ G;
(3) a−1 · a = u, per ogni a ∈ G.

Teorema 2.1.17. Sia G 6= ∅ e 00 ·00 un’operazione in G tale che:


(1) (a · b) · c = a · (b · c), per ogni a, b, c ∈ G;
(2) esiste u ∈ G tale che a · u = a, per ogni a ∈ G;
(3) esiste a−1 ∈ G tale che a · a−1 = u, per ogni a ∈ G;
allora (G, ·) è un gruppo.
Dimostrazione. Basta provare che u · a = a e a−1 · a = u per ogni a ∈ G.
Poichè per ipotesi a−1 · (a−1 )−1 = u, si ha :
a−1 · a = (a−1 · a) · u
= (a−1 · a) · [a−1 · (a−1 )−1 ]
= a−1 · (a · a−1 ) · (a−1 )−1
= a−1 · u · (a−1 )−1
= a−1 · (a−1 )−1
= u
Inoltre si ha :
u·a = (a · a−1 ) · a
= a · (a−1 · a)
= a·u
= a


Teorema 2.1.18. Sia (G, ·) un gruppo; comunque presi a, b ∈ G esiste uno


ed uno solo x ∈ G tale che a·x = b ed esiste uno ed un solo y ∈ G tale che y ·a = b.
Capitolo 2 Gruppi 46

Dimostrazione. Dati a, b ∈ G se esiste x ∈ G tale che a · x = b possiamo


scrivere
a−1 · (a · x) = a−1 · b
(a−1 · a) · x = a−1 · b
u · x = a−1 · b
x = a−1 · b
ossia rimane determinato in modo unico l’elemento x. Ma dati a, b ∈ G, l’elemento
a−1 · b ∈ G esiste e verifica a · x = b, infatti
a · (a−1 · b) = (a · a−1 ) · b = b .
Dunque dati a, b ∈ G esiste ed è unico l’elemento x ∈ G tale che a · x = b, anzi
possiamo dire che risulta
x = a−1 b
Quella data è pertanto una dimostrazione costruttiva.
Analogamente, supponiamo esista y ∈ G tale che y · a = b; allora y = ba−1 . Ma
dati a, b ∈ G l’elemento b−1 a in G esiste e verifica y · a = b infatti
(b · a−1 ) · a = b · (a−1 · a) = b
Dunque esiste ed è unico in G l’elemento y tale che
y·a=b


Nota 2.1.19. Nella dimostrazione del teorema


• l’unicità segue dall’esistenza;
• se il gruppo G è commutativo allora risulta x = y.

Le proprietà del teorema precedente sono caratteristiche di un gruppo, ossia


vale il seguente teorema.

Teorema 2.1.20. Sia G 6= ∅ e 00 ·00 un’operazione in G tale che:


(1) a · (b · c) = (a · b) · c per ogni a, b, c ∈ G;
(2) esiste x ∈ G tale che a · x = b per ogni a, b ∈ G;
(3) esiste y ∈ G, tale che y · a = b per ogni a, b ∈ G;
allora (G, ·) è un gruppo.
Dimostrazione. Preso a ∈ G, per (2) esiste u ∈ G tale che a · u = a.
Considerato un qualunque b ∈ G, esiste y ∈ G tale che y · a = b. Risulta
b · u = (y · a) · u = y · (a · u) = y · a = b
Capitolo 2 Gruppi 47

e pertanto u ∈ G è tale che b · u = b per ogni b ∈ G (esiste l’elemento neutro).


Infine per ogni a ∈ G esiste ed è unico a−1 ∈ G tale che
a · a−1 = u
infatti da (2) segue che a · x = u ha una ed una sola soluzione.
Per il teorema 2.1.17 rimane provato che (G, ·) è un gruppo. 

Il seguente corollario evidenzia due implicazioni dette leggi di cancellazione.

Corollario 2.1.21. Sia (G, ·) un gruppo; per ogni a, b, c ∈ G si ha che:


a · b = a · c =⇒ b = c
b · a = c · a =⇒ b = c
Dimostrazione. Sia d = a · b = a · c, poichè in un gruppo a · x = d ha una
e una sola soluzione, deve essere b = c. Sia d = b · a = c · a, poichè in un gruppo
y · a = d ha una e una sola soluzione, deve essere b = c. 

Teorema 2.1.22. Sia G 6= ∅ un insieme finito. In G sia definita un’opera-


zione 00 · 00 che goda della proprietà associativa e per la quale valgano entrambe le
leggi di cancellazione. Allora (G, ·) è un gruppo.
Dimostrazione. Iniziamo con il dimostrare che, poichè valgono le leggi di
cancellazione, si ha che per ogni g1 , g2 , a ∈ G risulta g1 a 6= g2 a se e solo se
g1 6= g2 . Infatti: sia g1 6= g2 ; se fosse g1 a = g2 a per le leggi di cancellazione si
avrebbe g1 = g2 contro l’ipotesi. Viceversa se g1 a 6= g2 a , poichè valgono le leggi
di cancellazione, si ha g1 6= g2 .
Fissato a ∈ G, essendo G finito e per quanto dimostrato sopra, si ha |G| = |aG| =
|Ga| ossia G = aG = Ga e perciò per ogni a, b ∈ G valgono
(1) esiste x ∈ G tale che ax = b;
(2) esiste y ∈ G tale che ya = b;
e quindi per il teorema 2.1.19 si ha che (G, ·) è un gruppo. 

Nota 2.1.23. Come mostra l’esempio seguente il fatto che in un insieme (G, ·)
valga la proprietà associativa e valgano le due leggi di cancellazione non assicura
che (G, ·) sia un gruppo, occorre l’ipotesi che G sia finito.

Esempio 2.1.24.
In (N∗ , ·) valgono:
(1) Proprietà associativa;
(2) n · x = n · y =⇒ x = y;
Capitolo 2 Gruppi 48

(3) x · n = y · n =⇒ x = y.
ma (N∗ , ·) non è un gruppo perché se n 6= 1 non esiste in N∗ l’elemento inverso.

La struttura algebrica di gruppo permette di definire il multiplo e la potenza


di un elemento.

Definizione 2.1.25. Sia (G, ·) un gruppo in cui l’operazione è quella moltipli-


cativa. Si definiscono le potenze di x ∈ G ad esponente m ∈ Z ponendo:
x0 = u
x1 = x
..
.
xm = |x · x {z
· . . . · x} per m > 1
m volte

x−1 = inverso di x
x−2 = x−1 · x−1
..
.
x−m = |x−1 · x−1{z· . . . · x−1} per m > 1
m volte

Teorema 2.1.26. In un gruppo (G, ·) valgono le seguenti proprietà:

xm xn = xm+n = xn xm , (xm )n = xmn = (xn )m


e nel caso di (G, ·) abeliano vale anche:

(xy)m = xm y m
Dimostrazione. Seguono dalla definizione di potenza e dal fatto che in un
gruppo vale la proprietà associativa. 

Riformuliamo in notazione additiva la definizione 2.1.25 e il teorema 2.1.26.

Definizione 2.1.27. Sia (G, +) un gruppo in cui l’operazione è quella additiva.


Si definiscono i multipli mx di x ∈ G secondo un intero m ∈ Z, ponendo:
Capitolo 2 Gruppi 49

0·a= 0
1·a= a
2·a= a+a
..
.
m·a= a
|+a+
{z. . . + a} per m > 1
m volte

(−1) · a = −a
(−2) · a = −a − a
..
.
(−m) · a = −a
| − a {z
− . . . − a} per m > 1
m volte

Teorema 2.1.28. In un gruppo (G, +) valgono le proprietà:


ma + na = (m + n)a , n(ma) = (nm)a
Dimostrazione. Seguono dalla definizione di multiplo e dalla proprietà as-
sociativa. 

Definizione 2.1.29. Sia (G, ·) un gruppo con elemento neutro u. Sia a ∈ G,


si dice che a ha periodo (o ordine) finito n se n è il più piccolo intero positivo
tale che an = u. Si dice che a non ha periodo finito se è an 6= u per ogni n ∈ N∗ .
Se la notazione del gruppo è quella additiva si dice che a ha periodo (o ordine)
finito n se n è il più piccolo intero positivo tale che n · a = a
|+a+ {z· · · + a} = 0.
n volte
Per indicare che a ha periodo n si usa scrivere o(a) = n.

Osserviamo che in un gruppo l’unico elemento di periodo 1 è l’elemento neutro.

Esercizio 2.1.30.
Dimostrare che se tutti gli elementi di un gruppo (G, ·) hanno periodo 2 allora G
è abeliano.
Soluzione - Notiamo anzittutto che se a ∈ G ha periodo 2, significa che a = a−1 .
Comunque presi a, b ∈ G si ha ab ∈ G con o(ab) = 2 ossia (ab)2 = 1; poichè
a = a−1 e b = b−1 risulta ab = (ab)−1 = b−1 a−1 = ba.
Capitolo 2 Gruppi 50

2. Esempi di gruppi fondamentali

Esempio 2.2.1. Gruppo Quadrinomio o trirettangolo.


Sia G l’insieme delle isometrie di un rettangolo non quadrato (movimenti del
rettangolo in sè). G è un gruppo rispetto al prodotto operatorio. In (G, ◦) valgono
le seguenti proprietà:
(1) G ha ordine 4. Sia G = {1, a, b, c} con 1 elemento neutro.
(2) Ogni elemento di G diverso dall’elemento neutro coincide con il proprio
inverso: a2 = b2 = c2 = 1.
(3) G è abeliano.
(4) La tabella di moltiplicazione del gruppo è la seguente:
◦ 1 a b c
1 1 a b c
a a 1 c b
b b c 1 a
c c b a 1
Considerando il rettangolo di figura, gli elementi del gruppo sono:

   
A B C D A B C D
1= , a= ,
A B C D D C B A
   
A B C D A B C D
b= , c= .
B A D C C D A B

A B

D C

Esempio 2.2.2. Gruppo delle rotazioni.


Sia n un numero naturale con n ≥ 3. Sia G l’insieme delle rotazioni di ampiezza
2πk
, k = 1, ..., n intorno al centro del poligono regolare di n lati. Rispetto alla
n
operazione di composizione, la coppia (G, ◦) è un gruppo. Se indichiamo con a la

rotazione di ampiezza , allora risulta:
n
• gli elementi del gruppo sono tutte e sole le potenze di a: G = {a, a2 , a3 , ..., an };
• G è abeliano;
• |G| = n.
Capitolo 2 Gruppi 51

Esempio 2.2.3. Gruppo addittivo delle Classi resto modulo n.


Fissato n ∈ N∗ , nell’insieme Z degli interi rimane determinata la relazione di
congruenza
a ≡ b (mod n) ⇔ a − b = hn con h ∈ Z.
La relazione di congruenza è una relazione di equivalenza, sia Zn l’insieme delle
classi di equivalenza. In Zn definiamo la seguente operazione di somma:
[a] + [b] = [a + b] per ogni [a], [b] ∈ Zn .
La definizione data è una buona definizione, ossia non dipende dal rappresentante
della classe scelto, ossia se [a] = [ā] e [b] = [b̄] allora [a + b] = [ā + b̄]. Infatti da
[a] = [ā] e [b] = [b̄] si ha a − ā = hn e b − b̄ = kn, allora sommando membro
a membro e ricordando che in Z valgono la proprietà associativa e la proprietà
commutativa, si ottiene (a + b) − (ā + b̄) = (h + k)n e pertanto (a + b) ≡ (ā + b̄)
(mod n), ossia [a + b] = [ā + b̄].
La coppia (Zn , +) è un gruppo abeliano. Infatti, tenendo presente le proprietà di
(Z, +), è immediato provare che
• in (Zn , +) vale la proprietà associativa;
• [0] è elemento neutro;
• se [a] ∈ Zn allora in Zn esiste l’elemento opposto dato da [−a];
• [a] + [b] = [b] + [a] per ogni a, b ∈ Zn ;
• |Zn | = n.

Esempio 2.2.4. Gruppo moltiplicativo delle Classi resto modulo p,


p primo.
Fissato p ∈ N, p primo, nell’insieme Z degli interi rimane determinata la
relazione di congruenza
a ≡ b (mod p) ⇔ a − b = hp con h ∈ Z.
La relazione di congruenza è una relazione di equivalenza, sia Zp l’insieme delle
classi di equivalenza. In Z∗p = Zp − {[0]} definiamo la seguente operazione di
prodotto:
[a] · [b] = [a · b] per ogni [a], [b] ∈ Z∗p .
La definizione data è una buona definizione, ossia non dipende dal rappresentante
della classe scelto, ossia se [a] = [ā] e [b] = [b̄] allora [a · b] = [ā · b̄]. Infatti da
[a] = [ā] e [b] = [b̄] si ha ab−āb = hbp e āb−āb̄ = ākp, allora sommando membro
a membro e ricordando le proprietà che valgono in Z, si ottiene ab−āb̄ = (hb+āk)p
e pertanto ab ≡ āb̄ (mod p), ossia [ab] = [āb̄].
La coppia (Z∗p , ·) è un gruppo abeliano finito con |Z∗p | = p − 1. Infatti, tenendo
presente le proprietà dell’insieme dei numeri interi, è immediato provare che
• in (Z∗p ) vale la proprietà associativa;
• [1] è elemento neutro;
Capitolo 2 Gruppi 52

• in Z∗p ogni elemento ha l’inverso;


• [a] · [b] = [b] · [a] per ogni a, b ∈ Z∗p ;
• |Z∗p | = p − 1.

Dimostriamo, ad esempio, che ogni elemento di Z∗p ha l’inverso. Sia [n] ∈ Z∗p ,
0 < n < p, consideriamo i (p − 1) prodotti [n][m] al variare di [m] ∈ Z∗p ; questi
prodotti sono tutti distinti perchè se fosse [n][m] = [n][m0 ] allora si avrebbe
[nm] = [nm0 ] da cui nm − nm0 = hp, n(m − m0 ) = hp e poichè p - n perchè
n < p, deve essere p|(m − m0 ) ossia m − m0 = kp e pertanto m ≡ m0 (mod p)
e dunque [m] = [m0 ]. Ciò significa che, fissato [n], i prodotti [n][m] esauriscono
tutti gli elementi di Z∗p e perciò esiste [n̄] tale che [n][n̄] = [1] e vale anche
[n̄][n] = [1].

E’ importante sottolineare che (Z∗n , ·) è un gruppo se e solo se n è un


numero primo. Ad esempio, (Z∗6 , ·) non è un gruppo perchè, per esempio, [2]·[3] =
[0] 6∈ Z∗6 , oppure [2] · [2] = [4] e anche [2] · [5] = [4] e ciò è assurdo.

Esempio 2.2.5. Gruppo Diedrale o diedrico.


Questo gruppo esiste per ogni numero naturale n ≥ 3. Fissato n si definisce
gruppo diedrale il gruppo
Dn = { a1 , a2 , ..., an , ba1 , ba2 , ..., ban }
con a, b tali che o(a) = n, o(b) = 2, ai b = ban−i , i = 1, 2, ..., n. Riportiamo alcune
proprietà di facile verifica, altre saranno evidenziate nei prossimi capitoli.
(1) |Dn | = 2n.
(2) Dn non è commutativo.
(3) Nella definizione posta, la condizione ai b = ban−i può essere sostituita
da bai b = a−i per ogni i = 1, 2, ..., n, o più semplicemente da bab = a−1 .
(4) Gli elementi a e b che definiscono Dn possono essere interpretati come
le permutazioni definite da

   
1 2 ··· n − 1 n 1 2 ··· n − 1 n
a= , b= .
2 3 ··· n 1 n n − 1 ··· 2 1

Il gruppo diedrale rappresenta il gruppo dei movimenti che portano un poligono


2πk
regolare con n lati in sè: n rotazioni di ampiezza , k = 1, ..., n, intorno al
n
centro del poligono e n simmetrie, una per ognuno degli n assi di simmetria del
poligono.
Capitolo 2 Gruppi 53

Esempio 2.2.6. Gruppo Diedrale D4 .


Quale esempio, esplicitiamo il caso n = 4.
D4 = {a , a2 , a3 , a4 , β , γ , δ , ε }
dove gli elementi a, a2 , a3 , a4 = 1 rappresentano le rotazioni del quadrato, intorno
al suo centro, di ampiezza rispettivamente 90◦ , 180◦ , 270◦ , 360◦ ; gli elementi
β, γ, δ, ε rappresentano le simmetrie rispetto ai quattro assi di simmetria.
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@  ~
@ ~
@  ~
@  ~
A@ @  ~B
 @ ~
@  ~~
@
_ _ _ _ _ _ _  ~@_ _ _ _ _ _ _
~
~  @@
~  @
~ @
~ 
~
D  C@ @
~ @
~  @
~  @
~
Indichiamo i vertici del quadrato con A, B, C, D (procedendo in senso orario).
Gli elementi di D4 sono:

   
A B C D 2 A B C D
a= , a = ,
B C D A C D A B
   
3 A B C D 4 A B C D
a = , a = ,
D A B C A B C D
   
A B C D A B C D
β= , γ= ,
B A D C C B A D
   
A B C D A B C D
δ= , ε= .
D C B A A D C B

Si noti che risulta βa = ε, βa2 = δ, βa3 = γ, βa4 = β (nel prodotto si è


applicata prima la permutazione di destra) e pertanto tutti gli elementi di D4 si
possono ottenere dalla rotazione a (di ampiezza 90◦ ) e da una fissata simmetria β
(si ottiene analogo risultato se al posto di β si prende γ oppure δ oppure ε).
• |D4 | = 8.
• D4 non è commutativo: per esempio a3 β 6= βa3 .
• In D4 ai β = βa4−i , per ogni i = 1, 2, 3, 4.
Capitolo 2 Gruppi 54

Esempio 2.2.7. Gruppo dei Quaternioni.


Sia G = {1, −1, i, −i, j, −j, k, −k} e in G si consideri l’operazione 00 ·00 definita
da: (−1)2 = 1 , i2 = j 2 = k 2 = −1 , ij = k , jk = i , ki = j , ji = −k , kj = −i ,
ik = −j.
(G, ·) è un gruppo detto gruppo dei quaternioni e denotato con Q8 . Di seguito
riportiamo la tabella di moltiplicazione e alcune proprietà di facile verifica. Nei
prossimi capitoli evidenzieremo altre interessanti proprietà di questo gruppo.
(1) Q8 è non abeliano;
(2) Q8 è il più piccolo gruppo non abeliano di ordine la potenza di un numero
primo;
(3) La tabella di moltiplicazione di Q8 è la seguente :

· 1 −1 i j k −i −j −k
1 1 −1 i j k −i −j −k
−1 −1 1 −i −j −k i j k
i i −i −1 k −j 1 −k j
j j −j −k −1 i k 1 −i
k k −k j −i −1 −j i 1
−i −i i 1 −k j −1 k −j
−j −j j k 1 −i −k −1 i
−k −k k −j i 1 j −i −1

3. Sottogruppi

Per ogni struttura algebrica rimane definito il concetto di sottostruttura.

Definizione 2.3.1. Sia (G, ·) un gruppo e H ⊆ G, H 6= ∅. Si dice che H è


sottogruppo di G se H è gruppo rispetto alla stessa operazione definita in G. Se
H è sottogruppo di G si scrive H ≤ G.

Nota 2.3.2.
(1) Ogni gruppo (G, ·) ammette almeno due sottogruppi: G e {1G } formato
dal solo elemento neutro. Questi due sottogruppi sono detti sottogruppi
banali.
(2) Se (G, ·) è abeliano, ogni suo sottogruppo è abeliano.
Capitolo 2 Gruppi 55

Esempio 2.3.3.
(1) Sia P = {2n : n ∈ Z} l’insieme dei numeri pari in Z. (P, +) è sottogruppo
(abeliano) di (Z, +).
(2) Sia D = {2n + 1 : n ∈ Z} l’insieme dei numeri dispari in Z. (D, +) non
è sottogruppo di (Z, +) perché “+” non è un’operazione in D, quindi non
ha senso chiedersi se (D, +) sia un gruppo.
(3) Sia Q∗+ = {x ∈ Q∗ : x > 0} l’insieme dei numeri razionali positivi. (Q∗+ , ·)
è sottogruppo √di (Q∗ , ·).
(4) Sia A = {x + 2y : x, y ∈ Q}. (A, +) è sottogruppo di (R, +).

Teorema 2.3.4. Sia (G, ·) un gruppo e sia H ⊆ G, H 6= ∅.


(1) H è un sottogruppo di G ⇔ per ogni a, b ∈ H risulta a · b ∈ H, a−1 ∈ H.
(2) H è un sottogruppo di G ⇔ per ogni a, b ∈ H risulta a · b−1 ∈ H.
(3) Se H è finito allora si ha che H è un sottogruppo di G ⇔ a · b ∈ H, per
ogni a, b ∈ H.
Dimostrazione. (1)
=⇒: Se H è sottogruppo di G è ovvio che a · b ∈ H, a−1 ∈ H per ogni
a, b ∈ H.
⇐=: Sia H ⊆ G, H 6= ∅, tale che per ogni a, b ∈ H risulta a · b ∈ H,
a−1 ∈ H. Poichè H ⊆ G, in (H, ·) vale la proprietà associativa e pertanto
per dimostrare che H è sottogruppo rimane solo da dimostrare che in H
c’è l’elemento neutro: a ∈ H ⇒ a−1 ∈ H ⇒ a · a−1 = 1 ∈ H.

Dimostrazione. (2)
=⇒: Se H è sottogruppo di G allora comunque presi a, b ∈ H si ha a, b−1 ∈
H e pertanto ab−1 ∈ H .
⇐=: Sia H ⊆ G, H 6= ∅ tale che per ogni a, b ∈ H sia ab−1 ∈ H . Poichè
H 6= ∅ esiste a ∈ H e pertanto aa−1 ∈ H da cui 1 ∈ H. Da a ∈ H e
1 ∈ H segue 1 · a−1 ∈ H e perciò a−1 ∈ H per ogni a ∈ H.

Dimostrazione. (3)
=⇒: Se H è sottogruppo di G è ovvio che a · b ∈ H per ogni a, b ∈ H.
⇐=: Sia H = {a1 , a2 , . . . , an }, dimostriamo che per ogni ai , aj ∈ H esistono
e sono unici x, y ∈ H tali che ai · x = aj e y · ai = aj . Consideriamo gli
elementi ai a1 , ai a2 , . . . , ai an . Questi n prodotti per ipotesi stanno in H
e sono a due a due distinti perché se ai ah = ai ak allora a−1 −1
i ai ah = ai ai ak ,
uah = uak , ah = ak . Gli n prodotti sono dunque tutti e soli gli elementi
di H, allora esistono e sono unici gli elementi ah e ak tali che
ai · ah = aj , a k · ai = aj .
Capitolo 2 Gruppi 56

Nota 2.3.5. Nella (3) del teorema precedente l’ipotesi che H sia finito è in-
dispensabile. Infatti nel gruppo (Z, +) si ha N ⊆ Z, N 6= ∅, a + b ∈ N per ogni
a, b ∈ N. Ma (N, +) non è un gruppo.

Esempio 2.3.6.
Fissato n ∈ Z nel gruppo (Z, +) consideriamo il sottoinsieme nZ = {xn |x ∈ Z}.
Per ogni a, b ∈ nZ risulta a + (−b) ∈ nZ; infatti, ricordando che in (Z, +) valgono
la proprietà commutativa e la proprietà associativa, se a = x · n e b = y · n, si ha
a + (−b) = x · n + (−y · n) = x| +x+ {z· · · + x} + (−y) + (−y) + · · · + (−y) =
| {z }
n−volte n−volte
(x − y) + (x − y) + · · · + (x − y) = (x − y) · n ∈ nZ.
| {z }
n−volte
Questo prova che (nZ, +) è sottogruppo di (Z, +). Ovviamente, nel caso n = 0
il sottogruppo è quello banale.

Teorema 2.3.7. Siano H e K sottogruppi di un gruppo (G, ·). Si ha :


(1) H ∪ K è un sottogruppo di G se e solo se H ⊆ K oppure K ⊆ H.
(2) Un gruppo G non può essere unione di due sottogruppi propri.
(3) Siano Hi , i = 1, 2, ..., n, sottogruppi di G. L’unione insiemistica ∪ni=1 Hi
non è detto che sia sottogruppo di G.
Dimostrazione. (1) - Se H ⊆ K oppure K ⊆ H, allora H ∪ K è un
sottogruppo poichè in tal caso H ∪ K coincide con K o con H rispettivamente.
Supponiamo ora che H ∪K sia un sottogruppo di G e che H * K. Dimostriamo
che allora necessariamente K ⊆ H. Poichè H * K esiste h ∈ H con h 6∈ K.
Consideriamo un qualunque elemento k ∈ K, allora k ∈ H ∪ K e anche h ∈ H ∪ K.
Poichè H ∪ K è un sottogruppo di G, si ha hk ∈ H ∪ K, ma hk 6∈ K. Infatti se
fosse hk ∈ K, moltiplicando a destra per k −1 ∈ K si avrebbe h = (hk)k −1 ∈ K e
ciò è assurdo. Quindi hk 6∈ K e di conseguenza hk ∈ H. Moltiplicando a sinistra
per h−1 ∈ H si ottiene k = h−1 (hk) ∈ H e pertanto K ⊆ H. 
Dimostrazione. (2) - Supponiamo per assurdo che esistano due sottogruppi
propri H, K di G tali che G = H ∪ K. Allora per quanto dimostrato in (1) si ha
H ≤ K oppure K ≤ H. Supponiamo per esempio H ≤ K. Allora G = H ∪K = K
e ciò va contro l’ipotesi che K sia un sottogruppo proprio di G. 
Dimostrazione. (3) - Segue da (1) e (2). 
Capitolo 2 Gruppi 57

Nota 2.3.8. Si possono trovare gruppi che sono unione di tre sottogruppi
propri. Ad esempio il gruppo quadrinomio è unione dei suoi tre sottogruppi propri.

Teorema 2.3.9. Siano H1 , H2 , . . . , Hn sottogruppi del gruppo (G, ·). Allora


l’intersezione insiemistica ∩ni=1 Hi è un sottogruppo di G.
Dimostrazione. La dimostrazione segue banalmente dalle definizioni di grup-
po e di intersezione. Viene lasciata per esercizio. 

Teorema 2.3.10. Siano (G, ·) un gruppo, H ≤ G, a ∈ G. Se esistono


m, n ∈ Z coprimi e tali che am ∈ H, an ∈ H, allora a ∈ H.
Dimostrazione. Poichè MCD(m, n) = 1, per le note proprietà del MCD di
due interi (vedi teorema 1.4.3), siano u, v ∈ Z tali che 1 = um + vn. Allora si ha
a = aum+vn = (am )u · (an )v ∈ H. 

Definizione 2.3.11. Se A, B sono sottoinsiemi di un gruppo (G, ·), rispetti-


vamente (G, +), si chiama prodotto, rispettivamente somma, di A e B l’insieme
A · B = {a · b | a ∈ A, b ∈ B}
rispettivamente
A + B = {a + b | a ∈ A, b ∈ B}.

Teorema 2.3.12. Sia (G, ·) un gruppo e siano H e K sottogruppi di G.


H · K è un sottogruppo di G se e solo se H · K = K · H.
Dimostrazione. Sia H · K un sottogruppo di G. Consideriamo k · h ∈ K · H;
si ha k · h = (h−1 · k −1 )−1 con h−1 ∈ H e k −1 ∈ K e quindi h−1 · k −1 ∈ H · K e
poichè H · K è sottogruppo di G si ha (h−1 · k −1 )−1 ∈ H · K ossia k · h ∈ H · K e
dunque K · H ⊆ H · K.
Consideriamo ora h · k ∈ H · K; si ha (h · k)−1 ∈ H · K e dunque (h · k)−1 = h1 · k1
con h1 ∈ H e k1 ∈ K. Si ha cosí h · k = (h1 · k1 )−1 = k1−1 · h−1 1 ∈ K · H ossia
H · K ⊆ K · H.
Poichè K · H ⊆ H · K e H · K ⊆ K · H, rimane provato che H · K = K · H.
Viceversa sia H · K = K · H. Presi h1 · k1 , h2 · k2 ∈ H · K, dalla ipotesi segue
−1 −1 −1
h1 · k1 · (h2 · k2 )−1 = h1 · k1 · (k¯2 · h¯2 )−1 = h1 · k1 · h¯2 · k¯2 = h1 · h3 · k3 · k¯2 ∈ H · K
e dunque H · K è sottogruppo di G. 

Corollario 2.3.13. Sia (G, ·) un gruppo abeliano. Se H, K sono sottogruppi


di G allora H · K è sottogruppo di G.
Capitolo 2 Gruppi 58

Dimostrazione. E’ conseguenza immediata del teorema precedente. 

4. Generatori di un gruppo. Gruppi ciclici.

Definizione 2.4.1. Sia (G, ·) un gruppo e H un sottoinsieme non vuoto di G.


Sia F = {H1 , H2 , . . . , Hn } l’insieme di tutti i sottogruppi di G che contengono H.
Il gruppo \
< H >= Hi .
Hi ∈F
è detto sottogruppo generato da H.
Un gruppo (G, ·) si dice finitamente generato se G =< H > con H finito.
L’insieme H è detto sistema di generatori di < H > e nel caso H sia finito, se
H = {x1 , x2 , . . . , xn }, al posto di < H > si usa anche scrivere < x1 , x2 , . . . , xn >.

Dalla definizione ora posta segue che:


• < H >⊆ Hi per ogni Hi ∈ F.
• < H > è il più piccolo sottogruppo contenente l’insieme H.

Teorema 2.4.2. Sia H un sottoinsieme non vuoto del gruppo (G, ·) e sia
−1
H = {x−1 : x ∈ H}. Il gruppo < H > generato da H è costituito dai prodotti
x1 · x2 · · · · · xn
al variare di n ∈ N e di xi ∈ H ∪ H −1 .
Dimostrazione. Sia H̄ il sottoinsieme di G formato dai prodotti di cui nel-
l’enunciato.
Da x1 · x2 · · · · · xn ∈ H̄ e y1 · y2 · · · · · ym ∈ H̄ segue che:
(x1 · x2 · · · · · xn )−1 (y1 · y2 · · · · · ym ) = x−1 −1
n · · · · · x1 · y1 · y2 · · · · · yn ∈ H̄

e perciò H̄ è sottogruppo di G.
Inoltre è ovvio che ogni sottogruppo di G che contiene H contiene H̄ e pertanto
H̄ =< H >


Teorema 2.4.3. Un gruppo (G, ·) finitamente generato è finito oppure ha la


cardinalità del numerabile.
Capitolo 2 Gruppi 59

Dimostrazione. Sia G =< x1 , . . . , xm >. Ogni x ∈ G è tale che


n1 n2 ns
x = xi1 · xi2 · . . . · xis con ni ∈ Z e i1 , i2 , . . . , is ∈ {1, 2, . . . , m}. Per ogni x si
ponga hx = |n1 | + |n2 | + . . . + |ns |. Gli x ∈ G tali che hx ≤ n per un assegnato
n ∈ N,
S formano un sottoinsieme finito Gn di G e quindi la tesi segue dall’essere
G = n∈N Gn . 

Corollario 2.4.4. Un gruppo generato da un insieme numerabile è numerabile.

Nota 2.4.5. Un sottogruppo di un gruppo finitamente generato può non essere


finitamente generato.

Esempio 2.4.6.
(1) (R, +), (R∗ , ·), (C, +), (C ∗ , ·) non sono finitamente generati.
(2) (Z, +) è finitamente generato: Z =< 1 > .
(3) (Q, +) non è finitamente generato. Infatti supponiamo per assurdo che Q
r 1 r2 rn ri 1
sia finitamente generato da , , · · · , ∈ Q. Ogni = ki ·
s1 s2 sn si s 1 s 2 . . . sn
con ki = ri s1 s2 . . . si−1 si+1 . . . sn . Ne segue che
r1 r 2 rn 1
< , ,··· , >⊆< >6= Q
s1 s2 sn s1 s2 . . . sn

Definizione 2.4.7. Un gruppo (G, ·) che sia generato da un solo elemento si


dice ciclico. Se G =< g > allora l’elemento g è detto generatore di G.

Teorema 2.4.8. Sia (G, ·) un gruppo e g ∈ G. Allora il gruppo generato da


H = {g} coincide con l’insieme < g >= {g n | n ∈ Z} di tutte le potenze di g.
Dimostrazione. Si ha < g >6= ∅ perchè g = g 1 ∈< g >. Presi g r , g s ∈< g >
si ha che g r · g s = g r+s ∈< g >; inoltre se g s ∈< g > allora (g s )−1 = g −s ∈< g >.
Rimane provato che < g > è un gruppo (sottogruppo di G). Ma un qualunque
sottogruppo di G che contenga H = {g} contiene < g > e pertanto < g > è il
sottogruppo di G generato da H. 

Nota 2.4.9.
• Se g è generatore di (G, ·) allora anche g −1 genera (G, ·).
• Ogni gruppo ciclico è abeliano.
Infatti considerato il gruppo G =< g >, per ogni g r , g s ∈ G risulta
g r g s = g r+s = g s+r = g s g r perchè in Z si ha r + s = s + r.
Capitolo 2 Gruppi 60

Esempio 2.4.10.
(1) In (Z, +), il sottogruppo < 5 >= {x · 5 | x ∈ Z} = 5Z è un gruppo
ciclico generato da 5.
(2) In (Q∗ , ·) il sottogruppo < 13 >= {( 13 )n | n ∈ Z} è un gruppo ciclico
generato da 31 .
(3) (Z, +) è gruppo ciclico generato da 1 oppure da −1: Z =< 1 >=< −1 >.
(4) Per ogni numero naturale n ≥ 3, il gruppo delle rotazioni del poligono
regolare con n lati intorno al suo centro è un gruppo ciclico di ordine n e

un suo generatore è la rotazione di ampiezza .
n
(5) (G, ◦) definito da G = {r0 , r1 } =< r1 >
◦ r0 r1
r0 r0 r1
r1 r1 r0
è un gruppo ciclico di ordine 2.
(6) Il gruppo G =< 1 > formato dal solo elemento neutro è un gruppo ciclico
di ordine 1.
(7) Il gruppo diedrale D4 non è ciclico.
(8) Il gruppo Q8 dei quaternioni non è ciclico.

Nota 2.4.11. Come mostrano gli esempi sopra riportati, esistono gruppi ciclici
di ogni ordine. Se due gruppi ciclici hanno lo stesso numero di elementi sono
sostanzialmente la stessa cosa, sia nel caso finito che in quello infinito. Dunque è
sufficiente prendere un solo modello di gruppo ciclico per ogni ordine.

Esempio 2.4.12.
(1) (Z, +) e Γ =< 15 >= {( 15 )n | n ∈ Z} sono entrambi gruppi ciclici di
ordine infinito. Come insiemi sono diversi ma hanno la stessa struttura
algebrica.
(2) Il gruppo additivo (Z3 , +) delle classi resto modulo 3, è un gruppo ciclico
di ordine 3, e perciò ha la stessa struttura algebrica del gruppo delle
rotazioni del triangolo equilatero che è pure ciclico di ordine 3.

Teorema 2.4.13. Ogni sottogruppo di un gruppo ciclico è un gruppo ciclico.


Dimostrazione. Sia (G, ·) un gruppo ciclico e g un suo generatore: G =
{g | n ∈ Z}. Sia A un sottogruppo di G. Se A = {g 0 } allora A è banalmente
n

ciclico; se A 6= {g 0 } sia h il piú piccolo intero positivo tale che g h ∈ A. Ovviamente


è < g h > ⊆ A, ma risulta anche A ⊆ < g h > ossia ogni elemento di A è una potenza
di g h , infatti sia g n ∈ A e sia n = hq + r con q, r ∈ Z , 0 ≤ r < h.
Capitolo 2 Gruppi 61

Si ha
g n = g hq+r = g hq · g r ∈ A
e quindi g r ∈ A ma allora per l’ipotesi di minimo fatta su h, risulta r = 0 e dunque

g n = g hq = (g h )q ∈ < g h >

Resta cosí dimostrato che A = < g h > e quindi A è ciclico, anzi si è anche
trovato da quale elemento è generato il sottogruppo. 

Corollario 2.4.14. I sottogruppi di (Z, +) sono tutti e soli i gruppi (nZ, +)


con n ∈ N.

Dimostrazione. Fissato n ∈ N, l’insieme nZ = {xn | x ∈ Z} =< n > è un


sottogruppo di (Z, +) come dimostrato nell’esercizio 2.3.5. Viceversa se H è un
sottogruppo di (Z, +), poichè Z =< 1 > è ciclico, dal teorema 2.4.13 segue che H
è ciclico e pertanto esiste n ∈ N tale che H =< n >= nZ. 

Considerando l’insieme dei numeri interi si può trovare un modello di gruppo


ciclico di ordine n per ogni n nel senso che (Z, +) è un gruppo ciclico infinito e per
ogni n ∈ N il gruppo delle classi resto (Zn , +) è ciclico di ordine n.
I gruppi ciclici sono particolarmente importanti per lo studio dei gruppi perchè
un qualunque gruppo è l’unione insiemistica dei suoi sottogruppi ciclici.

Nota 2.4.15. Esistono gruppi non ciclici ma tali che ogni loro sottogruppo
proprio è ciclico. Ad esempio ciò accade per il gruppo (Q8 , ·) dei quaternioni
descritto in 2.2.7. Il gruppo dei quaternioni è un gruppo di ordine 8 non abeliano
e perciò non ciclico. I suoi sottogruppi propri sono:
H1 = {1, −1} =< −1 >, H2 = {1, −1, i, −i} =< i >
H3 = {1, −1, j, −j} =< j >, H4 = {1, −1, k, −k} =< k >.
Si può facilmente verificare che quelli sopra riportati sono tutti e soli i sotto-
gruppi propri di (Q8 , ·) e sono tutti ciclici.
Capitolo 2 Gruppi 62

5. Laterali e Indice di un sottogruppo

Fissato n ∈ N − {0}, in (Z, +) la relazione a ≡ b (mod n) se a − b ∈ nZ è


di equivalenza e poichè gli nZ sono tutti e soli i sottogruppi di Z, possiamo dire
che la relazione di congruenza è definita a partire da (Z, +) e dai suoi sottogrup-
pi. Ci chiediamo allora se quanto visto in (Z, +) relativamente alla relazione di
congruenza, possa valere per ogni gruppo G e ogni suo sottogruppo H.

Definizione 2.5.1. Sia (G, ·) un gruppo e H un sottogruppo di G. Definiamo


in G la relazione a ≡ b (mod H) se e solo se a · b−1 ∈ H.
Questa è una relazione di equivalenza. Infatti:
(1) Proprietà riflessiva :
a ≡ a (mod H) ⇐⇒ a · a−1 ∈ H e poichè H è sottogruppo, certamente
1 = a · a−1 ∈ H per ogni a ∈ H.
(2) Proprietà simmetrica :
Se a ≡ b (mod H) allora a·b−1 ∈ H, ma allora anche (a·b−1 )−1 = b·a−1 ∈ H
e quindi b ≡ a (mod H).
(3) Proprietà transitiva :
Se a ≡ b (mod H) e b ≡ c (mod H) allora a · b−1 ∈ H e b · c−1 ∈ H ed
essendo H sottogruppo sarà anche (a·b−1 )·(b·c−1 ) ∈ H, a·(b−1 ·b)·c−1 ∈ H
da cui a · c−1 ∈ H e pertanto a ≡ c (mod H).

Definizione 2.5.2. Se H è sottogruppo di (G, ·) e a ∈ G definiamo:


• Ha = {ha | h ∈ H} classe laterale destra di H in G;
• aH = {ah | h ∈ H} classe laterale sinistra di H in G.

00 00
Teorema 2.5.3. Le classi di equivalenza della relazione ≡ mod H sono
le classi laterali destre di H.
Dimostrazione. Sia [a] = {x ∈ G | a ≡ x (mod H)} la classe di equivalenza
dell’elemento a. Si ha
• [a] ⊆ Ha: infatti x ∈ [a] ⇒ x ≡ a (mod H) ⇒ x · a−1 ∈ H ⇒ x · a−1 =
h ⇒ x = h · a ⇒ x ∈ Ha;
• Ha ⊆ [a]: infatti x ∈ Ha ⇒ x = h · a ⇒ x · a−1 = h ∈ H ⇒ x ≡
a (mod H) ⇒ x ∈ [a].
Rimane così provato che [a] = Ha. 
Nel capitolo 1 è stato dimostrato che le classi di equivalenza formano una
partizione dell’insieme in cui è definita la relazione.
Per il teorema precedente si può allora affermare che due classi laterali destre di
H in G o coincidono oppure non hanno elementi in comune e l’unione insiemistica
Capitolo 2 Gruppi 63

di tutte queste classi laterali è G. Ossia, considerate le classi laterali destre di H


in G, si ha
( T
Hx Hy = ∅ per x ∈ / Hy
S
x∈G Hx = G

Teorema 2.5.4. Sia H un sottogruppo del gruppo (G, ·). Due qualunque
classi laterali destre Hx e Hy hanno lo stesso numero cardinale (finito o no) di
elementi.
Dimostrazione. Per ogni a ∈ G l’applicazione ϕ : H → Ha definita da
ϕ(h) = ha è biettiva. Infatti
ϕ è iniettiva poichè ϕ(h1 ) = ϕ(h2 ) ⇒ h1 · a = h2 · a ⇒ h1 = h2 ;
ϕ è suriettiva poichè per ogni ha ∈ Ha si ha ϕ(h) = h · a.
L’esistenza della biezione ϕ assicura che H e Ha hanno lo stesso numero di elementi
per ogni a ∈ G. Dunque qualunque siano a, b ∈ G si ha |Ha| = |H| = |Hb| ossia
le classi laterali |Ha| e |Hb| hanno lo stesso numero cardinale di elementi. 

Corollario 2.5.5. Nel caso finito se |H| = n allora |Ha| = n qualunque sia
a ∈ G.
Se H è un sottogruppo di (G, ·), si può definire la relazione a ≡ b (mod H) se e
solo se a−1 b ∈ H. Questa è una relazione di equivalenza e, analogamente a quanto
dimostrato nei due teoremi precedenti, si ha che le classi di equivalenza sono le
classi laterali sinistre di H, ossia per ogni a ∈ G si ha:
[a] = aH = {ah | h ∈ H}
Inoltre si può definire una applicazione biettiva 00 ϕ00 dell’insieme dei laterali destri
nell’insieme dei laterali sinistri ponendo
ϕ(Ha) = a−1 H .
Ciò assicura che il numero dei laterali destri di H in G è uguale al numero dei
laterali sinistri di H in G e pertanto si può porre la seguente definizione.

Definizione 2.5.6. Sia (G, ·) un gruppo e sia H un sottogruppo di G. Si


definisce indice di H in G il numero dei laterali destri (o sinistri) di H in G.

Nota 2.5.7. Se (G, ·) è un gruppo finito e H un suo sottogruppo, è ovvio che


l’indice di H in G è un numero naturale, ma anche nel caso in cui G sia infinito,
l’indice di un suo sottogruppo H può essere un numero naturale ossia può essere
che i laterali di H siano in numero finito anche se G è infinito. Per esempio l’indice
di H =< 5 >= 5Z in (Z, +) è cinque anche se Z è infinito.
Capitolo 2 Gruppi 64

6. Teorema di Lagrange. Teorema di Sylow. Teorema di Cauchy.

Il seguente celebre teorema si deve a Lagrange (1736 - 1813) e afferma una


semplice ma importante relazione tra la cardinalità di un sottogruppo H di un
gruppo finito G e l’indice di H in G.

Teorema 2.6.1 (Teorema di Lagrange). Sia G un gruppo di ordine finito n,


sia H un sottogruppo di G e sia i l’indice di H in G. Si ha n =| H | · i .
Dimostrazione. I laterali destri di H sono i e ognuno di essi ha m =| H |
elementi. Poichè i laterali formano una partizione di G, risulta n = m · i. 

Nota 2.6.2. Il Teorema di Lagrange dà una condizione necessaria ma non


sufficiente per l’esistenza di un sottogruppo di un dato ordine. Ad esempio assicura
che un gruppo di ordine 12 non può avere un sottogruppo di ordine 5 o 7 o 8 o
9 o 10 o 11, ma non dice nulla sulla esistenza di un sottogruppo di ordine 2 o 3
o 4 o 6. Dunque ogni sottogruppo di un gruppo G di ordine n ha per ordine un
divisore m di n, ma in generale non vale il viceversa, ossia non è detto che per ogni
divisore m di n esista in G un sottogruppo di ordine m. Come dimostreremo nel
teorema 2.6.12, il viceversa del teorema di Lagrange vale nei gruppi abeliani finiti
e in altri casi particolari.

Riportiamo ora alcuni risultati che sono conseguenze immediate ma molto


importanti del Teorema di Lagrange.

Teorema 2.6.3. Un gruppo (G, ·), G 6=< 1 >, ha come sottogruppi i soli
sottogruppi banali se e solo se è finito ed ha per ordine un numero primo.
Dimostrazione. Se G ha per ordine un numero primo allora per il teorema
di Lagrange i soli sottogruppi di G sono quelli banali.
Viceversa, supponiamo che G sia privo di sottogruppi propri e G 6=< 1 >.
Sia a ∈ G, a 6= 1; poichè H = {ah | h ∈ Z} ≤ G, per l’ipotesi fatta deve essere
H = G e quindi G =< a > ossia G è ciclico. Se G fosse infinito, allora < a2 >
sarebbe un sottogruppo non banale di G contro l’ipotesi. Dunque G è finito e
G = {a0 = 1, a, a2 , ..., an−1 }; se n non è primo sia n = r · s con 1 < r, s < n.
Allora < ar > è un sottogruppo non banale di G e ciò è contro l’ipotesi. Pertanto
n è un numero primo. 

Corollario 2.6.4. Se il gruppo G ha ordine un numero primo allora G è ciclico


e ogni suo elemento diverso dall’elemento neutro è un generatore del gruppo.
Capitolo 2 Gruppi 65

Teorema 2.6.5. Sia (G, ·) un gruppo finito di ordine n. Ogni elemento a ∈ G


ha periodo finito m e m | n.
Dimostrazione. Considerato a ∈ G, se a non avesse periodo finito, il gruppo
G avrebbe infiniti elementi perché conterrebbe almeno tutte le potenze di a. Sia m
il periodo dell’elemento a, allora < a >= {a0 , a1 , a2 , . . . , am−1 } è un sottogruppo
di G e quindi per il teorema di Lagrange m | n. 

Un caso particolare si ha quando tutti gli elementi di un gruppo G hanno


periodo una potenza di uno stesso primo p.

Definizione 2.6.6. Sia p un numero primo. Un gruppo G in cui ogni elemento


ha periodo pn , per qualche n ∈ N, si dice p-gruppo.

Il teorema 2.6.5 assicura che se un gruppo G ha ordine pn , allora tutti i suoi


elementi hanno periodo che divide pn e pertanto G è un p-gruppo. Se p è un primo,
i p-gruppi finiti sono esattamente i gruppi di ordine pn , per qualche n ∈ N∗ .

Definizione 2.6.7. Sia G un gruppo finito, |G| = pn a, con p primo e (p, a) = 1.


Allora un sottogruppo H di G di ordine pn si dice un p-sottogruppo di Sylow
di G. L’insieme dei p-sottogruppi di Sylow di G si denota con Sylp (G).

Sia (G, ·) un gruppo ciclico finito e a un suo generatore: G =< a >, |G| = n.
Considerato un elemento ai ∈ G, come deve essere i affinché ai sia un generatore
di G?
L’elemento ai genera G quando ha periodo n e pertanto ai genera G se i e n
sono primi tra di loro.

Esempio 2.6.8. Consideriamo il gruppo ciclico di ordine 8: G =< a >, |G| =


8. Gli elementi a1 , a3 , a5 , a7 sono i generatori del gruppo. Se invece, ad esempio,
consideriamo a2 , esso non genera il gruppo perchè le sue potenze non mi danno
tutti gli elementi di G ma solo a2 , (a2 )2 = a4 , (a2 )3 = a6 , (a2 )4 = a8 = 1.

Teorema 2.6.9. Sia G =< a > un gruppo ciclico finito di ordine n. Per
ogni divisore m di n esiste uno ed un solo sottogruppo di G avente ordine m.
Dimostrazione. Se m | n allora n = q · m e 1 = an = (aq )m allora o(aq ) = m
e pertanto esiste il sottogruppo H =< aq > con |H| = m.
Dimostriamo che è unico: supponiamo per assurdo che esista H̄ tale che |H̄| =
m, H̄ =< ak >. Deve essere (ak )m = 1 allora k · m = λ · n, k · m = λ · m · q,
k = λ · q da cui ak = (aq )λ ∈ H, di conseguenza H̄ ⊆ H e poichè |H̄| = |H| = m
(finito), si ha che H̄ = H. 
Capitolo 2 Gruppi 66

Il teorema precedente assicura che se di un gruppo finito si conoscono almeno


due sottogruppi diversi con lo stesso ordine, sicuramente quel gruppo non è ciclico.
Ad esempio il gruppo quadrinomio e il gruppo dei quaternioni non sono certamente
ciclici. Infatti, come abbiamo visto, il primo ha tre sottogruppi diversi di ordine
2; il secondo ha tre sottogruppi diversi di ordine 4.
Abbiamo visto che in generale non vale il viceversa del teorema di Lagrange,
vale però il seguente teorema dimostrato nel 1872 da Sylow (1832 − 1918) e noto
come primo Teorema di Sylow. La dimostrazione di seguito riportata è del 1959
ed è dovuta a H. Wielandt (1910 − 2001).

Teorema 2.6.10 (Teorema di Sylow). Se (G, ·) è un gruppo finito e ph divide


l’ordine di G, con p, h ∈ N∗ , p primo, allora esiste in G almeno un sottogruppo di
ordine ph .
Dimostrazione. Sia |G| = ph r e sia = = {K1 , K2 , . . . , Km } l’insieme di tutti
i sottoinsiemi di G ciascuno dei quali è costituito da ph elementi. Sarà
ph r · (ph r − 1) · · · · (ph r − λ) · · · · · (ph r − ph + 1)
 h 
p r
(1) m= h =
p ph · (ph − 1) · · · · · (ph − λ) · · · · · 1

per ogni λ, con 0 ≤ λ ≤ ph − 1, la massima potenza di p che divide λ coincide con


la massima potenza di p che divide (ph r − λ) perché (ph r − λ) è divisibile per p se
e solo se λ è divisibile per p.
Nella espressione (1) semplificando numeratore e denominatore, rimane che la
massima potenza di p che divide m coincide con la massima potenza di p che divide
r; questa massima potenza sia pt (t ∈ N e t = 0 nel caso in cui r, e quindi anche
m, sia primo con p), cioè pt | m, r ma pt+1 - m, r.
Nell’insieme = definiamo la relazione: Ki ∼ Kj se esiste g ∈ G tale che Kj =
g · Ki . Questa è una relazione di equivalenza e perciò gli elementi di = si possono
ripartire nelle classi di equivalenza.
Poichè pt+1 - m, esiste almeno una classe di equivalenza avente n elementi con
t+1
p - n, questa classe di equivalenza sia C = {K1 , K2 , . . . , Kn }.
Consideriamo l’insieme H = {g ∈ G | g · K1 = K1 }, ovviamente risulta H 6= ∅
e H sottogruppo di G, sia |H| = v.
Essendo C una classe di equivalenza, ogni elemento di C è in relazione con K1
e quindi per ogni i con 2 ≤ i ≤ n esiste gi ∈ G tale che Ki = gi · K1 .
Fissato i, contiamo gli elementi di G in base al loro effetto su Ki :
g · K1 = Ki ⇔ g · K1 = gi · K1 ⇔ gi−1 · g · K1 = K1 ⇔ gi−1 · g ∈ H

e dunque, posto gi−1 g = ḡ, gli elementi g ∈ G tali che g · K1 = Ki sono tanti quanti
sono i ḡ (essendo gi fisso),ossia sono tanti quanti gli elementi di H ossia sono v.
Capitolo 2 Gruppi 67

Poichè questo conteggio vale per ogni i = 2, . . . , n e anche per K1 , gli elementi
{z· · · + v}, ossia |G| = v · n e pertanto risulta
di G sono v| + v +
n volte

ph r = vn
Ricordando che pt | r, si ha ph+t = ph pt | ph r = vn, ma pt+1 - n (cioè al
massimo pt | n e quindi almeno ph | v) e perciò ph | v da cui ph ≤ v.
Fissiamo k1 ∈ K1 , si ha H · k1 ⊂ H · K1 = K1 e quindi |H · k1 | = |H| ≤ |K1 |
ossia v ≤ ph .
Confrontando le due disugualianze si conclude pertanto che v = ph . Si è dunque
costruito un sottogruppo H di G con |H| = ph . 

La validità del prossimo teorema è già assicurata dal Teorema di Sylow ma


riportiamo anche la seguente dimostrazione indipendente dal Teorema di Sylow.

Teorema 2.6.11 (Teorema di Cauchy). Sia (G, ·) un gruppo finito. Per ogni
numero primo p divisore dell’ordine di G esiste in G un sottogruppo di ordine p.
Dimostrazione. Sia |G| = n e p | n, p primo. Indichiamo con 1 l’ele-
mento neutro di G e consideriamo il seguente insieme di p-uple di G: A =
{(x1 , x2 , . . . , xp ) | xi ∈ G, x1 · x2 · · · · · xp = 1}. Ogni elemento di A è univo-
camente determinato quando si fissano i primi p − 1 elementi x1 , x2 , . . . , xp−1 della
p-upla, perciò gli elementi di A sono tanti quante sono le (p − 1)-uple di G di ele-
menti non necessariamente distinti, ossia |A| = np−1 . Definiamo in A la seguente
relazione ∼:
(a1 , . . . , ap ) ∼ (ai , ai+1 , . . . , ap , a1 , . . . , ai−1 )
cioè due p-uple sono in relazione quando una si ottiene dell’altra permutando
ciclicamente i suoi elementi. Questa relazione è di equivalenza.
Se gli elementi di una p-upla sono tutti uguali allora essa è l’unico elemento
della sua classe di equivalenza mentre se una p-upla ha almeno due elementi diversi
la sua classe di equivalenza contiene esattamente p p-uple
Sia h il numero di elementi x ∈ G tali che xp = 1, h è perciò anche il numero
delle classi di equivalenza con un solo elemento e si ha h > 0 perchè c’è almeno
la p-upla (1, 1, ..., 1); sia k il numero delle classi di equivalenza ciascuna con p
elementi; si ha np−1 = h + kp.
Per ipotesi p è un divisore di n, e perciò p è un divisore di np−1 , inoltre p
divide kp e pertanto p divide h, ciò significa che h > 1. Esiste allora almeno una
p-upla del tipo (a, a, ..., a) con a 6= 1 e quindi un elemento a ∈ G di periodo p e di
conseguenza almeno un sottogruppo di ordine p. 

Ci sono gruppi finiti non abeliani in cui l’inverso del teorema di Lagrange non
vale, ad esempio il gruppo alterno A4 , |A4 | = 12, non ha sottogruppi di ordine 6.
Capitolo 2 Gruppi 68

D’altra parte esistono gruppi finiti non abeliani per i quali il teorema di Lagrange
si inverte, ad esempio il gruppo dei Quaternioni oppure il gruppo diedrico Dp con
p primo. Ciò significa che in generale non vale l’inverso del Teorema di Lagran-
ge. Tuttavia per alcuni gruppi o famiglie di gruppi vale anche l’inverso di questo
teorema. Ad esempio il teorema di Lagrange si inverte per tutti i gruppi abeliani
finiti come dimostra il seguente teorema.

Teorema 2.6.12. Se (G, ·) è un gruppo abeliano finito di ordine n allora per


ogni divisore h di n esiste in G almeno un sottogruppo di ordine h.
Dimostrazione. Sia G un gruppo abeliano di ordine n = pr11 ·pr22 ·· · ··prss , con
pi numeri primi diversi fra loro, i = 1, . . . , s. Sia h | n, h = phi11 · phi22 · · · · · phitt , con pij
numeri primi diversi fra loro. Per il teorema di Sylow esistono in G i sottogruppi
A1 , A2 , . . . , At di ordine rispettivamente phi11 , phi22 , . . . , phitt e tali che Ai ∩ Aj =< 1 >
perché |Ai | e |Aj | sono primi tra loro, per ogni i, j = 1, . . . , t, i 6= j.
Poichè G è abeliano risulta A1 ·A2 = A2 ·A1 e perciò A1 ·A2 è sottogruppo di G.
Inoltre è |A1 · A2 | = phi11 · phi22 perché gli elementi prodotto a · b con a ∈ A1 e b ∈ A2
sono tutti distinti fra loro. Infatti se a, c ∈ A1 , b, d ∈ A2 si ha a·b = c·d ⇔ c−1 ·a =
d · b−1 ; ma c−1 · a ∈ A1 e d · b−1 ∈ A2 e pertanto c−1 · a = d · b−1 ∈ A1 ∩ A2 =< 1 >;
ne segue che a · b = c · d ⇔ c−1 · a = d · b−1 = 1 ⇔ a = c, b = d.
Analogamente A1 ·A2 ·A3 = (A1 ·A2 )·A3 è sottogruppo di G di ordine phi11 ·phi22 ·phi33
e procedendo in questo modo si ha che A1 · A2 · · · · · At è un sottogruppo di G di
ordine h. 

7. Esercizi relativi al Capitolo 2

Esercizio 2.7.1.
Dimostrare che nella definizione di gruppo
• l’assioma (1) non dipende dagli assiomi (2) e (3);
• l’assioma (2) non dipende dagli assiomi (1) e (3);
• l’assioma (3) non dipende dagli assiomi (1) e (2).
Soluzione - E’ sufficiente portare l’esempio di una struttura in cui valgono due
assiomi ma non vale il terzo. Si portano, rispettivamente, i seguenti esempi.

• (R+0 , ⊕) con a ⊕ b = a + b − 2 ab per ogni a, b ∈ R+ 0.
• (Q − {0, 1}, ·).
• (Z, ·).
Capitolo 2 Gruppi 69

Esercizio 2.7.2.
Sia Z6 l’insieme delle classi resto modulo 6. Dimostrare che (Z6 , +) è un gruppo
rispetto l’operazione [a] + [b] = [a + b]. Costruire la tabella dell’operazione.
Soluzione - La proprietà associativa vale perchè immediata conseguenza della
proprietà associativa di Z. Come mostra la tabella dell’operazione, [0] è elemento
neutro e per ogni [a] ∈ Z6 esiste l’opposto [−a] = [6 − a].
+ [0] [1] [2] [3] [4] [5]
[0] [0] [1] [2] [3] [4] [5]
[1] [1] [2] [3] [4] [5] [0]
[2] [2] [3] [4] [5] [0] [1]
[3] [3] [4] [5] [0] [1] [2]
[4] [4] [5] [0] [1] [2] [3]
[5] [5] [0] [1] [2] [3] [4]

Esercizio 2.7.3.
Sia Z6 l’insieme delle classi resto modulo 6. Dimostrare che (Z∗6 , ·) non è un gruppo
rispetto l’operazione [a] · [b] = [ab]. Costruire la tabella dell’operazione.
Soluzione - (Z∗6 , ·) non è un gruppo perchè, per esempio [2] · [3] = [0] 6∈ Z∗6 . La
tabella dell’operazione è
· [1] [2] [3] [4] [5]
[1] [1] [2] [3] [4] [5]
[2] [2] [4] [0] [2] [4]
[3] [3] [0] [3] [0] [3]
[4] [4] [2] [0] [4] [2]
[5] [5] [4] [3] [2] [1]

Esercizio 2.7.4.
Sia Z7 l’insieme delle classi resto modulo 7. Dimostrare che (Z∗7 , ·) è un gruppo
rispetto l’operazione [a] · [b] = [a · b]. Costruire la tabella dell’operazione.
Soluzione - La proprietà associativa vale perchè immediata conseguenza della
proprietà associativa di Z. Come mostra la tabella dell’operazione, [1] è elemento
neutro e per ogni [a] ∈ Z∗7 esiste l’inverso [a−1 ].
· [1] [2] [3] [4] [5] [6]
[1] [1] [2] [3] [4] [5] [6]
[2] [2] [4] [6] [1] [3] [5]
[3] [3] [6] [2] [5] [1] [4]
[4] [4] [1] [5] [2] [6] [3]
[5] [5] [3] [1] [6] [4] [2]
[6] [6] [5] [4] [3] [2] [1]
Capitolo 2 Gruppi 70

Esercizio 2.7.5.
Dimostrare che non è possibile completare la seguente tabella in modo da ottenere
un gruppo.
· e a b c d
e e a b c d
a a e
b b
c c b
d d b
Soluzione - Nella colonna di 00 a00 non è possibile mettere l’elemento b perchè già
presente nelle ultime tre righe.

Esercizio 2.7.6.
In Q∗ si consideri la seguente operazione:
a · b = 21 ab per ogni a, b ∈ Q∗ .
Dimostrare che (Q∗ , ·) è un gruppo abeliano.
Soluzione - La proprietà associativa e la proprietà commutativa seguono, ri-
spettivamente, dalla proprietà associativa e dalla proprietà commutativa di Q.
L’elemento neutro è 2. L’elemento inverso di a è a4 , per ogni a ∈ Q∗ .

Esercizio 2.7.7.
Nell’insieme G = {Q − {1, −1}} × {1, −1} si consideri l’operazione definita da
(a, n) · (b, m) = (a · b + a · m + b · n, n · m)
Dimostrare che (G, ·) è un gruppo abeliano.
Soluzione
• Proprietà associativa: per ogni (a, n), (b, m), (c, i) ∈ Q − {1, −1} risulta
[(a, n)(b, m)](c, i) = (ab + am + bn, nm)(c, i) = (abc + amc + bnc + abi +
ami + bni + nmc, nmi) = (a, n)(bc + bi + mc, mi) = (a, n)[(b, m)(c, i)].
• Elemento neutro: (0, 1).
• Elemento inverso: per ogni (a, n) ∈ Q−{1, −1} se n = 1 si ha (a, 1)−1 =
−a
( a+1 , 1) mentre se n = −1 si ha (a, −1)−1 = ( a−1 a
, −1).

Esercizio 2.7.8.
Sia (G, ·) un gruppo tale che (ab)2 = a2 b2 per ogni a, b ∈ G. Dimostrare che G è
abeliano.
Soluzione - Si ha (ab)2 = abab e a2 b2 = aabb. Poichè per ipotesi (ab)2 = a2 b2 ,
segue abab = aabb da cui a−1 (abab)b−1 = a−1 (aabb)b−1 e pertanto ba = ab per ogni
a, b ∈ G.
Capitolo 2 Gruppi 71

Esercizio 2.7.9.
Sia R l’insieme dei numeri reali. Dimostrare che rispetto al prodotto righe per
colonne sono gruppi i seguenti insiemi:
(1) L’insieme GLn (R) delle matrici quadrate di ordine n con determinante
non nullo
 a coefficienti
 nell’insieme R dei numeri reali.
(2) G = { a −5b
b 3b + a
, a, b ∈ R, (a, b) 6= (0, 0) . }
 
(3) G = { a b
0 d
, ad 6= 0, a, b, d ∈ R . }
 
(4) G = { a b
0 a−1
, a 6= 0, a, b ∈ R . }
Soluzione - In tutti i casi presentati, la proprietà associativa è facilmente verifi-
cabile calcolando il prodotto tre qualunque matrici di G. Inoltre in tutti i casi
di 
1 0
considerati, la matrice ∈ G ed è l’elemento neutro.
0 1
−b
   d 
a b −1 ad−bc ad−bc
(1) Per ogni M = ∈ G risulta M = −c a ∈ G.
c d ad−bc ad−bc
   
a −5b r s
(2) Per ogni M = ∈ G risulta M −1 = con
b 3b + a t u
−b
r = 3ab+a3b+a 5b a
2 +5b2 , s = 3ab+a2 +5b2 , t = 3ab+a2 +5b2 , u = 3ab+a2 +5b2 e M −1 ∈ G
perchè s = −5t,u = 3t +  r; r, t ∈ R.  
a b −1 r s
(3) Per ogni M = ∈ G risulta M = con r = d, s =
0 d t u
−b, t = 0, u = a  e M −1 ∈ Gperchè ru 6= 0; r, s, u ∈ R.  
a b r s
(4) Per ogni M = ∈ G risulta M −1 = con r =
0 a−1 t u
a−1 , s = −b, t = 0, u = a e M −1 ∈ G perchè r 6= 0; r, s ∈ R.

Esercizio 2.7.10. Sia


       
{
G = I1 =
1 0
0 1
, I2 =
−1 0
0 −1
, I3 =
0 1
−1 0
, I4 =
0 −1
1 0
,

       
I5 =
0 i
i 0
, I6 =
0 −i
−i 0
, I7 =
i 0
0 −i
, I8 =
−i 0
0 i
} con i 2
= −1.

Dimostrare che G è un gruppo rispetto al prodotto righe per colonne. Studiare


questo gruppo di ordine 8.
Soluzione - Per ogni M ∈ G si ha detM = 1. G è gruppo perchè in G vale la
Capitolo 2 Gruppi 72
 
1 0
proprietà associativa, la matrice è elemento neutro ed esiste l’inversa di
0 1
ogni matrice. Studiamo il periodo degli elementi (deve essere un divisore di 8).
Periodo 2: I2 = I2−1 .
Periodo 4: I3 , I4 = I3−1 , I5 , I6 = I5−1 , I7 , I8 = I7−1 .
G è isomorfo al gruppo dei quaternioni Q8 nell’isomorfismo ϕ : G → Q8 definito da
ϕ(I1 ) = 1, ϕ(I2 ) = −1, ϕ(I3 ) = i, ϕ(I4 ) = −i, ϕ(I5 ) = j, ϕ(I6 ) = −j, ϕ(I7 ) =
k, ϕ(I8 ) = −k.

Esercizio 2.7.11. Sia


 
G=
a b
c d
{ , ad − bc 6= 0, a, b, c, d ∈ Z3 . }
(1) Dimostrare che G è un gruppo rispetto al prodotto righe per colonne.
(2) Dimostrare che |G| = 48.
(3) Dimostrare che se si richiede ad − bc = 1 allora si ha |G| = 24.
Soluzione -
(1) Tenendo presente le tabelle delle operazioni di somma e prodotto nei
gruppi (Z3 , +) e (Z∗3 , ·), è facile verificare che G è gruppo.
(2) Tutte le matrici quadrate di ordine 2 ad elementi in Z3 sono tante quante le
disposizioni con ripetizione di tre elementi a quattro a quattro e pertanto
sono 34 = 81. Da queste matrici occorre escludere quelle con determinante
nullo, contiamole:
• sia ad = bc 6= 0; le matrici siffatte sono 2 · 4 = 8;
• sia ad = bc = 0; le matrici sono 25 (a 6= 0, d = 0, bc = 0 sono 10
matrici; a = 0, d 6= 0, bc = 0 sono 10 matrici; ad = 0 con a = d = 0
sono 5 matrici).
In totale le matrici con ad − bc = 0 sono 33 e pertanto le matrici di G
sono 81 − 33 = 48.
(3) Per ogni a, b, c, d ∈ Z3 tali che ad − bc = 1 esiste x ∈ Z∗3 tale che (ad −
bc)x = 2 e viceversa per ogni a, b, c, d ∈ Z3 tali che ad − bc = 2 esiste
y ∈ Z∗3 tale che (ad − bc)y = 1 e pertanto le matrici M con detM = 1
sono tante quante le matrici M con detM = 2. Come dimostrato in (2),
le matrici M con detM 6= 0 sono 48 e pertanto le matrici con detM = 1
sono 48
2
= 24.

Esercizio 2.7.12. Sia

 
G= { a b
c d
}
, ad − bc 6= 0, a, b, c, d ∈ Zp , p primo .

(1) Dimostrare che G è un gruppo rispetto al prodotto righe per colonne.


Capitolo 2 Gruppi 73

(2) Dimostrare che |G| = p(p − 1)2 (p + 1).


(3) Dimostrare che se si richiede ad − bc = 1 allora si ha |G| = p(p − 1)(p + 1).
Soluzione -
(1) Tenendo presente le tabelle delle operazioni di somma e prodotto nei
gruppi (Zp , +) e (Z∗p , ·), è facile verificare che G è gruppo.
(2) Tutte le matrici quadrate di ordine 2 ad elementi in Zp sono tante quante le
disposizioni con ripetizione di tre elementi a quattro a quattro e pertanto
sono p4 . Contiamo quelle con determinante nullo, ossia con ad = bc.
• Sia ad = bc 6= 0; poichè per ad 6= 0 si hanno (p − 1)(p − 1) possibilità,
per ogni b 6= 0 rimane univocamente determinato c e pertanto le
matrici con ad = bc 6= 0 sono in totale [(p−1)(p−1)](p−1) = (p−1)3 .
• Sia ad = bc = 0. Se a = d = 0 si hanno (p − 1) possibilità se
b 6= 0, (p − 1) possibilità se c 6= 0, una possibilità se c = b = 0.
Se a 6= 0 si hanno (2p − 1) possibilità (p se b = 0 e (p − 1) se
b 6= 0) e dunque, poichè a 6= 0 per (p − 1) valori, si hanno in totale
(p − 1)(2p − 1) possibilità. Analogamente se d 6= 0. In totale ad =
bc = 0 in 2 · (p − 1) + 1 + 2 · (p − 1)(2p − 1) = 4p2 − 4p + 1 casi.
In totale le matrici con ad−bc = 0 sono (p−1)3 +4p2 −4p+1 = p3 +p2 −p
e pertanto le matrici di G sono p4 − p3 − p2 + p = p(p − 1)2 (p + 1).
(3) In G la relazione 00 avere lo stesso determinante 00 è di equivalenza ed esisto-
no esattamente (p − 1) classi di equivalenza (una per ogni x ∈ Z∗p ). Poichè
per ogni r, s ∈ Z∗p esiste ed è unico t ∈ Z∗p tale che s = rt, come si verifica
facilmente, due classi di equivalenza hanno lo stesso numero di elementi e
|G|
pertanto ogni classe di equivalenza ha esattamente p−1 = p(p − 1)(p + 1)
elementi. Ciò vale anche per la classe i cui elementi hanno determinante
uguale a 1.

Esercizio 2.7.13. Sia G = {(a, b) | a, b ∈ R, a 6= 0} e in G si consideri l’o-


perazione definita da (a, b)(c, d) = (ac, bc + d). Verificare che rispetto a questa
operazione G è un gruppo non abeliano e determinare gli elementi di G che hanno
periodo finito.
Soluzione - G è gruppo perchè vale la proprietà associativa (conseguenza dell’asso-
ciativa di R). L’elemento (1, 0) è elemento neutro. L’inverso di (a, b) è (a−1 , −ba−1 ).
Il gruppo non è abeliano perchè, per esempio, (1, 3)(2, 5) 6= (2, 5)(1, 3). Se (a, b)
ha periodo finito, da (a, b)n = (an , . . .) segue che a deve avere periodo finito e
pertanto si hanno due soli casi: a = 1 oppure a = −1.
Se a = 1 allora (1, b)n = (1, nb) e pertanto (1, nb) = (1, 0) solo per b = 0. Se
a = −1 allora (−1, b)2 = (1, 0) qualunque sia b.
Gli elementi di periodo finito diversi dall’elemento neutro sono dunque gli elementi
del tipo (−1, b); essi hanno tutti periodo 2.
Capitolo 2 Gruppi 74

Esercizio 2.7.14. Sia (G, ·) un gruppo. Dimostrare che per ogni n ∈ Z e per
ogni a, b ∈ G, si ha che:
(1) (ba)n = a−1 (ab)n a.
(2) Gli elementi ab e ba hanno lo stesso periodo.
Soluzione -
(1) (ba)n = ba · . . . · ba} = (a−1 a) ba
| · ba{z · . . . · ba} = a−1 (ab
| · ba{z | · ab{z
· . . . · ab})a =
n volte n volte n volte
a−1 (ab)n a.
(2) Sia o(ba) = n, allora (ba)n = 1 da cui, per quanto dimostrato in (1),
a−1 (ab)n a = 1, (ab)n = aa−1 = 1 e pertanto o(ab) = n perchè se n non
fosse il minimo intero per cui (ab)n = 1, non lo sarebbe nemmeno per ba
ossia n non sarebbe il periodo di a.

Esercizio 2.7.15. Sia G un gruppo di ordine pari. Dimostrare che il numero


degli elementi di G di periodo 2 è dispari.
Soluzione - Sia |G| = 2n. Un elemento di G ha periodo 2 se coincide con il proprio
inverso e pertanto gli elementi di G che non hanno periodo 2 si possono suddividere
in coppie (a, a−1 ) con a 6= a−1 ; gli elementi di G che non hanno periodo 2 sono
pertanto in numero pari, siano 2t, 0 ≤ t < n. Indicando con 1G l’elemento neutro,
gli elementi di G di periodo 2 sono quindi |G| − 1G − 2t = 2n − 1 − 2t = 2(n − t) − 1
ossia sono in numero dispari.

Esercizio 2.7.16.
Determinare tutti i sottogruppi del gruppo diedrico D4 .
Soluzione - Sia D4 = {a0 = 1, a, a2 , a3 , b, ba, ba2 , ba3 }. I sottogruppi sono:
H0 = {1}, H1 =< a2 >= {1, a2 }, H2 = {1, b}, H3 = {1, ba}, H4 = {1, ba2 }, H5 =
{1, ba3 }, H6 =< a >= {1, a, a2 , a3 }, H7 = {1, a2 , b, ba2 }, H8 = D4 .

Esercizio 2.7.17.
Si consideri il gruppo (Q∗ , ·). Determinare in Q∗ i laterali dei sottogruppi H =
{1, −1} e K = {r ∈ Q∗ | r > 0} = Q∗+ .
Soluzione - I laterali di H sono qH = {q, −q} con q ∈ Q∗+ . I laterali di K = Q∗+
sono Q∗+ = K e Q∗− = {e ∈ Q∗ | r < 0}.

Esercizio 2.7.18.
Dimostrare che il Teorema di Lagrange si inverte per i gruppi diedrali Dp con p
numero primo.
Soluzione - |Dp | = 2p e i divisori sono 2 e p. In Dp ci sono i sottogruppi H = {1, b}
con o(b) = 2 e K =< a > con o(a) = p. Dunque |H| = 2, |K| = p. Si noti che il
teorema di Lagrange si inverte in Dp pur essendo questo un gruppo non abeliano
(come il caso del gruppo Q8 dei quaternioni).
CAPITOLO 3

Gruppi di Permutazioni

In questo capitolo studiamo proprietà fondamentali delle permutazioni e i due


gruppi di permutazioni per eccellenza: il gruppo simmetrico e il gruppo alterno.
I gruppi di permutazioni sono importanti perchè ogni gruppo astratto si può
pensare come gruppo di permutazioni (Teorema di Cayley).

1. Permutazioni. Gruppo Simmetrico.

Una permutazione è un’applicazione biunivoca di un insieme in se stesso. Se


σ, τ sono due permutazioni sullo stesso insieme, useremo semplicemente la scrittura
στ per indicare σ ◦ τ .

Definizione 3.1.1. Sia E un insieme non vuoto e sia S l’insieme di tutte


le permutazioni su E. L’insieme S rispetto all’operazione di composizione è un
gruppo detto gruppo simmetrico (o totale) su E e si indica con Sym E oppure
con SE .

Per n ∈ N, n ≥ 3, il gruppo simmetrico è non abeliano.


Nel caso in cui E sia finito di ordine n, il gruppo simmetrico su E è indicato
anche con Sn e risulta |Sn | = n! perchè gli elementi di questo gruppo sono tutte
e sole le disposizioni senza ripetizioni di n oggetti.

Esempio 3.1.2.
Esplicitiamo i gruppi simmetrici per n = 1, 2, 3.
 
1
• E = {1}; S1 = {a1 } con a1 = , |S1 |=1 .
1
   
1 2 1 2
• E = {1, 2}; S2 = {a1 , a2 } con a1 = , a2 = ,
1 2 2 1
|S2 | = 2! = 2.
◦ a1 a2
a1 a1 a2
a2 a2 a1
75
Capitolo 3 Gruppi di Permutazione 76

• E = {1, 2, 3}; 1S3 = {a1 , a2 , a3 , a4 , a5 , a6 } con


     
1 2 3 1 2 3 1 2 3
a1 = , a2 = , a3 = ,
1 2 3 1 3 2 3 2 1
     
1 2 3 1 2 3 1 2 3
a4 = , a5 = , a6 = ,
2 1 3 2 3 1 3 1 2
|S3 | = 3! = 6;
◦ a1 a2 a3 a4 a5 a6
a1 a1 a2 a3 a4 a5 a6
a2 a2 a1 a6 a5 a4 a3
a3 a3 a5 a1 a6 a2 a4
a4 a4 a6 a5 a1 a3 a2
a5 a5 a3 a4 a2 a6 a1
a6 a6 a4 a2 a3 a1 a5
a4 ◦ a3 = a6 6= a5 = a3 ◦ a4 dunque S3 non è commutativo.
Sottogruppi di S3 di ordine 3 : H = {a1 , a5 , a6 }.
Sottogruppi di S3 di ordine 2 : H1 = {a1 , a2 }, H2 = {a1 , a3 }, H3 = {a1 , a4 }.

Esempio 3.1.3.
E = {1, 2, 3, 4};
S4 = {id, a1 , a2 , a3 , a4 , a5 , a6 , a7 , a8 , a9 , b1 , b2 , b3 , b4 , b5 , b6 , b7 , b8 , c1 , c2 , c3 , c4 , c5 , c6 } con
id = identità a1 = ( 1 2 ); a2 = ( 1 3 );
a3 = ( 1 4 ); a4 = ( 2 3 ); a5 = ( 2 4 );
a6 = ( 3 4 ); a7 = ( 1 2 )( 3 4 ); a8 = ( 1 3 )( 2 4 );
a9 = ( 1 4 )( 2 3 ); b1 = ( 2 3 4 ); b2 = ( 2 4 3 );
b3 = ( 1 3 4 ); b4 = ( 1 4 3 ); b5 = ( 1 2 4 );
b6 = ( 1 4 2 ); b7 = ( 1 2 3 ); b8 = ( 1 3 2 );
c1 = ( 1 2 3 4 ); c2 = ( 1 4 3 2 ); c3 = ( 1 2 4 3 );
c4 = ( 1 3 4 2 ); c5 = ( 1 4 2 3 ); c6 = ( 1 3 2 4 ).
• Sottogruppi di ordine 2. Sono nove, ossia tanti quanti gli elementi di
periodo 2: W = {id, α} con α ∈ {a1 , a2 , a3 , a4 , a5 , a6 , a7 , a8 , a9 }.
• Sottogruppi di ordine 3. Sono quattro: K = {id, α, α−1 } con α ∈ {b1 , b3 , b5 , b7 }.
• Sottogruppi di ordine 4. I loro elementi devono avere periodo 2 o 4:
H1 = {id, c1 , c21 , c31 } H2 = {id, c3 , c23 , c33 } H3 = {id, c5 , c25 , c35 }
H4 = {id, a7 , a8 , a9 } H5 = {id, a1 , a6 , a7 } H6 = {id, a2 , a5 , a8 }
H7 = {id, a3 , a4 , a9 }
• Sottogruppi di ordine 6. Esistono, ad esempio H = {id, a1 , a3 , a5 , b5 , b6 } =
W K con W = {id, a1 } , K = {id, b5 , b6 }.
Capitolo 3 Gruppi di Permutazione 77

• Sottogruppi di ordine 8. Esistono, ad esempio H = {id, a1 , a6 , a7 , a8 , a9 , c5 , c6 } =


W K con W = {id, a1 } , K = {id, a7 , a8 , a9 }.
• Sottogruppi di ordine 12. E’ uno solo
H = {id, a7 , a8 , a9 , b1 , b2 , b3 , b4 , b5 , b6 , b7 , b8 }

Definizione 3.1.4. Sia E un insieme non vuoto e sia r ∈ N tale che 1 ≤ r ≤


|E|. Si definisce ciclo di lunghezza r (o r-ciclo) ogni elemento α ∈ Sym A che
permuta ciclicamente r elementi di e e fissa tutti i rimanenti.
Un ciclo di lunghezza 2 è detto trasposizione.

In altre parole, una permutazione α ∈ SymE è un r-ciclo nel caso in cui in E


esistano r elementi distinti i1 , i2 , . . . , ir tali che α(i1 ) = i2 , α(i2 ) = i3 , . . . , α(ir−1 ) =
ir , α(ir ) = i1 e α(x) = x per ogni x ∈ E − {i1 , i2 , . . . , ir }.

Si usa rappresentare un r-ciclo con una notazione a una riga ossia si scrive un
elemento del ciclo, alla sua destra la sua immagine e così via fino alla chiusura del
ciclo. Ad esempio se E = {1, 2, 3, 4, 5, 6} la permutazione su E data da:
 
1 2 3 4 5 6
α=
3 2 4 6 5 1
è un ciclo di lunghezza 4 e più semplicemente si scrive:
α=( 1 3 4 6 )=( 3 4 6 1 )=( 4 6 1 3 )=( 6 1 3 4 )

Si noti che le seguenti rappresentazioni definiscono tutte lo stesso ciclo:


( a1 a2 · · · an ), ( a2 a3 · · · an a1 ), ( a3 a4 · · · an a1 a2 ), ecc..

Esempio 3.1.5.
In S7 le permutazioni:
 
1 2 3 4 5 6 7 
a= = 1 2 5 4 6 3
2 5 1 6 4 3 7
 
1 2 3 4 5 6 7 
b= = 1 3 5 6 2
3 1 5 4 6 2 7
 
1 2 3 4 5 6 7 
c= = 1 2
2 1 3 4 5 6 7
sono rispettivamente un 6-ciclo, un 5-ciclo e una trasposizione.
Capitolo 3 Gruppi di Permutazione 78

La permutazione:
 
1 2 3 4 5 6 7
d=
2 1 3 4 6 7 5
non è un r-ciclo per nessun r ∈ N.

Definizione 3.1.6. Due cicli α, β ∈ Sym E sono detti disgiunti se sono


disgiunti i due insiemi: {x ∈ E | α(x) 6= x} e {x ∈ E | β(x) =
6 x}

Esempio 3.1.7.
Consideriamo in S7 i cicli:
 
1 2 3 4 5 6 7 
a= = 1 2 3 5 7
 2 3 5 4 7 6 1
1 2 3 4 5 6 7 
b= = 4 6
1 2 3 6 5 4 7
 
1 2 3 4 5 6 7 
c= = 4 5 6
1 2 3 5 6 4 7
I cicli a e b sono disgiunti; i cicli a e c non sono disgiunti, cosí come i cicli b e c.

Nota 3.1.8.
(1) Dalla definizione 3.1.6 segue che se α e β sono cicli disgiunti, allora α(x) 6=
x implica β(x) = x. Inoltre se i cicli α e β sono disgiunti, risulta αβ = βα
ossia due cicli disgiunti commutano.
(2) Se due trasposizioni non sono disgiunte si ha (a b)(b c) = (b c)(a c).

00
I cicli sono permutazioni molto importanti perchè risultano essere i numeri
primi 00 con cui costruire tutte le permutazioni.

Teorema 3.1.9. Sia E di ordine finito, |E| = n. Ogni permutazione α ∈ Sn


si può scomporre in modo unico nel prodotto di cicli disgiunti.
Dimostrazione. Sia α ∈ Sn ; definiamo in E la relazione
x ∼ y ⇔ y = αm (x) , m∈N
Questa è una relazione di equivalenza e quindi gli elementi di E vengono ri-
partiti in classi di equivalenza. Una classe di equivalenza ha un solo elemento x
se e solo se α(x) = x; in caso contrario gli elementi della classe sono permutati
ciclicamente da α.
Capitolo 3 Gruppi di Permutazione 79

Siano C1 , C2 , . . . , Ct le classi di equivalenza aventi ciascuna piú di un elemento,


ossia le classi formate dagli elementi non fissati da α. Per ogni Ci definiamo la
permutazione βi : E 7−→ E tale che βi (x) = α(x) per ogni x ∈ Ci , e βi (x) = x
per ogni x ∈ E − Ci . La permutazione βi permuta ciclicamente gli elementi di
Ci e fissa gli elementi di E − Ci e perciò, a partire dalle classi C1 , C2 , . . . , Ct , si
ottiene una scomposizione di α in cicli disgiunti α = β1 β2 . . . βt (l’ordine non ha
importanza perchè essendo cicli disgiunti commutano fra loro).
La scomposizione di α in cicli disgiunti cosí ottenuta è unica, infatti sia α =
γ1 γ2 . . . γs con γi cicli disgiunti, i = 1, . . . , s. Se γi = x1 x2 . . . xh si ha
α(x1 ) = x2 , α(x2 ) = x3 = α2 (x1 ), . . . , αh−1 (x1 ) = xh , αh (x1 ) = x1
e perciò x1 , x2 , . . . , xh sono tutti e soli gli elementi di una classe di equivalenza
Cr e pertanto γi = βr . Ne segue che s = t e che le scomposizioni α = β1 . . . βt e
α = γ1 . . . γt coincidono a meno dell’ordine dei fattori. 

Esempio 3.1.10.  
1 2 3 4 5 6 7
In S7 considerata la permutazione: α = si ha
2 1 4 5 3 7 6
α = (1 2)(3 4 5)(6 7) = (3 4 5)(1 2)(6 7).

Nota 3.1.11. Se f ∈ Sn − {id} e f = σ1 σ2 . . . σt è una scomposizione di f in


cicli disgiunti, allora il periodo di f è il m.c.m. delle lunghezze dei cicli σi .

Teorema 3.1.12. Ogni permutazione di Sn è il prodotto di trasposizioni.


Dimostrazione. Poichè ogni permutazione di Sn è il prodotto di cicli disgiun-
ti, basta provare che un ciclo è prodotto di trasposizioni. Poichè risulta
( a1 a2 . . . am ) = ( a1 am )( a1 am−1 )( a1 am−2 ) . . . ( a1 a2 )
il teorema è provato. 

Nota 3.1.13. La scomposizione di un ciclo nel prodotto di trasposizioni non


è univocamente determinata. Per esempio in S4 si ha:
  
α= 1 2 3 = 1 3 1 2
ma anche
    
α= 1 2 3 = 1 4 1 3 3 4 1 2

Teorema 3.1.14. La permutazione identità 1E ∈ SE , |E| = n, non può


essere espressa come prodotto di un numero dispari di trasposizioni.
Capitolo 3 Gruppi di Permutazione 80

Dimostrazione. Iniziamo con l’osservare che 1E non può essere espressa da


esattamente una trasposizione perchè se 1E = (a b) si ha 1E (a) = b 6= a e ciò è
assurdo. Supponiamo sia
(1) 1E = γ1 γ2 . . . γ2t+1 , t ≥ 1, γi trasposizioni di SE .
Sia a ∈ E un elemento che compare in almeno una trasposizione γi . Poichè due
trasposizioni o sono disgiunte e quindi commutano oppure, se non sono disgiunte,
si ha (a b)(a c) = (a c)(b c), si può scrivere la (1) in modo che le trasposizioni che
contengono l’elemento a siano le prime r, ossia
(2) 1E = δ1 δ2 . . . δr δr+1 . .. δ2t+1 
con δ1 = a x1 , δ2 = a x2 , . . . , δr = a xr mentre le trasposizio-
ni δr+1 , . . . , δ2t+1 fissano l’elemento a perchè non lo contengono. Se gli elementi
x1 , x2 , ..., xr non sono tutti distinti, considerati δm = (a xm ) = δn = (a xn ), con gli
opportuni scambi si portano δm e δn consecutivi e si eliminano perchè δm δn = 1E .
Nella decomposizione di 1E a cui si perviene dopo queste operazioni, si possono
avere due casi:
• Esistono delle trasposizioni contenenti a: siano σ1 = (a y1 ), ..., σs = (a ys )
con yi 6= yj per i 6= j, 1E = σ1 σ2 . . . σs σs+1 . . . σh . In tal caso considerata
σi = (a yi ), 1 ≤ i ≤ s si ha 1E (a) = yi 6= a e ciò è assurdo.
• Non esistono trasposizioni contenenti a. Ciò significa che in (1) le tra-
sposizioni contenenti l’elemento a si sono a due a due 00 eliminate00 , ossia
in (1) le trasposizioni che contenevano a erano in numero pari e pertan-
to la permutazione identità rimane scomposta in un numero dispari di
trasposizioni in cui non figura più l’elemento a. Ripetendo quanto fatto
per l’elemento a per ogni elemento che compare nella scomposizione della
permutazione identità, si ottiene la scomposizione 1E = ϕ1 ϕ2 · · · ϕ2k+1 ,
k ≥ 0, in cui gli elementi che compaiono nelle trasposizioni ϕi sono tutti
diversi fra loro e ciò è assurdo perchè se ϕi = (a b) è una qualunque di
queste, si ha 1E (a) = b 6= a.


Dal teorema ora dimostrato segue una importante proprietà delle permutazioni:
il numero di trasposizioni in cui si può scomporre una permutazione è o sempre
pari o sempre dispari.

Teorema 3.1.15. Sia α ∈ SE , |E| = n, α = α1 α2 . . . αh e α = β1 β2 . . . βk


con αi e βj trasposizioni per i = 1, 2, . . . , h e j = 1, 2, . . . , k. Allora risulta
h ≡ k mod 2.
Dimostrazione. Poichè ogni trasposizione coincide con la propria inversa si
ha α−1 = βk . . . β1 e 1E = α ◦ α−1 = α1 α2 . . . αh ◦ βk βk−1 . . . β1 . Nel caso in cui h e
k siano uno pari e l’altro dispari, significa che è possibile scrivere 1E come prodotto
Capitolo 3 Gruppi di Permutazione 81

di un numero dispari di trasposizioni e ciò è assurdo per quanto dimostrato nel


teorema precedente. 

La proprietà invariante dimostrata nel teorema precedente permette di dare la


seguente definizione.

Definizione 3.1.16. Sia α una permutazione su E finito. Si dice che α è di


classe pari (rispettivamente classe dispari ) se α si può scrivere come prodotto
di un numero pari (rispettivamente dispari) di trasposizioni.

Nota 3.1.17.
• Un ciclo di lunghezza r è pari se e solo se r è dispari.
• La permutazione identità è di classe pari (vedi teorema 3.1.14).

Teorema 3.1.18. Sia E = {1, 2, . . . , n},  fissato i ∈ E il gruppo Sn


 per ogni
è generato dalle n − 1 trasposizioni i 1 , i 2 ,..., i j ,..., i n
con i 6= j.
Dimostrazione.
 Per n = 1 e n = 2 la tesi è banalmente
  Sia n> 2 e sia
vera.
r s una trasposizione con i 6= r, s. Si ha r s = i r i s i r
e pertanto ogni elemento di Sn può essere scomposto nel prodotto di trasposizioni
del tipo    
i 1 , i 2 ,..., i j ,..., i n con i 6= j.


Teorema 3.1.19. Sia (G, ·) un sottogruppo di Sn generato


 da un n-ciclo
σ = ( i1 i2 . . . in ) e dalla trasposizione τ = ik ik+1 . Allora G = Sn .
Dimostrazione. Ordinando opportunamente
 {1, 2, . . . , n} si può assumere
σ = ( 1 2 . . . n ) e τ = 1 2 .
Si ha σ 1 2 σ −1 = 2 3 , σ 2 3 σ −1 = 3 4 , . . . , σ n − 2 n − 1 σ −1 =
  

n − 1 n e pertanto per ogni r = 2, 3, ..., n la trasposizione (r − 1 r) ∈ G.


Poichè in G esistono la trasposizione τ = (1 2) e le trasposizioni (r − 1 r)
per ogni r = 2, 3, ..., n, procedendo ricorsivamente, si ottiene che in G esistono le
trasposizioni:
(1 3) = (2 3)(1 2)(2 3)
(1 4) = (3 4)(1 3)(3 4)
..
.
Capitolo 3 Gruppi di Permutazione 82

(1 n) = (n − 1 n)(1 n − 1)(n − 1 n).


  
Per il teorema precedente le trasposizioni 1 2 , 1 3 , . . . , 1 n ge-
nerano Sn e pertanto rimane provato che G = hσ, τ i = Sn . 

2. Gruppo Alterno

Definizione 3.2.1. L’insieme delle permutazioni pari di Sn forma un sotto-


gruppo di Sn detto gruppo alterno su n elementi e indicato con An .

Teorema 3.2.2. Se n > 1 si ha:


n!
|An | = 2

Dimostrazione. Sia An = {p1 , p2 , . . . , pt }, |An | = t l’insieme delle permuta-


zioni di classe pari e sia Sn − An = {q1 , q2 , . . . , qv }, |Sn − An | = v, l’insieme delle
permutazioni di classe dispari. Sia α una qualunque trasposizione.
L’insieme αAn = {αp1 , αp2 , . . . , αpt } è costituito da t permutazioni dispari e
quindi t ≤ v. Analogamente α (Sn − An ) = {αq1 , αq2 , . . . , αqv } è costituito da v
permutazioni pari e quindi v ≤ t. Risulta pertanto v = t = 12 |Sn | = 21 n!. 

Teorema 3.2.3. Sia E = {1, 2, . . . , n} con n ≥ 3, siano i, j ∈ E, i 6= j. Il


gruppo alterno An è generato dagli n − 2 cicli di lunghezza tre:
   
i j 1 , i j 2 ,..., i j k ,..., i j n con k 6= i, j.
Dimostrazione. Fissato i ∈ E il gruppo Sn è generato dalle n − 1 trasposi-
zioni
(i h) con h ∈ E − {i}
e perciò ogni elemento di An può essere espresso come prodotto di un numero pari
di queste trasposizioni, ma due trasposizioni consecutive possono essere associate
e diventare quindi un 3-ciclo (a meno che i fattori non siano  uguali, nelqual
caso il loro prodotto è l’identità), ad esempio i s i r = i r s con
(r 6= s ; i 6= r, s). Dunque An è generato dai 3-cicli.

Se n = 3 il teorema è banalmente vero essendo An = 1 2 3 . Sia n ≥ 4
e sia j ∈ E, i 6= j; si ha
  
i r j = i j r i j r
inoltre se r, s ∈ E − {i, j} si ha
   
i r s = i j s i j r i j r
Capitolo 3 Gruppi di Permutazione 83

e pertanto ogni 3-ciclo si può scrivere come prodotto di 3-cicli del tipo
   
i j 1 , i j 2 ,..., i j k ,..., i j n con k 6= i, j.
Poichè An è generato dai 3-cicli, rimane provato che An è generato dai 3-cicli del
tipo
   
i j 1 , i j 2 ,..., i j k ,..., i j n con k 6= i, j.


Permutazioni pari e ... gioco.


A conclusione di questo capitolo illustriamo un gioco per il quale è determinante
la nozione di permutazione pari.
Fu inventato nel XIX secolo da Sam Loyd (1841 − 1911) . Si tratta di un
supporto quadrato contenente quindici tessere, numerate da 1 a 15, che possono
muoversi entro una griglia 4 × 4; delle sedici posizioni possibili, una è libera. Le
tessere devono essere posizionate in successione da 1 a 15 dopo essere state mesco-
late da una serie di mosse fatte a caso. Ogni mossa scambia lo spazio libero con
una tessera ad esso confinante (a lato, in alto, in basso).

1 2 3 4
5 6 7 8
9 10 11 12
13 14 15

Loyd dispose le tessere in ordine da 1 a 13, scambiò fra loro solo le ultime due
tessere, la 14 e la 15, e lasciò libero lo spazio posto nell’angolo in basso a destra
della griglia. Loyd lanciò la sfida di rimettere in ordine le tessere dalla 1 alla 15
con libera l’ultima casella in basso a destra, offrì una altissima ricompensa a chi
fosse riuscito a risolvere questo problema. I suoi soldi erano però al sicuro, perchè
lui sapeva che il problema è impossibile da risolvere.
L’impossibilità è dovuta alla differenza fra permutazioni pari e permutazioni
dispari. Una permutazione che trasponga la posizione di due tessere lasciando
inalterato tutto il resto è una trasposizione ossia è una permutazione dispari.
Lo scambio delle tessere 14 e 15 è dunque una permutazione dispari. Se im-
maginiamo di colorare i sedici spazi in bianco e nero, come una scacchiera, allora
ogni mossa libera lo spazio da bianco a nero o da nero a bianco perchè ogni mossa
scambia lo spazio libero con una tessera ad esso confinante. Se dunque il gioco
deve terminare con libera la casella che era libera all’inizio del gioco, il numero di
mosse da fare deve necessariamente essere pari.
Capitolo 3 Il gruppo Simmetrico e il gruppo Alterno 84

Nel caso proposto da Loyd, non è dunque possibile arrivare a trasporre solo due
tessere e rimettere tutto il resto nella posizione iniziale perchè ciò equivarrebbe a
una permutazione dispari.

3. Esercizi relativi al Capitolo 3

Esercizio 3.3.1.
Determinare se le seguenti permutazioni sono di classe pari o di classe dispari.
 
1 2 3 4 5 6 7
(1) α = .
2 3 1 6 7 5 4
Si scompone
 in      
1 2 3 4 6 5 7 = 1 3 1 2 4 7 4 5 4 6
e pertanto α di segno dispari.
 
1 2 3 4 5
(2) β = .
2 1 4 3 5
  
Si scompone in 1 2 3 4 5 e pertanto β è di segno pari.
 
1 2 3 4 5 6 7 8
(3) γ = .
2 3 5 1 7 6 4 8
  
Si scompone in 1 2 3 5 7 4 6  8 e pertanto γ è di segno
dispari perchè γ = 1 4 1 7 1 5 1 3 1 2 .
 
1 2 3 4 5 6
(4) δ = .
2 3 1 5 4 6
     
Si scompone in 1 2 3 4 5 6 = 1 3 1 2 4 5
e pertanto δ è di segno dispari.

Esercizio 3.3.2.
Sia p un numero primo. Dimostrare che Sp è generato da τ e ρ con τ una qua-
lunque trasposizione e ρ un p-ciclo.
 - Con un opportuno ordinamento di {1, 2, ..., p} si può supporre τ =
Soluzione
1 2 . Essendo ρ un ciclo di lunghezza p primo, esiste il p−ciclo σ = ρk tale che
σ(1) = 2. Il p-ciclo σ e la trasposizione τ soddisfano le ipotesi del teorema 3.1.19
e pertanto < τ, σ >=< τ, ρ >= Sn .
Capitolo 3 Il gruppo Simmetrico e il gruppo Alterno 85

Esercizio 3.3.3.
Determinare tutti i sottogruppi del gruppo alterno A4 e dimostrare che non possiede
sottogruppi di ordine 6.
Soluzione - I dodici elementi di A4 sono dei seguenti tipi : identità, (abc), (ab)(cd);
in particolare esistono otto 3-cicli e tre prodotti di trasposizioni disgiunte. Per
il Teorema di Lagrange gli ordini possibili per i sottogruppi propri di A4 sono:
2, 3, 4, 6.
• Sottogruppi di ordine 2. Sono S1 =< (12)(34) >, S2 =< (13)(24) >,
S3 =< (14)(23) > perchè sono i sottogruppi generati dagli elementi di
periodo 2.
• Sottogruppi di ordine 3. Sono H1 =< (123) >, H2 =< (124) >,
H3 =< (134) >, H4 =< (234) > perchè sono i sottogruppi generati dai
3-cicli.
• Sottogruppi di ordine 4. E’ il solo K = {id., (12)(34), (13)(24), (14)(23)}.
Infatti poichè gli elementi di A4 sono permutazioni su 4 elementi, in A4
non può esserci un elemento di periodo 4 perchè sarebbe un 4-ciclo che è
una permutazione di classe dispari; l’unica possibilità per un sottogruppo
di ordine 4 è che esso sia il gruppo di Klein, ossia
K = {id., (12)(34), (13)(24), (14)(23)}.
• Sottogruppi di ordine 6. Non ne esistono. Infatti supponiamo per assurdo
che R sia un sottogruppo proprio di ordine 6. R non può contenere K
perchè 4 - 6, inoltre, se Hi , Sj ⊆ R, operando sugli elementi di Hi ed Sj
in tutti i possibili modi, si ottiene tutto A4 ; analogamente se si considera
il caso Hi , Hj ⊆ R.
CAPITOLO 4

Sottogruppi normali e gruppo quoziente

Sia (G, ·) un gruppo e H un suo sottogruppo. Se si considerano le classi laterali


destre e sinistre, non sempre aH = Ha. Studiamo il caso in cui vale l’uguaglianza.
Lo studio dei sottogruppi per i quali vale l’uguaglianza, oltre ad un suo valo-
re intrinseco, è di massima importanza perchè questi sottogruppi permettono di
costruire la struttura di gruppo quoziente.

1. Sottogruppi normali. Gruppo Quoziente.

Definizione 4.1.1. Sia N un sottogruppo di (G, ·), sia g ∈ G e sia gN g −1 =


{gng −1 | n ∈ N }. Il sottogruppo N è detto normale (o invariante) in G se
gN g −1 = N per ogni g ∈ G. In tal caso si scrive N C G.

Esempio 4.1.2.
(1) Ogni sottogruppo di un gruppo abeliano è normale.
(2) I sottogruppi
 banali  sono normali. 
a b
(3) Sia G = | a, b, c, d ∈ Q, ad − bc 6= 0 , G è un gruppo rispetto
c d
al prodotto righe
per colonne.
 
a b
(a) Sia H = | a, b, c, d ∈ Q, ad − bc = 1 . Risulta H C G;
c d
infatti per le proprietà del determinante di una matrice si ha che per
ogni A ∈ G e per ogni B ∈ H risulta det(ABA−1 ) = det(A) · det(B) ·
1
= det(B) = 1 e perciò ABA−1 ∈ H per ogni A ∈ G e per
det(A)
ogni B ∈ H.  
a b 2 2
(b) Sia K = | a, b, c, d ∈ Q, a + b 6= 0 . Risulta K sotto-
−b a
gruppo di G, ma K non è sottogruppo normale in G; infatti sia

   
1 2 2 1
M= ∈GeA= ∈ K;
1 3 −1 2
86
Capitolo 4 Sottogruppi normali e gruppo quoziente 87
 
−1 −5 5
risulta M AM = 6∈ K.
−10 9

Teorema 4.1.3. N C G se e solo se gN g −1 ⊆ N per ogni g ∈ G.


Dimostrazione. Se N C G allora gN g −1 = N per ogni g ∈ G ed è ovvio
che gN g −1 ⊆ N per ogni g ∈ G. Viceversa se per ogni g ∈ G risulta gN g −1 ⊆ N ,
−1
poichè g −1 ∈ G si ha g −1 N (g −1 ) ⊆ N , g −1 N g ⊆ N ossia per ogni n ∈ N si ha
g −1 ng = n̄ ∈ N da cui n = gn̄g −1 ∈ gN g −1 e perciò N ⊆ gN g −1 . Unitamente a
gN g −1 ⊆ N si conclude che gN g −1 = N per ogni g ∈ G e quindi N C G. 

Si osservi che dalla definizione di sottogruppo normale e dal teorema ora


dimostrato, le condizioni riportate nella seguente nota sono equivalenti.

Nota 4.1.4. Dato un gruppo (G, ·), un suo sottogruppo N è normale in G se


è verificata una delle seguenti condizioni:
(1) gng −1 ∈ N , per ogni g ∈ G, per ogni n ∈ N .
(2) gN g −1 ⊆ N , per ogni g ∈ G.
(3) gN g −1 = N , per ogni g ∈ G.
(4) gN = N g, per ogni g ∈ G.

Teorema 4.1.5. Sia (G, ·) un gruppo. Se H è un sottogruppo di G di indice


2, allora H è sottogruppo normale di G.
Dimostrazione. Sia H sottogruppo di G di indice 2. Allora esistono esatta-
mente 2 laterali destri di H ed esattamente 2 laterali sinistri di H, siano rispet-
tivamente H, Ha e H, aH con ovviamente a 6∈ H. Per ogni x ∈ G, x ∈ / H si ha
pertanto Hx = G − H e xH = G − H e quindi xH = Hx per ogni x ∈ G, ossia
H C G. 

Esempio 4.1.6.

(1) Il gruppo alterno An è sottogruppo normale del gruppo simmetrico Sn


perché An é di indice 2 in Sn .
(2) Consideriamo il gruppo simmetrico (S3 , ◦), S3 = {a1 , a2 , a3 , a4 , a5 , a6 } con
     
1 2 3 1 2 3 1 2 3
a1 = , a2 = , a3 = ,
1 2 3 1 3 2 3 2 1
     
1 2 3 1 2 3 1 2 3
a4 = , a5 = , a6 = .
2 1 3 2 3 1 3 1 2
Capitolo 4 Sottogruppi normali e gruppo quoziente 88

R = {a1 , a2 } è sottogruppo di S3 , ma R non è normale in S3 perché, per


esempio, Ra3 = {a4 , a6 } =6 a4 R = {a4 , a5 }. Analogamente T = {a1 , a3 } e
V = {a1 , a4 } sono sottogruppi di S3 ma non normali in S3 . Se invece si
considera il gruppo alterno A3 = {a1 , a5 , a6 }, esso è sottogruppo di S3 ed
è normale in S3 perché è di indice 2 = 63 .

Se (G, ·) è un gruppo e N / G, allora a partire da G e da N si può costruire un


altro gruppo.

G G
Teorema 4.1.7. Siano (G, ·) un gruppo, N / G, N
= {gN | g ∈ G}. N
è
gruppo rispetto all’operazione g1 N · g2 N = g1 g2 N .
G
Dimostrazione. In N definiamo la seguente operazione ”·” : g1 N · g2 N =
g1 g2 N .
Verifichiamo che la definizione è ben posta, ossia se g1 N = h1 N e g2 N = h2 N
allora g1 g2 N = h1 h2 N . Infatti da g1 N = h1 N si ha h1 = g1 n1 con n1 ∈ N e da
g2 N = h2 N si ha h2 = ge n2 con n2 ∈ N . Risulta h1 h2 = g1 n1 g2 n2 = g1 g2 n¯1 n2
con n¯1 ∈ N (perchè N / G e quindi N g2 = g2 N ), dunque h1 h2 ∈ g1 g2 N ossia
h1 h2 N = g1 g2 N .
G
Rispetto a questa operazione N è un gruppo, infatti
• vale la proprietà associativa: (gN · hN ) · zN = ghN · zN = ghzN =
g (hz) N = gN · (hzN ) = gN · (hN · zN ) ;
• esiste l’elemento neutro: 1G · N = N ;
• esiste l’elemento inverso: per ogni gN esiste g −1 N tale che gN · g −1 N =
gg −1 N = N.


Nota 4.1.8.
• Il gruppo ( N G
, ·) determinato nel teorema precedente è detto 00 gruppo quo-
ziente G modulo N 00 o semplicemente 00 G quoziente N 00 .
• La condizione che N sia normale è essenziale perchè l’operazione sia ben
definita. Infatti, con riferimento all’esempio 4.1.6, se in (S3 , ◦), S3 =
{a1 , a2 , a3 , a4 , a5 , a6 }, consideriamo H = {a1 , a2 }, g1 = a2 , h1 = a1 , g2 =
a3 , h2 = a6 , si ha che a2 ◦ H = a1 ◦ H, a3 ◦ H = a6 ◦ H ma a2 ◦ a3 ◦ H 6=
a1 ◦ a6 ◦ H. Questo perchè H non è normale in S3 .

Esempio 4.1.9.
(1) (Z, +) gruppo abeliano allora ogni suo sottogruppo è normale: < n > / Z.
Si ha (Z,+)
<n>
= {< n > +m | m ∈ Z} = Zn .
Capitolo 4 Sottogruppi normali e gruppo quoziente 89

(2) Rispetto
 al prodotto
 riga per colonna 
a b
G= | a, b, c, d ∈ Q, ad − bc 6= 0 è un gruppo.
c d
  
a b
N = | a, b, c, d ∈ Q, ad − bc = 1 è un sottogruppo normale
c d
G
di G, N / G. Il gruppo quoziente N è il gruppo i cui elementi sono le
classi di matrici aventi lo stesso determinante. Infatti se g 0 ∈ gN allora
g 0 = gn e poichè det(n) = 1, det(g 0 ) = det(gn) = det(g) · det(n) segue
det(g 0 ) = det(g).

Nota 4.1.10. Si osservi che


G
(1) Se H / G, H di indice finito i, allora H = i.
G
(2) Se H / G con |G| = n finito, |H| = m, allora H = n.
m
(3) Il quoziente di due gruppi entrambi infiniti può essere sia un gruppo finito
sia un gruppo infinito (vedi esempio 4.1.9).

2. Gruppi Semplici.

Definizione 4.2.1. Un gruppo si dice semplice se ha come sottogruppi nor-


mali solo i sottogruppi banali.

Esistono gruppi semplici? Sì. Ad esempio, per il Teorema di Lagrange ogni


gruppo finito di ordine un numero primo è semplice.
Si conoscono tutti i gruppi semplici finiti (il lavoro è stato terminato intorno al
1980). Esistono 18 famiglie infinite di gruppi semplici finiti e 26 gruppi non inclusi
in nessuna di queste famiglie e per questo detti ”sporadici”. Fra questi gruppi
sporadici ve ne è uno scoperto nel 1982 da R. Griess ed avente 8 · 1053 elementi.

Studiamo ora per quali valori di n il gruppo alterno An è semplice. Dimostriamo


dapprima il seguente teorema.

Teorema 4.2.2. Sia n ≥ 3; se un sottogruppo normale N di An contiene un


3-ciclo allora N = An .
Capitolo 4 Sottogruppi normali e gruppo quoziente 90

Dimostrazione. Sia n = 3; poichè i 3-cicli possibili sono solo a = (1 2 3) e


a = (1 3 2) e tenuto conto che A3 = {id., a, a−1 }, si ha che se il sottogruppo
−1

N contiene il 3-ciclo a (rispettivamente a−1 ) allora contiene anche il 3-ciclo a−1


(rispettivamente a) e pertanto N = A3.
Sia n
 > 3 e supponiamo
 1 2 3 ∈ N / An ; consideriamo in An l’elemento
3 k 1 2 con k 6= 1, 2, 3 (esiste
 certamente perchè è una permutazione pari
e n ≥ 4). Considerati 1 2 3 ∈ N , 3 k 1 2 ∈ An , poichè N / An
  −1     
e 3 k 1 2 = 1 2 3 k , si ha 3 k 1 2 · 1 2 3 ·
1 2 3 k ∈ N , ossia 2 1 k ∈ N per ogni k 6= 1, 2, 3; inoltre anche
(2 1 3) ∈ N perchè è l’elemento inverso dell’elemento (1 2 3) ∈ N . Quindi
1 2 j ∈ N per ogni j 6= 1, 2 e questi (n − 2) 3-cicli generano An (vedi
teorema 3.2.3) e pertanto N = An . 

Teorema 4.2.3. Il gruppo alterno An è semplice per ogni n ≥ 5.


Dimostrazione. Sia n ≥ 5 e sia N / An con N 6=< 1 >; dimostriamo che
N = An . Sia α ∈ N , α 6= 1, α elemento fra quelli che fissano il massimo numero di
elementi e consideriamo la permutazione α scritta come prodotto di cicli disgiunti.
Suddividiamo la dimostrazione in tre parti, dimostriamo che:
(1) ogni ciclo della scomposizione di α è di lunghezza ≤ 3;
(2) se nella scomposizione di α esiste un ciclo di lunghezza 3 allora esso è
l’unico ciclo di α;
(3) nella scomposizione di α non possono esistere due cicli di lunghezza 2.
Dimostrazione di (1). Supponiamo per assurdo che esista α ∈ N nella cui
scomposizione figuri un ciclo di lunghezza
 almeno 4, sia
α = 1 2 3 4 ... i j ... ... . Consideriamo la permutazione
 −1  
β = 1 2 3 α 1 2 3 = 2 3 1 4 ... i j ... ... ; poichè
N / An segue β ∈ N , e pertanto β −1 α ∈ N e risulta β −1 α = (2) 3 1 ... ... .


Inoltre si ha che se α(x) = x, x 6= 1, 2, 3, allora anche β(x) = x e β −1 α(x) = x.


La permutazione β −1 α è diversa dall’identità, è un elemento di N ed è tale che
β −1 α(2) = 2 e perciò β −1 α fissa almeno un elemento in piú di α contro l’ipotesi
fatta su α.
Dimostrazione di (2). Supponiamo per assurdo  che nellascomposizione di α ci
sia un ciclo di lunghezza 3, sia α = 1 2 3 4 5 ... ... . Consideriamo la
 −1  
permutazione γ = 4 1 2 α 4 1 2 = 1 5 ... 2 4 3 ... . Si
ha γ ∈ N perchè N /An e pertanto γα ∈ N con γα 6= id., γα = (2) 1 4 ... ... .
Inoltre si ha che se α(x) = x allora anche γ(x) = x e γα(x) = x e pertanto, poichè
γα(2) = 2, si ha che γα fissa piú elementi di α contro l’ipotesi.
Capitolo 4 Sottogruppi normali e gruppo quoziente 91

Dimostrazione di (3). Supponiamo per assurdo che nella scomposizione


  di α in
cicli disgiunti ci siano due cicli di lunghezza 2, sia α = 1 2 3 4 ... . Con-
 −1  
sideriamo la permutazione δ = 1 2 5 α 1 2 5 = 2 5 3 4  ...;
poichè N /An si ha δ ∈ N e perciò δα ∈ N con δα 6= id., δα = (3) (4) 2 1 5 ... .
Ora, solo l’elemento 5 potrebbe risultare fissato da α ma non da δ, ma ogni altro
elemento fissato da α è anche fissato da δ. Dunque δα fissa tutti gli elementi fissati
da α tranne al piú l’elemento 5, ma δα fissa sia il 3 che il 4 che non sono fissati da
α e perciò δα fissa almeno un elemento più di α e ciò è assurdo.
Da (1), (2), (3) segue che α è un 3-ciclo oppure una trasposizione. Poichè α
è di classe pari non può essere una trasposizione e perciò α è un 3-ciclo. Per il
teorema precedente segue allora N = An . 

A completamento del teorema precedente, esaminiamo i casi An per n=1,2,3,4.


• A1 , A2 , A3 sono semplici perchè non hanno sottogruppi diversi da quelli
banali.
• A4 non è semplice. Infatti | A4 |= 12 e in A4 ci sono  tre elemen-

ti di periodo
 2:
 α = 1 2 3 4 , β = 1 3 2 4 , γ =
1 4 2 3 . Gli altri elementi di periodo 2 di S4 sono semplici
trasposizioni e quindi non appartengono ad A4 , dunque α, β, γ sono tutti
e soli gli elementi di A4 di periodo 2. Sia H = {id., α, β, γ}, H è sotto-
gruppo di A4 ed è normale in A4 , infatti se σ ∈ A4 , allora σασ −1 , σβσ −1 ,
σγσ −1 hanno periodo 2 e sono di classe pari e quindi stanno in H.

E’ ora possibile dimostrare il seguente teorema.

Teorema 4.2.4. Per ogni n ≥ 5, An è l’unico sottogruppo normale di Sn .


Dimostrazione. Sia N / Sn , N 6=< 1 >, e sia α ∈ N , α 6= 1, α elemento tra
quelli che fissano il massimo numero di elementi. Per quanto dimostrato in (1),
(2), (3) del teorema precedente, α risulta un 3-ciclo oppure una trasposizione.
Se α è un 3-ciclo si ha α ∈ An perchè un 3-ciclo è una permutazione pari e quindi
α ∈ N ∩ An . Ma N ∩ An è sottogruppo normale di An che è semplice e pertanto
deve essere N ∩ An = An da cui segue An ⊆ N. Se N non ha permutazioni di classe
dispari si ha N = An ; se in N esiste una permutazione γ di classe dispari allora
N = Sn perchè γAn ⊂ N , | γAn |=| An |, γAn ∩ An = ∅ e quindi N = γAn ∪ An ,
| N |=| γAn | + | An |=| Sn | .
Se α è una trasposizione, α = (1 2), poichè N / Sn , N contiene tutti gli
elementi (2 k)(1 2)(2 k), k = 3, 4, ..., n, cioè N contiene tutte le trasposizioni
(1 k) per k = 2, 3, ..., n e quindi N = Sn perchè Sn è generato da queste n − 1
trasposizioni (vedi teorema 3.1.18). 
Capitolo 4 Sottogruppi normali e gruppo quoziente 92

3. Esercizi relativi al Capitolo 4


Esercizio 4.3.1.
Determinare i sottogruppi propri di (S3 , ◦), stabilire quali di essi sono normali e
costruire i relativi quozienti.
Soluzione - Nell’esercizio 3.1.2 sono già stati determinati tutti i sottogruppi propri
di S3 : H1 = H = {a1 , a5 , a6 }, H2 = {a1 , a2 }, H3 = {a1 , a3 }, H4 = {a1 , a4 }. Con
riferimento alla tabella moltiplicativa dell’esercizio 3.1.2, risulta gH1 = H1 g per
ogni g ∈ S3 e pertanto H1 è un sottogruppo normale di S3 . D’altra parte ciò era
prevedibile perchè H1 è di indice 2 in S3 (Teorema 4.1.5), anzi H1 è il gruppo
alterno che, come noto, è sottogruppo normale del gruppo simmetrico. Il gruppo
S3
quoziente è H 1
= {H1 , a3 H1 }.
I sottogruppi H2 , H3 , H4 non sono normali, infatti a4 H2 6= H2 a4 , a4 H3 6= H3 a4 , a3 H4 6=
H 4 a3 .

Esercizio 4.3.2.
G
Sia G un gruppo ciclico e H un sottogruppo di G. Dimostrare che è ciclico.
H
Soluzione - G è commutativo perchè ciclico e pertanto risulta g r H r = (gH)r ,
infatti g · g · · · · · g · H · H ·{z· · · · H} = gH · gH · · · · · gH = (gH)r .
| {z } | | {z }
r − volte r − volte r − volte
G G
Posto G =< g > si ha H
=< gH >, infatti per ogni g1 H ∈ H
, posto g1 = g r si ha
g1 H = g r H = (gH)r .

Esercizio 4.3.3.
Sia C∗ il gruppo moltiplicativo dei numeri complessi non nulli. Sia N = {a + bi ∈
C∗ |a2 + b2 = 1}. Dimostrare che N è sottogruppo normale di C∗ .
Soluzione - Se z = (a + ib) ∈ C∗ , indichiamo con |z| = a2 + b2 (modulo di z). N
è gruppo:
• N 6= ∅ perchè 1 ∈ N .
• Per ogni z1 = (a + ib), z2 = (c + id) ∈ N si ha |z1 · z2 | = |z1 | · |z2 | = 1 · 1 = 1
e pertanto z1 · z2 ∈ N .
• Se z = (a + ib) ∈ N si ha z −1 ∈ N perchè se così non fosse si avrebbe
1 = |z · z −1 | = |z| · |z −1 | =
6 1.


N è normale perchè C è commutativo. CN ha come elementi le classi costituite
da tutti e soli i numeri complessi aventi lo stesso modulo, infatti z1 N = z2 N se e
solo se z1 z2−1 ∈ N se e solo se |z1 z2−1 | = 1, se e solo se |z1 | = |z2 |.

Esercizio 4.3.4.
Sia (G, ·) un gruppo avente un solo sottogruppo di un dato ordine. Dimostrare che
H è normale in G.
Soluzione - Sia |H| = r, H = {h1 , h2 , . . . , hr }. Se hi 6= hj allora ghi g −1 6= ghj g −1
Capitolo 4 Sottogruppi normali e gruppo quoziente 93

per ogni g ∈ G e pertanto |gHg −1 | = r. Per l’ipotesi di unicità dell’ordine del


sottogruppo, risulta allora gHg −1 = H per ogni g ∈ G ossia H è normale in G.

Esercizio 4.3.5.
Siano H e K sottogruppi normali del gruppo (G, ·) tali che H ∩ K = {1}. Dimo-
strare che per ogni h ∈ H e per ogni k ∈ K risulta hk = kh.
Soluzione - Per ogni h ∈ H e per ogni k ∈ K si ha:
(1) (hk)−1 (kh) = (k −1 h−1 k)h = h1 h ∈ H perchè (k −1 h−1 k) ∈ H essendo
H C G;
(2) (hk)−1 (kh) = k −1 (h−1 kh) = k −1 k1 ∈ K perchè (h−1 kh) ∈ K essendo
K C G;
allora da (1) e (2) segue (hk)−1 (kh) ∈ H ∩ K e per l’ipotesi H ∩ K = {1} risulta
(hk)−1 (kh) = 1 da cui hk = kh per ogni h ∈ H e per ogni k ∈ K.
CAPITOLO 5

Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo

1. Definizioni e Proprietà

Se consideriamo il gruppo quadrinomio, il gruppo delle rotazioni del quadrato


e il gruppo delle classi resto modulo 4, essi hanno tutti ordine 4, ma (al di là dei
simboli usati per rappresentarli) possono essere considerati lo stesso gruppo o sono
gruppi diversi ?
Abbiamo visto che per definire la struttura algebrica di gruppo occorrono un
insieme non vuoto e una operazione e perciò se si vogliono 00 confrontare 00 due
gruppi non è sufficiente esaminare i due insiemi, ma il confronto deve coinvolgere
gli insiemi e le operazioni.

Definizione 5.1.1. Siano (G, ·) e (G0 ; ∗) due gruppi e sia φ una applicazione
di G in G0 . Si dice che φ è un omomorfismo di G in G0 se per ogni a, b ∈ G si
ha φ(a · b) = φ(a) ∗ φ(b). Si parla di omomorfismo iniettivo, suriettivo, biiettivo
se l’applicazione che lo definisce è, rispettivamente, iniettiva, suriettiva, biiettiva.
Un omomorfismo biiettivo si dice isomorfismo e in questo caso i due gruppi G e
G0 si dicono isomorfi. Un isomorfismo di G in G si dice automorfismo.
Per semplicità di scrittura, di norma le operazioni dei due gruppi coinvolti si
indicheranno con lo stesso simbolo.

Esempio 5.1.2.
• L’applicazione φ : (Z, +) → (Z, +) definita da φ(x) = 2x è un isomorfismo
perchè è biettiva ed inoltre è tale che φ(x + y) = 2 · (x + y) = 2 · x + 2 · y =
φ(x) + φ(y) per ogni x, y ∈ Z .
• L’applicazione ϕ : (G, ·) → (G0 , ·) definita da ϕ(x) = 1G0 per ogni x ∈ G,
e l’applicazione ψ : (G, ·) → (G, ·) definita da ψ(x) = x per ogni x ∈
G, sono omomorfismi qualunque siano i gruppi considerati. Questi due
omomorfismi sono detti omomorfismi banali.
• L’applicazione ϕ : (R, +) → (R∗+ , ·) definita da ϕ(x) = 2x è un isomorfismo
perchè è biettiva ed è tale che ϕ(x + y) = 2x+y = 2x · 2y = ϕ(x) · ϕ(y) per
ogni x, y ∈ R.
94
Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 95

1
• L’applicazione ϕ : (Q∗ , ·) → (Q∗ , ·) definita da ϕ(x) = x non è un
2
omomorfismo perchè ϕ(x·y) = 2 ·x·y mentre ϕ(x)·ϕ(y) = 2 ·x· 12 ·y = 14 ·x·y.
1 1

Quindi ϕ(x · y) 6= ϕ(x) · ϕ(y).


G G
• N / G, gruppo quoziente. L’applicazione ϕ : G → definita da
N N
φ(g) = gN è un omomorfismo suriettivo: φ (g) φ (h) = (gN ) (hN ) =
(ghN ) = φ (gh). Questo omomorfismo è detto omomorfismo naturale
G
di G su .
N

Teorema 5.1.3. Siano (G, ·) e (G0 , ·) gruppi aventi come elemento neutro 1
e 1 rispettivamente. Sia φ un omomorfismo di G in G0 , si ha:
0

(1) φ(1) = 10
(2) φ(x−1 ) = φ(x)−1
(3) Se H < G e K < G0 allora φ (H) < G0 e φ−1 (K) < G.
Dimostrazione.
(1) Sia a ∈ G : φ(a) = φ(a · 1) = φ(a) · φ(1), ma anche φ(a) = φ(a) · 10 allora
φ(a) · φ(1) = φ(a) · 10 , da cui φ(1) = 10 .
(2) Sia x ∈ G : φ (x · x−1 ) = φ (x) · φ (x−1 ), ma anche φ (x · x−1 ) = φ (1) = 10 ,
allora φ (x) φ (x−1 ) = 10 e dunque φ(x−1 ) = φ(x)−1 .
(3) Sia H un sottogruppo di G e sia φ (H) = {φ (h) | h ∈ H}; poichè per
ogni φ (h1 ) , φ (h2 ) ∈ φ (H), si ha φ (h1 ) φ (h2 )−1 = φ h1 h−1
2 ∈ φ (H), si
ha φ (H) sottogruppo di G . Sia K sottogruppo di G e sia φ−1 (K) =
0 0

{x ∈ G | φ (x) ∈ K}; si ha φ−1 (K) 6= ∅ perchè almeno 1 = φ−1 (10 ) ∈


φ−1 (K) , inoltre se x, y ∈ φ−1 (K) allora φ (x) , φ (y −1 ) ∈ K e perciò
φ (x) φ (y −1 ) ∈ K, φ (xy −1 ) ∈ K, xy −1 ∈ φ−1 (K). Dunque φ−1 (K) è
un sottogruppo di G.


Nota 5.1.4.
(1) Dalla (1) del teorema precedente segue, per esempio, che non può esserci
un omomorfismo di (Q∗ , ·) in (Q∗ , ·) che mandi 1 in 2.
(2) Come struttura algebrica, due gruppi isomorfi possono essere considerati
lo stesso gruppo. Se consideriamo i gruppi ciclici, si ha che per ogni
ordine r (anche non finito) esiste un solo gruppo ciclico di ordine r (vedi
Corollario 5.1.10).

Definizione 5.1.5. Sia φ un omomorfismo fra i gruppi G e G0 e sia 10 l’elemento


neutro di G0 . Si chiama nucleo di φ l’insieme ker φ = {x ∈ G | φ (x) = 10 } .
Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 96

Teorema 5.1.6. Siano G, G0 gruppi e sia φ un omomorfismo di G in G0 .


(1) ker φ è un sottogruppo normale di G.
(2) φ è iniettivo se e solo se ker φ = {1} con 1 elemento neutro di G.
(3) H / G se e solo se H = ker ψ, con ψ omomorfismo.

Dimostrazione.
(1) E’ immediato che ker φ è sottogruppo di G; inoltre se x ∈ G e y ∈ ker φ
si ha φ (xyx−1 ) = φ (x) φ (y) φ (x)−1 = 10 e pertanto ker φ / G.
(2) Sia φ iniettivo, allora se x ∈ G e φ (x) = 10 per l’iniettività e per (1)
del teorema 5.1.5, deve essere x = 1 e quindi ker φ = {1}. Viceversa
sia ker φ = {1} e siano x, y ∈ G; se φ (x) = φ (y) allora φ (x) φ (y)−1 =
10 , φ (xy −1 ) = 10 , allora xy −1 ∈ ker φ e quindi per l’ipotesi fatta xy −1 = 1
ossia x = y e pertanto φ è iniettivo.
G
(3) Se H / G allora H = ker ψ con ψ omomorfismo naturale di G in .
H
Se H = ker ψ per qualche omomorfismo ψ, allora per (1) risulta H / G.


G
Nota 5.1.7. Dato N / G, poichè N è l’elemento neutro di , l’omomorfismo
N
G
naturale φ : G → definito da φ (x) = xN ha come nucleo N perchè
N
x ∈ ker φ ⇐⇒ φ (x) = N ⇐⇒ xN = N ⇐⇒ x ∈ N.
G
Si può allora affermare che ogni gruppo quoziente è immagine omomorfa del
N
gruppo G. Con il teorema seguente proveremo anche che ogni immagine omomorfa
di un gruppo G è un quoziente di G (a meno di isomorfismi).

Teorema 5.1.8 (Primo teorema di omomorfismo per gruppi). Sia φ : G →


G un omomorfismo suriettivo del gruppo (G, ·) nel gruppo (G0 , ·). Allora G0 è
0

G
isomorfo a .
ker φ
Dimostrazione. Sia φ : G → G0 un omomorfismo suriettivo, sia K = ker φ e
G
sia ψ : → G0 definita da ψ (gK) = φ (g). Quella posta è una buona definizione
K
(e quindi ψ è una applicazione) perchè se gK = hK allora g = hk con k ∈ K
e quindi φ (g) = φ(hk) = φ(h)φ(k) = φ(h) · 1 = φ (h) . La ψ è iniettiva, infatti
se ψ (gK) = ψ (hK) allora φ (g) = φ (h) da cui φ (g −1 h) = 10 , allora g −1 h ∈ K
da cui h ∈ gK e quindi gK = hK. La ψ è suriettiva, infatti se y ∈ G0 allora
y = φ (g) con g ∈ G e quindi y = ψ (gK). La ψ è un omomorfismo, infatti
Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 97

ψ (gKhK) = ψ (ghK) = φ (gh) = φ (g) φ (h) = ψ (gK) ψ (hK) . Dunque ψ è un


G 0
isomorfismo di in G . Il teorema può essere rappresentato con il seguente
ker φ
schema
φ
G / G0
~ >
~~~
~~
~~ ψ
λ

G
ker φ
dove φ omomorfismo suriettivo, ψ isomorfismo, λ omomorfismo naturale. 

Esempio
 5.1.9.
 
a b
G = | a, b, c, d ∈ Q, ad − bc 6= 0 è un gruppo rispetto al prodotto
c d

righe per colonne. Considerato il gruppo (Q∗ , ·), l’applicazione


φ : G −→ Q∗ , φ (M ) = det M
  
a b G
è un omomorfismo con ker φ = | ad − bc = 1 e pertanto Q∗ ≈
c d ker φ
(isomorfismo).

G
L’identificazione di Im φ (immagine di φ) con il quoziente Kerφ assicura che
tutti gli omomorfismi suriettivi di un gruppo G si possono identificare con gli
omomorfismi naturali sul quoziente. Questo teorema ha varie applicazioni, ad
esempio fornisce la classificazione dei gruppi ciclici.

Corollario 5.1.10. Sia (G, ·) un gruppo ciclico. Se G è infinito allora G è


isomorfo a (Z, +), se G è finito di ordine n allora G è isomorfo a (Zn , +).
Dimostrazione. Sia G =< g >. L’applicazione
ϕ : (Z, +) → G =< g >
k → gk
è un omomorfismo suriettivo. Se G =< g > è infinito, allora da h 6= k si ha
g h 6= g k e pertanto la ϕ è iniettiva e ne segue Kerϕ = 0; per il primo teorema
di omomorfismo per gruppi risulta G ∼ = Z. Se G =< g > è ciclico di ordine n,
allora Kerϕ = nZ e per il primo teorema di omomorfismo per gruppi risulta
G∼ = nZZ
= Zn .

Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 98

Teorema 5.1.11. Sia G un gruppo, N / G, K / G, K ⊂ N . Si ha


G G/K
isomorfo a .
N N/K
Dimostrazione. Per il primo teorema di omomorfismo per gruppi basta di-
G G N
mostrare che esiste un omomorfismo suriettivo da su avente per nucleo .
K N K
G G G
Sia φ : −→ l’applicazione definita da φ (gK) = gN per ogni gK ∈ . Quel-
K N K
la posta è una buona definizione, infatti se gK = hK allora h−1 gK = K ⊂ N ,
allora h−1 g ∈ N e quindi gN = hN da cui φ (gK) = φ (hK). Per come de-
finita, l’applicazione φ è suriettiva ed è un omomorfismo: infatti φ (gKhK) =
N
φ (ghK) = ghN = gN hN = φ (gK) φ (hK) . Il nucleo di φ è perchè gK ∈ ker φ
K
se e solo se φ (gK) = N se e solo se gN = N se e solo se g ∈ N e pertanto
N
ker φ = {gK | g ∈ N } = . 
K

Esempio 5.1.12.
Siano G = (Z, +), N = 3Z =< 3 >, K = 6Z =< 6 >. Poichè (Z, +) è abeliano si
ha N C G, K C G, K C N. Determiniamo i vari gruppi quozienti che intervengono.
G Z G Z
Risulta = = Z3 , = = Z6 .
N 3Z K 6Z
N 3Z <3>
Determiniamo ora il gruppo = = = {a+ < 6 > | a ∈< 3 >} ;
K 6Z <6>
<3>
considerata la classe [a] ∈ , poichè a = 3t si possono avere due casi a
<6>
seconda che t sia pari o dispari ossia può essere a = 3 · 2h = 6h con h ∈ Z
N 3Z
oppure a = 3 · (2h + 1) = 6h + 3 con h ∈ Z. Gli elementi di = sono
K 6Z
pertanto esattamente due: un elemento è la classe contenente gli elementi del tipo
a+ < 6 >= 6h + 6r ossia tutti e soli i multipli di 6, mentre l’altro elemento è la
classe contenente gli elementi del tipo a+ < 6 >= 6h + 3 + 6r ossia tutti e soli i
3Z
multipli di 3; risulta dunque ≈ Z2 . Per il teorema precedente rimane provato
6Z
Z
Z
che ≈ 6Z .
3Z 3Z
6Z
Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 99

2. Teorema di Cayley

Questo Teorema mostra l’importanza dei gruppi di permutazioni perchè dal


teorema segue che ogni gruppo si può pensare come gruppo di permutazioni. E’
dovuto ad A. Cayley (1821-1895).

Teorema 5.2.1 (Teorema di Cayley). Ogni gruppo (G, ·) è isomorfo ad un


gruppo di permutazioni sui suoi elementi.
Dimostrazione. Occorre provare che esiste un isomorfismo fra G e un sot-
togruppo del gruppo Sym G delle permutazioni sugli elementi di G, pertanto è
sufficiente provare l’esistenza di un omomorfismo iniettivo di G in Sym G.
L’omomorfismo iniettivo è l’applicazione f : G → Sym G, definita da f (g) = φg
con φg : G → G definita da φg (x) = g · x per ogni x ∈ G. Infatti
(1) f è un omomorfismo perchè f (g1 g2 ) = φg1 g2 con φg1 g2 (x) = g1 g2 x; d’altra
parte f (g1 )f (g2 ) = φg1 φg2 con φg1 φg2 (x) = φg1 (g2 x) = g1 g2 x e pertanto
f (g1 g2 ) = f (g1 )f (g2 ).
(2) f è un’applicazione iniettiva perchè se f (g1 ) = f (g2 ) allora φg1 = φg2 da
cui g1 x = g2 x per ogni x ∈ G e dunque g1 = g2 .
Poichè f è un omomorfismo iniettivo, rimane provato che f (G) è un sottogruppo
di SymG isomorfo a G. 

3. Centro e centralizzante di un gruppo

Definizione 5.3.1. Sia (G, ·) un gruppo, si chiama centro di G l’insieme


Z (G) = {x ∈ G | xg = gx per ogni g ∈ G} .

Il centro di un gruppo è dunque l’insieme degli elementi di G che sono permu-


tabili con ogni elemento di G. Ovviamente si ha:
Z (G) = G ⇐⇒ G è abeliano

Teorema 5.3.2. Sia (G, ·) un gruppo e Z (G) il suo centro. Si ha Z (G) / G.


Dimostrazione. Qualunque sia il gruppo G, poichè 1 ∈ Z (G) si ha Z(G) 6=
∅. Siano x, y ∈ Z (G), per ogni g ∈ G si ha (xy) g = x (yg) = x (gy) = (xg) y =
(gx) y = g (xy) e quindi xy ∈ Z (G). Sia ora x ∈ Z (G), per ogni g ∈ G si
ha xg = gx e quindi anche x−1 (xg) x−1 = x−1 (gx) x−1 , da cui gx−1 = x−1 g e
pertanto x−1 ∈ Z (G). Dunque Z (G) è un sottogruppo di G. Il sottogruppo Z (G)
è normale, infatti se x ∈ Z (G) e g ∈ G si ha gxg −1 = xgg −1 = x ∈ Z (G). 
Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 100

Definizione 5.3.3. Sia (G, ·) un gruppo; fissato a ∈ G si chiama centraliz-


zante di a in G l’insieme C (a) = {g ∈ G | ga = ag}.

Teorema 5.3.4. Sia (G, ·) un gruppo e sia a ∈ G. Il centralizzante C(a) di


a in G è un sottogruppo di G.
Dimostrazione. C (a) 6= ∅ perchè qualunque sia a ∈ G si ha 1 ∈ C (a).
Se g, h ∈ C (a) si ha (gh) a = g (ha) = g (ah) = (ga) h = (ag) h = a (gh) e
dunque gh ∈ C (a). Inoltre se g ∈ C (a) da ga = ag si ha g −1 a = g −1 (agg −1 ) =
g −1 (ag) g −1 = g −1 (ga) g −1 = (gg −1 ) ag −1 = ag −1 e pertanto g −1 ∈ C (a). Rimane
così provato che C (a) è un sottogruppo di G. 

Nota 5.3.5. Sia G un gruppo, a ∈ G e C(a) il centralizzante di a in G. Sono


di immediata verifica le seguenti proprietà
(1) Z (G) ≤ C (a).
(2) Il centro di un gruppo
\ è l’intersezione dei centralizzanti degli elementi di
G ossia Z(G) = C(a).
a∈G
(3) a ∈ Z(G) se e solo se C(a) = G.

Definizione 5.3.6. Sia (G, ·) un gruppo e siano a, b ∈ G. Si dice che a e b


sono coniugati se esiste x ∈ G tale che b = xax−1 .

Dalla definizione ora posta segue che la relazione di coniugio (aRb ⇔ esiste
x ∈ G tale che b = xax−1 )
• è una relazione di equivalenza in G;
• determina una partizione di G;
• le classi di equivalenza costituite da un solo elemento sono quelle che con-
tengono un elemento del centro di G. (|[a]| = 1 ⇔ xax−1 = a per ogni x ∈
G ⇔ xa = ax per ogni x ∈ G ⇔ a ∈ Z(G)).

Teorema 5.3.7. Se (G, ·) è un gruppo finito ed a ∈ G allora il numero degli


elementi di G coniugati ad a è uguale all’indice del centralizzante di a in G.
Dimostrazione. Sia C (a) il centralizzante di a. Per ogni x ∈ G l’elemento
xax−1 è coniugato ad a, ma gli elementi xax−1 al variare di x ∈ G non sono
tutti distinti, ossia il numero di coniugati di a non è |G| perchè due coniugati di
a possono coincidere. Si ha xax−1 = yay −1 ⇐⇒ y −1 xa = ay −1 x ⇐⇒ y −1 x ∈
C (a) ⇐⇒ x ∈ yC (a), ma anche y ∈ yC (a) e dunque risulta xax−1 = yay −1 se
e solo se x e y stanno nello stesso laterale sinistro di C (a). Dunque il
Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 101

numero dei coniugati distinti di a è uguale al numero dei laterali (sinistri) di C (a)
|G|
ossia è l’indice di C (a) in G, cioè . 
| C (a) |

Il teorema sopra dimostrato è utile per contare gli elementi di G tramite le


classi di equivalenza (essendo queste una partizione di G).

|G|
Corollario 5.3.8. Se a ∈ Z (G) allora = 1.
| C (a) |
Dimostrazione. Segue dal teorema precedente e dalla (3) della nota 5.3.5.


Corollario 5.3.9. Sia G un gruppo finito e sia C(a) il centralizzante dell’ele-


mento a ∈ G. Si ha:
X |G|
|G| =
|C(a)|
dove la somma è estesa agli a ∈ G, uno per ogni classe di coniugio.
Dimostrazione. Per il teorema 5.3.7, considerato a ∈ G, il numero ca dei
|G|
coniugati di a uguaglia l’indice del centralizzante C(a) in G ossia ca = |C(a)| . Le
classi coniugate sono una partizione di G e pertanto, scelto un elemento a in ogni
classe coniugata, risulta
X X |G|
|G| = ca =
|C(a)|


Corollario 5.3.10. Sia G un gruppo finito e sia Z(G) il suo centro. Si ha:
X |G|
|G| = |Z(G)| +
|C(a)|
dove la somma è estesa agli a 6∈ Z(G), uno per ogni classe di coniugio.
Dimostrazione. Dalla definizione di centro di un gruppo segue che un ele-
mento a appartiene a Z(G) se e solo se la sua classe coniugata è costituita dal
solo a. La relazione del corollario precedente si può dunque esprimere nel modo
seguente:
X |G|
|G| = |Z(G)| +
|C(a)|
dove la somma è estesa agli a 6∈ Z(G), uno per ogni classe di coniugio. 
Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 102

Esempio 5.3.11. Sia G = S3 . Le classi di coniugio sono


C1 = {id}
C2 = {(1 2), (1 3), (2 3)}
C3 = {(1 2 3), (1 3 2)}
Indicato con C(a) il centralizzante dell’elemento a, prendiamo un a in ogni classe
di coniugio; si ha
C(id) = S3
C((1 2)) = {id, (1 2)}
C((1 2 3)) = {id, (1 2 3), (1 3 2)}
Verifichiamo l’equazione delle classi dimostrata nel Corollario 5.3.9 :
6 6 6 6 6 6
|S3 | = 6 = + + = + + = 1 + 3 + 2.
|C(id)| |C((1 2))| |C((1 2 3))| 6 2 3

Teorema 5.3.12. Il centro di un gruppo finito (G, ·) di ordine pn con p


primo, n ∈ N∗ , non si riduce al sottogruppo identico.
Dimostrazione. Consideriamo la relazione di coniugio e contiamo gli ele-
menti di G contando gli elementi di ogni classe di equivalenza e poi sommando.
Osserviamo che una classe è costituita da un solo elemento a se e solo se a ∈ Z (G),
quindi se | Z (G) |= r ci sono r classi con un solo elemento. Se G = Z (G), cioè
se G è abeliano, banalmente è Z (G) 6=< 1 >. Se G 6= Z (G), sia a ∈ G − Z (G);
per quanto dimostrato nel teorema precedente, il numero dei coniugati di a è da-
|G|
to dall’indice di C (a) in G ossia . Da a ∈
/ Z (G) segue C (a) 6= G e
| C (a) |
|G|
perciò è = pi con 0 < i < pn . Allora gli elementi di G − Z (G) si ri-
| C (a) |
partiscono in classi disgiunte ciascuna avente un numero di elementi dato da una
potenza di p ad esponente positivo, ossia | G |=| Z (G) | +pi + pj + ... + ps ossia
pn = r + pi + pj + ... + ps e poichè tutti gli addendi diversi da r sono divisibi-
li per p, per ottenere pn deve essere divisibile per p anche r, ossia r 6= 1, cioè
Z (G) 6=< 1 > . 

Dal teorema ora dimostrato seguono importanti risultati quali quelli dei due
seguenti teoremi.

Teorema 5.3.13. Se (G, ·) è un gruppo di ordine pn , con p primo, n ∈ N∗ ,


esiste in G un sottogruppo normale di ordine p.
Dimostrazione. Sia | G |= pn , n > 0; per il teorema precedente si ha
| Z (G) |= ph con h > 0. Per il teorema di Sylow esiste allora in Z (G) un
sottogruppo N di ordine p e poichè gli elementi di N (essendo anche elementi di
Z(G)) permutano con ogni elemento di G si ha N / G. 
Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 103

Teorema 5.3.14. Ogni gruppo di ordine p2 , p primo, è abeliano.


Dimostrazione. Sia G un gruppo di ordine p2 . Per il teorema 5.3.12. si
ha Z(G) 6=< 1 > . Supponiamo Z (G) 6= G, si ha | Z (G) |= p per il teorema
precedente. Sia a ∈ G − Z (G), il centralizzante C (a) di a deve avere per ordine
un divisore di p2 e poichè a ∈ C (a) e Z (G) ⊆ C (a) si ha | C (a) |= p2 ossia
C (a) = G e quindi a ∈ Z (G), contro l’ipotesi. Dunque non può essere Z (G) 6= G,
ma deve essere Z (G) = G e quindi G è abeliano. 

4. Automorfismi interni e sottogruppi caratteristici di un gruppo

Definizione 5.4.1. Sia (G, ·) un gruppo. Per ogni a ∈ G, l’automorfismo


φa : G → G definito da φa (x) = a · x · a−1 è detto automorfismo interno del
gruppo.

Teorema 5.4.2. Sia (G, ·) un gruppo.


(1) L’insieme A(G) degli automorfismi di G è un gruppo rispetto al prodotto
operatorio.
(2) L’insieme I(G) degli automorfismi interni di G è un sottogruppo normale
del gruppo A(G).
Dimostrazione.
(1) A(G) è un gruppo perchè
• Per ogni α, β ∈ A(G) risulta α ◦ β ∈ A(G); infatti (α ◦ β)(xy) =
α[β(xy)] = α[β(x)β(y)] = αβ(x)αβ(y).
• Per ogni α ∈ A(G) risulta α−1 ∈ A(G); infatti considerati x, y ∈ G,
sia x = α(x̄) e sia y = α(ȳ); risulta α−1 (xy) = α−1 (α(x̄)α(¯(y))) =
α−1 [α(x̄ȳ)] = x̄ȳ = α−1 (x)α−1 (y).
(2) I(G) non è vuoto perchè contiene l’automorfismo identità; inoltre presi
φa , φb ∈ I(G) si ha:
(φa ◦ φb )(x) = φa (φb (x)) = a · (b · x · b−1 ) · a−1 = (a · b) · x · (a · b)−1 = φa·b (x)
dunque φa ◦ φb = φa·b ∈ I(G). Inoltre φa−1 ◦ φa (x) = x per ogni x ∈ G e
quindi φ−1a = φa−1 ∈ I(G). Dunque I(G) è sottogruppo di A(G).
Infine se α ∈ A(G) e φa ∈ I(G) si ha (α ◦ φa ◦ α−1 )(x) = α ◦ φa (α−1 (x)) =
α(aα−1 (x)a−1 ) = α·(a·α−1 (x)·a−1 ) = α(a)·x·α(a−1 ) = α(a)·x·α(a)−1 =
φα(a) (x) e quindi αφa α−1 = φα(a) ∈ I(G) e pertanto I(G) / A(G).

Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 104

Teorema 5.4.3. Sia (G, ·) un gruppo. Si ha


G
isomorfo a I(G)
Z(G)
Dimostrazione. Sia f : G → I(G) l’applicazione definita da f (a) = φa con
φa (x) = a · x · a−1 . La f è un omomorfismo suriettivo di nucleo Z(G) e pertanto
G
per il primo teorema di omomorfismo per gruppi si ha ≈ I(G). 
Z(G)

Nota 5.4.4. Dalla definizione di automorfismo interno segue che un sotto-


gruppo H del gruppo (G, ·) è normale in G se e solo se H è mutato in sè da ogni
automorfismo interno di G.

Definizione 5.4.5. Un sottogruppo H di un gruppo (G, ·) è detto caratte-


ristico (o pienamente invariante) se è mutato in sè da ogni automorfismo di
G.

Ovviamente se H è caratteristico in (G, ·) è anche normale perchè essendo


mutato in sè da ogni automorfismo, è mutato in sè anche dagli automorfismi interni
e pertanto risulta a · H · a−1 = H, a · H = H · a per ogni a ∈ G.
Esistono però sottogruppi normali che non sono caratteristici.

Esempio 5.4.6.
(Z, +) / (Q, +) ma Z non è caratteristico in Q. Infatti φ : (Q, +) → (Q, +)
1
definito da φ(x) = · x è un automorfismo di (Q, +) ma φ(Z) 6= Z perchè, per
2
3
esempio, φ(3) = 2
6 Z.

Teorema 5.4.7. Sia (G, ·) un gruppo.


(1) Se H è un sottogruppo di G e φ(H) ⊆ H per ogni φ ∈ Aut(G), allora H
è un sottogruppo caratteristico di G.
(2) Il centro Z(G) è un sottogruppo caratteristico di G.
Dimostrazione.
(1) Poichè φ(H) ⊆ H per ogni φ ∈ Aut(G), da φ−1 ∈ Aut(G), si ha
φ−1 (H) ⊆ H da cui φ(φ−1 (H)) ⊆ φ(H), H ⊆ φ(H). Da φ(H) ⊆ H
e H ⊆ φ(H) si conclude H = φ(H) per ogni φ ∈ Aut(G) e pertanto H
è un sottogruppo caratteristico di G.
Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 105

(2) Per quanto dimostrato al punto (1) basta provare che per ogni φ ∈ Aut(G)
si ha φ(Z(G)) ⊆ Z(G) ossia φ(c) ∈ Z(G) per ogni c ∈ Z(G). Sia
c ∈ Z(G) e sia g ∈ G; ricordando che φ è un automorfismo di G, esiste
h ∈ G tale che g = φ(h) ; si ha φ(c) · g = φ(c) · φ(h) = φ(c · h) = φ(h · c) =
φ(h) · φ(c) = g · φ(c) e quindi φ(c) ∈ Z(G) e perciò φ(Z(G)) ⊆ Z(G) e
quindi per (1) si ha che Z(G) è un sottogruppo caratteristico di G.


5. Azione di un gruppo su un insieme. Orbite. Stabilizzatori.

Definizione 5.5.1. Un’azione del gruppo (G, ·) sull’insieme Ω è un’applica-


zione
∗: G×Ω → Ω
(g, x) → g ∗ x
tale che
(1) 1 ∗ x = x per ogni x ∈ Ω (1 elemento neutro di G);
(2) (g1 · g2 ) ∗ x = g1 ∗ (g2 ∗ x) per ogni x ∈ Ω e ogni g1 , g2 ∈ G.

Quest’ultima proprietà non va confusa con la proprietà associativa che è definita


solo per elementi di uno stesso insieme, mentre g1 , g2 , x appartengono ad insiemi
diversi (g1 , g2 ∈ G, x ∈ Ω.)

L’azione definita in 5.5.1 viene detta più propriamente azione a sinistra. In


modo analogo si può definire un’azione destra Ω × G → Ω di G su Ω.

Dalla definizione di azione segue che ogni g ∈ G determina una applicazione


biunivoca ψg di Ω in sè data da ψg (x) = g ∗ x e quindi ψg appartiene al gruppo
simmetrico SΩ . Le condizioni (1) e (2) assicurano che l’inversa di ψg è ψg−1 e che
l’applicazione ψ (da G al gruppo simmetrico SΩ ) data da
ψ : G → SΩ
g → ψg
è un omomorfismo di gruppi. Si dice anche che il gruppo G agisce sull’insieme Ω
(come gruppo di trasformazioni). Gli elementi di G si possono pertanto pensare
come permutazioni o trasformazioni dell’insieme Ω. Il Teorema di Cayley si può
dunque interpretare come azione del gruppo (G, ·) sull’insieme G.

Per ogni g ∈ G e ogni x ∈ Ω, indicheremo g ∗ x con xg o più semplicemente


con g(x).
Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 106

Definizione 5.5.2. Sia G un gruppo che agisce sull’insieme Ω. Si definisce


orbita dell’elemento x ∈ Ω l’insieme
O(x) = {y ∈ Ω | y = g(x) per qualche g ∈ G}.

Se G è un gruppo che agisce sull’insieme Ω, la relazione


x R y ⇔ esiste g ∈ G | y = g(x)
definita in Ω è una relazione di equivalenza le cui classi sono le orbite e perciò le
orbite formano una partizione di Ω.

Esempio 5.5.3.
(1) Ogni gruppo G agisce su se stesso per coniugazione. Infatti basta conside-
rare Ω = G e g ∗ x = gxg −1 . L’orbita di x ∈ Ω (= G) è costituita da tutti
gli y ∈ G tali che y = gxg −1 per qualche g ∈ G. Le orbite sono quindi le
classi di coniugio.
(2) Il gruppo simmetrico Sn agisce in modo naturale sull’insieme Ω = {1, 2, . . . , n}
σ ∗ x = σ(x) = il trasformato di x mediante la σ ∈ Sn .
Poichè in Sn ci sono tutte le permutazioni di Ω, si ha una sola orbita e
per questo si dice che Sn opera transitivamente su Ω. Infatti, dato un
elemento x ∈ Ω, un qualunque y ∈ Ω è in relazione con x perchè esiste
certamente almeno una permutazione che manda x in y.
(3) Sia σ = (4 5)(1 3 6)(2 7 8) ∈ S8 e sia G =< σ > . Rispetto l’azione
naturale di G su Ω = {1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8}, rimangono determinate tre or-
bite: {4, 5}, {1, 3, 6}, {2, 7, 8}. In generale, se σ è una permutazione di Sn ,
considerato G =< σ > e Ω = {1, 2, . . . , n}, l’insieme Ω sotto l’azione
naturale di Sn viene ripartito in orbite che corrispondono ai cicli
della permutazione σ.
(4) Sia H un sottogruppo di un gruppo (G, ·). Definiamo la seguente azione
del gruppo H su G:
∗ : H × G → G, h ∗ g = h · g per ogni h ∈ H, per ogni g ∈ G
ossia, come azione consideriamo l’ordinaria moltiplicazione in G. Si trat-
ta effettivamente di un’azione perchè (h1 h2 )g = h1 (h2 g) per ogni g ∈
G, per ogni h1 , h2 ∈ H. Le orbite sono i laterali destri modulo H.
(5) Sia H un sottogruppo di un gruppo (G, ·). Definiamo la seguente azione
del gruppo H su G:
∗ : H × G → G, h ∗ g = g · h per ogni h ∈ H, per ogni g ∈ G.
A differenza di quanto dimostrato in (4), questa non è un’azione perchè
(h1 h2 ) ∗ g = gh1 h2 6= h1 ∗ (h2 ∗ g) = gh2 h1 .
Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 107

Risulta invece un’azione la seguente applicazione:


h ∗ g = gh−1 (moltiplicazione in G) per ogni h ∈ H, per ogni g ∈ G.
Le orbite sono i laterali sinistri modulo H.
(6) Il gruppo (Z, +) agisce sulla retta reale Ω = R per traslazione:
z ∗ r = z + r per ogni z ∈ Z, per ogni r ∈ R.
L’orbita di un elemento r ∈ R è costituita da tutti i traslati di r mediante
interi, ossia O(r) = {r + z | z ∈ Z.}

Un problema importante è quello di calcolare la cardinalità di ogni orbita, e, se


il gruppo è finito e agisce su un insieme finito, determinare il numero delle orbite.
Per fare questo occorrono alcune definizioni e risultati validi in generale.

Definizione 5.5.4. Sia G un gruppo che agisce su Ω. Si definisce stabiliz-


zatore Gx di un elemento x ∈ Ω l’insieme degli elementi g ∈ G che fissano x,
ossia
Gx = {g ∈ G | g(x) = x}.

Teorema 5.5.5. Sia G un gruppo che agisce su Ω. Per ogni x ∈ Ω si ha


(1) lo stabilizzatore Gx è un sottogruppo di G;
(2) Gg(x) = gGx g −1 , ossia gli stabilizzatori di elementi che si trovano nella
stessa orbita sono coniugati.
Dimostrazione. Dimostriamo (1) - Dalla definizione di stabilizzatore segue
banalmente che Gx è un gruppo e pertanto sottogruppo di G. Dimostriamo (2) -
Consideriamo due elementi x e y che stanno nella stessa orbita. Sia g ∈ G tale che
y = g(x); risulta
ḡ ∈ Gy ⇔ ḡ(y) = y ⇔ ḡ(g(x)) = g(x) ⇔
⇔ g −1 ḡg(x) = x ⇔ g −1 ḡg ∈ Gx ⇔ ḡ ∈ gGx g −1
e pertanto rimane provato che Gg(x) = gGx g −1 . 

Si osservi che se lo stabilizzatore di un elemento x ∈ Ω è molto gran-


de, significa che l’elemento x è fissato da molti elementi di G, quindi ha poche
possibilità di essere mosso ossia la sua orbita è piccola.

Teorema 5.5.6. Sia G un gruppo che agisce su Ω. La cardinalità dell’orbita


|G|
O(x) uguaglia l’indice di Gx in G: |O(x)| = |Gx |
.
Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 108

Dimostrazione. Sia L = {laterali destri di Gx } = {Gx g | g ∈ G}. Poichè


l’indice di Gx uguaglia |L|, consideriamo l’applicazione
O(x) → L
g(x) → Gx g −1
E’ un’applicazione ben posta e iniettiva, infatti
g1 (x) = g2 (x) ⇔ g2−1 g1 (x) = x ⇔ g2−1 g1 ∈ Gx ⇔ Gx g1−1 = Gx g2−1 .
Inoltre è suriettiva, infatti dato comunque un laterale destro Gx g, esso è immagine
dell’elemento g −1 (x) ∈ O(x). Risulta pertanto |O(x)| = |L|. 

Corollario 5.5.7. Se G è un gruppo finito che opera su un insieme Ω, per ogni


x ∈ Ω risulta
|G| = |O(x)| · |Gx |.

Esempio 5.5.8. Consideriamo l’azione naturale di S4 su Ω = {1, 2, 3, 4}.


Consideriamo x = 1 ∈ Ω, si ha
O(1) = {1, 2, 3, 4}, G1 ' S3
e pertanto |O(1)| = 4, |G1 | = 6, da cui 4 · 6 = 24 = |S4 |.

Esercizio 5.5.9. Sia Ω l’insieme di tutte le parole con 7 lettere. Si determini


quante sono le parole distinte che hanno due A, tre B e due C.
Soluzione - Il gruppo S7 agisce su Ω permutando le lettere. Ad esempio
(1 3 5)(2 7)(ABCAGF E) = GEAACF B.
Le parole cercate sono quelle che stanno nell’orbita O(x) con
x = AABBBCC
perchè sono le parole ottenute con le permutazioni che 00 muovono00 x. Lo stabilizza-
tore Gx è costituito da tutte le permutazioni σ ∈ S7 tali che
σ(AABBBCC) = AABBBCC.
Esso coincide pertanto con l’insieme di tutte le permutazioni che scambiano tra
loro solo le prime due posizioni, solo la terza, quarta e quinta posizione e solamente
le ultime due. In tutto lo stabilizzatore ha 2!3!2! = 24 elementi e quindi
|S7 | 7!
|O(x)| = = = 210.
|Gx | 24

Concludiamo il paragrafo con il Teorema di Burnside (1852 − 1927) noto anche


come Teorema di Cauchy-Frobenius.
Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 109

Teorema 5.5.10 (Teorema di Burnside). Sia G un gruppo finito e sia Ω un


insieme finito su cui agisce G. Sia Fg = {x ∈ Ω | g(x) = x}, allora il numero t di
orbite in Ω rispetto all’azione di G è dato da:
1 X
t= |Fg |.
|G| g∈G

Dimostrazione. Sia Γ l’insieme di tutte le coppie (g, x) tali che g(x) = x.


Contiamo il numero di elementi di Γ in due modi diversi. Fissato g ∈ G, esistono
|Fg | coppie che hanno g come primo elemento. Fissato x ∈ Ω, ci sono |Gx | coppie
che hanno x come secondo elemento. Dunque si ha:
X X
|Γ| = |Fg | = |Gx |.
g∈G x∈Ω

1
Per il corollario 5.5.7 si ha |Gx | = |G| · |O(x)|
e pertanto
X X 1
|Gx | = |G| .
x∈Ω x∈Ω
|O(x)|

Considerata un’orbita O, se |O| = n allora tutti gli n elementi x dell’orbita O


contribuiscono, nella sommatoria, per
1 1 1 1
+ + ··· + = |O| · =1
|O| |O| |O| |O|
| {z }
n - volte
1
P
e pertanto x∈Ω |O(x)| rappresenta esattamente il numero t di orbite:
X 1
t= .
x∈Ω
|O(x)|

L’uguaglianza
X 1 X
|Gx | = |G|
x∈Ω x∈Ω
|O(x)|
P
precedentemente ottenuta diventa dunque x∈Ω |Gx | = |G| · t da cui
1 X 1 X
t= |Gx | = |Fg |.
|G| x∈Ω |G| g∈G

Esempio 5.5.11.
Sia Ω = {1, 2, 3, 4} e G sia il gruppo ciclico generato dalla permutazione (1 2 3 4).
Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 110

Solo l’identità fissa elementi, ne fissa esattamente quattro. Allora il numero di


orbite è
1
t = · (4 + 0 + 0 + 0) = 1
4

Esempio 5.5.12.
Sia Ω = {1, 2, 3, 4, 5} e G sia il gruppo ciclico generato dalla permutazione (1 2 3)(4 5).
Il gruppo G ha due orbite, infatti
Elementi del gruppo Numero dei punti fissi
(1)(2)(3)(4)(5) 5
(1 2 3)(4 5) 0
(1 2 3) 2
(4 5) 3
(1 3 2) 2
(1 3 2)(4 5) 0

poichè |G| = 6, le orbite sono in tutto t = 16 · (5 + 0 + 2 + 3 + 2 + 0) = 2.


D’altra parte, se si calcolano direttamente, le orbite risultano essere O(1) =
{1, 2, 3} e O(4) = {4, 5}.

Esempio 5.5.13.
Sia Ω = {1, 2, 3, 4} e D4 sia il gruppo diedrale di ordine 8. Il gruppo D4 ha
esattamente una orbita, infatti
Elementi del gruppo Numero dei punti fissi
(1)(2)(3)(4) 4
(1 2 3 4) 0
(1 3)(2 4) 0
(1 4 3 2) 0
(1 2)(3 4) 0
(1 4)(2 3) 0
(2 4) 2
(1 3) 2
4+2+2
e pertanto t = 8
= 1.

Esempio 5.5.14.
Sia Ω = {1, 2, 3, 4} e H = {id., (1 2)(3 4)}. Il gruppo H (sottogruppo del gruppo
diedrale D4 ) ha esattamente due orbite, infatti.
Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 111

Elementi del gruppo Numero dei punti fissi


(1)(2)(3)(4) 4
(1 2)(3 4) 0
4
e pertanto t = 2
= 2. Le due orbite sono Ω(1) = Ω(2) = {1, 2} e Ω(3) = Ω(4) =
{3, 4}.

Esercizio 5.5.15 (Applicazione del Teorema di Burnside).


Determinare in quanti modi diversi, ossia distinguibili, si possono disporre attorno
ad una tavola circolare sei persone.
Soluzione - Sia Ω l’insieme di tutte le possibili disposizioni delle sei persone. Ri-
sulta |Ω| = 6!. Operando una rotazione delle persone si ottiene una disposizione
delle persone che non è distinguibile dalla precedente. Facciamo quindi agire su Ω
il gruppo G delle possibili rotazioni (ciclico di ordine 6). Allora le disposizioni
distinguibili non sono 6! = 720 ma sono tante quante le orbite distinte:
infatti non siamo in grado di distinguere due disposizioni di persone che appar-
tengono alla stessa orbita (perchè si tratta di due disposizioni ruotate attorno alla
tavola). Per cercare il numero delle orbite utilizziamo il teorema di Burnside. Si
ha |Fg | = 0 per ogni rotazione g diversa dalla rotazione identica, inoltre |Fid | = 6!
(la rotazione identità fissa tutte le 6! disposizioni). Pertanto risulta:
1 X 1
t= |Fid. | = 6! = 120.
|G| g∈G 6

Esercizio 5.5.16 (Applicazione del Teorema di Burnside).


Contare i braccialetti distinguibili che si possono fare con cinque perle e tre coralli
con la condizione che le perle e i coralli siano equidistanti .
Soluzione - Poichè perle e coralli sono equidistanti, si può pensare che essi siano
vertici di un ottagono regolare. Ogni configurazione è individuata non appena si
sistemano i tre coralli e pertanto le configurazioni possibili sono 83 = 56 ma non
sono tutte distinguibili. Per determinare quali sono distinguibili occorre trovare
quale gruppo agisce sull’insieme di tutte le configurazioni e contare solo le con-
figurazioni che stanno in orbite diverse rispetto a questa azione. Il gruppo che
agisce è il gruppo diedrale delle simmetrie di un ottagono: infatti il braccialetto
può essere sia ruotato sia ribaltato (cosa che non poteva accadere nel caso dell’e-
sercizio precedente). Si osservi però che il gruppo agisce sulle 56 configurazioni
e non sui vertici dell’ottagono. Per contare il numero delle orbite utilizzando il
teorema di Burnside, occorre conoscere il numero |Fg | di configurazioni fissate da
ogni elemento g ∈ D8 .
• L’identità fissa tutte le 56 configurazioni.
• Le rotazioni non fissano nessuna configurazione.
Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 112

• I quattro ribaltamenti rispetto agli assi del poligono che bisecano due lati
opposti, non fissano nessuna configurazione perchè rispetto a uno di questi
assi i tre coralli non possono essere metà da una parte e metà dall’altra
(può solo essere 3 − 0 oppure 2 − 1).
• I quattro ribaltamenti rispetto agli assi del poligono che passano per due
vertici opposti, fissano ciascuno 6 configurazioni (sono quelle che hanno
sui vertici dell’asse una perla e un corallo per avere la stessa distribuzione
di coralli da una parte all’altra dell’asse).
Per il Teorema di Burnside, il numero delle orbite è:
1
t = (56 + 0 + 0 + 0{z+ 0 + 0 + 0 + 0} + 0| + 0 + 0 + 0 {z
+ 6 + 6 + 6 + 6} = 5
16 |
fissate dalle rotazioni fissate dai ribaltamenti
e pertanto le configurazioni distinguibili sono cinque (Fig. 1).

Figura 1. Configurazioni distinguibili

Se si fossero considerate 13 perle e 3 coralli allora il numero di configurazioni


distinguibili è 21. Infatti 16
3
= 560 configurazioni, |Fid | = 560, |Fs | = 14 per ogni
s simmetria con asse passante per due vertici e pertanto
1
t = (560 + 8 · 14) = 21.
32

Esercizio 5.5.17 (Applicazione del Teorema di Burnside).


Il Ministero della Difesa deve adottare un codice di tre cifre arabe scelte tra 0, I, 2, 3, 4,
5, 6, 7, 8, 9. Questo codice viene scritto su un foglio che non contiene del testo o del-
le figure o altri simboli. Quanti codici distinguibili vi sono?
Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 113

Soluzione - Poichè il foglio contiene solo il codice, i codici distinguibili non sono

tutte le possibili terne perchè ruotando di 180 il foglio, un codice come 9I8 non
può essere distinto da 8I6 (si suppone il numero 1 scritto come I) e pertanto 9I8
e 8I6 li 00 conto00 come un codice solo. Sia Ω l’insieme di tutti i possibili codici
ossia di tutte le terne ottenibili con le dieci cifre arabe; si ha |Ω| = 103 . I codi-
ci 00 capovolgibili00 sono 53 perchè sono tanti quanti quelli ottenibili con le cifre 0,
I, 6, 8, 9. Consideriamo l’applicazione
g: Ω → Ω 
α se α non è capovolgibile
α 7→ g(α) = −1
α se α è capovolgibile
dove con α−1 si intende il codice α letto capovolgendo il foglio.
Dunque g fissa i codici non capovolgibili e trasforma ogni codice capovolgibile nel
suo 00 inverso00 e pertanto g = g −1 .
Consideriamo il gruppo G = {id., g} e definiamo un’azione di G su Ω nel seguente
modo:
G×Ω → Ω
(id., α) 7→ α perogni α ∈ Ω
α se α non è capovolgibile
(g, α) 7→ αg =
α−1 se α è capovolgibile
I codici distinguibili sono tanti quante le orbite di Ω sotto l’azione di G. Infatti
se α ∈ Ω non è capovolgibile la sua orbita è formata solo da α perchè id(α) =
g(α) = α. Se α ∈ Ω è capovolgibile all’orbita di α appartengono α e α−1 , ma
3
le orbite determinate dalle parole capovolgibili non sono 52 perchè ci sono parole
capovolgibili tali che α = α−1 . Per contare il numero di orbite applichiamo il
teorema di Burnside, occorre determinare il numero di elementi di Ω fissati da
ciascun elemento di G.
• id. fissa 103 elementi di Ω.
• g fissa tutti gli elementi non capovolgibili che sono (103 − 53 ), inoltre fissa
gli elementi capovolgibili tali che α = α−1 ossia le terne aventi la cifra
centrale scelta tra 0, I, 8 e come prima e terza cifra quelle di una delle
seguenti coppie (0, 0), (I,I), (8, 8), (6, 9), (9, 6) e pertanto g fissa 15 codici
capovolgibili. In totale g fissa (103 − 53 + 15) elementi di Ω.
Per il teorema di Burnside il numero di orbite è
1 X 1
|Fa | = [103 + (103 − 53 + 15)] = 945
|G| a∈G 2

e pertanto si ottengono 945 codici distinguibili.


NOTA- Se si volessero escludere tutti i codici capovolgibili tali che α 6= α−1
(come per esempio 9I8 - 8I6) allora occorre togliere da 945 il numero di orbite da
essi determinate ossia 55 e pertanto i codici distinguibili rimangono 890.
Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 114

6. Esercizi relativi al Capitolo 5

Esercizio 5.6.1.
Sia (Q∗ , ·) il gruppo moltiplicativo dei numeri razionali e sia f : Q∗ → Q∗ definita
da f (x) = |x| per ogni x ∈ Q∗ . Dimostrare che f è un omomorfismo e si determi-
Q∗
nino Kerf , Imf , Kerf .
Soluzione - Per le proprietà del valore assoluto si ha f (xy) = |xy| = |x||y| =
f (x)f (y) per ogni x, y ∈ Q∗ e pertanto f è un omomorfismo. Risulta Kerf =
Q∗
{1, −1} e Imf = Q∗+ . Il gruppo quoziente Kerf è costituito dalle classi xKerf =

{x, −x} al variare di x in Q .

Esercizio 5.6.2.
Sia (G, ·) un gruppo e sia ϕ : G → G definita da ϕ(x) = x−1 per ogni x ∈ G.
(1) Portare l’esempio di un gruppo G per il quale ϕ è un automorfismo.
(2) Portare l’esempio di un gruppo G per il quale ϕ non è un automorfismo.
(3) Determinare una condizione necessaria e sufficiente affinchè ϕ sia un
automorfismo di G.
Soluzione - L’applicazione ϕ è biettiva perchè in un gruppo esiste ed è unico
l’inverso di ogni elemento.
(1) Sia G il gruppo quadrinomio (vedi 2.2.1). In questo gruppo ogni elemento
coincide con il proprio inverso e perciò si ha ϕ(x) = x−1 = x per ogni
x ∈ G e pertanto ϕ è un automorfismo perchè è l’identità.
(2) Sia G = S3 (vedi 2.1.15) il gruppo simmetrico su tre elementi. Considerati
gli elementi a1 = (2 3), a3 = (1 2), a4 = (1 2 3), a5 = (1 3 2), si ha
ϕ(a1 a3 ) = (a1 a3 )−1 = a5 mentre ϕ(a1 )ϕ(a3 ) = a−1 −1
1 a3 = a4 e pertanto ϕ
non è un automorfismo.
(3) Gli esempi portati in (1) e (2) suggeriscono che la condizione cercata
può essere che G sia abeliano. Sia G abeliano, si ha ϕ(xy) = (xy)−1 =
y −1 x−1 = x−1 y −1 = ϕ(x)ϕ(y) per ogni x, y ∈ G e pertanto ϕ è un auto-
morfismo. Viceversa se ϕ è un automorfismo allora per ogni x, y ∈ G si
ha ϕ(xy) = (xy)−1 = y −1 x−1 = ϕ(x)ϕ(y) = ϕ(yx) e poichè ϕ è biettiva
(e quindi in particolare iniettiva), da ϕ(xy) = ϕ(yx) segue xy = yx e
pertanto G è abeliano. Rimane dimostrato che condizione necessaria e
sufficiente perchè ϕ sia un automorfismo è che G sia abeliano.

Esercizio 5.6.3.
Siano (Q8 , ·) il gruppo dei quaternioni e (D4 , ·) il gruppo diedrico su quattro ele-
menti. Stabilire se fra questi due gruppi di ordine 8 è possibile definire un isomor-
fismo.
Soluzione - Il gruppo dei quaternioni (vedi 2.2.7) ha un unico sottogruppo di
ordine due: H = {1, −1}. Il gruppo D4 =< a, b >, o(a) = 4, o(b) = 2, ha cinque
Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 115

sottogruppi di ordine due (vedi 2.2.6) : K1 = {1, a2 }, K2 = {1, β}, K3 = {1, γ},
K4 = {1, δ}, K5 = {1, ε}, con γ = aβ, δ = a2 β, ε = a3 β. Poichè un automorfismo
trasforma un sottogruppo in un sottogruppo isomorfo (e quindi con lo stesso nu-
mero di elementi), non può esistere nessun isomorfismo fra Q8 e D4 avendo questi
un numero diverso di sottogruppi di ordine due.

Esercizio 5.6.4.
Determinare un omomorfismo non banale di (S3 , ◦) in (Z4 , +). Discutere come
applicare il primo teorema di omomorfismo.
Soluzione - Poichè il nucleo di un omomorfismo è un sottogruppo normale, occorre
individuare i sottogruppi normali non banali del gruppo simmetrico S3 . Questo
gruppo ha un solo sottogruppo normale non banale: A3 . L’omomorfismo f cercato
deve avere nucleo A3 e quindi deve essere f (α) = [0] per ogni α ∈ A3 e banalmente
per ogni α, β ∈ A3 risulta f (α ◦ β) = f (α) + f (β) . Affinchè sia f (α ◦ β) = f (α) +
f (β) anche per ogni α, β ∈ S3 − A3 deve essere f (α) = [2] per ogni α ∈ S3 − A3 .
Dunque l’applicazione f : S3 → Z4 definita da f (α) = [0] se α è di classe pari
e f (α) = [2] se α è di classe dispari è un omomorfismo non banale di nucleo
A3 . Per applicare il primo teorema di omomorfismo occorre che l’omomorfismo
f sia suriettivo e perciò occorre considerare f : S3 → H con H = {[0], [2]} ossia
f : S3 → Z2 e risulta AS33 ≈ Z2 .

Esercizio 5.6.5.
Siano A e B due gruppi finiti di ordine primo fra loro. Dimostrare che l’unico
omomorfismo di A in B è quello banale.
Soluzione - Sia |A| = m, |B| = n , con M CD(m, n) = 1 e sia ϕ un omomorfismo
di A in B. Se |Kerϕ| = r, per il teorema di Lagrange si ha m = rs (ossia s divide
A A
m) e s = | Kerϕ |. Per il primo teorema di omomorfismo si ha che Imϕ e Kerϕ sono
A
isomorfi e perciò |Imϕ| = | Kerϕ | = s, ma Imϕ è sottogruppo di B e pertanto per il
teorema di Lagrange s divide n. Per l’ipotesi M CD(m, n) = 1 risulta allora s = 1
da cui segue r = m ossia Kerϕ = A e pertanto ϕ è l’omomorfismo banale.
Si noti che non vale la proprietà inversa perchè, per esempio, fra Q8 e D4 vi è
solo l’isomorfismo identità ma MCD(|Q8 |, |D4 |) = 8 6= 1.

Esercizio 5.6.6.
Sia (G, ·) un gruppo finito. Dimostrare che l’applicazione f : G → G tale che
f (x) = x2 è un automorfismo di G se e solo se G è abeliano e non contiene
elementi x 6= 1G tali che x2 = 1G .
Soluzione - Sia f un automorfismo di G. Per ogni x, y ∈ G risulta f (x)f (y) =
f (xy), x2 y 2 = (xy)2 , xxyy = xyxy da cui xy = yx e pertanto G è abeliano. Inoltre
se x ∈ G, x2 = 1G allora f (x) = x2 = 1G da cui x = 1G perchè f biettivo e un
omomorfismo manda elemento neutro in elemento neutro.
Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 116

Viceversa; f (xy) = (xy)2 = xyxy = (per l’abelianità di G ) = xxyy = x2 y 2 =


f (x)f (y) e pertanto f è un omomorfismo. Dimostriamo che l’applicazione f è
iniettiva: se f (x) = f (y) allora x2 = y 2 , x−2 y 2 = 1G , x−1 x−1 yy = 1G e per
l’abelianità di G si ha x−1 yx−1 y = 1G , (x−1 y)2 = 1G , x−1 y = 1G e perciò x = y.
Poichè G è finito e f è iniettiva, si ha f suriettiva e pertanto f è un automorfismo.

Esercizio 5.6.7.
Sia (C ∗ , ·) il gruppo moltiplicativo dei numeri complessi. Fissato un numero natu-
rale n ∈ N∗ , verificare che l’applicazione f : C ∗ → C ∗ definita da f (x) = xn è un
omomorfismo e determinarne il nucleo e l’immagine.
Soluzione - L’applicazione è un omomorfismo perchè f (xy) = (xy)n = xn y n =
f (x)f (y) per ogni x, y ∈ C ∗ .
Poichè in C ∗ esiste la radice n-esima di ogni elemento, si ha Im f = C ∗ .
Infine Kerf = {x ∈ C ∗ | f (x) = xn = 1} ossia è l’insieme delle radici n-sime
C∗
dell’unità. Si osservi che per il primo teorema di omomorfismo si ha che Kerf e C∗
sono isomorfi.

Esercizio 5.6.8.
Determinare
 ilcentro del gruppo (G, ·) con
a b
G={ | a, b, c, d ∈ R, ad − bc 6= 0} e l’operazione di prodotto riga per
c d
colonna.
Soluzione - Per appartenere al centro,  unamatrice di G deve commutare in
x 0
particolare con ogni matrice del tipo per ogni x 6= 0. Si ha
0 1
           
a b x 0 ax b x 0 a b xa xb
= , = e
c d 0 1 cx d 0 1 c d c d
 
a 0
perciò deve essere b = c = 0. Affinchè una matrice del tipo stia nel
0 d
 
0 1
centro, deve commutare con la matrice e perciò deve essere a = d.
1 0
      
∗ a b x 0 x 0 a b
Poichè per ogni x ∈ R risulta = , si
c d 0 x 0 x c d
 
x 0
conclude che Z(G) = { | x ∈ R∗ }.
0 x

Esercizio 5.6.9.
Dimostrare che se H è l’unico sottogruppo di ordine 2 di un gruppo (G, ·) allora
H è contenuto nel centro di G.
Soluzione - Sia H = {1, h}, ciò significa che h è l’unico elemento di G di periodo
2. Per ogni x ∈ G risulta x−1 hx · x−1 hx = 1 ossia x−1 hx elemento di periodo 2 e
perciò x−1 hx = h da cui hx = xh per ogni x ∈ G e pertanto H ⊆ Z(G).
Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 117

Esercizio 5.6.10.
Sia |E| ≥ 3; dimostrare che il centro di SymE è il gruppo banale.
Soluzione - Sia α ∈ SymE. Se α 6= id esistono a, b ∈ E tali che α(a) = b 6= a; sia
c ∈ E, c 6= a, c 6= b e sia β ∈ SymE tale che β(b) = c, β(c) = b, β(x) = x per ogni
x ∈ E − {b, c}; risulta αβ 6= βα perchè αβ(a) = α(a) = b mentre βα(a) = β(b) = c
e pertanto α 6∈ Z(SymE). Si conclude Z(SymE) = {id}.

Esercizio 5.6.11.
Determinare il centro del gruppo diedrico Dn , n ≥ 3.
Soluzione - Ricordiamo che Dn = {a1 , a2 , ..., an = 1, ba1 , ba2 , ..., ban = b} con
o(a) = n, o(b) = 2, ai b = ba−i , i = 1, 2, ..., n. Se un elemento del tipo bai ∈ Z(Dn )
allora (bai )a = a(bai ) ossia deve essere bai+1 = bai−1 perchè a(bai ) = (ab)ai =
(ba−1 )ai = bai−1 . Ne segue che bai ∈ Z(Dn ) se e solo se ai+1 = ai−1 , a = a−1 ,
ossia a di periodo 2, ma a ha periodo n ≥ 3 e pertanto per ogni i = 1, 2, ..., n si ha
bai 6∈ Z(Dn ). Se un elemento del tipo ai ∈ Z(Dn ) allora ai b = bai ossia ba−i = bai
ossia a−i = ai ossia a2i = 1 = an ossia ai deve avere periodo 2.
Se n è dispari nessun elemento del tipo ai può avere periodo 2 perchè in Dn il
periodo di ai deve dividere n e pertanto Z(Dn ) = {1}.
n
Se n è pari, l’unico elemento del tipo ai di periodo 2 è l’elemento a 2 e pertanto
n
Z(Dn ) = {1, a 2 }.

Esercizio 5.6.12.
Sia (Q8 , ·) il gruppo dei quaternioni. Determinare
(1) Il centro Z(Q8 ) del gruppo.
Q8
(2) Il gruppo quoziente Z(Q 8)
.
Q8
(3) Il gruppo I(Q8 ) degli automorfismi interni e verificare l’isomorfismo Z(Q8)

I(Q8 ).
Soluzione - (1) Ricordiamo che Q8 = {±1, ±i, ±j, ±k} con i2 = j 2 = k 2 = −1,
ij = k, jk = i, ki = j. Il solo elemento diverso da 1 che commuta con ogni altro
elemento di Q8 è l’elemento −1 e pertanto Z(Q8 ) = {1, −1}. Questo assicura anche
che H = {1, −1} è sottogruppo normale in Q8 .
(2) Sia H = Z(Q8 ), come dimostrato in (1), si ha H = {1, −1} e pertanto
Q8
| H | = 82 = 4 e quindi QH8 ≈ C4 oppure QH8 ≈ D2 ≈ K ( gruppo quadrinomio).
Per stabilire quale gruppo è, costruiamo gli elementi di QH8 . Gli elementi di QH8
sono H = {1, −1}, iH = {i, −i}, jH = {j, −j}, kH = {k, −k} e l’operazione
che rende gruppo QH8 è xH · yH = xyH. Calcoliamo il periodo degli elementi di
Q8
H
: per ogni x ∈ Q8 − {1} risulta xH · xH = H e dunque tutti gli elementi
diversi dall’elemento neutro hanno periodo 2 e pertanto si conclude QH8 ≈ D2 ≈ K
(gruppo quadrinomio).
(3) Sia φa l’elemento di I(Q8 ) associato all’elemento a ∈ Q8 . Si ha φ1 = φ−1 =
identità, φi = φ−i perchè risulta φi (1) = 1 = φ−i (1), φi (−1) = −1 = φ−i (−1),
Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 118

φi (i) = i = φ−i (i), φi (j) = −j = φ−i (j), φi (k) = −k = φ−i (k) ; analogamente si
ha che φj = φ−j e φk = φ−k e pertanto I(Q8 ) = {φ1 , φi , φj , φk }.
Q8
Poichè Z(Q8 ) = {1, −1} si ha Z(Q 8)
= {{1, −1}, {i, −i}, {j, −j}, {k, −k}} e
Q8
l’applicazione f : Z(Q 8)
→ I(Q8 ) definita da f ({a, −a}) = φa per ogni a ∈
{1, i, j, k} è un isomorfismo.

Esercizio 5.6.13.
Determinare il gruppo degli automorfismi del gruppo (Z12 , +) e studiarne la strut-
tura .
Soluzione - Osserviamo che un automorfismo f di un gruppo ciclico è completa-
mente individuato dall’immagine di un generatore, infatti se G =< x > e f (x) = y
allora per ogni xh ∈ G risulta f (xh ) = (f (x))h = y h ossia y = f (x) è un generatore
di Imf ; ma un automorfismo è suriettivo e pertanto G = Imf =< y >.
Per quanto sopra osservato, per determinare gli automorfismi di Z12 basta
individuare i generatori e considerare le applicazioni che associano ad un fissato
generatore un generatore. Poichè Z12 =< 1 >=< 5 >=< 7 >=< 11 >, gli
automorfismi richiesti sono i seguenti quattro
f1 = id : [1] → [1], f2 : [1] → [5], f3 : [1] → [7], f4 : [1] → [11].
Per determinare la struttura di Aut(Z12 ) = {f1 , f2 , f3 , f4 } consideriamo il pe-
riodo degli elementi, risulta f2 ◦ f2 = f1 , f3 ◦ f3 = f1 , f4 ◦ f4 = f1 e pertanto il
gruppo Aut(Z12 ) è isomorfo al gruppo quadrinomio.

Esercizio 5.6.14.
Dimostrare che se un gruppo finito (G, ·) possiede due sole classi di elementi co-
niugati allora |G| = 2 .
Soluzione - Poichè la classe coniugata dell’elemento neutro di G è E = {1G },
in G le due classi di elementi coniugati sono E e K = G − {1G } e pertanto se
a 6= 1G la classe coniugata di a è K con |K| = n − 1. Ricordiamo che il numero
degli elementi coniugati di a ∈ G uguaglia l’indice del centralizzante C(a) (vedi
teorema 5.3.7) e perciò |K| divide |G| ossia (n − 1)|n, deve allora essere n − 1 = 1
da cui n = 2.

Esercizio 5.6.15.
Sia (G, ◦) il gruppo delle applicazioni fa,b : R → R definite da fa,b (x) = ax + b con
a, b ∈ R, a 6= 0. Si verifichi che l’applicazione ϕ : G → R∗ definita da ϕ(fa,b ) = a
è un omomorfismo. Si determinino Kerϕ e Imϕ e si applichi il primo teorema di
omomorfismo per gruppi.
Soluzione - L’applicazione ϕ è un omomorfismo perchè ϕ(fa,b ◦ fc,d ) = ϕ(fac,ad+b ) =
ac = ϕ(fa,b ) ϕ(fc,d ) per ogni fa,b , fc,d ∈ G. Risulta Kerϕ = {f1,b (x) = x + b, b ∈ R}
e Imϕ = R∗ . Applicando il primo teorema di omomorfismo si ottiene l’isomorfismo
ϕ∗ : Kerϕ
G
→ R definito da ϕ∗ ([fa,b ]) = a.
Capitolo 5 Omomorfismi e Automorfismi di un gruppo 119

Esercizio 5.6.16.
Dimostrare che il gruppo simmetrico S3 è isomorfo al gruppo Aut(S3 ) dei suoi
automorfismi.
Soluzione - Siano a, b, c i tre elementi di periodo 2 (trasposizioni) di S3 e d, d−1 i
due elementi di periodo 3. Se α ∈ Aut(S3 ), α permuta i tre elementi di periodo 2,
e l’applicazione ϕ : Aut(S3 ) → S3 che associa ad α la permutazione su tre elementi
così ottenuta, è un omomorfismo. Se α e β inducono la stessa permutazione, allora
αβ −1 è l’identità su a, b, c ossia su S3 che è generato dalle trasposizioni e pertanto
α = β e Kerϕ = {1}. Ne segue che Aut(S3 ) è isomorfo ad un sottogruppo di S3 , ma
essendo Z(S3 ) = {1} ( si ricordi che S3 ≈ D3 ed essendo 3 dispari è Z(D3 ) = {id}),
S3 ha sei automorfismi interni e perciò Aut(S3 ) ≈ S3 . Da quanto dimostrato
risulta che tutti gli automorfismi di S3 sono automorfismi interni, d’altra parte ciò
si deduce anche dal primo teorema di omomorfismo perchè essendo Z(S3 ) = {1}
S3
si ha S3 ≈ Z(S 3)
≈ Int(S3 ), ciò vale per ogni Sn , n 6= 2, 6.
CAPITOLO 6

Prodotto Diretto di gruppi

In questo capitolo si illustra e si studia un metodo per costruire, sotto certe ipo-
tesi, un gruppo a partire da gruppi dati. Lo stesso metodo permette di 00 scompor-
re 00 un gruppo abeliano nel prodotto di suoi sottogruppi e di caratterizzare tutti i
gruppi abeliani finiti.

1. Definizioni e Proprietà

Considerati due gruppi (A, ·), (B, ∗), nel prodotto cartesiano A×B = {(a, b) | a ∈
A, b ∈ B} si può definire la seguente operazione “◦”:
(a, b) ◦ (c, d) = (a · c, b ∗ d) , per ogni a, c ∈ A e per ogni b, d ∈ B

Si verifica facilmente che questa operazione:


(1) è associativa;
(2) ammette elemento neutro: (1A , 1B );
(3) ogni elemento ammette inverso: (a, b)−1 = (a−1 , b−1 ).
Rispetto a questa operazione, A × B risulta dunque un gruppo detto prodotto
diretto esterno di A e B.

Esempio 6.1.1.
(1) Siano A = (Z2 , +) e B = (Z3 , +). Il prodotto esterno è dato da
Z2 × Z3 = {([0], [0]), ([0], [1]), ([0], [2]), ([1], [0]), ([1], [1]), ([1], [2])}.
Il periodo degli elementi di Z2 × Z3 è rispettivamente 1, 3, 3, 2, 6, 6. Si è
ottenuto un gruppo ciclico di ordine 6 e pertanto Z2 × Z3 ' Z6 .
(2) Siano A = Z2 e B = Z4 . Il prodotto esterno è costituito da 8 elementi,
poichè non esiste nessun elemento di periodo 8, non si tratta del gruppo
ciclico di ordine 8 e pertanto Z2 × Z4  Z8 .
120
Capitolo 6 Prodotto Diretto di gruppi 121

Il gruppo (A × B, ◦) ha due sottogruppi 00 speciali00 :


A = {(a, 1B ) | a ∈ A} e B = {(1A , b) | b ∈ B}.
A risulta un sottogruppo di A × B isomorfo al gruppo A nell’isomorfismo:

φ : A 7−→ A
a 7−→ (a, 1B )
Analogamente B risulta un sottogruppo di A × B isomorfo al gruppo B nell’iso-
morfismo:

ψ : B 7−→ B
b 7−→ (1A , b)
Quanto ora osservato ci assicura che se il gruppo G è prodotto diretto esterno
dei gruppi A e B, allora G si può sempre considerare (a meno di isomorfismi)
prodotto diretto di due suoi sottogruppi. Per questo motivo la trattazione di questo
argomento è limitata al caso di gruppo prodotto diretto di suoi sottogruppi.
Prima di dare la definizione di gruppo come prodotto diretto di suoi sottogrup-
pi, osserviamo che, per come definiti, i sottogruppi A e B sono tali che:

(1) A / (A × B), B / (A × B) ;
(2) A ∩ B = (1A , 1B ) ;
(3) (a, b) = (a, 1B ) ◦ (1A , b) per ogni (a, b) ∈ A × B.

Queste proprietà di A e B suggeriscono la seguente definizione.

Definizione 6.1.2. Un gruppo (G, ·) si dice prodotto diretto (interno) dei


suoi sottogruppi A1 e A2 , e si scrive G = A1 × A2 , se:
(1) A1 / G , A2 / G;
(2) A1 ∩ A2 =< 1 >;
(3) G = A1 A2 .

Nota 6.1.3. Nella definizione ora posta, la (2) e la (3) possono essere sostituite
dall’unica condizione
(I) Ogni elemento di G si scrive in uno ed un sol modo come prodotto di un
elemento di A1 per un elemento di A2 .
Infatti se valgono (2) e (3) allora è unico il modo di esprimere g ∈ G come
g = a1 a2 con a1 ∈ A1 e a2 ∈ A2 perchè se g = a1 a2 e g = b1 b2 si ha a1 a2 = b1 b2 da
cui b−1 −1 −1 −1 −1 −1
1 a1 = b2 a2 con b1 a1 ∈ A1 e b2 a2 ∈ A2 e perciò b1 a1 = b2 a2 ∈ A1 ∩ A2
e per (2) si ha b−1 −1
1 a1 = 1 e b2 a2 = 1 e pertanto a1 = b1 e a2 = b2 .
Viceversa se vale (I) allora vale (3) e vale (2) perchè se esistesse x ∈ A1 ∩ A2
con x 6= 1, l’elemento x ∈ G si potrebbe scrivere in due modi diversi come prodotto
Capitolo 6 Prodotto Diretto di gruppi 122

di un elemento di A1 per un elemento di A2 , infatti si avrebbe x = 1A1 · x ( con


1A1 ∈ A1 , x ∈ A2 ) ma anche x = x · 1A2 ( con x ∈ A1 , 1A2 ∈ A2 ) contro l’ipotesi
(I). La (3) è immediata conseguenza di (I).

Esempio 6.1.4.
Sia C6 = {a0 , a1 , a2 , a3 , a4 , a5 } il gruppo ciclico di ordine 6 e siano C2 = {a0 , a3 }
e C3 = {a0 , a2 , a4 } i suoi sottogruppi di ordine rispettivamente 2 e 3. Risulta
C6 = C2 × C3 .

La definizione di G prodotto diretto di due suoi sottogruppi si estende in modo


naturale al caso di un numero finito di sottogruppi.

Definizione 6.1.5. Un gruppo (G, ·) si dice prodotto diretto dei suoi sotto-
gruppi A1 , A2 , . . . , An , e si scrive G = A1 × A2 × . . . × An , se:
(1) Ai / G, i = 1, 2, . . . , n;
( i61≤i≤n
Q =r
(2) Ar ∩ Q Ai ) =< 1 > per ogni r, 1 ≤ r ≤ n;
(3) G = 1≤i≤n Ai .

Nota 6.1.6. Analogamente a quanto dimostrato per il caso n = 2, valgono le


seguenti proprietà
(1) Nella definizione 6.1.5 le condizioni (2) e (3) sono equivalenti all’unica
condizione
Per ogni g ∈ G sono univocamente determinati gli elementi ai ∈ Ai ,
i = 1, 2, ..., n, tali che g = a1 a2 a3 ...an .
(2) Se (G, ·) è il prodotto diretto dei gruppi G1 , G2 , ..., Gn allora G è il pro-
dotto diretto di n suoi sottogruppi G1 , G2 , ..., Gn isomorfi nell’ordine a
G1 , G2 , ..., Gn .

Teorema 6.1.7. Se il gruppo (G, ·) è prodotto diretto di suoi sottogruppi Ai ,


i = 1, ..., n, allora valgono le seguenti proprietà.
(1) Ai ∩ Aj =< 1 > per ogni i 6= j;
(2) gli elementi di Ai commutano con gli elementi di Aj , comunque siano
scelti i, j = 1, . . . , n, i 6= j;
(3) comunque presi Ai1 , Ai2 , . . . , Aih ∈ {A1 , A2 , . . . , An }, l’insieme Ai1 · Ai2 ·
. . . · Aih è un sottogruppo di G;
(4) Ai1 ∩ (Ai2 · Ai3 · . . . · Aih ) =< 1 > con 1 ≤ i1 , i2 , . . . , ih ≤ n.
Dimostrazione. Sia G = A1 × A2 × ...An prodotto diretto.
Capitolo 6 Prodotto Diretto di gruppi 123

(1) Per la (1) della nota precedente, se x ∈ Ai ∩ Aj con i 6= j e x 6= 1 si


ha una contraddizione perchè in tal caso x si esprimerebbe in due modi
diversi come prodotto degli elementi Ai , i = 1, 2, ..., n. L’elemento x si
può infatti considerare prodotto di fattori tutti uguali a 1 tranne il fattore
i-esimo uguale a x. Ma x si può anche considerare prodotto di fattori tutti
uguali a 1 tranne il fattore j-esimo uguale a x.
(2) Sia i 6= j e sia x ∈ Ai , y ∈ Aj . Essendo Ai e Aj normali in G, si ha
y −1 xy ∈ Ai , x−1 y −1 x ∈ Aj da cui x−1 · y −1 xy ∈ Ai e x−1 y −1 x · y ∈ Aj .
Poichè Ai ∩ Aj =< 1 >, deve essere x−1 y −1 xy = 1 e pertanto xy = yx.
(3) Per (2) si ha Ar As = As Ar per ogni r 6= s, inoltre è Ai Ai = Ai per
ogni i, possiamo quindi considerare il prodotto Ai1 · Ai2 · . . . · Aih come
il prodotto di k fattori a due a due distinti: Ar1 · Ar2 · . . . · Ark . Da
Ar1 Ar2 = Ar2 Ar1 segue che Ar1 Ar2 è un sottogruppo di G, sia B1 = Ar1 Ar2 .
Risulta B1 Ar3 = Ar3 B1 e quindi B1 Ar3 = Ar1 Ar2 Ar3 è un sottogruppo di
G. Così procedendo si ha la tesi.
(4) Sia ai1 ∈ Ai1 ∩ (Ai2 · Ai3 · . . . · Aih ); poichè ai1 ∈ Ai1 esso si può scrivere
come prodotto di n fattori uguali a 1 tranne il fattore i1 -esimo uguale ad
ai1 .
Per la commutatività dei fattori Ai possiamo scrivere Ai2 · . . . · Aih =
Aj2 · Aj3 · . . . · Ajh con j2 < j3 < . . . < jh . Da ai1 ∈ Ai2 · Ai3 · . . . · Aih ossia
ai1 ∈ Aj2 · Aj3 · . . . · Ajh si può scrivere ai1 = aj2 aj3 ...ajh come prodotto
di n fattori dei quali quello di posto jp è ajp ∈ Ajp , p = 2, . . . , h, mentre
tutti gli altri n − (h − 1) fattori sono 1.
Poichè ai1 si può esprimere in un solo modo come prodotto di elementi
di G = A1 × A2 × . . . × An , deve essere ai1 = 1.


Esempio 6.1.8.
(1) Il gruppo (Z, +) non può essere prodotto diretto di due suoi sottogruppi
non banali perchè l’intersezione di due suoi qualunque sottogruppi non si
riduce mai al solo elemento neutro (aZ ∩ bZ = mZ con m = m.c.m.(a, b)).
(2) Il gruppo simmetrico S3 non può essere prodotto diretto perchè possiede
un solo sottogruppo normale non banale (vedi anche Esercizio 6.2.3).
(3) Il gruppo diedrico D4 non può essere prodotto diretto perchè due qualun-
que sottogruppi normali non banali di D4 hanno intersezione che non si
riduce al solo elemento neutro perchè contiene sempre l’elemento a2 .
(4) Il gruppo Z12 è isomorfo al prodotto diretto Z3 ×Z4 . Infatti i due sottogrup-
pi H = {[0], [4], [8]} e K = {[0], [3], [6], [9]} sono (ovviamente) normali,
l’ intersezione è il solo elemento neutro [0] e sono tali che Z12 = H + K.
Inoltre, H ∼= Z3 e K ∼ = Z4 .
Capitolo 6 Prodotto Diretto di gruppi 124

Teorema 6.1.9. Siano Cm , Cn , Cmn i gruppi ciclici di ordine rispettivamente


m, n, mn ∈ N∗ . Si ha Cmn = Cm × Cn se e solo se m ed n sono primi fra loro.
Dimostrazione. Siano Cm =< x >, Cn =< y > e Cm × Cn = {(a, b) | a ∈
Cm , b ∈ Cn }. L’elemento (x, y) ∈ Cm × Cn ha periodo il m.c.m.(m, n), pertanto
Cm × Cn è ciclico generato da (x, y) se e solo se m.c.m.(m, n) = mn ossia se e solo
se m ed n sono primi fra loro. Si conclude che Cmn = Cm × Cn se e solo se m ed
n sono primi fra loro. 

Il teorema ora dimostrato si generalizza nel seguente corollario.

Corollario 6.1.10. Siano n1 , n2 , ..., nr ∈ N∗ e Cni il gruppo ciclico di ordine


ni . Risulta Cn1 n2 ...nr isomorfo al prodotto diretto Cn1 × Cn2 × ... × Cnr se e solo se
n1 , n2 , ..., nr sono a due a due primi tra loro.

Esempio 6.1.11.
(1) C30 ' C2 × C3 × C5 .
(2) C24  C4 × C6 , anzi C4 × C6 non è nemmeno ciclico perchè se C4 =< x >
e C6 =< y > si ha che C4 × C6 possiede due diversi sottogruppi di ordine
due: S = {(1, 1), (x2 , 1)} e T = {(1, 1), (1, y 3 )} e pertanto C4 × C6 non
può essere ciclico.

2. Struttura dei gruppi abeliani finiti.

Per descrivere la struttura dei gruppi abeliani finiti, iniziamo con il dimostrare il
Teorema di Frobenius-Stickelberg che caratterizza i gruppi abeliani finiti di ordine
la potenza di un numero primo.

Teorema 6.2.1. Sia (G, ·) un gruppo abeliano, |G| = pn , p primo. Allora G


è prodotto diretto di gruppi ciclici.
Dimostrazione. Procediamo per induzione su n. Per n = 1 il gruppo G è
ciclico. Supponiamo il teorema vero per r < n e dimostriamo che vale per n. Sia
G non ciclico e n > 1. Sia b ∈ G con b elemento fra quelli di periodo massimo e
sia o(b) = pk , k < n. Sia B =< b >, |B| = pk , e sia C il più grande sottogruppo di
G tale che B ∩ C = {1}; dimostriamo che G = BC.
Sia x ∈ G con o(x) = ps , 0 ≤ s ≤ k; per dimostrare che x ∈ BC procediamo
per induzione su s. Per s = 0 si ha x = 1G ∈ BC; supponiamo s ≥ 1 e che,
per l’ipotesi di induzione, tutti gli elementi di G di periodo ps−1 appartengano
Capitolo 6 Prodotto Diretto di gruppi 125

a BC. Considerato y = xp si ha o(y) = o(xp ) = ps−1 e perciò per l’ipotesi


induttiva è y ∈ BC ossia esistono bm ∈ B e c ∈ C tali che y = bm c da cui
s−1 s−1 s−1 s−1 s−1
y p = (bm c)p = 1G , bmp cp = 1G e quindi bmp ∈ C perchè è l’elemento
s−1 s−1 s−1
inverso di cp , anzi bmp ∈ B ∩ C = {1G } da cui bmp = 1G e per l’ipotesi di
massimalità fatta sul periodo dell’elemento b, si ha che pk divide mps−1 e quindi p
divide m perchè k > s−1; sia m = pm1 con m1 ∈ Z. Allora y = xp = bpm1 c e posto
a = x(bm1 )−1 si ha ap = c ∈ C. Se a ∈ C allora x = bm1 a ∈ BC. Se a ∈ / C allora il
sottogruppo C1 =< C, a > contiene propriamente C e perciò C ∩ C1 6= {1G } per
la scelta di massimalità fatta su C. Sia b1 ∈ B ∩ C1 , b1 6= 1; allora esistono c ∈ C
e n ∈ Z tali che b1 = can . Se p divide n sia n = n1 p con n1 ∈ Z; allora (ricordando
che ap ∈ C) an = an1 p ∈ C da cui b1 ∈ B ∩ C = {1G } in contraddizione con
b1 6= 1G . Dunque p non può dividere n ossia MCD(n, p) = 1 e poichè ap , an ∈ C si
ha ap , an ∈ BC e per il teorema 2.3.10 risulta a ∈ BC e pertanto x = abm1 ∈ BC.
Rimane così dimostrato che G = BC.
Poichè B C G, C C G, B ∩ C = {1G }, G = BC, si ha G = B × C (prodotto
diretto).
|G|
Poichè |C| = |B| = pn−k , per l’ipotesi induttiva su n, il gruppo C è prodotto diretto
di gruppi ciclici ed essendo B ciclico si conclude che G è prodotto diretto di gruppi
ciclici. 

Teorema 6.2.2. Sia (G, ·) un gruppo abeliano finito di ordine m con m


diverso dalla potenza di un numero primo. Allora G è prodotto diretto di suoi
sottogruppi.
Dimostrazione. Sia m = pr11 pr22 · . . . · prnn con n ≥ 2, ri > 0 e pi numeri primi
distinti. Per il Teorema di Sylow, per ogni pri i esiste in G un sottogruppo Ai di
ordine pri i .
Si ha Ai /G per ogni i = 1, 2, . . . , n perchè G è abeliano, inoltre vale la (2) della
Qi6=r
definizione 6.1.5 perchè gli ordini dei gruppi Ar e ( 1≤i≤n Ai ) sono primi tra loro;
da questo segue che se a1 a2 . . . an = b1 b2 . . . bn con ai , bi ∈ Ai , i = 1, . . . , n, allora
ai = bi per ogni i = 1, 2, ..., n e perciò il numero degli elementi di A1 A2 . . . An è
pr11 pr22 . . . prnn e quindi vale anche la (3) della definizione 6.1.5. 

Teorema 6.2.3. Ogni gruppo abeliano finito è isomorfo al prodotto diretto


di gruppi ciclici.
Dimostrazione. Segue dai teoremi 6.2.1 e 6.2.2; infatti se G è abeliano finito
con |G| = n = pa11 pa22 ...pat t allora G è isomorfo al prodotto diretto Ap1 ×Ap2 ×...×Apt
con |Api | = pai i , i = 1, 2, ..., t. Ma ogni Api è prodotto diretto di gruppi ciclici e
pertanto segue la tesi. 
Capitolo 6 Prodotto Diretto di gruppi 126

Sia n ∈ N∗ , n = pa11 pa22 · · · pat t . Per contare quanti sono i gruppi abeliani G di
ordine n, posto G = Ap1 × Ap2 × · · · × Apt con |Api | = pai i , i = 1, . . . , t, occorre
vedere in quanti modi si riesce a fattorizzare ogni Api come prodotto di gruppi
ciclici (di ordine pri ) ossia si deve contare in quanti modi si può scrivere
Api = Zpi1 × Zpi2 × · · · × Zpis . Deve essere
i i i

|Api | = pai i = pii1 pii2 · · · piis = pii1 +i2 +···is


e pertanto occorre contare in quanti modi si può scrivere ai come somma di i1 +
i2 + · · · + is . Questo numero è il numero τ (ai ) di partizioni di ai . Ne segue che per
determinare il numero di gruppi non isomorfi di un dato ordine n, basta procedere
nel modo seguente:
(1) si fattorizza n = pa11 pa22 · · · pat t ;
(2) si determina il numero τ (ai ) di partizioni di ai , per ogni i = 1, . . . , t;
(3) i gruppi abeliani non isomorfi di ordine n sono τ (a1 )τ (a2 ) · · · τ (at ).

Esercizio 6.2.4.
Descrivere tutti i gruppi abeliani di ordine 48.
Soluzione - Poichè 48 = 24 · 31 , ogni gruppo abeliano G con |G| = 48 risulta
scomposto nel prodotto diretto G = A2 × A3 con |A2 | = 24 , |A3 | = 31 . Tutti
i possibili gruppi G si ottengono considerando tutte le possibili fattorizzazioni
di A2 e di A3 . Poichè τ (4) = 5 le possibili fattorizzazioni di A2 sono cinque:
Z24 ; Z23 × Z21 ; Z22 × Z22 ; Z22 × Z21 × Z21 ; Z21 × Z21 × Z21 × Z21 . Poichè τ (1) = 1
per A3 si ha una sola possibilità: Z3 . Tutti i possibili gruppi abeliani G di ordine
48 sono pertanto 5 · 1 = 5 e precisamente
• G ≈ Z16 × Z3 ≈ Z48 ;
• G ≈ Z8 × Z2 × Z3 ;
• G ≈ Z4 × Z4 × Z3 ;
• G ≈ Z4 × Z2 × Z2 × Z3 ;
• G ≈ Z2 × Z2 × Z2 × Z2 × Z3 .

Esercizio 6.2.5.
Determinare quanti sono i gruppi abeliani G di ordine 1620 ed elencarli.
Soluzione - Poichè 1620 = 22 · 34 · 5, ogni G con |G| = 1620 risulta scomposto nel
prodotto diretto
G = A2 × A3 × A5 con |A2 | = 22 , |A3 | = 34 , |A5 | = 5
e τ (a1 ) = τ (2) = 2, τ (a2 ) = τ (4) = 5, τ (a3 ) = τ (1) = 1.
Quindi il numero totale di gruppi abeliani di ordine 1620 è τ (2)τ (4)τ (1) = 2 × 5 ×
1 = 10.
Le diverse fattorizzazione di A2 sono: Z22 , Z21 × Z21 .
Le diverse fattorizzazione di A3 sono: Z34 , Z33 × Z3 , Z32 × Z32 , Z32 × Z31 × Z31 ,
Capitolo 6 Prodotto Diretto di gruppi 127

Z31 × Z31 × Z31 × Z31 .


Per A5 si ha solo la possibilità Z51 .
Ogni gruppo abeliano G di ordine 1620 è quindi isomorfo ad uno dei seguenti
dieci gruppi (non isomorfi fra di loro):

A2 × A3 × A5 G, |G| = 1620

Z4 × Z81 × Z5 G≈ Z4 × Z81 × Z5 = Z1620


Z4 × Z27 × Z3 × Z5 G≈ Z4 × Z27 × Z3 × Z5
Z4 × Z9 × Z9 × Z5 G≈ Z4 × Z9 × Z9 × Z5
Z4 × Z9 × Z3 × Z3 × Z5 G≈ Z4 × Z9 × Z3 × Z3 × Z5
Z4 × Z3 × Z3 × Z3 × Z3 × Z5 G≈ Z4 × Z3 × Z3 × Z3 × Z3 × Z5
Z2 × Z2 × Z81 × Z5 G≈ Z2 × Z2 × Z81 × Z5
Z2 × Z2 × Z27 × Z3 × Z5 G≈ Z2 × Z2 × Z27 × Z3 × Z5
Z2 × Z2 × Z9 × Z9 × Z5 G≈ Z2 × Z2 × Z9 × Z9 × Z5
Z2 × Z2 × Z9 × Z3 × Z3 × Z5 G≈ Z2 × Z2 × Z9 × Z3 × Z3 × Z5
Z2 × Z2 × Z3 × Z3 × Z3 × Z3 × Z5 G≈ Z2 × Z2 × Z3 × Z3 × Z3 × Z3 × Z5

Esercizio 6.2.6.
Descrivere tutti i gruppi abeliani di ordine 1365.
Soluzione - Risulta 1365 = 3 · 5 · 7 · 13. Ogni gruppo abeliano G di ordine 1365
si fattorizza nelle seguenti componenti primarie:
G = A3 × A5 × A7 × A13 , con |A3 | = 3, |A5 | = 5, |A7 | = 7, |A13 | = 13.
Risulta necessariamente G = Z3 × Z5 × Z7 × Z13 ; si tratta del gruppo ciclico di
ordine 1365. Dunque esiste un solo gruppo abeliano di ordine 1365.

Questo è un fatto generale. Se n = p1 p2 · · · pt con i pi numeri primi distinti,


allora esiste un solo gruppo abeliano di ordine n che è ovviamente il gruppo ciclico
di ordine n, vedi anche teorema 6.1.9 .

3. Esercizi relativi al Capitolo 6

Esercizio 6.3.1.
Provare le seguenti affermazioni
(1) (Q∗ , ·) è prodotto diretto di (Q∗+ , ·) e di ({1, −1}, ·).
(2) (C, +) = (R, +) × (iR, +) è prodotto diretto.
(3) (C∗ , ·) = (R+ , ·) × (Γ, ·) è prodotto diretto, con Γ = {z ∈ C | |z| = 1}.
Capitolo 6 Prodotto Diretto di gruppi 128

Soluzione - E’ di immediata verifica che valgono le condizioni richieste nella


definizione 6.1.2.

Esercizio 6.3.2.
Siano p e q numeri primi e p 6= q. Determinare il numero di sottogruppi del gruppo
G = Zp × Zq .
Soluzione - Sia z = (x, y) ∈ G; poichè p primo, tutti gli elementi di Zp diversi
dall’elemento neutro hanno periodo p. Analogamente ogni elemento di Zq diverso
dall’elemento neutro ha periodo q e pertanto se z = (x, y) ∈ G con x 6= 0q , y 6= 0q ,
si ha o(z) = pq e pertanto | < z > | = pq e dunque < z >= G.
Se z = (x, 0q ), x 6= 0p , si ha A =< z >= Zp × {0q }. Se z = (0p , y), y 6= 0q ,
si ha B =< z >= {0p } × Zq . In questo modo sono stati descritti tutti i possibili
sottogruppi di G; sono quattro compresi i due sottogruppi banali: < (0p , 0q ) >,
G, A ' Zp , B ' Zq .

Esercizio 6.3.3.
Dimostrare che il gruppo simmetrico S3 non è prodotto diretto di due suoi sotto-
gruppi propri.
Soluzione - Supponiamo sia S3 = K × H con K e H sottogruppi propri di S3 .
Poichè |S3 | = 6, per il teorema di Lagrange |K| e |H| dividono 6 e quindi |K| e
|H| possono essere solo 3 e 2 e perciò K e H sono ciclici e quindi abeliani. Ne
seguirebbe S3 abeliano e ciò è assurdo.
Più semplicemente si può affermare che S3 non è prodotto diretto di sottogruppi
perchè ha un solo sottogruppo proprio normale: A3 .

Esercizio 6.3.4.
Sia G un gruppo abeliano, non ciclico, di ordine 9. Dimostrare che G ' Z3 × Z3 .
Soluzione - Sia x ∈ G, x 6= 1, e sia H =< x >. Poichè G è non ciclico si ha
o(x) = 3 e |H| = 3. Analogamente considerato y ∈ G − H e K =< y >, si
ha |K| = 3 ed inoltre K * H e perciò H ∩ K = {1} e K ⊂ HK da cui segue
HK sottogruppo di G. Per il teorema di Lagrange |HK| > 3 divide |G| = 9 e
pertanto HK = G. Essendo G abeliano, i sottogruppi H e K sono normali e
quindi G = H × K prodotto diretto, con H ' Z3 ' K.

Esercizio 6.3.5.
Dimostrare che, se G è un gruppo ciclico di ordine n2 , esso non è isomorfo al
prodotto diretto esterno H × H dove H è un gruppo ciclico di ordine n.
Soluzione - Anzittutto ricordiamo che un gruppo ciclico finito di ordine r possiede
un ( ed un solo ) sottogruppo ciclico di ordine s per ogni s divisore di r, perciò G
possiede un unico sottogruppo ciclico H di ordine n.
Sia H =< x >; il gruppo H × H possiede almeno due sottogruppi di ordine n
ciclici: A =< (1, x) > e B =< (x, 1) >. I gruppi G e H × H non possono quindi
essere isomorfi.
Capitolo 6 Prodotto Diretto di gruppi 129

Esercizio 6.3.6.
Sia p un numero primo. Si calcoli il numero dei sottogruppi del gruppo Zp × Zp .
Soluzione - Poichè |Zp ×Zp | = p2 , ogni sottogruppo proprio di Zp ×Zp ha ordine p
e quindi è ciclico. Siano H e K due sottogruppi propri distinti. Allora H ∩K = {0}
e quindi ogni elemento x 6= 0 di Zp ×Zp è contenuto in un solo sottogruppo proprio
di Zp × Zp . Poichè Zp × Zp ha p2 − 1 elementi x 6= 0 e poichè ogni sottogruppo
proprio contiene p − 1 elementi diversi da 0, si deduce che il numero di sottogruppi
2 −1
propri di Zp × Zp è pp−1 = p + 1.

Esercizio 6.3.7.
Determinare il centro dei gruppi H = C2 × D3 e K = Q8 × Z3 .
Soluzione - L’elemento (a, b) ∈ Z(H) se e solo se per ogni (x, y) ∈ H risulta
(a, b)(x, y) = (x, y)(a, b), ossia ax = xa e by = yb per ogni x ∈ C2 e per ogni
y ∈ D3 . Dunque il centro Z(H) è il prodotto diretto del centro di C2 e del centro di
D3 e poichè Z(C2 ) = C2 = {1, a} e Z(D3 ) = { 1̄ } si ha Z(H) = {(1, 1̄), (a, 1̄)}.
Analogamente poichè Z(Q8 ) = {1, −1} e Z(Z3 ) = Z3 = {0̄, 1̄, 2̄} si ha Z(K) =
{(1, 0̄), (1, 1̄), (1, 2̄), (−1, 0̄), (−1, 1̄), (−1, 2̄)}.

Esercizio 6.3.8.
Determinare la struttura di tutti i possibili gruppi di cardinalità 8.
Soluzione - Distinguiamo due casi:
1◦ caso) |G| = 8, G abeliano. Essendo un gruppo abeliano, G è il prodotto
diretto di gruppi ciclici e quindi si hanno le seguenti possibilità: G ' Z8 ,
G ' Z4 × Z2 , G ' Z2 × Z2 × Z2 .
2◦ caso) |G| = 8, G non abeliano. Come noto esistono i gruppi G ' Q8 (qua-
ternioni) e G ' D4 (diedrico). Dimostriamo che non ci sono altri gruppi
di ordine otto non abeliani. Ricordiamo che il periodo di un qualunque
elemento di G è 2 oppure 4 oppure 8 perchè sappiamo che deve dividere
l’ordine del gruppo. Sicuramente in G non esistono elementi di periodo
otto (altrimenti G sarebbe ciclico e quindi abeliano); inoltre gli elementi
diversi dall’elemento neutro non possono avere tutti periodo due perchè
in tal caso G sarebbe abeliano (infatti se x = x−1 per ogni x ∈ G − {1},
si ha xy = (xy)−1 = y −1 x−1 = yx). Sia dunque x ∈ G un elemento di
periodo quattro; allora si osservi che in G anche l’elemento x3 ha periodo
quattro e pertanto in G gli elementi di periodo quattro devono essere in
numero pari ossia sono 2 oppure 4 oppure 6.
– Se in G vi sono esattamente due elementi di periodo 4 allora ogni
elemento y ∈ G− < x > è di periodo 2 (essendo o(x) =o(x3 ) = 4)
e poichè xy ∈ G− < x > si ha o(xy) = 2 da cui xy = yx e
xr y = yx4−r , r = 0, 1, 2, 3 e pertanto G è isomorfo al gruppo diedrico
D4 .
Capitolo 6 Prodotto Diretto di gruppi 130

– Se in G ci sono esattamente quattro elementi di periodo 4, siano


x, x3 , y, y 3 tali che o(x) = o(x3 ) = o(y) = o(y 3 ) = 4 con x 6= y, x 6= y 3 .
Poichè x 6= y, il gruppo < x > ∩ < y > è sottogruppo proprio di
< x > e quindi da | < x > | = 4 segue | < x > ∩ < y > | ≤ 2. Se | <
x > ∩ < y > | = 1 allora si ha G '< x > × < y > prodotto diretto
e |G| = 16 contro l’ipotesi |G| = 8. Se | < x > ∩ < y > | = 2 allora
x2 = y 2 e G = {1, x, x2 , x3 , y, y 3 , xy, x3 y} con o(xy) = o(x3 y) = 2
(perchè i soli elementi di periodo 4 sono x, x3 , y, y 3 ) e pertanto xy =
yx e x3 y = yx3 . Allora è di immediata verifica che gli elementi di G
permutano fra di loro ossia G è abeliano contro l’ipotesi ( risulterebbe
G ' Z4 × Z2 con Z4 '< x >, Z2 '< xy > ).
– Se in G ci sono esattamente sei elementi di periodo 4 allora G è
banalmente isomorfo al gruppo Q8 dei quaternioni.
CAPITOLO 7

Gruppi Risolubili

In questo capitolo presentiamo le principali nozioni relative ad una famiglia di


gruppi detti gruppi risolubili per il loro legame con il problema della 00 risoluzione 00
delle equazioni algebriche. In particolare si studierà la risolubilità dei gruppi sim-
metrici e dei gruppi alterni per l’importanza che questa proprietà riveste nella
teoria delle equazioni algebriche. E’ noto che una equazione algebrica di grado n
ammette una formula generale di risoluzione per radicali se e solo se n ≤ 4.

1. Derivato di un gruppo

Definizione 7.1.1. Sia (G, ·) un gruppo; per ogni coppia (a, b) di elementi di
G si definisce commutatore di (a, b) l’elemento k(a, b) = b−1 · a−1 · b · a.
Per indicare il commutatore k(a, b) a volte si scrive semplicemente [a, b].
(Se si usa la notazione addittiva allora [a, b] = −b − a + b + a)

Dalla definizione segue immediatamente che:


(1) k(a, b) = 1 ⇔ a · b = b · a
(2) a · b · k(a, b) = b · a, ossia moltiplicando a · b per il suo commutatore si
ottiene b · a ( questa proprietà giustifica il nome di commutatore).
(3) k(a, a) = 1 per ogni a ∈ G.
(4) k(a, b)−1 = k(b, a).

Nonostante l’elemento neutro di G sia un commutatore e l’elemento inverso


di un commutatore sia ancora un commutatore, come assicurano la (3) e la (4)
precedenti, non è detto che il prodotto di due commutatori sia un commutatore
e pertanto l’insieme dei commutatori di un gruppo G, in generale, non è un
sottogruppo di G. Ha perciò significato considerare e studiare il gruppo generato
dai commutatori di un gruppo.

Definizione 7.1.2. Sia (G, ·) un gruppo; si definisce derivato (primo) di G


il sottogruppo G0 di G generato dai commutatori di G.

Teorema 7.1.3. Il derivato primo del gruppo (G, ·) è il gruppo


131
Capitolo 7 Gruppi risolubili 132

G0 = {k1 · k2 · · · · · kn | n ∈ N∗ ; ki commutatore, i = 1, 2, · · · , n}.


Dimostrazione. L’insieme G0 = {k1 ·k2 ·· · ··kn | n ∈ N∗ ; ki commutatore, i =
1, 2, · · · , n} è chiuso rispetto al prodotto di G e G0 6= ∅ perchè 1 ∈ G0 . Inoltre,
come già notato precedentemente, l’inverso di un commutatore è un commutatore
e pertanto per ogni k1 · k2 · · · · · kn ∈ G0 si ha (k1 · · · · · kn )−1 = kn−1 · · · · · k1−1 ∈ G0 .
L’insieme G0 è quindi un sottogruppo di G. Per come definito, G0 è contenuto in
ogni sottogruppo di G che contiene i commutatori di G e perciò G0 è il più piccolo
sottogruppo di G che contiene tutti i commutatori ossia G0 è il gruppo generato
dai commutatori di G. 

Nota 7.1.4.
• La non abelianità di G è tutta racchiusa in G0 . Così come tutta l’abelianità
di G è racchiusa nel centro Z(G).
• G0 =< 1 > ⇐⇒ G è abeliano, ossia G0 =< 1 > ⇐⇒ G = Z(G).
• Il derivato G0 di G è il più piccolo sottogruppo di G che contiene tutti i
commutatori.

Teorema 7.1.5. Il derivato G0 di un gruppo (G, ·) è un sottogruppo caratte-


ristico di G.
Dimostrazione. Occorre provare che per ogni φ ∈ Aut(G) risulta φ(G0 ) =
0
G . Dimostriamo dapprima che ogni automorfismo φ ∈ Aut(G) trasforma un
commutatore k(a, b) in un commutatore:
φ(k(a, b)) = φ(b−1 · a−1 · b · a) = φ(b)−1 · φ(a)−1 · φ(b) · φ(a) = k(φ(a)φ(b)) ∈ G0 .
Siano ora k1 · k2 · · · · · kn ∈ G0 , per ogni φ ∈ Aut(G) risulta φ(k1 · k2 · · · · · kn ) =
φ(k1 ) · φ(k2 ) · · · · · φ(kn ) ∈ G0 e pertanto rimane provato che φ(G0 ) = G0 . 

Il teorema ora dimostrato assicura, in particolare, che il derivato G0 è un


sottogruppo normale di G: G0 E G.

Teorema 7.1.6. Sia (G, ·) un gruppo e G0 il derivato di G. Si ha che


(1) GG0 è abeliano;
(2) se H E G e H G
abeliano, allora G0 ⊆ H;
(3) se H ≤ G e G0 ⊆ H allora H E G e H G
è abeliano.
Dimostrazione.
(1) Siano a, b ∈ G; considerati i laterali aG0 , bG0 ∈ GG0 si ha
aG0 · bG0 = abG0 = ab · k(a, b)G0 = baG0 = bG0 · aG0
e quindi GG0 è abeliano.
Capitolo 7 Gruppi risolubili 133

G
(2) Sia H E G e H abeliano; per ogni a, b ∈ G si ha aH · bH = bH · aH,
abH = baH, b a baH = H da cui b−1 a−1 ba ∈ H. Dunque H contiene
−1 −1

tutti i commutatori di G ed essendo H un gruppo, H contiene anche tutti


i prodotti di commutatori e perciò G0 ⊆ H.
(3) Sia G0 ⊆ H ≤ G; per ogni g ∈ G e h ∈ H si ha g −1 h−1 gh ∈ G0 e
dunque g −1 h−1 gh ∈ H, ma H gruppo e h−1 ∈ H e perciò g −1 h−1 gh ·
h−1 = g −1 h−1 g ∈ H allora (g −1 h−1 g)−1 = g −1 hg ∈ H e pertanto H è
G
sottogruppo normale di G. Inoltre H è abeliano perchè per ogni a, b ∈ G
si ha aH · bH = abH = ab[a, b]H = baH = bH · aH (si ricordi che
[a, b]H = H perchè [a, b] ∈ H essendo G0 ⊆ H).

Il teorema ora dimostrato assicura che il derivato G0 di un gruppo G è il più
G
piccolo sottogruppo normale H di G tale che il quoziente H sia abeliano.

Definizione 7.1.7. Sia (G, ·) un gruppo. Posto G(0) = G, per ogni r ∈ N∗


per induzione si definisce G(r) = (G(r−1) )0 . Il sottogruppo G(r) è detto derivato
r-esimo di G.
00
In particolare si scriverà G(1) = G0 , G(2) = (G0 )0 = G e così via.

Teorema 7.1.8. Sia (G, ·) un gruppo. G(r) è un sottogruppo caratteristico


di G.
Dimostrazione. Ogni automorfismo φ ∈ Aut(G) trasforma un commutatore
di G in un commutatore di G. Ne segue che ogni automorfismo φ di G è anche
automorfismo del derivato G0 perchè ogni elemento di G0 è un prodotto finito
di commutatori di G. Procedendo in modo ricorsivo, risulta pertanto che ogni
automorfismo φ ∈ Aut(G) è anche automorfismo di G(r) ossia φ(G(r) ) = G(r)
per ogni φ ∈ Aut(G) e dunque G(r) è sottogruppo caratteristico di G per ogni
r ∈ N∗ . 

Il teorema ora dimostrato assicura che per ogni r ∈ N∗ si ha G(r) C G.

Teorema 7.1.9. Sia Sn il gruppo delle permutazioni su n elementi, allora


Sn0 = An per ogni n ∈ N ∗ .
Dimostrazione. Suddividiamo la dimostrazione in quattro parti:
(1) Sn0 E An .
Infatti poichè in Sn una qualunque permutazione g e la sua inversa g −1
sono sempre entrambe di classe pari o entrambe di classe dispari, si ha
che un qualunque commutatore di Sn è una permutazione di classe pari e
0
quindi è un elemento di An . Risulta quindi Sn0 ⊆ An e pertanto Sn E An .
Capitolo 7 Gruppi risolubili 134

(2) Caso n ≥ 5.
Per n ≥ 5, An è semplice (vedi teorema 4.2.3) quindi i suoi sottogruppi
normali sono solo quelli banali, deve allora essere Sn0 = An oppure Sn0 =
< id. >. Se Sn0 =< id. > allora Sn abeliano e ciò per n ≥ 5 è assurdo.
Rimane dunque provato che per n ≥ 5 risulta Sn0 = An .
(3) Caso n = 4.    
1 2 3 4 1 2 3 4
Consideriamo α, β ∈ S4 , con α = eβ= .
2 3 1 4 1 3 2 4
 
1 2 3 4
Si ha α−1 · β −1 · α · β = ∈ S 0 4 e α−1 · β −1 · α · β è un
2 3 1 4
3-ciclo e dunque per il teorema 4.2.2 si ha S40 = A4 perchè S40 contiene un
3-ciclo ed è un sottogruppo normale di A4 .
(4) Caso n ≤ 3.
Per n = 3 da Sn0 ⊆ An segue |S30 | = 1 oppure |S30 | = 3. Se fosse |S30 | = 1
sarebbe S3 abeliano e ciò è assurdo e pertanto deve essere |S30 | = 3 ossia
S30 = A3 .
Per n ≤ 2 si ha banalmente Sn0 = An =< id. >.


2. Risolubilità di un gruppo

Definizione 7.2.1. Un gruppo (G, ·) si dice risolubile se esiste un intero


r ≥ 1 tale che G(r) =< 1 >.

Esempio 7.2.2.
• Ogni gruppo abeliano è risolubile perchè G0 =< 1 >.
00
• Il gruppo dei quaternioni è risolubile perchè G =< 1 >.

Definizione 7.2.3. Si chiama catena di un gruppo (G, ·) ogni successione


finita di sottogruppi G = G1 > G2 > · · · > Gi > · · · > Gn =< 1G >.
La catena è detta serie subnormale (o catena normale ) se Gi / Gi−1 per
ogni i = 2, 3, . . . , n ed in questo caso i gruppi Gi−1 /Gi sono detti fattoriali della
catena.
Se in una serie subnormale ogni Gi è anche un sottogruppo normale di G, la
successione di sottogruppi è detta serie normale.
Capitolo 7 Gruppi risolubili 135

Esempio 7.2.4.
(1) Se (G, ·) è risolubile allora il gruppo G ed i suoi derivati formano una serie
normale: G . G0 . · · · . G(i) . · · · . G(r) =< 1G >.
(2) In S4 consideriamo i sottogruppi H1 = {id., (1 2)(3 4), (1 3)(2 4), (1 4)(2 3)}
e H2 = {id., (1 2)(3 4)}. Allora S4 B H1 B H2 B < id. > è una serie
subnormale ma non è una serie normale perchè H2 5 S4 .

Teorema 7.2.5. Un gruppo (G, ·) è risolubile se e solo se possiede una serie


subnormale a fattoriali abeliani.
Dimostrazione. Sia G risolubile. Allora, per la (3) del teorema 7.1.6, la
catena dei suoi derivati è una serie subnormale a fattoriali abeliani.
Viceversa supponiamo che G possieda una serie subnormale a fattoriali abeliani:
sia G = G1 .G2 .· · ·.Gi .· · ·.Gn =< 1G > con GGi−1
i
abeliano per ogni i = 2, 3, ..., n.
Per la (2) del teorema 7.1.6, da G1 .G2 e G2 abeliano segue G01 ⊂ G2 ; da G
G1 2
G3
abeliano
segue che G2 ⊂ G3 ; ma G1 ⊂ G2 significa anche (G1 ) ⊂ G2 ossia G1 ⊂ G02 da cui
0 0 0 0 0 00
(n−1)
G001 ⊂ G3 . Procedendo in questo modo si ottiene G1 ⊂ Gn e poichè Gn =< 1G >
(n−1)
si ha G1 =< 1G > e dunque G è risolubile. 

G
Teorema 7.2.6. Sia (G, ·) un gruppo; H / G tale che H e H
siano risolubili.
Allora G è risolubile.
0
Dimostrazione. Essendo H / G si ha che ( H ) = (GH·H) ; infatti considerato
G 0

un qualunque commutatore di H G
, si ha [g1 H g2 H] = (g2 H)−1 (g1 H)−1 g2 Hg1 H =
Hg2−1 Hg1−1 g2 Hg1 H e poichè gi H = Hgi perchè H è normale in G, si ha
0
Hg2−1 Hg1−1 g2 Hg1 H = g2−1 g1−1 g2 g1 H ∈ GHH . Sempre per la normalità di H in G
G 0 0
si ha [g1 H g2 H][g3 H g4 H] = [g1 g2 ][g3 g4 ]H e pertanto ( H ) = GHH . Procedendo per
G (r) (G(r) ·H) G
induzione su r si ottiene ( H ) = H
. Per ipotesi H è risolubile, allora esiste
(n)

n ∈ N tale che G (n)
(H ) =< 1 > ossia (G H ·H) =< 1 > e
quest’ultima ugualianza
comporta G ⊂ H. Per ipotesi H è risolubile allora esiste un m ∈ N∗ tale che
(n)

H (m) =< 1 >; risulta allora G(n+m) =< 1 > e quindi G è risolubile. 

Teorema 7.2.7. Sia (G, ·) un gruppo risolubile. Ogni sottogruppo di G è


risolubile.
Dimostrazione. Sia (G, ·) un gruppo risolubile, allora esiste r ∈ N∗ tale che
G(r) =< 1G >. Sia H un sottogruppo di G; da G ⊃ H si ha G(r) ⊃ H (r) e quindi
H (r) =< 1G > ossia H è risolubile. 
Capitolo 7 Gruppi risolubili 136

Teorema 7.2.8. Sia (G, ·) un gruppo risolubile. Ogni immagine omomorfa


di G è un gruppo risolubile.
Dimostrazione. Sia φ un omomorfismo suriettivo di G nel gruppo H e sia
G(r) =< 1 >. Si ha φ(G0 ) = H 0 , φ(G00 ) = H 00 , . . . , φ(G(r) ) = H (r) e poichè
G(r) =< 1 > e φ omomorfismo, si ha φ(G(r) ) =< 1 > ossia H (r) =< 1 > e
pertanto H è risolubile. 

Corollario 7.2.9. Ogni quoziente di un gruppo risolubile è risolubile.


Dimostrazione. Segue dal teorema precedente perchè ogni quoziente di un
gruppo è una sua immagine omomorfa (vedi 1◦ teorema di omomorfismi per grup-
pi). 

3. Risolubilità di Sn e di altre famiglie di gruppi.

Teorema 7.3.1. Sn risolubile ⇐⇒ n = 2, 3, 4


Dimostrazione. Procediamo per casi:
(1) n = 2:
S2 è risolubile perchè è abeliano.
(2) n = 3:
S3 è risolubile perchè possiede una serie subnormale a fattoriali abeliani:
S3 . A3 . < id. >.
(3) n = 4:
S4 è risolubile perchè possiede la serie subnormale a fattoriali abeliani:
S4 . A4 . H. < id. >, dove H = {id., α, β, γ} con α = (1 2)(3 4), β =
(1 3)(2 4), γ = (1 4)(2 3).
(4) n ≥ 5:
Per n ≥ 5 abbiamo dimostrato che An è semplice; poichè An non è abe-
liano, non può essere A0n =< id. > e quindi deve essere A0n = An ; perciò
An non è risolubile per n ≥ 5. Essendo An non risolubile, anche Sn ⊃ An
non è risolubile per n ≥ 5.


Nota 7.3.2. Per sottolineare l’importanza del teorema precedente, si tenga


presente che la risolubilità dei gruppi simmetrici Sn con n ≤ 4 e la non risolubilità
dei gruppi simmetrici Sn con n ≥ 5 sta alla base del fatto che solo le equazio-
ni algebriche di grado n ≤ 4 ammettono una formula risolutiva radico-razionale
generale.
Capitolo 7 Gruppi risolubili 137

Teorema 7.3.3. Sia (G, ·) un gruppo semplice. G è risolubile se e solo se è


finito ed ha per ordine un numero primo.
Dimostrazione. Se |G| = p con p primo allora G è ciclico e quindi abeliano
e pertanto G è risolubile.
Viceversa, se G è risolubile si ha G0 6= G e poichè G0 / G e G è semplice, risulta
G0 =< 1 > e quindi G è abeliano. Essendo G abeliano, ogni suo sottogruppo è
normale e quindi, essendo G semplice, G deve essere privo di sottogruppi propri e
pertanto deve essere G finito di ordine primo. 

Teorema 7.3.4. Ogni gruppo di ordine pn con p primo, n ∈ N∗ , è risolubile.


Dimostrazione. Per n = 1 il risultato è vero perchè il gruppo, essendo di
ordine primo, è ciclico e quindi è abeliano e perciò risolubile.
Procediamo per induzione su n, supponiamo vero il risultato per (n − 1) e
dimostriamo che vale per n. Sia (G, ·) un gruppo di ordine pn , n > 1. Allora
G
esiste N / G tale che |N | = p; il gruppo N è risolubile perchè ciclico, il gruppo N è
n−1
risolubile per l’ipotesi di induzione essendo di ordine p e perciò per il teorema
7.2.6, G è risolubile. 

Esempio 7.3.5.
Il gruppo Q8 dei quaternioni è risolubile perchè |Q8 | = 23 .

Teorema 7.3.6. Ogni gruppo di ordine p · q con p, q numeri primi, è risolu-


bile.
Dimostrazione. Sia (G, ·) un gruppo di ordine p · q, con p, q numeri primi.
Se p = q allora |G| = p2 e pertanto G è abeliano e quindi risolubile.
Se G ha ordine p · q con p < q, allora G ha un solo sottogruppo di ordine q:
infatti per il teorema di Sylow G ammette almeno un sottogruppo di ordine q;
supponiamo per assurdo che esistano A, B sottogruppi di G con |A| = |B| = q e
A 6= B. Si ha A ∩ B =< 1 > e |A · B| = q 2 perchè i prodotti a · b con a ∈ A, b ∈ B
sono a due a due distinti (se fosse a · b = c · d con a, c ∈ A, b, d ∈ B si avrebbe
c−1 · a = d · b−1 ∈ A ∩ B e quindi a = c, b = d). Ovviamente A · B ⊂ G ma questo
è assurdo perchè |A · B| = q 2 e |G| = p · q con p < q.
Dunque in G esiste un solo sottogruppo A di ordine q; questo implica x·A·x−1 =
A per ogni x ∈ G e quindi A / G. Il gruppo G è pertanto risolubile perchè possiede
una serie subnormale a fattoriali abeliani: G . A . < 1 >. 

Nel prossimo teorema enunciamo altri due risultati importanti per lo studio dei
gruppi finiti e per la loro classificazione. In questa trattazione le dimostrazioni
non vengono riportate per la loro complessità.
Capitolo 7 Gruppi risolubili 138

Teorema 7.3.7.
(1) Un gruppo di ordine pm q n con p, q numeri primi, m, n ∈ N, è risolubile
(teorema di Burnside).
(2) Ogni gruppo finito di ordine dispari è risolubile (teorema di Feit-Thomson).
Si osservi che dal teorema di Feit-Thomson (1960), segue che se G è un grup-
po semplice finito, allora G è ciclico di ordine primo oppure è non abe-
liano ed ha ordine pari. Infatti se G è semplice, finito, abeliano allora è ciclico
di ordine primo (perchè semplice abeliano implica che non ha sottogruppi e dunque
vale il teorema 2.6.3); se G è semplice, finito, non abeliano, esso non può avere
ordine dispari perchè se così fosse non potrebbe essere semplice perchè G0 sarebbe
sottogruppo normale di G con G0 6= G.

4. Esercizi relativi al Capitolo 7

Esercizio 7.4.1.
Sia Dn il gruppo diedrico. Dimostrare che Dn è risolubile e determinare Dn0 .
Soluzione - Sia Dn = {1, a, a2 , ..., an−1 , b, ba, ..., ban−1 } e sia Cn =< a >. Il gruppo
Cn è ciclico (abeliano) di indice 2 in Dn e pertanto è un sottogruppo normale di
Dn . Il gruppo quoziente D Cn
n
è di ordine 2 e perciò è abeliano. Da Cn C Dn , D n
Cn
abeliano segue Dn0 ≤ Cn e pertanto Dn0 è ciclico (e quindi abeliano) generato da
una potenza di a. Dalla abelianità di Dn0 segue Dn00 =< 1 > e pertanto Dn è
risolubile.
Per determinare Dn0 studiamo come sono i commutatori di Dn0 :
• [ai aj ] = a−j a−i aj ai = 1 perchè Cn è commutativo;
• [ai baj ] = a−j ba−i baj ai = a−j ai bbaj ai = a−j ai aj ai = a2i ;
• [bai baj ] = a−j ba−i bbaj bai = a−j ai bbbba−j ai = a−j ai a−j ai = a2(i−j) .
dunque i commutatori sono espressi come potenze di a2 e pertanto Dn0 ⊆< a2 >.
Ma a2 = [a1 baj ] ∈ Dn0 e perciò < a2 >⊆ Dn0 e dunque Dn0 =< a2 >.
Ad esempio D60 = {1, a2 , a4 }, D90 = {1, a1 , a2 , a3 , a4 , a5 , a6 , a7 , a8 }.

Esercizio 7.4.2.
Sia (G, ·) un gruppo tale che |G| = 2p2 , p primo. Dimostrare che G è risolubile
perchè G00 =< 1 >.
Soluzione - Per il teorema di Sylow G possiede un sottogruppo di ordine p2 , sia
H. Il sottogruppo H è di indice 2 in G e perciò è normale in G ed è abeliano
G G
perchè |H| = p2 (vedi teorema 5.3.11); inoltre H è abeliano perchè | H | = 2. Da
H C G e H abeliano segue G ⊆ H da cui segue G abeliano e quindi G00 =< 1 >
G 0 0

e pertanto G è risolubile.
Ad esempio il gruppo Q8 dei quaternioni è risolubile perchè |Q8 | = 2 · 22 .
Capitolo 7 Gruppi risolubili 139

Esercizio 7.4.3.
Sia (G, ·) un gruppo tale che esiste α ∈ Aut(G) con la proprietà α 6= id., α(x) = x
oppure α(x) = x−1 . Dimostrare che G è risolubile.
Soluzione - Sia H = {x ∈ G | α(x) = x}. Si ha H 6= G perchè α 6= id. e H risulta
sottogruppo di G.
(1) Dimostriamo che H è normale in G. Banalmente, per ogni g ∈ H e per
ogni h ∈ H si ha g −1 Hg = H. Per ogni g ∈ G − H e per ogni h ∈ H è
gh ∈ / H e quindi α(gh) = (gh)−1 ma anche α(gh) = α(g)α(h) = g −1 h e
quindi (gh)−1 = g −1 h, h−1 g −1 = g −1 h, g −1 hg = h−1 ∈ H ossia g −1 hg ∈ H
per ogni g ∈ G − H e per ogni h ∈ H. Rimane così provato che H è
sottogruppo normale di G perchè g −1 Hg = H per ogni g ∈ G e per ogni
h ∈ H.
(2) Dimostriamo che H è abeliano e quindi risolubile. Fissato g ∈ / H, l’ap-
plicazione φg : H → H definita da φg (h) = g −1 hg è un automorfi-
smo di H perchè per ogni h1 , h2 ∈ H risulta φg (h1 h2 ) = g −1 h1 h2 g =
g −1 h1 gg −1 h2 g = φg (h1 )φg (h2 ). Per quanto dimostrato in (1) si ha g −1 hg =
h−1 ossia φg (h) = h−1 per ogni h ∈ H e pertanto si ha φg (h1 h2 ) =
(h1 h2 )−1 = h−1 −1 −1 −1
2 h1 ma anche φg (h1 h2 ) = φg (h1 )φg (h2 ) = h1 h2 da cui
h−1 −1 −1 −1
2 h1 = h1 h2 ossia h1 h2 = h2 h1 per ogni h1 , h2 ∈ H. Si conclude H
abeliano e H risolubile.
G
(3) Dimostriamo che H è abeliano e quindi risolubile.
• Se g1 , g2 ∈ H allora g1 Hg2 H = H = g2 Hg1 H.
• Se g1 ∈ H e g2 ∈ / H allora essendo H normale in G si ha g2−1 h1 g2 ∈ H,
g1 g2 = g2 h con h ∈ H e pertanto g1 Hg2 H = g1 g2 H = g2 hH =
g2 Hg1 H.
• Se g1 , g2 ∈ / H distinguiamo due casi. Sia g1 g2 ∈ / H; si ha g1 g2 = g2 g1
−1 −1
perchè da α(g1 g2 ) = α(g1 )α(g2 ) = g1 g2 e α(g1 g2 ) = (g1 g2 )−1 =
g2−1 g1−1 segue g1−1 g2−1 = g2−1 g1−1 da cui g1 g2 = g2 g1 e pertanto g1 Hg2 H =
g1 g2 H = g2 g1 H = g2 Hg1 H. Sia g1 g2 ∈ H; allora, per quanto dimo-
strato nel caso precedente, non può essere g2 g1 ∈ / H e perciò g2 g1 ∈ H
G
da cui g1 Hg2 H = g1 g2 H = H = g2 g1 H = g2 Hg1 H. Si conclude H
abeliano e quindi risolubile.
G
Da H C G, H risolubile e H risolubile segue G risolubile (teorema 7.2.6).
CAPITOLO 8

Reticoli

Quella di reticolo è una struttura algebrica ottenuta a partire da una relazione


d’ordine e per questo la teoria dei reticoli fa parte sia della teoria dell’ordine che
della teoria dell’algebra universale. La struttura di reticolo trova particolari ap-
plicazioni in logica matematica e in molti rami dell’informatica. Questa struttura
può essere ulteriormente arricchita fino a giungere alla struttura algebrica detta
algebra di Boole.
Il termine reticolo deriva dalla modalità di rappresentare i reticoli finiti con i
diagrammi di Hasse.

1. Reticoli: definizioni e proprietà

Iniziamo ricordando la definizione di relazione di ordine ( vedi capitolo 1,


paragrafo 2).

Definizione 8.1.1. Sia A un insieme e sia R ⊆ A × A una relazione binaria


in A. La relazione R è detta di ordine, o di ordine parziale, se sono soddisfatte
le seguenti proprietà:
(1) (a, a) ∈ R per ogni a ∈ A (prop. riflessiva);
(2) se (a, b) ∈ R e (b, a) ∈ R allora a = b (prop. antisimmetrica);
(3) se (a, b) ∈ R e (b, c) ∈ R allora (a, c) ∈ R (prop. transitiva).
Di norma una relazione R di ordine parziale si indica con il simbolo “≤” e
pertanto la scrittura delle proprietà precedenti diventa:
(1) a ≤ a per ogni a ∈ A;
(2) a ≤ b, b ≤ a ⇒ a = b;
(3) a ≤ b, b ≤ c ⇒ a ≤ c.
Si dice che A è un insieme parzialmente ordinato se in A è definita una
relazione “≤” di ordine parziale, in questo caso si scrive (A, ≤).

Esempio 8.1.2.
(1) N∗ = N \ {0}, (N∗ , ≤) è un insieme parzialmente ordinato rispetto alla
relazione “a ≤ b se a | b” (relazione di divisibilità);
140
Capitolo 8 Reticoli 141

(2) Z∗ = Z \ {0}, (Z∗ , ≤) non è un insieme parzialmente ordinato rispetto


la relazione “a ≤ b se a | b” perchè non vale la proprietà antisimmetrica
(−1 | 1, 1 | −1, 1 6= −1).

Definizione 8.1.3. Sia (L, ≤) un insieme parzialmente ordinato. Si dice che


(L, ≤) è un reticolo se per ogni x, y ∈ L il sottoinsieme {x, y} ha in L estremo
superiore, denotato con a ∨ b, ed estremo inferiore denotato con a ∧ b.
Il reticolo (L, ≤) si dice limitato se ha anche elemento minimo ed elemento
massimo denotati solitamente con 0 e 1, rispettivamente.

Si osservi che se x, y sono confrontabili esiste sempre inf(x, y) e sup(x, y). Preci-
samente se x ≤ y si ha inf(x, y) = x e sup(x, y) = y.

Esempio 8.1.4.
I seguenti insiemi parzialmente ordinati sono reticoli:
(1) (N∗ , ≤), a ≤ b se a | b.
(2) (S, ≤), S = {s | s = ∅ oppure s punto o retta di un piano affine π, oppure
s = π}={sottospazi di un piano affine π}, a ≤ b se a è sottospazio di b.
(3) (P(I), ≤) , P(I) insieme delle parti dell’insieme I, A ≤ B se A ⊆ B.
(4) (S(G), ≤), S(G) è l’insieme di tutti i sottogruppi del gruppo G, H ≤ K
se H ⊆ K.
(5) (D(n), ≤), D(n) insieme dei divisori di un fissato numero naturale n 6= 0,
x ≤ y se x | y, inoltre inf{x, y} = M CD(x, y) e sup{x, y} = mcm(x, y).

Teorema 8.1.5. Sia (L, ≤) un reticolo. Se B ⊆ L, B 6= ∅, B finito, allora


B ha in L sia estremo superiore che estremo inferiore.
Dimostrazione. Il risultato è vero per ogni B tale che |B| = 1 o |B| = 2.
Procediamo per induzione: supponiamo vero il risultato per ogni B, |B| = n, e
proviamo che vale per ogni H, tale che |H| = n + 1. Sia H = {a1 , . . . , an+1 }; siano
v = sup{a1 , . . . , an } e u = inf{a1 , . . . , an }, allora esistono in L il sup{v, an+1 } e
inf{u, an+1 } e questi sono rispettivamente sup H e inf H. 

Corollario 8.1.6. Ogni reticolo finito ammette massimo e minimo.

I reticoli si possono caratterizzare mediante opportune operazioni interne al re-


ticolo. Con questa caratterizzazione si mette in luce l’aspetto di struttura algebrica
del reticolo.
Capitolo 8 Reticoli 142

Definizione 8.1.7. Sia L un insieme non vuoto e siano “∨” e “∧” due ope-
razioni in L. La struttura (L, ∨, ∧) è detta reticolo se per ogni a, b, c ∈ L si
ha:
(1) a ∨ b = b ∨ a (1’) a ∧ b = b ∧ a (leggi commutative)
(2) a ∨ (b ∨ c) = (a ∨ b) ∨ c (2’) a ∧ (b ∧ c) = (a ∧ b) ∧ c (leggi associative)
(3) a ∨ (a ∧ b) = a (3’) a ∧ (a ∨ b) = a (leggi assorbimento)
(4) a ∨ a = a (4’) a ∧ a = a (leggi idempotenza)

Esempio 8.1.8.
(1) Sia L = D(n) l’insieme dei numeri naturali divisori di n ∈ N∗ . Per ogni
a, b ∈ L sia a ∧ b = M CD(a, b) e a ∨ b = mcm(a, b). (L, ∨, ∧) è un reticolo.
(2) Sia L = S(G) l’insieme di tutti i sottogruppi di un gruppo G. Per ogni
H, K ∈ S(G) sia H ∨K =< H ∪K > il più piccolo sottogruppo contenente
H e K e sia H ∧ K il gruppo intersezione di H e K. (S(G), ∨, ∧) è un
reticolo.
(3) Sia L = SN (G) l’insieme dei sottogruppi normali di un gruppo G. Rispet-
to alle operazioni ∨ e ∧, rispettivamente di unione e intersezione gruppale,
(SN (G), ∨, ∧) è un reticolo.
(4) Sia A un insieme finito. L’insieme L = P(A) di tutti i sottoinsiemi di A è
un reticolo rispetto alle operazioni di intersezione di insiemi e unione di
insiemi : (P(A), ∪, ∩).

Nota 8.1.9.
• Gli assiomi della definizione 8.1.7 non sono indipendenti perchè (4) e (40 )
sono conseguenze di (3) e (30 ); infatti a ∨ a = a ∨ [a ∧ (a ∨ b)] = a,
a ∧ a = a ∧ [a ∨ (a ∧ b)] = a. Si è comunque soliti riportare la definizione
di reticolo come sopra per ragioni storiche.
• Le operazioni di ∧ e ∨ di un reticolo L non sono da confondersi con
le operazioni di unione e intersezione insiemistica.

Legge di dualità
Se nella definizione di reticolo (L, ∨, ∧) si scambiano i simboli di ∨ e ∧ gli assiomi
che vi figurano non cambiano. Questo comporta che se in un reticolo vale la
proprietà P allora nel reticolo vale anche la proprietà duale P d ottenuta da P
scambiando i simboli di ∨ e ∧.
Capitolo 8 Reticoli 143

Equivalenza delle due Definizioni di reticolo


I seguenti due teoremi assicurano che le definizioni 8.1.3 e 8.1.7 sono equivalenti e
pertanto possono essere usate in modo intercambiabile a seconda di quale sia più
conveniente rispetto all’ambito di lavoro.

Teorema 8.1.10. Sia (L, ≤) un reticolo. In L rimangono definite due ope-


razioni 00 ∨00 e 00 ∧00 tali che
(1) a ∨ b = b ∨ a (1’) a ∧ b = b ∧ a (prop. commutativa)
(2) a ∨ (b ∨ c) = (a ∨ b) ∨ c (2’) a ∧ (b ∧ c) = (a ∧ b) ∧ c (prop. associativa)
(3) a ∨ (a ∧ b) = a (3’) a ∧ (a ∨ b) = a (prop. di assorbimento)
(4) a ∨ a = a (4’) a ∧ a = a (prop. di idempotenza)
Dimostrazione. Definiamo in L le seguenti due operazioni dette rispettiva-
mente unione e intersezione:
• a ∨ b = sup{a, b}
• a ∧ b = inf{a, b}
Poichè (L, ≤) è un reticolo, le proprietà dell’estremo superiore e dell’estremo infe-
riore rendono di immediata verifica che le due operazioni sopra definite soddisfano
le proprietà enunciate. 

Viceversa vale il seguente teorema.

Teorema 8.1.11. Sia (L, ∨, ∧) un reticolo. In L rimane definita una re-


lazione “≤” di ordine tale che per ogni x, y ∈ L il sottoinsieme {x, y} ha in L
estremo superiore ed estremo inferiore .
Dimostrazione. Definiamo in L la seguente relazione 00 a ≤ b se a ∧ b = a00 .
Osserviamo che da a ∧ b = a segue a ∨ b = (a ∧ b) ∨ b = b e viceversa da a ∨ b = b
segue a ∧ b = a ∧ (a ∨ b) = a; dunque si ha a ≤ b se e solo se a ∨ b = b. La relazione
in L sopra definita, è una relazione di ordine parziale perchè soddisfa alle seguenti
proprietà:
• a ≤ a per ogni a ∈ L. Infatti per ogni a ∈ L si ha a ∧ a = a;
• a ≤ b, b ≤ a ⇒ a = b. Infatti a ∧ b = a, b ∧ a = b ⇒ a = b;
• a ≤ b, b ≤ c ⇒ a ≤ c. Infatti a ∧ b = a e b ∧ c = b ⇒ a ∧ c = (a ∧ b) ∧ c =
a ∧ (b ∧ c) = a ∧ b = a.
Dunque (L, ≤) è un insieme parzialmente ordinato. Inoltre per ogni a, b ∈ L
si ha a ∨ b = sup{a, b} infatti da a ∨ (a ∨ b) = a ∨ b segue a ≤ a ∨ b e da
b ∧ (a ∨ b) = b segue b ≤ a ∨ b; da a ≤ x, b ≤ x segue a ∨ x = x, b ∨ x = x e quindi
(a ∨ b) ∨ x = a ∨ (b ∨ x) = a ∨ x = x cioè a ∨ b ≤ x. Analogamente si prova che
per ogni a, b ∈ L si ha a ∧ b = inf{a, b}. 
Capitolo 8 Reticoli 144

2. Sottoreticoli

Come per tutte le strutture algebriche, anche per il reticolo si può definire la
nozione di sottoreticolo.

Definizione 8.2.1. Se (L, ∨, ∧) è un reticolo e L0 ⊆ L, L0 6= ∅, allora L0 è un


sottoreticolo di L se e solo se a ∨ b ∈ L0 e a ∧ b ∈ L0 per ogni a, b ∈ L0 .

Esempio 8.2.2.
(1) Sia L = D(60) l’insieme dei numeri naturali divisori di 60, sia a ∧ b =
M CD(a, b) e a ∨ b = mcm(a, b) per ogni a, b ∈ L. (L, ∨, ∧) è un reticolo.
• Sia L0 = {1, 3, 5, 20}; L0 non è un sottoreticolo di L perchè 3 ∨ 5 ∈
/ L0 .
• Sia L00 = {1, 2, 3, 6}; L00 è un sottoreticolo di L.
(2) Sia L = S(G) l’insieme dei sottogruppi di un gruppo G. Per ogni H, K ∈
S(G) sia H ∨ K =< H ∪ K > il più piccolo sottogruppo contenente H
e K e sia H ∧ K l’intersezione di H e K. (S(G), ∨, ∧) è un reticolo ma
non è un sottoreticolo del reticolo P(G) delle parti di G. Infatti l’unione
insiemistica H ∪ K di P(G) è, di norma, inclusa propriamente nell’unione
gruppale H ∨ K di S(G).
(3) Sia L = SN (G) l’insieme dei sottogruppi normali di G. Rispetto all’u-
nione e alla intersezione gruppale, (SN (G), ∨, ∧) è un reticolo che risulta
sottoreticolo del reticolo (S(G), ∨, ∧) dei sottogruppi di G.

Definizione 8.2.3. Siano (L, ∨, ∧) e (L0 , ∨0 , ∧0 ) due reticoli e sia ϕ un’ap-


plicazione di L in L0 ; ϕ è detta omomorfismo se per ogni a, b ∈ L si ha
ϕ(a∨b) = ϕ(a)∨0 ϕ(b) e ϕ(a∧b) = ϕ(a)∧0 ϕ(b). L’omomorfismo ϕ si dice monomor-
fismo, epimorfismo, isomorfismo a seconda che l’applicazione ϕ sia rispettivamente
iniettiva, suriettiva, biettiva.

Nota 8.2.4. Se ϕ è un omomorfismo tra due reticoli L e L0 limitati, allora


ϕ(0) = 0 e ϕ(1) = 1.

Definizione 8.2.5. Siano (L, ∨, ∧) e (L0 , ∨0 , ∧0 ) due reticoli; se esiste una


applicazione ϕ biiettiva di L in L0 tale che ϕ (a ∧ b) = ϕ (a) ∨0 ϕ (b) e ϕ (a ∨ b) =
ϕ (a) ∧0 ϕ (b) per ogni a, b ∈ L allora ϕ è detta antisomorfismo (o isomorfismo
inverso) e i reticoli L e L0 sono detti antisomorfi.
Capitolo 8 Reticoli 145

3. Diagramma di un reticolo finito (diagramma di Hasse)

Sia (L, ∨, ∧) un reticolo finito; poichè si può definire in L una relazione 00 ≤00
di ordine parziale, la struttura del reticolo può essere descritta mediante un dia-
gramma. Gli elementi di L si rappresentano come punti del piano cartesiano con
le seguenti convenzioni:
• se x ≤ y, scegliamo l’ordinata di x minore di quella di y;
• se x ≤ y e non esiste z tale che x ≤ z ≤ y, x 6= y, x 6= z, y 6= z, allora si
collega x con y mediante un segmento.
Nota 8.3.1. Due reticoli finiti sono rappresentabili con lo stesso diagramma
se e solo se sono isomorfi.
Nota 8.3.2. Per capire se un diagramma rappresenta un reticolo occorre sta-
bilire se esistono il sup e l’inf degli insiemi formati da due elementi non collegati
direttamente, perchè se gli elementi sono collegati il sup è quello con ordinata
maggiore e l’inf è quello con ordinata minore.

Esempio 8.3.3.

(1) P (I) insieme delle parti di I = {1, 2, 3} è un reticolo rispetto alla relazio-
ne 00 ⊆00 di inclusione e si visualizza con il seguente diagramma:

?
{1,2,3}

 ???
 ??
? ? 
{1,2}{1,3} ??{2,3}
??  ?? 
?? ??
?  
? ?
{1}  ??  ?? {3}
?? {2} 
?? 
?? 

? 

(2) Sia I = {a, b, c, d} ordinato come segue: a ≤ b, a ≤ c, a ≤ d, b ≤ d,


c ≤ d, b e c non confrontabili. (I, ≤) è un reticolo rappresentato con il
diagramma:

d 
 ???
 ??
b  
 ??
 ? c
?? 
?? 
?? 

?? 
a
Capitolo 8 Reticoli 146

(3) L’insieme D (42) dei divisori di 42 ordinato con la relazione 00 x ≤ y se


x | y 00 è un reticolo rappresentabile dal seguente diagramma.

42
 ??
  ???
14 6 
??  ?? 
 ??
? 21
??  ?? 
? ?
2    3
 ???  ???
?? 
?? 7 
?? 

?? 
1

(4) Il diagramma seguente non rappresenta un reticolo perchè non è univoca-


mente definito inf {2, 3}, che potrebbe essere sia 4 che 5.

1 
 ???
 ??
2  
 ??
? 3
OOO
OOO ooooo
oOoO
4 ooo 
ooo OOOOO 5
??
?? 
?? 

?? 

6

(5) Il diagramma non rappresenta un reticolo perchè non esiste inf {b, c}
a 
 ??
 ???
 
 ??
 ?
b c

(6) Il diagramma rappresenta un reticolo perchè gli unici elementi non colle-
gati direttamente sono 3 e 4 ma sup {3, 4} = 2 e inf {3, 4} = 5

1 

2 
 ???
 ??
3  
 ??
? 4
?? 
?? 
?? 

?? 

5
Capitolo 8 Reticoli 147

(7) Il diagramma rappresenta un reticolo. Gli elementi non collegati sono


{2, 3}, {3, 4} e risulta sup {2, 3} = sup {3, 4} = 1, inf {2, 3} = inf {3, 4} =
5

1 
 ???
 ??
2  
 ??
? 3
 
4  
??
?? 
?? 

?? 
5

(8) In figura sono rappresentati i diagrammi di Hasse di tutti i possibili reticoli


con al più cinque elementi:

   ? 


 ???
 ??
   ?  
 ??

?? 
?? 
   
?? 
? 

 



   


 ???  ???  ???
 ??  ??  ??
  ?   ? ? 
 ??  ??  ??
 ?  ?  ?
??   ??? ?? 
  ??   ?? ?? 
??   ?? 
?  ?  
  ??
  ?   ? 
?? ?? 
??  ?? 
??  ?? 
  
?  ? 
Capitolo 8 Reticoli 148

(9) I reticoli aventi i seguenti due diagrammi sono antisomorfi.

1  5 
 ???
 ??
2  3  
 ??
 ? 4
 ??? ??
?? 
 ?? ?? 
3   
 ?? ?? 
 ? 4 
?? 
??  2
?? 
 
?? 
5 1

(10) I due reticoli aventi i seguenti due diagrammi sono sia isomorfi sia antiso-
morfi.

 
 ??  ??
 ???  ???
?  ? 
 ??  ??
 ?  ?
 ??   ?? 
 ???   ??? 
   
?  ? 
 ??   ?? 
   
??  ?? 
??  ?? 
??  ?? 
 
?  ? 

(11) Sia L il reticolo delle parti di A = {x, y}; sia D (15) il reticolo dei divisori
di 15 con a ∨ b = mcm (a, b) e a ∧ b = M CD (a, b). Dimostrare che i due
reticoli sono isomorfi.

A  15
? ?
 ???  ???
 ??  ??
x   5   3
 ?? y  ??
??  ?? 
??  ?? 
??  ?? 
 
??  ?? 
∅ 1

Soluzione - Dati i due reticoli sopra, questi sono isomorfi perchè


hanno lo stesso diagramma. L’isomorfismo non è unico; sono infatti
isomorfismi
ϕ : P(A) → D(15) con ϕ(A) = 15, ϕ({x}) = 3, ϕ({y}) = 5, ϕ(∅) = 1;
ψ : P(A) → D(15) con ψ(A) = 15, ψ({x}) = 5, ψ({y}) = 3, ψ(∅) = 1;
Capitolo 8 Reticoli 149

(12) Sia L il reticolo delle parti di A = {1, 2, 3} e sia D (30) il reticolo dei
divisori di 30 rispetto le usuali relazioni. Dimostrare che i due reticoli
sono isomorfi.
Soluzione - I reticoli sono isomorfi perchè sono rappresentati da dia-
grammi uguali.

30 {1,2,3}
?
?
 ???  ???
 ??  ??
15 10
??  ??  ? ? 
 ?? {1,2}{1,3} ??{2,3}
6
??  ??  ??  ?? 
? ? ?? ??
5    2 ?  
 ???  ??? ?
{1}  ??  ?? {3}
?
??  ?? {2}
?? 3  ?? 
??  ?? 

 
??  ? 
1 ∅

(13) Sia f un omomorfismo non biiettivo fra due reticoli. Dimostrare che se
a ≤ b allora f (a) ≤ f (b) , ma non vale il viceversa.
Soluzione - Ricordiamo che a ≤ b se a ∧ b = a. Se a ≤ b risulta
f (a ∧ b) = f (a) e per le proprietà dell’omomorfismo f (a ∧ b) = f (a) ∧
f (b); pertanto f (a) ∧ f (b) = f (a) e quindi f (a) ≤ f (b).
Dimostriamo che non vale il viceversa portando un controesempio:

1  a 
f
? *
 ???
 ??
2   3
 ??
?? 
?? 
?? 
 
?? 
4 b

f : 1 → a, 2 → a, 3 → b, 4 → b l’applicazione f così definita è


un omomorfismo, risulta f (3) ≤ f (2) ma non è 2 ≤ 3.

4. Reticoli modulari e reticoli distributivi

Definizione 8.4.1. Un reticolo (L, ∨, ∧) è detto modulare se per ogni


a, b, c ∈ L con b ≤ a risulta a ∧ (b ∨ c) = (a ∧ b) ∨ (a ∧ c) .
Capitolo 8 Reticoli 150

Nota 8.4.2. Ricordando che in un reticolo vale la Legge di Dualità e che da


b ≤ a segue a ∧ b = b, il reticolo (L, ∨, ∧) è modulare se e solo se vale una delle
seguenti condizioni.
(1) a ∧ (b ∨ c) = b ∨ (a ∧ c) , per ogni a, b, c ∈ L con b ≤ a.
(2) a ∨ (b ∧ c) = b ∧ (a ∨ c) , per ogni a, b, c ∈ L con a ≤ b.
(3) a ∨ (b ∧ c) = (a ∨ b) ∧ c, per ogni a, b, c ∈ L con b ≤ a.

Nota 8.4.3.
(1) Se (L, ∨, ∧) è un reticolo modulare allora lo è anche ogni suo sottoreticolo
(L0 , ∨, ∧) . Infatti l’unione e l’intersezione in L0 coincidono con l’unione e
l’intersezione degli stessi elementi in L.
(2) Il reticolo I rappresentato dal seguente diagramma di Hasse è detto reti-
colo pentagonale. E’ un reticolo non modulare.

d 
oooo ???
oo ??
c oo ooooo ??
??
??
??
??
 e
??



b 

OOO 
OOO 
OOO 
O
OOO 
a

Infatti si ha b ≤ c e risulta c∩(b∪e) = c∩d = c mentre b∪(c∩e) = b∪a = b


e pertanto il reticolo non è modulare.

Corollario 8.4.4. Un reticolo è modulare se e solo se è privo di sottoreticoli


pentagonali.

Esempio 8.4.5.
• Il reticolo P (I) delle parti di un insieme è modulare.
• Il reticolo D(n) dei divisori di n ∈ N∗ è modulare.
• Il reticolo dei sottospazi di un piano proiettivo π è modulare.
• Il reticolo dei sottospazi di un piano affine π ∗ non è modulare.
Capitolo 8 Reticoli 151

Teorema 8.4.6. Il reticolo formato dai sottogruppi normali di un gruppo è


modulare.
Dimostrazione. Sia (G, ·) un gruppo e sia (SN (G), ∪, ∩) il reticolo dei sot-
togruppi normali di G, con H ∪ K = HK e H ∩ K intersezione gruppale (=
insiemistica ). Siano H, K, J ∈ SN (G) con H ≤ J (e dunque H ⊆ J), si ha:
(1) H ∪ (K ∩ J) ≤ (H ∪ K) ∩ J. Infatti se x ∈ H ∪ (K ∩ J) si ha x = hy con
h ∈ H, y ∈ K, y ∈ J. Poichè H ⊆ J, x ∈ J e poichè x = hy ∈ H ∪ K,
risulta x ∈ (H ∪ K) ∩ J.
(2) (H ∪ K) ∩ J ≤ H ∪ (K ∩ J). Infatti se x ∈ (H ∪ K) ∩ J si ha x ∈ J e
x = hk con h ∈ H e k ∈ K. Si ricava k = h−1 x e dunque k ∈ J perchè
h−1 ∈ H e per ipotesi H ⊆ J. Pertanto x = hk con h ∈ H e k ∈ K ∩ J
ossia x ∈ H ∪ (K ∩ J).
Da (1) e (2) segue H ∪ (K ∩ J) = (H ∪ K) ∩ J e perciò il reticolo è modulare (vedi
(2) di nota 8.4.2). 

Corollario 8.4.7. Se (G, ·) è un gruppo abeliano allora il reticolo dei suoi


sottogruppi è modulare.

In un reticolo, una condizione più forte della modularità è la validità delle leggi
distributive.

Definizione 8.4.8. Un reticolo (L, ∨, ∧) è detto distributivo se per ogni


a, b, c ∈ L vale la proprietà distributiva dell’unione rispetto all’intersezione (o
equivalentemente per il principio di dualità dell’intersezione rispetto all’unione).
In simboli:
(1) a ∨ (b ∧ c) = (a ∨ b) ∧ (a ∨ c)
(2) a ∧ (b ∨ c) = (a ∧ b) ∨ (a ∧ c)

Nota 8.4.9. Se (L, ∨, ∧) è un reticolo distributivo allora lo è anche ogni suo


sottoreticolo.

Esempio 8.4.10.
• Ogni insieme totalmente ordinato è un reticolo distributivo.
• Il reticolo P (I) delle parti di un insieme è un reticolo distributivo.
• Il reticolo dei sottospazi di un piano proiettivo π non è distributivo.

Teorema 8.4.11. Se (L, ∨, ∧) è un reticolo distributivo allora (L, ∨, ∧) è un


reticolo modulare. Non vale il viceversa.
Capitolo 8 Reticoli 152

Dimostrazione. Sia L distributivo, se a, b, c ∈ L con b ≤ a allora la 1. della


definizione di reticolo distributivo assicura che b ∨ (a ∧ c) = (b ∨ a) ∧ (b ∨ c) =
a ∧ (b ∨ c) e pertanto L è modulare. Il viceversa non vale, ad esempio il retico-
lo rappresentato dal seguente diagramma è modulare ma non distributivo, come

?
mostrato nella nota successiva.

 ???
 ??
?  
 ??
?? 
?? 
?? 

? 


Nota 8.4.12. Il reticolo rappresentato dal seguente diagramma

c 
 ???
 ??
b  e  
 ??
 ? d
?? 
?? 
?? 

?? 
a

è detto reticolo trirettangolo perchè è il reticolo dei sottogruppi del gruppo


trirettangolo (o gruppo quadrinomio). Questo reticolo è modulare perchè il gruppo
trirettangolo è abeliano, ma non è distributivo. Infatti b∨(e∧d) = b∨a = b mentre
(b ∨ e) ∧ (b ∨ d) = c ∧ c = c.

Corollario 8.4.13. Un reticolo (L, ∨, ∧) è distributivo se e solo se esso non


contiene sottoreticoli isomorfi al reticolo pentagonale o al reticolo trirettangolo.

5. Reticoli complementati e Algebra di Boole

Definizione 8.5.1. Sia (L, ∨, ∧) un reticolo. Se esiste un elemento 0 ∈ L tale


che a ∨ 0 = a, per ogni a ∈ L, allora l’elemento 0 è detto zero del reticolo (o
elemento neutro rispetto all’unione). Se esiste un elemento 1 ∈ L tale 1 ∧ a = a,
per ogni a ∈ L allora l’elemento 1 è detto unità del reticolo (o elemento neutro
rispetto all’intersezione).
Capitolo 8 Reticoli 153

Dalla definizione di reticolo limitato (def.8.1.3), segue che il reticolo (L, ∨, ∧)


ha zero e unità se e solo se è limitato ed ha minimo 0 e massimo 1.

Nota 8.5.2.
(1) Ricordando che in ogni reticolo si può definire una relazione di ordine
parziale (a ≤ b se a ∧ b = a o, equivalentemente, a ∨ b = b) si ha che:
• lo zero di un reticolo, se esiste, è il minimo del reticolo;
• l’unità di un reticolo, se esiste, è il massimo del reticolo.
(2) Ogni reticolo finito ha l’elemento zero e l’elemento unità.
(3) Se due reticoli L e L0 sono isomorfi allora L ha zero (risp. unità) se e solo
se L0 ha zero (risp. unità).
(4) Se due reticoli L e L0 sono antisomorfi allora L ha zero (risp. unità) se e
solo se L0 ha unità (risp. zero).

Definizione 8.5.3. Sia (L, ∨, ∧) un reticolo dotato di zero e di unità. Per ogni
x ∈ L si chiama complemento di x ogni elemento x̄ ∈ L tale che x ∧ x̄ = 0 e
x ∨ x̄ = 1.

Definizione 8.5.4. Un reticolo (L, ∨, ∧) si dice complementato se ogni


suo elemento ha in L almeno un complemento. Se ogni elemento ha un unico
complemento, il reticolo è detto univocamente complementato.

Nota 8.5.5.
(1) Se x̄ è complemento di x allora x è complemento di x̄.
(2) Gli elementi 0 e 1 sono uno il complemento dell’altro.
(3) Ogni insieme totalmente ordinato finito con più di due elementi contiene
elementi che non ammettono complemento.

Esempio 8.5.6.
(1) Il reticolo rappresentato dal seguente diagramma è univocamente comple-

1 
mentato.
 ???
 ??
x  
 ??
? y
?? 
?? 
?? 

?? 

0
Capitolo 8 Reticoli 154

(2) Il reticolo pentagonale è complementato ma non univocamente. L’elemen-


to 3 ha come complemento sia 2 che 4.
1 
ooo ??
oo ??
o ??
2 ooo
ooo
o ??
??
??
??

??
? 3



4  
OOO 
OOO 
OOO 
O
OOO 
5

(3) Il reticolo trirettangolo è complementato ma non univocamente. Ogni


elemento della terna x, y, z ha come complementi gli altri due.
1 
 ???
 ??
x  
 
 
 
 y ??
 ? z
?? 
?? 
?? 

?? 
0

Teorema 8.5.7. Sia (L, ∨, ∧) un reticolo distributivo dotato di zero e di


unità. Ogni elemento di L ha al più un complemento.
Dimostrazione. Sia x ∈ L; supponiamo che x̄ e x̂ siano complementi di x e
proviamo che è x̄ = x̂. Si ha

x̄ = x̄ ∧ 1 = x̄ ∧ (x ∨ x̂) = (x̄ ∧ x) ∨ (x̄ ∧ x̂) = 0 ∨ (x̄ ∧ x̂) = x̄ ∧ x̂


x̂ = x̂ ∧ 1 = x̂ ∧ (x ∨ x̄) = (x̂ ∧ x) ∨ (x̂ ∧ x̄) = 0 ∨ (x̂ ∧ x̄) = x̄ ∧ x̂
e pertanto x̄ = x̂. 

Corollario 8.5.8. Un reticolo distributivo e complementato è un reticolo uni-


vocamente complementato.

Definizione 8.5.9. Si chiama algebra di Boole un reticolo distributivo,


dotato di zero e unità e tale che ogni suo elemento ha complemento.
Capitolo 8 Reticoli 155

Osserviamo che, per il teorema precedente, in un algebra di Boole ogni elemento


ammette uno ed un solo complemento.

Esempio 8.5.10.
(1) Il reticolo (P(I), ≤) delle parti dell’insieme I è un’algebra di Boole.
Consideriamo (P(A) reticolo rispetto alla relazione A ≤ B se e solo se
A ⊆ B. (P(I), ≤) è un’algebra di Boole, infatti:
• A ∧ (B ∨ C) = (A ∧ B) ∨ (A ∧ C) per ogni A, B, C ∈ P(I).
• Sia 0 = ∅ e 1 = I, allora per ogni B ∈ P(I) risulta B ∨ ∅ = B e
B ∧ I = B. Inoltre ogni elemento A ∈ P(I) ha come complemento
l’insieme complementare I −A perchè A∧(I −A) = ∅, A∨(I −A) = I.
(2) Il reticolo pentagonale e il reticolo trirettangolo non sono algebre di Boole
perchè non sono reticoli distributivi.

Teorema 8.5.11. Sia (L, ∨, ∧) un’algebra di Boole e per ogni x ∈ L sia


x̄ il suo complemento. In L valgono le seguenti due proprietà dette Leggi di De
Morgan.
(1) (a ∨ b) = ā ∧ b̄
(2) (a ∧ b) = ā ∨ b̄
Dimostrazione. Proviamo la (1). Dalla definizione di complemento segue:
(
(a ∨ b) ∧ a ∨ b = 0
(a ∨ b) ∨ a ∨ b = 1

Considerato l’elemento ā ∧ b̄ risulta


(
(a ∨ b) ∧ (ā ∧ b̄) = [(a ∨ b) ∧ ā] ∧ b̄ = (ā ∧ b) ∧ b̄ = ā ∧ (b ∧ b̄) = 0
(a ∨ b) ∨ (ā ∧ b̄) = [(a ∨ b) ∨ ā] ∧ [(a ∨ b) ∨ b̄] = (a ∨ b) ∨ b̄ = a ∨ (b ∨ b̄) = 1

ossia (a ∨ b) è il complemento sia dell’elemento a ∨ b sia dell’elemento ā ∧ b̄ e


pertanto risulta a ∨ b = ā ∧ b̄. Per la legge di dualità rimane provata anche la
(2). 

Corollario 8.5.12. In un’algebra di Boole l’applicazione che ad ogni elemento


fa corrispondere il suo complemento è un antisomorfismo.
Capitolo 8 Reticoli 156

6. Esercizi relativi al Capitolo 8

Esercizio 8.6.1.
Dimostrare che (N∗ , ≤) è un reticolo rispetto alla relazione 00 x ≤ y se e solo se
esiste z ∈ N∗ tale che zx = y 00 .

Esercizio 8.6.2.
Sia A = {1, 2, 3, 4, 12}. Si considerino in A l’usuale relazione 00 ≤00 e la relazione di
divisibilità. Dire quali delle due relazioni risulta di ordine totale.

Esercizio 8.6.3.
Sia E = {1, 3, 5, 6, 10, 15, 30} e sia 00 ≤00 la relazione di divisibilità. Tracciare il
diagramma di Hasse di (E, ≤) e verificare che (E, ≤) non è totalmente ordinato.

Esercizio 8.6.4.
Siano (E, ρ) e (F, σ) due insiemi parzialmente ordinati rispettivamente dalle rela-
zioni ρ e σ. Sia τ la relazione in E × F definita da
(x, y)τ (x0 , y 0 ) ⇔ xρx0 e yσy 0
• Dimostrare che τ è una relazione d’ordine.
• Dimostrare che se τ è una relazione d’ordine totale allora anche ρ e σ sono
di ordine totale, mentre il viceversa non è sempre vero.
• Siano E = {2, 3, 4}, F = {1, 5, 7}, ρ la relazione di divisibilità, σ la
relazione 00 ≤00 . Tracciare il diagramma di Hasse di (E × F, τ ).

Esercizio 8.6.5.
Dimostrare che l’insieme dei sottogruppi normali di un gruppo G è un sottoreticolo
del reticolo dei sottogruppi di G.

Esercizio 8.6.6.
Dimostrare che l’insieme F delle applicazioni di un insieme qualsiasi E in un retico-
lo distributivo R formano un reticolo distributivo rispetto al seguente ordinamento
f ≤ g ⇔ f (x) ≤ g(x) per ogni x ∈ E

Esercizio 8.6.7.
Dimostrare che ogni omomorfismo trasforma un reticolo distributivo in un reticolo
distributivo.

Esercizio 8.6.8.
Dimostrare che ogni omomorfismo trasforma un reticolo modulare in un reticolo
modulare.

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